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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

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    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

    a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;

    b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

    c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

    d) alle attività di sorveglianza sanitaria;

    e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;

    f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

    g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;

    h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.

    2. Il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1.

    3. Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche ei poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

    4 Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

    5. In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati dalla Commissione di cui all'articolo 6.

    5-bis. La commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.116

    6. L'adozione del modello di organizzazione e di gestione di cui al presente articolo nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell'articolo 11.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Il MOG come scudo penale - 2. Idoneità e specificità del modello organizzativo - 3. I contenuti del MOG - 4. Elusione fraudolenta del MOG in materia di sicurezza del lavoro - 5. British Standard OHSAS 18001:2007 - 6. Il MOG come documento - 7. Composizione e compiti dell'organismo di vigilanza .

    La responsabilità amministrativa sussiste, a condizione che l'impresa versi in colpa, la c.d. colpa di organizzazione, consistente nel non aver adottato ed efficacemente attuato il MOG. Da sempre, la Corte Suprema insegna che il D.Lgs. n. 231/2001 non impone l'adozione del MOG, e che tuttavia la scelta di dotarsi del MOG vale ad escludere la responsabilità amministrativa dell'impresa.

    ``Nel D.Lgs. n. 231/2001, non si prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea, in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società, a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità (art. 6), in altri un sollievo sanzionatorio (artt. 17, 78), e che nella fase cautelare può portare alla sospensione o alla non applicazione delle misure interdittive (art. 49)''.

    Ecco perché sorprendono quelle imprese che trascurano di adottare ed efficacemente attuare il MOG. Perché trascurando il MOG omettono di erigere un vero e proprio scudo contro una responsabilità tanto insidiosa quale quella amministrativa. Anzi, trascurando il MOG, le imprese omettono altresì di erigere un ulteriore scudo: addirittura uno scudo contro un profilo saliente della responsabilità penale dello stesso datore di lavoro, e, dunque, del vertice dell'impresa:

    ``La delega di funzioni, come disciplinata dall'art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite''. Il comma 3 dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 prevede ``uno specifico limite alla responsabilità del datore di lavoro, in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4''. ``L'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, a sua volta, dispone che `il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate', e che `il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico'''. ``Da queste disposizioni'' si desume ``un quadro di ripartizione della responsabilità aziendale in ordine al controllo dei rischi che tiene conto anche delle esigenze connesse alla complessità della struttura organizzativa''. ``In imprese di grandissime dimensioni, organizzate in più stabilimenti, il `datore di lavoro' risponde delle violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che discendono dalle scelte gestionali di fondo ovvero dalla inadeguatezza ed inefficacia del modello di controllo, anche in considerazione delle necessità di adattamento di questo nel tempo a fronte di apprezzabili sopravvenienze''. ``L'adeguatezza e l'efficacia del modello di controllo deve essere verificata in considerazione della sua specificità rispetto all'ambiente lavorativo interessato, ma non può essere esclusa solo perché si è verificato un incidente'': sia perché ``una soluzione che valorizzi in termini decisivi il fatto della verificazione di un infortunio implica l'adozione di forme di responsabilità oggettiva'', sia perché l'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, richiede `il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo' solo `quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico', e, quindi, solo in occasione di sopravvenienze, appunto `significative'. Con la conseguenza che ``la verifica in ordine ad adeguatezza ed efficacia del modello di controllo, ai fini dell'esonero della responsabilità del `datore di lavoro' delegante, deve essere compiuta ex ante, alla luce di tutti gli elementi conoscibili al momento della predisposizione del modello''.

    ``L'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008 dispone che `il modello organizzativo deve prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate'', e che ``il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico''. ``Da queste disposizioni si desume un quadro di ripartizione della responsabilità aziendale in ordine al controllo dei rischi che tiene conto anche delle esigenze connesse alla complessità della struttura organizzativa''. ``In imprese di grandissime dimensioni, organizzate in più stabilimenti, il `datore di lavoro' risponde delle violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che discendono dalle scelte gestionali di fondo ovvero dalla inadeguatezza ed inefficacia del modello di controllo, anche in considerazione delle necessità di adattamento di questo nel tempo a fronte di apprezzabili sopravvenienze''. ``L'adeguatezza e l'efficacia del modello di controllo deve essere verificata in considerazione della sua specificità rispetto all'ambiente lavorativo interessato, ma non può essere esclusa solo perché si è verificato un incidente'': sia perché ``una soluzione che valorizzi in termini decisivi il fatto della verificazione di un infortunio implica l'adozione di forme di responsabilità oggettiva'', sia perché l'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, richiede `il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo' solo `quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico', e, quindi, solo in occasione di sopravvenienze, appunto `significative'''. Con la conseguenza che ``la verifica in ordine ad adeguatezza ed efficacia del modello di controllo, ai fini dell'esonero della responsabilità del `datore di lavoro' delegante, deve essere compiuta ex ante, alla luce di tutti gli elementi conoscibili al momento della predisposizione del modello''.

