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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

    2. Fermo restando quanto previsto dal presente Capo, per le attività comportanti esposizione a rumore si applica il Capo II, per quelle comportanti esposizione a vibrazioni si applica il Capo III, per quelle comportanti esposizione a campi elettromagnetici si applica il Capo IV, per quelle comportanti esposizione a radiazioni ottiche artificiali si applica il Capo V.

    3. La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata, nel rispetto dei principi di cui al titolo I, dalle disposizioni speciali in materia.1

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Le radiazioni ionizzanti - 2. Lo stress da calore .

    A pochi mesi dalla sua emanazione, la nuova normativa in tema di radiazioni ionizzanti ha già richiamato l'attenzione della Corte Suprema. In forza dell'originario art. 180, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, ``la protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata unicamente dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e sue successive modificazioni''. Il D.Lgs. 31 luglio 2020, n. 101, recante ``l'attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e riordino della normativa di settore'', all'art. 243, comma 1, lettera b), abroga il D.Lgs. n. 230/1995, e all'art. 244, comma 1, così modifica l'art. 180, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008: ``La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata, nel rispetto dei principi di cui al titolo I, dalle disposizioni speciali in materia''.

    Il legale rappresentante della società esercente uno stabilimento termale fu condannato per il reato di cui all'art. 10-ter, comma 3, D.Lgs. n. 230/1995, in relazione all'art. 142-bis dello stesso decreto, ``per non aver provveduto ad effettuare, mediante l'ausilio di esperto qualificato, la valutazione dei rischi derivanti dalle sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti dello stabilimento termale''. A sua discolpa, deduce l'errata applicazione della legge penale con riferimento all'art. 10-bis, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 230/1995 ``al piccolissimo albergo, con annessa struttura termale di modestissima rilevanza, gestita dalla società dell'imputato''. Lamenta, inoltre, che era ``stata ritenuta insufficiente ad ottemperare all'obbligo di legge la valutazione preliminare di rischio che l'imputato aveva richiesto al Laboratorio di radioattività di un'Università, essendone risultato che la presenza di gas radon era inferiore alle soglie di pericolosità e non comportava pertanto rischi''. A questo secondo riguardo, rileva che ``l'art. 10ter D.Lgs. n. 230/1995 demanda la previsione delle specifiche tecnico-metodologiche degli accertamenti a linee guida da emanarsi a cura di una Commissione tecnica che non era mai stata istituita, senza nulla al proposito specificare'', e sostiene che ``aveva errato il giudice, avallando l'opinione dell'ispettore del lavoro che aveva eseguito l'accertamento, a ritenere inidonea l'analisi dell'acqua effettuata dal laboratorio a cui l'imputato si era rivolto'', in quanto ``l'assenza delle linee-guida cui la norma penale rinvia non può essere sopperita da discrezionali valutazioni del singolo ispettore del lavoro, pena la violazione del principio di determinatezza e del principio di prevedibilità della sanzione penale ricavabile dall'art. 7 CEDU''. La Sez. III non è d'accordo. Premette che nel frattempo ``è stato approvato, ed è entrato in vigore, il D.Lgs. 31 luglio 2020 n. 101'', e che siffatto decreto, all'art. 243, ha abrogato il D.Lgs. n. 230/1995''. Richiama, in particolare, quattro disposizioni del nuovo D.Lgs. n. 101/2020: ``l'art. 12, comma 1, lett. c), che fissa il valore medio annuo della concentrazione di attività di radon in aria per i luoghi di lavoro (300 Bq m-3); l'art. 16, comma 1, lett. d), che, delimitando il campo di applicazione delle disposizioni del provvedimento riferite ai luoghi di lavoro, indica gli stabilimenti termali; l'art. 17, che individua gli obblighi dell'esercente nei luoghi di lavoro di cui all'art. 