2.1 Considerazioni preliminari
2.1Considerazioni preliminariEspressioni quali “sviluppo sostenibile”, “risorse limitate”, risuonano ormai quotidianamente perché riguardano questioni che, nonostante siano conosciute da molto tempo, sono diventate urgenti e impellenti, ed è ormai chiaro che riguardano tutti i soggetti che compongono la società, cittadini inclusi.
In questo contesto, l’economia circolare rappresenta una strategia che crea una frattura netta con l’impostazione tradizionale dell’economia (c.d. “lineare”), caratterizzata dalla visione approvvigionamento-produzione-utilizzo-scarto.
L’economia circolare si fonda sulla necessità di svincolare lo sviluppo delle attività economiche dal consumo di risorse finite, rivedendo completamente il concetto di progresso.
Varie sono le teorie e i modelli in cui si articola e si realizza concretamente l’economia circolare, per quanto i principi di riferimento siano comuni e possono essere così sintetizzati:
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progettare evitando la produzione di rifiuti e di inquinamento in generale; qui il termine “progettare” va letto secondo una prospettiva ampia perché la progettazione riguarda prodotti, servizi, ma anche tutti i processi attraverso i quali vengono realizzati i prodotti ed i servizi;
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allungare il più possibile la vita utile di prodotti e materiali, riconoscendo in modo corretto il valore che prodotti e materiali hanno nel corso della loro “vita”;
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consapevolezza che vi sono risorse rinnovabili e risorse non rinnovabili, e che, evidentemente, il ricorso alle une o alle altre non è indifferente.
Nota: vari sono i modelli attraverso i quali si realizza l’economia circolare, e va ricordato che non è detto che in un determinato settore o in una determinata azienda debba trovare applicazione solo uno di tali modelli. Citiamo qui alcuni esempi:
modello basato sul recupero e riciclo: tale modello si fonda su una visione diversa del valore rispetto a tutti i flussi di materiali che riguardano un’attività economica ed i suoi processi, non limitandosi a porre attenzione sul valore del prodotto finale; in altre parole quello che prima era destinato allo spreco, ora è riconosciuto come valore; questo modello si può sviluppare in vari modi, tra cui il ricorso a materie prime secondarie in alternativa a materie prime “primarie”;
modello basato sull’estensione della durata della vita di un prodotto: secondo questo modello va rivista (e abbandonata) l’idea che il vantaggio economico per un’azienda risieda unicamente nella quantità di prodotti nuovi venduti, pensando piuttosto ai vantaggi (anche economici) che si possono avere da prodotti che durano più a lungo. Ad esempio, progettare prodotti che, anziché essere sostituiti, possano essere aggiornati ed arricchiti con nuove funzionalità, oppure pensare a sistemi che prevedano il ritiro/scambio di prodotti usati, o ancora progettare prodotti che possano essere “ricondizionati” e, quindi, riportati al loro stato originale;
modello basato sulla visione di un prodotto come servizio: in questa prospettiva, ad esempio, il cliente utilizza un prodotto acquistando un servizio sulla base di specifici parametri, oppure si pensi al noleggio.
Naturalmente il tema dell’economia circolare si interseca con quello dei cambiamenti climatici, essendovi punti di contatto e di influenza reciproca.
APPROFONDIMENTI
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 8-9/2021: “Strategia nazionale per promuovere l’Economia Circolare e misure per agevolare l’attuazione degli obiettivi” di Tiziana Ronchetti e Massimo Medugno
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 7/2021: “Missione 2 PNRR: uno sguardo d’insieme alla ‘rivoluzione verde’ e alla ‘transizione ecologica’” di Vittorio Giampietro
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 6/2021: “L’attuazione del principio dell’economia circolare nelle regioni italiane” di Giulia Spina
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 5/2021: “Lo sviluppo sostenibile tra etica e diritto” di Edoardo Ferrero
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 4/2021: “Transizione ecologica: come e verso cosa? Lettera aperta al neo ministro al vertice del MITE” di Alberto Muratori
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AMBIENTE & SVILUPPO n. 7/2022: “Il Piano per la Transizione Ecologica: aspetti tecnici e culturali della svolta da imprimere al nostro Paese” di Andrea Quaranta
2.2 Unione europea: strategie e obiettivi
2.2Unione europea: strategie e obiettiviA dicembre 2015 la Commissione europea ha emesso il Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare contenente la proposta di una serie di azioni volte a favorire l’economia circolare in ogni fase della catena del valore, nella consapevolezza che la transizione verso un’economia più circolare “offre all’Europa l’occasione di trasformare l’economia e generare nuovi vantaggi competitivi sostenibili”.
Viene, infatti, sottolineato che l’Unione europea non potrà che ricevere un impulso positivo dall’economia circolare, grazie ad una maggiore competitività (“mettendo al riparo le imprese dalla scarsità delle risorse e dalla volatilità dei prezzi e contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modi di produzione e consumo innovativi e più efficienti”) ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, fattori che si vanno ad aggiungere all’elemento cardine rappresentato dalla tutela delle risorse e dell’ambiente.
L’attuazione concreta della transizione chiama in causa necessariamente attori fondamentali quali gli Stati membri, le regioni, le città, le imprese ed i cittadini, cui si affianca il ruolo imprescindibile dell’Unione europea che, come indicato nel piano stesso, si impegna a stimolare gli investimenti, creare condizioni di concorrenza uniformi, abbattere gli ostacoli derivanti dalla legislazione europea o dalla sua applicazione inadeguata, approfondire il mercato unico e assicurare condizioni favorevoli per l’innovazione e il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse.
Il piano d’azione di dicembre 2015 si articola in una serie di azioni che riguardano fasi rilevanti della catena del valore:
- Produzione
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Progettazione dei prodotti: aspetti quali riparabilità, durabilità, possibilità di rimettere a nuovo un prodotto, possibilità di riciclaggio diventano fattori rilevanti per la progettazione ecocompatibile, sui quali l’Unione europea intende porre l’attenzione attraverso strumenti legislativi.
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Processi di produzione: il piano descrive le azioni che mirano ad incentivare lo sviluppo di processi innovativi che tengano conto di esigenze quali l’utilizzo efficiente delle risorse, l’approvvigionamento sostenibile delle materie prime, la simbiosi industriale (in cui i rifiuti o sottoprodotti di un’industria diventano fattori di produzione di un’altra industria). In particolare, proprio rispetto alla simbiosi industriale, si prevede una revisione della normativa sui rifiuti in modo da agevolarla e garantire pari condizioni concorrenziali in UE.
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Consumo: le scelte operate dai consumatori svolgono un ruolo fondamentale e, d’altra parte, sono fortemente influenzate dalle informazioni disponibili per i consumatori. L’UE si impegna a migliorare aspetti sia connessi alla garanzia sui beni, che alle informazioni fornite tramite l’etichettatura dei prodotti.
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Gestione dei rifiuti: si tratta di un elemento che ha un ruolo preminente nell’economia circolare, in relazione alla gerarchia dei rifiuti che stabilisce che la prevenzione (della produzione dei rifiuti) occupa una posizione prioritaria rispetto alle altre azioni (preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di energia e, da ultimo, smaltimento). L’UE prevede una revisione della normativa sui rifiuti, andando ad incidere, in particolare, su aspetti quali la responsabilità estesa del produttore, l’uso di strumenti economici per incentivare comportamenti virtuosi.
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Da rifiuti a risorse: l’attenzione viene qui posta sulla necessità di stimolare il mercato delle materie prime secondarie ed il riutilizzo dell’acqua. In merito al primo aspetto viene evidenziato che un freno è rappresentato dall’incertezza sull’effettiva qualità delle materie prime secondarie. Ecco, quindi, che nel piano l’UE definisce l’obiettivo di elaborare norme di qualità per le materie prime secondarie e migliorare la normativa che riguarda la cessazione della qualifica di rifiuto, nonché incentivare il riutilizzo dell’acqua prevedendo a livello normativo requisiti minimi.
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Settori prioritari: sono esplicitamente individuati quei settori che rivestono un ruolo importante per l’economia circolare a causa della specificità dei loro prodotti, delle catene del valore che li caratterizzano, della loro impronta ambientale o della dipendenza da materie provenienti da paesi terzi. Questi settori sono quello della plastica, dei rifiuti alimentari, materie prime essenziali, rifiuti di costruzione e demolizione, biomassa e prodotti biologici.
In modo trasversale alle azioni definite per le fasi sopra elencate della catena del valore, il piano dell’UE emesso nel 2015 contiene una serie di misure che riguardano l’innovazione e gli investimenti necessari per realizzare il cambiamento strutturale richiesto dall’economia circolare. Il progetto “Industria 2020” si inserisce in questa direzione con una serie di iniziative rivolte alla gestione dei rifiuti, ai rifiuti alimentari, alla simbiosi industriale, ecc.
A dicembre 2019 è stata pubblicata la comunicazione della Commissione europea sul “Green Deal europeo”, attraverso la quale è stata sottolineata l’intenzione di realizzare un cambio di passo nel percorso di attuazione delle misure per l’economia circolare.
Come indicato nelle premesse, il “Green Deal europeo” si pone come “una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse”.
Il documento descrive in modo puntuale e concreto le politiche considerate fondamentali per trasformare l’economia dell’UE nella prospettiva di un futuro sostenibile. Tra queste citiamo quelle riguardanti gli obiettivi UE sul clima, sull’approvvigionamento di energia pulita, sulla necessità di accelerare la transizione verso la mobilità sostenibile ed intelligente e sulla visione di un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente.
Tra queste politiche un ruolo determinante è occupato dall’economia circolare, partendo dalla considerazione che la trasformazione procede troppo a rilento e in modo non uniforme. L’impegno riportato in modo chiaro ed esplicito nel documento riguarda la definizione di una politica per i “prodotti sostenibili” che sostenga le fasi determinanti della catena del valore, a partire dalla progettazione circolare dei prodotti e dal rafforzamento della responsabilità estesa dei produttori, nella consapevolezza che tale politica determina anche indubbiamente la riduzione significativa dei rifiuti.
Arriviamo, quindi, a marzo 2020, momento in cui è stato diffuso da parte della Commissione europea, mediante specifica Comunicazione, “Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare per un’Europa più pulita e più competitiva”. Il documento, fin dalle premesse, esprime la necessità di accelerare in modo significativo il passaggio all’economia circolare, fase imprescindibile per la realizzazione della strategia del Green Deal europeo che ha come obiettivo la realizzazione di “un’economia climaticamente neutra, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva”.
Grande attenzione è posta sul consumo delle risorse: è indispensabile ridurre l’impronta dei consumi e raddoppiare la percentuale di utilizzo dei materiali circolari nel prossimo decennio.
Anche all’interno di questa Comunicazione viene sottolineata l’importanza del coinvolgimento e della partecipazione di tutti i soggetti rilevanti per la piena attuazione dell’economia circolare: operatori economici, consumatori, cittadini, organizzazioni della società civile.
Il nuovo piano per l’economia circolare si caratterizza, quindi, per la definizione di una serie di azioni, tra esse collegate, che nell’insieme costituiscono una strategia focalizzata su prodotti, servizi e modelli imprenditoriali sostenibili e che intende modificare i modelli di consumo, evitando innanzitutto la produzione di rifiuti. D’altra parte, viene evidenziato anche il fatto che la strategia sui prodotti sostenibili offrirà alle imprese nuove opportunità, come indicano i seguenti dati riportati nel documento: l’applicazione dei principi dell’economia circolare nell’insieme dell’economia dell’UE potrebbe aumentarne il PIL di un ulteriore 0,5 % entro il 2030, creando circa 700 000 nuovi posti di lavoro.
In aggiunta a ciò, il nuovo piano prende atto della necessità di razionalizzare il quadro normativo “rendendolo adatto ad un futuro sostenibile, garantendo l’ottimizzazione delle nuove opportunità derivanti dalla transizione e riducendo al minimo gli oneri per le persone e le imprese”.
La nuova strategia sui prodotti sostenibili delineata nel Piano di azione per l’economia circolare si articola nelle seguenti azioni:
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Progettazione di prodotti sostenibili: la Commissione europea stabilisce che sia realizzata un’iniziativa legislativa estensione della Direttiva concernente la progettazione ecocompatibile, andando al di là dei prodotti connessi all’energia, in modo che la progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità. Tale decisione deriva dalla constatazione che di fatto non esiste un quadro definito di prescrizioni che possa garantire che tutti i prodotti immessi sul mercato dell’UE diventino via via più sostenibili e soddisfino i criteri dell’economia circolare. Attenzione prioritaria sarà data ai gruppi di prodotti individuati in modo esplicito nel nuovo Piano di azione per l’economia circolare (come illustrato successivamente), prevedendo in ogni caso che altri gruppi di prodotti siano individuati in base all’impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.
- Creare le condizioni per operare scelte informate: la Commissione intende proporre una revisione della legislazione dell’UE relativa
ai consumatori al fine di assicurare che essi “ricevano informazioni attendibili e
pertinenti sui prodotti presso il punto vendita, anche in merito alla durata di vita
e alla disponibilità di servizi di riparazione, pezzi di ricambio e manuali di riparazione”.
Gli aspetti principali che saranno tenuti in considerazione sono:
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azioni per la protezione dei consumatori contro l’ecologismo di facciata e l’obsolescenza prematura;
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definizione di requisiti minimi per i marchi/loghi di sostenibilità e per gli strumenti di informazione;
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istituzione di un nuovo “diritto alla riparazione”;
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attenzione ai nuovi diritti orizzontali sostanziali per i consumatori, quali, ad esempio, la disponibilità di pezzi di ricambio o l’accesso alla riparazione e, nel caso delle TIC e dell’elettronica, ai servizi di upgrading;
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integrazione delle informazioni a sostegno delle dichiarazioni ambientali emesse dalle imprese utilizzando i cosiddetti “metodi per misurare l’impronta ambientale dei prodotti e delle organizzazioni”;
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in relazione al punto precedente, la Commissione prevede l’inclusione sistematica di durabilità, riciclabilità e contenuto riciclato nei criteri per il marchio Ecolabel UE (per approfondimenti sul tema si rimanda al capitolo dedicato all’interno del presente manuale);
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definizione di criteri e obiettivi minimi obbligatori in materia di appalti pubblici verdi (GPP) nella legislazione settoriale, e introduzione graduale dell’obbligo di comunicazione per monitorare il ricorso agli appalti pubblici verdi.
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- Circolarità dei processi produttivi: essendo ormai evidente la necessità di una trasformazione di ampio respiro dei processi,
la Commissione intende favorire la circolarità attraverso strumenti legislativi e
altre azioni che riguardano in particolare i seguenti aspetti ambientali:
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emissioni industriali: revisione della Direttiva di riferimento con l’integrazione delle pratiche dell’economia circolare nei documenti di riferimento delle prossime BAT (best available techniques);
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simbiosi industriale: favorirne la realizzazione con l’istituzione di un sistema di comunicazione e certificazione promosso dall’industria;
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bioeconomia sostenibile e circolare: attuazione del piano d’azione specifico;
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tracciabilità, rintracciabilità e mappatura delle risorse: agevolare questi obiettivi promuovendo l’uso delle tecnologie digitali;
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nuova strategia per le PMI: attenzione posta sulla collaborazione industriale circolare tra PMI (con iniziative di formazione, consulenze, nell’ambito della “Entreprise Europe Network”), sulla collaborazione tra cluster e trasferimento di conoscenze tramite il Centro di eccellenza europeo per la gestione efficiente delle risorse.
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Nota: tenendo conto degli aspetti sopra citati, è interessante la posizione adottata dal Comitato UE per l’Ambiente, la Salute pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) rispetto alla revisione del quadro normativo complessivo nell’ottica di prodotti sostenibili. Viene, innanzitutto, sottolineato che i prodotti devono avere una vita utile più lunga e che i consumatori devono essere meglio informati: si punta a bandire l’obsolescenza prematura dei prodotti, nel senso che i produttori non devono limitare la vita utile del prodotto nelle scelte che sono effettuate al momento della progettazione del prodotto, e, d’altra parte, devono rendere possibile la riparazione (attraverso la disponibilità di software, parti di ricambio ed accessori) per un tempo ragionevole. Contemporaneamente, i prodotti saranno accompagnati da un “passaporto” in cui saranno riportate anche le informazioni che consentano al consumatore di effettuare scelte consapevoli sulla base di informazioni quali la facilità di riparazione e di riciclo, nonché dell’impatto ambientale del prodotto stesso. Un altro aspetto sul quale è posta l’attenzione dal Comitato ENVI riguarda il divieto di distruzione, da parte dei produttori, dei prodotti invenduti, prevedendo l’obbligo di trasmissione di determinate informazioni.
Una parte rilevante del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare, emesso a marzo 2020, è dedicata ai rifiuti che, nonostante le azioni attuate, non vedono diminuire la loro quantità in UE. Le strategie sopra brevemente descritte riguardanti i prodotti sostenibili avranno un impatto rilevante anche sull’aspetto rifiuti, ma è necessario agire anche sulla normativa che disciplina i rifiuti in UE perché l’economia circolare e l’era digitale richiedono azioni nuove e diverse.
Le principali azioni che la Commissione ha stabilito in tal senso possono essere così riassunte:
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riesame della normativa UE su pile, imballaggi, veicoli fuori uso e sostanze pericolose nelle apparecchiature elettroniche, volendo essere più incisivi sulla prevenzione dei rifiuti, sull’aumento del contenuto riciclato, sulla promozione di flussi di rifiuti più sicuri e più puliti e sulla garanzia di un riciclaggio di alta qualità;
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riesame della Dir. 2008/98/CE per introdurre obiettivi di riduzione dei rifiuti per flussi specifici, rafforzamento degli obblighi per i regimi di responsabilità estesa del produttore e incoraggiamento della condivisione di informazioni e buone pratiche in materia di riciclaggio. L’obiettivo, tra l’altro, è di dimezzare la quantità di rifiuti urbani residui (non riciclati) entro il 2030;
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azioni volte ad armonizzare i sistemi di raccolta differenziata, tenendo conto dei fattori che la influenzano in misura rilevante (quali ad esempio specificità delle situazioni locali), ma anche i fattori determinanti per il coinvolgimento dei consumatori.
In aggiunta a quanto sopra, la strategia sui rifiuti non dimentica altri aspetti che possono concretamente incidere sul raggiungimento degli obiettivi stabiliti con le azioni fin qui descritte per i rifiuti, e, quindi, sulla circolarità:
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Mercato efficiente per le materie prime secondarie: l’intento della Commissione è favorire concretamente il mercato interno in UE delle materie prime secondarie che, nel confronto con le materie prime “primarie”, devono essere competitive in termini di sicurezza (si veda il punto successivo), prestazioni, disponibilità e costi. Le azioni previste per questo punto riguardano, innanzitutto, la previsione di obblighi sul contenuto riciclato nei prodotti, ma anche l’ulteriore sviluppo di criteri per l’end of waste (la cessazione della qualifica di rifiuto: per approfondimenti si rimanda al capitolo specifico sui rifiuti del presente manuale), e la creazione di un osservatorio del mercato per le materie secondarie fondamentali.
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Presenza di sostanze pericolose all’interno delle materie prime secondarie: è un elemento strettamente collegato al precedente e che mette in discussione la loro sicurezza. In generale la Commissione evidenzia che si dovrà ulteriormente tenere conto dell’imprescindibile coordinamento tra la normativa sulle sostanze chimiche, quella sui prodotti e quella sui rifiuti, rafforzando le sinergie con l’economia circolare.
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Esportazione di rifiuti da UE: l’obiettivo generale è chiaramente rappresentato nelle parole della Commissione che intende “garantire che l’UE non esporti le proprie problematiche connesse ai rifiuti verso paesi terzi”. Ciò sulla base della consapevolezza che spesso le esportazioni di rifiuti comportano effetti negativi (ambientali e sulla salute) nei paesi di destinazione e anche la perdita di risorse ed opportunità economiche per l’industria del riciclaggio nell’UE. È, quindi, prevista una revisione della normativa sulle spedizioni di rifiuti extra-UE, ed anche un rafforzamento dei controlli sulle spedizioni per contrastare traffici illeciti ed esportazioni illegali.
Una sezione molto interessante del nuovo Piano di azione per l’economia circolare di marzo 2020 è dedicata ad alcuni settori specifici individuati come le principali catene del valore dei prodotti, rispetto alle quali la Commissione collaborerà in modo sinergico con i portatori di interesse per la realizzazione delle azioni sui prodotti sostenibili (di cui sopra). Le catene del valore così individuate sono:
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Elettronica e TIC: la Commissione si impegna a definire una “Iniziativa per un’elettronica circolare”, che prevedrà azioni volte, tra l’altro, ad allungare la durata della vita dei prodotti, a garantire la riparabilità e la possibilità di upgrading, a regolamentare l’introduzione di un caricabatterie universale per i telefoni cellulari, al miglioramento della raccolta e trattamento dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, riesame della normativa sulla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
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Batterie e veicoli: trattasi di aspetti con un peso fondamentale nella mobilità del futuro, e, pertanto, la Commissione prevede la definizione di un nuovo quadro normativo per le batterie, e un riesame di quello dei veicoli fuori uso.