    «L'approntamento di un modello non basta ad esimere una società da responsabilità amministrativa, essendo anche necessaria la istituzione di una funzione di vigilanza sul funzionamento e sull'osservanza di modelli, attribuita a un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo. Ciò, d'altra parte, è quel che pretende l'art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 al punto b) del comma 1. Ma perché iniziativa e, principalmente, controllo, siano effettivi e non meramente cartolari', si deve presupporre la non subordinazione del controllante al controllato. Tanto ciò è vero, che il comma 2 del medesimo articolo prevede (sub d) obblighi di informazione nei confronti dell'organo di vigilanza, evidentemente per consentire l'esercizio `autonomo' del potere (di vigilanza, appunto), nonché (sub e) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello (ovviamente per rendere `credibile' il potere di controllo)».

    «La Corte ritiene che anche se i moduli organizzativi predisposti ripetono i codici e le linee guide elaborate dalla Confindustria e da Ace, la chiara inidoneità, per tabulas, del modello organizzativo proposto solo «sulla carta», ma senza una effettiva incidenza sulla vecchia struttura, è rimarcata a tutto tondo non solo e non tanto dalla individuazione dell'amministratore unico nella persona di soggetto già collaboratore dell'indagato, ma dalla molteplicità dei collegamenti che non lo collocano certo in una posizione esterna ed estranea a tutta la famiglia».

    Infortunio subito dal dipendente a tempo determinato di un'agenzia di lavoro ``concesso per un mese a una s.r.l. che aveva avuto in appalto da una centrale elettrica il nolo `a caldo' dei mezzi di sollevamento in relazione all'attività di sollevamento di sacchi di sale e di trasporto degli stessi in appositi siti''. Furono condannati - oltre che per lesione personale colposa il rappresentante legale della s.r.l. e il capo cantiere - la stessa s.r.l. per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies, D.Lgs. n. 231/2001. A sua discolpa, la s.r.l. eccepisce ``l'adozione di un modello organizzativo gestionale ex art. 30 D.Lgs. n. 81/2008 da parte della società, e, inoltre, la predisposizione da parte della stessa del documento di valutazione del rischio (D.V.R.)''. Aggiunge che ``la s.r.l. si era dotata del prescritto documento di valutazione del rischio conforme a legge e sufficientemente dettagliato e completo''. Sostiene che ``la adeguatezza del modello organizzativo esplicherebbe la sua efficacia esimente sia quanto all'ente che nei confronti del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 16, comma 3, e 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, intendendosi assolto l'obbligo di vigilanza datoriale - si ritiene, come una `presunzione assoluta' - in caso di adozione e di efficace attuazione del modello organizzativo''. Afferma pure che ``non sarebbe emersa la sussistenza di un vantaggio o di un interesse in capo alla società, proprio per la accertata presenza dei due documenti richiamati, che sarebbero solo stati disapplicati o violati da taluno dei soggetti indicati nell'art. 5 del D.Lgs. n. 231/2001, a causa della imperfetta esecuzione delle misure preventive previste'', e che ``non si ravvisa nella condotta del datore di lavoro quella tensione finalistica rivolta al perseguimento di un interesse qualificabile della società, né da essa derivò alcun apprezzabile vantaggio in termini di risparmio di costi o velocizzazione delle procedure di lavoro, da momento che la s.r.l. si era regolarmente dotata di un DVR''. Per di più, rileva che, ``nel caso di specie, si sarebbe in presenza di una condotta abnorme del lavoratore, posta in essere al di fuori delle proprie mansioni e competenze, non emergerebbe alcuna prova dell'interesse o del vantaggio dell'ente, mancherebbe la dimostrazione del mancato rispetto delle norme antinfortunistiche da parte della società e, anzi, il lavoratore avrebbe, per sua consapevole scelta, eluso fraudolentemente le previsioni antinfortunistiche, ciò che, già di per sé, sarebbe sufficiente ad escludere ogni tipo di responsabilità della s.r.l., anche ove, in ipotesi, fossero stati sottovalutati o incompletamente valutati alcuni rischi''. La Sez. IV ribatte: ``In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il giudice di merito, ove investito da specifica deduzione, deve procedere secondo le seguenti scansioni logiche e cronologiche: prima, accertare l'esistenza o meno di un modello organizzativo e di gestione ex art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001; poi, ove il modello esista, verificare che lo stesso sia conforme alle norme; infine, accertare che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell'ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto. Nel caso di specie, non vi è stata, in realtà, specifica deduzione difensiva relativa al modello organizzativo e di gestione ex artt. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 e 30 del D.Lgs. n. 81/2008, avendo, a ben vedere, la difesa incentrato tutte le proprie argomentazioni sulla efficacia nel caso di specie del documento di valutazione del rischio (DVR), che è cosa diversa dal richiamato modello organizzativo''.