16; l'art. 205, che individua le sanzioni penali nel caso di violazione dei suddetti obblighi''. Con riguardo agli obblighi penalmente sanzionati gravanti sull'esercente, nota che ``vi è continuità normativa tra l'art. 16, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 101/2020 e l'abrogato art. 10-bis, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 230/1995, posto che entrambe le disposizioni contemplano gli stabilimenti termali''. Prende atto che, a suo stesso dire, ``l'imputato gestiva un piccolissimo albergo con annessa stazione termale'' sia pur definita ``di piccolissima rilevanza''. E precisa che ``la legge non consente, e non consentiva, di distinguere a seconda della `rilevanza' (concetto, peraltro, estremamente vago) dello stabilimento termale, e la ratio, e la lettera, della disposizione (di quella abrogata come di quella vigente) induce con certezza a ritenerne l'applicabilità tutte le volte in cui lo stabilimento termale costituisca, per taluno, luogo di lavoro, circostanza che nella specie non è contestata''. Di notevole rilievo è la successiva analisi. La Sez. III ricorda che ``il D.Lgs. n. 230/1995 estendeva agli stabilimenti termali il livello di azione di 500 Bq/m (elevato)3 di concentrazione di attività di radon media in un anno, con necessità di effettuare il livello di misurazione tenendo conto delle caratteristiche geofisiche e costruttive dell'ambiente in cui viene svolta l'attività lavorativa''. Sottolinea che ``la norma incriminatrice di cui all'art. 10-ter, comma 3, D.Lgs. n. 230/1995 demandava poi alla Commissione di cui all'articolo 10-septies D.Lgs. n. 230/1995 l'individuazione di indicazioni e linee-guida, e il comma 1 di tale ultima previsione, alla lett. c), ulteriormente specificava come la stessa dovesse `elaborare' criteri per l'individuazione, nelle attività lavorative di cui alle lettere c), d) ed e) dell'articolo 10-bis, delle situazioni in cui le esposizioni dei lavoratori, o di gruppi di riferimento della popolazione, siano presumibilmente più elevate e per le quali sia necessario effettuare le misurazioni per la valutazione preliminare di cui all'articolo 10-ter, comma 3, nonché linee guida sulle metodologie e tecniche di misura appropriate per effettuare le opportune valutazioni''. Segnala che ``questa Commissione - composta di 21 esperti, da nominarsi ai sensi dell'art. 10-septies, comma 3, D.Lgs. n. 230/1995 - non è mai stata istituita''. A questo punto, pone in risalto che ``la vigente disciplina normativa quale prevista dall'art. 17 D.Lgs. n. 101/2020 si pone nella medesima prospettiva di quella abrogata, definendo tuttavia meglio gli obblighi che gravano sull'esercente dello stabilimento termale'', in quanto, ``da un lato, precisa che, entro ventiquattro mesi dall'inizio dell'attività, egli è tenuto a `completare le misurazioni della concentrazione media annua di attività di radon in aria' prendendo a riferimento il livello di cui all'art. 12, comma 1, lett. c)'', e, ``d'altro lato, individua con maggior chiarezza i conseguenti obblighi di valutazione dei rischi e di adozione delle eventuali misure correttive necessarie'', e, ``soprattutto, ai commi 5 e 6, la nuova disciplina stabilisce, mediante il rinvio alle prescrizioni contenute negli allegati II e XXIV al decreto e prescrivendo la necessità di avvalersi di servizi riconosciuti, le modalità con cui effettuare le obbligatorie misurazioni''. Ne ricava che, ``con riguardo alla violazione degli obblighi dell'esercente uno stabilimento termale di effettuare le misurazioni di concentrazione media annua di radon nell'aria al fine di valutare il rischio di esposizione dei lavoratori, vi sia continuità normativa tra la contravvenzione prevista dall'art. 142-bis D.Lgs. n. 230/1995 e quella prevista dall'art. 205, comma 1, D.Lgs. n. 101/2020, quest'ultima, peraltro, più severamente punita - e facente riferimento ad un livello il valore medio annuo di concentrazione di attività di radon in aria per i luoghi di lavoro inferiore- con conseguente necessità di fare applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p.'' (applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo).

