Informazione

Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

1. Ferme restando le disposizioni di cui al titolo I, si intendono per luoghi di lavoro, unicamente ai fini della applicazione del presente titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro.1

2. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano:

a) ai mezzi di trasporto;

b) ai cantieri temporanei o mobili;

c) alle industrie estrattive;

d) ai pescherecci.

d-bis) ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale.2

GIURISPRUDENZA COMMENTATA

Sommario: 1. Il concetto di luogo di lavoro - 2. Il datore del luogo di lavoro - 3. Strada aperta al pubblico e zona interna a stabilimento - 4. I terreni .

``Nella nozione di `luogo di lavoro', rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa, finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività''. (Conformi Cass. pen. 13 febbraio 2023 n. 5907, ove si fa riferimento anche a ``una strada pubblica ed aperta al pubblico transito, esterna al cantiere''; Cass. pen. 24 novembre 2022 n. 44654; Cass. pen. 20 aprile 2021 n. 14636; Cass. pen. 2 novembre 2020 n. 30278; Cass. pen. 20 aprile 2021 n. 14636, concernente il ground support allestito a copertura del palco in vista dell'esibizione di una nota artista in un palazzetto dello sport e crollato; Cass. pen. 2 novembre 2020 n. 30278).

Ad avviso degli imputati (amministratore delegato e responsabile delegato di una s.p.a.), l'infortunio non sarebbe accaduto in un luogo di lavoro, trattandosi di un ``luogo privo di pavimento, attraversato da grossi tubi che impongono contorsioni a 90° per poterli superare transitando in spazi non superiori a 75 cm di altezza, senza che vi sia possibilità di appoggio a mancorrenti o altre strutture appositamente costruite, camminando in condizioni pericolose (a 2,5 m. di altezza) su traversoni distanziati tra loro in modo cospicuo (oltre un metro)''. La Sez. IV ribatte: ``è destituito di fondamento l'assunto secondo cui il punto ove è avvenuto l'infortunio non sarebbe luogo di lavoro, in ragione della sua disagevole accessibilità e della non necessità per i dipendenti di recarvisi, in quanto ciò contrasta con la consolidata nozione al riguardo''.

Morte per asfissia da annegamento in una cavità marina sommersa di quattro subacquei: ``Nella nozione di `luogo di lavoro', rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, infatti, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità - sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro - della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa''. (Sentenza riportata per esteso sub art. 2, paragrafo 45).

Un datore di lavoro fu condannato per l'infortunio mortale subito da un dipendente intento ad eseguire in spazi adibiti a ricovero dei mezzi il lavaggio di un autocarro in uso all'azienda mediante l'impiego di un collegamento elettrico fornito da proprietà limitrofa e folgorato dal contatto con la idropulitrice utilizzata per il lavoro a causa di una scarica elettrica originata dall'adattatore della spina cui era collegato l'utensile. A supporto della condanna si era osservato che ``il pericolo derivante dalla conduzione elettrica doveva ritenersi prevedibile in quelle condizioni di luogo e di tempo e andava radicalmente evitato e comunque correttamente apprezzato, a fini preventivi, nel documento di valutazione dei rischi sul lavoro e portato a conoscenza del personale dipendente in adempimento degli obblighi datoriali''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV prende atto che ``la prestazione dell'infortunato era intervenuta all'interno del piazzale recintato ove il datore di lavoro riponeva gli automezzi, alla presenza del datore di lavoro, che sovraintendeva alle operazioni di lavaggio partecipando alle stesse, mediante l'impiego di un collegamento elettrico fornito da proprietà limitrofa''. Rileva che ``la stessa disciplina del contratto collettivo di lavoro di riferimento prevedeva che i dipendenti di aziende private di autotrasporto procedessero a interventi di piccola manutenzione meccanica e di pulizia dei mezzi aziendali impiegati''. Con riguardo ``alla individuazione del luogo di lavoro ove vigono gli obblighi prevenzionistici dettati dalla disciplina di cui al D.Lgs. n. 81/2008'', insegna che ``nella nozione di `luogo di lavoro' rientra ogni luogo in cui viene svolta o gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità - sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro - della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa''. Nota che tale ``certamente era quello in cui era stato chiamato l'infortunato a lavare il mezzo di lavoro su richiesta del datore di lavoro, alla presenza di questi e all'interno di spazi aziendali e in collaborazione con altro dipendente''. Aggiunge che, ``una volta accertata la ricorrenza dell'obbligo in capo al datore di lavoro di organizzare la prestazione di lavoro previa individuazione dei rischi specifici di questa, risulta del tutto irrilevante ragionare in termini di conduzione diretta o indiretta della scarica elettrica, laddove lo svolgimento della prestazione lavorativa doveva essere preceduta da una accurata analisi dei rischi connessi all'impiego di un collegamento elettrico volante (art. 2, comma 1, lettera q, in relazione all'art. 80, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008), allacciato ad una utenza elettrica non nella disponibilità dell'azienda datrice di lavoro e comunque non a norma, con strumenti non sottoposti a vaglio di affidabilità e sicurezza (idropulitrice, prolunga, adattatore), collocati all'esterno e in diretto contatto con fonti di sgocciolamento piovano (grondaia) o di schizzi provenienti dall'utensile utilizzato''.

