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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Successivo 97 Obblighi del datore di lavoro dell'impresa affidataria
    Mostra tutte le note

    1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti:

    a) adottano le misure conformi alle prescrizioni di cui all'allegato XIII;

    b) predispongono l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili;

    c) curano la disposizione o l'accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il ribaltamento;

    d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute;

    e) curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori;

    f) curano che lo stoccaggio e l'evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;

    g) redigono il piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 89, comma 1, lettera h).

    1-bis. La previsione di cui al comma 1, lettera g), non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature. In tali casi trovano comunque applicazione le disposizioni di cui all'articolo 26.34

    2. L'accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all'articolo 17 comma 1, lettera a), all'articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3, e 5, e all'articolo 29, comma 3.35

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Le responsabilità dei datori di lavoro nei cantieri - 2. Allegato XIII e art. 96, comma 2 - 3. Omessa o non aggiornata redazione del POS - 4. Fornitura di materiali o attrezzature e il caso “calcestruzzo” - 5. Accesso al cantiere - 6. Stress da calore .

    L'eventuale responsabilità di altri soggetti, e in ispecie, dell'organizzazione committente non fa comunque venir meno le responsabilità gravanti sui datori di lavoro (e sugli RSPP) delle imprese esecutrici:

    “Il legislatore impone con gli artt. 96 e 89, lett. h), che richiama l’art. 17 D.Lgs. n. 81/2008, proprio la valutazione dei rischi e la redazione del POS per il singolo cantiere interessato, al fine di rendere concreta e specifica la predisposizione delle necessarie misure di protezione”.

    ``Gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, gravano su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali''. Da disattendere è ``la doglianza sulla carenza di responsabilità in relazione alta morte del lavoratore autonomo e non dipendente della ditta individuale''. Infatti, il lavoratore autonomo ``in ogni caso svolgeva attività lavorativa per l'imputato che aveva ottenuto il subappalto dei lavori dalla affidataria, con la conseguente assunzione di posizione di garanzia da parte dello stesso subappaltatore''.

    ``L'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza (POS) grava su tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici dei lavori, ivi compreso, in caso di subappalto, quello dell'impresa subappaltante''.

    ``Il datore di lavoro dell'impresa esecutrice ha l'obbligo di redigere un piano operativo completo che contempli specificamente tutti i rischi connessi al cantiere, che, nel caso di specie, si estendeva anche al torrino dell'albergo. Valgono rispetto al piano operativo di sicurezza gli stessi principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per il documento di valutazione dei rischi. Nel caso di specie, da un lato, erano già stati svolti lavori di impermeabilizzazione sul torrino e, dall'altro, era imminente l'esecuzione di ulteriori lavori di impermeabilizzazione sul torrino, sicché il datore di lavoro aveva l'obbligo di inserire i rischi connessi nel p.o.s. e di informare e formare i lavoratori. Nell'attuale disciplina legislativa tale obbligo è globale, unitario, soggetto a costante aggiornamento, ma non parcellizzato e limitato alle attività giornaliere''.

    Frequente la situazione considerata da questa sentenza: un lavoratore intento ad operare su un lucernario coperto da lastre in eternit cade da un'altezza di otto metri in seguito alla rottura di una di queste lastre. Viene condannato l'amministratore unico della s.r.l. subappaltatrice dei lavori di rimozione e smaltimento dei pannelli di eternit che ricoprivano i lucernai e incaricata, altresì, della pulitura dei residui di amianto dai listelli in legno posizionati sul tetto, sub-subappaltata alla ditta datrice di lavoro dell'infortunato. Colpa: ``aver omesso nel piano operativo di sicurezza di dettagliare la descrizione di tutte le misure di protezione da adottare per prevenire i rischi di cadute dall'alto per i lavori da eseguire in cantiere''. La Sez. IV conferma la condanna: ``Gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche gravano su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali''.

