1. L'attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH).
2. Il medico competente svolge la propria opera in qualità di:
a) dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l'imprenditore;
b) libero professionista;
c) dipendente del datore di lavoro
3. Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente.
4. Il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l'autonomia.
5. Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.
6. Nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d'imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: 1. Atti parasanitari ed esercizio abusivo della professione - 2. Incompatibilità con la vigilanza - 3. Il rapporto con il medico curante - 4. Falso verbale del medico di controllo INPS .
Il legale rappresentante e il socio-collaboratore di una s.r.l. esercente attività di consulenza in materia di salute e sicurezza dei lavoratori vengono imputati del reato di cui all'art. 348 c.p., per avere eseguito presso l'ambulatorio della s.r.l. accertamenti diagnostici (spirometrico, audiometrico ed elettrocardiogramma) sui lavoratori dipendenti di due aziende senza essere provvisti del relativo titolo di abilitazione. Da notare che ``i medici - non ricorrenti - che formulavano le diagnosi sono assolti dal reato di falso ideologico, ``non essendo stato accertato che avessero attestato di avere eseguito personalmente gli accertamenti medici strumentali'', ma sono stati anch'essi condannati per il reato di cui all'art. 348 c.p. in concorso con i tecnici non abilitati (per contro ricorrenti), ``per aver ratificato con le loro diagnosi i tracciati eseguiti dai predetti tecnici, pur sapendo che erano privi di una abilitazione professionale''. A propria discolpa, i tecnici ricorrenti negano ``la necessità di una abilitazione professionale per l'effettuazione degli esami spirometrico, audiometrico ed elettrocardiografico, trattandosi di esami eseguiti con apparecchiature di facile utilizzo e che non richiedono particolari cognizioni tecniche-scientifiche, assimilabili agli strumenti auto-diagnostici, tali da rendere superfluo l'intervento di un tecnico specializzato all'atto del mero rilevamento dei parametri che saranno poi sottoposti all'esame del medico''. E deducono che, ``nell'effettuare detti esami strumentali, non si sono mai accreditati quali professionisti sanitari, ma hanno reso esplicita la loro qualifica di consulenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori''. La Sez. VI è di contrario avviso. Rileva che ``gli esami strumentali, elettrocardiografici, audiometrici e spirometrici, devono essere svolti o da un medico o da un tecnico, cioè da un soggetto munito di specifica qualificazione professionale''. Spiega che, ``in base all'art. 3 L. 10 agosto 2000 n. 251 ed agli artt. 1 e 2 D.M. 14 settembre 1994 n. 667, che regolamenta il profilo professionale del tecnico audiometrista, è prescritto che deve essere in possesso di diploma universitario abilitante, trattandosi di operatore sanitario che svolge attività `nella prevenzione, salutazione e riabilitazione delle patologie del sistema uditivo e vestibolare, nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze diagnostico terapeutiche del medico''' e che ``rientra tra gli atti `tipici' della professione di audiometrista l'esecuzione di `tutte le prove non invasive, psico-acustiche ed elettrofisiologiche, di valutazione e di misura del sistema uditivo e vestibolare' (ex art. 1, comma 2, regolamento citato)''. Prende atto che ``entrambi gli imputati non erano in possesso del necessario titolo abilitante (tecnico audiometrista) per poter effettuare gli esami audiometrici''. Nota che ``il socio-collaboratore, che si occupava degli esami spirometrici ed elettrocardiografici, era privo di qualsiasi titolo abilitativo per l'esercizio di professioni sanitarie, ed in particolare del richiesto titolo di infermiere professionale''. Quanto alla ``affermazione secondo cui per la loro tipologia, gli apparecchi utilizzati per effettuare detti esami fossero assimilabili ai mezzi autodiagnostici, tali da non richiedere in concreto alcuna particolare cognizione tecnico-scientifica'', osserva che tale affermazione ``è contraddetta dal carattere professionale del servizio di medicina del lavoro svolto in rapporto di convenzione con il servizio sanitario per il rilascio di certificati di abilitazione al lavoro a seguito delle visite mediche eseguite per i lavoratori dipendenti di due aziende''. Ricorda che ``gli atti considerati dall'art. 348 c.p. non sono solo quelli attribuiti in modo esclusivo a una determinata professione, ma tutti gli atti che comunque la caratterizzano e che comprendono, oltre quelli che le sono esclusivi (cioè tipici e alla stessa riservati), anche quelli che chiunque può occasionalmente compiere ma il cui compimento (strumentalmente connesso alla professione) resta invece `riservato' se avviene in modo continuativo, organizzato e remunerato, così da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato'', e che ``anche in questo si ha esercizio della professione, per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo albo, perché ricorre allo stesso modo la necessità, che giustifica l'incriminazione, di tutelare le persone dal rischio di affidarsi a soggetti inesperti della professione o comunque non titolati ad esercitarla''. Infine, la Sez. VI si fa carico del ``riferimento alla qualifica di consulenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori esplicitata ai fruitori del servizio'', e replica che ``non assume alcuna rilevanza perché inidonea a superare le oggettive apparenze del carattere professionale dell'attività svolta come soggetto regolarmente abilitato''.
