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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

    Precedente 32 Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni
    Successivo 34 Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi
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    1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:

    a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;

    b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;

    c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;

    d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

    e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all'articolo 35;

    f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36.

    2. I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di cui al presente decreto legislativo.

    3. Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. I componenti del SPPR come garanti della sicurezza - 2. Addetto al SPPR e rischio noto al datore di lavoro e all'RSPP - 3. La competenza tecnica del SPPR - 4. L'RSPP esterno - 5. RSPP e ASPP esercenti funzioni operative - 6. Informazione-formazione dei lavoratori e ruolo del RSPP - 7. La vigilanza dell'RSPP in prefettura - 8. Scudi protettivi del SPPR - 9. L'infortunio del RSPP - 10. Datore di lavoro RSPP .

    Per una sintesi dei principi che governano compiti e responsabilità dell'RSPP:

    ``Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate. Egli ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare cori il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, infatti, svolge una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti, sicché il datore di lavoro, è sempre direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative intese a neutralizzare le situazioni di rischio. In questa prospettiva, la figura in esame, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, può, in misura concorrente, essere ritenuta responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che essa avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione''.

    L'amministratore delegato legale rappresentante e l'RSPP di una s.r.l. esercente un albergo in affitto sono condannati per il decesso di un ospite caduto dal terrazzino della stanza in cui alloggiava per cedimento del parapetto: il primo per ``non avere sollecitato la società proprietaria, della quale era anche socio, a eseguire gli interventi di manutenzione straordinaria per mettere in sicurezza i parapetti delle stanze del secondo piano della struttura, e non aver disposto la manutenzione ordinaria degli stessi, né supervisionato adeguatamente tale manutenzione''; il secondo ``per non aver individuato nel DVR il rischio di caduta nel vuoto dal terrazzino della camera occupata dalla vittima, rischio presente sia per il modo in cui il parapetto era realizzato, sia per lo stato degli ancoraggi al muro, e per non aver prescritto, né segnalato alla s.r.l. la necessità di intervenire su tale parapetto''. Si accertò che la manutenzione omessa era in realtà quella ordinaria, spettante al gestore, in quanto ``gli interventi di manutenzione straordinaria, spettanti alla ditta proprietaria, riguardavano solo l'altezza insufficiente dei parapetti'', e ``tale caratteristica non aveva giocato un ruolo causale sulla caduta della vittima, la quale era stata diretta conseguenza di altri fattori, tutti riconducibili alla manutenzione ordinaria (in particolare: inadeguatezza delle viti utilizzate per l'ancoraggio, siccome prive di bulloni; progressiva perdita di resistenza delle tavole di legno, a causa dei plurimi fori praticati nei vari tentativi di fissaggio; ancoraggio delle staffe all'interno del muro, e non all'esterno, con conseguente minore resistenza alla pressione orizzontale)''. Si accertò, altresì, che ``le carenze manutentive erano grossolane e gravi, e semplici interventi a basso costo avrebbero scongiurato l'incidente''. A sua discolpa, l'RSPP sostiene di ``avere dato conto dei rischi di caduta dall'alto a causa delle condizioni del parapetto nel DVR del 2007 (anno al quale risale la stipula del contratto di locazione'', e nega che ``la mancata riproduzione di tale indicazione tecnica nel secondo DVR del 2013 possa di per sé fondare il titolo di penale responsabilità del RSPP, atteso che, nelle more, erano stati decisi lavori di intervento globale riguardanti la struttura''. La Sez. IV ribatte: ``L'RSPP, in quanto consulente del datore di lavoro, privo di potere decisionale, risponde dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato o omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate. La figura di garante prevista dall'art. 31 D.Lgs. n. 81/2008 si caratterizza per lo svolgimento, all'interno della struttura aziendale, di un ruolo non gestionale ma di consulenza, cui si ricollega un obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti, ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. La corte territoriale ha agganciato la penale responsabilità del RSPP agli obblighi suoi propri, vale a dire alla mancata riproduzione, successivamente al documento del 2007 e, infine, nell'ultimo DVR, quello, cioè, del 2013, di quanto già correttamente indicato in quello originario, pur permanendo la stessa situazione di rischio originariamente considerata. L'RSPP era tenuto a operare valutazioni tecniche e a restituire al proprio committente una fedele situazione dei rischi derivanti dall'utilizzo della struttura. Tale valutazione doveva tener conto di volta in volta degli sviluppi della situazione considerata, anche con riferimento agli eventuali interventi (risultati inadeguati) posti in essere per la messa in sicurezza dei balconi, alla stregua delle scelte gestionali dell'organo decisionale della società conduttrice, il quale ha ritenuto di continuare ad affidare a tali estemporanei interventi la soluzione dei problemi connessi al rischio di caduta dall'alto. L'RSPP, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro od anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. Quanto al piano intellettivo/valutativo, nel quale vanno inquadrati i compiti di tale peculiare figura di garante, non è emerso che nel DVR del 2007o in quello del 2013 l'imputato avesse indicato la inadeguatezza degli interventi inappropriati, realizzati di fatto (per es., i plurimi fori sulle tavole di legno, indicativi di reiterati tentativi di fissare le tavole al muro)''.

    Nel confermare la condanna dell'RSPP (oltre che del datore di lavoro) per l'infortunio cagionato a un dipendente ``colpito da un canale metallico, caduto dall'alto, mentre era intento in opere di smantellamento e ripristino di un impianto idraulico e di condizionamento, con colpa consistita nell'omessa redazione del piano operativo di sicurezza contenente la valutazione dei rischi connessi alle predette opere e nell'omessa adeguata formazione della vittima su tali rischi'', la Sez. IV insegna: ``L'RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha I'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri''.

    ``Sul responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione gravava l'obbligo di segnalare la situazione di rischio perdurante che si era verificata a seguito dell'indebita rimozione del carter. Egli non poteva esimersi dall'operare dette segnalazioni, mettendole per iscritto, cosa che non risulta invece essere accaduta''.

    Condannato per omicidio colposo, un RSPP sostiene che ``i documenti di valutazione del rischio esistenti nell'azienda erano modelli predisposti dalla direzione della società, che non potevano essere in alcun modo modificati dai sottoscrittori, i quali erano tenuti esclusivamente ad indicare il nominativo delle persone investite delle varie qualifiche e delle funzioni di garanzia''. Replica la Sez. IV che ``il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalia pratica giornaliera dell'attività lavorativa'', ed esclude, quindi, ``la possibilità di concepire un documento di valutazione dei rischi immodificabile''.