    ``L'allegato XIII, citato dall'art. 96 D.Lgs. n. 81/2008, prevede che i luoghi di lavoro al servizio dei cantieri edili devono rispondere, tenuto conto delle caratteristiche del cantiere e della valutazione dei rischi, alle norme specifiche nel presente decreto legislativo. L'impresa affidataria dei lavori, dunque, anche quando ne subappalti l'integrale esecuzione ad altre imprese, deve comunque verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e del piano di sicurezza e coordinamento. L'eventualità che l'impresa subappaltatrice abbia direttamente apprestato il ponteggio non esonera l'impresa affidataria dall'obbligo di verifica imposto dall'art. 97, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, né da quelli ben più pregnanti previsti dall'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008. Vero è che l'accettazione, da parte di ciascun datore di lavoro, del piano di sicurezza e coordinamento e la redazione del piano operativo di sicurezza, costituiscono adempimento delle disposizioni (tra le altre) dell'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, tuttavia: a) l'imputato non deduce l'accettazione, da parte dell'impresa subappaltatrice, del piano di sicurezza e coordinamento; b) l'art. 17 del contratto di subappalto prevedeva la (sola) redazione del piano operativo di sicurezza. Non è pertanto corretto, quantomeno in termini assoluti e perentori, sostenere che le disposizioni di cui all'art. 125, comma 6, D.Lgs. n. 81 del 2005 si applicano solo all'impresa subappaltatrice, perché della sua violazione risponde anche l'impresa affidataria sulla quale permane l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro. Obbligo nel caso di specie non assolto nemmeno nella forma equipollente prevista dall'art. 96, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2008. Non ha perciò pregio giuridico l'eccezione secondo la quale la responsabilità relativa alla sicurezza dei lavori affidati in subappalto era stata trasferita all'impresa subappaltatrice ai sensi dell'art. 17 del contratto di subappalto''.

    La Sez. III conferma la condanna di un datore di lavoro per la violazione dell'art. 96, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 per ``aver omesso di installare, nel cantiere che la predetta ditta aveva aperto e dove erano in corso lavori di ristrutturazione di un edificio, i servizi igienici, come invece prescritto dall'allegato XIII al ricordato D.Lgs.'': ``l'art. 96, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 81/2008 non contiene limitazioni da cui si possa desumere che lo stesso non sia applicabile nel caso di cantieri installati allo scopo di realizzare opere di impiantistica elettrica''.

    Condannato per la violazione dell'art. 96, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 per avere omesso di predisporre, presso un cantiere ove si svolgevano opere edili, servizi igienici con caratteristiche tali da minimizzare il rischio sanitario, un datore di lavoro deduce la presenza di un vecchio bagno «tipo in lamiera». La replica della Sez. III è: «non solo non è stata raggiunta la prova della esistenza di un bagno in lamiera, ma, in ogni caso - quand'anche vi fosse stato - esso (visto che è stato sostituito) non presentava le prescritte caratteristiche necessarie a prevenire un rischio sanitario».

    “L’obbligo a carico del datore di lavoro non si arresta alla predisposizione di un piano operativo di sicurezza che contenga la indicazione delle misure di sicurezza volte a prevenire le fonti di rischio connesse alla natura e alle caratteristiche delle opere oggetto di appalto, ma si estende ad un onere di aggiornamento e di adeguamento del piano, allorquando l’impresa sia chiamata a realizzare opere nuove o aggiuntive che comportano modalità o sistemi di lavorazione più complessi e articolati, così da imporre la riconsiderazione, in chiave prevenzionistica, di ulteriori fonti di rischio e quindi la predisposizione di misure di sicurezza coerenti con l’innalzamento del grado di pericolo connesso alle suddette lavorazioni”. (Circa l’obbligo di valutazione nel POS del rischio lavorativo di interferenza dei cantieri con il traffico veicolare v. Cass. 28 novembre 2022 n. 45134, sub art. 28, paragrafo 43).

    «Evidente è la sussistenza del nesso di causalità fra la mancata predisposizione del POS e l'infortunio verificatosi. Con l'adozione del POS, si sarebbe dovuto prevedere, fra le possibili evenienze, il rischio di caduta dall'alto nel corso dei lavori di impermeabilizzazione del tetto, con particolare riferimento alla tenuta dei lucernari e al pericolo di rottura, e, conseguentemente, prevedere l'adozione delle misure antinfortunistiche volte ad impedire l'evento. La mancata redazione del POS ha impedito al datore di lavoro una presa di coscienza del relativo rischio e della necessità di approntare apposite opere provvisionali».

