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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

    Precedente 300 Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231
    Successivo 301 bis Estinzione agevolata degli illeciti amministrativi a seguito di regolarizzazione
    Mostra tutte le note

    1. Alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758.1

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: Premessa: Le contravvenzioni antinfortunistiche come reati di pericolo - 1. Il D.Lgs. n. 758/1994 - 2. La prescrizione dell'organo di vigilanza come atto di polizia giudiziaria - 3. Riabilitazione negata all'imprenditore nuovamente denunciato - 4. La continuazione tra le contravvenzioni - 5. La permanenza delle contravvenzioni antinfortunistiche - 6. Adempimento alla prescrizione e attenuante del ravvedimento - 7. Peculato per pagamento di oblazione da parte di società in house per contravvenzioni antinfortunistiche - 8. Il regime d'impugnazione - 9. Violazione antinfortunistica e inottemperanza a ordine sindacale - 10. La prescrizione di cui all'art. 15 D.Lgs. n. 124/2004 - 11. Traduzione dell'atto di prescrizione .

    ``La doglianza dell'imputato si limita sostanzialmente a contestare l'esistenza di un nesso eziologico tra l'infortunio occorso al lavoratore e le violazioni a sé contestate, come se oggetto del processo fosse il delitto di cui all'articolo 590 c.p. Al contrario, le violazioni contestate sono tutte fattispecie contravvenzionali di `pericolo astratto', ascritte al datore di lavoro per la mera inosservanza di obblighi sullo stesso incombenti. In riferimento ai reati di pericolo, la valutazione in ordine all'offesa al bene giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico `ex ante', essendo irrilevante l'assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione. In questo settore del diritto penale, il compito del giudice di merito si risolve in un accertamento diretto a verificare, specialmente nell'interpretazione dei reati di pericolo, che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato dalla disposizione incriminatrice. Infatti, nei reati di pericolo, l'offesa al bene giuridico protetto si traduce in un nocumento potenziale dello stesso, che viene soltanto minacciato. Il pericolo di offesa al bene giuridico sorge, potendo perciò ritenersi integrata la categoria penalistica del `pericolo', quando, secondo un giudizio ex ante e secondo le evidenze disponibili certificate dalla migliore scienza ed esperienza, appare probabile che, secondo l'id quod plerumque accidit, dalla condotta consegua l'evento lesivo che il legislatore, anticipando il momento della tutela, intende scongiurare. Questa è la ragione per la quale, in conformità alla funzione preventiva dei reati di pericolo e nel rispetto assoluto del principio della personalità della responsabilità penale, è essenziale che la valutazione circa l'esistenza e la consistenza dell'offesa debba essere retrocessa al momento della condotta, dovendo il giudice (e, più in generale, l'interprete) fare ricorso ad un giudizio prognostico ex ante. Alla stregua di tali principi, non può ritenersi che, nella specie, i reati siano stati ritenuti integrati nei loro elementi costitutivi sulla base di una condotta formalmente inosservante, ma totalmente inoffensiva, in quanto nelle condotte riscontrate deve ritenersi contenuto un disvalore tale da concretizzare la messa in pericolo della sicurezza sul lavoro quale bene finale tutelato dalle norme incriminatrici. Non può parlarsi, infatti, di infrazioni aventi natura esclusivamente formale, poiché sicuramente l'inosservanza delle prescrizioni determina situazioni intrinseche di rischio, essendo suscettibili di mettere in pericolo l'incolumità e la stessa vita dei lavoratori che si trovino ad operare in assenza dei necessari presidi di sicurezza''.

    L'art. 301, D.Lgs. n. 81/2008 dispone che la procedura di «prescrizione ed estinzione del reato di cui agli artt. 20 e seguenti del D.Lgs. n. 758/1994» sia applicabile «alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda». La disciplina in materia è così ricostruita da:

    ``Secondo quanto stabilito dall'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994, nel caso in cui l'organo di vigilanza abbia accertato la commissione di un reato in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, esso impartisce al contravventore, allo scopo di eliminare la contravvenzione, un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario (comma 1), prescrizione con la quale l'organo può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro (comma 3)''; ``a mente dell'art. 21 D.Lgs. n. 758/1994, entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione (comma 1)'', ``e quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione accertata''; ``entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione nonché l'eventuale pagamento della predetta somma (comma 2), quando, invece, risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione (comma 3)''; ``ai sensi del successivo art. 23, il procedimento penale per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3''; ``infine, secondo il disposto di cui all'art. 24, se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2, la contravvenzione si estingue e il pubblico ministero richiede l'archiviazione della notitia criminis''. (In termini Cass. 27 ottobre 2020, n. 29818).

    La Sez. III nega che ``la procedura amministrativa condizioni l'esercizio dell'azione penale'' e afferma che ``l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale e non preclude comunque al contravventore di definire la propria posizione attraverso l'oblazione in sede amministrativa o in sede penale''. Precisa che ``all'ipotesi dell'omesso espletamento della procedura amministrativa debba essere equiparata l'ipotesi in cui la procedura di estinzione sia stata espletata in modo irrituale o in cui il datore di lavoro abbia adempiuto in modo difforme da quello consigliato nelle prescrizioni''. Ritiene che ``l'irritualità della procedura non impedisca all'imputato di estinguere il reato mediante l'oblazione ai sensi dell'art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994, nonché ricorrendo al generale istituto della oblazione delle contravvenzioni di cui all'art. 162-bis c.p. di talché la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata''. Considera irrilevante ``la irritualità della notifica al datore di lavoro dell'atto di avvio della procedura amministrativa che può condurre all'estinzione del reato'': ``trattandosi di fase amministrativa, vige il principio di libertà di forme, posto che il legislatore non ha prescritto alcuna specifica formalità per la notificazione del verbale di prescrizioni impartite ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994, purché tale notifica sia idonea al raggiungimento dello scopo di assicurare la conoscenza del suo contenuto da parte del destinatario'', per cui è sufficiente qualsiasi modalità idonea a comunicare il contenuto dell'atto, rimanendo a carico del destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato, senza sua colpa, nella impossibilità di acquisirne la conoscenza''. Con riguardo al caso di specie, rileva: ``La comunicazione con cui il Dipartimento di sanità pubblica della Regione ha richiesto documentazione è stata notificata presso la ditta, incorrendo in un evidente errore materiale nella indicazione del nome di battesimo del legale rappresentante. La ditta, a riscontro di tale richiesta, ha fornito le informazioni richieste, precisando il nome del rappresentante legale e altre informazioni. Mediante pec, il Dipartimento di sanità pubblica ha inviato al datore di lavoro, indicando correttamente il suo nome di battesimo, presso la sede della ditta, il verbale di prescrizione con il quale venivano indicati gli adempimenti da effettuare per ciascuna delle violazioni contestate. Le comunicazioni sono pervenute presso la sede della società di cui l'imputato è legale rappresentante, e la società ha anche parzialmente adempiuto alle prescrizioni. Né l'imputato ha dedotto alcun elemento che dimostri di essersi trovato nella impossibilità, senza sua colpa, di acquisire la conoscenza della contestazione delle violazioni e dell'invito ad ottemperare alle prescrizioni, correttamente notificate presso la società. In ultimo, la società ha avanzato istanza di differimento dell'adempimento delle prescrizioni, lamentando di non aver ricevuto alcuna risposta. Il silenzio dell'amministrazione non ha determinato alcuna aspettativa di accoglimento dell'istanza stessa, né determina alcuna sospensione dei termini''.

    Condannata per contravvenzioni antinfortunistiche, una datrice di lavoro deduce che ``la procedura di definizione prevista dall'art. 24 D.Lgs. n. 758/1994, trattandosi di condizione di procedibilità dell'azione penale, non sarebbe stata correttamente esperita''. Sostiene in proposito che ``l'imputata, all'atto del controllo, non era presente e il verbale contenente le prescrizioni venne consegnato al socio'', là dove ``tale verbale avrebbe dovuto esserle notificato''. Ne desume che ``difetterebbe la prova della notifica, con conseguente irregolarità della procedura di definizione, ciò che le avrebbe impedito di provvedere alla definizione in via amministrativa''. La Sez. III non è sul punto d'accordo. Prende atto che ``il verbale contenente le prescrizioni da adempiere ex art. 24 D.Lgs. n. 758/1994 venne consegnato al socio, presente all'accertamento'', e che l'imputata contesta ``non la mancata conoscenza del verbale di accertamento, quanto, piuttosto, la mancata regolarità della procedura, che avrebbe imposto la notifica del predetto verbale all'imputata, quale amministratore unico della società''. Ricorda che ``questa Corte'' ha ``già affermato che ai fini dell'estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro il legislatore non ha prescritto che il verbale di ammissione al pagamento della sanzione amministrativa sia formalmente notificato al contravventore, per cui è sufficiente qualsiasi modalità idonea a comunicare il contenuto dell'atto, rimanendo a carico del destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato, senza sua colpa, nella impossibilità di acquisirne la conoscenza''. E nota che ``quanto affermato dall'imputata, diversamente, esclude che ella non abbia avuto conoscenza del verbale''.

    Un datore di lavoro condannato con decreto penale per violazioni antinfortunistiche lamenta che ``l'azione penale era stata esercitata prima della scadenza dei termini di adempimento fissati dall'organo accertatore col verbale di prescrizione'', e che, quindi, ``non poteva sussistere condizione di procedibilità''. La Sez. III, per contro, disattende l'``orientamento secondo il quale la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758/1994 configura un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale, la cui completezza il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio'', e insegna: ``La violazione della procedura amministrativa da parte dell'organo di vigilanza non è causa di improcedibilità dell'azione penale. Deve darsi un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata negli artt. 20-24 D.Lgs. n. 758/1994 anche in relazione all'art. 112 Cost., posto che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale. Il contrario orientamento appare incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Anche in caso di mancato perfezionamento della procedura, il contravventore ben può fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata. Non consta che l'imputato abbia avanzato una tale prodromica richiesta, e non può in questa sede pretendere una declaratoria di improcedibilità dell'azione penale, che contrasterebbe con l'art. 112 Cost. Non sussiste alcun `diritto' del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall'organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere, dal momento che egli è comunque tenuto a `regolarizzare', ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro - anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell'organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare `specifiche misure', e in ogni caso egli, ove abbia `regolarizzato', adottando misure equiparabili a quelle che l'organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall'organo di vigilanza. La stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza 12 febbraio 1998, n. 19) aveva individuato la norma di cui all'art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994, la quale, nel prevedere e disciplinare una situazione `anomala' rispetto al procedimento tipico, aveva utilmente indicato l'iter di risoluzione delle evenienze che potevano maturare nel procedimento, laddove, in definitiva, l'interesse dell'ordinamento all'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro si colloca in posizione di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale''. (In termini Cass. 27 ottobre 2020, n. 29818).

