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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

    a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

    b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

    c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

    d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

    e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

    2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.

    3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4.68

    3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.69

    Giurisprudenza commentata

    Sommario: 1. Scelte aziendali di fondo e responsabilità del datore di lavoro - 2. I requisiti della delega - 3. Verifica caso per caso dei requisiti della delega - 4. La prova della delega - 5. Forma, data, pubblicità della delega e della sua accettazione - 6. Il pluridelegato - 7. La vigilanza sul delegato e il modello di organizzazione e di gestione - 8. Delegato non in grado di svolgere le funzioni delegate - 9. La specificità della delega - 10. Responsabilità del datore di lavoro non delegante - 11. Responsabilità del dirigente e del preposto non delegati - 12. La delega a soggetto esterno all'azienda - 13. La delega al lavoratore - 14. Incarico a un consulente esterno: profili di responsabilità del datore di lavoro e del consulente esterno - 15. Omissione di misure non indicate nel DVR e responsabilità del delegato - 16. La subdelega - 17. Datore di lavoro in carcere - 18. La delega all'RLS - 19. La delega della funzione di coadiuvare il datore di lavoro - 20. Il distinguo tra delega e nomina del RSPP - 21. Delega e presenza di direttore di stabilimento o direttore tecnico non delegato - 22. Il vigente modello legale di delega e il pregresso modello giurisprudenziale - 23. Il potere di sospensione della lavorazione insicura - 24. Omessa segnalazione da parte di delegato senza autonomia finanziaria - 25. Obbligo del delegato di segnalazione degli interventi al delegante - 26. Inammissibilità della delega dell'intera gestione aziendale - 27. Delegante e delegato imperfetti - 28. Contrasti interpretativi in tema di delega di funzioni - 29. Decadenza della delega rilasciata da precedente datore di lavoro - 30. Delega e nuovo stabilimento - 31. La delega a un ``quadro'' - 32. La delega sulle piste da sci - 33. Il distinguo tra designazione del datore di lavoro pubblico e delega di funzioni .

    Tra gli insegnamenti di maggior rilievo della Corte Suprema, fa spicco quello inerente all'indelegabilità delle scelte strategiche di fondo. V. in proposito, oltre a Cassazione penale n. 38004 del 7 agosto 2018 (sub art. 18, par. 2):

    ``Ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo''.

    ``Qualora la violazione antinfortunistica in concreto verificatasi rifletta il deficit organizzativo generale, dipendente dai processi decisionali e gestionali ai quali hanno aderito soggetti collocati a vari livelli, la presenza di ulteriori garanti non determina alcun effetto liberatorio in capo al datore di lavoro, rispetto alla relativa posizione di garanzia''.

    Spetta al datore di lavoro la ``predisposizione delle misure in termini di messa a disposizione di tali misure e di previsione economica nell'ambito della sua specifica posizione di datore di lavoro e di gestore delle risorse economiche dell'impresa anche in termini di ricerca e fornitura delle attrezzature e strumenti necessari per far sì che determinati lavori `rischiosi' si potessero svolgere in regime di sicurezza. È proprio il ruolo di datore di lavoro che entra in gioco, nel senso che questi - quale datore di lavoro - poteva delegare altro dirigente per gestire la sicurezza, restando però fermo che doveva essere il datore di lavoro a gestire economicamente l'aspetto della sicurezza in generale. E sulla gestione economica - a meno di una delega espressa anche su tale specifica materia - era solo il datore di lavoro che doveva provvedere, salvo a coinvolgere altri sulla gestione concreta della sicurezza previa messa a disposizione degli strumenti sotto l'aspetto della gestione economica dell'impresa''.

    ``Occorre distinguere tra deficienze inerenti all'ordinario funzionamento dell'apparato e difetti strutturali, atteso che per questi ultimi permane la responsabilità dei vertici aziendali Quest'ultima viene meno soltanto laddove l'evento lesivo costituisca frutto di occasionali disfunzioni, mentre nel caso in cui esso sia determinato da difetti strutturali permane la responsabilità del delegante''.

    ``Quanto all'assenza di responsabilità dell'imputato per aver delegato ad altri le funzioni in materia di sicurezza del lavoro occorre precisare che, anche nelle strutture più complesse, non sono delegabili le attività di valutazione dei rischi per la salute dei lavoratori ove essi si riconnettano a scelte di carattere generale di politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa attribuirsi al delegato della sicurezza''.

    ``In ossequio al principio per cui, al fine di assicurare un efficace sistema di tutela defla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la traslazione dei poteri deve essere presidiata con la previsione di regole formali e sostanziali, il legislatore ha previsto una serie di limiti e condizioni. Il trasferimento può avere ad oggetto un ambito definito e non l'intera gestione aziendale, ma in tale circoscritto territorio il ruolo del soggetto delegato deve essere caratterizzato da pienezza di poteri, in primo luogo di quelli di spesa. Il trasferimento dei poteri, inoltre, deve essere effettivo e non meramente cartolare''.

    Ritiene ``l'inefficacia del `mandato con rappresentanza' conferito al dirigente a trasferire il rischio sulla sua persona''.