    A un socio di un'impresa di scavi e movimentazione terra si addebita il decesso di un dipendente che, ``operando a bordo di un autocarro, dopo essere entrato in un cantiere per una via non prevista dal P.S.C. e nonostante la delimitazione dell'area, eseguendo manovre di carico e scarico di materiale di riporto su un viottolo sterrato, del tutto inidoneo al transito dei mezzi pesanti in ragione della pendenza e delle dimensioni, si era ribaltato rotolando a valle mentre stava scaricando materiale, con il cassone alzato, alterandone il già precario equilibrio''. La Sez. IV osserva: ``L'autocarro dal cui ribaltamento è derivato il decesso del lavoratore era indicato nel P.O.S. dell'impresa datrice di lavoro tra gli attrezzi da lavoro ed aveva la funzione di trasportare all'interno del cantiere `materiali da costruzione o provenienti dagli scavi e dalle demolizioni'; con riferimento alla movimentazione dell'autocarro all'interno del cantiere, il Piano di Sicurezza aveva previsto il pericolo di cedimento del fondo e di ribaltamento dell'autocarro durante le manovre, onde emerge l'inconsistenza dell'affermazione secondo la quale l'infortunio si sarebbe verificato mentre il lavoratore svolgeva attività estranee al rischio gestito dal datore di lavoro''.

    Con nota del 10 febbraio 2016 n. 2597, il Ministero del Lavoro si è proposto di fornire ``chiarimenti concernenti la redazione del Piano Operativo di Sicurezza (POS) da parte di aziende fornitrici di calcestruzzo nei cantieri temporanei o mobili quali definiti all'articolo 89, comma 1, lettera a)''. E a questo fine richiama la procedura per la fornitura in cantiere approvata il 19 gennaio 2011 dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e diffusa con Lettera Circolare n. 3328 del 10 febbraio 2011 del Ministero del Lavoro. Il timore è che si tratti di chiarimenti non agevolmente conciliabili con un'esatta analisi dei rapporti tra l'art. 26 e il Titolo IV Capo I del D.Lgs. n. 81/2008 (v. al riguardo sub art. 26, paragrafo 1, a). In argomento v. comunque:

    Il datore di lavoro di una s.r.l. fu condannato per l'infortunio occorso a un dipendente che, ``durante la esecuzione dei lavori di gettata a terra di calcestruzzo per realizzare una pavimentazione, stava manovrando con l'apposito telecomando il braccio della pompa proveniente dall'automezzo per la distribuzione del calcestruzzo, e, al fine di dare ad un collega indicazioni per il versamento del calcestruzzo, saliva e si sedeva sopra un muretto alto 2,50 metri che divideva la zona in cui era ferma la betoniera dalla zona da pavimentare, muro privo di idonee protezioni, precauzioni, ancoraggi, ponteggi e di ogni sistema di protezione, sicché il lavoratore, per far passare il braccio della pompa, si alzava in piedi, quindi perdeva l'equilibrio e cadeva a terra''. A sua discolpa, l'imputato sostiene che ``la responsabilità organizzativa a carico di altra ditta, che doveva eseguire i lavori, e non già della propria, che doveva solo fornire il calcestruzzo'', e che ``spettava unicamente all'altra ditta approntare le tutele per scongiurare l'evento verificatosi e, ai sensi dell'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui era destinata ad operare, ciò che però non fu fatto''. Aggiunge che ``la corte d'appello ha sottolineato che la circolare del Ministero del lavoro del 10 febbraio 2011, citata nell'atto di appello, è successiva ai fatti e perciò inapplicabile''. Evidenzia che la circolare ``è stata richiamata, in realtà, a titolo meramente esemplificativo; essa è utile perché spiega come interpretare il più generale dato normativo rispetto alle specifiche lavorazioni collegate alla fornitura di calcestruzzo''. Rammenta che ``la circolare in questione, al par. n. 4, specifica la previsione dell'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 e prevede un onere di coordinamento tra le due imprese, il par. n. 6 prescrive le procedure di sicurezza per la fornitura di calcestruzzo, il par. n. 6.4. stabilisce espressamente che il lavoratore dell'impresa fornitrice non deve partecipare in alcun modo alla posa del calcestruzzo e durante il pompaggio deve porsi in luoghi di lavoro espressamente indicati dal dirigente/ preposto/incaricato dell'impresa esecutrice e tali da poter consentire il contatto visivo con i lavoratori dell'impresa esecutrice addetti alla posa del calcestruzzo'': ``impresa esecutrice che avrebbe dovuto informare la ditta dell'imputato della presenza di un ostacolo alla visibilità, cosicché tale ditta potesse dotare i propri dipendenti di ricetrasmittenti; oppure, in alternativa, la ditta esecutrice avrebbe potuto di propria iniziativa montare ponteggi ai quali i dipendenti dell'imputato avrebbero potuto assicurarsi''. Precisa ancora che ``il datore di lavoro non aveva motivo di ritenere che la fornitura di calcestruzzo presentasse problemi particolari rispetto al solito, né che il versamento del liquido obbligasse i/ dipendente a salire su un muretto alto circa 2,5 metri, cui sono riconnessi una serie di presidi antinfortunistici; del resto, il materiale era destinato al pavimento del pian terreno dell'edificio''. Con la conseguenza che la regola cautelare che si assume violata non era ancora un obbligo attivabile in capo all'imputato, poiché conseguenza di una carente informazione da parte della ditta incaricata delle opere edili''. La Sez. IV replica: ``In ogni caso, pur trattandosi di mera ditta consegnataria, avrebbero dovuto trovare attuazione misure di sicurezza; proprio in ragione della comprovata assenza di un responsabile di cantiere o di altro soggetto deputato alla vigilanza in materia antinfortunistica, sarebbe stato preciso compito del datore di lavoro recarsi previamente sul cantiere per monitorare la situazione (così facendo, si sarebbe reso conto della presenza del muro inibitorio della visuale ed avrebbe potuto individuare le misure antinfortunistiche più idonee in relazione al peculiare stato dei luoghi: con la conseguenza che non averlo fatto implica responsabilità per quanto occorso)''.

    Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori esclude che ``l'impresa fornitrice del calcestruzzo, datrice di lavoro dell'infortunato, fosse compresa nello spettro di coordinamento e di vigilanza del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, atteso che per essa non sussisteva l'obbligo di redigere il POS''. A sua volta, il titolare della predetta impresa nega il ``profilo di colpa relativo alla mancata predisposizione di un POS''. Per contro, la Sez. IV prende atto che ``la suddetta impresa non si era limitata a fornire il materiale, ma aveva partecipato alla esecuzione delle attività di distribuzione del calcestruzzo, tantoché l'incidente mortale si era realizzato proprio nel corso di una gettata per riempire casseforme di pilastri di sostegno di un muro alto m. 2,85, e che ``a tale incombente era intento un dipendente della stessa impresa, e ciò costituiva l'indizio più significativo della partecipazione di tale impresa alle lavorazioni mediante le proprie maestranze''. Di qui ``la persistenza dell'obbligo in capo al coordinatore di sincerarsi della predisposizione di un POS dell'impresa, di valutare la esigenza di coordinarlo e di adeguarlo al PSC''.

    ``Con riguardo all'imputato quale fornitore del calcestruzzo è indiscutibile la sussistenza dell'obbligo di cui all'art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 494/1996 [trasfuso nell'art. 101, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008], in base al quale il datore di lavoro è tenuto, prima dell'inizio dei lavori, a trasmettere al coordinatore per l'esecuzione dei lavori del cantiere il piano operativo di sicurezza. Nel caso in esame non si tratta, infatti, di fattispecie in cui il soggetto si limiti a fornire materiale che poi deve essere manipolato dall'impresa destinataria, ma di vicenda in cui la consegna del calcestruzzo rappresenta un quid pluris rispetto alla mera fornitura implicando lo svolgimento di una attività esecutiva nel cantiere. Di qui l'obbligo ex articolo 13, comma 3, del D.Lgs 494 del 1996 e ovviamente anche quello di cui all'articolo 11 d.P.R n. 494 del 1996, proprio perché nello specifico la operazione implicava il potenziale interessamento di linee elettriche''.