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Imballaggi: stante la costante crescita della quantità di materiali usati per imballaggi, sono definite azioni per garantire che, entro il 2030, tutti gli imballaggi sul mercato dell’UE siano riutilizzabili o riciclabili in modo economicamente sostenibile.
- Plastica: il tema è complesso, considerando i diversi e numerosi impatti che ha sull’economia
circolare. La Commissione ha previsto, quindi, azioni così articolate:
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previsione di disposizioni vincolanti per il contenuto riciclato e misure per la riduzione dei rifiuti per prodotti fondamentali quali gli imballaggi, i materiali da costruzione e i veicoli;
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misure per ridurre le microplastiche nell’ambiente (limitandone l’aggiunta intenzionale, disciplinandone il rilascio accidentale, colmando le lacune rispetto alla conoscenza del tema);
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strategie su approvvigionamento, etichettatura e uso delle plastiche a base organica;
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strategie sulle plastiche biodegradabili o compostabili, per valutare le applicazioni in cui il loro uso può essere benefico per l’ambiente;
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attuazione della normativa su prodotti di plastica monouso e attrezzi da pesca.
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- Prodotti tessili: in questo settore, al quarto posto tra quelli che utilizzano più materie prime e
acqua dopo il settore alimentare, l’edilizia abitativa e i trasporti, la strategia
della Commissione si sviluppa ponendo l’attenzione su diverse fasi della catena del
valore, quali:
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l’applicazione di un quadro normativo nuovo sui prodotti sostenibili;
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il miglioramento dei modelli imprenditoriali (con incentivi e sostegno ai modelli “prodotto come servizio”, ai materiali e processi di produzione circolari);
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la raccolta differenziata dei rifiuti tessili;
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la selezione, il riutilizzo e il riciclaggio dei tessili.
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Costruzione ed edilizia: trattasi di un settore che manifesta un impatto ambientale rilevante sotto diversi punti di vista (determina circa il 50 % di tutte le estrazioni di materiali, oltre il 35 % della produzione totale di rifiuti dell’UE, e un contributo rilevante alle emissioni totali di gas a effetto serra considerando le fasi che vanno dall’estrazione di materiali, alla fabbricazione di prodotti da costruzione ed alla costruzione e ristrutturazione degli edifici) e, per questo motivo, è prevista la definizione di una nuova strategia per un ambiente edificato sostenibile che riguarderà i prodotti da costruzione (inclusi vincoli sul contenuto di riciclato), misure per migliorare la durabilità e l’adattabilità dei beni edificati, rivalutazione degli obiettivi di recupero dei materiali fissati nella legislazione dell’UE per i rifiuti da costruzione e demolizione, azioni per ridurre l’impermeabilizzazione del suolo, riabilitare i siti dismessi abbandonati o contaminati e aumentare l’uso sicuro, sostenibile e circolare dei terreni da scavo.
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Prodotti alimentari, acque e nutrienti: si tratta di un ambito rilevante perché da un lato esercita una forte pressione sulle risorse e sull’ambiente, e dall’altro presenta tassi di spreco particolarmente elevati. La Commissione si impegna, quindi, in un obiettivo sulla riduzione degli sprechi alimentari. Le misure riguardano, inoltre, i servizi di ristorazione (dal punto di vista di imballaggi, oggetti per il servizio da tavola e posate monouso, da sostituire con prodotti riutilizzabili), il riutilizzo delle acque e l’efficienza idrica (anche nei processi industriali), l’elaborazione di un piano integrato di gestione dei nutrienti (per garantirne un’applicazione più sostenibile ed incentivare i mercati dei nutrienti recuperati).
Pensando al fine generale del presente Manuale, possiamo osservare che l’analisi del Piano delle azioni per l’economia circolare della Commissione europea, come aggiornato ed integrato nel 2020, mette in evidenza che le misure ed azioni previste riguardano in diversi casi la legislazione UE, che richiede una revisione, un rafforzamento ed azioni che la rendano più efficace ed in linea con le nuove esigenze e gli obiettivi riguardanti la neutralità climatica e la transizione all’economia circolare. Il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha presentato un “pacchetto” denominato “Fit for 55”, che contiene 12 strumenti legislativi atti a consentire il raggiungimento degli obiettivi dell’European Green Deal (e, in particolare, la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030). Di fatto tali proposte legislative associano i seguenti aspetti:
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l’applicazione dello scambio di quote di emissione a nuovi settori e il rafforzamento dell’attuale sistema di scambio di quote di emissione dell’UE;
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un aumento dell’uso di energie rinnovabili;
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una maggiore efficienza energetica;
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una più rapida diffusione dei modi di trasporto a basse emissioni e delle infrastrutture e dei combustibili necessari a tal fine;
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l’allineamento delle politiche fiscali con gli obiettivi del Green Deal europeo;
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misure per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio;
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strumenti per preservare e potenziare la capacità dei nostri pozzi naturali di assorbimento del carbonio.
Figura 1 - Pacchetto “Fit for 55” (fonte Commissione europea).

Una componente di particolare rilievo della politica europea rispetto alla sostenibilità è rappresentata dalla “Chemicals Strategy”, strategia che è stata adottata dalla Commissione europea il 14 ottobre 2020 e che pone l’attenzione sulla protezione di cittadini ed ambiente dalle sostanze pericolose, e intende spingere l’innovazione rafforzando l’orientamento verso sostanze meno pericolose e più sostenibili. Il tema dei prodotti chimici è affrontato sotto diversi punti di vista, considerando da un lato la presenza diffusa delle sostanze chimiche nei beni che utilizziamo, e dall’altro l’impatto ambientale dei processi di produzione dei prodotti chimici (soprattutto in termini di consumo energetico ed emissioni di CO2). Ciò è particolarmente evidente leggendo le premesse alla “Chemical Strategy” del 14 ottobre 2020, in cui si sottolinea il fatto che i nuovi “chemicals” e i nuovi materiali dovranno essere intrinsecamente salubri e sostenibili, dal momento della loro produzione e fino alla fine del loro ciclo di vita, e, d’altra parte, i processi e le tecnologie dovranno essere sviluppati in modo da consentire all’industria chimica la transizione verso la neutralità climatica.
La strategia europea pone l’attenzione, tra l’altro, su:
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sviluppare criteri per garantire sicurezza e sostenibilità dei “chemicals” fin dalla progettazione;
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assicurare la sicurezza dei prodotti e materiali riciclati, minimizzando la presenza di sostanze preoccupanti;
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sviluppare metodi per la valutazione del rischio chimico basati sull’intero ciclo di vita delle sostanze;
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promuovere l’innovazione nel settore chimico, anche per favorire lo sviluppo di tecnologie nel settore dell’energia e delle tecnologie digitali;
-
migliorare e semplificare l’impostazione della normativa per renderla più efficace e più facilmente applicabile.
In questa prospettiva, un ruolo importante è svolto da ECHA, agenzia europea per i “chemicals” (per maggiori dettagli si veda il capitolo 14).
La Commissione europea, nel percorso di attuazione della “Chemical Strategy”, ha emesso a dicembre 2022 la Raccomandazione 2022/2510 che istituisce un quadro europeo di valutazione per sostanze chimiche e materiali “sicuri e sostenibili fin dalla progettazione”. In pratica, il quadro si compone di metodi per valutare gli aspetti di sicurezza e sostenibilità di una sostanza chimica o di un materiale, e l’industria, comprese le piccole e medie imprese (PMI), il mondo accademico e le organizzazioni di ricerca e tecnologia sono chiamate ad applicare questi metodi e fornire riscontri (secondo le modalità previste), al fine di verificare l’adeguatezza e l’efficacia dei metodi stessi.
Nel corso del 2023 le azioni che sono state realizzate dall’Unione europea ai fini dell’attuazione della strategia sull’economia circolare possono essere così elencate:
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emissione di una proposta di direttiva sul tema delle dichiarazioni fuorvianti sulle prestazioni ambientali di prodotti e servizi (cosiddetti “green claims”);
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proposta di definizione di regole comuni per la promozione della riparazione dei beni;
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adozione di iniziative di carattere normativo riguardanti le microplastiche: definizione di una restrizione all’interno del Reg. (CE) n. 1907/2006 (REACH) e di una proposta di regolamento volto a prevenire il rilascio di pellet di plastica e, quindi, l’inquinamento da microplastiche.
Nei capitoli successivi sono riportate con maggior dettaglio le novità normative correlate proprio alle strategie che riguardano l’economia circolare in Unione europea, correlate ai temi specifici trattati all’interno dei vari capitoli.
2.3 Economia circolare: la prospettiva italiana
2.3Economia circolare: la prospettiva italianaUn inquadramento generale della strategia nazionale rispetto all’economia circolare è stato rappresentato con il documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”, approvato ad ottobre 2017 dal governo, e che, di fatto, ha posto l’Italia in continuità rispetto agli impegni adottati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, in sede G7 e nell’Unione Europea.
Come già illustrato nel paragrafo precedente, anche a livello nazionale è emersa la necessità di aggiornare ed adeguare la strategia sull’economia circolare nell’ambito della più ampia prospettiva dello sviluppo sostenibile, alla luce delle nuove conoscenze e delle nuove esigenze che si sono rese manifeste negli ultimi tempi.
A settembre 2021 è stato pubblicato il documento “Strategia nazionale per l’economia circolare. Linee programmatiche per l’aggiornamento”, aperto alla consultazione fino al 30 novembre 2021, e che si coordina con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), strutturato in sei missioni, delle quali la seconda riguarda “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (in cui l’economia circolare gioca un ruolo rilevante), nella consapevolezza che il PNRR rappresenta un’opportunità unica per accelerare nella direzione della transizione.
La missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica” è articolata in quattro componenti:
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C1. Economia circolare e agricoltura sostenibile;
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C2. Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile;
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C3. Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici;
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C4 Tutela del territorio e della risorsa idrica.
Nello specifico, è interessante analizzare la descrizione della Componente 1 riportata nel PNRR:
La Componente 1 si prefigge di perseguire un duplice percorso verso una piena sostenibilità ambientale. Da un lato, migliorare la gestione dei rifiuti e dell’economia circolare, rafforzando le infrastrutture per la raccolta differenziata, ammodernando o sviluppando nuovi impianti di trattamento rifiuti, colmando il divario tra regioni del Nord e quelle del Centro-Sud (oggi circa 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti vengono trattate fuori dalle regioni di origine) e realizzando progetti flagship altamente innovativi per filiere strategiche quali rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), industria della carta e del cartone, tessile, riciclo meccanico e chimica delle plastiche. Dall’altro, sviluppare una filiera agricola/alimentare smart e sostenibile, riducendo l’impatto ambientale in una delle eccellenze italiane, tramite supply chain “verdi”.
Nella tabella seguente sono indicate in dettaglio le misure previste dal PNRR per la Componente 1 della Missione 2.
Tabella 1 - Misure previste per la Missione 2 del PNRR (fonte: PNRR).
Ambito: migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare | |
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Investimento 1.1: Realizzazione nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti | I sistemi di gestione dei rifiuti urbani risultano oggi molto fragili e caratterizzati
da procedure di infrazione in molte regioni italiane (in particolare nel Centro-Sud
Italia). Inoltre, il sistema risulta carente di un’adeguata rete di impianti di raccolta
e trattamento. Gli investimenti mirano quindi ad un miglioramento della rete di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, alla realizzazione di nuovi impianti di trattamento/riciclaggio di rifiuti organici, multimateriale, vetro, imballaggi in carta e alla costruzione di impianti innovativi per particolari flussi. |
Ambito: migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare | |
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Nello specifico, gli investimenti proposti mirano a colmare i divari di gestione dei rifiuti relativi alla capacità impiantistica e agli standard qualitativi esistenti tra le diverse regioni e aree del territorio nazionale, con l’obiettivo di recuperare i ritardi per raggiungere gli attuali e nuovi obiettivi previsti dalla normativa europea e nazionale (es., 65 per cento di raccolta differenziata al 2035, max. 10 per cento di rifiuti in discarica, di riutilizzo, recupero, ecc.). Per questo motivo circa il 60 per cento dei progetti si focalizzerà sui comuni del Centro-Sud Italia. | |
Investimento 1.2: Progetti “faro” di economia circolare | Il piano d’azione dell’UE per l’economia circolare introduce misure mirate in alcuni
settori a forte valore aggiunto, con target di riciclo specifici: tra i quali RAEE,
carta e cartone, plastica e tessile. in tal senso, particolarmente interessante è
lo sviluppo di tecnologie avanzate di riciclo meccanico e chimico delle plastiche
rivolto anche al “marine litter” L’Italia ad oggi è ancora lontana dal raggiungimento
di questi target, ad esempio più del 50 per cento dei rifiuti plastici viene raccolto
come Rifiuti Plastici Misti e quindi non recuperato ma utilizzato per il recupero
energetico o inviato in discarica. In questo contesto, la misura intende potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento/riciclo contribuendo al raggiungimento dei seguenti target di: 55 per cento di riciclo di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE); 85 per cento di riciclo nell’industria della carta e del cartone; 65 per cento di riciclo dei rifiuti plastici (attraverso riciclaggio meccanico, chimico, “Plastic Hubs”); 100 per cento recupero nel settore tessile tramite “Textile Hubs”. A sostegno della misura e per il raggiungimento degli obiettivi verrà sviluppato un sistema di monitoraggio su tutto il territorio nazionale che consentirà di affrontare tematiche di “scarichi illegali” attraverso l’impiego di satelliti, droni e tecnologie di Intelligenza Artificiale (intervento dettagliato nella componente 4). |
Riforma 1.1: Strategia nazionale per l’economia circolare | Coerentemente con il piano d’azione per l’economia circolare e il quadro normativo dell’UE è in corso di revisione e aggiornamento la strategia esistente (2017). La nuova strategia nazionale per l’economia circolare, che verrà adottata entro giugno 2022, integrerà nelle aree di intervento l’ecodesign, eco prodotti, blue economy, bioeconomia, materie prime critiche, e si focalizzerà su strumenti, indicatori e sistemi di monitoraggio per valutare i progressi nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Della strategia nazionale farà parte anche il nuovo sistema di tracciabilità che consentirà anche di supportare gli organi di controllo e le forze dell’ordine nella prevenzione e repressione. |
Riforma 1.2: Programma nazionale per la gestione dei rifiuti | A fronte delle evidenze emerse dalla Commissione Europea sull’assenza di una rete integrata di impianti di raccolta e trattamento rifiuti attribuibile all’insufficiente capacità di pianificazione delle regioni e, in generale, alla debolezza della governance, risulta necessario sviluppare un programma nazionale per la gestione dei rifiuti. Il programma, oltre ad evitare procedure di infrazione sui rifiuti, consentirà di colmare le lacune impiantistiche e gestionali. Inoltre, il programma permetterà di migliorare significativamente i dati medi nazionali e di raggiungere gli obiettivi previsti dalla nuova normativa europea e nazionale (percentuale di rifiuti raccolta in differenziata e percentuale di rifiuti in discarica, riutilizzo, recupero, ecc.). |
Ambito: migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare | |
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Riforma 1.3: Supporto tecnico alle autorità locali | Uno dei principali ostacoli alla costruzione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti è la durata delle procedure di autorizzazione e delle gare d’appalto. I ritardi sono spesso dovuti alla mancanza di competenze tecniche e amministrative del personale di regioni, province e comuni. Il Ministero per la Transizione Ecologica, Ministero per lo Sviluppo Economico e altri assicureranno il supporto tecnico agli Enti Locali (Regioni, Province, Comuni) attraverso società interne. Inoltre, il MITE svilupperà uno specifico piano d’azione al fine di supportare le stazioni appaltanti nell’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) fissati dalla Legge alle procedure di gara. |
Ambito: sviluppare una filiera agroalimentare sostenibile | |
Investimento 2.1: Sviluppo logistica per i settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo | L’Italia presenta un forte divario infrastrutturale. È diciottesima al mondo nella
classifica del World Economic Forum 2019 sulla competitività delle infrastrutture.
Il progetto proposto intende colmare questa lacuna nel Paese, intervenendo sulla logistica
dei settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo,
caratterizzati da forti specificità lungo tutta la filiera. In particolare, il piano logistico mira a migliorare la sostenibilità tramite: i) riduzione dell’impatto ambientale del sistema dei trasporti nel settore agroalimentare, intervenendo sul traffico delle zone più congestionate; ii) miglioramento della capacità di stoccaggio delle materie prime, al fine di preservare la differenziazione dei prodotti per qualità, sostenibilità, tracciabilità e caratteristiche produttive; iii) potenziamento della capacità di esportazione delle PMI agroalimentare italiane; iv) miglioramento dell’accessibilità ai villaggi merci e ai servizi hub, e della capacità logistica dei mercati all’ingrosso; v) digitalizzazione della logistica; vi) garanzia di tracciabilità dei prodotti; vii) riduzione degli sprechi alimentari. |
Investimento 2.2: Parco Agrisolare | L’Italia è tra i paesi con il più alto consumo diretto di energia nella produzione alimentare dell’Unione Europea (terza dopo Francia e Germania). I costi energetici totali rappresentano oltre il 20 per cento dei costi variabili per le aziende agricole, con percentuali più elevate per alcuni sottosettori produttivi. L’intervento proposto mira a raggiungere gli obiettivi di ammodernamento e utilizzo di tetti di edifici ad uso produttivo nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale per la produzione di energia rinnovabile, aumentando così la sostenibilità, la resilienza, la transizione verde e l’efficienza energetica del settore e contribuire al benessere degli animali. |
Ambito: migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare | |
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In particolare, il progetto si pone l’obiettivo di incentivare l’installazione di pannelli ad energia solare su di una superficie complessiva senza consumo di suolo pari a 4,3 milioni di mq, con una potenza installata di circa 0,43 GW, realizzando contestualmente una riqualificazione delle strutture produttive oggetto di intervento, con la rimozione dell’eternit/amianto sui tetti, ove presente, e/o il miglioramento della coibentazione e dell’areazione. | |
Investimento 2.3: Innovazione e meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare | La strategia “Dal produttore al consumatore” sostiene espressamente che “gli agricoltori
devono trasformare più rapidamente i loro metodi di produzione e utilizzare al meglio
nuove tecnologie, in particolare attraverso la digitalizzazione, per ottenere migliori
risultati ambientali, aumentare la resilienza climatica e ridurre e ottimizzare l’uso
dei fattori produttivi”. Il progetto mira a sostenere attraverso contributi in conto capitale l’ammodernamento dei macchinari agricoli che permettano l’introduzione di tecniche di agricoltura di precisione (es. riduzione di utilizzo pesticidi del 25-40 per cento a seconda dei casi applicativi) e l’utilizzo di tecnologie di agricoltura 4.0, nonché l’ammodernamento del parco automezzi al fine di ridurre le emissioni (-95 per cento passando da Euro 1, circa 80 per cento del parco attuale, a Euro 5). Inoltre, in ottica di economia circolare, l’investimento include l’ammodernamento della lavorazione, stoccaggio e confezionamento di prodotti alimentari, con l’obiettivo di migliorare la sostenibilità del processo produttivo, ridurre/eliminare la generazione di rifiuti, favorire il riutilizzo a fini energetici. Tali obiettivi sono particolarmente rilevanti nel processo di trasformazione dell’olio d’oliva, settore strategico per l’industria agroalimentare italiana, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare un calo significativo. |
Ambito: sviluppare progetti integrati | |
Investimento 3.1: Isole verdi | L’iniziativa proposta affronta le principali sfide della transizione ecologica in
modo integrato, concentrandosi su aree specifiche caratterizzate da un elevato potenziale
miglioramento in termini ambientali/energetici: le piccole Isole. La mancanza di connessione
con la terra ferma, e la necessità di una maggiore efficienza energetica, oltre allo
scarso approvvigionamento idrico e al complesso processo di gestione dei rifiuti,
sono solo alcune delle sfide che le isole si trovano ad affrontare e che suggeriscono
la necessità di un mix specifico di azioni per avvicinarsi a un modello di sviluppo
sostenibile. Gli investimenti saranno concentrati su 19 piccole isole, che faranno da “laboratorio” per lo sviluppo di modelli “100 per cento green” e auto-sufficienti. Gli interventi, specifici per ciascuna isola, interesseranno la rete elettrica e le relative infrastrutture per garantire la continuità e la sicurezza delle forniture e facilitare l’integrazione di fonti rinnovabili, ma procederanno secondo una logica integrata di gestione efficiente delle risorse. Esempi sono l’ottimizzare della raccolta differenziata dei rifiuti, impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, dispositivi di accumulo, smart grids, sistemi innovativi di gestione e monitoraggio dei consumi, integrazione del sistema elettrico con il sistema idrico dell’isola, sistemi di desalinizzazione, costruzione o adeguamento di piste ciclabili e servizi/infrastrutture di mobilità sostenibile. |
Ambito: migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare | |
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Investimento 3.2: Green communities | Il Progetto intende sostenere lo sviluppo sostenibile e resiliente dei territori rurali
e di montagna che intendano sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di
cui dispongono tra cui, in primo luogo, acqua, boschi e paesaggio, avviando un nuovo
rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane. Ciò verrà
realizzato favorendo la nascita e la crescita di comunità locali, anche tra loro coordinate
e/o associate (le Green communities), attraverso il supporto all’elaborazione, il
finanziamento e la realizzazione di piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista
energetico, ambientale, economico e sociale. In particolare, l’ambito di tali piani includerà in modo integrato (per 30 Green Communities complessivamente): a) la gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale; b) la gestione integrata e certificata delle risorse idriche; c) la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; d) lo sviluppo di un turismo sostenibile; e) la costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; f) l’efficienza energetica e l’integrazione intelligente degli impianti e delle reti; g) lo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); h) l’integrazione dei servizi di mobilità; i) lo sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile. |
Investimento 3.3: Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali | Cultura e consapevolezza dei temi e delle sfide ambientali, diffuse in modo ampio
nella cittadinanza, in particolar modo nelle nuove generazioni, rappresentano un presupposto
essenziale per affrontare con successo la transizione ecologica. Tale investimento si propone di contribuire al raggiungimento di tre obiettivi prioritari: i) aumentare il livello di consapevolezza sugli scenari di cambiamento climatico e sulle relative conseguenze; ii) educare in merito alle opzioni a disposizione per l’adozione di stili di vita e consumi più sostenibili a livello di individui, famiglie e comunità; iii) promuovere l’adozione di comportamenti virtuosi, anche a livello di comunità (e.g. coinvolgendo insegnanti, famiglie, stakeholder locali). Per fare questo si prevede di i) sviluppare contenuti omni-channel sulle tematiche di transizione ecologica (podcast, video per scuole, documentari, long forms); ii) prevedere una piattaforma aperta accessibile a tutti che contenga il materiale educativo più rilevante sulle tematiche ambientali; iii) coinvolgere influencer e leader di pensiero per massimizzare la diffusione dei messaggi più rilevanti su tutta la cittadinanza. |
Nel 2021 è stato istituito, attraverso il D.L. 1° marzo 2021, n. 22 (convertito dalla Legge 22 aprile 2021, n. 55) il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE) con il compito di assicurare il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione. Nello specifico, il CITE ha il compito di approvare il Piano per la transizione ecologica (PTE), al fine di coordinare le politiche su diversi temi, tra i quali l’economia circolare.