    ``Difetta, nel D.Lgs. n. 121/2011 (che ha integrato il D.Lgs. n. 231/2001 con l'introduzione dell'art. 25-undecies), una norma analoga a quella dell'art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008 che indichi le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro presunta idoneità''. ``Neppure la mancanza di linee guida che, sulla scorta di quanto stabilito dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, funzionino da riferimento per modelli di organizzazione aziendale, può ostare alla configurabilità dell'illecito amministrativo in rapporto al reato-presupposto già previsto dall'art. 137 del D.Lgs. n. 152/2006, e, oggi, dall'art. 452-quaterdecies c.p.''.

    Per l'infortunio occorso a un verniciatore-collaudatore furono condannati due amministratori delegati quali datori di lavoro susseguitisi nel tempo di una s.p.a. e per l'illecito amministrativo la stessa s.p.a.: colpa degli amministratori delegati ``non aver adeguatamente valutato il rischio connesso all'attività specifica, nonché aver omesso di formare in modo adeguato il lavoratore''; colpa della s.p.a. aver ``omesso di predisporre efficacemente ed attuare un modello di organizzazione e gestione al fine di prevenire la commissione di delitti di lesioni colpose derivanti dalla violazione delle norme antinfortunistiche a vantaggio della società''. Uno degli amministratori delegati deduce ``di aver assunto la posizione di garanzia datoriale solo 34 giorni prima dell'infortunio'', e che ``non poteva quindi in un lasso di tempo così breve prevedere ed essere messo a conoscenza della situazione pericolosa, trattandosi di un'operazione di esecuzione di un reparto (collaudo) di un'azienda di grandi dimensioni che non può essere ricondotta alla diretta gestione del rischio da parte del datore di lavoro''. L'altro amministratore delegato sostiene, in particolare, che, all'epoca dell'infortunio, ``aveva cessato tutti gli incarichi e non rivestiva la qualifica di datore di lavoro''. Dal suo canto, la s.p.a. lamenta la violazione dell'art. 5 D.Lgs. n. 231/2001, ``in quanto, in base ad un'affermazione apodittica, si è ritenuto che la società non abbia organizzato la formazione del personale sullo specifico rischio e ciò al fine di realizzare risparmi sui costi di impresa a scapito della sicurezza sul lavoro'', e che comunque l'utilizzo del metodo errato di lavorazione ``porterebbe a un risparmio così irrisorio, che certo non poteva influenzare le sorti economiche della società''. La Sez. IV conferma invece le condanne. Quanto all'amministratore delegato all'epoca dell'infortunio, osserva che, ``nel momento in cui aveva assunto la carica, aveva istituito il registro delle non conformità proprio nel reparto collaudo e tale monitoraggio aveva evidenziato in appena 15 giorni il verificarsi di dodici inconvenienti, e ciò doveva rendere evidente anche al nuovo amministratore delegato che quello specifico segmento della produzione meritava un'attenzione immediata e un intervento specifico; mentre a nessuno degli addetti al reparto collaudo erano state date né direttive verbali né tantomeno scritte sulla procedura da osservare''. Con riguardo all'amministratore delegato cessato al momento dell'infortunio, la Sez. IV sottolinea ``l'esistenza, in quella specifica fase della lavorazione, di una prassi risalente nel tempo, da tutti tollerata ed evidentemente nota in azienda, che non doveva sfuggire a chi ricopriva l'incarico di datore di lavoro mantenendo in capo a sé tutte le attribuzioni in materia di sicurezza, come tale, ricoprente posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti in servizio nello stabilimento''. Per quel infine concerne la s.p.a., la Sez. IV rileva che ``nessun modello organizzativo era stato adottato ed efficacemente attuato dagli organi dirigenti, idoneo a prevenire reati della specie di quello che si è verificato'', e che, ``anzi, proprio la mancanza della previsione del rischio specifico, di idonee istruzioni e di disposizioni precise agli operai sulla corretta gestione da seguire per eliminare l'inconveniente che ricorreva frequentemente nel ciclo produttivo, la mancata formazione ed istruzione del lavoratore, in uno con il sistema utilizzato di fatto dai lavoratori mediante una prassi avallata da lungo tempo, aveva certamente portato ad un risparmio di spesa e un minor dispendio dei tempi di esecuzione oltre che dei materiali rispetto alla procedura corretta''. Spiega al riguardo che ``la prassi pericolosa consentita e avallata realizzava di fatto un procedimento più snello e rapido che quindi accelerava i tempi di produzione'', e pone l'accento sulla ``circostanza che la società aveva comunque risparmiato i costi connessi ad un'adeguata attività di formazione ed informazione dei lavoratori''.