    ``Il soggetto designato responsabile del servizio, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, può, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione. La riconosciuta possibilità che il RSPP concorra nel reato con il datore di lavoro non ne ha tuttavia mutato la natura di mero consulente di quest'ultimo, la cui designazione non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Lo conferma, peraltro, il dato normativo, laddove, al comma 5, il citato art. 31 del D.Lgs 81/2008, si preoccupa di chiarire che anche ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia. Il RSPP ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti. Il datore di lavoro è responsabile anche delle eventuali negligenze del RSPP. Anche qualora il `consulente' non abbia informato il datore di lavoro sugli opportuni interventi manutentivi, la penale responsabilità del predetto non verrebbe comunque esclusa''.

    Un RSPP fu condannato per l'infortunio subito da una lavoratrice a una macchina tritacarne priva di qualsiasi dispositivo di protezione dell'apertura di carico, per colpa consistita nell'aver individuato nel DVR i rischi derivanti ai lavoratori dall'utilizzo della macchina tritacarne ``in maniera ambigua, secondo una dizione che sembra descrivere una situazione già conforme alle esigenze di sicurezza, piuttosto che imporre una necessità di adeguamento della macchina, pacificamente non rispettosa della normativa di sicurezza al momento del fatto''. Anzitutto, la Sez. IV sottolinea che il reato di lesione personale colposa ascritto all'RSPP ``è procedibile d'ufficio, posto che l'addebito nei suoi confronti è stato formulato a titolo di colpa professionale per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, da cui è causalmente derivato l'infortunio in disamina, con implicito richiamo alla specifica disciplina di cui agli artt. 31 ss. del D.Lgs. n. 81/2008'' (isolata continua, dunque, a rimanere Cass. 31 marzo 2006, in ISL, 2006, 7, 430, secondo cui ``se il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione non risulta destinatario per legge dell'osservanza dei precetti prevenzionali, la condotta dello stesso, ancorché oggettivamente violatrice di taluno di essi, non potrà mai essere considerata caratterizzata da un titolo di colpa specifica e, quindi, il reato di lesione personale colposa nei suoi confronti risulterà perseguibile solo ad istanza della persona offesa''). Inoltre, la Sez. IV rileva che ``la violazione dei doveri di prevenzione e di informazione facenti carico al RSPP è riconducibile ad una ambigua (e quindi carente) dizione riguardante le misure prevenzionali da adottare in relazione alla valutazione del rischio specifico della macchina in questione'', e che ``il tenore generico della prescrizione contenuta nel DVR predisposto dall'imputato non ha assolto all'obbligo di individuare in maniera specifica e puntuale le misure di prevenzione e protezione da adottare nel caso concreto''. Spiega che l'imputato non aveva ``indicato nel DVR la necessità di adempimento dell'intervento in disamina in termini di cogenza, urgenza, indifferibilità data l'incombenza del rischio oggetto di valutazione e prevenzione, rendendosi corresponsabile con il datore di lavoro della violazione della normativa prevenzionistica che imponeva di rendere conforme la macchina ai requisiti di sicurezza''. Esclude che ``la condotta dell'imputato integri una violazione puramente formale, sulla base dell'assunto difensivo che l'unico soggetto legittimato ad operare sulla macchina era il datore di lavoro, il quale ne conosceva perfettamente il funzionamento ed i correlativi rischi di utilizzo''. Considera ``semplicistica ed inconferente tale argomentazione, sull'ovvio rilievo che il RSPP è tenuto ad adempiere all'obbligo di valutazione e prevenzione del rischio in conformità alle previsioni normative in materia, formulando specifiche e tassative prescrizioni tecniche vincolanti per tutti i soggetti destinati ad operare nella struttura aziendale e sulla macchina in questione, a prescindere dalle specifiche conoscenze e capacità dei singoli operatori''. Ritiene ``la sussistenza del nesso causale tra l'omissione imputata all'RSPP e l'evento lesivo, in ragione della omessa indicazione nel DVR della specifica misura prevenzionale, che avrebbe consentito l'eliminazione della situazione di rischio da cui è conseguito l'evento lesivo''. Non dubita che ``il necessario adempimento del datore di lavoro ad una prescrizione cautelare espressamente indicata nel DVR predisposto dal RSPP avrebbe impedito l'evento lesivo con la certezza razionale propria del controfattuale della causalità omissiva''. Conclude che, ``alla stregua di un giudizio caratterizzato da elevata probabilità logica, il comportamento atteso avrebbe evitato l'evento, posto che il datore di lavoro non avrebbe potuto ignorare una specifica indicazione proveniente dal RSPP e contenuta espressamente nel DVR (e se lo avesse fatto ne avrebbe comunque risposto in via esclusiva)''.

    Il consigliere delegato e l'RSPP di una s.r.l. furono condannati in primo grado per l'infortunio occorso su una pressa piegatrice orizzontale idraulica priva dei dispositivi atti ad impedire alle mani dei lavoratori di venire a contatto con il punzone. La Corte d'Appello confermò la condanna del datore di lavoro, ma assolse l'RSPP perché il fatto non sussiste. La Sez. IV respinge sia il ricorso del datore di lavoro contro la propria condanna, sia il ricorso del P.M. contro l'assoluzione dell'RSPP. A questo secondo riguardo, osserva: ``Il DVR predisposto dall'RSPP conteneva sufficiente indicazione ed individuazione del rischio presente nel reparto laddove veniva indicato un rischio per la pericolosità intrinseca delle presse aggravato dalla inidoneità dei dispositivi di protezione non conformi alla legge. Attraverso il DVR, vi è stata segnalazione al datore di lavoro idonea a sollecitarne i poteri di intervento per eliminare la situazione di rischio, sollecitazione alla quale il datore di lavoro non ha evidentemente reagito''.

    L'RSPP è tenuto a ``svolgere in autonomia, nel rispetto del proprio sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro, di sollecitarlo al necessario aggiornamento del documento di valutazione rischi e, in generale, di dissuaderlo dall'intraprendere o dal mantenere scelte pregiudizievoli per la sicurezza dei lavoratori''. E ``proprio per il ruolo operativo rivestito e perché presente quotidianamente in azienda, (ha) la possibilità di verificare in concreto la carente valutazione dei rischi da parte dei vertici aziendali e l'insufficiente formazione del personale in ordine alla gestione delle situazioni di emergenza''.

