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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    1. Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:

    a) priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

    b) dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.

    2. Il datore di lavoro sceglie il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell'impiego. Il sistema di accesso adottato deve consentire l'evacuazione in caso di pericolo imminente. Il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta.

    3. Il datore di lavoro dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l'uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare.

    4. Il datore di lavoro dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare. Lo stesso datore di lavoro prevede l'impiego di un sedile munito di appositi accessori in funzione dell'esito della valutazione dei rischi ed, in particolare, della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico.

    5. Il datore di lavoro, in relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate in base ai commi precedenti, individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini.

    6. Il datore di lavoro nel caso in cui l'esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.

    7. Il datore di lavoro effettua i lavori temporanei in quota soltanto se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.

    8. Il datore di lavoro dispone affinché sia vietato assumere e somministrare bevande alcoliche e superalcoliche ai lavoratori addetti ai cantieri temporanei e mobili e ai lavori in quota.58

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Attrezzature per lavori in quota .

    Per una analisi dettagliata della norma v.:

    ``La gestione del rischio di caduta dall'alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art. 111, comma 1, lettera a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota. L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5). Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura''.

    ``Il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 111, D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via prioritaria rispetto a misure di protezione individuale, in quanto le prime sono atte ad operare anche in caso di omesso utilizzo da parte del lavoratore del dispositivo individuale. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura''. (V. anche Cass. 13 marzo 2023 n. 10404).

    ``La gestione del rischio di caduta dall'alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art. 111, comma 1 lettera a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota. L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5); nell'ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in ossequio alle disposizioni precedenti doveva, dunque, essere valutata la responsabilità colposa dell'imputato per l'omissione di cautele atte a minimizzare il rischio di caduta. Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura. Seguendo il percorso indicato dal legislatore, compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla normativa. In secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto e alte attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute. Il Tribunale ha, correttamente, evidenziato che sarebbe stato possibile posizionare prima del lavoro sotto le lastre di ondulina una rete anticaduta, che avrebbe salvato la vita al lavoratore. Risulta, pertanto, ininfluente sulla decisione assunta dal giudice di merito ogni argomentazione inerente all'avvenuta consegna al lavoratore dei dispositivi di protezione individuale, posto che il nucleo della decisione è da ravvisare nella omessa predisposizione di presidi collettivi e individuali idonei a minimizzare il rischio di caduta dall'alto''.

    Infortunio mortale occorso a un lavoratore intento ad applicare sul tetto di una unità produttiva uno strato di impermeabilizzazione di gomma liquida e precipitato da un'altezza di cinque metri a causa dello sfondamento di una lastra di copertura. Nel confermare la condanna del datore di lavoro, la Sez. IV rileva che l'art. 111, comma 1, lett. a), stabilisce la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale, sul presupposto che ``i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale''. Aggiunge che, nel successivo comma 4, l'art. 111 prevede che ``il datore di lavoro può disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili'', e in tal guisa ``rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota''. Inoltre, dal comma 6, desume che ``solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare''. A questo punto, la Sez. IV osserva che ``l'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro''. Con riguardo al caso di specie, prende atto che ``il lavoratore deceduto stava lavorando in quota in assenza di qualsivoglia dispositivo di protezione, collettivo o individuale'', in quanto ``non erano state previste linee vita e al momento dell'infortunio il lavoratore non indossava alcuna imbracatura''. E insegna che ``l'adozione delle misure è obbligatoria, indipendentemente dalla durata della lavorazione da effettuare, posto che il rischio caduta si concretizza per il solo fatto di raggiungere una quota in altezza''.