``La Corte di legittimità ha avuto modo di occuparsi ripetutamente della nozione di luogo di lavoro, anche alla luce del D.Lgs. n. 81/2008, affermando la permanenza di principi rimasti sostanzialmente immutati nello sviluppo della legislazione antinfortunistica. A norma dell'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008, sono luoghi di lavoro quelli destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva, accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro. Si è chiarito che, ai fini della individuazione dei soggetti gravati da obblighi prevenzionistici, la identificazione di uno spazio quale luogo di lavoro, non può prescindere dalla identificazione del plesso organizzativo al quale lo spazio in questione accede. Ciò si ricaverebbe dalla definizione legale, che prevede un collegamento di ordine spaziale o almeno pertinenziale tra l'azienda o l'unità produttiva e il luogo di lavoro. Inoltre, si desumerebbe dalla stessa logica della normativa prevenzionistica, che attribuisce obblighi prevenzionistici a colui che è titolare di poteri organizzativi e decisionali che trovano, nei luoghi di lavoro, il proprio ambito di estrinsecazione. Si è pure evidenziato, che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di `luogo di lavoro', a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o che esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro. Sulla base di tali argomentazioni, si è affermato che nella nozione di luogo di lavoro rientra anche quello nel quale i lavoratori si trovino esclusivamente a dover transitare, se tuttavia il transito è necessario per provvedere alle incombenze affidate loro''.

``La restrittiva nozione di `luogo di lavoro' rinvenibile nell'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008 (a mente del quale si intendono per `luoghi di lavoro' `i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro'), è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo II del citato decreto. Ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di `luogo di lavoro', a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro''. (Questa sentenza è riportata più estesamente sub art. 26, paragrafo 18).

Circa l'alloggio assegnato dal datore di lavoro al lavoratore v., per diverse impostazioni, Cass. 4 febbraio 2010, n. 4939, Stipari, e Cass. 21 agosto 2013, n. 35296, Ciaffone.