Il Ministero della Transizione ecologica (oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) ha adottato il Piano per la transizione ecologica PTE, che fornisce un quadro delle politiche ambientali ed energetiche integrato con gli obiettivi già delineati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ed è articolato su cinque macro-obiettivi:
1) neutralità climatica;
2) azzeramento dell’inquinamento;
3) adattamento ai cambiamenti climatici;
4) ripristino della biodiversità;
5) transizione verso economia circolare e bioeconomia.
Nota: sul Piano per la transizione ecologica (PTE), l’VIII Commissione Ambiente della Camera ha espresso, in data 15 dicembre 2021, parere favorevole con osservazioni. Con Delibera 8 marzo 2022 del Comitato interministeriale per la transizione ecologica è stato approvato il Piano per la transizione ecologica. La normativa stabilisce che sia predisposta una relazione annuale sullo stato di attuazione del PTE, con aggiornamento del cronoprogramma e degli indicatori. In data 6 luglio 2022 il CITE ha approvato la prima “Relazione sullo stato di attuazione del Piano per la Transizione Ecologica”.
Tenuto conto del tema che qui si sta approfondendo, l’economia circolare, si ritiene interessante riportare la descrizione dell’obiettivo “Promozione dell’economia circolare” contenuto nella proposta di Piano per la transizione ecologica presentato dal CITE ad agosto 2021:
“L’economia circolare è una sfida epocale che punta all’eco-progettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire la produzione di rifiuti e massimizzarne il recupero, il riutilizzo e il riciclo. A questo fine verrà pubblicata (entro il 2022) la nuova ‘Strategia nazionale per l’economia circolare’ con l’obiettivo di promuovere una economia circolare avanzata e di conseguenza una prevenzione spinta della produzione di scarti e rifiuti (-50%) entro il 2040. La Strategia punta anche al potenziamento della bioeconomia circolare. Parallelamente verrà portata a termine l’ottimizzazione della gestione dei rifiuti su tutto il territorio nazionale avviata dal PNRR per rispettare gli obiettivi europei al 2030-2040 per imballaggi, plastica, tessuti, carta, alluminio, rifiuti da demolizione, rifiuti elettrici ed elettronici e per ridurre lo spreco di acqua e alimenti”.
È stato approvato il 18 settembre 2023 il documento (di giugno 2022) contenente la Strategia nazionale per l’economia circolare, in cui troviamo le azioni, gli obiettivi e le misure di cui tener conto nella definizione delle politiche istituzionali per assicurare un’effettiva transizione verso un’economia di tipo circolare. In particolare, la Strategia si articola sulle seguenti voci:
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trasformazione dei modelli produttivi, con attenzione allo sviluppo di nuovi modelli di business ed alla simbiosi industriale, nonché alla responsabilità estesa del produttore;
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nuovi modelli di consumo, tenendo conto del ruolo dei consumatori e dei loro comportamenti e scelte;
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gestione dei rifiuti e creazione di nuove catene di approvvigionamento di materiali;
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uso circolare delle risorse naturali, pensando a biodiversità, uso del suolo, uso delle risorse idriche, blue economy;
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digitalizzazione come strumento di sviluppo dell’economia circolare, pensando alla tracciabilità dei rifiuti, ma non solo;
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investimenti e iniziative fiscali orientati verso progetti sostenibili;
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azioni specifiche riguardanti le plastiche, la neutralità climatica.
2.4 Economia circolare: le origini giuridiche
2.4Economia circolare: le origini giuridicheIl modello economico prevalente ha comportato un eccessivo consumo di risorse, rinnovabili e non, e contestualmente un espandersi sempre più incontrollato dei rifiuti. Tuttavia, ogni distruzione contiene una rinascita, un rinnovamento, così come ogni inverno lascia il posto alla primavera. L’economia circolare si propone di concretizzare questa rinascita. Infatti, il nuovo modello di sviluppo economico potrà apportare rilevanti effetti positivi a livello economico, sociale e ambientale. Il cambiamento imposto dal concetto di economia circolare è radicale in quanto non si ragiona più in termini di segmenti, come nell’economia lineare, ma per interconnessione.
Difatti la produzione di beni e servizi dovrà fin dalla creazione degli stessi pensare al loro fine vita e disegnare tali prodotti sulla base delle risorse localmente disponibili (la cosiddetta progettazione ecocompatibile). Inoltre, in questa ottica non si ragiona più in termini di meri valori economici, come nell’attuale sistema economico, bensì (anche) in termini di CO2. Per di più, si passa da una visione di breve periodo, nella quale si considera solo il singolo prodotto, ad una di lungo periodo, nella quale si considera l’intera filiera. Nella prospettiva della circular economy sussiste quindi l’aspirazione ad un modello economico diverso, teso anche all’indipendenza nell’approvvigionamento di risorse di energia del continente europeo, al rispetto dei limiti del Pianeta. Tuttavia, tutto questo richiede una ridefinizione degli istituti giuridici che presiedono al funzionamento dell’economia.
L’economia circolare all’interno del nostro ordinamento viene attuata inizialmente tenendo in considerazione solo la problematica dei rifiuti. Per la precisione le prime normative sulla gestione dei rifiuti si interessano ancora dell’aspetto prettamente economico di tale disciplina, trascurando quindi una tutela ambientale tout court.
Difatti la prima fonte normativa organica concernente la gestione di rifiuti è la Legge 20 marzo 1941, n. 366 (avente ad oggetto la “raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) il cui ambito di applicazione è circoscritto ai soli rifiuti di origine urbana, interessandosi solo ed esclusivamente al profilo economico. In tale contesto l’obiettivo di gestione dei rifiuti è perseguito assoggettando la gran parte delle attività a regime amministrativo e, perciò, attribuendo a vari soggetti pubblici il potere-dovere di pianificarne l’allocazione e di verificarne la sostenibilità ambientale e sanitaria. Questo primo modello di governance ambientale, seppure irrinunciabile per le esigenze dell’epoca, nel tempo si è dimostrato insufficiente a risolvere i problemi ambientali. In primo luogo, ciò è avvenuto perché non perseguendo la tutela dell’ambiente tout court, bensì la sostenibilità ambientale del sistema produttivo, l’ordinamento non ha impedito che nelle matrici ambientali continuassero a essere riversate e accumulate, seppure legittimamente, nuove sostanze inquinanti. In secondo luogo, perché non è stato in grado di risolvere le situazioni di inquinamento e di degrado ambientale già prodottesi nel passato e che, perciò, hanno continuato ad aggravarsi e storicizzarsi (c.d. inquinamento storico).
APPROFONDIMENTI
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Ministero dell’Ambiente - Ministero dello Sviluppo Economico, Verso un modello di economia circolare per l’Italia, Documento di inquadramento e di posizionamento strategico, Plan. e srl, Roma, 2017, pag. 23;
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C. Miccichè: “L’ambiente come bene a utilità collettiva e la gestione delle lesioni ambientali”, in Il diritto dell’economia, 31, 95, 2018, pag. 12; C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
La situazione comincia a mutare con i primi recepimenti comunitari. In particolare, il Legislatore nazionale prende atto delle Direttive n. 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, n. 76/403/CEE sullo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorontrinfenili e n. 78/319/CEE sui rifiuti tossici, con il D.P.R. n. 915/1982. Va innanzitutto considerato che l’art. 1 di tale Decreto dispone che lo smaltimento dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse, nelle sue sub attività di conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito e discarica. Si comincia a delineare quindi una nuova normativa, attenta alle tematiche ambientali, seppur solo a quelle concernenti i rifiuti. Anche questo Decreto non è risolutorio della grave situazione ambientale presente in Italia ed è per questo che nei primi anni Novanta, sussiste la tendenza ad un intervento legislativo di tipo emergenziale, favorito dal manifestarsi sempre più diffuso di situazioni di degrado ambientale e di compromissione delle risorse naturali, tali da richiedere interventi di carattere straordinario. Si ha pertanto il ricorso sempre più frequente alla decretazione d’urgenza soprattutto ai fini dell’introduzione di normative derogatorie, speciali o transitorie, in quanto destinate a produrre effetti in attesa dell’adozione di discipline di carattere più organico. La difficoltà di convertire i provvedimenti legislativi d’urgenza entro i termini costituzionali comporta inoltre la sistematica reiterazione, spesso con rilevanti modifiche dei medesimi, compromettendo ancor più la certezza e la coerenza del complessivo quadro normativo.
Nota: a titolo esemplificativo, si cita il D.L. n. 443/1993, concernente la “disciplina del riutilizzo e del recupero dei residui dei cicli di produzione e di consumo”, che ha delineato una normativa-ponte, diretta ad introdurre parziali innovazioni nella disciplina di settore, in attesa del recepimento delle Direttive comunitarie in materia di gestione dei rifiuti. Il Decreto, non convertito nei termini costituzionali, è stato oggetto di diciassette reiterazioni nel corso della XI, della XII e della XIII Legislatura. Per tale motivo il provvedimento in questione, in una delle sue ultime versioni, è stato all’origine della sentenza della Corte cost. n. 360/1996, che ha dichiarato l’illegittimità della prassi della reiterazione di Decreti legge non convertiti nei termini costituzionali. La pronuncia della Corte ha quindi impedito un’ulteriore reitera del provvedimento, rendendo necessaria la rapida approvazione della Legge n. 575/1996, che ha disposto la sanatoria degli effetti prodotti dalla lunga sequenza dei Decreti legge emanati in materia e mai convertiti dal Parlamento.
Un caso analogo è quello del Decreto legge in materia di scarichi fognari, la cui prima versione risale al novembre 1993 (D.L. n. 454/1993), recante una disciplina transitoria, destinata a regolare la materia fino all’attuazione nell’ordinamento nazionale della Direttiva Comunitaria 91/271/CEE. Il provvedimento d’urgenza è stato oggetto di otto reiterazioni, due nella XI Legislatura (DD.LL. nn. 31/1994 e 177/1994) e sei nella Legislatura successiva (DD.LL. nn. 292/1994, 449/1994, 537/1994, 629/1994, 9/1995 e 79/1995), prima di essere convertito, con sostanziali modifiche, dalla Legge 17 maggio 1995, n. 172.
Un primo modesto passo verso la transizione ad un’economia circolare, seppur ancora limitata solo alla gestione dei rifiuti, si ha all’interno del nostro ordinamento con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 conosciuto anche come Decreto Ronchi, dal nome dell’allora Ministro dell’Ambiente Edoardo Ronchi), emanato in attuazione di deleghe legislative conferite dalle Leggi comunitarie. La portata innovativa di questo Decreto legislativo si rinviene anche dal fatto che viene definito Testo Unico sui Rifiuti: il provvedimento, infatti, mira ad unificare in un’unica fonte la disciplina di rango legislativo relativa all’intero ciclo di gestione dei rifiuti (dalla raccolta, allo smaltimento, alle forme di recupero e di riuso) sostituendo il complesso delle disposizioni previgenti e disciplinando i procedimenti per la produzione della normativa secondaria, nel tentativo di restituire coerenza e certezza alla normativa di settore.
La tutela ambientale, con il Decreto Ronchi, diviene obiettivo primario, rendendosi autonoma rispetto alle esigenze sanitarie o di tutela del decoro urbano. Tale Decreto recepisce i dettami imposti a livello comunitario e l’obiettivo della politica ambientale europea, quantomeno dal 1992, è individuabile nell’adeguamento dei modelli di consumo e produzione alla capacità dell’ambiente di sostenerne il peso, specialmente in una visione di lungo periodo. Di conseguenza il D.Lgs. n. 22/1997 inserisce norme in grado di garantire un approccio sistematico alle problematiche connesse al ciclo dei rifiuti e di indirizzare il sistema di gestione verso schemi di prevenzione e recupero. In particolare, vengono presi in considerazione principi e strumenti per ridurre la quantità, il volume e la pericolosità dei rifiuti attraverso un metodo che tenga in considerazione tutto il ciclo di vita dei prodotti: progettazione, fabbricazione, distribuzione, commercializzazione, consumo e post-consumo.
Alla luce di quanto detto, si può dedurre che già nel Decreto Ronchi si rinvengono i primi aspetti dell’economia circolare, invero il sistema integrato di gestione dei rifiuti delineato da tale Decreto mira, in primis, ad una separazione alla fonte dei materiali, per introdurli in purezza attraverso circuiti di recupero e di valorizzazione.
Nota: a questo proposito va specificato che con la selezione alla fonte, infatti, è possibile incrementare il tasso di recupero grazie alla garanzia di un maggior grado di purezza delle frazioni raccolte, che ne fa aumentare la trattabilità e la possibilità di collocazione sul mercato. Il sistema integrato in questione delineato dal Decreto Ronchi prevede una riduzione del ricorso alla discarica ed allo smaltimento di rifiuti indifferenziati, nonché mira a gestire queste operazioni in sicurezza, limitando il rischio ambientale. Infatti gli artt. 4 e 5 del Decreto sanciscono che “ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso: il reimpiego ed il riciclaggio; le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti; l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; l’utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”. E soprattutto “il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerate preferibili rispetto ad altre forme di recupero”.
A seguito del Decreto Ronchi si susseguono numerosi Decreti volti a completare il quadro di riferimento, con l’obiettivo di regolare la gestione di flussi specifici di rifiuti, particolari tipologie impiantistiche e tutta la materia della bonifica dei siti inquinanti. Infatti, al c.d. Decreto Ronchi del 1997 vengono apportate una serie di modiche con il D.Lgs. n. 389/1997 (c.d. Ronchi-bis), in conseguenza di numerose critiche dovute ad alcune discrasie che il testo originario presentava. Inoltre, il Decreto Ronchi subisce ulteriori modifiche ed integrazioni con la Legge n. 426/1998 (Nuovi interventi in campo ambientale: c.d. Ronchi-ter) e con la Legge n. 93/2000 (Disposizioni in campo ambientale: c.d. Ronchi-quater).
È opportuno ora porre l’attenzione su uno dei punti cardine della riforma in materia di gestione dei rifiuti, introdotto dapprima dalle Direttive comunitarie e poi all’interno del nostro ordinamento dal Decreto Ronchi e successive modifiche: la prevenzione della produzione dei rifiuti. Si prevede infatti, che le Autorità competenti promuovano le c.d. tecnologie pulite, le quali consentono il risparmio di risorse e lo sviluppo di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose dai rifiuti. In questa ottica il concetto di prevenzione significa anche modifica della qualità del rifiuto, al fine di ottenere materiali meno pericolosi e più facili da riciclare o recuperare. Il Decreto Ronchi stabilisce pertanto una scala gerarchica, come quella europea, con precise priorità nelle forme di gestione dei rifiuti; infatti, mette al primo posto il recupero ed il riutilizzo, al secondo il recupero energetico e in posizione residuale lo smaltimento in discarica. La riforma attribuisce quindi una particolare attenzione, nella gestione dei rifiuti urbani, alla raccolta differenziata, che rappresenta l’operazione preliminare necessaria per realizzare un recupero dei materiali. Oltre a ciò, merita di essere menzionata la definizione di rifiuto presente all’art. 6 del Decreto Ronchi. Tale articolo, allineandosi con la normativa europea, definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi”. In tale definizione assume rilievo primario la condotta del detentore, incentrata sulla nozione di disfarsi di una determinata sostanza od oggetto.
Questa forte ambizione alla coerenza normativa e all’integrazione tra politiche e strumenti d’intervento ha trovato riscontro e seguito anche nella XIV Legislatura, caratterizzata dall’importante disegno di codificazione della legislazione ambientale e, in particolare della legislazione sui rifiuti, dichiarato dalla Legge n. 308/2004. Tuttavia, questi complessivi obiettivi di sistema, efficacemente propugnati a livello d’indirizzo politico-legislativo nell’arco di due legislature, non sono stati perseguiti con la dovuta convinzione in fase attuativa. Varie e contingenti politiche settoriali hanno preso il sopravvento, manifestando a più riprese l’incapacità di conciliare esigenze produttive ed ambientali. Molte e complesse scelte di valore sono state rinviate o deferite a livelli decisionali inferiori, caricando di adempimenti impropri le Autorità amministrative. Il quadro istituzionale si è dimostrato quindi instabile e inefficiente. Infatti, in più campi ha prevalso una logica di sostanziale sfiducia nei confronti delle amministrazioni e degli operatori economici interessati, cui hanno fatto seguito un irrigidimento delle regole sul piano sia sostanziale, sia procedurale.
APPROFONDIMENTI
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R.A. Laraia, “Le priorità nella politica di gestione dei rifiuti: gli indirizzi comunitari ed il contesto nazionale”, in Rapporto 2012-2013, Ciclo dei rifiuti: governare insieme ambiente, economia e territorio, Bologna, Il Mulino, 2013, pagg. 118 ss.;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
A livello primario, la disciplina ambientale si è caratterizzata per due contrapposte spinte: da un lato, la semplificazione e la razionalizzazione del quadro normativo, tramite interventi di codificazione; dall’altro lato, il concomitante allontanamento dalle regole ordinarie, tramite il continuo ricorso a deroghe giustificate da emergenze territoriali o da esigenze finanziarie contingenti.
In questo contesto, il 29 aprile 2006, entra in vigore il D.Lgs. n. 152/2006. Tale Decreto è conosciuto anche come Codice dell’Ambiente o Testo Unico dell’Ambiente (TUA). Tuttavia, non è un vero e proprio Testo Unico, in quanto non solo non si occupa di importanti discipline ambientali (per esempio: inquinamento acustico, elettrosmog, aree protette), ma nemmeno nella sua forma può definirsi tale, come dimostra il suo titolo (epigrafe): “norme in materia ambientale”. La codificazione ambientale risulta quindi priva di una visione d’insieme e ciò si rinviene anche in materia di disciplina dei rifiuti, sottosettore, si ricorda, dell’economia circolare. Infatti, restano fuori materie centrali, quali le procedure di localizzazione e gli standard ambientali in materia di discariche e inceneritori (rispettivamente contenute nei D.Lgs. nn. 36/2003 e 133/2005).