    Tutto ciò premesso, la Sez. III insegna che, ``ai fini dell'integrazione della fattispecie penale quale prevista dalla disciplina abrogata, non rileva la mancata istituzione della Commissione di cui all'art. 10-septies D.Lgs. n. 230 del 1995''. Precisa che ``l'imputato aveva bensì eseguito una misurazione, affidandosi all'Università, ma essa - effettuata in modo istantaneo e con riguardo alle sole acque - non era sufficiente a soddisfare la prescrizione normativa per le ragioni, logiche e giuridicamente corrette, spiegate dall'ispettore del lavoro che aveva compiuto l'accertamento e condivise dal giudice''. Ritiene, infatti, evidente che ``una misurazione istantanea fatta sulla sola acqua non è aderente all'Allegato 1-bis del decreto abrogato, che la prevedeva sulla concentrazione di radon medio annuo nell'aria e dunque non vale a far ritenere ottemperato il precetto''. Aggiunge che, ``pur essendo l'imputato ricorso ad un laboratorio universitario di analisi, non si era avvalso come prescritto dall'art. 10-ter, comma 5, D.Lgs. n. 230/1995, e di un esperto qualificato, inserito nell'elenco di cui al successivo art. 78, istituito giusta le prescrizioni dell'Allegato V al medesimo testo normativo''. Ne desume che, ``se ciò avesse fatto e se l'esperto qualificato avesse effettuato un'effettiva valutazione del valore di concentrazione di radon in aria, quale che fosse stata la metodologia impiegata, certo non si sarebbe potuto muovere alcuna contestazione, in assenza delle linee-guida emanate dalla prevista Commissione, pena, altrimenti, la violazione del principio di tassatività''.

    A loro volta:

    Conferma la condanna del direttore generale deputato alla radioprotezione di una s.r.l. per il reato di cui all'art. 142 D.Lgs. n. 230/1995, per aver “omesso la protezione radiometrica prescritta dal successivo art. 157 allo scopo di individuare sorgenti o materiali radioattivi nei materiali di ingresso destinati alla fusione”.