    La Sez. III ha cura di evocare i sette requisiti di validità della delega di funzioni antinfortunistiche: ``1) requisito della certezza e della precisione (la delega cioè deve essere puntuale ed espressa); 2) requisito del consenso (nel senso che deve esserci l'accettazione della delega da parte del delegato, trattandosi di atto recettizio del quale occorre fornire la prova); 3) requisito della idoneità (il conferimento deve avvenire a favore di soggetto professionalmente idoneo e qualificato); 4) requisito dell'autonomia (il delegato deve godere di poteri decisionali e di organizzazione autonomi nel senso che deve esercitare non solo le funzioni ma, se del caso, anche i correlativi poteri decisionali e di spesa, dovendo la effettività dei poteri riverberare anche sotto il profilo economico); 5) requisito della giusta causa (dovendo il trasferimento delle funzioni essere giustificato in base alle esigenze organizzative dell'impresa); 6) requisito della specificità (dovendo la delega riferirsi alla esecuzione di atti specifici, rispetto ai quali al delegato è trasferita non la competenza, ma la legittimazione al compimento dei singoli atti rientranti nella competenza del delegante); 7) requisito dell'onere della prova, nel senso che l'esistenza della delega, e dei suoi contenuti, deve essere giudizialmente provata in modo certo''.

    Dove può destare perplessità il riferimento al requisito della giusta causa, evocato nella giurisprudenza del passato, ma non richiamato dal tassativo testo dell'art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. Quanto al requisito della idoneità, v.:

    La Sez. IV conferma la condanna di un datore di lavoro per infortunio sul lavoro ``per avere delegato, quale preposto alla sicurezza sul cantiere, un soggetto professionalmente inadeguato (neolaureato, privo di altre esperienze di lavoro, che non era tenuto neppure alla presenza quotidiana sul cantiere), per aver organizzato e ripartito il lavoro e le competenze in maniera negligente e poco trasparente, creando incertezza su chi fosse investito di fondamentali responsabilità prevenzionistiche, per non aver vigilato sull'adempimento dei compiti da parte del preposto alla sicurezza, il quale nell'ultimo periodo si occupava sempre meno persino di partecipare alle riunioni inerenti la sicurezza convocate dal coordinatore della sicurezza. L'art. 16, lett. b), del D.Lgs. n. 81/2008 subordina l'ammissibilità della delega di funzioni, da parte del datore di lavoro, alla condizione che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate''.

    Circa la specificità della delega:

    ``La delega conferita dal datore di lavoro era particolarmente ampia ed indeterminata, giacché non riferita a specifici settori del lavoro e, come tale, non idonea a dar luogo ad una successione del secondo nella posizione di garanzia del datore di lavoro''.

    Per quanto concerne i poteri di spesa del delegato, oltre a Cass. 26 settembre 2023 n. 38913 sopra riportata in questo paragrafo, del leggiamo:

    ``Nella disciplina dettata dall'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008, il conferimento del potere di spesa è requisito essenziale della delega di funzioni e deve essere adeguato in relazione alle necessità connesse allo svolgimento delle funzioni delegate''.

    Il fatto è che, tra i limiti e condizioni indicati dall'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008, fa spicco quello stabilito nella lettera d): ``che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate''. L'autonomia di spesa risulta, sì, indispensabile, però nella misura in cui sia ``necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate''. Non è da escludere, infatti, che la delega rilasciata dal datore di lavoro attribuisca al delegato funzioni che non richiedano impegni finanziari, ovvero funzioni che richiedano impegni finanziari, ma senza affidare al delegato l'autonomia di spesa. Nel qual caso la delega varrà a esimere da responsabilità il datore di lavoro e a coinvolgere nella responsabilità il delegato, a condizione che precisi i compiti comunque spettanti al delegato: quale, ad es., il compito di individuare le misure necessarie, e di segnalarne la necessità al datore di lavoro. Un punto, questo, nevralgico, che occorre cogliere attraverso i molteplici approfondimenti sviluppati dalla giurisprudenza:

    Il consigliere delegato di una s.p.a. condannato per l'infortunio subito da un lavoratore all'interno dell'area segregata di una macchina listellatrice, sostiene ``la validità della delega conferita ad altri, sia pure denominata formalmente procura speciale, che di fatto conferiva l'incarico relativo alla sicurezza della salute e sul lavoro, mediante l'elencazione di compiti specifici ed autonomia di spesa pari ad euro 170.000,00 riferibile sia alla materia ambientale che a quella della sicurezza sul lavoro''. La Sez. IV replica: ``Nel caso concreto, l'atto è intestato formalmente `procura speciale', ha un ambito squisitamente produttivo/organizzativo in favore del direttore di produzione-divisione pannelli e divisione colla, chiamato ad una personale responsabilità di gestione e manutenzione con riguardo ai processi tecnologici organizzativi e alle risorse umane. Al procuratore speciale era affidato il compito di porre in atto le politiche aziendali relative alla sicurezza predisposte dal consigliere delegato ponendo in essere una serie di attività esecutive, quali l'attività di monitoraggio, di osservazione, di vigilanza, segnalazione e suggerimento che sono palesemente di supporto al datore di lavoro che però non si spoglia delle proprie responsabilità. Mancava il requisito dell'autonomia decisionale e organizzativa del delegato il quale, invece, nel caso di specie poteva solo proporre interventi per il mantenimento e il miglioramento della sicurezza''.