Ai nostri fini meritano di essere approfonditi gli aspetti più rilevanti del Testo Unico che si inseriscono in un’ottica di economia circolare. Si cita innanzitutto l’art. 179 TUA, nel quale vengono definiti i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, diretti a favorire la prevenzione, nonché la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti. Il concetto di prevenzione viene inteso dal Legislatore italiano nella piena ottica di un’economia circolare, in quanto esso comporta la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti da gestire. In questa ottica, misure di prevenzione possono essere applicate a tutte le fasi del ciclo di vita di un bene, a partire dalla fase di progettazione e produzione, di promozione, di distribuzione, vendita e impiego fino alla sua dismissione a fine vita. Analizzando ogni fase nel ciclo di vita d’un prodotto è possibile individuare interventi per ridurre la produzione di rifiuti ad essa associati e definire i livelli ai quali è necessario operare, nonché i soggetti interessati. Già nella fase di progettazione si possono fare considerazioni su tipo, quantità e qualità di materiali da usare nell’ottica di un minore impatto ambientale del prodotto a fine vita. Un ulteriore aspetto importante è l’uso di processi di produzione efficienti in termini di richiesta d’energia e materiali e a basso impatto ambientale. Oltre a ciò, anche riutilizzare il prodotto più volte, ovvero allungarne la vita utile evitandone la dismissione anzitempo, è una misura di prevenzione. La normativa introduce ex novo anche una definizione di riutilizzo, intendendo per tale, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. r), qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti.
Nella definizione di prevenzione si ricomprendono, pertanto, tutte le azioni che contribuiscono ad allungare la durata di vita dei beni e a ridurre le quantità di rifiuti che determinano, e pertanto anche la nozione di riutilizzo, operazione alla quale viene dato uno spazio importante, vista la rilevanza della stessa nell’ambito della prevenzione. Le azioni che riducono la quantità di rifiuto destinata a smaltimento attraverso un più spinto e mirato recupero di materia non sono quindi da annoverarsi tra le azioni di prevenzione, bensì da considerare come azioni rivolte a massimizzare il recupero e conseguentemente minimizzare le quantità di rifiuti da gestire e i relativi impatti. Ciò avviene mediante aspetti innovativi quali: lo sviluppo di tecnologie innovative che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali; la messa a punto di tecniche e prodotti concepiti in modo da non contribuire o contribuire il meno possibile ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti tramite la loro fabbricazione, il loro uso e il loro smaltimento; nonché la ricerca di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti per favorirne il recupero.
Un ulteriore aspetto che merita di essere approfondito è quello riguardante la nozione di rifiuto. In questa sede si analizzerà l’importanza di tale definizione. A livello sistematico la nozione di rifiuto è contenuta nell’art. 183, come modificata dal D.Lgs. n. 205/2010, il quale recependo la nuova normativa europea sancisce che è rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto, di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Questa definizione è stata oggetto di ripetuti interventi interpretativi, sia in sede europea sia in sede nazionale, volti a chiarire la portata della nozione di rifiuto. Difatti un’interpretazione restrittiva di tale definizione comporta un’opportunità per l’economia di riutilizzare o recuperare determinate sostanze od oggetti. Il punto nodale della questione risiede innanzitutto nell’interpretazione della locuzione “si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”. A questo proposito il Ministero dell’Ambiente, con la Circolare del 28 giugno 1999, n. 3402/V/MIN, ha precisato che un soggetto si disfa di qualcosa quando è in atto (o è stata effettuata) un’attività di smaltimento o di recupero. In altri casi, ricorre l’obbligo di disfarsi quando sia imposta direttamente dalla Legge la destinazione di un materiale o di una sostanza o di un oggetto allo smaltimento o al recupero (come nel caso di olii usati o di batterie esauste) o sia previsto da un provvedimento dell’Autorità o sia conseguenza della stessa natura del materiale, dal momento che non è più idoneo alla funzione originaria e può, eventualmente, essere impiegato in un altro ciclo produttivo. Inoltre, per comprendere se il soggetto “abbia intenzione di disfarsi” è necessario, sempre secondo la Circolare sopra citata, valutare caso per caso tutti i comportamenti del detentore incompatibili con la destinazione di un bene o con la sua funzione originaria ovvero sarà necessario accertare che il bene non è stato oggetto di alcuna attività di recupero.
Nota: la Corte di cassazione si è pronunciata in merito alla corretta individuazione dei confini della nozione di rifiuto. Con la sentenza 16 novembre 2016, n. 48316 la Corte di cassazione ha stabilito, infatti, che è necessaria una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, così che possano essere limitati gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura. Da tale sentenza si evince la prudenza che non solo il Legislatore, ma anche la giurisprudenza detiene nei confronti di nuovi prodotti che possono derivare dai rifiuti. La Suprema Corte ha, invero, sancito che il termine “disfarsi”, contenuto nell’art. 183, comma 1, lett. a), TUA, debba essere considerato alla luce delle finalità della normativa europea, in particolare si fa riferimento alla tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché all’assicurazione di un elevato livello di tutela e all’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva. Alla luce di tali motivazioni, il collegio giudicante ha concluso che deve ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti. Infatti, è considerato rifiuto ciò che “è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale”. Nello stesso senso, si noti, Cass. pen., Sez. 3, n. 19206 del 16 marzo 2017, CED Cass. 269912, secondo cui la qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l’agente si disfa deve conseguire a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza di utilità, per il medesimo, dei predetti materiali.
Si ha pertanto nella giurisprudenza di legittimità una certa prudenza nell’escludere dal novero dei rifiuti, a particolari condizioni, varie sostanze ed oggetti aventi valore economico e direttamente riutilizzabili (i c.d. sottoprodotti) e, dall’altra, a far uscire dal novero dei rifiuti sostanze che in precedenza erano state qualificate come tali (c.d. cessazione della qualifica del rifiuto o end of waste), limitando così la transizione verso un’economia circolare. Emblematica di tale approccio, nella giurisprudenza penale, è quell’interpretazione secondo la quale la natura di “rifiuto”, acquisita da un bene in base ad elementi positivi (ovvero il fatto che si tratti di residuo di produzione di cui il detentore vuole disfarsi) e negativi (ovvero che non abbia i requisiti del sottoprodotto), non viene meno in ragione di un accordo di cessione dello stesso a terzi, senza che possa rilevare il valore economico ivi riconosciuto al medesimo, occorrendo fare riferimento alla condotta e alla volontà del cedente di disfarsi del bene e non all’utilità che potrebbe trarne il cessionario (Cass. pen., Sez. 3, n. 46586 del 3 ottobre 2019, CED Cass. 277280).
Nota: Diverso, invece, sembrerebbe l’approccio della Corte costituzionale, della giurisprudenza euro unitaria e della giurisprudenza amministrativa. Il Giudice delle Leggi, ad esempio, ha ritenuto costituzionalmente legittima una norma regionale che, con ambito applicativo limitato al “demanio marittimo regionale con finalità turistico-ricreative e nei lidi e spiagge destinati alla balneazione”, consente la raccolta del materiale legnoso spiaggiato per un determinato e limitato periodo di tempo, per uso esclusivamente personale o domestico e senza fine di lucro; ciò in quanto si consente una forma di gestione di tali materiali sul presupposto, stabilito dal codice dell’ambiente, che a questi non si applichino le disposizioni relative alla raccolta dei rifiuti urbani, intervenendo nella prospettiva dell’economia circolare, in modo da favorire il riutilizzo del legname spiaggiato e di limitare la quantità finale di rifiuti da smaltire. Va perciò considerata non solo conforme alla disciplina statale, ma anche tale da realizzare una forma di maggiore tutela dell’ambiente, come tale consentita al legislatore regionale. Difatti, le Regioni possono esercitare competenze legislative proprie (ad esempio in materia di turismo) per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, purché l’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale (in particolare in materia di “tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema”) sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente (Corte cost., 1° aprile 2022, n. 85). A livello sovranazionale, invece, di assoluto rilievo è quella decisione con cui la Corte di Giustizia UE ha osservato come, dal carattere facoltativo dell’azione dello Stato membro, risultante dall’uso del verbo «potere» alla prima frase dell’art. 6, par. 4, della Direttiva 2008/98, discende che quest’ultimo può anche considerare che taluni rifiuti non possono cessare di essere rifiuti e rinunciare ad adottare una normativa relativa alla cessazione della loro qualifica di rifiuti. Tuttavia, ad esso spetta vigilare affinché una siffatta astensione non costituisca un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi della Direttiva 2008/98, come l’incentivazione ad applicare la gerarchia dei rifiuti prevista dall’art. 4 di tale Direttiva o, come risulta dai considerando 8 e 29 della medesima, al recupero dei rifiuti e all’utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali e consentire l’attuazione di un’economia circolare. In tale contesto, spetta alla Commissione e, in mancanza, agli Stati membri, tener conto di tutti gli elementi pertinenti e dello stato più recente delle conoscenze scientifiche e tecniche al fine di adottare i criteri specifici che consentono alle autorità e ai giudici nazionali di accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un rifiuto che ha subito un’operazione di recupero che consente di renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente (Corte giustizia Unione Europea, Sez. II, 28 marzo 2019, n. 60/18). Ancor più di recente, il Giudice eurounitario ha ribadito che il termine «disfarsi» e dunque la nozione di «rifiuto», ai sensi dell’art. 3, punto 1, della direttiva 2008/98, non possono essere interpretati in modo restrittivo (Corte giustizia Unione Europea, Sez. I, 17 novembre 2022, n. 238/21). Nella giurisprudenza amministrativa, infine, a titolo esemplificativo, si segnala TAR Lazio Roma Sez. II-bis, 7 gennaio 2021, n. 219, che, in materia di rifiuti, ha affermato che in base al D.M. n. 22 del 2013, l’avvio dei rifiuti alla produzione del CSS - Combustibile deve avvenire nel rispetto dell’art. 179, D.Lgs. n. 152 del 2006, richiamando in ogni caso, il principio ivi contenuto della scelta della “migliore opzione ambientale” e la necessità di adottare tutte “le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica”. Tale decreto, del resto, costituisce applicazione dell’art. 184-ter Codice Ambiente, ed è rivolto alla regolazione delle condizioni e dei presupposti in forza dei quali le fasi di produzione ed utilizzo di CSS-Combustibili si svolgano senza pericolo per la salute dell’uomo e la tutela dell’ambiente, così collocandosi tale normativa nel quadro più generale delle politiche europee per la creazione e promozione della cd. “economia circolare”. A fronte di tali finalità non è sufficiente una generica, quanto assertiva, affermazione di violazione della “gerarchia dei rifiuti”, in quanto l’utilizzo dei CSS-Combustibili è esso stesso parte del “recupero” dei rifiuti. Deve, dunque, concludersi che il decreto in questione non è affetto dai profili di censura, come dedotti nella fattispecie, rispetto alla normativa comunitaria di riferimento, ossia dall’art. 6, comma 4 della Direttiva 2008/98/CE. Rilevante, poi, nell’ottica della c.d. economia circolare, una decisione del Consiglio di Stato emessa in tema di gare pubbliche, la quale ha affermato come la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi (c.d. C.A.M.) nell’esigenza di garantire che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”. La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare” (Cons. St., Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773).
APPROFONDIMENTI
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G. Spina, Corte costituzionale – Raccolta materiale legnoso spiaggiato, in Ambiente & Sviluppo, 2022, 8-9, 567.
2.4.1 La normativa sulla c.d. green economy ed il nuovo modello di economia circolare
2.4.1La normativa sulla c.d. green economy ed il nuovo modello di economia circolareNel nostro Paese la transizione verso l’economia circolare è stata favorita da alcune azioni promosse dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare a seguito dell’emanazione del Pacchetto Europeo dell’Economia Circolare del 2015. In particolare, è stata introdotta la Legge 28 dicembre 2015, n. 221 recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” (il cosiddetto Collegato Ambientale). È opportuno innanzitutto notare che per la prima volta in una Legge dello Stato, il titolo riporta le parole green economy. Questa è una significativa novità, in quanto un’economia che mette l’ambiente al centro dell’attenzione rappresenta una chiara indicazione per il futuro dell’Italia, un futuro che deve essere sostenibile e segnare un radicale cambiamento. Tuttavia, la variazione all’interno del nostro ordinamento da un’economia di tipo lineare ad una di tipo circolare necessita di ulteriori norme nel settore ecologico. Le disposizioni, previste nella Legge n. 221/2015, hanno il merito di aver semplificato l’operato delle imprese che scelgono di operare nel settore ambientale, nonché hanno permesso alla stessa Pubblica Amministrazione di ridurre l’impatto ambientale del proprio operato, di organizzare servizi ambientali efficienti per i cittadini e di avviare un processo di de-carbonizzazione dal basso. Oltre a ciò, le norme previste in tale Legge premiano anche i comportamenti virtuosi dei cittadini, oltre che delle imprese e delle amministrazioni, in grado di dare un contributo fattivo allo sviluppo della green economy. Il Collegato Ambientale nasce, quindi, come vero e proprio manuale di norme sulla green economy. Il campo d’applicazione del Collegato Ambientale è esteso, in quanto disciplina numerosi settori del diritto ambientale. In questa sede ci limiteremo a richiamare le norme più rilevanti in tema di economia circolare. Tra le disposizioni che regolano un’economia di tipo circolare, in particolare per quanto riguarda l’incentivazione del riutilizzo e della preparazione per il riutilizzo dei rifiuti, si inseriva l’art. 66 del Collegato Ambientale. Tale articolo aveva previsto l’introduzione nel testo dell’art. 180-bis, TUA (abrogato dal D.Lgs. n. 116/2020) di un comma 1-bis, che attribuiva ai Comuni la facoltà di individuare, all’interno dei centri di raccolta dei rifiuti, appositi spazi dove fosse consentito esporre temporaneamente i beni usati conferiti dai cittadini, purché funzionanti e direttamente idonei a essere riutilizzati, per favorire lo scambio diretto tra privati. Tale disposizione è stata ripresa pressoché integralmente nell’attuale art. 181, comma 6, D.Lgs. n. 152/2006, che infatti così prevede: “Gli Enti di governo d’ambito territoriale ottimale ovvero i Comuni possono individuare appositi spazi, presso i centri di raccolta di cui all’articolo 183, comma 1, lettera mm), per l’esposizione temporanea, finalizzata allo scambio tra privati, di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo. Nei centri di raccolta possono altresì essere individuate apposite aree adibite al deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti destinati alla preparazione per il riutilizzo e alla raccolta di beni riutilizzabili. Nei centri di raccolta possono anche essere individuati spazi dedicati alla prevenzione della produzione di rifiuti, con l’obiettivo di consentire la raccolta di beni da destinare al riutilizzo, nel quadro di operazioni di intercettazione e schemi di filiera degli operatori professionali dell’usato autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana”.
Nota: autorevole dottrina (Calabrese) ha definito questo scambio tra privati come una sorta di baratto. Infatti, la previsione del cosiddetto baratto dei beni usati, ancora funzionanti e che non necessitano di un preliminare trattamento per il riutilizzo, può portare effettivi risparmi di spesa nella gestione del servizio comunale di raccolta, di trattamento e di smaltimento dei rifiuti urbani, specie di quelli che risultano ingombranti o pericolosi, generando così una riduzione reale della quantità di rifiuti prodotti e smaltiti, oltre a disincentivare le pratiche dell’abbandono incontrollato.
APPROFONDIMENTI
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
Inoltre va considerato che la norma in esame, con l’obiettivo della prevenzione della produzione di rifiuti, consente l’individuazione all’interno dei centri di raccolta comunali di appositi spazi dedicati alla raccolta di beni da destinare al riutilizzo, così da rendere più efficienti e immediate le operazioni di intercettazione dei materiali recuperabili all’interno della filiera degli operatori che professionalmente si occupano del recupero dell’usato, a ciò debitamente autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana.
Ulteriori disposizioni si inseriscono appieno nell’ottica di un’economia circolare attuando strumenti di comand and control, segnatamente si fa rifermento a quelle che cercano di evitare che i rifiuti finiscano in discarica (salvo in casi in cui ciò risulti inevitabile). In questa direzione si muoveva l’art. 47 del Collegato Ambientale, il quale ha modificato il testo dell’art. 5, D.Lgs. n. 36/2003, dedicato agli obiettivi di riduzione del conferimento di rifiuti, nonché alle modalità di adozione dei programmi regionali per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da conferire in discarica. La novella legislativa, in particolare, impone l’elaborazione e approvazione dei suddetti programmi regionali, da comunicare al Ministero dell’Ambiente per la successiva trasmissione alla Commissione Europea, a integrazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti, lasciando inalterato il calendario per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione. Nel dettaglio, a livello di Ambito Territoriale Ottimale o di ambito provinciale, le Regioni dovranno raggiungere, entro cinque anni dall’entrata in vigore, l’obiettivo di contenere i rifiuti urbani biodegradabili entro il limite di 173 kg/anno pro capite, di 115 kg/anno entro otto anni e di 81 kg/anno entro quindici anni. L’attuazione del programma, inoltre, dovrà avvenire in via prioritaria attraverso la prevenzione dei rifiuti, e in subordine con il trattamento, in linea con la gerarchia dei rifiuti prevista dalla Dir. 2008/98/CE. Il D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 121 ha poi disposto l’introduzione dei commi 4-bis e 4-ter all’art. 5, in particolare vietando a partire dal 2030 lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, ad eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale conformemente all’art. 179, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Le Regioni conformano la propria pianificazione, predisposta ai sensi dell’art. 199, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, al fine di garantire il raggiungimento di tale obiettivo. Infine, il comma 4-ter fissa il 2035 come anno entro il quale la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica deve essere ridotta al 10 %, o a una percentuale inferiore, del totale in peso dei rifiuti urbani prodotti, obbligando le Regioni a conformare la propria pianificazione, predisposta ai sensi dell’art. 199, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, al fine di garantire il raggiungimento di tale obiettivo.
Nella stessa ottica si inserisce l’articolo successivo, ossia l’art. 48 del Collegato Ambientale, oggetto di integrale modifica per effetto del D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 121 che ha disposto la modifica dell’art. 7. L’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 36/2003, modificato dalla norma in esame, prevede, infatti, l’obbligatorietà del trattamento preventivo dei rifiuti da collocare in discarica, a eccezione di quelli per i quali tale operazione non sia tecnicamente fattibile, nonché per i rifiuti per i quali il trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità, stabilite dall’art. 1 del Decreto legislativo, ossia di riduzione dei rifiuti, di salvaguardia della salute umana e dell’ambiente.
Accanto alle disposizioni dirette a ridurre l’avvio dei rifiuti in discarica e aumentare il riciclaggio, disincentivando lo smaltimento e prevedendo riduzioni della tassa sui rifiuti in base al principio “chi inquina paga”, sono previste misure di sostegno per il recupero e riciclo dei materiali, quali ad esempio la promozione degli acquisti di prodotti derivati da materiali riciclati post consumo o da disassemblaggio di prodotti complessi. Numerose norme sono infatti dirette a incentivare i comportamenti dei cittadini verso una maggiore sostenibilità ambientale, in particolare attraverso politiche che favoriscono le pratiche di recupero, riutilizzo e riuso dei rifiuti.
Per quanto riguarda ulteriori disposizioni di comand and control, il Collegato Ambientale oltre alle disposizioni sulla quantificazione del tributo speciale per il conferimento in discarica (la c.d. ecotassa), consente ai Comuni, ai sensi dell’art. 36, di introdurre speciali riduzioni tariffarie, come pure la totale esenzione dal pagamento della tassa sui rifiuti, legate alle attività di prevenzione nella produzione dei rifiuti e da commisurare direttamente alla quantità di rifiuti non prodotti. Con l’introduzione della lett. e-bis, comma 659, Legge n. 147/2013, la c.d. Legge di Stabilità 2014 che aveva istituito la nuova Tassa sui rifiuti (TARI), si introducono, nel sistema italiano di gestione dei rifiuti, meccanismi premiali e incentivanti della raccolta differenziata e prevenzione dei rifiuti da smaltire, con la formula del “paghi quanto butti” per la tariffa del servizio di raccolta urbana.
In questo senso, l’art. 42, Legge n. 221/2015 è finalizzato a dare una più completa attuazione al principio “chi inquina paga” sancito dall’art. 14 della Dir. 2008/98/CE, anche in materia di tariffa del servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati regolata dalla Legge n. 147/2013. Sul fronte della promozione della raccolta differenziata e della riduzione dei rifiuti non riciclati da avviare allo smaltimento, il successivo art. 45, Legge n. 221/2015 disciplina le misure di incentivazione economica che le Regioni possono adottare per premiare le iniziative dei singoli Comuni. In particolare, sono previste modalità automatiche e progressive di premialità, attraverso una modulazione della tariffa del servizio di igiene urbana, per le amministrazioni comunali che attuino le misure di prevenzione della produzione dei rifiuti, secondo i princìpi e le misure previsti dal Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti o dai rispettivi Programmi regionali, oppure che riducano i rifiuti e gli scarti delle operazioni di selezione della differenziata da avviare allo smaltimento definitivo.
Nota: significativo è anche il comma 3, art. 45, Legge n. 221/2015, il quale affida alle Regioni, in collaborazione con gli Enti Locali, le associazioni ambientali o di volontariato, nonché le scuole e i comitati di educazione ambientale, il compito di promuovere iniziative e le campagne di sensibilizzazione ai cittadini e agli utenti sulle tematiche della riduzione dei rifiuti, sul riutilizzo e il recupero dei rifiuti urbani. Nella medesima direzione, le Regioni potranno altresì finanziare appositi studi e ricerche, mediante la stipula di convenzioni con Università e Istituti scientifici, anche di supporto alle attività degli Enti Locali.