La dipendente di una s.r.l., proprietaria di un negozio di parrucchiera sito nelle gallerie di un centro commerciale, ``nel transitare nell'ingresso dell'edificio, scivola sul pavimento parzialmente coperto da tappeti mobili e bagnato per l'acqua caduta dall'ombrello chiuso di una cliente che la precedeva''. L'amministratore delegato della s.p.a., esercente il centro commerciale e proprietaria dell'edificio, è condannato per il delitto di lesione personale colposa, sul triplice presupposto che l'infortunio ``si era determinato a causa del mancato apprestamento di una adeguata copertura del pavimento dell'ingresso delle gallerie, che tale ingresso era da reputarsi 'ambiente di lavoro', e che l'imputato non aveva mai delegato ad altri le funzioni in materia di antinfortunistica''. La Sez. IV annulla la condanna. Prende atto che ``i locali che vanno a costituire il centro commerciale sono concessi in locazione alle diverse imprese che ivi hanno deciso di operare'', e che ``l'infortunata non era alle dipendenze della società amministrata dall'imputato''. Rileva che ``ogni posizione di garanzia è costituita in relazione alle necessità di governo del rischio, sicché le diverse coordinate (spaziali, temporali, funzionali e soggettive, ad esempio) che concorrono a definire l'area di esplicazione del rischio medesimo devono essere precisamente individuate perché possa tratteggiarsi la fisionomia del garante''. Osserva che, ``con riguardo al datore di lavoro, già la nozione normativa [art. 2, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008], incardinandosi sulla titolarità di poteri decisionali e di spesa e sulla connessa responsabilità dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività (oltre che alla titolarità del rapporto di lavoro, evenienza che nel caso che occupa non rileva), evidenzia la necessità di limitare lo sguardo ricognitivo al perimetro di una determinata organizzazione imprenditoriale, della quale va ricostruita la catena gestionale''. Ne desume che, ``nell'accertamento della esistenza di una concreta posizione di garanzia, premessa dell'attribuzione di uno specifico evento concreto, non interessa un qualsiasi soggetto datore di lavoro, ma colui che ne reca le attribuzioni in riferimento alla determinata organizzazione imprenditoriale nel cui ambito presta la propria attività il lavoratore infortunatosi''. A questo punto, ricorda che, ``a mente dell'art. 62, D.Lgs. n. 81/2008, si intendono per 'luoghi di lavoro' `i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro'''. Sottolinea che, ``ai fini della individuazione dei soggetti gravati da obblighi prevenzionistici, la identificazione di uno spazio quale luogo di lavoro non può prescindere dalla identificazione del plesso organizzativo al quale lo spazio in questione accede''. Spiega che ``la definizione testé riportata, prevede un collegamento di ordine spaziale (`all'interno dell'azienda') o almeno pertinenziale tra l'azienda o l'unità produttiva e il luogo di lavoro'', e che ``la logica stessa della normativa prevenzionistica attribuisce obblighi securitari a colui che è titolare di poteri organizzativi e decisionali che trovano nei luoghi di lavoro l'ambito spaziale e funzionale di estrinsecazione'' Aggiunge che ``lo stesso Titolo II elenca gli obblighi che il datore di lavoro deve osservare rispetto ai 'propri' luoghi di lavoro''. La conseguenza è che ``proprio ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di 'luogo di lavoro'; a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro'': ``in particolare, può trattarsi anche di un luogo nel quale i lavoratori si trovino esclusivamente a dover transitare, se tuttavia il transito è necessario per provvedere alle incombenze affidategli''. Sicché conferma ``il principio per il quale nella nozione di `luogo di lavoro', rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra non soltanto il cantiere, ma anche ogni altro luogo in cui i lavoratori siano necessariamente costretti a recarsi per provvedere ad incombenze inerenti all'attività che si svolge nel cantiere''. In questo quadro, afferma che ``non può parlarsi di luogo di lavoro solo sul presupposto che un qualsiasi soggetto, che è anche prestatore d'opera in favore di taluno, vi si trovi a transitare'', e che ``va ribadita la stretta correlazione che esiste tra la nozione di 'luogo di lavoro' e la specifica organizzazione imprenditoriale alla quale questo accede in funzione servente; correlazione che deriva dalla necessità che si tratti di ambito spazio-funzionale sul quale possano e debbano estendersi i poteri decisionali del vertice della compagine''. Di qui il seguente principio di diritto: ``in materia di responsabilità per violazioni delle norme antinfortunistiche, il datore di lavoro obbligato al rispetto delle prescrizioni dettate dal Titolo II del D.Lgs. n. 81/2008 per la sicurezza dei luoghi di lavoro va identificato in colui che riveste tale ruolo nell'organizzazione imprenditoriale alla quale accede il luogo di lavoro medesimo''. Con riguardo al caso di specie, la Sez. IV nota che ``l'attribuzione all'imputato di una posizione di garanzia tra quelle definite dalla normativa prevenzionistica, e segnatamente quella di datore di lavoro, avrebbe richiesto la preliminare qualificazione dell'area di ingresso del centro commerciale come luogo di lavoro dell'impresa della quale l'imputato era amministratore delegato; qualificazione possibile solo a condizione di effettuare il preliminare accertamento che anch'esso costituisse luogo di lavoro nell'ambito dell'organizzazione aziendale della s.p.a.'': ``diversamente, eventuali obblighi di assicurazione della non pericolosità dell'area potrebbero farsi discendere unicamente dalla proprietà degli spazi; con esclusione, quindi, della violazione di obblighi datoriali e procedibilità a querela del reato. Occorre ancora operare una puntualizzazione in merito alla possibilità che anche una persona estranea all'organigramma dell'impresa - come l'infortunata rispetto alla s.p.a. - possa beneficiare della tutela apprestata dalla normativa prevenzionistica. La qualità di extraneus non è di per sé incompatibile con l'esistenza di un protettivo dovere di sicurezza datoriale. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello, la quale dovrà accertare se l'ingresso dell'edificio ove avvenne il sinistro sia stato, al tempo, luogo destinato ad ospitare posti di lavoro ovvero luogo accessibile nell'ambito del loro lavoro ai lavoratori dipendenti della s.p.a. Ove l'accertamento risulti positivo, occorrerà ancora verificare se sussistevano le condizioni perché la tutela che l'imputato, nella qualità, avrebbe dovuto apprestare a vantaggio dei propri dipendenti, doveva ritenersi estesa anche alla infortunata''.