    ``La delega di funzioni non comporta di per sé l'esclusione dell'obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul corretto svolgimento da parte del soggetto da lui delegato delle funzioni a lui affidate. E se è vero che tale vigilanza non può avere per oggetto la concreta minuta conformazione delle singole lavorazioni, è certo che riguarda un ambito più generale - tipico dei doveri gravanti sul datore di lavoro in quanto tale - consistente nella correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Con la conseguenza di una netta distinzione sul piano di principio tra l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e quello, parallelo e derivato, del delegato destinatario di compiti affidatigli in modo specifico dal datore di lavoro che certamente esonera quest'ultimo dal compito di vigilare di continuo sulle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni ma gli impone di vigilare sulla correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Sarebbe stato precipuo compito del datore di lavoro fornire le attrezzature adatte, bandendo quelle attrezzature obsolete o comunque non affidabili o inadatte (ancorché in buone condizioni), anche perché informato dal delegato alla sicurezza delle perplessità manifestate dai lavoratori ogni qualvolta non riuscivano ad avere a disposizione attrezzature adatte. Proprio la fornitura delle attrezzature adatte rientrava in quei compiti di gestione economica del rischio (e della sicurezza) incombente sul datore di lavoro e non delegabile se non anche con riferimento ai poteri di spesa. È il delegato a dover informare il datore di lavoro delle insicurezze connesse alla carenza sistematica di attrezzature o anche a carenze momentanee. Nella misura in cui il delegato non aveva quel potere economico, avrebbe dovuto informarne il datore di lavoro essendo esigibile quell'obbligo continuo di raccordo tra datore di lavoro e delegato che impone di intervenire congiuntamente laddove vengano segnalate criticità nella sicurezza''.

    ``Quanto alla concreta ed effettiva autonomia di spesa del delegato'', la Sez. IV prende atto ``di un mero obbligo in capo al delegato di segnalazione al delegante e al RSPP degli interventi importanti''. E osserva che ``detto `obbligo di segnalazione' è conforme al dettato normativo, in quanto costituisce il presupposto per l'espletamento del dovere di vigilanza del delegante sul delegato (e, sotto questo profilo, avrebbe potuto logicamente rappresentare un ulteriore elemento indicativo della effettività della delega in esame), mentre in maniera illogica è stato assimilato ad un (non riscontrato) `obbligo di preventiva autorizzazione' all'intervento''.

    Nel confermare la condanna del delegato alla sicurezza di una s.p.a. per l'infortunio occorso a una lavoratrice, la Sez. Fer. osserva: ``Irrilevante, al fine di escludere la responsabilità dell'imputato, risulta il richiamo alla qualifica di responsabile della sicurezza, in quanto proprio a tale figura professionale è demandato il controllo costante della sicurezza delle macchine, per effetto del miglioramento della tecnica, oltre che la formulazione di osservazioni concrete sugli inconvenienti derivanti dalla loro utilizzazione. Tale responsabilità potrebbe escludersi ove questi dimostri che, a fronte di una corretta segnalazione dei problemi, il datore di lavoro si sia astenuto dal provvedere, non potendosi imputare a tale figura professionale, ove priva di autonomia di spesa, il mancato adempimento, laddove è indiscusso che nella specie nessuna segnalazione sia intervenuta, circostanza che consente di ascrivere alla diretta responsabilità dell'imputato quanto verificatosi''.

    ``Il giudice di merito ritiene dimostrata la esistenza della delega, tuttavia sostiene che essa non possa esonerare da responsabilità il datore di lavoro. Le ragioni della inoperatività della delega sono affidate alla citazione di due precedenti massime di questa Corte, la prima riguardante il generale principio dell'affidamento, da contemperarsi, in materia di infortuni sul lavoro, con il principio della salvaguardia degli interessi del lavoratore (Sez. IV, n. 22622 del 29 aprile 2008); la seconda, riguardante il caso di delega conferita a personale qualificato net settore della manutenzione dei macchinari, in cui si afferma che il datore di lavoro non può essere mandato esente da responsabilità, pure in presenza di delega, ove si accerti una irregolarità originaria di macchinari dell'azienda, a cui egli avrebbe dovuto porre rimedio con opportuni mezzi di protezione fin dall'inizio del loro impiego. Il riferimento a tali pronunce non può ritenersi valido ed esaustivo: il giudice di merito, pur lasciando intendere che la delega rilasciata possedeva un carattere puramente formale, non spiega come sia giunto a tale convincimento, astenendosi dal prendere in considerazione qualunque aspetto significativo a questo fine: gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. La corte d'appello si è limitata ad una mera enunciazione di principi peraltro non aderenti alla problematica in esame - e mancando di approfondire aspetti rilevanti dell'istituto della delega, quali l'autonomia di spesa del delegato, le eventuali forme di ingerenza manifestate dal datore di lavoro nelle scelte effettuate dal delegato, la necessaria vigilanza da esercitarsi ad opera del delegante sull'attività del delegato. Sebbene la esistenza di una delega non escluda ipso facto la responsabilità del datore di lavoro con riferimento alte conseguenze dei rischi rientranti nel settore dell'attività delegata, è pur vero che essa può, ove sia rispettosa dei requisiti sopra evidenziati, da individuarsi caso per caso, essere fonte di esonero della responsabilità datoriale. Occorre pertanto verificare in concreto la esistenza di tali requisiti''.