    ``Nell'ipotesi in cui l'organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione, l'esercizio dell'azione penale non ne verrebbe condizionato, essendolo, all'opposto e per un limitato periodo di tempo, ove tali prescrizioni vengano impartite. La prescrizione di regolarizzazione può, ma non deve, essere impartita dall'organo di vigilanza il quale, ab origine (art. 20 D.Lgs. n. 758/1994), o successivamente (art. 22 D.Lgs. n. 758/1994), può determinarsi a non impartirne alcuna. L'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non potrebbe determinare l'improcedibilità dell'azione penale''.

    Condannato per violazione dell'art. 92, comma 1, D. Lgs. n. 81/2008 per non aver aggiornato il piano di sicurezza e coordinamento, un coordinatore per l'esecuzione dei lavori deduce che ``non era seguita l'attivazione della procedura amministrativa di cui all'art. 20 e ss. L. n. 758/1994'', e che ``il preventivo esperimento della procedura di definizione amministrativa costituiva una condizione di procedibilità dell'azione penale''. Al proposito, pur prendendo atto che nel caso di specie ``il tribunale non ha esplorato il tema dell'estinzione in sede amministrativa della contravvenzione mentre l'imputato non risulta che abbia richiesto di essere ammessa alla procedura d'oblazione'', la Sez. III si fa carico di ``un problema spinoso che ha registrato orientamenti contrastanti''. Ricorda che, ``secondo l'impostazione risalente di questa Sezione, in tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D. Lgs. n. 758/1994 configurava un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale la cui completezza il giudice era tenuto ad accertare d'ufficio'', e che, ``tuttavia, più recentemente, questa stessa Sezione ha opinato nel senso che, anche in ipotesi di assenza di prescrizioni, la parte può attivarsi in proprio, anticipando la soluzione di eventuali problemi tecnici o chiedendo l'ammissione alla procedura di oblazione''.

    La Sez. III premette che, ``benché l'art. 21 D.Lgs. n. 758/1994 fissi il dovere dell'organo di vigilanza di ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa nel caso in cui la violazione sia stata eliminata `secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione', ciò non esclude che altrettanto debba farsi laddove ricorrano analoghe situazioni, dovendo il sistema di definizione in via amministrativa delineato dal D.Lgs. n. 758/1994 essere interpretato in senso costituzionalmente orientato come ritenuto in numerose pronunce della Corte costituzionale intervenute sul tema (v. la sent. 12 febbraio 1998, n. 19 e le ordd. 24 maggio 1999, n. 205 e 9 aprile 2003, n. 192)''. Sottolinea che, ``in particolare, nella prima delle richiamate decisioni, la Corte costituzionale, premesso che la disciplina normativa in esame mira, `da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni, e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale', ha ritenuto che `entrambe le ragioni che ispirano la disciplina in esame ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell'organo di vigilanza: anzi, è plausibile e ragionevole sostenere che a maggior ragione dovrebbe essere ammesso alla definizione in via amministrativa, in vista dell'estinzione del reato e della conseguente richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione' (Corte cost., sent. n. 19/1998)''. Nota che, ``osservando come `lo stesso legislatore abbia espressamente previsto due situazioni anomale rispetto al procedimento tipico' -vale a dire quelle indicate negli artt. 22, comma 1, e 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994 - nella citata sent. n. 19/1998 la Corte costituzionale ha ritenuto che alle stesse previsioni possa farsi ricorso in via analogica per colmare eventuali `lacune' dipendenti dall'obiettiva difficoltà di prevedere in astratto tutte le possibili situazioni equipollenti a quelle disciplinate dalla legge''. Con riguardo al caso di specie, precisa che, ``in applicazione di questi principi, l'eliminazione delle conseguenze pericolose del reato conseguente allo spostamento delle attività scolastiche in un'altra sede prima del decorso del termine stabilito per l'adempimento della prescrizione avrebbe dunque legittimato il contravventore a fruire del meccanismo di estinzione del reato con pagamento della sanzione ridotta, in via amministrativa a seguito di provvedimento di ammissione emesso dall'organo di vigilanza, ovvero perfezionando l'oblazione in via giudiziale ai sensi dell'art 24, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994''. Ritiene che, ``pur potendosi dunque ritenere che, nel caso di specie, l'imputato dovesse essere ammesso al pagamento della sanzione amministrativa a norma dell'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994, - in conformità al più recente e maggioritario orientamento di legittimità - la violazione della procedura amministrativa da parte dell'organo di vigilanza non sia causa di improcedibilità dell'azione penale''. Spiega che ``deve darsi un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 ss. D.Lgs. n. 758/1994 anche in relazione all'art. 112 Cost., posto che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale''. Aggiunge che ``il contrario orientamento da ultimo affermato da Cass. 8 settembre 2016 n. 37228 (`in tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sociale e lavoro, l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 758/1994, è causa di improcedibilità dell'azione penale') appare incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale'', e che ``in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata”.

    (Per una analisi del tema con specifico riguardo alla prescrizione impartita ai sensi dell'art. 318-ter D.Lgs. n. 152/2006 v. Cass. 23 giugno 2021, n. 24483, ove si afferma che “l'art. 318-bis D.Lgs. n. 152/2006 pone una precisa linea di confine di tale meccanismo estintivo rispetto alla fattispecie `premiale' prevista, dall'art. 452-decies c.p. (ravvedimento operoso), a beneficio degli autori dei delitti ivi previsti, definendo l'ambito di applicazione delle successive norme alle sole contravvenzioni sanzionate dal medesimo decreto n. 152, cit., a condizione che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”, e si insegna che “non è un provvedimento amministrativo, ma un atto tipico di polizia giudiziaria non autonomamente né immediatamente impugnabile davanti al giudice penale, restando ogni questione devoluta al giudice penale successivamente all'esercizio dell'azione penale o alla richiesta di archiviazione”).

    B ) Art. 20, D.Lgs. n. 758/1994: prescrizione ed estinzione del reato

    Un tema reiteratamente sollevato nella prassi è quello relativo alla notifica della prescrizione rilasciata dall'organo di vigilanza e del provvedimento di ammissione all'oblazione:

    “Ai fini dell’estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro il legislatore non ha prescritto che il verbale di ammissione al pagamento della sanzione amministrativa sia formalmente notificato al contravventore, per cui è sufficiente qualsiasi modalità idonea a comunicare il contenuto dell’atto (ad es. la spedizione di lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, rimanendo a carico del destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato, senza sua colpa, nella impossibilità di acquisirne la conoscenza”. (V. pure, ampiamente, retro, sub A), Cass. 26 ottobre 2023 n. 43328).

    Anzitutto, la n. 4701/2020 osserva: ``La determinazione delle prescrizioni atte ad eliminare la contravvenzione e dell'importo della somma da pagarsi a titolo di oblazione amministrativa sono atti, che, pur inserendosi nel corso del procedimento penale, non hanno natura di atti del detto procedimento, conservando la loro natura di atti di carattere amministrativo. Al sub procedimento volto alla comunicazione all'interessato del loro contenuto non si applicano le disposizioni previste dal codice di rito penale per le notificazioni degli atti del processo fra le quali vi sono quelle relative alle notificazioni presso il domicilio eletto contenute negli artt. da 161 a 164 c.p.p. Valgono - anche laddove le stesse abbiano, come nella fattispecie, dei significativi riverberi nella materia penale, in quanto espressive di un principio generale valido, ed ove non contraddette da disposizioni di almeno pari rango, in tutte le branche del diritto - le regole dettate dagli artt. 1334 e 1335 c.c., in base al quale si presume conosciuto al destinatario il contenuto dell'atto ricettizio che sia pervenuto presso il suo domicilio, a meno che questi non fornisca la prova del contrario''.

    Nel caso esaminato dalla n. 1996/2020, un datore di lavoro, condannato per più contravvenzioni antinfortunistiche, lamenta, in particolare, che, ``in tema di notificazione di atti alla persona giuridica, la legge consente la notifica dell'atto al l.r. in luogo della sede legale e/o operativa della società solo ove dal contenuto dell'atto da notificare emergano i dati anagrafici del l.r. nonché l'indirizzo di residenza, di domicilio o dimora abituale'', là dove ``dall'esame del verbale, invece, risulterebbe solo il nome del l.r. ma non il suo luogo di residenza, domicilio né di abituale dimora''. Deduce, inoltre, che, ``in caso di mancata consegna'', ``l'agente postale avrebbe dovuto inviare al notificando la c.d. CAD (comunicazione di avvenuto deposito)'', e che, per contro, ``difetta l'attestazione della giacenza del plico presso l'ufficio postale per il periodo di almeno dieci giorni consecutivi''. La Sez. III rileva: ``In tema di contravvenzioni antinfortunistiche, la notifica del verbale di prescrizioni al datore di lavoro, redatto dall'organo di vigilanza ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994, può avvenire anche a mezzo del servizio postale e, qualora la raccomandata non venga consegnata per l'assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, si perfeziona per compiuta giacenza. Ai fini dell'estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, il legislatore non ha prescritto che il verbale di ammissione al pagamento della sanzione amministrativa sia formalmente notificato al contravventore, per cui è sufficiente qualsiasi modalità idonea a comunicare il contenuto dell'atto, rimanendo a carico del destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato, senza sua colpa, nella impossibilità di acquisirne la conoscenza. L'imputato si è limitato ad eccepire l'asserita irregolarità della notifica per compiuta giacenza eseguita presso il suo indirizzo di residenza ma non presso la sede legale, modalità del tutto corretta, in quanto ad essere chiamato all'adempimento delle prescrizioni impartite è il contravventore-persona fisica, attivandosi con la comunicazione del verbale al contravventore ex D.Lgs. n. 758/1994 una procedura mista amministrativo/penale nei confronti dell'indagato e non certo della società, non costituendo le violazioni addebitate reati presupposto della responsabilità dell'ente, prevista solo per i delitti richiamati all'art. 25-septies, D.Lgs. n. 231/2001''. A questo punto, la Sez. III si fa carico dell'eccepita ``nullità assoluta per mancata notifica della comunicazione di avvenuto deposito''. Pone in risalto ``l'assoluta libertà di forma del procedimento di comunicazione al contravventore del verbale ex art. 20 D.Lgs. n. 758/1994''. Precisa che ``la procedura il cui mancato rispetto è invocato dalla difesa dell'imputato riguarda esclusivamente il procedimento di notifica di un atto giudiziario, dunque non estensibile al caso in esame, in cui ad essere notificato è un verbale redatto da un organo amministrativo nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria''. Spiega che ``condizione imprescindibile per il perfezionamento della notifica è la spedizione delle Comunicazioni di Avvenuto Deposito (ossia i c.d. CAD) nel caso in cui, nelle notifiche effettuate a mezzo posta, l'agente postale non possa consegnare il piego per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza di persone idonee a ricevere fa notifica'', e che ``è solo dall'invio del CAD che decorre il termine di dieci giorni necessari per il perfezionamento della notifica per compiuta giacenza, così come previsto dall'art. 8, comma 2, L n. 890/1982''. Ma subito aggiunge che ``si tratta di normativa, quest'ultima, che trova applicazione solo per le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, non dunque in relazione a procedimenti notificatori non relativi ad atti giudiziari, come nel caso di specie''. Per di più, nota che ``l'eccezione difensiva non avrebbe comunque pregio quand'anche si ritenesse applicabile detta procedura anche alle notifiche di atti diversi da quelli giudiziari, posto che costante è l'orientamento secondo cui la notifica a mezzo della posta eseguita al domicilio dichiarato mediante consegna dell'atto a persona abilitata diversa dal destinatario si perfeziona con la ricezione della relativa raccomandata, mentre l'ulteriore comunicazione al destinatario preordinata ad informarlo del recapito dell'atto a soggetto abilitato, ex art. 7, comma 2, della L. n. 890/1982, costituisce solo una modalità di rafforzamento della procedura di notificazione già perfezionatasi, con la conseguenza che non è necessaria la prova che il destinatario la abbia ricevuta, ma è sufficiente l'attestazione dell'invio''. (V. pure Cass. 13 gennaio 2021, n. 1122).