Ulteriori disposizioni di comand and control sono quelle concernenti le sanzioni (art. 255, comma 1-bis, D.Lgs. n. 152/2006) per l’abbandono di mozziconi di sigaretta (art. 232-bis, D.Lgs. 152/2006) e piccoli rifiuti (art. 232-ter, D.Lgs. n. 152/2006), le quali si inseriscono appieno in un’ottica di economia circolare considerando ogni minimo rifiuto, anche quello più piccolo ed insignificante. Si innesta su tale scia anche la previsione di destinare il 50% delle somme derivanti dalle sanzioni pecuniarie ai Comuni per avviare apposite campagne di informazione, volte a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze nocive per l’ambiente derivanti dall’abbandono dei mozziconi dei prodotti da fumo e dei rifiuti di piccolissime nonché alla pulizia del sistema fognario urbano (art. 263, comma 2-bis, D.Lgs. n. 152/2006).
Il Collegato Ambientale (art. 67, Legge n. 221/2015) istituisce anche il Comitato per il capitale naturale presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con lo scopo di assicurare il raggiungimento degli obiettivi sociali, economici e ambientali coerenti con l’annuale programmazione finanziaria e di bilancio dello Stato.
Va ulteriormente considerato che una delle parti più corpose del Collegato Ambientale contiene disposizioni concernenti gli acquisti delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento agli aspetti ambientali. In questa sede si offrirà un’analisi delle disposizioni più rilevanti in tema di economia circolare. A questo proposito va segnalato che l’art. 17, Legge n. 221/2015 prevede che il possesso di determinate certificazioni di tipo ambientale (EMAS254 e Ecolabel, certificazioni ISO 14001 e 50001) costituiscano titoli preferenziali richiesti nell’assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia ambientale. Inoltre, al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo italiano nel contesto della crescente domanda di prodotti a elevata qualificazione ambientale sui mercati nazionali e internazionali, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, lo schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, denominato “Made Green in Italy”. Tale schema adotta la metodologia per la determinazione dell’impronta ambientale dei prodotti, come definita nella Raccomandazione 2013/179/UE della Commissione Europea, del 9 aprile 2013. Lo schema nazionale volontario e il relativo regolamento sono finalizzati a disciplinare la procedura per l’adozione di un Piano per la qualificazione ambientale dei prodotti dei sistemi produttivi locali, dei distretti industriali e delle filiere, che caratterizzano il sistema produttivo nazionale. Il Piano è volto anche a rafforzare la qualificazione ambientale dei prodotti agricoli, attraverso l’indicazione della provenienza degli stessi da filiere corte. Con questa norma il green public procurement assume un ruolo ancor più rilevante nell’attuazione politiche che la Commissione Europea ha elaborato in questi anni, in particolare per l’attuazione di quanto indicato nel Piano d’azione su consumo e produzione sostenibili, COM (2008)397 del 2008, nella Strategia Europa 2020 (in particolare per quanto riguarda l’uso efficiente delle risorse) e nel più recente Piano d’azione sull’economia circolare.
2.4.2 Un esempio classico di economia circolare: la normativa sui rifiuti alimentari
2.4.2Un esempio classico di economia circolare: la normativa sui rifiuti alimentariIl nostro Paese ha previsto una normativa all’avanguardia nell’ottica di una transizione ad un’economia circolare. In particolare, all’interno del nostro ordinamento, si è tenuto in considerazione il particolare tema degli sprechi e delle perdite alimentari. La necessità e l’urgenza di ridurre gli sprechi e le perdite lungo la filiera agro-alimentare si basano sugli stessi presupposti di carattere sociale, ambientale ed economico che hanno ispirato nel corso degli ultimi quarant’anni il vasto dibattito sulla sostenibilità di un modello economico fondato sulla crescita continua e sullo sfruttamento senza limiti delle risorse naturali.
APPROFONDIMENTI
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A. Segrè, P. Azzurro, Spreco alimentare: dal recupero alla prevenzione Indirizzi applicativi della legge per la limitazione degli sprechi, Utopie, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2016;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo
In tale contesto si inserisce il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, adottato con Decreto del Ministero dell’Ambiente il 7 ottobre 2013 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale 18 ottobre 2013, n. 245. Coerentemente con le linee guida europee (BIO Intelligence Service 2012), tale Piano individua i rifiuti biodegradabili tra i flussi prioritari di intervento e individua alcune misure di prevenzione, tra le quali: una distribuzione delle eccedenze alimentari da parte della grande distribuzione organizzata; la promozione delle certificazioni di qualità ambientale concernenti i servizi alimentari (come, ad es., nella ristorazione, negli hotel, nei catering o bar); nonché si prevede la riduzione degli scarti alimentari a livello domestico.
A pochi mesi di distanza dall’adozione del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, il Ministero dell’Ambiente, con D.M. n. 358/2013 ha adottato il Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (PINPAS). Il PINPAS si sostanzia in un percorso di studio e di coinvolgimento dei principali stakeholders (portatori di interessi) realizzato grazie al coordinamento tecnico-scientifico del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari (DISTAL) dell’Università di Bologna, e la collaborazione di Last Minute Market (società spin-off accreditata dell’Università di Bologna). Tra gli aspetti più innovativi, si segnala che il PINPAS ha dato vita ad una Consulta chiamata a condividere informazioni, identificare criticità ed elaborare proposte in materia di contrasto allo spreco alimentare formata da oltre duecentoquaranta persone, appartenenti a centotrentasei diverse organizzazioni rappresentative dell’intera filiera agroalimentare, ivi incluse le principali associazioni dei consumatori nazionali e le organizzazioni che si occupano della redistribuzione delle eccedenze alimentari a fini solidali.
In questo contesto di particolare attenzione alla riduzione degli sprechi alimentari viene adottata la Legge 19 agosto 2016, n. 166 recante “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”. La necessità di tale Legge si rinviene anche dalle tempistiche ridotte con la quale è stata adottata rispetto ai normali tempi parlamentari. Tale Legge è inoltre stata adottata tramite il coinvolgimento di un’ampia platea di portatori di interessi nella definizione delle misure da adottare. Un metodo partecipato e inclusivo, peraltro basato sulla conoscenza e sull’esperienza maturata, che potrebbe essere applicato anche ad altri tematiche dell’economia circolare. La Legge n. 166/2016 recepisce molte delle proposte elaborate nel corso del Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari in materia di semplificazione, razionalizzazione e armonizzazione del quadro di riferimento normativo che disciplina la donazione delle eccedenze alimentari, ne adotta il metodo, caratterizzato da un forte coinvolgimento degli stakeholders.
Tra gli aspetti più “circolari” di tale Legge si prevede la riduzione dello spreco alimentare, tramite sia il recupero delle eccedenze a fini solidali sia, soprattutto, attraverso l’identificazione e l’implementazione di azioni finalizzate ad eliminare le cause di generazione delle eccedenze, ossia tramite la prevenzione dei rifiuti. Come è stato osservato da parte della Dottrina (Segrè-Azzurro), la Legge in questione offre un’opportunità per ripensare ai nostri modelli di produzione e consumo. In altre parole, lo spreco di cibo può o, per meglio dire, deve diventare un’opportunità per riflettere sugli impatti che il sistema economico e, in particolare, il sistema agroalimentare genera a livello sociale e ambientale a scala locale e globale.
Tra le disposizioni regolatorie previste dalla Legge n. 166/2016 si segnalano quelle riguardanti la capacità di monitorare nel tempo gli sprechi alimentari, specie in relazione alle cause di generazione. Tale capacità rappresenta un elemento di fondamentale importanza ai fini della definizione, programmazione, implementazione e valutazione delle misure/politiche di prevenzione. In tal senso, l’art. 8, Legge n. 166/2016 attribuisce al Tavolo permanente di coordinamento di cui al Decreto del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali del 17 dicembre 2012 (il c.d. Tavolo indigenti), anche le funzioni di monitoraggio e di formulazione di progetti e studi finalizzati alla limitazione degli sprechi e alla distribuzione delle eccedenze. Nonostante l’allargamento della composizione del Tavolo prevista dal medesimo articolo, l’aggiunta di generiche attività di monitoraggio alle sue competenze non appare una misura sufficiente a garantire un’efficace azione di monitoraggio delle misure intraprese. Le attività di ricerca servono in primo luogo a supportare il processo di identificazione e implementazione delle misure da adottare, ivi inclusa la progettazione delle campagne di comunicazione e sensibilizzazione.
Ulteriori disposizioni regolatorie, sono quelle riguardanti l’educazione e le attività di informazione, nonché la comunicazione e la sensibilizzazione per la lotta allo spreco alimentare e, più in generale, per stimolare cambiamenti nella società ispirati dai principi e dai valori della sostenibilità. Non è un caso che i primi due punti del PINPAS riguardassero, rispettivamente, l’educazione e la formazione e le attività di comunicazione, sensibilizzazione e condivisione, ivi incluso il lancio di una campagna nazionale di comunicazione/sensibilizzazione sul tema dello spreco alimentare. Tra gli strumenti di comunicazione, rivestono particolare importanza quelli volti a favorire condivisione di informazioni, esperienze e le c.d. buone pratiche. Nel merito, il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti prevedeva la realizzazione di un Portale della prevenzione rifiuti e la realizzazione di una banca dati delle buone pratiche. Analogamente, il Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari prevedeva la realizzazione di una banca dati online per la condivisione e la valorizzazione delle buone pratiche di prevenzione degli sprechi alimentari e la realizzazione di un portale di riferimento che integrasse strumenti atti a favorire la partecipazione, la collaborazione e la condivisione di informazioni tra i diversi attori della filiera. A oggi, tali strumenti non hanno ancora trovato riscontro né all’interno del percorso di implementazione del Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari, né all’interno del testo della Legge n. 166/2016. Tuttavia, si segnala l’importanza di tale iniziativa per lo sviluppo e la transizione dell’economia circolare all’interno del nostro ordinamento. Difatti una banca dati online per le buone pratiche dell’economia circolare potrebbe portare a risultati considerevoli, sia per i cittadini, sia per le imprese.
Nota: Nelle more, vanno comunque menzionati i principali progetti nazionali che hanno offerto un contributo di ricerca e analisi al tema della misurazione delle eccedenze e dello spreco alimentare. Tra i lavori più recenti è opportuno segnalare il dossier Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali pubblicato da ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (2017). Un’altra fonte autorevole in questo campo è rappresentata dal Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) con il suo report Lo spreco alimentare: cause, impatti e proposte (2012). A livello istituzionale, anche il Ministero della Salute e il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare si sono occupati del tema. Il primo, ad esempio, nell’ambito delle Linee di Indirizzo rivolte agli enti gestori di mense scolastiche, aziendali ed ospedaliere, sociali e di comunità, ha lanciato nel 2016 un progetto di ricerca pilota denominato “SPAIC - Cause dello spreco alimentare ed interventi correttivi”, condotto dal Dipartimento Ricerca dell’INAIL d’intesa con il Ministero dell’Istruzione. L’Agenda 2030 con il goal 12.3 pone poi come ambizioso obiettivo di rilevanza planetaria il dimezzamento dello spreco alimentare entro tale data. Il Ministero dell’Ambiente, d’altro canto, con il Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (Pinpas, 2014) aveva già redatto un decalogo di azioni prioritarie per la lotta allo spreco incentrato sul concetto di prevenzione.
APPROFONDIMENTI
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F. Ciccullo, R. Cagliano, G. Bartezzaghi, A. Perego, Implementing the circular economy paradigm in the agri-food supply chain: The role of food waste prevention technologies, in Resources, Conservation and Recycling, 2021, 164, 105 ss.;
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V. De Laurentiis, C. Caldeira, F. Biganzoli, S. Sala, Building a balancing system for food waste accounting at National Level. Publications Office of the European Union, 2021;
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L. Falasconi, C. Cicatiello, S. Franco, A. Segrè, M. Setti, M. Vittuari, “Such a Shame! A Study on Self-Perception of Household Food Waste”, in Sustainability, 2019;
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P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, “Surplus food recovery and donation in Italy: the upstream process”, in British Food Journal, 2014;
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P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, Opening the black box of food waste reduction, in Food Policy, 2014;
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P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, “Reducing food waste in food management companies”, in Journal of Cleaner Production, 2016;
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TT.J. Parfi, M. Barthel, S. Macnaughton, “Food waste within food supply chains: quantifi cation andpotential for change to 2050”, in Phil. Trans. R. Soc., 365, 2010, pagg. 3065-3081;
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M. Setti, L. Falasconi, A. Segrè, I. Cusano, M. Vittuari, “Italian consumer’s income and food waste behavior”, in British Food Journal, 2016;
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Tra le disposizioni di agevolazione previste dalla Legge n. 166/2016 si inseriscono le disposizioni riguardanti la donazione delle eccedenze alimentari. La donazione presuppone la presenza di almeno due soggetti: il donatore e il beneficiario, tipicamente un ente del terzo settore che si occupa della redistribuzione delle eccedenze a fini solidali. Dal lato dei soggetti donatori, la Legge introduce la facoltà per i Comuni di prevedere agevolazioni sulla tariffa rifiuti (TARI) per le imprese che donano le proprie eccedenze (art. 17). Tale possibilità era già presente nel nostro ordinamento, introdotta per tutte le misure di prevenzione dei rifiuti (ivi inclusa, anche se non espressamente, la donazione delle eccedenze alimentari) dall’art. 36, Legge n. 221/2015. Dal lato delle organizzazioni che effettuano direttamente il recupero e la redistribuzione alle persone indigenti delle eccedenze alimentari, la Legge non prevede invece alcun tipo di agevolazione, nonostante queste rappresentino generalmente la parte debole nel rapporto donatore-beneficiario. La capacità di recupero delle eccedenze da parte di tali organizzazioni dipende infatti in larga misura dalla disponibilità di mezzi e attrezzature idonei per il trasporto e la corretta conservazione degli alimenti. In questo senso, al fine di sostenere la capacità operativa di tali organizzazioni sarebbe opportuno prevedere specifici incentivi/sgravi fiscali allo scopo dedicati. Molte, conclusivamente, sono le iniziative nate per contrastare lo spreco alimentare, anche grazie al supporto della Piattaforma italiana per l’economia circolare (https://www.icesp.it/), che facilitando la cooperazione tra diversi attori come, privati, istituzioni, associazioni, ha contribuito alla nascita di iniziative orientate all’integrazione dei cicli ed alla prevenzione e valorizzazione delle risorse in tutte le fasi della filiera agroalimentare (Es. RicibiAMO, AgricolaLenti, Ricereuse, etc.).
2.4.3 La responsabilità estesa del produttore e la sua rilevanza nell’ottica dell’economia circolare
2.4.3La responsabilità estesa del produttore e la sua rilevanza nell’ottica dell’economia circolareUn aspetto basilare dell’economia circolare è il principio della responsabilità estesa del produttore. La EPR (Responsabilità Estesa al Produttore) appare quale logica trasposizione del principio di chi inquina paga e dei principi sottesi alla gerarchia dei rifiuti e, in chiave odierna, è lo strumento che promuove l’economia circolare. Nella nuova Direttiva UE 2018/851 viene ridefinito il principio di Extended Producer Responsability (EPR) precisamente nell’art. 8-bis, dove vengono ridefiniti i requisiti minimi di funzionamento dei regimi EPR, al fine di ridurne i costi, migliorarne l’efficacia, garantirne pari condizioni di concorrenza. Questo principio sta alla base del funzionamento dei sistemi collettivi di gestione rifiuti in Italia. L’EPR è un principio fondamentale che deve essere rispettato per riuscire a raggiungere i nuovi sfidanti obiettivi delle direttive UE sull’economia circolare, e permette il sostegno economico di quelle filiere del riciclo che non riuscirebbero inizialmente ad avere un ritorno economico per le attività totali di gestione, dalla differenziazione alla raccolta, fino alla selezione, trattamento, riciclo e riutilizzo dei materiali riciclati. Secondo tale principio il produttore di un dato manufatto ha il dovere di interessarsi anche del fine vita di tale prodotto. In particolare, tale responsabilità si rinviene sia direttamente sotto il profilo gestionale/organizzativo (ad es. accettando i prodotti post consumo, restituitigli dai consumatori e avviandoli a recupero/riciclo), sia indirettamente sotto il profilo meramente finanziario (ossia pagando e delegando qualcun altro perché si occupi del fine vita dei propri prodotti).
Il principio in questione è stato introdotto dalla Dir. 2008/98/CE ed inserito nel nostro ordinamento agli artt. 178 e 178-bis, D.Lgs. n. 152/2006 ed è uno strumento cardine per il rafforzamento del riuso, della prevenzione, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti. Infatti, si tratta di uno dei mezzi per sostenere una progettazione e una produzione dei beni capace di favorire l’utilizzo efficiente delle risorse durante l’intero ciclo di vita, (comprendendone la riparazione, il riutilizzo, lo smontaggio e il riciclaggio) senza compromettere la libera circolazione delle merci nel mercato interno. Gli Stati membri sono, pertanto, chiamati ad adottare misure legislative o non legislative volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti ne sia responsabile. Le misure per attuare la responsabilità del produttore possono comprendere l’obbligo di accettare i prodotti restituiti ed i rifiuti che derivano dal loro utilizzo, di organizzare e/o finanziare la gestione dei rifiuti condividendo eventualmente tale funzione con i distributori, di mettere a disposizione del pubblico informazioni relative alla riutilizzabilità e/o riciclabilità dei prodotti. Ma la responsabilità può anche esplicarsi attraverso la progettazione di prodotti in grado di ridurre l’impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita (progettazione, realizzazione, distribuzione, consumo e post consumo), ovvero attraverso lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti adatti all’uso multiplo, tecnicamente durevoli e che, dopo essere diventati rifiuti, siano adatti a un recupero adeguato e sicuro, nonché a uno smaltimento compatibile con l’ambiente. A tale principio sembrerebbe dunque spettare il ruolo di congiunzione tra l’obiettivo di dare vita ad una società del riciclo e quello di improntare la gestione dei rifiuti al principio di prevenzione.
Al contempo lo stesso testimonia anche la marcata interazione esistente tra la materia ambientale e quella economica. Non può sottacersi, infatti, come la messa al bando di un prodotto oppure l’imposizione dell’obbligo di conformarsi a determinati standard nella progettazione di un bene, costituiscano misure capaci di esplicare effetti dirompenti sul piano economico, giacché si risolvono in prescrizioni che interessano intere filiere produttive. Non è un caso, pertanto, se le misure in questione vengono normalmente introdotte in maniera graduale e, in ogni caso, facendo (almeno teoricamente) salva la possibilità per gli Stati membri di valutare aspetti cruciali, quali la fattibilità tecnica e la praticabilità economica, come pure gli impatti complessivi sociali, sanitari e ambientali, rispettando l’esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno.
APPROFONDIMENTI
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
2.5 I consorzi quali strumenti fondamentali dell’economia circolare
2.5I consorzi quali strumenti fondamentali dell’economia circolareL’introduzione del principio della responsabilità estesa del produttore costituisce, come detto, una grande innovazione nel modello di sviluppo industriale del sistema Europa, un vero e proprio pilastro dell’economia circolare. È infatti su tale principio che si basa l’aspettativa di un sistema industriale che sia capace di utilizzare continuamente gli stessi materiali, recuperandoli dai precedenti impieghi, per contrastare la sempre più scarsa disponibilità di moltissime materie prime sul nostro Pianeta. Sulla base di questo principio, i soggetti che immettono i prodotti nel mercato, sono tenuti ad assumere una ulteriore responsabilità oltre la vendita. In particolare, essi sono chiamati a occuparsi dei fine vita dei prodotti per assicurare che la maggior parte di essi, e la maggior componente possibile di essi, vengano recuperati e reimmessi nei cicli produttivi.
I consorzi italiani costituiscono un’affermazione di tale principio e per tale motivo è opportuno procedere ad un’attenta disamina di questo particolare strumento. I consorzi sin dalla loro costituzione, in seguito al Decreto Ronchi del 1997 (D.Lgs. n. 22/1997), hanno contribuito molto alla crescita della consapevolezza di separare i rifiuti, e hanno decisamente inciso sul progresso del sistema di recupero e di riutilizzo dei materiali. Ancora oggi, i consorzi rappresentano un importante volano per l’economia circolare, con iniziative e progetti innovativi. I campi di applicazione di questi consorzi riguardano settori diversificati come ad esempio gli imballaggi, le batterie usate, nonché in quelli riguardanti gli pneumatici fuori uso e gli oli usati (artt. 233/236, D.Lgs. n. 152/2006).