``Nel corso di uno dei periodici controlli sanitari sui dipendenti di un'azienda previsti dal piano di sorveglianza sanitaria, affidati a un centro medico, un medico del lavoro si reca presso la sede dell'azienda accompagnato da una socia e impiegata amministrativa, la quale - pur essendo priva della qualifica professionale di tecnico audiometrista - esegue controlli audiometrici e spirometrici nei confronti di dodici dipendenti della società, i cui esiti sono sottoposti al medico, che nel contempo li referta e procede alla visita di competenza. Il medico e la socia-impiegata sono condannati per concorso nell'abusivo esercizio della professione di tecnico audiometrista''. La Sez. VI annulla con rinvio la condanna: ``Costituisce dato pacifico che gli esami strumentali audiometrici e spirometrici effettuati nei confronti dei dipendenti della società, se effettivamente eseguiti in quella data e in quella peculiare occasione, vanno in linea di principio svolti o da un medico o da un tecnico audiometrista, cioè da un soggetto munito di specifica qualificazione professionale. Come statuiscono l'art. 3, legge 10 agosto 2000, n. 251 e il regolamento 14 settembre 1994, n. 667, il tecnico audiometrista deve essere in possesso di diploma di laurea triennale inserita nel corso di laurea delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e il relativo profilo professionale lo individua quale operatore sanitario svolgente attività `nella prevenzione, valutazione e riabilitazione delle patologie del sistema uditivo e vestibolare, nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze diagnostico-terapeutiche del medico'. Rientra tra gli atti `tipici' della professione di audiometrista l'esecuzione di `tutte le prove non invasive, psico-acustiche ed elettro fisiologiche, di valutazione e di misura del sistema uditivo e vestibolare'. Corollario di tale dato, nello specifico caso, è l'evenienza altrettanto pacifica che l'imputata non era al momento dei fatti in possesso del necessario titolo abilitante (tecnico audiometrista) per poter effettuare gli esami audiometrici e spirometrici che le si contesta di aver abusivamente svolto. La fattispecie criminosa regolata dall'art. 348 c.p. non è un reato di evento che taluno debba impedire (trattasi di reato istantaneo, solo eventualmente abituale), sicché il professionista abilitato (quale era il medico, legittimato nella sua qualità ad eseguire di persona gli incriminati controlli strumentali) non versa in posizione di garanzia rispetto al reato commesso da altri che egli sappia non essere munito di abilitazione, rendendosi soltanto necessario accertare la consapevolezza di tale circostanza e il connesso suo assenso anche tacito all'esecuzione di atti professionali da parte del terzo non abilitato. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, risponde - perciò - a titolo di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione il professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di soggetto non autorizzato. Tutto ciò precisato, occorre puntualizzare che, se è fuori discussione che il reato di cui all'art. 348 c.p. è realizzato dallo svolgimento da parte di un soggetto non abilitato di attività che rientrano tra quelle tipiche o c.d. riservate di una specifica professione per il cui esercizio occorra essere muniti di un titolo abilitante, è non meno indubbio che - ai fini della affermazione di responsabilità dell'agente - si renda sempre necessario verificare (in termini di pregiudizialità) la sussistenza e la commissione reali dell'atto professionale `tipico' e soprattutto delle specifiche ed effettive modalità con cui lo stesso è stato posto in essere. È proprio questo secondo profilo che, nel caso degli atti parasanitari (controlli audiometrici e spirometrici) ascritti in concorso agli imputati, appare non sorretto da adeguata motivazione dimostrativa''.
Persuasivamente, nell'Interpello n. 2 del 12 aprile 2018, la Commissione Interpelli afferma che, ``in considerazione della natura polifunzionale del Dipartimento di prevenzione, il disposto dall'articolo 39, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, debba ritenersi applicabile a tutte le strutture che compongono il citato Dipartimento ed a tutto il personale ad esso assegnato, indipendentemente dalla qualifica rivestita''.
``Non è prevista alcuna interlocuzione diretta da parte del medico competente nei confronti del medico curante del lavoratore, cosicché nessun rimprovero a tale titolo può essergli addebitato''. (Più estesamente la sentenza è riportata sub art. 25, paragrafo 8).
Un medico di controllo in servizio presso l'INPS fu condannato per il reato di cui agli artt. 476 e 479 c.p., ``avendo formato un verbale medico legale nel quale falsamente attestava di avere visitato un lavoratore e di averlo giudicato idoneo a riprendere il lavoro, apponendovi poi la falsa sottoscrizione del lavoratore per presa visione e ricevuta della copia''. A sua discolpa, deduce ``il carattere innocuo del falso, anche in riferimento alla lesione del bene giuridico protetto'', e rileva come ``nel verbale non sia stata alterata la verità storica della malattia, sicché la condotta attribuita all'imputato non sarebbe stata idonea a ledere il bene della fede pubblica''. Mette in luce anche ``la superfluità della sottoscrizione del lavoratore in calce al verbale medico legale, ai fini della sua validità ed efficacia''.