    La dirigente di un istituto scolastico statale fu condannata per il reato di lesioni colpose in danno di uno studente di otto anni e del genitore di un altro studente della scuola, ``lesioni procurate in conseguenza della improvvisa caduta dell'anta sinistra di un cancello in evidente stato di degrado, per avere omesso di provvedere, in qualità di datore di lavoro, affinché i luoghi di lavoro fossero sicuri e venissero sottoposti a regolare manutenzione tecnica, in particolare omettendo di provvedere affinché il cancello potesse essere utilizzato in piena sicurezza''. In primo grado, fu, invece, assolto perché il fatto non sussiste l'ingegnere responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'istituto, per contro dichiarato in appello su ricorso della parte civile ``responsabile, ai soli effetti civili, del fatto illecito di lesioni colpose in danno dello studente''. A questo secondo riguardo, la Sez. IV osserva: `L'ingegnere ha avuto l'incarico consulenziale di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'istituto, e ha svolto dei sopralluoghi e degli accertamenti, compendiati nel documento di valutazione dei rischi, L'imputato, nel segnalare nel suo scritto vaghi problemi alla `recinzione esterna dell'edificio', evidentemente comprensiva di muri, cancelli, ringhiere e quant'altro, recinzione esterna descritta come connotata da diffuso ammaloramento', peraltro visibile ad occhio nudo, con particolare riferimento proprio al cardine inferiore sinistro (quello che aveva ceduto), non poteva certo specificamente riferirsi al cancello in questione, anche perché, volendo riferirsi ad un altro cancello dell'immobile, sito in un altro punto, lo aveva in altra parte del documento specificamente individuato; e, inoltre, la verifica sulla stabilità del cancello in questione era stata superficialmente svolta dall'ingegnere soltanto mediante l'impiego, in un'occasione, di un cacciavite, a mo' di `sonda', su di un ferro del cancello, con una tecnica, cioè, all'evidenza, troppo grossolanamente approssimativa per potere avere una qualche validità tecnica ed una qualche affidabilità dal punto di vista predittivo. Quanto all'argomento difensivo, secondo cui l'ingegnere, che intendeva riferirsi al cancello, si sarebbe dovuto necessariamente adattare agli spazi precostituiti della modulistica ministeriale adoperata come schema per la relazione, è agevole osservare che, data l'importanza del ruolo assegnato dalla dirigente scolastica all'ingegnere, appunto quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una scuola elementare, l'incaricato non poteva certo, burocraticamente, assolvere all'incombenza limitandosi a spingere con un cacciavite su di un ferro di un vecchio cancello e a compilare un modellino ministeriale definendo, imprecisamente, uno dei due cancelli come recinzione esterna genericamente malmessa, senza preoccuparsi più seriamente della sicurezza dei bambini, oltre che dei numerosi genitori e lavoratori della scuola che ogni giorno varcavano quella soglia, il rispetto per l'incolumità dei quali avrebbe dovuto indurre l'imputato, quantomeno, ad adattare gli spazi di un formulario ministeriale per inserirvi parole di chiarezza a proposito del rischio che derivava da un cardine di un cancello in cattive condizioni''. ``Il datore di lavoro, normalmente a digiuno (come peraltro nel caso di specie) di conoscenze tecniche, è proprio concretamente avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che ottempera all'obbligo giuridico di analizzare e di individuare, secondo l'esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno del luogo di lavoro. Con la conseguenza che, in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. Sull'ingegnere, proprio in quanto dotato di specifiche competenza tecniche che non rientravano nel profilo professionale della preside, l'istituzione scolastica aveva il diritto di fare pieno affidamento (nel caso di specie risultato malriposto) nella individuazione di possibili fonti di pericolo per la popolazione scolastica''.

    ``Quale responsabile del SPPR (art. 31 del T.U. n. 81/2008), l'imputato avrebbe dovuto immediatamente segnalare, perché la prassi scorretta e pericolosa fosse abbandonata, il fattore di rischio inaccettabile, costituito dalla circostanza che gli scavi, in violazione dell'art. 119 del citato T.U. non venivano armati; non mancando di assicurarsi che la violazione fosse sanata.

    A seguito di una violenta scossa sismica l'edificio che ospitava un convitto nazionale a L'Aquila subì rilevanti crolli di porzioni di muratura e dei solai. Tre morti e due feriti. La Cassazione conferma la condanna per omicidio e per lesione personale colposa sia del dirigente scolastico del convitto, sia del dirigente del settore edilizia e pubblica istruzione della provincia, ente tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile. E a proposito del RSPP insegna: ``Il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una figura dotata di una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma priva di autonomia decisionale. Essa tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti con distinti ruoli e competenze. Non vi è dubbio che tale figura sia destinataria di obbligo giuridico afferente al diligente svolgimento delle indicate funzioni. D'altra parte, tale ruolo è parte inscindibile di una procedura complessa, che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. Tale cooperazione può dunque ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell'evento illecito, come accade ad esempio nel caso in cui si manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche. In tale situazione si è ritenuto razionale attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge ed in particolare di condotta colposa, la responsabilità dell'evento al soggetto di cui si parla''. Peraltro nel caso di specie, il S.P.R.R. si salva. E ciò perché ``l'ingegnere responsabile della sicurezza aveva ampiamente relazionato per iscritto circa le gravi carenze riscontrate nelle strutture a seguito di periodici sopralluoghi in tutti i locali'': ``la professionista ha direttamente rappresentato al dirigente scolastico le criticità strutturali e personalmente assistito ai colloqui telefonici con i tecnici della provincia con riferimento alle problematiche dell'immobile''. E ancora: ``La responsabile del Servizio prevenzione e protezione, tra il 2000 ed il 2009, aveva più volte segnalato al dirigente scolastico ed ai competenti uffici della provincia le gravi carenze in tema di sicurezza. La donna redasse nel 2004 una relazione tecnica circa la inadeguatezza statico-strutturale di parti dell'edificio. Appena un mese prima della scossa fatale l'ingegnere aveva intrattenuto corrispondenze con ambedue gli imputati definendo la struttura fatiscente''.