Il legale rappresentante di una società cooperativa e il conducente di un carrello elevatore furono condannati per il reato di lesione personale colposa in danno di persona che ``transitava in area aperta al traffico veicolare, all'interno del capannone di un frantoio a causa dell'investimento in retromarcia da parte del muletto''. La parte civile eccepisce l'insussistenza del concorso di colpa della vittima ritenuto ``in relazione alla violazione, da parte del danneggiato, del divieto di accedere ad un'area del capannone industriale ai soggetti non autorizzati''. La Sez. IV replica: ``Sulla base della qualificazione di siffatta area come non aperta al pubblico, la sentenza impugnata esclude la sussistenza dell'obbligo assicurativo per i semoventi ivi impiegati, con conseguente difetto di legittimazione passiva del Fondo per le vittime delta strada. Dovendo il ragionamento muovere dalla qualificazione dell'area quale `strada di uso pubblico o su aree a queste equiparate', ai sensi dell'art. 122 L. n. 209/2005 - Codice delle assicurazioni (già art. 1 L. n. 990/1969), ciò che occorre chiedersi è se l'interno di uno stabilimento industriale possa considerarsi `area equiparata', ai sensi dell'art. 3 del Regolamento recante disposizioni in materia di obbligo di assicurazione obbligatoria, di cui al D.M. 1° aprile 2008, che assoggetta alla medesima disciplina tutte le aree aperte alla circolazione del pubblico, siano esse di proprietà pubblica o privata. Le Sezioni civili di questa Corte di legittimità hanno chiarito - già sotto il vigore della L. n. 990/1969 - l'indifferenza, ai fini dell'applicazione della disciplina sulle assicurazioni private, della natura pubblica o privata dell'area, essendo rilevante solo il suo `uso', per tale intendendosi l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone, e cioè la possibilità giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico. Sulla base di questo principio è stata ritenuta, per esempio, `area equiparata' il cantiere al quale abbiano accesso tutti coloro che ci lavorano o coloro che hanno rapporti commerciali con l'impresa, qualora l'accesso non necessiti di autorizzazione, ma anche le aree destinate alla distribuzione di carburante agli utenti, a nulla rilevando che, ai diversi fini della disciplina dell'obbligo di precedenza, tali aeree siano qualificabili come `non soggette a pubblico transito'. Mentre sono state escluse la zona interna dell'aeroporto adibita per la sosta e le manovre degli aeromobili, in quanto non accessibili ad una molteplicità indifferenziata di persone, i fondi agricoli, le aree interne delle scuole, accessibile solo a pochi e ben individuabili veicoli, la rampa di accesso ad un garage. Ciò che, dunque, connota l'equiparabilità dell'area alla strada ad uso pubblico è proprio l'apertura ad un numero indeterminato di persone, che consenta un accesso ai luoghi uti cives e non uti singuli, sicché per farne uso od avervi ingresso non sia necessaria una particolare autorizzazione, essendo assicurata la possibilità `giuridicamente lecita' di accedere ad un numero indeterminato di persone. Nel caso di specie, il giudice di seconda cura ha coerentemente ritenuto che la sussistenza di un divieto di accesso a quella specifica zona interna dello stabilimento implicasse la sua chiusura al pubblico, con ciò escludendo l'obbligo di assicurazione dei mezzi ivi operanti. Da ciò, la sentenza impugnata trae correttamente sia la conseguenza del difetto di legittimazione passiva del Fondo di garanzia delle vittime della strada, ma altresì la sussistenza del concorso di colpa della persona offesa, che transitava in una zona interdetta al pubblico''.