    In forza dell'art. 99, comma 1, D.Lgs. n. 230/1995, «chiunque pone in essere le attività disciplinate dal presente decreto deve attuare le misure necessarie al fine di evitare che le persone del pubblico siano esposte al rischio di ricevere o impegnare dosi superiori a quelle fissate con il decreto di cui all'articolo 96, anche a seguito di contaminazione di matrici». A sua volta, l'art. 103 D.Lgs. n. 230/1995 prevede, al comma 1, che «ai fini del conseguimento degli obiettivi stabiliti all'art. 99, chiunque, nell'ambito delle attività disciplinate dal presente decreto che comportano l'obbligo della sorveglianza fisica, produce, tratta, manipola, utilizza, ha in deposito, materie radioattive o comunque detiene apparecchi contenenti dette materie, o smaltisce rifiuti radioattivi ovvero impiega apparecchi generatori di radiazioni ionizzanti, è tenuto a provvedere affinché vengano effettuate e registrate per iscritto le valutazioni preventive di cui all'art. 79, comma 7», e, al comma 2, che «i soggetti di cui al comma 1 devono inoltre provvedere, a seconda del tipo o della entità del rischio, affinché vengano effettuate: a) la verifica delle nuove installazioni dal punto di vista della protezione contro esposizioni o contaminazioni che possano interessare l'ambiente esterno al perimetro dell'installazione, tenendo conto del contesto ambientale in cui le installazioni si inseriscono; b) la verifica dell'efficacia dei dispositivi tecnici di protezione; c) la verifica delle apparecchiature di misurazione della esposizione e della contaminazione; d) la valutazione delle esposizioni che interessano l'ambiente esterno, con l'indicazione della qualità delle radiazioni; e) la valutazione delle contaminazioni radioattive e delle dosi connesse, con indicazione della natura, dello stato fisico e chimico delle materie radioattive e della loro concentrazione nelle matrici ambientali». Infine, l'art. 140, comma 1, D.Lgs. n. 230/1995 punisce chiunque viola le disposizioni di cui agli artt. 99 e 103 con l'arresto da due a sei mesi o con l'ammenda da euro 10.329 a euro 41.316, e, nei casi di grave o continuato superamento dei limiti di cui all'art. 96, il con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da euro 10.329 a euro 51.645». Nel caso giunto all'attenzione della Corte Suprema, l'esercente della pratica radiologica svolta presso un ambulatorio veterinario - condannato per la violazione degli artt. 103 e 140, D.Lgs. n. 230/1995, per non avere provveduto alle dovute verifiche periodiche - lamenta l'erronea qualificazione della fattispecie contravvenzionale quale reato di pericolo astratto. Premette che «la specifica normativa prevede l'obbligo di individuazione, delimitazione e segnalazione di una zona controllata, ovvero un luogo determinato in cui esiste una sorgente di radiazioni ionizzanti e in cui persone esposte per ragioni professionali possono ricevere una dose di radiazioni e di una zona sorvegliata, ovvero ogni luogo alla periferia di quella controllata in cui sussiste un pericolo di superamento della dose massima ammissibile». Osserva che «la normativa di riferimento configura una fattispecie di pericolo concreto, posto che il reato non presuppone l'astratta ed ipotetica possibilità di superamento dei limiti, bensì il fatto che alla mancata adozione delle misure necessarie consegua l'esposizione a dosi superiori rispetto a quelle fissate con il decreto di cui all'art. 96 del D.Lgs. n. 230/1995». Sottolinea che, «nella specie, dalla relazione tecnica di radioprotezione predisposta dall'esperto qualificato, i valori delle dosi ricevute dai gruppi di riferimento della popolazione di cui all'art. 79 del D.Lgs. n. 230/1995 fossero inferiori ai limiti richiesti dalla normativa in materia». E conclude che «il mancato superamento dei limiti normativi di esposizione, anche in assenza dei prescritti controlli periodici, determina l'insussistenza dell'addebito». La Sez. III non è d'accordo. Rileva che «dallo stesso sopralluogo fatto eseguire da esperto qualificato su incarico dell'imputato è risultata la classificazione del locale con previsione di controlli periodici ogni quindici mesi», e che «sono risultati interventi di sorveglianza fisica unicamente dal 1993, data del primo controllo, sino al 1999, sicché detti interventi sono stati omessi quanto meno dal 2005 sino al 2009». Non ravvisa «la denunciata violazione di legge sul presupposto che l'accertato mancato superamento dei limiti di esposizione, emergente dalla relazione tecnica di radioprotezione renderebbe sostanzialmente non rilevante l'omessa effettuazione di dette verifiche le quali, se anche espletate, null'altro avrebbero potuto accertare se non il rispetto dei predetti limiti». Spiega in proposito che «le verifiche richieste dalla norma sono indubbiamente finalizzate a prevenire eventi dannosi derivanti dal superamento delle soglie di esposizione di cui si è detto», e, quindi, «alla stregua di quanto può affermarsi con riguardo alle violazioni delle prescrizioni contenute nelle leggi antinfortunistiche con cui la norma in esame condivide la ratio di tutela anticipata del bene giuridico, la violazione del precetto posto dall'art. 103, comma 2, cit., postulante una presunzione iuris et de iure di pericolo, integra un reato di natura formale per la cui sussistenza è sufficiente, da parte dell'agente, l'omissione che costituisce l'elemento materiale della fattispecie, in tal modo essendo irrilevante la mancata integrazione (tanto più in quanto accertata a posteriori) del superamento dei limiti».