    Nel cortile di una scuola materna, durante il periodo di ricreazione, una minore di anni quattro, mentre giocava con altri bambini sotto la vigilanza della maestra, a seguito della caduta di un'anta del cancello, riportava un trauma cranico con esito mortale. Per colpa consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro furono dichiarati colpevoli del delitto di omicidio il responsabile dei lavori pubblici presso l'ufficio tecnico del comune, il dirigente scolastico del circolo didattico datore di lavoro, l'addetta al SPPR della scuola, e l'incaricato dalla ditta appaltatrice di lavori di sistemazione del piazzale della scuola. La Sez. IV assolve l'addetta al SPPR, e conferma la condanna degli altri imputati. Avverte che ``il datore di lavoro designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda nonché gli addetti al servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda''. Osserva che ``il soggetto cui siano stati affidati i compiti del servizio di prevenzione e protezione, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, può, tuttavia, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione''. Aggiunge che ``l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un'omissione `sensibile' tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio''. Chiarisce che, ``considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antinfortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla''. Rileva che ``l'addetto alla prevenzione e protezione è un collaboratore del responsabile della prevenzione e protezione ed insieme, nella esplicazione dei compiti ad essi demandati, concorrono alla attuazione ed efficienza del servizio di prevenzione e protezione''. Con riguardo al caso di specie, prende atto che ``il datore di lavoro era bene a conoscenza della situazione di pericolo determinata dalla fatiscenza del cancello, all'esito della redazione e della spedizione al comune del documento di valutazione dei rischi'', che ``lo stato del cancello ed il pericolo che ne derivava era noto a tutti già da diverso tempo anche a seguito di `passaparola''', e che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che si avvaleva per l'espletamento dei suoi compiti anche della collaborazione della addetta, era a conoscenza della situazione ed era in continuo contatto con il preside''. Considera contraddittorio ``ritenere che il dirigente comunale e il dirigente scolastico hanno posto in essere una condotta colpevolmente omissiva sebbene fossero pienamente e perfettamente a conoscenza della situazione di potenziale pericolo derivante dal cancello de quo'', e ``poi sostenere che l'addetta sia colpevole di non aver effettuato un'ulteriore segnalazione del pericolo, atteso altresì che, anche ove fosse stata effettuata, la citata comunicazione non avrebbe assolutamente evitato l'evento e/o mutato la situazione di fatto esistente, perché riguardava un pericolo già a conoscenza del datore di lavoro ed ancor prima dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, i quali, pur a fronte di un proprio potere-dovere di intervento - potere di cui invece era priva l'imputata - erano rimasti consapevolmente inerti''. La conclusione è che ``la condotta omissiva contestata alla addetta al SPPR - ovvero l'ulteriore segnalazione - non avrebbe con ragionevole certezza e/o elevato grado di probabilità evitato l'evento mortale e ciò in quanto riguardava un pericolo perfettamente conosciuto ai soggetti che erano rimasti inerti e che erano detentori del potere-dovere di intervento''. (Quanto alla condanna degli altri due imputati v. questa stessa sentenza sub art. 18, al par. 11).

    Nel caso del crollo al liceo Darvin (v. sub art. 18, al paragrafo 11), la Sez. IV si occupa anche dell'RSPP. Dopo aver ribadito che ``il RSPP è destinatario di obblighi giuridici, e con l'assunzione dell'incarico assume l'obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni'', osserva che ``gli imputati, nella veste di RSPP, erano astretti, all'obbligo giuridico di fornire attenta collaborazione al datore di lavoro individuando i rischi lavorativi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli''. Aggiunge che essi possedevano ``le competenze adeguate alla natura dei rischi presenti per poter adempiere in primis al loro obbligo di preliminare adeguata valutazione dei rischi, trattandosi comunque di professionisti qualificati, dotati di ampia esperienza nel campo''. E nega che possa ``farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di garanzia perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata''. Nota che ``anche per quanto riguarda lo scrutinio sulla possibilità che un evento possa verificarsi e sul grado di diligenza usato per evitarlo è necessario individuare criteri di misura oggettivi''. Accoglie ``criteri che rifiutano i livelli di diligenza esigibili dal concreto soggetto agente (perché in tal modo verrebbe premiata l'ignoranza di chi non si pone in grado di svolgere adeguatamente un'attività di natura eminentemente tecnica) o dall'uomo più esperto (che condurrebbe a convalidare ipotesi di responsabilità oggettiva) o dall'uomo normale (verrebbero privilegiate prassi scorrette) e si rifanno invece a quello del c.d. `agente modello' (homo ejusdem professionis et condicionis), un agente ideale in grado di svolgere al meglio, anche in base all'esperienza collettiva, il compito assunto evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili''. Precisa che, ``se un soggetto intraprende un'attività, tanto più se di carattere tecnico, ha l'obbligo di acquisire le conoscenze necessarie per svolgerla senza porre in pericolo (o in modo da limitare il pericolo nei limiti del possibile nel caso di attività pericolose consentite) i beni dei terzi''. Spiega che ``non può da un lato richiedersi ciò che solo pochi settori di eccellenza possono conoscere e attuare ma, d'altro canto, neppure possono essere convalidati usi scorretti e pericolosi'', e che sussiste ``l'esigenza di non consentire livelli non adeguati di sicurezza, sia che siano ricollegabili a trascuratezza sia che il movente economico si ponga alla base delle scelte''. Ne ricava che ``si deve tener conto non solo di quanto l'agente concreto ha percepito ma altresì di quanto l'agente modello avrebbe dovuto percepire valutando anche le possibilità di aggravamento di un evento dannoso in atto che non possano essere ragionevolmente escluse''. Prende atto che, nel caso di specie, alcuni imputati hanno negato ``l'esistenza della colpa perché i medesimi non avevano la preparazione scientifica necessaria''. Ribatte che ``agente modello è colui che adegua la propria condotta alle conoscenze disponibili nella comunità scientifica e che, se non dispone di queste conoscenze, adempie all'obbligo - se intende svolgere un'attività che comporta il rischio di eventi dannosi - di acquisirle o di utilizzare le conoscenze di chi ne dispone o, al limite, di segnalare al datore di lavoro la propria incapacità di svolgere adeguatamente la propria funzione''. E sottolinea che, ``ove si accedesse ad una diversa impostazione, chiunque, anche se inesperto e incapace, potrebbe svolgere un'attività che comporta rischi di eventi dannosi e che richiede, per il suo svolgimento, conoscenze tecniche o scientifiche adducendo la sua ignoranza nel caso in cui questi eventi dannosi in concreto si verifichino''. Un'ultima notazione altamente significativa al di là del caso di specie: ``quello che la sentenza di primo grado definiva un semplice `controsoffitto', aveva invece la funzione di costituire il solaio di un cosiddetto vano tecnico della estensione di circa 1000 mq., e del peso di circa otto tonnellate, che, come tale doveva sostenere oltre il peso proprio, di per sé molto rilevante, anche il sovraccarico dei servizi presenti, del materiale che nel tempo si era ivi accumulato, nonché l'eventuale peso del personale della manutenzione, che sicuramente vi aveva fatto accesso, quanto meno per la sostituzione dei tubi di scarico del piano superiore''. Di qui l'addebito mosso agli imputati ``di aver ignorato l'esistenza di detto vano che presentava numerose varie criticità e difetti, nonostante l'accertata presenza di una botola che ne consentiva agevolmente l'accesso''.