    ``L'avvenuto conferimento della delega di funzioni - e del conseguente trasferimento ad altri soggetti degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro - grava su chi l'allega, trattandosi di una causa di esclusione di responsabilità''. (Conformi Cass. 19 giugno 2019 n. 27210; Cass. 25 settembre 2018 n. 41367).

    ``In assenza dell'allegazione al ricorso della delega avente le caratteristiche formali di cui all'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 - e quindi della maggiore o minore limitatezza delle competenze del dirigente in relazione agli acquisti di materiale ed attrezzature indispensabili all'adempimento dell'onere di sicurezza incombente sul datore di lavoro - impedisce di tratteggiare il contenuto concreto della distribuzione dei compiti nell'organizzazione dell'impresa, al fine di verificare se, identificato il rischio concretizzatosi, in relazione al contesto lavorativo ed alla sua complessità, anche tenendo in considerazione le dimensioni dell'impianto, esso fosse interamente afferente ai compiti ed ai poteri assegnati al dirigente''.

    L'art. 16, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 chiarisce finalmente che la delega deve risultare da ``atto scritto'', e in tal modo esclude la possibilità di provare per testi il trasferimento di funzioni da parte del datore di lavoro o comunque di presumere la sussistenza di una delega implicita anche in assenza di un atto scritto nell'ambito di un'azienda di notevoli dimensioni preventivamente suddivisa in distinti settori, rami, servizi, affidati a soggetti qualificati e dotati della necessaria autonomia:

    ``Non vi è stato alcun atto di delega, valido sotto il profilo dell'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, che richiama la forma scritta e la data certa della delega''. (Conforme Cass. 8 luglio 2019 n. 29545; Cass. 27 aprile 2019 n. 18414).

    ``La delega era stata rilasciata solo con una scrittura priva di elementi che consentissero di verificarne con certezza l'epoca del conferimento, quanto alla caducazione della precedente avendo lo stesso C.d.A. e, del resto, lo stesso imputato, riconosciuto il venir meno di essa una volta mutato l'organo di governo dell'ente (il primo proponendone il rinnovo, il secondo allegando l'esistenza di una nuova delega di tenore analogo). Trattasi di considerazioni del tutto idonee a fondare il giudizio avallato dall'inequivocabile tenore letterale dell'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 (che richiama la forma scritta e la data certa della delega)''.

    ``È stata esclusa la sussistenza della delega in materia di sicurezza, non essendo sussistente alcuno dei requisiti che l'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008 prevede per il valido conferimento della delega, primo fra tutti che essa risulti da atto scritto recante data certa, e fermo restando che la delega di funzioni, quand'anche esistesse, non escluderebbe l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite''.

    ``È stato sottolineato, nell'ottica dimostrativa della piena consapevolezza da parte del delegato del conferimento della procura speciale e dei poteri conferitigli, l'avvenuta pubblicità della procura speciale, sul rilievo che i poteri conferiti al delegato erano stati puntualmente riportati nel certificato di iscrizione della società alla camera di commercio''.

    Non sembra tener conto dell'art. 16, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008:

    ``Quanto alla forma, all'esito di una elaborazione giurisprudenziale formatasi nel corso degli anni, l'efficacia devolutiva della delega di funzioni è subordinata all'esistenza di un atto traslativo dei compiti connessi alla posizione di garanzia del titolare, che sia connotato dai requisiti della chiarezza e della certezza, i quali possono sussistere a prescindere dalla forma impiegata, non essendo richiesta per la sua validità la forma scritta né `ad substantiam' né `ad probationem'. Né è pertinente il richiamo alla forma scritta necessaria nel settore pubblico. La necessità di delega scritta è richiesta solo in campo amministrativo, in presenza di datore di lavoro ente pubblico, poiché sussiste l'esigenza di una formalizzazione dei rapporti giuridici all'esterno, situazione tutt'affatto diversa da quella in esame in cui se è ben vero che erano svolti lavori affidati con contratto di appalto per conto dell'ANAS, il datore di lavoro era una impresa privata''.

    Convincente è per contro:

    ``L'onere di formare, informare e controllare inerente gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, costituisce il contenuto della posizione di garanzia che l'ordinamento gli assegna a tutela della salute dei lavoratori e dei luoghi di lavoro e può essere oggetto solo ed esclusivamente di delega specifica, redatta per iscritto, ex art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardante un ambito ben definito, ad un soggetto dotato della necessaria professionalità ed esperienza e dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa e non può riguardare l'intera gestione aziendale. Non è dunque possibile investire alcuno con `delega di fatto' della veste di responsabile della sicurezza trasferendogli tutti gli obblighi proprii di colui che riveste la posizione di garanzia, né limitarsi a rimettere al suo estemporaneo apprezzamento del rischio l'adozione di cautele espressamente previste e rimaste inadempiute''.