    Il direttore generale di una s.p.a. con delega alla sicurezza sul lavoro fu dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 22, comma 1, e 136, comma 1, D.Lgs. n. 230/1995, «perché ometteva di dare comunicazione, trenta giorni prima della detenzione, ai vigili del fuoco, agli organi del servizio sanitario nazionale e all'ispettorato del lavoro, della pratica radiologica comportante la detenzione di una macchina radiogena con tensione max di 70 keV e corrente max di 1,5 mA». Era stato accertato «la detenzione del macchinario risaliva al 12 settembre 2008, mentre la comunicazione alle autorità competenti risultava inviata il successivo 28 ottobre 2008», che «la nuova macchina era diversa rispetto a quella precedentemente detenuta (di potenza massima pari a 80 keV e corrente massima di 4,5 mA)». D'altra parte, stando alle «Direttive impartite dalla Regione Lombardia e dalla Direzione Regionale del Lavoro con documento del 12 novembre 2007, al punto 3, le comunicazioni preventive sono dovute anche nel caso che la macchina pervenga nel luogo di utilizzo smontata e in caso di sostituzione con altro macchinario occorre la segnalazione di modifica pratica, che deve essere comunque preventiva, anche se non soggetta al termine di 30 giorni». Nel proporre ricorso, l'imputato deduce che, «trattandosi di mera variazione di pratica, non sussisteva l'obbligo di comunicazione preventiva alle autorità anche perché si trattava di una variazione migliorativa, essendo stata acquistata una macchina di potenza inferiore (tensione max di 70 keV), quindi meno pericolosa e meno inquinante di quella in precedenza acquistata nel 2005 (di potenza pari a 80 keV)». Rileva, inoltre, che, «dall'esame del D.Lgs. n. 230/1995, art. 1, n. 2, risulta che la norma sulla comunicazione della variazione pratica si riferisce al funzionamento delle macchine radiogene e non alla mera detenzione di esse», e che la comunicazione è in ogni caso avvenuta in data anteriore alla messa in funzione dell'apparecchiatura. La Sez. III non è d'accordo. Premette che «la questione di diritto sottoposta al Collegio è duplice: a) se la comunicazione alle autorità deve essere precedente alla «detenzione della macchina» o piuttosto alla sua «messa in funzione»; b) se in caso di acquisto di macchinario di potenza inferiore a quello già detenuto occorre ugualmente assolvere all'obbligo di comunicazione». Prende atto che «l'apparecchiatura acquistata dalla società nel 2008 è una macchina radiogena e che nel 2005 era stata acquistata altra macchina di potenza superiore», e che «la comunicazione alle autorità avvenne in data 28 ottobre 2008, mentre la detenzione risaliva al 12 settembre 2008 e la messa in funzione avvenne il successivo 3 novembre 2008». Ricorda che «l'art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 230/1995 dispone che «chiunque intenda intraprendere una pratica, comportante detenzione di sorgenti di radiazioni ionizzanti, deve darne comunicazione, trenta giorni prima dell'inizio della detenzione, al Comando provinciale dei Vigili del Fuoco, agli organi del Servizio sanitario nazionale, e, ove di loro competenza, all'ispettorato provinciale del lavoro, al Comandante di porto e all'Ufficio di sanità marittima, nonché alle agenzie regionali e delle province autonome di cui all'articolo 3 del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, indicando i mezzi di protezione posti in atto», e che «l'ANPA può accedere ai dati concernenti la comunicazione preventiva di pratiche, inviati alle agenzie predette». Osserva che «il tenore della norma contenuta nell'art. 22, comma 1, è chiaro: l'obbligo di comunicazione scatta per effetto dell'avvio di una pratica comportante la mera detenzione; non si richiede quindi il funzionamento del macchinario e pertanto appare corretta anche l'interpretazione contenuta nella direttiva regionale laddove assoggetta agli obblighi di comunicazione anche i macchinari smontati». Ne trae che «la comunicazione richiesta dalla legge deve precedere la detenzione del macchinario e non la sua messa in funzione». Spiega che «ragionare diversamente significa non solo discostarsi dal disposto normativo, ma anche ancorare un preciso obbligo di legge a un dato assolutamente incerto, rimesso alla discrezionalità dell'interessato, quale è appunto il momento in cui si decide di attivare l'apparecchio e, in ipotesi, porterebbe addirittura ad escludere del tutto l'obbligo informativo, come nel caso in cui la macchina venisse detenuta, ma di fatto non impiegata (perché, ad es., acquistata solo come strumento di riserva)». «Quanto all'altro problema», la Sez. III mette in luce che «nessun dato normativo induce a ritenere che l'acquisto di un macchinario di potenza inferiore al precedente valga ad esonerare dall'obbligo di comunicazione di cui all'art. 22, comma 1». E aggiunge che «la legge non opera distinzioni tra macchinari in base alla potenza, né prevede esenzioni in caso di sostituzione con apparecchi meno potenti, limitandosi a richiedere l'adempimento per ogni pratica che comporti la detenzione di determinati macchinari comportanti radiazioni».

    Per il riferimento all’art. 180 D.Lgs. n. 81/2008 Cass. pen. 9 agosto 2022 n. 30789, sub art. 96, paragrafo 6, attinente allo stress da calore.

    Note a piè di pagina
    1
    Comma così sostituito dall'art. 244, comma 1, D.Lgs. 31 luglio 2020, n. 101.
    Comma così sostituito dall'art. 244, comma 1, D.Lgs. 31 luglio 2020, n. 101.
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