    Condannato per l'infortunio subito da un dipendente a un tornio, il datore di lavoro lamenta che non si sarebbe ``tenuto in debito conto la presenza ed il ruolo svolto dall'ingegnere all'epoca designato quale responsabile esterno del servizio prevenzione e protezione. La Sez. IV ribatte: ``È vero che nel sistema prevenzionistico il responsabile per la sicurezza svolge un importante ruolo di collaborazione con il datore di lavoro ed ha rilevanti compiti che consistono nella individuazione e valutazione dei rischi e nel proporre le necessarie misure preventive e protettive e può essere quindi chiamato a rispondere di un eventuale evento lesivo o mortale quale titolare di autonoma posizione di garanzia. Nel caso di specie, però, il professionista incaricato era soggetto privo di un ruolo gestionale e decisionale, fungendo piuttosto da mero supporto alle determinazioni del datore di lavoro, e dunque non poteva essere ritenuto esclusivo garante della sicurezza. Inoltre, stante le assai rilevanti modifiche apportate al tornio, l'imputato, per la sua esperienza ultraventennale nel settore della meccanica, avrebbe dovuto prefigurarsi i rischi inevitabilmente connessi all'utilizzo di tale apparecchiatura, in ragione precipuamente dei dati ponderali della macchina e dei pezzi da lavorare ed ancora della forza centrifuga che si sarebbe sviluppata nel corso delle lavorazioni: egli perciò avrebbe dovuto esigere un accurato esame del tornio modificato prima che venisse posto in funzione e pretendere dal responsabile della sicurezza una valutazione accurata dei rischi connessi al suo uso. Nulla di tutto ciò era stato fatto dall'imputato: non vi era alcuna prova che una valutazione in tal senso fosse stata effettivamente richiesta all'ingegnere né da questi conseguentemente compiuta per verificare se l'apparecchiatura, così modificata, potesse essere inserita nell'organizzazione aziendale senza rischi per i lavoratori; il figlio dell'imputato aveva riferito genericamente del fatto che il professionista aveva visionato il tornio ma non aveva poi ricevuto alcuna comunicazione in esito a tale valutazione; vi era stato, da parte dell'ingegnere incaricato, solo un esame superficiale della macchina già revisionata, inidoneo ad escludere da parte dell'imputato l'adempimento del dovere di sua esclusiva competenza di acquisire informazioni specifiche e dettagliate, indispensabili per procedere alla valutazione del rischio connesso alle macroscopiche modifiche strutturali apportate, comportanti una significativa innovazione della modalità di svolgimento della lavorazione. Di qui la conclusione che l'imputato non aveva proceduto ad una corretta valutazione del rischio per non aver precedentemente acquisito in maniera formale, approfondita ed esauriente, i dati indispensabili alla valutazione medesima, con una condotta colposa che si era posta come causa esclusiva dell'evento''.

    Come costantemente insegna la Corte Suprema, il RSPP (così come l'ASPP) ha un ruolo meramente consultivo, e, cioè, ``ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione e informazione dei dipendenti'' (così, tra le tante, Cass. 1 febbraio 2018, n. 4941, riportata con altre sentenze sub art. 16, paragrafo 20). Accade, però, che un soggetto facente parte del SPPR, riceva e accetti, o comunque svolga, magari di propria iniziativa, anche incarichi operativi in materia di sicurezza del lavoro. Nel qual caso quel soggetto potrà essere chiamato a rispondere non solo per il ruolo consultivo posseduto nella veste di componente del SPPR, bensì anche perle funzioni operative accettate o comunque svolte:

    ``Inconducente è l'osservazione difensiva secondo la quale l'imputato, quale mero componente del consiglio di amministrazione, senza deleghe, non avrebbe potuto rispondere degli addebiti mossi in tale veste, incombenti solo sul presidente del CdA. Al contrario, il ruolo dell'imputato non era solo consultivo (RSPP), egli avendo avuto, in realtà, poteri decisionali'', in quanto ``aveva gestito la fase della proposta contrattuale con la s.p.a. committente''.

    In un cantiere di opere pubbliche appaltate da un comune per il consolidamento di un movimento franoso con presenza di più imprese esecutrici, per l'infortunio mortale occorso a un lavoratore della s.r.l. appaltatrice furono condannati il presidente del consiglio di amministrazione, l'amministratore delegato-direttore tecnico, il vicepresidente, e il RSPP della s.r.l. La Sez. IV conferma la condanna anche del RSPP. Rileva che la responsabilità del predetto viene ravvisata nell'assunzione di garanzia circa l'esecuzione dei lavori derivante dall'accettazione della delega che gli attribuiva funzioni operative in materia di sicurezza, rispetto alla quale non può assumere rilievo la dedotta estromissione da parte degli amministratori e la privazione delle concrete possibilità di intervenire (`egli aveva soltanto la possibilità o di adoperarsi in concreto per adempiere l'incarico ricevuto malgrado gli ostacoli frapposti dagli amministratori o di rinunciare all'incarico formalmente, ottenendo cosi l'esonero da responsabilità'). Ne desume che, ``in primo luogo, l'imputato, quale soggetto assuntore di fatto, in forza di delega, della responsabilità del cantiere, era tenuto a sorvegliare circa le attività, anche non previste o programmate, che si svolgevano presso il medesimo, quali quelle avvenute in occasione dell'incidente''. Osserva che, ``prescindendo da chi in concreto dispose l'interruzione della sospensione dei lavori, i fatti avvenuti il giorno dell'infortunio evidenziano omissioni relative alle dotazioni di sicurezza del cantiere riferibili all'imputato in ragione tanto della delega menzionata, quanto della posizione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della s.r.I.''. Spiega che ``si tratta di manchevolezze attinenti a presidi da attuare in epoca precedente al giorno dell'infortunio e, quindi, rientranti nella sfera di controllo di quest'ultimo in forza del menzionato duplice titolo''. Prende atto delle ``macroscopiche omissioni degli obblighi concernenti l'informazione e la formazione del personale spettanti al servizio di prevenzione e protezione, nonché la mancata realizzazione di misure tecnico-organizzative e adeguate opere di protezione ai fini della corretta e sicura esecuzione dell'attività lavorativa, e, in particolare, di idonei, stabili e ancorati ponteggi''. E conclude che, ``In presenza della descritta situazione, la responsabilità dell'evento non può essere ascritta esclusivamente a chi ha trasgredito il provvedimento di sospensione dei lavori, ma anche a colui cui sono riconducibili macroscopiche pregresse violazioni relative alla sicurezza del cantiere''.