    La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore delegato di una s.p.a. per l'infortunio mortale a un dipendente inviato presso un'altra azienda e della stessa s.p.a. per il connesso illecito amministrativo previsto dall'art. 25-septies, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001. Osserva, in particolare, che ``la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli incombendo, tuttavia, sull'ente l'onere con effetti liberatori di dimostrare l'idoneità di tali modelli di organizzazione e gestione a prevenire reati della specie di quello verificatosi''. E con riguardo al caso di specie ritiene sufficiente prendere atto che la s.p.a., al momento dell'infortunio, non aveva realizzato il modello organizzativo ``previsto dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231/2001 e dall'art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008 con particolare riguardo ai punti a) ed e) del comma 1''.

    ``In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l'esistenza di un modello organizzativo e di gestione ex art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001; poi, nell'evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell'ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto''. Nel caso di specie (relativo all'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a, e 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001 connesso a omicidio colposo addebitato al datore di lavoro e al preposto di una s.r.l. facente parte di un'A.T.I. appaltatrice di lavori edili in danno di un lavoratore distaccato nell'ambito di un nolo a caldo), la Sez. IV annulla con rinvio ``la statuizione sulla responsabilità amministrativa dell'ente'', in quanto ``risulta del tutto omessa nelle sentenze di merito la valutazione sul contenuto e sulla idoneità del modello organizzativo, rinvenendosi soltanto considerazioni circa il P.O.S., che è cosa diversa'', con la conseguenza che ``i giudici di merito hanno svolto l'equazione `responsabilità penale della persona fisica datore di lavoro/preposto = responsabilità amministrativa dell'ente', trascurando l'articolata disciplina posta dal D.Lgs. n. 231/2001''.

    Con specifico riguardo all'ipotesi in cui il reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti sia rappresentato dal delitto di omicidio colposo o di lesione personale colposa grave o gravissima commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, taluno ha sostenuto che l'elusione fraudolenta del MOG sarebbe incompatibile con la condotta colposa. Fatto sta che l'art. 30, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 richiama espressamente il D.Lgs. n. 231/2008 mediante la formula ``il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231''. È generalmente sfuggita all'attenzione:

    Per omicidio colposo furono chiamati in giudizio i responsabili di una s.r.l., ma anche la stessa s.r.l. per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies D.Lgs. n. 231/2001. Chiamata a vagliare l'eccezione difensiva sollevata dall'imputato di nullità della sentenza in conseguenza della nomina del difensore di fiducia dell'ente operata dallo stesso imputato per incompatibilità tra il legale rappresentante-imputato e l'ente collettivo, la Sez. IV ne trae spunto per rilevare come sia ``presupposto strutturale dell'ascrizione dell'illecito all'ente che il reo abbia commesso il reato nell'interesse o a vantaggio dell'ente (art. 5 del decreto) ed è ragione di esonero da responsabilità dell'ente che, pur integrato quel nesso di carattere oggettivo tra reato ed ente, l'autore del reato abbia eluso fraudolentemente l'idoneo Modello di organizzazione e gestione adottato ed efficacemente attuato dall'ente medesimo''. Ne desume che, ``nei casi ordinari, le posizioni processuali di imputato ed ente, tratti simultaneamente a giudizio, sono in conflitto tra loro''.