    ``Il legislatore non ha prescritto alcuna specifica formalità per la notificazione del verbale di prescrizioni impartite ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, purché essa sia idonea al raggiungimento dello scopo di assicurare la conoscenza del suo contenuto da parte del destinatario. Nella specie, il personale di vigilanza, dopo aver eseguito l'accesso nel cantiere dell'imputato, alla presenza del capo cantiere e di quattro lavoratori, assente l'imputato, verificò l'avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte giusta verbale di verifica dell'ottemperanza, ciò comprovando che quanto oggetto di prescrizioni era stato regolarmente non solo comunicato al contravventore da chi era presente sul luogo al momento dell'accertamento, ma anche eseguito, ciò che è sufficiente a ritenere assolto l'onere della prova spettante sulla Pubblica Accusa circa l'avvenuta comunicazione della violazione accertata''.

    L'amministratrice di una s.p.a., condannata per più violazioni antinfortunistiche, lamenta la violazione degli artt. 20 e 21 D.Lgs. n. 758/1994, per l'omessa notifica del verbale di accertamento e del provvedimento di ammissione alla oblazione speciale al legale rappresentante della società e all'imputata. La Sez. III ritiene irrilevante ``la omessa notificazione del verbale di accertamento delle contravvenzioni alla società, essendo richiesta, ai fini della procedibilità dell'azione penale nei confronti del contravventore, solamente la notificazione a quest'ultimo, onde consentirgli di avvalersi della facoltà di estinguere le violazioni attraverso l'adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza, ai sensi dell'art. 24 D.Lgs. n. 758/1994''. E così prosegue: ``l'obbligo di notificazione anche al legale rappresentante della società, se diverso, come nella specie, dal contravventore, assolve solamente alla funzione di informare la società dell'accertamento delle violazioni, onde eventualmente concorrere e partecipare alla eliminazione delle loro conseguenze, rimessa pur sempre, al fine di potersi avvalere di detta causa di estinzione delle violazioni, al contravventore (che non ha prospettato difficoltà od ostacoli frapposti dalla società, con la conseguente irrilevanza, anche sotto questo profilo, della mancata notificazione al legale rappresentante della società del verbale di accertamento). Anche l'omessa notificazione all'imputata del provvedimento di ammissione alla oblazione speciale di cui all'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/19944, non determina l'improcedibilità dell'azione penale, in quanto non è necessaria una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dagli organi di vigilanza, essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di rendere edotto il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine; nella specie, tale comunicazione era conosciuta da tempo dall'imputata, essendo, tra l'altro, anche presente all'interno del fascicolo del Pubblico Ministero. L'imputata, comunque, avrebbe potuto richiedere, ricorrendone i presupposti, di essere rimessa in termini, non costituendo la prova del pagamento delle somme di cui all'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994, condizione di procedibilità né di punibilità''.

    ``All'integrazione della fattispecie estintiva concorre, quale elemento imprescindibile, il tempestivo pagamento dell'oblazione''.

    ``In tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, pur configurando un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale, non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A., essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine'' (nella fattispecie, ``la comunicazione dell'ammissione al pagamento era avvenuta con la notifica presso la sede dell'ente regolarmente ricevuta da un'addetta, in assenza di osservazioni da parte dell'imputato sull'impossibilità di conoscenza dell'avviso'').

    Condannata per più violazioni antinfortunistiche, la titolare di un'impresa edile eccepisce ``la carenza di procedibilità dei reati contestati, per la mancata notifica del verbale che ammetteva la parte al pagamento della sanzione amministrativa, per cui nei suoi confronti non era mai iniziato a decorrere il termine per avvalersi, pagando la sanzione, della causa estintiva del reato, fermo restando che le prescrizioni imposte risultavano comunque adempiute''. La Sez. Fer. non condivide questa argomentazione. Prende atto che, ``all'esito di un sopralluogo di verifica dello S.P.I.S.A.L., veniva accertato l'adempimento delle prescrizioni, cui tuttavia non faceva seguito il pagamento della sanzione amministrativa pari a un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per le contravvenzioni riscontrate, per cui, non essendosi verificata la causa estintiva prevista dall'art. 24 del D.Lgs. n. 758/1994, legittimamente veniva esercitata l'azione penale nei confronti dell'odierna imputata, la quale del resto, nel corso dell'intero procedimento penale, non ha fornito la prova di aver adempiuto anche l'obbligazione pecuniaria a suo carico''. Spiega che ``gli art. 20, 21, 22, 23 e 24 del D. Lgs. n. 758/1994, nel disciplinare il procedimento di accertamento delle violazioni in tema di sicurezza sul lavoro, prevedono (art. 20) la necessità di notificare o comunicare al legale rappresentante dell'ente la sola copia della prescrizione impartita dall'organo di vigilanza'', e che ``dall'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994 era chiaramente desumibile che il termine per il pagamento della sanzione era di giorni 30, per cui, a fronte di una sequenza procedimentale puntualmente disciplinata dal legislatore, deve ritenersi non decisivo il fatto che, una volta riscontrato l'adempimento delle prescrizioni imposte con il primo sopralluogo, non sia stata, in via formale, ricordata all'imputata la necessità di provvedere anche al pagamento della sanzione amministrativa, al fine di poter beneficiare della causa estintiva di cui all'art. 24 del D. Lgs. n. 758/1994, trovando tale obbligo la sua fonte diretta nella legge, che fissa sia il termine per il pagamento che l'importo della sanzione''. Aggiunge che nel verbale ispettivo è stato chiaramente indicato che `il contravventore, qualora dia adempimento alle prescrizioni impartite nei termini fissati, dopo verifica da parte del Servizio riguardo alla effettiva eliminazione della violazione, viene ammesso al pagamento di una sanzione amministrativa pari a un quarto del valore massimo della violazione contestata', venendo in tal modo sostanzialmente riprodotta la previsione normativa di cui all'art. 21 comma 2 del D.Lgs. n. 758/1994''. (V. pure Cass. 24 agosto 2018, n. 38906).

    ``Mentre la legge prevede la formale comunicazione, anche a mezzo notifica, del verbale contenente le prescrizioni idonee alla regolarizzazione impartite dall'organo di vigilanza al contravventore (art. 20, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994), analoga formalità non è espressamente disposta in relazione alla successiva ammissione del destinatario al pagamento in via amministrativa, limitandosi l'art. 21 a disporre che l'organo di vigilanza, constatato l'adempimento, `ammette il contravventore a pagare'. Di conseguenza, l'incombente può realizzarsi in forme diverse che pur dovendo garantire con ragionevole certezza che l'interessato possa avere effettiva cognizione dell'onere di cui è gravato e, quindi, provvedere tempestivamente al pagamento della somma dovuta, non richiedono tuttavia la forma solenne della notifica. In tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758/1994, pur configurando un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale, non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A., essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine, sicché l'accertamento in ordine alla sua esecuzione comporta un'indagine di fatto, da ritenersi preclusa in sede di legittimità. Ciò premesso, nella fattispecie in esame la comunicazione deve ritenersi avvenuta. Vertendosi in materia di comunicazione di atti ricettizi, non era affatto necessaria la prova di ricezione della CAD, vigendo per le raccomandate la prova di presunzione del recapito una volta che il mittente abbia dato prova della sua spedizione, spettando a questo punto al destinatario la prova del mancato ricevimento. Costituisce jus receptum il principio secondo il quale la lettera raccomandata - anche in mancanza dell'avviso di ricevimento - costituisce prova certa della spedizione attestata dall'ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell'atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di acquisire la conoscenza dell'atto''.

    «La sospensione del processo penale di cui all'art. 23, D.Lgs. n. 758/1994, nell'ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall'organo di vigilanza (ove sia quest'ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), ovvero possa ancora essere impartita (ove sia il P.M., che abbia ricevuto al notizia di reato da altra fonte, ad investire l'organo di vigilanza), non è mai sine die, ma ha comunque un limite temporale massimo che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione impartita dall'organo di vigilanza».