    Appropriato al riguardo l'Interpello n. 7 del 2 novembre 2015: ``Perché la delega sia efficace è necessario che abbia tutte le caratteristiche previste dall'art. 16, quali la forma scritta , la certezza della data, il possesso da parte del delegato di tutti i gli elementi di professionalità ed esperienza richiesti dalla natura specifica delle funzioni delegate ed infine la possibilità da parte dello stesso delegato di disporre di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni a lui delegate. Tra le caratteristiche indicate nell'art. 16, comma 1, il legislatore ha espressamente previsto, alla lettera e) del decreto in parola, che la delega `sia accettata dal delegato per iscritto', elemento che la distingue dal conferimento di incarico, il che implica la possibilità di una non accettazione della stessa''. Conforme, quanto al settore della pubblica amministrazione, Interpello n. 11 dell'11 luglio 2014. In questo quadro, non mancano di sorprendere:

    ``Il giudice a quo ha evidenziato l'amplissima latitudine dei poteri conferiti al'imputato, con delega rilasciatagli dal datore di lavoro mediante atto notarile avente data certa ed iscritto nel registro delle imprese, pur senza espressa accettazione scritta. La Corte territoriale ha sottolineato come l'imputato avesse il potere di impegnare la società in atti rilevantissimi, senza alcun limite di valore, e come pertanto la posizione dell'imputato si configurasse come quella di uno dei titolari dell'azienda, poiché egli rappresentava sostanzialmente la società in ogni ambito. D'altronde - argomenta il giudice a quo - chi sia destinatario di poteri così ampi e sia altresì compartecipe della società che glieli conferisce è certamente consenziente, anche se formalmente non ha emesso un atto di accettazione, nonché pienamente coinvolto, in primo piano, nel relativo progetto lavorativo. La Corte territoriale ha, in particolare, posto in luce come la procura menzionasse espressamente il potere di sottoscrivere piani operativi di sicurezza e qualsiasi altro documento riguardante la sicurezza sui cantieri. Anche dalla deposizione del dipendente dell'impresa, emergeva che l'imputato era conosciuto come il titolare dell'impresa. Dalla comunicazione relativa ai lavori inoltrata dalla società al Comune si evinceva altresì che la società aveva designato come persona incaricata della stipula del contratto nonché come direttore tecnico l'imputato, che aveva assunto di fatto il ruolo di rappresentante dell'impresa appaltatrice nei confronti del Comune appaltante. Anche il soggetto che aveva ricevuto l'incarico di vigilare sulla sicurezza nel cantiere per il Comune aveva dichiarato che egli si rivolgeva e dava disposizioni al'imputato, che aveva altresì sottoscritto prima l'appalto con il Comune e poi i singoli verbali proprio sulla sicurezza sul cantiere''. (A meno che non si voglia ipotizzare un'applicazione del principio di effettività di cui all'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008).

    ``La sostanziale delega di funzioni datoriali che, di fatto, sarebbero state conferite, concretizzandosi in una causa di esclusione di responsabilità, andrebbe rigorosamente provata da chi la afferma''.

    E ancor più sorprende:

    ``In materia di violazione della normativa antinfortunistica, la sussistenza di una delega di funzioni idonea a mandare esente da responsabilità il datore di lavoro può essere desunta dalle dimensioni della struttura aziendale, ma, a tal fine, si richiede, non solo che si sia in presenza di un'organizzazione altamente complessa in senso proprio, ma anche che esista una comprovata ed appropriata strutturazione della gerarchia delle responsabilità al livello delle posizioni di vertice e di quelle esecutive; a ciò dovendosi comunque aggiungere che tale delega implicita non può esonerare da responsabilità per ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità dei datore di lavoro''.

    Il dipendente di una s.p.a. appaltatrice dei lavori di manutenzione degli impianti di una s.r.l., mentre percorreva una via interna allo stabilimento della committente, fu investito da una pala gommata condotta da dipendente di una s.n.c. appaltatrice di lavori di carico, scarico e movimentazione di prodotti. Tra i condannati per omicidio colposo, anche il titolare delle deleghe formali in materia di sicurezza e prevenzione nella s.r.l. committente, il quale ne ``riconosce l'impeccabilità formale'', ma lamenta ``l'inefficacia della delega nei propri confronti in considerazione dell'assenza di poteri effettivi, tenuto conto della molteplicità di incarichi attribuitigli anche relativamente ad altre imprese controllate dalla stessa s.r.l.'', con il risultato di ``renderlo un mero `capro espiatorio'''. La Sez. IV considera invece ``il conferimento di una pluralità di deleghe una circostanza del tutto irrilevante'', in quanto l'imputato, ``ove impossibilitato allo svolgimento contemporaneo di più incarichi, avrebbe potuto rifiutarli''. Sottolinea comunque ``altri dati indiziari'' quali ``l'alta professionalità dell'imputato e la sua presenza in cantiere al momento del fatto e del sopralluogo A.S.L.''. E aggiunge che ``il mancato esercizio di poteri regolarmente conferiti e, dunque, effettivi non esonera da responsabilità, costituendo, al contrario, una condotta inadempiente''.