    La questione rimane aperta, come si arguisce da queste pronunce:

    ``In relazione all'art. 25-septies D.Lgs. n. 231/2001, non è richiesta la prova liberatoria incentrata sulla elusione del modello fraudolento'', in quanto ``tale requisito non può essere stato pensato dal legislatore con riferimento alle fattispecie colpose, incompatibili con una deliberata elusione dei meccanismi di controllo posti dal modello organizzativo'' e ``in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità''.

    La Sez. IV premette che il D.Lgs. n. 231/2001, all'art. 5, ``distingue i soggetti apicali da coloro che a questi sono sottoposti''. Osserva che ``l'adozione e la efficace attuazione di un idoneo modello di organizzazione e gestione, unite alla elusione fraudolenta del medesimo, ha la funzione di dimostrare che, nonostante la compenetrazione tra operato dell'apicale ed ente, il reato commesso dal primo non è attribuibile al secondo'', là dove, ``per i soggetti sottoposti all'altrui direzione e controllo, il legislatore ha ritenuto non operante un tale meccanismo di trasposizione e pertanto ha individuato un diverso fattore di riconduzione del reato all'ente, rappresentato dalla violazione degli obblighi di direzione e di controllo facenti capo alla figura apicale''. Aggiunge che ``tale violazione ha la funzione di assicurare che il reato del sottoposto metta radici nella colpa di organizzazione dell'ente, tanto che ove sia stato adottato un idoneo modello di organizzazione e gestione e lo stesso sia stato anche efficacemente attuato, la violazione degli obblighi di controllo e di gestione perde la sua valenza indiziaria e degrada a fatto dell'apicale non espressivo della colpa di organizzazione dell'ente''. ``Ove si tratti di uno dei soggetti indicati dalla lettera a) dell'art. 5 del D.Lgs. n. 231/2001, l'adozione e la efficace attuazione di idoneo MOG non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, ancora occorrendo che esso sia stato fraudolentemente eluso. Nel caso di soggetto sottoposto, secondo la nozione ricavabile dall'art. 5, lettera b), del D.Lgs. n. 231/2001, l'adozione e l'efficace attuazione di idoneo MOG è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, anche quando il reato sia stato reso possibile dalla violazione degli obblighi di direzione e controllo gravanti sui soggetti apicali''.

    Al fine di agevolare le imprese nella elaborazione del MOG, l'art. 30, al comma 5, stabilisce che, ``in sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti'', e che ``agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati'' dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.

    ``Il modello organizzativo adottato, sebbene conforme alle norme BS OHSAS 18001:2007, non era stato efficacemente attuato, come richiesto dall'art. 6, comma, 1 lett. a), del D.Lgs. n. 231/2001: pur essendosi provveduto all'analisi dei rischi con riferimento all'impianto di verniciatura e, segnatamente, all'attività dei capi turno, l'istruzione operativa predisposta era incompleta rispetto alle modalità di ricerca e soluzione dei difetti sul nastro (l'attività, per l'appunto, che stava svolgendo la vittima nell'occorso). Inoltre, le istruzioni operative riguardavano altre figure professionali (addetto cabina verniciatura e addetto linea uscita verniciatura) e tutte le altre erano riferibili alla manipolazione e allo stoccaggio di prodotti e smalti vari per impianti di verniciatura. Era inoltre mancata un'attività di monitoraggio sulle misure prevenzionistiche già approntate in azienda e di adeguamento della specifica procedura ai rischi propri dell'attività di ricerca dei difetti sul nastro. Ulteriori addebiti erano stati segnalati dalla ASL, anche con riferimento alle attività di audit e ai ritardi nella redazione delle procedure per effettuare i controlli''.

    ``I modelli aziendali ISO UNI EN ISO 9001 non possono essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal D.Lgs. n. 231/2001, perché non contenevano l'individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell'ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale'', e ``il modello cd. `Deloitte' non solo è stato adottato, in ogni caso, in data successiva a quella di commissione dei reati presupposto, ma non conteneva, tra l'altro, né il codice di comportamento e le relative procedure, né il codice etico, né le procedure per la conoscenza dei modelli, né il sistema sanzionatorio''.