    ``Secondo la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, introdotta dagli artt. 19 ss. D.Lgs. n. 758/1994, il Giudice, prima di pronunciare sentenza di condanna per una delle violazioni ivi previste, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa, costituente condizione di procedibilità dell'azione penale. Nel caso concreto, l'organo di vigilanza ha impartito al contravventore le apposite prescrizioni fissando il termine per adempiere e successivamente ha constatato che la violazione era stata eliminata secondo le modalità imposte; indi, ha invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa. La mancata corresponsione della somma necessaria a titolo di oblazione ha determinato la conseguenza che il procedimento riprendesse il suo corso, atteso che è solo con il congiunto adempimento da parte del contravventore di entrambi gli incombenti, ovverosia l'eliminazione delle violazioni per effetto della successiva regolarizzazione ed il successivo pagamento della sanzione amministrativa, che il reato si estingue (art. 24, comma 1). A fronte del reato, consumato, il pagamento della sanzione in sede amministrativa partecipa solo della fase, sopravvenuta ed eventuale, di estinzione del reato. Pertanto è del tutto infondato inferire dalla ritenuta sussistenza di condizioni ostative al predetto pagamento, l'assenza dell'elemento soggettivo del reato. La deduzione di una impossibilità di procedere al pagamento in questione non può di per sé scusare, per cui anche se rapportata al tema della mera estinzione del reato la censura proposta, fondata su una asserita incapienza dell'imputato, integra una questione giuridica manifestamente infondata. Nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ricorre un'ipotesi di forza maggiore, che scusa l'inosservanza degli adempimenti cui è condizionata l'estinzione del reato ad esito della procedura di cui all'art. 24 D.Lgs. n. 758/1994, esclusivamente nel caso in cui l'interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un'assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l'adempimento. Il sopravvenuto stato di liquidazione societaria, nemmeno se determinato da difficoltà finanziarie, costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza nell'ambito della procedura di estinzione prevista, in materia di infortuni sul lavoro, dal D.Lgs. n. 758/1994, e la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedura di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24, D.Lgs. n. 758/1994), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva''.

    In seguito all'accertamento di contravvenzioni antinfortunistiche da parte degli ispettori del lavoro e alle apposite prescrizioni impartite a norma degli artt. 20-24 D.Lgs. n. 758/1994, una datrice di lavoro ottempera a tali prescrizioni ed è ammessa al pagamento delle sanzioni in via amministrativa nel termine di trenta giorni dalla notifica del verbale. La Sez. III rileva che, ``alla data di notifica del verbale, era cessata la permanenza dei reati contestati'', e sostiene che ``la prescrizione del reato decorre dalla scadenza del termine concesso per il pagamento della somma in via amministrativa'', A conforto di questa tesi, sottolinea che ``la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. D.Lgs. n. 758/1994 configura un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale'', e ne trae che ``la prescrizione del reato decorre dal verificarsi della condizione, e, quindi, dalla scadenza del termine concesso per il pagamento della somma in via amministrativa''.

    È da notare, tuttavia, che sulla prescrizione dell'organo di vigilanza come condizione di procedibilità dell'azione penale si riscontrano contrasti giurisprudenziali: v., ad es., Cass. 15 maggio 2020 n. 15215, in Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, dodicesima edizione, Wolters Kluwer, Milano, 2022, 1349, ove si afferma che ``la Sez. III disattende l'orientamento secondo il quale la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758/1994 configura un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale''. (V., peraltro, supra, al punto A).

    Sequestro preventivo di beni per un valore pari al profitto dei reati di peculato ascritti al presidente del C.d.A. di una s.p.a. in house del comune per avere, in concorso con altri soggetti apicali dello stesso ente, ordinato il pagamento con somme prelevate dalla cassa dell'ente dell'oblazione per contravvenzioni antinfortunistiche contestate a soggetti aventi cariche dirigenziali all'interno della società, ivi incluso sé stesso. Nel confermare il sequestro preventivo, la Sez. VI sviluppa un'avvincente analisi articolata in più punti. Premette che ``la normativa in materia di sicurezza e di igiene del lavoro prevede una duplice tipologia di sanzioni, di natura amministrativa e penale'', e che ``a tali profili di responsabilità può aggiungersi la responsabilità civile dell'autore del fatto illecito nei confronti del soggetto che sia stato eventualmente danneggiato''. Precisa che, ``in relazione agli illeciti di natura amministrativa, trova applicazione l'art. 6, commi 3 e 4, della legge 24 novembre 1981, n. 689, là dove prevede la responsabilità della persona giuridica (datore di lavoro) al pagamento della sanzione in solido con l'autore - persona fisica - della violazione (responsabile legale o mero dipendente dell'ente) che abbia commesso l'illecito nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, salvo il regresso nei confronti di quest'ultimo''. Osserva che, per contro, ``quanto ai reati contemplati dalla normativa antinfortunistica de qua, versandosi in materia penale in relazione alla quale la responsabilità è personale, l'ente (datore di lavoro) non può rispondere penalmente delle contravvenzioni commesse dal proprio legale rappresentante o dipendente, salvo non ricorrano i presupposti per la responsabilità `amministrativa' derivante da reato ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (segnatamente ex art. 25-septies, per omicidio o lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro)''. Rileva ancora che ``la persona giuridica può invece essere chiamata a rispondere sul piano civile delle conseguenze pregiudizievoli provocate dal proprio addetto in forza della previsione dell'art. 2049 c.c., che contempla espressamente la responsabilità - per fatto altrui - del datore di lavoro per i danni cagionati dai propri dipendenti nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti''. Nel prendere poi in considerazione ``la responsabilità civile della P.A. per il reato commesso dal dipendente'', la Sez. VI sottolinea che ``l'ente può essere chiamato a rispondere civilmente soltanto qualora, tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate, sussista un rapporto di occasionalità necessaria, che ad esempio ricorre quando il soggetto compie l'illecito sfruttando comunque i compiti svolti, anche se ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti, dovendo essere escluso detto rapporto solo quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell'ente pubblico di appartenenza ed, anzi, in contrasto con queste ultime''. Aggiunge che ``la persona giuridica può essere chiamata a rispondere del pagamento della sanzione pecuniaria applicata al proprio legale rappresentante, amministratore o dipendente ai sensi dell'art. 197 c.p., allorché si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero commesso nell'interesse dell'ente''. A questo punto, riannodando le fila del proprio discorso, la Sez. VI ricorda che, ``in relazione alle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza e il pagamento della sanzione amministrativa effettuato, ai sensi dell'art. 24 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, dal legale rappresentante della società fa scattare l'effetto estintivo a favore del contravventore, amministratore o dipendente dell'ente all'epoca dell'accertamento'' (v., in proposito, più avanti, Cass. n. 39449 del 28 agosto 2017). Ne ricava che ``l'ente può legittimamente provvedere al (tempestivo) pagamento in sede amministrativa della somma di denaro (pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa) in luogo del proprio addetto o soggetto apicale, così da determinare - qualora ricorra anche l'ulteriore condizione dell'adempimento tempestivo alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza - l'effetto estintivo del reato contravvenzionale contestato''. Nota come, ``in capo alla persona giuridica, possa ravvisarsi uno specifico interesse all'estinzione del reato contravvenzionale commesso dal proprio addetto nello svolgimento dell'attività lavorativa per conto dell'ente stesso in relazione ai profili di responsabilità civile per il fatto del dipendente, salva sempre la possibilità di rivalsa nei confronti di quest'ultimo ove ne ricorrano i presupposti''. Chiarisce che, ``ferma la possibilità per l'ente di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa con valenza estintiva della contravvenzione elevata al proprio dipendente, l'impiego di risorse economiche della persona giuridica a detto fine presuppone l'adozione di un atto formale da parte dell'ente che deliberi l'uscita di cassa, seguendo le procedure interne previste dal proprio statuto o comunque dal regolamento interno nonché previa verifica dei relativi presupposti''. Con riguardo al caso di specie, ammette che, ``in linea teorica, la società in house del comune (incaricata dei servizi e delle attività comunque connesse alla tutela dell'igiene e della sicurezza ambientale) poteva legittimamente impegnare risorse dell'ente per provvedere al pagamento della sanzione in forma ridotta prevista ai fini dell'estinzione dei reati attribuiti ai propri dipendenti''. Spiega che ``si trattava di contravvenzioni derivanti da violazioni della normativa in materia di infortuni sul lavoro strettamente connesse all'attività della società, contestate a soggetti che rivestivano cariche all'interno della medesima società'', dalle quali avrebbero potuto discendere le responsabilità dell'ente ai sensi degli artt. 2049 c.c. e 197 c.p., tali da far sorgere in capo alla società un interesse legittimo - sebbene non un obbligo - al pagamento tempestivo delle sanzioni in forma ridotta con valenza estintiva dell'illecito''. Pone in risalto che ``la destinazione all'estinzione di tali contravvenzioni delle risorse dell'ente, vincolate alla realizzazione di un interesse pubblico (segnatamente allo svolgimento di servizi connessi alla tutela dell'igiene e della sicurezza ambientale) presuppone nondimeno l'adozione di un provvedimento formale da parte dell'organo d'amministrazione, previa verifica dell'esistenza di norme interne legittimanti la fuoriuscita di cassa e di uno specifico interesse della società alla pronta estinzione degli illeciti (connesso ai profili di responsabilità civile - e non penale - sopra delineati)''. Prende atto che un ``provvedimento formale, nella specie, non risulta essere mai stato deliberato dalla persona giuridica, là dove il dirigente dell'area finanza e bilancio della s.p.a. ordinava - su disposizione del presidente del C.d.A.- il pagamento di cospicue somme prelevate dalla cassa dell'ente appuntando di suo pugno il riferimento alla delibera adottata dal C.d.A. della s.p.a. in effetti mai adottata dall'ente''. Con la conseguenza che ``correttamente si è stimato sussistente il fumus del reato di peculato posto a base del provvedimento ablativo'', sul presupposto che l'indagato, ``in concorso con altri apicali della società, nell'ordinare l'estinzione di reati contravvenzionali contestati ai dipendenti della società con l'impiego di risorse dell'ente, abbia conferito al denaro pubblico di cui aveva la disponibilità giuridica in virtù dell'ufficio ricoperto una destinazione non conforme agli scopi di pubblico interesse ad esso sottostanti, stante l'assenza di un provvedimento formale ricognitivo dell'esistenza di un obbligo giuridico o comunque di un interesse, concreto ed effettivo, della persona giuridica a provvedere in tale senso''. (Conforme Cass. n. 38260 del 16 settembre 2019).

    Con riguardo alla mancata ottemperanza delle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza in ordine a due macchine, il tribunale premette, quanto alla prima, che era stata impartita ``una prescrizione inesatta che non ha tenuto conto delle caratteristiche della stessa e delle conseguenze dell'arresto del disco, per cui, dunque, l'adeguamento, comunque in parte effettuato nei termini, ha richiesto un più complesso procedimento di reperimento di nuove componenti e sostituzione delle stesse, e, quanto alla seconda, che il ritardo nell'ottemperanza è dipeso esclusivamente dall'inerzia del produttore a cui correttamente l'imputato si è rivolto in prima battuta per apportare la richiesta modifica; egli si è poi allora interessato presso ulteriori ditte specializzate ed ha infine rispettato la prescrizione imposta''. Ciò premesso, afferma che ``il mancato adempimento nei termini non fosse in alcun modo rimproverabile all'imputato, il quale si era, in entrambi i casi, immediatamente attivato, tenendo un comportamento diligente, essendo il ritardo dipeso da fattori a lui esterni''. E ``in ossequio al principio a mente del quale il giudice penale può sempre valutare, nel verificare la sussistenza dell'elemento della fattispecie estintiva, se l'inadempimento sia ascrivibile o meno all'imputato anche sotto il profilo di una rimproverabilità soggettiva della mancata osservanza, da escludersi nel caso in cui l'obbligato abbia tenuto una condotta pienamente rispettosa dei criteri prevenzionistico-cautelari che costituiscono il contenuto della regola di diligenza, prudenza o perizia'', ritiene estinte le violazioni. La Sez. III dichiara manifestamente infondato il ricorso del P.M. avverso la decisione del tribunale.