    (V. anche, ad es., Cass. 6 luglio 2015, n. 28613; Cass. 4 maggio 2012, n. 16892; Cass. 21 dicembre 2012, n. 49821; Cass. 23 settembre 2010, n. 34529; nonché la sentenza delle Sez.Un. 16 settembre 2014, n. 38343 relativa al caso della ThyssenKrupp).

    Nell'Interpello n. 2/2017, la Commissione per gli interpelli affronta un ``quesito inerente la necessità che l'informazione sia svolta in forma prioritaria ed esclusiva, dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP)''. Premette che:

    ``a) l'art. 2, comma 1, lettera bb), del D.Lgs. n. 81/2008, definisce l'informazione come il `complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro';

    b) l'art. 18, comma 1, lettera l), del D.Lgs. n. 81/2008, pone a carico del datore di lavoro e del dirigente l'obbligo di `adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37';

    c) l'art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008 precisa i singoli casi in cui sia obbligatorio provvedere ad una `adeguata informazione' e specifica che sia il datore di lavoro a dovervi provvedere - pur se non come obbligo indelegabile, in considerazione di quanto previsto dall'art. 17 del citato decreto legislativo;

    d) l'art. 33, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 81/2008, elencando i `compiti' dell'intero Servizio di prevenzione e protezione dai rischi - e non quindi solamente quelli del suo Responsabile - specifica che vi sia anche quello di `fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36'. E conclude che ``rientra nella scelta del datore di lavoro decidere, caso per caso, a chi affidare l'onere di erogare l'adeguata informazione a ciascuno dei propri lavoratori''.

    La conclusione è che ``rientra nella scelta del datore di lavoro decidere, caso per caso, a chi affidare l'onere di erogare l'adeguata informazione a ciascuno dei propri lavoratori''.

    La risposta non appare sufficientemente approfondita, e, quindi, rischia di propiziare equivoci in ordine all'individuazione del soggetto chiamato a ``svolgere'' l'informazione ai lavoratori.

    Che l'obbligo di provvedere ``affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione'' spetti al datore di lavoro e ai dirigenti, e sia sanzionato a loro carico, è pacifico a norma degli artt. 18, comma 1, lettera l), e 55, comma 5, lettera c), D.Lgs. n. 81/2008. Così come è pacifico che siffatto obbligo è delegabile da parte del datore di lavoro (ma non dal dirigente) in forza degli artt. 16, comma 1, e 17, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008.

    Ma occorre chiarire che siffatto obbligo non fa mai capo all'RSPP in quanto tale (e tantomeno è sanzionato nei suoi confronti), dal momento che, in base all'art. 33, comma 1, lettere d) ed f), D.Lgs. n. 81/2008, il SPPR provvede ``a proporre i programmi di informazione'' e a `` fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36'', e, dunque, le informazioni decise dal datore di lavoro (o dal suo delegato) e dai dirigenti, pur se magari sulla base dei programmi proposti dal SPPR. Ed è il caso di precisare, altresì, che ``la designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l'istituto della delega di funzioni di cui all'art. 16 del D.Lgs. 81/2008'' e che ``il RSPP ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione e informazione dei dipendenti'' (secondo quanto insegna ancora da ultimo Cass. 1° febbraio 2018, n. 4941, riportata sub art. 16, paragrafo 21). Occorre, quindi, tener ben distinto un compito meramente esecutivo quale quello evocato dall'art. 33, comma 1, lettera f), D.Lgs. n. 81/2008 dall'obbligo del datore di lavoro (o del suo delegato) e dei dirigenti di provvedere ``affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione''. Che poi di fatto accada che un soggetto facente parte del SPPR riceva e accetti, o comunque svolga, magari di propria iniziativa, anche incarichi operativi in materia di sicurezza del lavoro (quale, appunto, quello di ``provvedere a una adeguata informazione'' ai lavoratori), è un evento malauguratamente non raro nella prassi che induce la giurisprudenza ad affermare che in tale ipotesi quel soggetto può essere chiamato a rispondere non solo per il ruolo consultivo (e in materia d'informazione ai lavoratori pure esecutivo) posseduto nella qualità di RSPP (o ASPP), bensì anche per le funzioni operative accettate o comunque svolte, ma allora non più in veste di RSPP (o ASPP), bensì in base alle funzioni operative accettate o comunque svolte (su questo punto v., retro, il paragrafo 5).

    ``Alla luce dell'art. 33, lettere d ed f, D.Lgs. n. 81/2008, il R.S.P.P. provvede a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori e a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36 su rischi connessi all'attività lavorative e sulle misure e attività di protezione e prevenzione adottate. La sussistenza di altri soggetti titolari di potere di formazione non esonera il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi la sicurezza, il quale, comunque, ha poteri di ausilio ed affianca, senza sostituire, il datore di lavoro, e, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri''.