    Condannata per l'infortunio sul lavoro in danno di un dipendente addetto a una macchina stampatrice, la datrice di lavoro di una s.p.a. deduce che ``è al vertice di un'azienda con più di 100 dipendenti e si occupa principalmente dell'amministrazione, mentre tutte le attività inerenti la sicurezza e la manutenzione sono assegnate alla competenza delle varie funzioni aziendali sulla base del sistema di gestione della sicurezza certificato secondo lo standard internazionale BS OHSAS 18001:2007''. E sostiene che ``l'adozione di tale sistema di gestione della sicurezza costituisce presupposto per ritenere il modello organizzativo aziendale conforme e adeguato in materia di sicurezza e salute dei lavoratori (art. 30 D.Lgs. n. 81/2008), anche con riferimento al rispetto degli standard di manutenzione relativi ad attrezzature, impianti e luoghi di lavoro''. Peraltro, la Sez. IV annulla con rinvio la condanna per la diversa ragione che non viene dimostrato che ``il mancato funzionamento del microinterruttore sia una diretta conseguenza del cattivo stato di manutenzione della macchina''.

    (Il 12 marzo 2018 è stata pubblicata la ISO 45001:2018, destinata a sostituire il British Standard OHSAS 1801).

    Il MOG deve essere un documento, o - come si è talora azzardato da parte di imprese sprovviste di MOG - può essere adottato ed attuato di fatto? Ecco la risposta:

    ``Gli accorgimenti necessari a prevenire la commissione di alcuni reati vanno consacrati in un documento, un modello che individua i rischi e delinea la misure atte a contrastarli''. (Conformi Sezioni Unite 18 settembre 2014, n. 38343, e Cass. 8 luglio 2019, n. 29538).

    ``La composizione dell'organismo di vigilanza è essenziale perché il modello possa ritenersi efficacemente attuato. Esso deve essere dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo. Ciò significa che deve sempre essere garantita l'autonomia dell'iniziativa di controllo da ogni forma di interferenza o di condizionamento, come previsto dall'art. 6, lettera b, D.Lgs. n. 231/2001. Nella fattispecie tale autonomia difettava ed ha continuato a difettare, atteso che l'ingegnere componente dell'organismo in questione era succeduto all'imputato quale responsabile dell'area ecologica, ambiente e sicurezza, che si occupava di manutenzione degli impianti e di organizzazione del servizio di emergenza (due settori sui quali l'organismo di vigilanza era ed è chiamato a svolgere le sue funzioni). Pertanto, le verifiche avrebbero riguardato l'operato di un dirigente chiamato ad essere il giudice di se stesso e dotato di poteri disciplinari. L'accettazione di tale conflitto di interessi di cui si rese conto lo stesso ingegnere denota la propensione verso la configurazione del modello dell'organo di controllo in termini burocratici e di facciata e non di effettiva prevenzione dei reati. Il modello organizzativo non è stato mai efficacemente adottato, per via dell'inidoneità dell'ingegnere a svolgere il ruolo critico previsto dalla legge''.

    Di notevole interesse è un rilievo critico mosso dalla Sez. IV ai magistrati di merito da:

    La Sez. IV rimprovera ai magistrati di merito di aver attribuito ``all'organismo di vigilanza compiti incardinati nel sistema di gestione della sicurezza (dei macchinari aziendali) del tutto estranei ai compiti che l'art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 assegna a tale organismo, e, cioè, essenzialmente ai compiti di sorvegliare e verificare regolarmente la funzionalità e l'osservanza dei modelli organizzativi richiamati dallo stesso art. 6''.

    Trova, dunque, conferma la tesi - sostenuta dall'accusa già all'epoca del procedimento relativo alla ThyssenKrupp - che l'ODV non ha gli obblighi e i compiti attribuiti dalle norme ai diversi soggetti operanti nel settore della sicurezza del lavoro (in particolare, datore di lavoro, dirigenti, preposti, RSPP, medico competente), ma è chiamato a vigilare sull'adempimento di tali obblighi e compiti. Nessuna sovrapposizione, dunque, ma soggetti operanti su piani distinti.

    Note a piè di pagina
    116
    Comma aggiunto dall'art. 20, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 13 febbraio 2014.
    Comma aggiunto dall'art. 20, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 13 febbraio 2014.
    Fine capitolo
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