    (Meno insensibile sul punto era apparsa in passato Cass. 11 aprile 2008, in ISL, 2008, 6, 366, ove la Sez. IV osservò che ``il delegato deve essere in grado di `supplire' efficacemente il datore di lavoro, e la sua designazione non può certo ridursi ad una figura simbolica'', il che ``comporta che il delegato non solo deve essere persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, ma deve anche essere in grado di garantire la sua presenza sul posto di lavoro, in quanto la mera competenza professionale è una dote inutile, se non accompagnata dalla possibilità concreta di formare e verificare l'operato dei dipendenti''. Negò che ``il delegato (possa) ricoprire l'incarico della posizione di garanzia spettante al datore di lavoro contemporaneamente in posti diversi dove vengono esercitate attività lavorative, qualora la posizione logistica dei cantieri non consenta un controllo efficace dell'osservanza delle norme antinfortunistiche''. E concluse che ``la efficacia della delega si evince non unicamente dall'esistenza di un atto scritto, ma soprattutto dal concreto esercizio dei poteri attribuiti al datore di lavoro e devoluti al delegato in materia di sicurezza, e cioè di conoscenza, di intervento, di coordinamento e di spesa, e tale principio è valido non solo per valutare il rilascio della delega, ma anche la sua revoca, o sospensione, venendo ovviamente in questo caso in rilievo le circostanze concrete opposte, quali possono essere l'attribuzione di un differente incarico, l'autorizza- zione a non frequentare più il cantiere per il quale è stata rilasciata la delega, l'incompatibilità tra il nuovo incarico e quello precedente''. A sua volta, invece, Cass. 21 aprile 2006, Lena, ibid., 2006, 6, 377, negò a un capo cantiere la possibilità di ``addurre a propria discolpa l'argomento secondo cui il numero e la dislocazione dei cantieri gli avrebbero impedito di seguire personalmente ogni fase dei lavori in corso'', in quanto ``l'argomento appare del tutto irrilevante posto che l'imputato, all'atto di accettare la delega, era perfettamente al corrente delle difficoltà che avrebbe dovuto incontrare, di guisa che egli avrebbe potuto rifiutare detta delega, ovvero pretendere una migliore organizzazione del lavoro che garantisse una più assidua presenza sui cantieri'').

    Mettendo la parola fine a sia pur sporadici dissensi giurisprudenziali (v., in partico- lare, Cass. 30 settembre 2002, Palandri, in ISL, 2002, 12, 694), l'art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 dispone che ``la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite'', e che ``l'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4'' (a questo secondo riguardo v., sub art. 30, il par. 2).

    ``La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. Da questo assetto deriva la necessità di verificare se, in quale misura e a quali condizioni tale distribuzione organizzativa di compiti possa incidere sull'individuazione del soggetto cui ascrivere, nell'ambito delle organizzazioni complesse, la responsabilità penale. Il problema consiste, in particolare, nel verificare se l'assegnazione ad altri di compiti fisiologicamente gravanti sul soggetto che riveste la posizione di garanzia all'interno della struttura possa sortire effetto sul meccanismo di individuazione delle responsabilità, comportandone la corretta e non patologica traslazione in capo al delegato. La delega di funzioni è lo strumento con il quale il datore di lavoro - unico soggetto a ciò titolato ex lege, mentre non sono legittimati a esercitare la delega il dirigente e il preposto - trasferisce i poteri e responsabilità per legge connessi al proprio ruolo ad altro soggetto. Quest'ultimo diventa garante a titolo derivativo, con conseguente riduzione e mutazione dei doveri facenti capo al soggetto delegante''.