    Condanna per il reato di lesioni personali colpose in danno di due infortunati pronunciata nei confronti di un viceprefetto nella qualità di RSPP presso i locali in uso a una prefettura. Colpa: aver omesso di verificare e segnalare il rischio connesso alla presenza di scaffalature che contenevano pesanti faldoni in cui erano archiviate contravvenzioni e che minacciavano di crollare per difetti di installazione e, in particolare, per l'assenza di sistemi di ancoraggio alle pareti. Crollo poi avvenuto il giorno stesso in cui l'imputato ``aveva visitato i locali in adempimento delle visite semestrali giustificate dalla sua veste di RSPP''. A sua discolpa, l'imputato deduce che ``la visita eseguita ai locali della prefettura il giorno in cui si era verificato il pernicioso crollo della scaffalatura non era determinata da esigenze connesse al ruolo rivestito di RSPP, ma in attuazione degli obblighi nascenti dalla disposizione che regola la sorveglianza sanitaria del medico competente il quale ha l'obbligo di procedere a due visite annuali sul luogo del lavoro accompagnato dal RSPP''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva: ``Una posizione di garanzia derivava da una formale investitura prefettizia. Ricorrevano i presupposti della esigibilità della condotta richiesta (individuazione e segnalazione del rischio) e di prevedibilità della situazione di pericolo, percepibile in tutta evidenza. Qualunque fosse stata la ragione per cui era stata eseguita la visita ispettiva presso i locali della prefettura, l'imputato era stato posto in condizione di apprezzare, anche mediante la suddetta visita, che costituiva uno dei momenti di possibile verifica semestrale dei luoghi di lavoro sottoposti al suo controllo, la situazione di incombente pericolo che minacciava dalla mancanza di ancoraggio della scaffalatura alla parete e nondimeno l'imputato aveva omesso di procedere a qualsivoglia formale individuazione della fonte di pericolo per la salute dei lavoratori e di segnalazione agli organi datoriali''.

    Nell'ormai vasta giurisprudenza sulle responsabilità penali del SPPR, si segnalano alcune pronunce volte a fornire ai responsabili e gli addetti uno scudo protettivo. Anzitutto, la sentenza sui morti del Comune di Mineo:

    Nell'impianto di depurazione del comune di Mineo, all'interno del pozzetto di ricircolo dei fanghi, morirono sei operai, quattro dipendenti del comune e due di una s.r.l. incaricata di effettuare l'espurgo della condotta di collegamento tra la vasca del biorotore (ossia la vasca in cui avviene il nucleo del trattamento depurativo mediante un processo di rimozione e trasformazione delle sostanze inquinanti) e la vasca di sedimentazione finale (ossia la vasca in cui si raccolgono i fanghi successivamente al processo di sedimentazione primaria). Sei i condannati per omicidio colposo, ivi compreso l'RSPP della s.r.l. Ma la Sez. IV annulla senza rinvio la condanna dell'RSPP per non aver commesso il fatto. Prende atto che, a dire della corte d'appello, ``il RSPP risponde per mancata elaborazione di informazione e di formazione dei lavoratori tutte le volte in cui l'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o mal considerata dal responsabile del servizio'', e che i dipendenti della s.r.l. deceduti non avevano ricevuto un'adeguata formazione, sicché, ``ignorando le modalità ottimali per eseguire l'intervento loro richiesto a causa del difetto di formazione-informazione, avevano operato disattendendo le più elementari regole precauzionali''. Nota che ``la posizione di garanzia del RSPP è stata ricondotta, oltre che alla compilazione del documento di sicurezza, all'obbligo di verificare l'effettiva e costante partecipazione di tutti i dipendenti ai corsi di formazione, con particolare riguardo ai corsi aventi ad oggetto rischi specifici, di curare i meccanismi di raccordo e di automaticità per garantire la formazione/informazione dei nuovi assunti prima dell'assunzione stessa, di garantire un meccanismo di controllo effettivo sulla partecipazione dei lavoratori ai corsi''. Ma obietta che ``i compiti di consulenza spettanti all'RSPP non possono estendersi sino ad includervi la vigilanza sull'effettivo svolgimento delle attività di formazione e di informazione dei lavoratori, a meno che non vi sia espressa delega di funzioni datoriali in tal senso''. Sostiene che ``l'obbligo di vigilanza sull'effettivo svolgimento dell'attività di formazione/informazione dei lavoratori è strettamente inerente all'osservanza della normativa antinfortunistica che la legge pone a carico di soggetti diversi dal RSPP'', e che ``i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale''. Aggiunge che ``i casi che hanno comportato l'affermazione di responsabilità di tale figura professionale riguardano, per lo più, l'omessa individuazione di un rischio o l'omessa segnalazione di una situazione pericolosa la cui conoscenza avrebbe messo il datore di lavoro nella condizione di evitare l'evento''.

    Altrettanto significativa è sotto un diverso profilo:

    Nell'occuparsi di un infortunio mortale occorso durante un'attività di manutenzione e addebitato all'RSPP (oltre che a datore di lavoro, direttore di stabilimento e capo reparto), la Sez. IV annulla con rinvio la condanna del RSPP: ``La figura del RSPP si caratterizza per lo svolgimento, all'interno della struttura aziendale, di un ruolo non gestionale ma di consulenza, cui si ricollega un obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. La condotta cautelare richiesta dal legislatore al RSPP trova il proprio contenuto essenziale in un processo intellettivo (individuazione e valutazione dei rischi) cronologicamente antecedente le fasi operative/esecutive che attengono alle decisioni ed al controllo sullo svolgimento dell'attività lavorativa, che competono, invece, ad altre figure prevenzionistiche (tipicamente al datore di lavoro, ma anche al dirigente e al preposto). Pacifico che il RSPP non è destinatario di poteri decisionali, né operativi, né di doveri di vigilanza sulla corretta applicazione delle modalità di lavoro''. Nel caso di specie, la Sez. IV osserva che sarebbe contraddittorio addebitare agli imputati ``mancanze decisionali di carattere esecutivo che attengono alla omessa predisposizione di un piano di intervento e di sicurezza specifico per l'operazione lavorativa in disamina'', e, dall'altra, equiparare ``indebitamente la figura del RSPP, che è quella di un consulente, a quella del datore di lavoro e del preposto, che sono invece figure prevenzionistiche operanti nella quotidianità dell'attività lavorativa'', accusando anche il RSPP ``di non avere individuato e valutato, nell'immediato, i rischi dell'operazione che si stava eseguendo'' e limitandosi ``ad affermare apoditticamente che si sarebbe trattato di un intervento già svolto in precedenza in quanto conseguente ad un inconveniente che si era già verificato in passato'', e senza chiarire ``se e come il RSPP fosse stato consultato, in precedenza, dal datore di lavoro in merito all'intervento specifico di cui si tratta, al fine di individuare e valutare i rischi di tale attività''. Sottolinea ancora l'esigenza di non ``confondere il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP) da quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro)'', e di non addebitare al RSPP un infortunio ``determinato da scelte esecutive sbagliate'', trattandosi di scelte non spettati al RSPP, ``non presente tutti i giorni in azienda e non tenuto a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni''.