Inoltre, va considerato che, come sostiene la dottrina (Röttgen), i consorzi non hanno solo l’obiettivo di raccogliere i rifiuti, ma anche quello di trattarli e di (ri)collocarli sul mercato dell’end of waste. I consorzi così chiamati a promuovere settori importanti dell’economia circolare come l’ecodesign, il re-manufacturing, il service sono chiamati a sostenere il cambiamento culturale (tramite ad esempio informazione e formazione). In particolare, i Consorzi forniscono input fondamentali per la fase upstream (ossia a monte, la fase prima che il rifiuto diventa tale), tramite ad esempio l’ecoproduction o l’ecodesign, in vista della fase downstream (ossia a valle, la fase in cui il rifiuto diventa tale). Successivamente i consorzi gestiscono la fase downstream e creano un collegamento con la fase upstream, realizzando così un circolo virtuoso come prospettato nell’economia circolare.
Infine, è necessario porre attenzione, come puntualizzato dalla dottrina (Röttgen), sul fatto che la Dir. 2018/851/UE all’art. 8, n. 1, lett. a), recepita dal D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116, rafforza il ruolo dei consorzi nell’economia circolare. Infatti, si stabilisce in tale articolo che gli Stati membri possono decidere che i produttori che si impegnano per la gestione della fase del ciclo di vita di un prodotto, applichino alcuni dei requisiti generali minimi di cui all’art. 8-bis, Dir. 2018/851/UE o la loro totalità. Tali criteri minimi, sono applicabili tout court anche ai Consorzi, tuttavia è stata fatta notare la necessità di coniugare i criteri minimi di cui all’art. 8, lett. a), Dir. 2018/851/UE con il fattore geografico italiano, senza violare i dettami del divieto del gold plating e prevedendo un adeguato regime intertemporale/transitorio. Tra i criteri stabiliti direttamente dalla Dir. 2018/851/UE si citano ad esempio: la definizione chiara dei ruoli dei vari stakeholders (ossia i portatori di interessi) attivi nell’implementazione della responsabilità estesa del produttore; il rispetto della gerarchia dei rifiuti; la capacità organizzativa/finanziaria; la non distorsione del mercato (ad es. tramite il corretto utilizzo degli strumenti finanziari a disposizione).
Nota: La giurisprudenza inizia a misurarsi con il tema della responsabilità estesa del produttore. Tra le più recenti decisioni, quella del massimo organo di giustizia amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 26 gennaio 2021, n. 781), che ha affermato il principio secondo cui, per adempiere agli obblighi derivanti dai principi europei della responsabilità estesa del produttore (ERP), che impongono il raggiungimento di precisi obiettivi di recupero e riciclo degli imballaggi usati, ai sensi dell’art. 221, comma 3, Codice Ambiente, i produttori possono alternativamente: organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull’intero territorio nazionale; aderire ad uno dei consorzi di cui all’articolo 223 (consorzi differenziati in ragione dei diversi materiali di imballaggio); attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l’autosufficienza del sistema. Nella giurisprudenza euro unitaria, ancora, si segnala la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, Sez. I, 21 ottobre 2020, causa C-556/19), che, pur riguardando apparentemente una questione diversa (il tema era quello degli aiuti di Stato), ha però affermato un importante principio in tema di responsabilità estesa dei produttori, pronunciandosi su una questione riguardante un eco-organismo autorizzato dalle autorità pubbliche a riscuotere contributi finanziari presso soggetti che immettono sul mercato determinati prodotti, al fine di provvedere, per conto dei medesimi, all’obbligo giuridico loro incombente di trattare i rifiuti derivanti da tali prodotti. Il principio affermato dai giudici europei è nel senso che l’art. 107, par. 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che un dispositivo mediante il quale un eco organismo privato senza scopo di lucro, titolare di un’autorizzazione rilasciata dalle autorità pubbliche, riscuote presso i soggetti che immettono sul mercato una particolare categoria di prodotti - i quali stipulino con il medesimo organismo una convenzione a tal fine - contributi a fronte del servizio di provvedere per loro conto al trattamento dei rifiuti derivanti da tali prodotti, e riversa poi a operatori incaricati della raccolta differenziata e del recupero di tali rifiuti sovvenzioni d’importo fissato nella stessa autorizzazione sulla base di obiettivi ambientali e sociali, non costituisce un intervento effettuato mediante risorse statali ai sensi della disposizione in parola, purché tali sovvenzioni non restino costantemente sotto il controllo pubblico, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
APPROFONDIMENTI
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D. Röttgen, “Ruolo dei consorzi nella implementazione dell’economia circolare”, presentazione durante la conferenza Stati Generali dei Consorzi, Roma, 11 aprile 2018;
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2.5.1 Il consorzio nazionale imballaggi
2.5.1Il consorzio nazionale imballaggiTra i consorzi di filiera più importanti all’interno del nostro ordinamento è annoverabile il Consorzio nazionale imballaggi (CONAI). Per quanto riguarda tale consorzio (previsto dall’art. 224, D.Lgs. n. 152/2006) va innanzitutto considerato che sia i produttori, sia gli utilizzatori di imballaggi sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli stessi, nonché dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti. Su tali operatori economici pertanto grava il costo della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti di imballaggio in proporzione alle quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale. È opportuno rilevare che al CONAI aderiscono circa un milione di aziende produttrici e utilizzatrici di imballaggi e si finanzia principalmente con il contributo pagato dalle aziende che producono imballaggi e con la vendita di materiali derivanti dalla raccolta differenziata.
Inoltre, va considerato che il CONAI, nell’ottica di favorire un’economia circolare, riconosce a Comuni e aziende che gestiscono la raccolta differenziata, un corrispettivo economico utile a sostenere i costi del servizio. La cifra è stabilita a seconda della quantità e della qualità dei rifiuti di imballaggio conferiti, sulla base di accordi quinquennali. I gestori, comunque, possono decidere ogni anno se inviare i rifiuti raccolti al consorzio, che ne assicura il riciclo reimmettendo sul mercato i materiali recuperati, o provvedere autonomamente all’avvio al riciclo. In questo ultimo caso, l’azienda beneficia del ricavato della vendita dei materiali, ma perde il contributo del CONAI. In particolare, va considerato il fondamentale ruolo che il CONAI attua nel miglioramento della qualità dei materiali raccolti, seguito dai contestuali investimenti da parte dei gestori per rendere più efficienti i sistemi di raccolta, nonché gli impianti che effettuano la prima selezione dei rifiuti. Da oltre vent’anni CONAI è promotore in Italia di un’economia circolare concreta fondata sulla valorizzazione e l’avvio a riciclo dei rifiuti di imballaggio, e ancora oggi ne è protagonista attivo portando importanti benefici sociali, economici e ambientali al sistema Paese. Si può affermare che i vantaggi che il CONAI ha apportato nel settore ambientale in Italia sono evidenti, basti considerare che vent’anni fa solo un imballaggio su tre era avviato a riciclo e non smaltito in discarica, oggi lo sono ben tre su quattro. Va ancora considerato che la principale fonte di informazioni sul ciclo degli imballaggi e rifiuti di imballaggio è rappresentata proprio dal CONAI che trasmette all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) tutti i dati relativi al ciclo di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio. A questo proposito l’art. 220, comma 2, TUA prevede, che “per garantire il controllo del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio e di recupero, il CONAI acquisisca da tutti i soggetti che operano nel settore degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi, i dati relativi al riciclaggio e al recupero degli stessi”. Il Consorzio deve pertanto comunicare, annualmente, alla Sezione nazionale del Catasto dei rifiuti i dati relativi al quantitativo degli imballaggi, per ciascun materiale e per tipo di imballaggio immesso sul mercato, nonché, per ciascun materiale, la quantità degli imballaggi riutilizzati e dei rifiuti di imballaggio riciclati e recuperati provenienti dal mercato nazionale. Per fare ciò si avvale dell’utilizzo del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD).
APPROFONDIMENTI
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S.R. Cerruto, “La disciplina giuridica degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio”, in Rivista giuridica ambiente, 1, 2009;
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W. Faciotto, “Lo sviluppo delle filiere nella fase di transizione”, in Ecoscienza, 2, 2017;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
2.5.2 Il consorzio per il recupero degli pneumatici usati
2.5.2Il consorzio per il recupero degli pneumatici usatiEcopneus è la società senza scopo di lucro per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento e il recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU), costituita dai principali produttori di pneumatici operanti in Italia (Bridgestone, Continental, Goodyear-Dunlop, Marangoni, Michelin e Pirelli), cui nel tempo si sono aggiunte molte altre aziende. In base all’art. 228, D.Lgs. 152/2006, produttori e importatori di pneumatici sono infatti obbligati a provvedere alla gestione di un quantitativo di PFU pari a quanto immesso nel mercato del ricambio l’anno solare precedente, assecondando il principio della Responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility); un modello organizzativo adottato dalla maggioranza dei Paesi Europei.
Nota: La giurisprudenza ha peraltro chiarito che in tema di gestione dei rifiuti, dopo la entrata in vigore della L. 31 luglio 2002, n. 179, la qualifica di rifiuto va attribuita ai soli pneumatici fuori uso, come confermato dall’Allegato A, voce 160103, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e non anche ai pneumatici usati ma ancora ricostruibili (Cass. pen., Sez. 3, n. 8679 del 23 gennaio 2007, CED Cass. 236086).
La mission di Ecopneus si traduce quindi nel garantire rintracciamento e recupero di mediamente circa 200.000 tonnellate di Pneumatici Fuori Uso ogni anno. Come previsto dalla normativa, oltre a provvedere a tutte le operazioni necessarie a garantire un corretto recupero di tutti gli PFU di loro responsabilità, Ecopneus assolve per conto dei propri soci anche l’obbligo di tracciamento e rendicontazione verso le Autorità, con idoneo sistema informatico, al fine di certificare i flussi quantitativi degli PFU, dall’origine alla raccolta e all’impiego, nonché la rendicontazione economica e la segnalazione dei quantitativi annualmente immessi nel mercato. In caso di mancato raggiungimento dei target, produttori e importatori saranno sottoposti ad un sistema sanzionatorio. Parallelamente alle attività di gestione delle operazioni di raccolta, trasporto, trattamento e valorizzazione degli PFU di propria responsabilità, forte è anche l’impegno di Ecopneus per la promozione delle applicazioni della gomma riciclata e in iniziative di informazione e sensibilizzazione per la creazione di una “cultura del riciclo”.
In questo approccio, assume un ruolo centrale il modello scelto per la selezione delle imprese della filiera, che avviene per mezzo di gare aperte a tutte le aziende in possesso delle necessarie autorizzazioni, con criteri premiali. Si sostiene che una rete nazionale di imprese di riciclo, in competizione tra loro, è condizione perché l’economia circolare si sviluppi con le regole stesse del mercato, facendo crescere la domanda di materiale riciclato e migliorando l’offerta dal punto di vista qualitativo e prestazionale. In questa prospettiva si vuole evitare che gli operatori del mercato, per ragioni concorrenziali, possano tendere a realizzare i loro obiettivi puntando sulle raccolte al minor costo per i loro associati, evitando, o riducendo al minimo, quelle più onerose, lasciando alcune zone del Paese completamente scoperte. Alla luce di quanto detto si può affermare che Ecopneus si fa promotrice di un modello di economia circolare in cui siano gli stessi sistemi collettivi a predisporre un’organizzazione tale che possa essere ridotta o sciolta non appena non più necessaria. Il sistema in questione non può che essere basato sull’eticità delle imprese che ne sono protagoniste, e in particolare, dei consorzi che le rappresentano che, in quanto soggetti senza fini di lucro, agiscono nell’interesse della collettività per la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse del Pianeta.
APPROFONDIMENTI
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A. Coviello, “Sulla distinzione fra “pneumatici fuori uso” e “pneumatici ricostruibili” ai fini dell’applicabilità della disciplina sui rifiuti”, in Dir. e giur. agraria alimentare e dell’ambiente, 5, 2008, 357 ss.
2.5.3 Il consorzio nazionale batterie usate
2.5.3Il consorzio nazionale batterie usateUn ulteriore Consorzio che merita di essere trattato è il Consorzio nazionale batterie esauste (Cobat). Tale Consorzio è stato istituito dall’art. 9-quinquies, D.L. n. 397/1988, convertito in Legge n. 475/1988 per lo smaltimento mediante riciclaggio delle batterie al piombo. Attualmente tale consorzio viene disciplinato dall’art. 235, D.Lgs. n. 152/2006 (Consorzio nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi) e il settore delle batterie esauste è stato oggetto di modifiche che ne hanno integrato la disciplina normativa. Inoltre, è opportuno segnalare che la Dir. 2006/66/CE, che si applicava, indistintamente, a tutti i tipi di batterie ed accumulatori (abrogando la precedente Dir. 91/157/CEE che riguardava soltanto gli accumulatori contenenti mercurio, piombo e cadmio) è stata modificata dalla Dir. 2018/849/UE. Quest’ultima Direttiva non prevede correzioni sostanziali alla precedente Direttiva. Infatti, non vengono fissate nuove percentuali di riciclaggio e recupero, per contro si prevede che gli Stati membri dell’Unione Europea controllino ogni anno i tassi di raccolta, nonché i livelli di riciclaggio raggiunti di tali rifiuti, e trasmettano alla Commissione i rapporti per via elettronica entro diciotto mesi dalla fine dell’anno di riferimento per cui i dati sono raccolti (per l’attuazione degli artt. 2 e 3, Dir., si v. il D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 118 e, per l’attuazione dell’art. 1, si v. il D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 119).
In questo contesto emerge l’importanza del Cobat, il quale tramite il suo sistema multifiliera, offre un servizio integrato ai produttori, nonché agli importatori, garantendo la corretta gestione del fine vita dei prodotti immessi al consumo. L’obiettivo di Cobat è un’applicazione sempre più ampia dell’economia circolare, attraverso una visione olistica che va dalla produzione dei beni, alla raccolta e al riciclo, fino ad arrivare a nuove materie prime da riutilizzare. Infatti, fin dalla sua costituzione, ormai oltre venticinque anni fa, Cobat si è occupato di economia circolare, invero Cobat assicura il pieno rispetto di tutte le prescrizioni normative di settore, da quelle generali previste dal D.Lgs. n. 152/2006 a quelle specifiche chiamate a regolamentare la gestione delle singole filiere.
APPROFONDIMENTI
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M. Abbà, “Cobat: consorzio nazionale raccolta e riciclo”, in https://www.ideegreen.it/cobat-consorzio-85645.html;
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Cobat, “Batterie, una visione olistica per coinvolgere tutti i protagonisti”, in Ecoscienza, 5, 2015;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
2.6 Il green public procurement quale strumento per favorire l’economia circolare
2.6Il green public procurement quale strumento per favorire l’economia circolarePer quanto concerne gli strumenti pubblici volti a favorire un’economia di tipo circolare si rinvengono gli appalti pubblici sostenibili (definiti anche appalti verdi). Gli appalti verdi costituiscono uno dei temi più importanti del principio di interconnessione, in quanto si prevede il coordinamento e raccordo continuo di una pluralità di amministrazioni. Anche l’Allegato IV-bis, Dir. 2018/851/UE (recepita dal D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116) menziona gli appalti pubblici sostenibili, volti ad incoraggiare una migliore gestione dei rifiuti e l’uso di prodotti e materiali riciclati, tra gli strumenti per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti. Infatti, va considerato che tutti i prodotti durante l’intero ciclo della propria vita interagiscono con l’ambiente. Pertanto, prodotti differenziati, che abbiano le stesse funzionalità e siano in grado di offrire le stesse prestazioni, possono determinare impatti ambientali completamente diversi in base a fattori quali l’utilizzo di differenti materie prime finalizzate alla loro produzione o differenti modalità di smaltimento a fine vita.
La legislazione ambientale attualmente in vigore pone forti limitazioni agli impatti generabili durante le singole fasi del ciclo di vita del prodotto, tuttavia non si è dimostrata in grado di stimolare un sistema di miglioramento continuo, volontario e globale della performance ambientale del processo produttivo e del prodotto finale. Questo risultato potrebbe essere ottenuto se le aziende fossero portate a trasformare il vincolo in un’opportunità, in un fattore da sfruttare, attraverso l’adozione di un proficuo comportamento attivo, che renda la gestione delle problematiche ambientali più efficiente ed efficace. Coinvolgere attivamente il settore industriale sui temi ambientali e trasformare la variabile ambientale in un fattore competitivo di un’impresa sarebbe possibile se l’impatto ambientale del prodotto durante tutto il suo ciclo di vita diventasse un motivo di scelta del consumatore, in linea con le leggi del mercato e dell’economia. Tutto ciò potrebbe avvenire tramite il c.d. green public procurement (in italiano “acquisti verdi della pubblica amministrazione”), intendendo per tale l’integrazione di considerazioni di carattere ambientale nelle procedure di acquisto della pubblica amministrazione. In particolare, acquistare verde significa che la pubblica amministrazione procede a comprare un bene/servizio tenendo conto degli impatti ambientali che questo può avere nel corso del suo ciclo di vita, dall’estrazione della materia prima fino allo smaltimento del rifiuto (ovvero “cradle-to-grave”, ossia “dalla culla alla tomba” del prodotto). La necessità di favorire la diffusione di prodotti e servizi più puliti è una delle priorità a livello globale a causa del contemporaneo aumento dei consumi e della popolazione, che rendono sempre meno sostenibile il modello di sviluppo attuale. Per questa ragione già da diversi anni sono stati introdotti strumenti di progettazione ecologica, tali da consentire la realizzazione di prodotti a minore impatto ambientale lungo il loro intero ciclo di vita. Tuttavia, tali strumenti trovano ancora poca applicazione presso le imprese che sono pressate da altre priorità quali il mercato, i costi di produzione, ecc.
L’ambiente, pur tra le imprese più sensibili, è percepito come un valore aggiunto da perseguire in subordine rispetto alle esigenze primarie che sono di carattere economico. Per tale ragione è necessario collegare il principio della qualità ambientale a quello principale del mercato se lo si vuole diffondere su larga base. Per questo motivo sono le istituzioni e le amministrazioni pubbliche che, per prime, possono fare molto agendo sui propri acquisti ed appalti. La Commissione Europea assegna al green public procurement un ruolo di carattere strategico per le politiche di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Grazie a questo tipo di strumento, le pubbliche amministrazioni possono infatti influenzare il mercato e le imprese (e i prodotti/servizi ivi presenti), favorendo in generale la diffusione della innovazione tecnologica e, in particolare, il raggiungimento di obiettivi di miglioramento ambientale, nonché incoraggiando l’integrazione delle considerazioni ambientali nelle altre politiche (trasporti, energia, ecc.). Inoltre, questo strumento può favorire, attraverso il proprio esempio, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza ambientale da parte dei consumatori.
Oltre a ciò, va considerato che con le Direttive Appalti del 2014 (Dirr. n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, recepite con Legge 28 gennaio 2016, n. 11 e con D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50) la materia dei contratti pubblici si è aperta definitivamente al valore della tutela ambientale, che assurge a principio trasversale capace di permeare tutte le fasi dell’evidenza pubblica e promuovere il passaggio ad un’economia a basso impatto ambientale.
Nota: tra le novità più considerevoli si segnala l’ampliamento delle cause di esclusione di concorrenti per violazione di obblighi ambientali, introducendo anche un importante controllo da eseguirsi in fase di aggiudicazione. Un’ulteriore novità è la ridefinizione dei criteri di aggiudicazione per la valutazione delle offerte nel contesto di una gara d’appalto. Con riferimento ai nuovi criteri, il Legislatore europeo ha mostrato un netto favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (la quale offerta si fonda su di una pluralità di elementi di natura qualitativa ed economica tra loro integrati), la cui determinazione è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante, a discapito di quello del massimo ribasso. In tale contesto si inserisce anche la possibilità, del tutto innovativa, di stabilire un prezzo o costo fisso e aggiudicare la gara solo in base alla qualità degli altri fattori dell’offerta.
Inoltre, è opportuno notare che compare una nuova nozione di prezzo, in cui non rientra unicamente il concetto tradizionale di remunerazione/corrispettivo, ma anche quello più ampio di costo del ciclo di vita del prodotto, che include i costi interni, lo smaltimento finale e le esternalità ambientali. Quando l’amministrazione aggiudicatrice fa ricorso a tale criterio, deve evidenziare nei documenti di gara i dati che gli offerenti sono tenuti a fornire e il metodo che impiegherà al fine di determinare tali costi. Secondo una nozione evolutiva di prezzo, il criterio si caratterizza per il fatto che la valutazione dell’amministrazione è chiamata ad estendersi in una dimensione temporale: dal processo di produzione del prodotto/servizio/lavoro agli oneri successivi all’acquisizione, fino allo smaltimento. Non a caso, la nuova disciplina impone un approccio globale sin dalla fase iniziale con cui l’amministrazione definisce l’oggetto del contratto, finalizzata a permettere non solo l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza, ma anche il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità.