    ``Per la realizzazione dell'effetto estintivo previsto dall'art. 24 D.Lgs. n. 758/1994, il contravventore deve eliminare la violazione secondo le modalità prescritte dall'organo di vigilanza nel termine assegnatogli e poi provvedere al pagamento della sanzione amministrativa nel termine di giorni trenta. Il mancato rispetto anche di una sola delle due citate condizioni impedisce la realizzazione dell'effetto estintivo''. (Conforme Cass. 31 gennaio 2022 n. 3329).

    Nell'occuparsi della procedura di estinzione disciplinata dagli artt. 318-bis e ss. del D.Lgs. n. 152/2006 con riguardo alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale ivi previste, la Sez. III estende la propria analisi agli artt. 20 e seguenti del D.Lgs. n. 758/1994 (concernenti la prescrizione dell'organo di vigilanza in rapporto alle contravvenzioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro) e all'art. 15, comma 3, D.Lgs. n. 124/2004 (attinente alla prescrizione del personale ispettivo per le violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda, ``alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro''). E fissa due principi: ``1) la procedura estintiva delle contravvenzioni in materia ambientale prevista dagli artt. 318 bis e seguenti del D.Lgs. n. 152/2006 è applicabile anche nel caso in cui, previo accertamento dell'assenza di danno o pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, l'autorità amministrativa di vigilanza competente non abbia impartito prescrizioni per regolarizzare la situazione di fatto che integra la contravvenzione accertata; 2) l'art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 124/2004 si riferisce sia alle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, sia alle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto, precedentemente all'emanazione della prescrizione, all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati''.

    ``Alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 19 e ss. D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Corte cost. n. 19 del 1998), l'organo di vigilanza deve ammettere il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa, con effetto estintivo del reato contravvenzionale, anche in caso di tempestiva eliminazione delle sue conseguenze dannose o pericolose con modalità diverse da quelle stabilite nella prescrizione di regolarizzazione, situazione che, sempre secondo la corte di legittimità, esclude che la violazione di tale obbligo da parte dell'autorità di vigilanza sia causa di improcedibilità dell'azione penale, potendo l'imputato estinguere il reato mediante oblazione in sede giudiziaria ai sensi dell'art. 24, comma 3, D.Lgs. citato. Nel caso in esame, il giudice ha dato atto che, sebbene dal verbale di rivisita risultava che l'organo di vigilanza aveva rilevato che la regolarizzazione era avvenuta oltre i termini e in modo da ritenersi non congruo, ha ritenuto le motivazioni non convincenti e, sulla scorta, di ciò ha assolto l'imputato per non aver commesso il fatto. Il giudizio di non congruità della regolarizzazione espresso dall'organo di vigilanza, è stato sindacato dal giudice che, tuttavia, ne ha tratto una conclusione errata in diritto. Non l'assoluzione dell'imputato doveva seguire, bensì l'ammissione dell'imputato a fruire del meccanismo di estinzione del reato attraverso l'accesso all'oblazione in via giudiziale ai sensi dell'art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994''.

    F) Regolarizzazione e sussistenza del reato

    ``La procedura amministrativa di regolarizzazione delle infrazioni attiene a un ambito distinto da quello volto all'accertamento sulla sussistenza del reato, per cui dall'espletamento della prima non può farsi automaticamente discendere la prova della fattispecie contestata, tanto è vero che l'esercizio dell'azione penale è ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità non condizionato dagli esiti del procedimento di sanatoria delle irregolarità riscontrate in sede ispettiva. Deve pertanto ritenersi che l'omessa risposta del Tribunale alle deduzioni del consulente tecnico della difesa integri una lacuna motivazionale censurabile in questa sede, non essendosi la sentenza impugnata confrontata con i temi introdotti dalla difesa mediante il supporto del proprio consulente, temi attinenti alla sussistenza del reato, che non erano superati dal fatto che l'imputato aveva fatto ricorso alla procedura di regolarizzazione delle violazioni, per cui, a fronte degli argomenti tecnici proposti e a prescindere dalla scelta dell'imputato di dare corso alla sanatoria, sarebbe stato necessario verificare la plausibilità della differente tesi difensiva rispetto alla contraria ricostruzione accusatoria''.

    ``Le prescrizioni di cui all'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994, sono impartite dall'organo di vigilanza `nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale'. Di conseguenza, l'atto con il quale l'organo di vigilanza, avendo accertato una contravvenzione alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, impartisca le opportune prescrizioni fissando un termine per l'eliminazione delle irregolarità, non è annoverabile fra i provvedimenti amministrativi, dovendosi ad esso attribuire, invece, natura di atto di polizia giudiziaria, ed è quindi sottratto alle impugnazioni previste per i suddetti provvedimenti, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale''.

    «Il Comune di Milano ha promosso davanti al Tribunale regionale amministrativo per la Lombardia un giudizio contro la Azienda Sanitaria di Milano, s.p.a. e s.r.l., per l'annullamento del verbale di contravvenzione e prescrizione con il quale veniva contestato al Comune di Milano la violazione dell'art. 90, commi 4 e 7, D.Lgs. n. 81 del 2008, perché - pur risultando già sottoscritta la convenzione di affidamento dei lavori attinenti alla metropolitana - non si era ancora proceduto alla nomina del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Ritiene questa Corte che vada affermato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del giudice ordinario (nella specie, quello penale), giusta la giurisprudenza di queste Sez. Un. (sent. 9 marzo 2012, n. 3694). L'art. 19, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 758/1994, statuisce che i reati in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, sono puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda in base alle norme indicate nell'allegato; l'art. 21, comma 3 della legge n. 833/1978 statuisce che gli organi di vigilanza in materia assumono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria in relazione alle funzioni ispettive esercitate in applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro. L'art. 20, comma 1, D.Lgs. statuisce che il suddetto organo, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fermo restando l'obbligo di riferire al P.M. la notizia del reato ex art. 347 c.p.p. Quindi, stante la suddetta normativa, il personale ispettivo deve procedere con tutte le garanzie previste dal codice di rito penale, agendo quale organo di polizia giudiziaria, a norma dell'art. 55 del c.p.p., e l'atto non è provvedimentale, ma costituisce un atto di polizia giudiziaria. Il D.Lgs. n. 124/2004 richiama espressamente il procedimento di cui all'art. 20 del D.Lgs. n. 758/1994, con la conseguenza che continua ad operare l'orientamento interpretativo formatosi in merito a tale norma, secondo cui l'atto con il quale l'organo di vigilanza, ai sensi dell'art. 20, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, avendo accertato una contravvenzione alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, impartisca le opportune prescrizioni fissando un termine per l'eliminazione delle irregolarità, non è annoveratile fra i provvedimenti amministrativi - dovendosi ad esso attribuire, invece, natura di atto di polizia giudiziaria - ed è quindi sottratto alle impugnazioni previste per i suddetti provvedimenti, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale. (Cass. pen., Sez. I, 14 febbraio 2000, n. 1037; cfr. anche Cass. pen., Sez. III, 16 giugno 2009, n. 24791). Tale conclusione è da condividere. La Corte costituzionale, con sentenza n. 19 del 18 febbraio 1998, ha rilevato come, attraverso il sistema delineato dal Capo II del D.Lgs. n. 758/1994, il legislatore si fosse fatto carico di disciplinare un peculiare ed articolato meccanismo funzionalmente destinato alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della violazione accertata, accompagnato dall'effetto estintivo del reato, così assegnando veste normativa a prassi già invalse in tema di contravvenzioni antinfortunistiche. La nuova disciplina, in altri termini, si era dunque proposta un duplice e concorrente obiettivo: da un lato, quello di assicurare l'effettività della osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia - ha sottolineato la Corte - in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni, ed alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale; dall'altro, quello di conseguire una consistente deflazione processuale. Obiettivi, quelli accennati, che sono stati perseguiti «mediante una procedura parallela e coordinata con il procedimento penale, che si sviluppa attraverso momenti e passaggi tra loro strettamente concatenati»: l'adozione di una specifica prescrizione al contravventore, da parte dell'organo di vigilanza, «nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale», di regolarizzare la violazione entro un termine prefissato, eventualmente prorogabile «con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero» (art. 20); verifica, da parte dell'organo di vigilanza, dell'eliminazione della violazione nel rispetto delle modalità e del termine indicati nella prescrizione; conseguente ammissione del contravventore a pagare in sede amministrativa una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa e successiva comunicazione «al pubblico ministero» dell'avvenuto adempimento della prescrizione e dell'eventuale pagamento della somma stabilita, ovvero dell'inadempimento della prescrizione medesima (art. 21); estinzione del reato se il contravventore adempie alla prescrizione e provvede al pagamento della somma stabilita (art. 24); sospensione del procedimento penale fino al momento in cui il pubblico ministero non abbia ricevuto, da parte dell'organo di vigilanza, i risultati scaturiti dalla verifica dell'adempimento della prescrizione (art. 23). Né può ritenersi l'esistenza di procedure (quella amministrativa e quella penale) autonome tra loro, poiché l'esercizio del diritto del contravventore e, quindi, l'intera sequenza di cui innanzi si è detto, non sono affatto avulsi dal procedimento penale, ma risultano, anzi, ad esso funzionalmente e strutturalmente coesi, al punto da costituirne parte integrante. L'atto con il quale vengono impartite le prescrizioni al contravventore, infatti, è testualmente ricondotto dal legislatore nel panorama degli atti tipici di polizia giudiziaria, sicché fa ad esso difetto qualsiasi connotazione di discrezionalità - sia pure sul versante, per così dire atipico, della cosiddetta discrezionalità tecnica - e promana da un organo che, in quanto esercente le funzioni previste dall'art. 55 c.p.p.,, è posto alle dipendenze e chiamato ad operare sotto la direzione della autorità giudiziaria, a prescindere (e, dunque, in piena autonomia funzionale dal) plesso ordinamentale in cui risulti iscritto da un punto di vista burocratico ed amministrativo. Ne è prova evidente, d'altra parte, la circostanza che l'eventuale proroga del termine per l'adempimento delle prescrizioni deve essere immediatamente comunicata al pubblico ministero; che l'organo di vigilanza ha comunque l'obbligo di riferire al pubblico ministero «la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale» (art. 20, comma 4); che, ancora, l'organo di vigilanza deve parimenti comunicare al pubblico ministero le risultanze della verifica dell'adempimento, sia in caso positivo che in caso negativo. La sequenza che prende l'avvio dalle prescrizioni di cui all'art. 20 del D.Lgs. n. 758/1994, non pare quindi riconducibile allo schema della soprassessoria pregiudiziale con effetti sospensivi nelle sue tradizionali configurazioni, presupponendo tale schema l'esistenza di una questione - devoluta o meno che sia alla cognizione di altro organo giurisdizionale - che presenti caratteri di antecedenza logico-giuridica rispetto ad altra sub iudice. Essa è invece raccordabile ad una ipotesi di presupposto procedimentale che condiziona - a salvaguardia delle esigenze e dei valori tracciati dalla Corte Costituzionale - il futuro sviluppo della azione penale. Nella fattispecie, stante la natura di atto di polizia giudiziaria del verbale della ASL che contesta al Comune di Milano la mancata nomina del Coordinatore della Sicurezza sia in fase di progettazione che in fase di esecuzione, lo stesso non può essere impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale, che in merito a detti atti di polizia giudiziaria non ha giurisdizione, ma ogni doglianza rientra nella giurisdizione del giudice penale, davanti al quale può essere fatta valere anche la pretesa assenza di responsabilità poiché ricadrebbe la stessa su altri soggetti. Tale questione è infatti di merito e va fatta valere davanti al giudice dotato di giurisdizione. Va quindi dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, nei cui confronti, essendo nella fattispecie quello penale, non può la Corte disporre la «translatio» dell'instaurato giudizio in sede amministrativa, poiché tale istituto della translatio iudicii ha diverse caratteristiche e finalità nel rito processualpenalistico, per cui il giudice penale dovrà essere adito nelle forme di tale rito».