    Nel corso dei lavori di scavo e realizzazione di una galleria affidati da un'agenzia regionale, un rilevante quantitativo di materiale lapideo si stacca dalla volta della galleria e precipita al suolo, cagionando la morte di un minatore-escavatorista dipendente di una s.p.a. facente parte dell'A.T.I. appaltatrice dei lavori. Oltre ad amministratori e dirigenti delle società componenti l'A.T.I., furono condannati per omicidio colposo tre geologi: uno direttamente designato dalla Direzione Lavori e due collaboratori di uno studio incaricato dalla A.T.I., ma con compiti complessivamente affini. Nel confermare anche la condanna dei geologi, la Sez. IV segnala, anzitutto, ``le diverse tipologie di sostegno nella fase esecutiva dei lavori: la sezione CM1, che comporta l'utilizzo delle centine metalliche, e che risulta di maggiore complessità esecutiva ma offre altresì maggiore sicurezza; e la sezione B, di più semplice esecuzione, che comporta l'esecuzione di una chiodatura a quinconce con chiodi di tipo swellex''. Osserva che ``i rilievi eseguiti dai geologi, del tutto esenti da critiche ed affatto corretti, convergevano nel delineare una situazione di progressivo peggioramento dell'ammasso roccioso (confermativa delle valutazioni preliminari) man mano che si procedeva verso l'imbocco e, in specie, nell'approssimarsi all'area ove avvenne il cedimento del blocco di roccia''. Precisa che ``non possono limitarsi i compiti e le responsabilità dei geologi a mere rilevazioni sullo stato della roccia, essendo per converso gli stessi tenuti a segnalare anche l'adeguatezza delle soluzioni tecniche prescelte e della loro corretta messa in atto in rapporto ai risultati progressivi delle rilevazioni''. Ne trae conferma dalla ``circostanza che essi avessero eseguito, complessivamente, quasi 100 rilievi nel corso degli scavi, fornendo anche indicazioni sulla sezione idonea a seconda dei risultati delle rilevazioni nell'area di scavo''. Rileva che ``non vi erano solo meri compiti di indicazione dello stato della roccia nell'evolversi degli scavi, ma specifici compiti di consulenza e di individuazione delle soluzioni operative più adeguate in relazione all'area di scavo di volta in volta interessata''. Ne desume che ``non può certo parlarsi dell'assenza di obblighi di garanzia in capo ai suddetti geologi''. Ritiene corretto l'addebito ai geologi ``di avere omesso di valutare con la necessaria accuratezza, e di portare all'attenzione dei vertici di cantiere per le conseguenti determinazioni, la necessità di riesaminare la scelta che essi stessi avevano invece sostenuto - di procedere con l'adozione della sezione B, anziché con la sezione CM1, la cui adozione sarebbe stata necessaria nel caso di specie ai fini della sicurezza del luogo di lavoro e della protezione dei lavoratori da eventi del tipo di quello verificatosi''. Aggiunge che ``gli stessi geologi - in forza dell'incarico loro conferito, della loro condizione di esperti e della loro frequente presenza in cantiere - erano pure nelle condizioni tecniche di segnalare un'altra vistosa lacuna, nella corretta adozione della sezione prescelta (la B), ossia la mancata applicazione dello spritz-beton di seconda fase, eventualità risultata tutt'altro che episodica e sicuramente constatata anche nel tratto di galleria ove si verificò l'incidente, proprio in relazione al fatto che i frequenti rilievi eseguiti dai geologi comportavano la loro ricorrente presenza in cantiere e, con essa, l'agevole possibilità di constatare le carenze esecutive riferite anche alla più semplice, e meno sicura, sezione B''. Conclude che, ``ove i geologi avessero fornito indicazioni puntuali e adeguate alle condizioni dell'ammasso roccioso circa le soluzioni tecniche da adottare in relazione al peggioramento del disturbo tettonico, nonché circa la corretta attuazione delle stesse, eventi del tipo di quello occorso, con ragionevole probabilità logica, non si sarebbero verificati'', e che ``l'evento effettivamente verificatosi rientra(va) tra quelli che la regola cautelare disattesa dai geologi di tipo tecnico, dunque di stretta pertinenza di soggetti provvisti delle necessarie conoscenze geologiche circa la pericolosità delle condizioni dello scavo nel suo progredire, mirava a prevenire''.

    ``Il delegante non può essere chiamato a rispondere delle inadempienze del delegato circa la mancata fornitura o il mancato utilizzo di attrezzature, la cui necessità di acquisto o il cui controllo di effettivo utilizzo potrebbero non esser neppure noti al delegante, il quale potrebbe sinanco non avere le qualità tecniche per avvedersene, incombendo su di lui solo il dovere di nominare persona qualificata per professionalità ed esperienza, cui conferire i relativi poteri operativi e di spesa, e quello di un generale obbligo di vigiliare sull'esecuzione dei compiti delegati''.

    Al centro di questa sentenza la questione attinente ``all'individuazione del contenuto dell'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza dei dipendenti all'interno di strutture complesse, come una s.p.a. multinazionale organizzata su una pluralità di stabilimenti, e, in particolare, dei limiti di efficacia attribuibili alla delega conferita dal datore di lavoro ai fini della esenzione del medesimo da responsabilità''. La Sez. III ammette che ``la delega di funzioni, come disciplinata dall'art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite''. Ma subito avverte che, ``in caso di delega, la vigilanza richiesta al datore di lavoro non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni che la legge affida al garante concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, con la conseguenza che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni''. Sostiene che, ``ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo''. Aggiunge poi che ``i commi 3 e 3-bis dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 ``prevedono, rispettivamente, uno specifico limite alla responsabilità del datore di lavoro, `in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4', e la possibilità di una subdelega di funzioni in materia di salute e sicurezza a terzi da parte del soggetto delegato dal datore di lavoro''. Precisa che ``l'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, a sua volta, dispone che `il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate'', e che ``il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico'''. Desume ``da queste disposizioni un quadro di ripartizione della responsabilità aziendale in ordine al controllo dei rischi che tiene conto anche delle esigenze connesse alla complessità della struttura organizzativa''. Conclude che, ``in imprese di grandissime dimensioni, organizzate in più stabilimenti, il `datore di lavoro' risponde delle violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che discendono dalle scelte gestionali di fondo ovvero dalla inadeguatezza ed inefficacia del modello di controllo, anche in considerazione delle necessità di adattamento di questo nel tempo a fronte di apprezzabili sopravvenienze''. Nota ancora che ``l'adeguatezza e l'efficacia del modello di controllo deve essere verificata in considerazione della sua specificità rispetto all'ambiente lavorativo interessato, ma non può essere esclusa solo perché si è verificato un incidente'': sia perché ``una soluzione che valorizzi in termini decisivi il fatto della verificazione di un infortunio implica l'adozione di forme di responsabilità oggettiva'', sia perché l'art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, richiede `il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo' solo `quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico', e, quindi, solo in occasione di sopravvenienze, appunto `significative'''. Con la conseguenza che ``la verifica in ordine ad adeguatezza ed efficacia del modello di controllo, ai fini dell'esonero della responsabilità del `datore di lavoro' delegante, deve essere compiuta ex ante, alla luce di tutti gli elementi conoscibili al momento della predisposizione del modello''.