Nota: l’importanza del rapporto tra economia circolare e green public procurement, ad esempio, si ravvisa nel recente codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, recante “Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici”, pubblicato nella G.U. 31 marzo 2023, n. 77, S.O.), che, nell’Allegato I.9, denominato “Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni”, stabilisce, all’art. 1, comma 12, che “Nella formulazione dei requisiti informativi da parte delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti possono essere definiti, per la loro successiva rigorosa attuazione nel corso dell’esecuzione dei contratti pubblici, usi specifici, metodologie operative, processi organizzativi e soluzioni tecnologiche, quali oggetti di valutazione ai fini della premialità, ove ammissibile, dei contenuti delle offerte dei candidati. In particolare, possono essere definiti requisiti e proposte: (omissis); d) per utilizzare i metodi e gli strumenti elettronici per raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientali anche attraverso i principi del green public procurement; (omissis)”.
2.6.1 Il ruolo di CONSIP
2.6.1Il ruolo di CONSIPIn linea con gli indirizzi europei anche l’Italia si è prontamente dotata di strumenti di indirizzo e tecnici ed ha attuato misure di accompagnamento per iniziative di green public procurement. In tale contesto un ruolo centrale è assunto da CONSIP. CONSIP nasce nel 1997 come leva di cambiamento nella gestione delle tecnologie ICT dell’allora Ministero del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica. Con il D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 414 sono state affidate alla CONSIP le attività informatiche dell’amministrazione statale in materia finanziaria e contabile, mentre con i Decreti del Ministero del Tesoro del 22 dicembre 1997 e del 17 giugno 1998 è stato assegnato alla società l’incarico di gestire e sviluppare i servizi informatici dello stesso Ministero. Due anni dopo, con il D.M. 24 febbraio 2000 il Ministero dell’Economia e delle Finanze, viene attribuita a CONSIP anche l’attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti della PA, previsto dalla Legge finanziaria per il 2000. Nel corso degli anni molteplici interventi hanno caratterizzato lo sviluppo delle attività. In ultimo si rammenta - tra il 2013 e il 2014 - il riassetto delle attività ICT del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Procurement dello Stato, che ha rafforzato il ruolo dell’azienda nel nuovo sistema nazionale degli approvvigionamenti pubblici, in attuazione delle norme sulla “spending review”. CONSIP rende più efficiente e trasparente l’utilizzo delle risorse pubbliche, fornendo alle Amministrazioni strumenti e competenze per gestire i propri acquisti di beni e servizi, stimolando le Imprese al confronto competitivo con il sistema pubblico.
Il ruolo che la centrale di committenza CONSIP svolge nel rendere effettiva l’implementazione del green public procurement è da ritenersi fondamentale in quanto risulta in grado di favorire l’adozione di strategie per gli acquisti sostenibili, miranti alla razionalizzazione della spesa pubblica in termini di costo, e il sostegno di investimenti per le imprese impegnate nello sviluppo di soluzioni innovative ed ecocompatibili. Gli acquisti verdi rappresentano, dunque, uno dei cardini del Programma per la razionalizzazione degli acquisti i cui principali obiettivi c.d. verdi riguardano molteplici settori, tra i quali ricordiamo, ai fini della nostra trattazione, il settore del riciclo dei materiali, volto a promuovere la raccolta differenziata attraverso l’acquisto di prodotti/materiali riciclati.
Va considerato che CONSIP agisce attraverso un metodo per definire i criteri verdi da inserire come requisiti premianti nelle proprie iniziative di acquisto, che parte dall’analisi della normativa di settore e delle ecoetichette esistenti, passa per l’analisi del ciclo di vita del prodotto o servizio e dal confronto con il mercato e approda infine alla definizione del criterio. Un metodo quindi capace di coniugare le esigenze di approvvigionamento della pubblica amministrazione con la disponibilità del mercato ad offrire prodotti innovativi e sostenibili a livello ambientale, in particolare basandosi sul ciclo di vita di un bene e servizio comprendente non solo i costi di produzione di un bene o servizio, ma anche i costi effettivi per la collettività. Di conseguenza, la valutazione economica di un acquisto non può basarsi solo sul prezzo o sulle caratteristiche tecniche e funzionali. Ad esempio, quando si acquista un personal computer, spesso si trascurano il consumo energetico o la durata di vita e questo impedisce una reale valutazione del costo dell’acquisto, perché si tratta di variabili che incidono in modo determinante sulla razionalizzazione dei costi (ad es., ad una maggiore durata nel tempo degli oggetti corrisponde una riduzione dei rifiuti prodotti, comportando un minore costo per il sistema).
CONSIP ha attribuito un valore economico alla propria azione green su beni (pc, portatili, server, veicoli in noleggio o acquisto, autobus) e servizi (servizio integrato energia, multiservizio integrato energia sanità, illuminazione pubblica) oggetto di proprie iniziative. In termini ambientali, l’acquisto di beni e servizi attraverso CONSIP ha consentito di risparmiare l’emissione di 1,9 milioni di tonnellate di CO2 sul ciclo di vita. L’approccio ecologico si concretizza anche nella diffusione di nuovi modelli di lavoro basati sulla digitalizzazione e quindi sulla dematerializzazione delle procedure di acquisto.
Pertanto, l’integrazione del green public procurement negli acquisti delle amministrazioni pubbliche, grazie anche al contributo di CONSIP, attua un sistema economico di tipo circolare all’interno del nostro ordinamento.
APPROFONDIMENTI
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Consip, “Green Public Procurement: non solo ‘risparmio di prezzo’”, in http://www.consip.it/media/approfondimenti/green-public-procurement-non-solo-risparmio-di-prezzo;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo.
2.6.2 L’adozione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM)
2.6.2L’adozione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM)Per una completa disamina sugli appalti pubblici sostenibili, volti ad incoraggiare una riduzione dei rifiuti ed un migliore uso di prodotti e materiali riciclati, è opportuno approfondire un ulteriore aspetto. Infatti, in Italia un passo fondamentale per promuovere l’economia circolare è costituito dalla Legge n. 221/2015 che ha reso obbligatoria l’adozione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) negli appalti pubblici, obbligatorietà che era stata confermata anche nel Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), abrogato dall’art. 226, comma 1, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 - ossia il nuovo Codice dei contratti pubblici - a decorrere dal 1° luglio 2023. I CAM sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato. La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali, nonché i prodotti ecologicamente preferibili e produce altresì un effetto leva sul mercato, condizionando gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione. I CAM, infatti, incidono simultaneamente su diversi obiettivi del Piano d’azione europeo per l’economia circolare, di cui costituiscono essi stessi uno degli strumenti in quanto, a seconda dei casi, prescrivono: minori contenuti di sostanze pericolose, percentuali quantificate di materiale riciclato, requisiti tecnici che incidono positivamente sulla durata della vita utile dei beni, altri elementi di ecodesign che ne facilitano il recupero o il riutilizzo. Un esempio in cui tali aspetti sono enfatizzati è costituito dal D.M. 30 giugno 2021 (Adozione dei criteri ambientali minimi per forniture e noleggio di prodotti tessili, ivi inclusi mascherine filtranti, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale nonché servizio integrato di ritiro, restyling e finissaggio dei prodotti tessili): elementi comuni sono la definizione di specifiche tecniche che valorizzano il contenuto di materiale riciclato (plastica, calcestruzzi, laterizi, legno, ferro, acciaio), la durabilità e la disassemblabilità. Inoltre, ai CAM del settore dell’edilizia viene attribuito un punteggio pari al 5% del punteggio tecnico per quei progetti che prevedono l’utilizzo di materiali o manufatti con un contenuto minimo di materiale post consumo, derivante dal recupero degli scarti o ottenuto dal disassemblaggio dei prodotti complessi in percentuale maggiore a quanto previsto nelle specifiche tecniche.
Alla luce di ciò, i CAM detengono un ruolo anche nel sostenere la simbiosi industriale per dare valore a filiere ecoefficienti. Infatti, essi forniscono un contributo affinché gli scarti di produzioni o i rifiuti post consumo possano diventare effettivamente e in maniera strutturale risorse da reimpiegare nei processi di produzione di altri prodotti. Su tale linea si collocano, ad esempio, i CAM dei rifiuti urbani (D.M. 13 febbraio 2014) che valorizzano una modalità di gestione volta a favorire la preparazione per il riutilizzo e il riciclo, cercando in tal modo di incidere positivamente nella creazione della domanda di materia prima seconda da parte dei produttori. Si crea così una conversione di interessi tra produttori, utilizzatori e consorzi per il recupero e riciclaggio.
I CAM, inoltre, in alcuni casi (come, ad es., per attrezzature elettriche ed elettroniche, carta per copie e carta grafica, arredi, servizi di pulizie e detergenti, trasporti, progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici) forniscono anche indicazioni per l’analisi e valutazione dei fabbisogni, con conseguenti effetti positivi in termini di riduzione del consumo di risorse naturali ed energia. Per l’adozione dei criteri ambientali minimi per gli affidamenti relativi ai servizi di ristoro e alla distribuzione di acqua di rete a fini potabili, si v., ad esempio, il D.M. 6 novembre 2023.
Nota: l’importanza che i C.A.M. assumono nell’ottica dell’economia circolare è, del resto, testimoniata dalla più recenti interpretazioni della giurisprudenza amministrativa. Si è, ad esempio, affermato, in materia di gare pubbliche, che la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”. La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare” (Cons. Stato, Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773). Più di recente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che le disposizioni in materia di criteri ambientali minimi, lungi dal risolversi in mere norme programmatiche, costituiscono in realtà obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti, come si desume plasticamente dal terzo comma dell’art. 34 del D.Lgs. n. 50 del 2016. Dall’art. 95 del medesimo Decreto si evince il principio in base al quale all’amministrazione non è riconosciuto un potere di scelta illimitata dell’offerta, dovendo i criteri prefigurare uno scenario possibile e sostenibile sotto il profilo tecnico ed economico. Devono dunque essere annullati i provvedimenti con i quali la Stazione Appaltante preveda costi notevolmente sottostimati rispetto a quelli reali, quindi imponendo la presentazione di offerte incongrue, sottocosto ed economicamente insostenibili per l’offerente, ovvero rendendo impossibile la presentazione di una offerta congrua (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 12 giugno 2023, n. 1344). Si è tuttavia opportunamente specificato che la non conformità della legge di gara agli artt. 34 e 71 del D.Lgs. n. 50/2016, in tema di criteri ambientali minimi (C.A.M.) non è vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive che, sole, consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara, con la conseguenza che la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non può considerarsi acquiescenza alle regole di gara, essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium (Cons. St., Sez. III, 20 marzo 2023, n. 2795).
Infine, tra le azioni chiave individuate a livello europeo va richiamata anche la riduzione dello spreco alimentare (e quindi dei rifiuti) e in tal senso sono già orientati i CAM per il servizio di ristorazione (D.M. 10 marzo 2020). Difatti in questo settore si prevede la possibilità di assegnare punteggi nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa all’offerente che si impegna a recuperare il cibo non somministrato, al fine di destinarlo a organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che effettuano distribuzione gratuita di prodotti alimentari agli indigenti.
La necessità di una transizione verso un’economia di tipo circolare è un fatto riconosciuto sia a livello politico, sia da parte di settori importanti del mondo industriale. Perché questa transizione abbia luogo, sono però necessari strumenti che supportino, indirizzino e agevolino il cambiamento. Il green public procurement, grazie ai volumi che muove in termini economici e alla numerosità degli operatori coinvolti, che vengono così stimolati a investire in ricerca e sviluppo, rappresenta uno degli strumenti a maggior potenziale, in grado di indirizzare le scelte produttive verso soluzioni ecoinnovative e di promuovere consumi più responsabili. A livello nazionale, con l’applicazione obbligatoria dei CAM, viene già attuata una misura fondamentale per la promozione di modelli di economia circolare, ma il green public procurement, ancorché obbligatorio, anche a causa dei vincoli derivanti dalla normativa degli appalti, non può incidere su tutti i complessi aspetti inerenti all’economia circolare. Pertanto, gli si dovranno affiancare altre iniziative, tra cui misure di incentivazione delle aziende virtuose (come la priorità nell’assegnazione di contributi), agevolazioni e finanziamenti pubblici in materia ambientale alle imprese dotate di certificazioni ambientali e misure per incentivare il riuso.
Per ulteriori approfondimenti sui CAM, si rimanda al capitolo 18 del presente Manuale.
Nota: tra i provvedimenti attuativi del c.d. green public procurement, si segnalano di seguito quelli che hanno dettato i criteri ambientali minimi da rispettare per gli acquisti della Pubblica Amministrazione: a) D.M. 6 novembre 2023 recante l’adozione dei criteri ambientali minimi per gli affidamenti relativi ai servizi di ristoro e alla distribuzione di acqua di rete a fini potabili; b) D.M. 7 febbraio 2023 recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di parchi giochi, la fornitura e la posa in opera di prodotti per l’arredo urbano e di arredi per gli esterni e l’affidamento del servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria di prodotti per arredo urbano e di arredi per esterni; c) D.M. 7 febbraio 2023 recante i Criteri ambientali minimi per le forniture ed il noleggio di prodotti tessili ed il servizio di restyling e finissaggio di prodotti tessili; d) D.M. 19 ottobre 2022 recante i Criteri ambientali minimi per il servizio di organizzazione e realizzazione di eventi; e) D.M. 23 giugno 2022 recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di fornitura, noleggio ed estensione della vita utile di arredi per interni [Allegato - Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione ovvero Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (PAN GPP)]; f) D.M. 24 settembre 2021, recante la Modifica del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 29 gennaio 2021, recante «Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione di edifici e ambienti ad uso civile, sanitario e per i prodotti detergenti»; g) D.M. 17 giugno 2021, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisto, leasing, locazione, noleggio di veicoli adibiti al trasporto su strada; h) D.M. 17 maggio 2018, recante i Criteri ambientali minimi per la fornitura di calzature da lavoro non dpi e dpi, articoli e accessori di pelle; i) D.M. 28 marzo 2018, recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica; l) D.M. 11 ottobre 2017, recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici; m) D.M. 27 settembre 2017, recante i Criteri Ambientali Minimi per l’acquisizione di sorgenti luminose per illuminazione pubblica, l’acquisizione di apparecchi per illuminazione pubblica, l’affidamento del servizio di progettazione di impianti per illuminazione pubblica; n) D.M. 11 gennaio 2017, recante l’Adozione dei criteri ambientali minimi per gli arredi per interni, per l’edilizia e per i prodotti tessili; o) D.M. 18 ottobre 2016, recante l’Adozione dei criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di sanificazione per le strutture sanitarie e per la fornitura di prodotti detergenti; p) D.M. 5 febbraio 2015, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisto di articoli per l’arredo urbano; q) D.M. 13 febbraio 2014, recante i Criteri ambientali minimi per «Affidamento del servizio di gestione dei rifiuti urbani» e «Forniture di cartucce toner e cartucce a getto di inchiostro e affidamento del servizio integrato di ritiro e fornitura di cartucce toner e a getto di inchiostro»; r) D.M. 23 dicembre 2013, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisto di lampade a scarica ad alta intensità e moduli led per illuminazione pubblica, per l’acquisto di apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e per l’affidamento del servizio di progettazione di impianti di illuminazione pubblica - aggiornamento 2013; s) D.M. 13 dicembre 2013, recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico, per acquisto di Ammendanti - aggiornamento 2013, acquisto di piante ornamentali e impianti di irrigazione (Allegato 1) e forniture di attrezzature elettriche ed elettroniche d’ufficio - aggiornamento 2013 (Allegato 2); t) D.M. 4 aprile 2013, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisto di carta per copia e carta grafica - aggiornamento 2013; u) D.M. 24 maggio 2012, recante i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e per la fornitura di prodotti per l’igiene; v) D.M. 8 maggio 2012, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisizione dei veicoli adibiti al trasporto su strada; x) D.M. 7 marzo 2012, recante l’Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire nei bandi di gara della Pubblica Amministrazione per l’acquisto di servizi energetici per gli edifici - servizio di illuminazione e forza motrice - servizio di riscaldamento/raffrescamento; y) D.M. 25 luglio 2011, recante l’Adozione dei criteri minimi ambientali da inserire nei bandi di gara della Pubblica amministrazione per l’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari e serramenti esterni; z) D.M. 22 febbraio 2011, recante l’Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire nei bandi gara della Pubblica amministrazione per l’acquisto dei seguenti prodotti: tessili, arredi per ufficio, illuminazione pubblica, apparecchiature informatiche; aa) D.M. 12 ottobre 2009, recante i Criteri ambientali minimi per l’acquisto di ammendanti e per l’acquisto di carta in risme da parte della pubblica amministrazione.
2.7 Le Best available Techniques
2.7Le Best available TechniquesUn ulteriore esempio di strumento pubblico (anche questo individuato dall’Allegato IV-bis, Dir. 2018/851/UE) volto a favorire l’economia circolare è l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili (conosciute con terminologia inglese come Best available Techniques, il cui acronimo è BAT) per il trattamento dei rifiuti.
Già dalla definizione si evincono le potenzialità di una loro scelta: tecniche intese come quelle impiegate per le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura di un impianto; migliori qualificando quelle più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso e disponibili su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide, nell’ambito del pertinente comparto industriale per i costi e i vantaggi.
La precisa scelta terminologica in favore del sostantivo tecniche in luogo di tecnologie non dà adito a dubbi sulla completezza del concetto espresso: la riduzione dell’inquinamento e dei rifiuti deve essere perseguita mediante qualsiasi accorgimento, non necessariamente di tipo tecnologico, ma anche organizzativo ovvero procedimentale che consenta di raggiungere lo scopo perseguito.
Mentre, soffermandoci sull’aspetto della disponibilità, foriero di considerevoli difficoltà interpretative, è da dirsi come esso concerne l’accessibilità delle tecniche medesime, alla luce di una complessiva valutazione costi-benefici del loro impiego. Il vincolo della compatibilità economica è infatti particolarmente importante e qualificante ai fini dell’individuazione delle BAT, tanto che è entrato in uso l’acronimo BATNEEC, con il significato di Best Available Techniques Not Entailing Excessive Cost, e quindi di migliori tecniche disponibili che non comportino un costo eccessivo. In effetti, un’accurata valutazione del rapporto costi/benefici costituisce lo strumento primario per accertare la capacità di una soluzione presentata ad essere qualificata come BAT, di perseguire, nel contempo, l’elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso e l’interesse di chi poi dovrà applicare o prescrivere la soluzione stessa.
Le BAT sono individuate dai cosiddetti Documenti Brefs (Bat Reference Documents). I Documenti Brefs, espressi da gruppi tecnici di lavoro, con scambio di informazioni tra i Paesi membri e le industrie per migliorare la diffusione delle BAT, offrono una garanzia di un percorso dinamico nelle scelte che portano all’ottimizzazione della gestione attraverso le opzioni suggerite. Considerando vari campi attinenti a questo percorso, dalla fattibilità economica all’evoluzione scientifica, alla riduzione della pericolosità e dei rischi ed all’aumento dei benefici, si possono elencare le tecniche a bassa produzione di rifiuti, la prevenzione e la minimizzazione degli effetti dannosi in ogni fase del ciclo di vita ed in ogni step nella sequenza della gerarchia dei rifiuti.
Si cerca di valorizzare al meglio una o più delle caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche dei rifiuti che risultino più idonee al percorso di ri-prodotto ad alto valore aggiunto nel circuito commerciale. Ogni nuovo percorso è teso anche alla riduzione degli impatti ambientali. Le esigenze per questi nuovi percorsi risultano elevate, altrettanti sono i casi studio dimostrativi ai quali fare riferimento. Un esempio è dato dal trattamento meccanico-biologico dei rifiuti, il quale offre, attraverso sistemi via via più performanti, diversi materiali distinti e valorizzabili in ri-prodotti o in recuperi energetici. Nell’ottica delle migliori tecniche disponibili emergono nuove e significative esperienze, nonché la creazione di modelli di trattamento per flussi limitati, realizzabili in un territorio circoscritto e dove l’ottenimento dei prodotti possa soddisfare le esigenze di energia e materiali del territorio stesso. Ciò comporta limitazione dei trasporti e minori impatti ambientali rispetto a quelli di impianti di grossa taglia. I benefici sociali sarebbero quindi evidenti, così come la replicazione a cascata dei modelli attivati su territori più vasti.
Nota: particolarmente significativa, nella giurisprudenza penale di legittimità, l’affermazione secondo la quale, in tema di abusiva gestione di rifiuti, rientrano tra le “migliori tecniche disponibili” cui si riferiscono molteplici previsioni del D.Lgs. n. 152 del 2006 le prescrizioni tecniche contenute sia nelle “BAT” (Best Available Techniques) adottate dalla Commissione Europea e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che nelle “BREF” (Best Available Techniques Reference Documents), di cui la Commissione Europea cura la raccolta, sì che le stesse concorrono a definire il parametro autorizzatorio la cui inosservanza è sanzionata dall’art. 452-quaterdecies c.p. (Cass. pen., Sez. IV, 18 ottobre 2022, n. 39150, CED Cass. 283734).