    In un cantiere allestito da un'impresa per la realizzazione di unità abitative, un lavoratore di tale impresa fu mortalmente investito da una fiammata dovuta al contatto con la linea elettrica del braccio estensibile di un'autobetoniera fornita da una s.p.a. e manovrata da un dipendente della stessa s.p.a. La Sez. IV conferma la condanna di quattro persone: il datore di lavoro della vittima, il coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori, il legale rappresentante della s.p.a., e il dipendente della s.p.a incaricato di manovrare l'autobetoniera. La colpa addebitata alla s.p.a. fornitrice dell'autobetoniera fu quella di non aver redatto il piano operativo di sicurezza (POS). In proposito, la Sez. IV osserva che la s.p.a. ``mise a disposizione anche due dipendenti e, in particolare, un lavoratore esperto con l'incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile'', ``un'operazione ben precisa che comportava un contributo tecnico ed esecutivo, da parte di personale della ditta, sicuramente eccedente la fornitura di materiale e attrezzature''. Rileva che ``la stessa circolare del 2007 del Ministero del Lavoro prevede l'obbligo di redazione del P.O.S. in capo alle ditte che partecipino in maniera diretta all'esecuzione di lavori di costruzione in muratura''. In ordine, poi, ``alla configurabilità delle suddette prestazioni come appalto d'opera piuttosto che, ad esempio, come `nolo a caldo' (riferito, cioè, al noleggio di un macchinario con messa a disposizione di un operatore)'', prende atto che l'intervento della s.p.a. ``si contraddistingueva per la partecipazione a diverse fasi lavorative con propri mezzi e proprio personale''. Aggiunge che, ``in base alle Linee guida del coordinamento tecnico interpretative del decreto legislativo n. 494/1996, erano assoggettate agli obblighi delle imprese esecutrici (fra i quali rientra la redazione del P.O.S.) anche quelle che forniscono fornitura e posa in opera di materiali (fornitura e getto di calcestruzzo con autobetonpompa)'', e che l'imputato ``doveva ben sapere che il macchinario richiestogli era destinato ad essere impiegato in luogo caratterizzato dalla presenza di linee elettriche in quota, e perciò egli assumeva precisi obblighi di garanzia in quanto anch'egli gestore del rischio connesso alle dette opere''. Mette anche in luce che il Piano di sicurezza e coordinamento (PSC) redatto dal coordinatore per la progettazione dei lavori prevedeva ``le condizioni di rischio che caratterizzavano il cantiere ove il mezzo doveva essere impiegato, a cagione della presenza dei cavi elettrici''. (V. anche Cass. 11 maggio 2017 n. 23120, al paragrafo 4). (Circa il nolo a caldo v. sub art. 26, paragrafo 19).

    La Sez. IV rileva che ``la zona di accesso al cantiere è da un verso facilmente individuabile'', nel senso che ``almeno nei cantieri che risultano recintati, l'accesso coincide con il varco che permette il transito verso e dal cantiere'', là dove ``meno agevole è delimitare lo spazio fisico che pertiene all'accesso, operazione tuttavia necessaria per non giungere al paradosso di considerare zona di accesso al cantiere anche la via pubblica che deve essere percorsa per giungere in prossimità di quel varco''. Ritiene d'individuare ``la soluzione interpretativa nel principio che sottostà all'attribuzione di compiti doverosi, ovvero quello della titolarità di poteri che consentono l'assolvimento dei correlati doveri''. Spiega che ``non possono rientrare nell'area di accesso al cantiere zone sulle quali il soggetto gravato di obblighi che pertengono alla stessa non abbia poteri dispositivi'', e che, ``correlativamente, non si possono riferire al titolare del potere dispositivo obblighi comportamentali che eccedano quel potere''. Ne desume che ``non può rientrare nella zona di accesso al cantiere, secondo la accezione che rileva ai fini dell'applicazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro, il marciapiede esterno al varco, se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro, chiamato a gestire i rischi derivanti dal transito attraverso l'accesso al cantiere''. Ed esclude che si possa far carico al datore di lavoro ``di non aver limitato il transito dei pedoni su un'area che, certamente estranea al cantiere e costituita da componenti della viabilità pubblica (marciapiedi e carreggiate) non era nella disponibilità degli stessi''. Per contro, sostiene che ``sul datore di lavoro grava l'obbligo di predisporre l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili, secondo quanto può trarsi dal menzionato art. 96''. Aggiunge che ``questa previsione rimanda implicitamente alle disposizioni di maggior dettaglio tecnico, le quali indicano quali caratteristiche deve avere la segnaletica'', e segnala che ``l'All. XXIV, punto 2.1.4. al D.Lgs. n. 81/2008, prevede che `la segnaletica delle vie di circolazione deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza'''. Ne desume che ``occorre rendere percepibile la via di circolazione passante per l'accesso al cantiere''. (Per un caso d'infortunio occorso a un pedone travolto dal crollo della ringhiera di recinzione di un edificio in corso di ristrutturazione Cass. 10 aprile 2017, sub art. 93, paragrafo 2).