    Il Tribunale di Sorveglianza rigetta la richiesta di riabilitazione proposta da un imprenditore edile con riferimento alla condanna per due violazioni antinfortunistiche, in quanto «ostava alla chiesta riabilitazione altra infrazione alla normativa antinfortunistica per la quale l'imprenditore stesso era stato denunciato, il che incideva negativamente sulla valutazione di buona condotta successiva, trattandosi di violazione specifica, a nulla valendo che si trattasse di illecito estinto perché definito in via amministrativa». Nel respingere il ricorso, la Sez. I rileva, anzitutto, come «i termini di cui all'art. 179 c.p. siano posti quale condizione per l'eventuale concessione del beneficio, così imponendosi un tempo minimo di valutazione della condotta, ma non certo per delimitare il periodo di valutazione stessa», sicché «sono senz'altro valutabili tutte le condotte del richiedente, fino alla decisione, anche successive ai termini suddetti (che -vale ripetere- rappresentano solo la condizione minima)». Ricorda come «la riabilitazione possa essere concessa, decorso il termine di legge, sul presupposto sostanziale -richiesto dal comma 1 dell'art. 179 c.p.- che «il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta». Prende atto che, nel caso di specie, «la sopravvenienza di una denuncia a carico dell'imprenditore per fatti sostanzialmente analoghi a quelli della condanna impedisse la positiva verifica dell'anzidetto presupposto di legge». Spiega che «la giurisprudenza di questa Corte di legittimità assume che -ove chi richiede la riabilitazione sia incorso in denunce successive alla condanna oggetto della richiesta- il giudice debba procedere ad un esame concreto dei fatti di cui a detta sopravvenienza, al fine di valutare se, appunto, essi precludano la valutazione di effettiva e costante buona condotta». Ritiene che «la denuncia, siccome dimostrativa di una perdurante attitudine del richiedente a gestire i cantieri a lui affidati senza adeguata attenzione alla disciplina antinfortunistica, e comunque risultando sostanzialmente ribadita la condotta di cui alla prima condanna, impedisse l'affermazione di effettiva e costante buona condotta ai sensi di legge». Considera ancora «del tutto pacifico che, essenziale essendo la condotta in senso ampio, con riferimento a parametri sociali e non meramente penalistici, a nulla rilevi trattarsi di illecito amministrativo, anche se estinto per definizione in quella sede». Infine, sottolinea ancora come «la giurisprudenza di questa Corte abbia ritenuto la necessità di concreti elementi positivi (prove di buona condotta) pur largamente intesi, di tal che qualsiasi nota negativa in ordine al suo comportamento costituisce prova esattamente contraria a quella richiesta dal legislatore», e afferma che «l'omissione delle doverose cautele antinfortunistiche, da parte di chi ha per legge posizione di garanzia sull'incolumità dei lavoratori, è sicuramente nota negativa, sia nel comune sentire che giuridicamente».

    Oltre a Cass. 4 maggio 2021, n. 16871, v.:

    La Sez. Fer. considera ``giustificato il mancato riconoscimento della continuazione avuto riguardo alla natura colposa dei reati contestati [contravvenzioni antinfortunistiche consistite nell'aver omesso di far adeguatamente assicurare o trattenere al piede da altra persona le scale durante il loro uso, in violazione dell'art. 113, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008 e di adottare nei lavori in quota adeguate impalcature o ponteggi o idonee precauzioni atte a eliminare i pericoli di caduta di persone o cose], non suscettibili pertanto di essere ricondotti a una unitaria deliberazione criminosa'', e non pertinente ``il richiamo difensivo all'art. 81, comma 1, c.p., apparendo le distinte violazioni riscontrate riconducibili ad autonome condotte omissive, non ravvisandosi dunque la necessaria unicità del fatto''.

    Nel caso in cui riconosca la continuazione tra più contravvenzioni, ivi compresa una contravvenzione antinfortunistica, ``il giudice non può liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, essendo invece tenuto, nel rispetto del principio di legalità, ad effettuare la valutazione di maggiore gravità del reato sulla base della comminatoria più grave''.

    ``Per poter applicare l'istituto della continuazione è necessario che ricorrano i seguenti presupposti: a) sotto il profilo oggettivo: più azioni od omissioni e più violazioni di legge; b) sotto il profilo soggettivo: il fatto che la loro commissione sia avvenuta in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Proprio con riferimento alla nozione di medesimo disegno criminoso, deve ritenersi che sia un requisito di natura psicologica - quindi interiore al soggetto agente - che postula la rappresentazione dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali sin dall'inizio dell'attività illecita. L'autore deve, quindi, aver già previsto e deliberato in origine ed in via generale l'iter criminoso da percorrere ed i singoli reati attraverso i quali attuarlo, che nella loro oggettività si devono presentare compatibili giuridicamente e posti in essere in un contesto temporale di successione o contemporaneità. Resta comunque escluso che l'unicità di disegno criminoso possa identificarsi con l'abitualità criminosa o con scelte di vita (sez. 1, n. 45908 del 05/11/2014). Ciò che, infatti, il codice richiede è che vi sia l'identità del disegno criminoso, ossia che i singoli reati siano il mezzo per il conseguimento di un unico intento, sufficientemente specifico e rintracciabile sin dalla commissione del primo di essi. Diversamente opinando, il `beneficio' previsto dall'art. 81 c.p. si sovrapporrebbe, soverchiandolo, al disposto di cui all'art.103 c.p. Cosicché una intera vita spesa nella realizzazione di crimini potrebbe consentire al reo di beneficiare di una `continuazione' a catena. E ciò non può essere ammesso così come neppure può ritenersi ammissibile l'applicazione dell'istituto in parola in ipotesi di più reati dolosi e colposi, o - peggio - di soli reati colposi, commessi in tempi diversi, posto che ciò vanificherebbe l'ovvio requisito della volontà criminosa che non può non sottendere un `medesimo disegno criminoso', annichilendo, altresì, per le ipotesi colpose, l'elemento essenziale della `non volontà del fatto'''. (Conforme Cass. 24 agosto 2018, n. 38904).

    Oltre a Cass. 7 giugno 2019, n. 25325 (sulla natura permanente delle contravvenzioni concernenti la mancata sottoposizione del lavoratore a visita medica, la mancata informazione del lavoratore sui rischi, la mancata formazione del lavoratore ai fini della sicurezza sul lavoro, la consegna dei dispositivi di protezione), v.:

    ``Va richiamata la natura permanente delle contravvenzioni contestate. Le regole di prudenza e le norme di prevenzione, infatti, vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi ovvero quando presso tali luoghi le opere siano terminate o da terminare o momentaneamente sospese per dare corso al altre fasi del processo produttivo; le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo, ed anche al termine di essa, ove siano residuate situazioni di pericolo per i lavoratori passati ad altre competenze ma, comunque, sottoposti al rischio derivante dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa. Le contravvenzioni di cui agli artt. 18, 36, 37, 64, 68, 163 D.Lgs. n. 81/2008 dovevano essere considerate reati permanenti, con condotta tuttora perdurante, e conseguentemente non prescritte, sottolineando altresì: a) l'inottemperanza alle prescrizioni impartite dalla ASL; b) l'irrilevanza dei licenziamenti dell'infortunata e di altri due dipendenti all'indomani dell'infortunio, in quanto tutti non risultanti adeguatamente formati ed informati; c) l'ininfluenza dello spostamento della sede lavorativa da parte della azienda''.

    ``L'omessa nomina del medico competente è un reato omissivo proprio, che cioè si realizza attraverso la semplice omissione del comportamento legalmente dovuto'', ed ``un reato permanente nel quale la flagranza si perpetua fintanto che la condotta doverosa non viene realizzata dal soggetto tenuto ad essa ovvero fintanto che essa, sebbene non eseguita, sia, comunque, tuttora possibile. La prescrizione del reato non decorre fintanto che il reato è ancora in istato di flagranza''. Nel caso di specie, ``la cessazione della permanenza ai fini della decorrenza della prescrizione deve essere collocata alla data in cui, essendo stato l'imputato sospeso dalle funzioni di direttore generale, egli non sarebbe più stato in grado di adottare la nomina in questione''.