2.8 Ulteriori strumenti per incentivare l’economia di tipo circolare
2.8Ulteriori strumenti per incentivare l’economia di tipo circolareCome è noto, il collocamento dei rifiuti in discarica, secondo la gerarchia dei rifiuti sancita dalla Dir. 2008/98/CE, rappresenta la soluzione meno preferibile, come del resto afferma espressamente l’art. 179, D.Lgs. n. 152/2006.

La “gerarchia dei rifiuti” come da Direttiva 2008/98/CE (immagine tratta da https://blog.ecolstudio.com/termovalorizzatori-economia-circolare/)
La discarica difatti, nel ciclo della gestione dei rifiuti, è un luogo dove vengono depositati oppure stoccati e fatti marcire in modo non selezionato e permanente i rifiuti solidi urbani e tutti gli altri rifiuti (anche umidi) derivanti dalle attività umane (come, ad es., detriti di costruzioni o scarti industriali) che, in seguito alla loro raccolta, non è stato possibile riciclare, inviare al trattamento meccanico-biologico eventualmente per produrre energia tramite bio-ossidazione a freddo, gassificare o, in extrema ratio, bruciare ed utilizzare come combustibile negli inceneritori. Inoltre, va sottolineato come una gestione errata dei rifiuti in una discarica causi inquinamento e, in generale, abbia un notevole impatto sull’ambiente. Più nello specifico, i rifiuti hanno un impatto sull’ambiente che è sia diretto (come nel caso dell’inquinamento del suolo), sia indiretto, in quanto tutto ciò che non viene riciclato o recuperato dai rifiuti rappresenta una perdita di materie prime e di altri fattori di produzione usati nella catena, vale a dire nelle fasi di produzione, trasporto e consumo del prodotto.
Nota: di particolare rilievo, in tale ottica, due decisioni della giurisprudenza amministrativa, che affrontando alcuni temi in materia di rifiuti, affermano apertamente che l’obiettivo della normativa in materia è appunto quello di creare una società del riciclaggio, in un’ottica di economia circolare. Entrambe prendono diretta ispirazione dalle politiche dell’Unione Europea e citano, in una prospettiva certamente molto ampia, oltre alle quattro Direttive sull’economia circolare, anche il Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, di cui alla comunicazione COM (2015) 614 final della Commissione europea del 2 dicembre 2015, affermando il carattere tassativo della gerarchia dell’elencazione tra le diverse forme di gestione dei rifiuti e confermando che, sul piano nazionale, l’art. 179 del D.Lgs. n. 152/2006 istituisce un vero e proprio ordine di priorità, vincolante in modo tassativo per le amministrazioni, le quali sono chiamate a minimizzare attivamente l’impatto sull’ambiente, sul paesaggio e sulla salute umana della gestione dei rifiuti. In questo senso, tra tutte le opzioni di gestione disponibili, il TAR ribadisce, seguendo un orientamento pacifico oramai da qualche decennio, che il conferimento in discarica è la meno preferita delle scelte (anche tra le diverse forme di trattamento, si deve aggiungere) e deve considerarsi del tutto residuale. In concreto, il TAR rigetta due ricorsi aventi un oggetto del tutto consimile, contro provvedimenti dell’amministrazione che avevano negato l’autorizzazione integrata ambientale per la realizzazione di due discariche nel territorio pugliese. Nel primo caso l’amministrazione aveva negato l’A.I.A. – autorizzazione integrata ambientale – per la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, con annessa cella per rifiuti di amianto (rifiuto questo, invece, pericoloso), sul territorio del comune di Serracapriola in Provincia di Foggia (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 4 marzo 2019, n. 342). Il secondo caso, il diniego di A.I.A. era relativo ad un progetto per la costruzione di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi e servizi annessi nel Comune di Lucera (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 18 marzo 2019, n. 396). Le due decisioni, in particolare, interpretano la normativa comunitaria affermando che la medesima si spinge sino a richiedere la sussistenza di una vera e propria impossibilità sia tecnica sia economica di ricavare una qualche utilità dal rifiuto prima di poterne consentire lo smaltimento. Ciò significa, in sostanza, che l’economia circolare e la società del riciclaggio impongono di mantenere la “cosa-rifiuto” nella sua interezza o nelle sue parti, all’interno del ciclo delle materie derivate sino al momento in cui non vi sia alcuna utilità residua ricavabile dal medesimo. L’economia circolare, quindi, in questa visione diventa rappresentabile non solo tramite un ciclo unico, ma attraverso spirali successive che si irradiano nei diversi settori economici, portando al minimo scarto e quindi al minimo conferimento in impianti di trattamento. Sulla base di queste premesse, è quindi ovvio, che il conferimento in discarica costituisca solo l’extrema ratio e quindi la soluzione meramente residuale, perché con tale sistema di gestione non vi è alcun utilizzo o valorizzazione del rifiuto, ma solo un rischio per l’ambiente. L’attività del privato che si proponga di realizzare una discarica, conclusivamente, secondo tali decisioni, deve quindi essere “utile e necessaria, nell’ambito della programmazione della gestione dei rifiuti, quale invero ultima ipotesi rispetto alla vigente implementazione dei parametri della vigente società del riciclaggio contemplata dalla direttiva U.E. 2008 (attuata dal d.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205), che sarà abbinata alla strategia della economia circolare introdotta dalle direttive U.E. 2018”.
Oltre a ciò, la soluzione tradizionale, imperniata sulla discarica, incontra limiti crescenti derivanti soprattutto dalla scarsità di suolo. Alcuni economisti sostengono che senza la componente della scarsità, i valori economici in gioco non dimostrerebbero con assoluta certezza la desiderabilità del recupero. L’effetto della scarsità si può misurare in una rendita di scarsità (percepita dai proprietari dei siti, dai comuni o dalla regione sotto forma di royalties ed ecotasse). In altre parole, se non vi fossero vincoli all’apertura di discariche, queste ultime, anche includendo i costi esterni, rappresenterebbero la soluzione meno costosa; ma una volta preso atto del vincolo, la situazione muta.
Quest’ultima considerazione è importante, soprattutto alla luce della tendenza del mercato a non anticipare per tempo la crisi, ma a precipitarvi in modo repentino non appena si profilano le prime difficoltà a realizzare nuovi siti. Fino a quel momento, la discarica esercita una sorta di concorrenza sleale, poiché chi può continuare a usarla non ha incentivo ad adottare soluzioni alternative e più costose, soprattutto se queste ultime implicano scelte politicamente difficili. Per evitare di precipitare nella crisi, è opportuna dunque una strategia normativa di prevenzione che accompagni l’uscita di scena della discarica, anticipando convenientemente il suo esaurimento introducendo tasse e altre forme di disincentivo.
Tuttavia, va rilevato che la discarica rappresenta un’opzione indispensabile per lo smaltimento definitivo del rifiuto finale (ultimate waste), cioè del rifiuto che non può più essere recuperato in alcun modo, tuttavia di questa soluzione se ne è fatto un abuso. Il problema è così sentito che già prima della Dir. 2018/85/UE, la Commissione Europea ha sancito obblighi che impongono agli Stati membri forti riduzione dei quantitativi di rifiuti biodegradabili da inviare a discarica, richiedendo che siano preventivamente sottoposti a trattamenti per il recupero di materia e di energia, che ne riducano anche drasticamente il volume prima dell’invio a smaltimento definitivo. In molti Paesi dell’Unione Europea (soprattutto in quelli con territori simili a quello italiano, con alti livelli di sismicità, elevata densità abitativa e ricchezza di corsi d’acqua sotterranei) si sono già effettuate scelte precise e decise, puntando su incentivi cospicui per la minimizzazione del rifiuto da portare a discarica, nonché su programmi credibili e fortemente finanziati per la bonifica dei siti di discariche esaurite. Un moderno sistema di gestione previsto dal Legislatore ha il compito di garantire che siano conferiti in discarica solo rifiuti che residuano da altre operazioni di trattamento, così da ottenere la massima protezione dei siti dove sono collocate le discariche.
Un ulteriore strumento pubblico sancito dall’Allegato IV-bis, Dir. 2018/851/UE, connesso a quello di disincentivazione dei rifiuti nelle discariche tramite tasse e restrizioni, è quello riguardante le campagne di sensibilizzazione pubblica, in particolare per ciò che concerne la raccolta differenziata, la prevenzione dei rifiuti e la riduzione della dispersione dei rifiuti. Infatti, se si guarda alle cosiddette nazioni a discarica zero, i grandi cambiamenti che nel recente passato hanno interessato il settore potrebbero suggerire che ci sia relativamente poco da inventare nei criteri di gestione, perlomeno quello dei rifiuti urbani, anche se certamente c’è ancora molto da fare in termini di comunicazione e di valutazioni oggettive.
Di fatto sono opportune adeguate misure per garantire una comunicazione, tempestiva, trasparente e corretta, indispensabile per conquistare un consenso consapevole dei cittadini. Anche attraverso sistemi di monitoraggio che garantiscano l’ambiente e la salute e consentano un dibattito serio dell’argomento, basato su dati certificati, a disposizione di tutti i cittadini, e non su affermazioni vaghe e preconcette o su slogan facili da proporre e da recepire, ma spesso privi di concretezza. È necessario coinvolgere il pubblico non-esperto in tutti gli stadi delle analisi decisionali, a partire dalla definizione degli scopi e obiettivi delle politiche di gestione. Esiste un’abbondante casistica di esperienze che conferma che un processo decisionale pubblico, adeguatamente pianificato e facilitato, oltre ad essere intrinsecamente trasparente, può far risparmiare tempo e denaro. È dimostrato altresì che il pubblico è assolutamente in grado di comprendere le questioni, se queste sono presentate in modo appropriato.
APPROFONDIMENTI
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A. De Carli, “Rifiuti: meglio l’inceneritore o la discarica? Analizziamo i sistemi di gestione”, in http://www.iefe.unibocconi.it/wps/allegatiCTP/IEFE%20Greenews_07%2010%2010.pdf;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo;
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E. Maschietto, Economia circolare e società del riciclaggio: la discarica nell’attuale quadro normativo, 2022, in https://rgaonline.it/article/economia-circolare-e-societa-del-riciclaggio-la-discarica-nellattuale-quadro-normativo/#_ednref8.
2.9 La Termovalorizzazione ed il recupero energetico
2.9La Termovalorizzazione ed il recupero energeticoMerita una disamina finale il ruolo dei termovalorizzatori, ossia degli inceneritori di rifiuti urbani solidi utilizzati come impianto di produzione di calore o elettricità, all’interno dell’economia circolare. Nel caso in cui il riciclo o il recupero di un prodotto non sia possibile, il cerchio dell’economia circolare si chiude infatti con i termovalorizzatori, al fine di evitare l’utilizzo delle discariche. Ai sensi della gerarchia di gestione dei rifiuti, definita dalla Direttiva Europea 2008/98/CE, i termovalorizzatori si collocano al quarto livello di priorità dopo prevenzione, preparazione per il riutilizzo e recupero di materia, mentre precedono lo smaltimento finale in discarica controllata, come reso palese dall’art. 179, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006. Di fatto è opportuno rilevare che non sempre è possibile garantire che un rifiuto (soprattutto quello ottenuto a valle di un processo di trattamento, ad es. di riciclo) possa essere destinato a recupero di materia ovvero nuovamente ad una operazione di riciclo. Ed è per questo che, come ricordato dalla Comunicazione della Commissione Europea COM/2017/34, gli Stati membri godono di una certa flessibilità nell’applicazione della gerarchia di gestione dei rifiuti, dato che l’obiettivo ultimo è incoraggiare le opzioni di gestione dei rifiuti che danno il miglior risultato ambientale. Nel caso di alcuni flussi di rifiuti specifici, per ottenere il miglior risultato ambientale, può quindi essere necessario discostarsi dall’ordine di priorità della gerarchia, tra l’altro per motivi di fattibilità tecnica, redditività economica e protezione dell’ambiente. Per questo è opportuno considerare il ruolo della termovalorizzazione per il recupero di energia dai rifiuti.
I processi di valorizzazione energetica dei rifiuti (in inglese waste to energy) hanno cominciato ad essere utilizzati oltre cinquant’anni fa, con un impiego crescente, particolarmente nei Paesi fortemente industrializzati dell’Europa e dell’Asia, a causa soprattutto della carenza di siti adeguati alle discariche controllate. Sono quindi utilizzati soprattutto nelle aree dove questa carenza è più forte e la localizzazione di discariche è in forte conflitto con altri aspetti, quali lo sviluppo delle città, l’agricoltura e il turismo. Negli ultimi vent’anni, anche a seguito dei notevolissimi miglioramenti delle prestazioni ambientali ed energetiche, la termovalorizzazione del rifiuto residuale alla raccolta differenziata e degli scarti combustibili delle filiere del riciclo, è divenuta una delle componenti essenziali per garantire una gestione integrata e sostenibile dei rifiuti urbani, perché rappresenta una serie di vantaggi, tra i quali: riduce drasticamente l’ammontare di rifiuto e quindi preserva preziosi volumi di discarica; distrugge diversi contaminati che possono essere presenti nel rifiuto o li concentra ed immobilizza per consentirne il riutilizzo e/o lo smaltimento in sicurezza; recupera metalli (ferrosi e non) contenuti nelle ceneri di fondo. Ulteriori aspetti significativi sono la riduzione delle emissioni di gas serra da decomposizione anaerobica dei rifiuti organici, nonché la valorizzazione in modo compatibile dell’energia del rifiuto con sensibili risparmi di emissione molto più severi. Quest’ultimo aspetto è sicuramente poco noto, in quanto esiste ancora una diffusa convinzione che i termovalorizzatori comportino gravi conseguenze per l’ambiente e la salute umana.
Inoltre, va considerato che per quanto concerne l’efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l’energia elettrica, ma aumenta molto col recupero del calore (cogenerazione). Tipicamente per ogni tonnellata di rifiuti trattata possono essere prodotti circa 0,67 MWh di elettricità e 2 MWh di calore per teleriscaldamento. Quindi le prestazioni ambientali dei moderni, nuovi impianti di termovalorizzazione, che devono rispettare i nuovi limiti di emissione inferiori di ordini di grandezza a quelli precedenti, sono notevolmente migliorate nell’ultimo ventennio, e sono oggi valutate pari a quelle di un’industria di media dimensione. Ciò nonostante, la paura dell’inquinamento ancora trascina gli impianti di trattamento termico al centro del dibattito emozionale del pubblico, per la massima parte basato su percezioni vaghe, piuttosto che su evidenze obiettive e scientifiche. Per vincere questi timori e dimostrare l’affidabilità ambientale di questi impianti, i costruttori continuano a mettere a punto sempre nuove soluzioni impiantistiche per migliorare le prestazioni, sia del processo di conversione del rifiuto (per combustione o gassificazione), sia dei sistemi di controllo dell’inquinamento, per ciò che riguarda le emissioni in atmosfera, ma anche la natura e la riutilizzabilità dei residui solidi prodotti (nella doppia ottica di minimizzare il ricorso alla discarica e di incentivare azioni di simbiosi industriale). I dati degli impianti moderni garantiscono emissioni nell’ambiente trascurabili rispetto ad altre attività umane.
Nota: i primi provvedimenti che tengono conto del rapporto tra termovalorizzazione ed economia circolare hanno riguardato in particolare la Capitale, tutti emanati dal Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa cattolica 2025, nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, in ordine cronologico, si v.: 1) Ord. 1° dicembre 2022, n. 8 (Attività propedeutiche volte alla realizzazione nel territorio di Roma Capitale di un impianto di termovalorizzazione autorizzato con operazione R1, di capacità di trattamento pari a 600.000 t/anno di rifiuti, di cui all’allegato C, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni; 2) Ord. 2 gennaio 2023, n. 1 (Modifica ed integrazione dell’ordinanza commissariale n. 1 del 16 giugno 2022, prorogata con ordinanza n. 4 del 12 agosto 2022, limitatamente allo stabilimento AMA S.p.a. sito in via Benedetto Luigi Montel 61/63 - Roma, loc. Ponte Malnome; 3) Ord. 19 gennaio 2023, n. 2 (Autorizzazione all’installazione e all’esercizio di due linee mobili di tritovagliatura presso lo stabilimento AMA di viale dei Romagnoli 1167 - Roma); 4) Ord. 6 aprile 2023, n. 8 (Impianto di trattamento meccanico biologico di A.M.A. S.p.a. sito in Roma in via di Rocca Cencia, 301: modifica dell’AIA di cui alla determinazione regionale n. G10701 del 5 agosto 2022 come modificata ed integrata dall’ordinanza n. 6 del 31 ottobre 2022. Attivazione del sistema di by-pass della sezione di stabilizzazione aerobica); 5) Ord. 1° giugno 2023, n. 14 (AMA S.p.a. - Stabilimento sito in via Benedetto Luigi Montel n. 61/63 - Roma, loc. Ponte Malnome - Attività di trasferenza di rifiuti urbani autorizzata con ordinanze commissariali n. 1 del 16 giugno 2022 e n. 1 del 2 gennaio 2023. Aumento dei quantitativi di rifiuti in stoccaggio istantaneo e miglioramento delle dotazioni e della logistica); 6) Ord. 29 settembre 2023, n. 20 (Provvedimento autorizzatorio unico regionale relativo al progetto «Realizzazione impianto di selezione e valorizzazione delle frazioni secche da raccolta differenziata di Ponte Malnome, nel Comune di Roma, Municipio XI, Città metropolitana di Roma Capitale, in località Ponte Malnome, via Benedetto Luigi Montel, 61/63 e riesame con valenza di rinnovo dell’AIA di cui alla determinazione n. B02442 del 30 aprile 2012 e successive modificazioni ed integrazioni, della Regione Lazio. Proponente: società AMA S.p.a.»); 7) Ord. 16 novembre 2023, n. 27 (Project financing ai sensi dell’art. 193 del decreto legislativo n. 36/2023 - Proposta di partenariato pubblico privato in finanza di progetto per l’«Affidamento della concessione del polo impiantistico relativo alla: a) progettazione, autorizzazione all’esercizio, costruzione e gestione di un impianto di termovalorizzazione autorizzato con operazione R1, e capacità di trattamento pari a 600.000 ton/anno di rifiuti; b) progettazione, autorizzazione all’esercizio, costruzione e gestione dell’impiantistica ancillare deputata alla gestione dei rifiuti residui decadenti dal trattamento termico, la mitigazione delle emissioni di anidride carbonica e l’ottimizzazione della distribuzione dei vettori energetici recuperati»). Lucidamente, tuttavia, autorevole dottrina (Amendola) ha osservato come la problematica dei termovalorizzatori non può essere affrontata astrattamente in chiave ideologica ma, così come impone la normativa comunitaria, deve essere valutata caso per caso, facendo riferimento ai principi dell’economia circolare e della gerarchia dei rifiuti, con la consapevolezza che ad essa si può ricorrere solo come terza opzione (male minore), dopo la prevenzione ed il riciclaggio. E pertanto occorre prima adottare provvedimenti atti ad evitare la formazione di rifiuti (“il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”); impedendo, cioè, che un prodotto divenga un rifiuto di cui disfarsi. Ad esempio, evitando prodotti monouso e vuoti a perdere. Esattamente, cioè, osserva l’Autore, quello che il nostro paese non ha mai fatto, arrivando recentemente, nel D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 196 (che ha recepito la direttiva (UE) 2019/904, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente) ad inventarsi addirittura una micidiale deroga alla direttiva esonerando dal divieto di messa in commercio i “prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile… con percentuali di materia prima rinnovabile”.
APPROFONDIMENTI
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Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare, COM/2017/34, Bruxelles, 26 gennaio 2017;
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P. De Stefanis, “Il ruolo del recupero energetico all’interno del ciclo integrato di gestione dei rifiuti”, in https://www.arpae.it/rimini/download/Convegno%20Inceneritore%20giu06/Incenerit_Slide_mattina_06/04_DeStefanis_incener_06.pdf;
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F. Tibone, “La centrale AEM di Moncalieri”, in https://web.archive.org/web/20070927035519/http://www.torinoscienza.it/img/pdf/it/s10/00/0023/00002379.pdf;
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Renosam-Ramboll, “The Danish waste to Energy facility”, in https://web.archive.org/web/20120723071110/http://viewer.zmags.com/showmag.php?mid=wsdps;
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C.A. Paladino, Economia circolare e gestione dei rifiuti, Luiss, Tesi per la cattedra di diritto ambientale, a/a 2017/2018, cui si deve pressoché integralmente lo sviluppo del presente paragrafo;
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G. Amendola, Rifiuti. La problematica dei termovalorizzatori tra normativa comunitaria, decreto “sblocca Italia”, corte europea di giustizia e corte costituzionale, 2022, in https://lexambiente.it/materie/rifiuti/179-dottrina179/16474-rifiuti-la-problematica-dei-termovalorizzatori-tra-normativa-comunitaria,-decreto-“sblocca-italia”,-corte-europea-di-giustizia-e-corte-costituzionale.html.