    Il legale rappresentante e un socio datore di lavoro di fatto di una s.r.l. furono condannati per omicidio colposo in danno di un lavoratore in nero che durante il montaggio di una copertina di cemento presso un cantiere edile accusava un malore e poi decedeva per ipertermia da colpo di calore. Venne condannata anche la s.r.l. per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies D.Lgs. n. 231/2001. Addebito di colpa: ``non avere preso precauzioni contro le influenze atmosferiche che potevano compromettere la salute del lavoratore, in particolare non disponendo la sospensione dell'attività lavorativa nelle ore più calde (in quei giorni le temperature massime erano di circa 37 gradi, superiori alla temperatura massima media del periodo)''. Ulteriore addebito mosso al datore di lavoro di fatto: ``aver ritardato l'intervento dei sanitari, trasportando l'infortunato mediante automobile, anziché facendo tempestivamente intervenire l'ambulanza, e comunque chiamando in ritardo il soccorso mediante il 118''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV si preoccupa di richiamare gli obblighi di prevenzione contro il rischio calore. Anzitutto, l'obbligo previsto nell'art. 96, comma 1, lettera d), D.Lgs. n. 81/2008, di ``curare la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute''. Osserva che ``tale obbligo è posto in generale a carico del datore di lavoro quale garante della incolumità degli addetti che svolgono attività all'aperto, e tra questi gli addetti all'edilizia, attraverso la indicazione del fattore di pericolo legato ad agenti atmosferici, rientranti ex art. 180 D.Lgs. n. 81/2008 tra gli agenti fisici da valutare al fine di approntamento delle misure precauzionali necessarie a fronteggiare la incidenza sulle condizioni di sicurezza''. Da notare, a questo proposito, che, nell'ambito del Titolo VIII del D.Lgs. n. 81/2008, dedicato agli agenti fisici, l'art. 180, al comma 1, precisa che ``per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori''. Dove ad assumere rilievo è il riferimento al ``microclima'' evocato in precipuo rapporto ai locali chiusi di lavoro nell'Allegato IV, punto 1.9., D.Lgs. n. 81/2008 (v., peraltro, anche il punto 1.8.7). La Sez. IV completa il quadro degli obblighi anti-calore, aggiungendo un profilo di colpa generica consistente nella ``omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore''. Prende atto che nel caso di specie ``il lavoratore si stava occupando del posizionamento di una copertina di cemento su un muretto esterno ad una villetta, esposto al sole in una giornata particolarmente calda, in un orario (immediatamente successivo alla pausa pranzo) in cui i valori termici progrediscono verso il massimo, con rischio di ipertermia da colpo di calore, dovuto anche allo sforzo fisico impiegato nell'attività'', e che il datore di lavoro di fatto, ``presente sul posto, aveva fatto riprendere l'attività lavorativa subito dopo la pausa pranzo, quindi in orario molto caldo (alle 14.30 circa), con la digestione in corso, inviando il lavoratore, da solo, sotto il sole e senza alcuna protezione, a caricare e trasportare una carriola di impasto, attività che ha richiesto una decina di minuti e proprio in seguito alla quale aveva cominciato a barcollare e a stare male''. Ritiene che, ``in situazioni del genere, vanno previste ed applicate regole precauzionali capaci di prevenire la concretizzazione del rischio, evitando di sottoporre il lavoratore ad attività all'esterno faticose in ore calde, prevedendo pause di riposo frequenti, predisponendo ripari ombreggiati, oltre ad accorgimenti sul vestiario, nonché sulla alimentazione e idratazione''. Spiega, in linea con la consulenza tecnica espletata nel corso del procedimento, che ``l'ipertermia da colpo di calore è una sindrome generale che si manifesta quando la temperatura interna del corpo si innalza notevolmente perché l'organismo non è più capace di mantenere il proprio equilibrio termico di fronte all'elevarsi della temperatura ambientale per difetto dei processi di termolisi, che si verifica quando la vasodilatazione periferica, la sudorazione, la termodispersione attraverso la cute, l'iperventilazione polmonare non sono più capaci di ridurre la termogenesi interna''.

    Note a piè di pagina
    34
    Comma aggiunto dall'art. 64, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma aggiunto dall'art. 64, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    35
    Comma sostituito dall'art. 64, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma sostituito dall'art. 64, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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