    Un coordinatore per l'esecuzione dei lavori venne condannato per la contravvenzione di cui all'art. 92 D.Lgs. n. 81/2008 ``per non avere, all'interno del cantiere installato in un palazzo in costruzione, aggiornato il piano di sicurezza e coordinamento dei lavori in relazione al fattore di rischio derivante da una scala di accesso all'edificio oggetto dell'intervento priva di corrimano''. Nel confermare la condanna, la Sez. III afferma che ``la contravvenzione di cui all'art. 92 D.Lgs. n. 81/2008, in ragione del bene giuridico tutelato (la sicurezza sul lavoro), è un reato di pericolo astratto, per cui la condotta illecita si perfeziona e si protrae sino al momento di ottemperanza dell'obbligo di legge, senza che ai fini della sua configurazione sia necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivi un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore''.

    Nel confermare la condanna del medico competente di una s.p.a. per il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a), e 41, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, la Sez. III afferma che, ``avuto riguardo alle finalità della normativa quanto alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, le omissioni hanno natura di reato permanente''.

    (V. pure sub art. 37, paragrafo 18).

    Condannato a cinque mesi di arresto per più violazioni antinfortunistiche (e, segnatamente, per i reati previsti dagli artt. 17, 18, 96 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto aveva omesso di ``provvedere alla nomina di un responsabile del servizio di protezione e prevenzione e di affidare mansioni ai lavoratori adeguate alle loro capacità e alle condizioni relative alla loro sicurezza, nonché di redigere il piano operativo di sicurezza e di valutare i rischi connessi all'attività''), il titolare di un'impresa edile lamenta, in particolare, la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. e della sospensione condizionale della pena, sottolineando ``la buona condotta tenuta, susseguente alla notifica delle contestazioni (lo stesso aveva prontamente adempiuto alle prescrizioni impartite dagli Ispettori della ASL''. La Sez. III respinge queste argomentazioni. Sottolinea che i magistrati di merito hanno ``stimato di non lieve entità la pluralità delle violazioni riscontrate in danno della sicurezza del lavoratori e tanto in considerazione della precarietà e dell'assoluta inadeguatezza della struttura allestita dal ricorrente per l'esecuzione dei lavori consistiti nel rifacimento della facciata di un edificio su cui gli operai lavoravano in condizioni di estremo pericolo per la loro incolumità''. Precisa che ``l'adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi ispettivi non implica affatto l'integrazione dei requisiti per la concessione della circostanza attenuante comune prevista dall'art. 62 n. 6, seconda ipotesi, c.p. che, essendo di natura soggettiva, trova fondamento, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, nella minore capacità a delinquere del colpevole il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adoperi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose dell'illecito penale sicché l'attenuante è ravvisabile solo quando l'azione diretta ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato sia spontanea ed efficace, sia cioè determinata da motivi interni all'agente e non ispirata o imposta da fattori esterni che operino come pressione, anche solo psicologica, sul comportamento tenuto dall'agente stesso'' (v. in proposito i precedenti richiamati in Alibrandi, Codice penale, Piacenza, 2012, 327 s.). Rileva che, ``nel caso di specie, l'art. 20 del D.Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 prescrive tassativamente al contravventore di adempiere alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, fissa per la regolarizzazione un termine, prorogabile, potendo anche impartire prescrizioni aggiuntive costituite da specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro''. Ne desume che, ``per difetto del requisito della spontaneità dell'adempimento, non è applicabile la circostanza del ravvedimento attivo prevista dall'art. 62 n. 6, seconda parte, c.p. al datore di lavoro che abbia ottemperato alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994''.

    ``Sequestro preventivo di beni per un valore pari al profitto dei reati di peculato ascritti a dirigenti di una società in house del comune incaricata dei servizi e delle attività connesse alla tutela dell'igiene e della sicurezza ambientale, in particolare per avere concorso nell'appropriazione di somme di cui avevano la disponibilità per ottenere l'estinzione dei reati contravvenzionali attribuiti a soggetti che rivestivano cariche all'interno della medesima società (presidente del c.d.a., dirigente dell'area manutenzione strade delegato per la sicurezza, tre capisquadra)''.

    A) Nel confermare il sequestro preventivo con riguardo al dirigente dell'area finanza e bilancio, la n. 38260/2019, Sez. VI, sviluppa un'avvincente analisi articolata in più punti. Premette che ``la normativa in materia di sicurezza e di igiene del lavoro prevede una duplice tipologia di sanzioni, di natura amministrativa e penale'', e che ``a tali profili di responsabilità può aggiungersi la responsabilità civile dell'autore del fatto illecito nei confronti del soggetto che sia stato eventualmente danneggiato''. Precisa che, ``in relazione agli illeciti di natura amministrativa, trova applicazione l'art. 6, commi 3 e 4, della legge 24 novembre 1981, n. 689, là dove prevede la responsabilità della persona giuridica (datore di lavoro) al pagamento della sanzione in solido con l'autore - persona fisica - della violazione (responsabile legale o mero dipendente dell'ente) che abbia commesso l'illecito nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, salvo il regresso nei confronti di quest'ultimo''. Osserva che, per contro, ``quanto ai reati contemplati dalla normativa antinfortunistica de qua, versandosi in materia penale in relazione alla quale la responsabilità è personale, l'ente (datore di lavoro) non può rispondere penalmente delle contravvenzioni commesse dal proprio legale rappresentante o dipendente, salvo non ricorrano i presupposti per la responsabilità `amministrativa' derivante da reato ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (segnatamente ex art. 25-septies, per omicidio o lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro)''. Rileva ancora che ``la persona giuridica può invece essere chiamata a rispondere sul piano civile delle conseguenze pregiudizievoli provocate dal proprio addetto in forza della previsione dell'art. 2049 c.c., che contempla espressamente la responsabilità - per fatto altrui - del datore di lavoro per i danni cagionati dai propri dipendenti nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti''. Nel prendere poi in considerazione ``la responsabilità civile della P.A. per il reato commesso dal dipendente'', la Sez. VI sottolinea che ``l'ente può essere chiamato a rispondere civilmente soltanto qualora, tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate, sussista un rapporto di occasionalità necessaria, che ad esempio ricorre quando il soggetto compie l'illecito sfruttando comunque i compiti svolti, anche se ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti, dovendo essere escluso detto rapporto solo quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell'ente pubblico di appartenenza ed, anzi, in contrasto con queste ultime''. Aggiunge che ``la persona giuridica può essere chiamata a rispondere del pagamento della sanzione pecuniaria applicata al proprio legale rappresentante, amministratore o dipendente ai sensi dell'art. 197 c.p., allorché si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero commesso nell'interesse dell'ente''. A questo punto, la Sez. VI ricorda che, ``in relazione alle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza e il pagamento della sanzione amministrativa effettuato, ai sensi dell'art. 24 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, dal legale rappresentante della società fa scattare l'effetto estintivo a favore del contravventore, amministratore o dipendente dell'ente all'epoca dell'accertamento''. Ne ricava che ``l'ente può legittimamente provvedere al (tempestivo) pagamento in sede amministrativa della somma di denaro (pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa) in luogo del proprio addetto o soggetto apicale, così da determinare - qualora ricorra anche l'ulteriore condizione dell'adempimento tempestivo alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza - l'effetto estintivo del reato contravvenzionale contestato''. Nota come, ``in capo alla persona giuridica, possa ravvisarsi uno specifico interesse all'estinzione del reato contravvenzionale commesso dal proprio addetto nello svolgimento dell'attività lavorativa per conto dell'ente stesso in relazione ai profili di responsabilità civile per il fatto del dipendente, salva sempre la possibilità di rivalsa nei confronti di quest'ultimo ove ne ricorrano i presupposti''. Chiarisce che, ``ferma la possibilità per l'ente di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa con valenza estintiva della contravvenzione elevata al proprio dipendente, l'impiego di risorse economiche della persona giuridica a detto fine presuppone l'adozione di un atto formale da parte dell'ente che deliberi l'uscita di cassa, seguendo le procedure interne previste dal proprio statuto o comunque dal regolamento interno nonché previa verifica dei relativi presupposti''. Con riguardo al caso di specie, ammette che, ``in linea teorica, la società in house del comune (incaricata dei servizi e delle attività comunque connesse alla tutela dell'igiene e della sicurezza ambientale) poteva legittimamente impegnare risorse dell'ente per provvedere al pagamento della sanzione in forma ridotta prevista ai fini dell'estinzione dei reati attribuiti ai propri dipendenti''. Spiega che ``si trattava di contravvenzioni derivanti da violazioni della normativa in materia di infortuni sul lavoro strettamente connesse all'attività della società, contestate a soggetti che rivestivano cariche all'interno della medesima società'', ``dalle quali avrebbero potuto discendere le responsabilità dell'ente ai sensi degli artt. 2049 c.c. e 197 c.p., tali da far sorgere in capo alla società un interesse legittimo - sebbene non un obbligo - al pagamento tempestivo delle sanzioni in forma ridotta con valenza estintiva dell'illecito''. Pone in risalto che ``la destinazione all'estinzione di tali contravvenzioni delle risorse dell'ente, vincolate alla realizzazione di un interesse pubblico (segnatamente allo svolgimento di servizi connessi alla tutela dell'igiene e della sicurezza ambientale) presuppone nondimeno l'adozione di un provvedimento formale da parte dell'organo d'amministrazione, previa verifica dell'esistenza di norme interne legittimanti la fuoriuscita di cassa e di uno specifico interesse della società alla pronta estinzione degli illeciti (connesso ai profili di responsabilità civile - e non penale - sopra delineati)''. Prende atto che un ``provvedimento formale non risulta essere mai stato deliberato dalla persona giuridica, là dove l'indagato ordinava il pagamento di cospicue somme prelevate dalla cassa dell'ente appuntando di suo pugno il riferimento alla delibera adottata dal c.d.a. della s.p.a. in effetti mai adottata''. Con la conseguenza che ``correttamente si è stimato sussistente il fumus del reato di peculato posto a base del provvedimento ablativo'', sul presupposto che l'indagato, ``nell'ordinare l'estinzione di reati contravvenzionali contestati ai dipendenti della società con l'impiego di risorse dell'ente, abbia conferito al denaro pubblico - di cui aveva la disponibilità giuridica in virtù dell'ufficio ricoperto - una destinazione non conforme agli scopi di pubblico interesse ad esso sottostanti, stante l'assenza di un provvedimento formale ricognitivo dell'esistenza di un obbligo giuridico o comunque di un interesse, concreto ed effettivo, della persona giuridica a provvedere in tale senso''.

    B) A sua volta, la n. 41979/2019 accoglie il ricorso proposto dal presidente del consiglio di amministrazione per insussistenza del fumus commissi delicti limitatamente al sequestro eseguito in relazione a un capo, mentre lo conferma per altre imputazioni.