Nell'impugnare l'assoluzione perché il fatto non sussiste del datore di lavoro di un'azienda agricola imputato del reato di cui agli artt. 64, comma 1, lett. a), Allegato IV, punto 1.8, e 68, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, il P.M. lamenta l'errata interpretazione del termine ``terreno'' richiamato, a fini derogatori, dall'art. 62, comma 2, lett. d-bis, D.Lgs. n. 81/2008. La Sez. III annulla con rinvio l'assoluzione, Prende atto che l'imputato aveva «omesso di proteggere, delimitare e segnalare il bordo delle aree di lavoro esterne confinanti con il pendio boschivo, ivi utilizzate come deposito temporaneo di materiali e mezzi», e che, a dire del Tribunale, ``l'area esterna all'azienda agricola non può essere considerata `luogo di lavoro', e ciò in base all'interpretazione dell'art. 62, comma 2, lett. d-bis, D.Lgs. n. 81/2008, che esclude dall'ambito applicativo della disciplina sulla sicurezza dei luoghi di lavoro i campi, i boschi e gli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale'', e sull'asserito presupposto che ``la locuzione `terreni' senza alcuna specificazione, successivamente all'indicazione di campi e boschi, porta a ritenere che il vocabolo `terreni' non possieda un connotato esclusivamente naturalistico, ma si riferisca ad ogni tipo di suolo rientrante nel perimetro dell'azienda agricola forestale''. Ma non condivide questa interpretazione. Sostiene, infatti, che ``i terreni indicati dall'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008 sono quelli esterni all'area edificata dell'azienda nei quali viene esercitata una delle attività indicate nei primi due commi dell'art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) con esclusione delle attività connesse (come descritte dal terzo comma della medesima norma) normalmente disimpegnate in luoghi chiusi''. E afferma questo principio di diritto: ``in caso di azienda agricola, non possono essere considerati `luoghi di lavoro' i soli terreni esterni all'area edificata sui quali viene svolta una delle attività previste dal secondo comma dell'art. 2135 c.c.; costituiscono, invece, ``luoghi di lavoro'' le aree di immediata pertinenza della sede (principale, secondaria, operativa, magazzino, deposito, ecc. ecc.) adibite ad attività non strettamente agricole (come, per esempio, deposito, carico/scarico merci, movimento mezzi) e/o quelle ad esse connesse previste dal terzo comma dell'art. 2135 c.c.''.

Resta beninteso da notare a scanso di equivoci purtroppo diffusi che, in forza dell'art. 62, comma 2, lettera d-bis, D.Lgs. n. 81/2008, ``non si applicano ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale'' esclusivamente ``le disposizioni di cui al presente titolo'', e non dunque le disposizioni degli altri Titoli del D.Lgs. n. 81/2008, a cominciare dal Titolo I.

Note a piè di pagina
1
Comma sostituito dall'art. 38, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
2
Lettera aggiunta dall'art. 38, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
Fine capitolo
Open
    • Stampa
    • Condividi via email
    • Visualizza PDF
    • Vai a pagina

Torna all'inizio