    Un distinguo ripreso da:

    ``La condotta cautelare richiesta dal legislatore all'RSPP trova il proprio contenuto essenziale in un processo intellettivo (individuazione e valutazione dei rischi), cronologicamente antecedente le fasi operative/esecutive che attengono alle decisioni e al controllo sullo svolgimento dell'attività lavorativa, che competono, invece, ad altre figure prevenzionistiche (tipicamente al datore di lavoro, ma anche al dirigente e al preposto). Vanno, dunque, tenuti nettamente distinti il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP) da quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro) e, quando si parla di evento determinato da scelte esecutive sbagliate, deve ricordarsi che tali scelte non spettano al RSPP, il quale non è presente tutti i giorni in azienda e non è tenuto a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni''. (La fattispecie affrontata da questa sentenza è riportata nel paragrafo 1).

    Particolarmente approfondita:

    in un caso d'infortunio subito da un lavoratore intento a salire sul cassone di un camion e schiacciato da una gru azionata da altri per il prelievo di materiale dal camion, la Sez. III conferma la condanna del datore di lavoro perché «nessuna doverosa cautela era stata adottata per scongiurare quel prevedibile rischio, come invece prescritto nel Dvr». Annulla invece con rinvio la condanna del RSPP. Infatti, esclude che ``gravi sul RSPP l'obbligo di controllare e assicurarsi che il datore di lavoro adempia alle misure di precauzione indicate nel DVR''. Peraltro, ammette che, a norma dell'art. 33, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, ``tra gli obblighi previsti in capo al RSPP vi è quello di ``elaborare per quanto di competenza le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28, comma 2, TUSL. ma anche i sistemi di controllo di tali misure''. Precisa che «soltanto in questi limiti - che sono quelli previsti dalla legge - può dunque ipotizzarsi una condotta omissiva del RSPP rispetto all'attuazione delle misure precauzionali indicate nel DVR''. Pone in rilievo che «questa indagine sulla eventuale mancata predisposizione dei sistemi di controllo delle misure precauzionali indicate nel DVR non risulta in alcun modo effettuata nella sentenza impugnata''. Di qui l'annullamento con rinvio della condanna del RSPP. (Per il riferimento ai sistemi di controllo delle misure v. Cass. 7 giugno 2022 n. 21863).

    (Che l'RSPP non abbia compiti decisionali, né operativi, è pacifico. Ma del pari pacifico è che l'RSPP può essere chiamato a rispondere di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, qualora abbia omesso di segnalare una situazione di rischio o abbia dato suggerimenti inadeguati. E ben s'intende che l'insufficiente informazione-formazione dei lavoratori nel caso di Mineo, così come nel secondo caso gli inconvenienti già verificatisi in precedenza in corso di attività manutentiva, originano una situazione di rischio che l'RSPP è tenuto a segnalare previa un'adeguata, indispensabile vigilanza - non operativa - sui luoghi di lavoro: v., ad es., Cass. 15 settembre 2021, n. 33980; Cass. 2 gennaio 2018, n. 3; Cass. 7 dicembre 2015, in Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, decima edizione, Wolters Kluwer, Milano, 2018, 703. È paradigmatico, tra i casi emersi in giurisprudenza, quello affrontato da Cass. 27 settembre 2012, in ISL, 2012, 12, 674: ``Fu proprio il R.S.P.P. a sollevare la questione della presenza delle buche e di adottare idonei accorgimenti per evitare il pericolo di caduta. Una volta effettuata la copertura delle stesse con le lamiere metalliche, non se ne poteva più non interessare, né poteva omettere di verificare l'adeguatezza del rimedio da altri adottato'').

    Non è da escludere che ad infortunarsi sia lo stesso RSPP:

    La legale rappresentante e l'amministratore delegato di una s.r.l. vengono condannati per l'infortunio subito dal figlio dipendente, ``per aver messo a sua disposizione un carrello su ruote a spinta non adeguato ed inidoneo ai fini delle operazioni di sicurezza da svolgere'' in violazione dell'art. 71, D.Lgs. n. 81/2008. A propria discolpa, osservano che ``la responsabilità per l'evento lesivo dovrebbe essere attribuita in tutto o in parte al R.S.P.P. in conseguenza delle carenze di informativa''. La Sez. IV replica: ``Il R.S.P.P., in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate: Nel caso in cui emergano profili di colpa del R.S.P.P., stanti i suoi limitati poteri, permane la corresponsabilità del datore di lavoro. La qualifica di R.S.P.P. rivestita dall'infortunato non esonera gli imputati dall'obbligo di controllare direttamente la rispondenza delle attrezzature e dei luoghi alle prescrizioni di legge in materia antinfortunistica, non essendo equiparabile tale figura professionale a quella del delegato delle funzioni di controllo e sicurezza da parte del datore di lavoro''.

    ``La considerazione che l'imputato alla qualifica datoriale formale e sostanziale - abbia impropriamente cumulato quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quindi anche di soggetto deputato alla elaborazione materiale della valutazione del rischio, contribuisce a costituire in capo al medesimo soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia, di adempimenti datoriali. Infatti, sebbene la qualità di datore di lavoro e quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione alle dimensioni dell'azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, aver unificato entrambe le funzioni, per scelta dello stesso datore di lavoro, contribuisce da un lato a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro, e dall'altro a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro. L'alterità delle funzioni datoriali e di quelle del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, tipicamente consultive, depone a favore non di un'elisione ma di un duplice ruolo di garanzia svolto dall'imputato particolarmente e deliberatamente concentrato in materia di sicurezza del lavoro, sia sul più alto profilo decisionale e sia sul più importante piano consultivo. Il ruolo consultivo e interlocutorio dell'RSPP deve essere funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale, soprattutto da quello datoriale, perché altrimenti si incrociano posizioni e funzioni con compiti strutturalmente diversi, che devono cooperare su piani diversi, decisionale il primo, consultivo il secondo. La dialettica tra chi esercita i poteri organizzativi e chi ha un ruolo tecnico ed elaborativo costituisce la sintesi di base da cui prende le mosse ogni determinazione organizzativa, amministrativa, tecnica, produttiva, in materia di sicurezza. Di conseguenza la confusione dei ruoli di per sé è indice di un colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro, tutt'altro che esimente''.

    Fine capitolo