    C) Infine, la n. 31241/2020 conferma il sequestro preventivo disposto per un valore corrispondente alla somma di 6.500 euro considerata profitto del reato di peculato a carico del presidente del collegio sindacale che ``si sarebbe appropriato della somma indicata, provvedendo al pagamento della sanzione pecuniaria applicata dall'Arpa, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, al fine della estinzione dei reati contravvenzionali di tipo ambientale attribuiti al presidente del consiglio di amministrazione della società, e ad altri soggetti riconducibili all'ente'': ``L'annullamento da parte della Corte di cassazione della ordinanza emessa dal tribunale del riesame nei riguardi del presidente del consiglio di amministrazione fu disposto [dalla sentenza n. 41979/2019] per motivi esclusivamente personali, legati, cioè, alla posizione procedimentale di quell'indagato, alla prova del concorso e del contributo fornito dal compartecipe nel reato, e non, invece, in ordine alla configurabilità oggettiva del peculato. Un annullamento derivante dalla posizione personale del coindagato i cui effetti non sono suscettibili di estensione all'odierno ricorrente''.

    ``I reati antinfortunistici per i quali si procede sono puniti con pena detentiva alternativa a pena pecuniaria. In tale ambito, non è appellabile, ma solo ricorribile per cassazione la sentenza con cui venga irrogata la sola pena pecuniaria dell'ammenda per una contravvenzione per la quale è prevista alternativamente la pena detentiva o pecuniaria. Sebbene il testo letterale dell'art. 593, comma 3, c.p.p. non esprima più alcuna distinzione tra sentenze che abbiano irrogato legalmente o illegalmente la sola pena dell'ammenda, la lettura della norma che si ricava dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 85 del 4 aprile 2008, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 L. 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 c.p.p., esclude che l'imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, c.p.p., se la nuova prova è decisiva, impone di limitare la possibilità di proporre appello avverso le sentenze che abbiano applicato erroneamente la sola pena dell'ammenda, confermando l'inappellabilità delle sentenze emesse in relazione ad un'ipotesi di reato inclusa nel novero delle `contravvenzioni di minore gravità', punite con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva alternativa alla pena pecuniaria. A norma dell'art. 593, comma 3, c.p.p. la sentenza in esame che ha applicato la sola pena pecuniaria è, dunque, inappellabile ed essendo stata impugnata con atto di appello, ovvero con mezzo diverso da quello previsto dalla legge, la corte territoriale, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., doveva trasmettere gli atti alla Corte di cassazione essendo la sentenza impugnata unicamente ricorribile per cassazione''.

    Il legale rappresentante di una società immobiliare, ``non rimuovendo la gru installata in una area di proprietà della società, e non provvedendo senza indugio all'effettuazione dei necessari controlli di sicurezza del manufatto ai sensi dell'art. 71, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, non aveva ottemperato a quanto ordinatogli dal sindaco con ordinanza, e, in tal modo, aveva posto in essere gli estremi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie incriminatrice dell'art. 650 c.p., che sanziona l'inosservanza dei provvedimenti legalmente dati anche per ragioni di sicurezza, tra cui rientra la pubblica incolumità, nel caso in esame, dei passanti sulla pubblica via e degli abitanti degli edifici limitrofi''. La Sez. I osserva: ``L'inosservanza dei provvedimenti a tutela dell'incolumità pubblica può configurare la contestata contravvenzione di cui all'art. 650 c.p.; in piena sintonia con detta opzione ermeneutica, la corte d'appello ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 650 c.p., e non dell'art. 677, comma terzo, c.p., peraltro difficilmente estensibile, in ragione del suo tenore letterale, all'omissione di lavori su beni diversi da edifici e costruzioni, quali le gru''.

    ``Nel corso della verifica nei confronti di una ditta, veniva richiesto al titolare di esibire la documentazione aziendale di lavoro prevista dal D.Lgs. n. 81/2008, il che non avveniva in quanto il Giardino non ne era in possesso. Nel verbale, venivano impartite specifiche prescrizioni, tra cui anche quella di esibire tutta la documentazione indicata nell'atto medesimo presso la Direzione Territoriale del Lavoro. L'imputato risulta essere stato avvertito degli effetti derivanti dall'eventuale mancata esibizione, e, nello specifico, veniva dato avvertimento che, non ottemperando a quanto sopra richiesto nei tempi e con le modalità stabilite nel presente verbale o non presentandosi senza dare avviso al/ai verbalizzante/i, si procederà nei confronti del/dei responsabile/i con l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla legge. In caso di mancata ottemperanza alla/e disposizione/i impartita/e dall'organo di vigilanza, in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, di cui all'art. 11 del D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 come sostituito dall'art. 11 del D.Lgs. n. 758/1994, si procederà alla comunicazione al P.M. della violazione di detto articolo, la cui penalità prevede l'arresto fino a un mese o l'ammenda fino a euro 413. Con tale atto, pertanto, l'organo di vigilanza risulta non soltanto aver provveduto ad impartire le prescrizioni che l'imputato avrebbe dovuto rispettare (eliminazione del materiale intorno al fabbricato per rendere la viabilità dei dipendenti sicura; esibizione della specifica documentazione richiesta), ma anche aver consentito all'imputato di avere conoscenza delle conseguenze scaturenti dal mancato adempimento delle stesse. Il verbale risulta infatti essere stato sottoscritto e ritirato da costui. Il reato previsto dall'art. 4 L. n. 628/1961 - come modificato dall'art. 28 D.Lgs. n. 758/1994 - deve ritenersi integrato anche nel caso di mancata esibizione di documenti richiesti dall'Ispettorato del lavoro nell'esercizio dei compiti di vigilanza demandati dal medesimo articolo, altresì quando la richiesta non avvenga nel contesto delle indagini di polizia amministrativa disciplinate dall'articolo 8 D.P.R. n. 520/1955. La mancata risposta alle richieste di notizie, avanzata dall'ispettorato del lavoro, costituisce reato soltanto quando l'accertamento concerne violazioni alle leggi sui rapporti di lavoro, sulle assicurazioni sociali, sulla prevenzione e l'igiene del lavoro, assumendo l'indagine valore strumentale rispetto alla necessità di controllo, che il legislatore ha sanzionato penalmente. Non integra, invece, il reato de quo la condotta omissiva del datore di lavoro al quale sia stata genericamente richiesta la trasmissione della `documentazione di lavoro', essendo penalmente sanzionata solo la mancata risposta a richieste di informazioni specifiche e strumentali rispetto ai compiti di vigilanza e di controllo dell'ispettorato medesimo''.

    Condannato per più contravvenzioni antinfortunistiche, un cittadino cinese eccepisce che, ``in quanto atto di polizia giudiziaria, la prescrizione impartita ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 758/1994 avrebbe dovuto essere tradotta nella lingua a lui nota, secondo quanto prescrive l'art. 143 c.p.p.''. La Sez. III non è d'accordo: ``Se è vero che la prescrizione impartita dall'organo di vigilanza è emessa nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 c.p.p., è altrettanto vero che non tutti gli atti posti in essere dalla polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni devono essere tradotti nella lingua nota alla persona alloglotta sottoposta alle indagini. Escluso che la prescrizione di cui all'art. 20 rientri nel novero degli atti tipici per i quali l'art. 143, comma 2, dispone l'obbligo della traduzione scritta, non si può nemmeno sostenere che si tratti di atto contenente l'accusa, cristallizzata all'evidenza nell'atto con il quale il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale. Si deve piuttosto precisare che: a) l'emissione della prescrizione è naturalmente successiva alla (e presuppone la) violazione della norma in materia di sicurezza e igiene del lavoro penalmente sanzionata; b) l'obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero di farne cessare la permanente sussistenza non ha titolo nella prescrizione di cui all'art. 20, bensì nel dovere immanente del datore di lavoro di garantire sempre e comunque le condizioni di igiene e sicurezza di tutti i luoghi di lavoro, a prescindere dalla ricezione della prescrizione (che, in ipotesi, potrebbe anche mancare); c) l'adempimento della prescrizione in un termine superiore a quello concesso ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza sono valutate ai fini dell'art. 162-bis c.p., e la somma da versare è sempre pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994). Ne deriva, in primo luogo, che la deduzione secondo la quale l'inottemperanza della prescrizione costituisce prova della sua incomprensibilità perché redatta nella lingua non nota all'imputato, è palesemente infondata e frutto di un ragionamento circolare. In secondo luogo, la mancata traduzione delle prescrizioni in lingua nota al datore di lavoro alloglotta non determina l'improcedibilità dell'azione penale, non potendosi certamente equiparare la mancata traduzione dell'atto (e dunque la dedotta `mancanza di concreta conoscibilità del [suo] contenuto') alla sua inesistenza. ... Peraltro, il meccanismo procedurale per consentire al contravventore di fruire della causa di estinzione del reato previsto dall'art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 758/1994 è stabilito per legge e si deve ritenere conosciuto in special modo ai destinatari dei precetti stabiliti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. L'imprenditore/datore di lavoro, indipendentemente dal fatto di essere alloglotta, è tenuto a conoscere non solo le norme che disciplinano la propria attività e gli impongono di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma anche a maggior ragione - le conseguenze penali che derivano dalla violazione di tale obbligo e le scansioni procedurali previste dalla legge italiana per fruire della causa di estinzione del reato accertato, dell'obbligo di regolarizzazione e delle conseguenze che derivano dall'inadempimento delle relative prescrizioni. Poiché, l'emissione delle prescrizioni è stata fisiologicamente preceduta dall'ispezione del luogo del lavoro nel corso della quale l'imputato era stato assistito da un interprete e reso edotto delle violazioni riscontrate, era suo onere farsi parte diligente e chiederne, semmai, la traduzione in una lingua a lui nota e l'eventuale proroga del termine ai sensi dell'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 758/1994, fermo restando il dovere immanente di restituire ai luoghi di lavoro le condizioni di igiene e sicurezza imposte dalla legge e la possibilità di fruire comunque della cd. oblazione amministrativa di cui all'art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994. Quanto alla dedotta carenza dell'elemento soggettivo, la `conoscibilità del contenuto della prescrizione' non ha alcuna rilevanza ai fini della sussistenza oggettiva e soggettiva del reato perché la condotta incriminata preesiste alla emanazione della prescrizione ed è anzi presupposta da quest'ultima. Quel che rileva, a fini sanzionatori, è la conoscenza del precetto penalmente sanzionato che non deriva da un evento successivo ed accidentale (la prescrizione, appunto) ma dalla conoscenza stessa della fattispecie incriminatrice la quale, come noto, non tollera ignoranza''.

    Note a piè di pagina
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    Comma modificato dall'art. 142, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106
    Comma modificato dall'art. 142, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106
    Fine capitolo