    ``In caso di lavori in quota, l'adozione di misure collettive di contenimento è obbligatoria e non surrogabile mediante l'impiego di presidi individuali, quali cinture di sicurezza, previsti solo in via sussidiaria o complementare. A tal fine, il giudice ha richiamato, oltre all'art. 111, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, anche il successivo art. 115 stesso T.U., precisando che tali disposizioni, pur significative, non sono tuttavia esaustive nel loro portato precettivo, dovendo rinviarsi anche all'art. 122, per il quale, nei lavori in quota, devono essere adottate le misure di sicurezza collettive. Da tale ricognizione, il giudice ha tratto la conclusione che non sussistono margini di facoltatività nell'adozione delle misure di sicurezza collettive, la norma da ultimo richiamata ponendo un obbligo inderogabile, ricavabile anche dal dato testuale (`devono essere adottate'). Pertanto, quando è possibile, tali opere devono essere predisposte e, nel caso di specie, nulla aveva dimostrato che ne fosse impossibile l'allestimento: anche il prospettato rifiuto da parte del committente non era stato confermato e, comunque, anche ove lo fosse stato, non avrebbe legittimato soluzioni liberatorie''.

    ``L'art. 111 D.Lgs. n. 81/2008 illustra, secondo un preciso schema logico, quale sia la condotta del datore di lavoro che il legislatore ha ritenuto idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art. 111, comma 1, lettera a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare it dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota. L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5); è, dunque, nell'ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in ossequio alle disposizioni precedenti che deve essere valutata la responsabilità colposa del datore di lavoro per l'omissione di ulteriori cautele atte a minimizzare il rischio di caduta. Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura''. Nel caso di specie, un lavoratore ``stava eseguendo delle misurazioni su una trave prefabbricata all'altezza di circa 6 metri dal suolo insieme ad un collega, quando era scivolato e caduto a terra; nel cantiere non era stata riscontrata la presenza di linee vita''. La Sez. IV annulla la condanna del datore di lavoro per omicidio colposo (oltre che della società per il connesso illecito amministrativo): ``Compito del giudice di merito era, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art. 111, comma 1, lettera a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione. In secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto ed alle attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute. La pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le linee vita, senza avere, in primo luogo, esaminato se la predisposizione delle piattaforme elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza. Né costituisce iter argomentativo coerente con la citata disciplina antinfortunistica affermare che le piattaforme elevatrici non fossero idonee a consentire un'`agevole' misurazione delle travi del fabbricato, né tantomeno fossero misure sostitutive rispetto ai dispositivi linee vita, laddove sarebbe stato compito del giudice valutare in primo luogo se le misure di protezione collettiva messe a disposizione degli operai fossero adeguate a garantire i livelli di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica per i lavori in quota, anche a prescindere dal fatto che l'uso di tali dispositivi avrebbe reso meno agevole la misurazione delle travi; è, infatti, compito del giudice, in ossequio alla previsione normativa, esaminare la validità della scelta del dispositivo indicato dal legislatore come prioritario e la concreta utilizzabilità di esso per eseguire il lavoro''.

    Infortunio mortale occorso a un lavoratore intento ad applicare sul tetto di una unità produttiva uno strato di impermeabilizzazione di gomma liquida e precipitato da un’altezza di cinque metri a causa dello sfondamento di una lastra di copertura. Nel confermare la condanna del datore di lavoro, la Sez. IV rileva che l’art. 111, comma 1, lett. a), stabilisce la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale, sul presupposto che “i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale”. Aggiunge che, nel successivo comma 4, l’art. 111 prevede che “il datore di lavoro può disporre l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili”, e in tal guisa “rafforza l’indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota”. Inoltre, dal comma 6, desume che “solo l’esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare”. A questo punto, la Sez. IV osserva che “l’intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro”. Con riguardo al caso di specie, prende atto che “il lavoratore deceduto stava lavorando in quota in assenza di qualsivoglia dispositivo di protezione, collettivo o individuale”, in quanto “non erano state previste linee vita e al momento dell’infortunio il lavoratore non indossava alcuna imbracatura”. E insegna che “l’adozione delle misure è obbligatoria, indipendentemente dalla durata della lavorazione da effettuare, posto che il rischio caduta si concretizza per il solo fatto di raggiungere una quota in altezza”. (Conforme Cass. 12 luglio 2023 n. 30166).

    Note a piè di pagina
    58
    Comma così modificato dall'art. 71, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma così modificato dall'art. 71, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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