    ``La delega di funzioni non comporta di per sé l'esclusione dell'obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul corretto svolgimento da parte del soggetto da lui delegato delle funzioni a lui affidate. E se è vero che tale vigilanza non può avere per oggetto la concreta minuta conformazione delle singole lavorazioni, è certo che riguarda un ambito più generale - tipico dei doveri gravanti sul datore di lavoro in quanto tale - consistente nella correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Con la conseguenza di una netta distinzione sul piano di principio tra l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e quello, parallelo e derivato, del delegato destinatario di compiti affidatigli in modo specifico dal datore di lavoro che certamente esonera quest'ultimo dal compito di vigilare di continuo sulle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni ma gli impone di vigilare sulla correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Sarebbe stato precipuo compito del datore di lavoro fornire le attrezzature adatte, bandendo quelle attrezzature obsolete o comunque non affidabili o inadatte (ancorché in buone condizioni), anche perché informato dal delegato alla sicurezza delle perplessità manifestate dai lavoratori ogni qualvolta non riuscivano ad avere a disposizione attrezzature adatte. Proprio la fornitura delle attrezzature adatte rientrava in quei compiti di gestione economica del rischio (e della sicurezza) incombente sul datore di lavoro e non delegabile se non anche con riferimento ai poteri di spesa. È il delegato a dover informare il datore di lavoro delle insicurezze connesse alla carenza sistematica di attrezzature o anche a carenze momentanee. Nella misura in cui il delegato non aveva quel potere economico, avrebbe dovuto informarne il datore di lavoro essendo esigibile quell'obbligo continuo di raccordo tra datore di lavoro e delegato che impone di intervenire congiuntamente laddove vengano segnalate criticità nella sicurezza''.

    ``L'obbligo in capo al delegato di segnalazione al delegante e al RSPP degli interventi importanti è conforme al dettato normativo, in quanto costituisce il presupposto per l'espletamento del dovere di vigilanza del delegante sul delegato''.

    ``La giurisprudenza di questa Corte, sin da quando ha ammesso che in materia prevenzionistica possono validamente trasferirsi ad altro soggetto gli obblighi dato- riali non individuati dalla legge quali indelegabili, ha affermato l'esistenza di un persistente obbligo di vigilanza del delegante sull'operato del delegato. Tale ricostruzione, in quanto recepita dall'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008, è assurta a proposizione del diritto positivo. La più recente elaborazione della regola iuris appena ricordata ha anche individuato i contenuti dell'obbligo di vigilanza, chiarendo che detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavora- zioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. L'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. La sentenza impugnata ha fatto buon governo di siffatti principi, non essendo dubita- bile che il verificarsi del primo sinistro qualche mese prima di quello subito dalla lavoratrice rappresentava un evento significativo per l'organizzazione aziendale. In questo quadro, il monitoraggio degli infortuni, in specie quelli determinanti lesioni gravi, rappresenta una premessa ineludibile per l'adempimento degli obblighi prevenzionistici (al di là degli scopi per i quali è stato istituito, con D.M. 12 settembre 1958, il cd. registro degli infortuni [ora abolito dal D.Lgs. n. 151/2015, art. 21, comma 4]). Di conseguenza, è da escludersi che, in presenza di infortunio, la pretesa che il delegante accerti quali siano state le cause del sinistro onde verificare se nell'operato del delegato siano ravvisabili elementi per i quali riconsiderare l'an o il quo modo della delega implichi il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. In tal caso l'adempimento dell'obbligo di vigilanza importa un'azione di acquisizione e di elaborazione dei dati che, lungi dallo svuotare di efficacia lo strumento della delega (ormai pacificamente inteso come funzionale all'attingimento di più elevati livelli di sicurezza del lavoro), ne ribadisce e garantisce l'adeguatezza allo scopo''. (Per uno spunto, nel senso che ``controllo, vigilanza, possono essere anche non cosi impegnativi, qualora il datore di lavoro disponga di dati concreti dai quali desumere la serietà antinfortunistica dei lavoratori'' v. Cass. 21 agosto 2013, n. 35292).

    La lezione del precedente infortunio torna in:

    Condannato per l'infortunio a una mano occorso a una dipendente intenta a completare la pulitura di una calzatura con uno straccio imbevuto di solvente ed entrata in contatto con l'albero rotante di una macchina spazzolatrice, il presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l. esercente la produzione di calzature sostiene in particolare a propria discolpa che ``la lavoratrice era consapevole dei rischi proprio perché, appena dieci giorni prima, aveva avuto un piccolo incidente ed era stata ripresa per l'utilizzo dello straccio''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV rileva come ``del tutto non condivisibile appare l'assunto che la lavoratrice doveva essere edotta del rischio a causa dell'incidente avvenuto dieci giorni prima''. E spiega che ``detto piccolo incidente costituisce piuttosto un aggravamento della responsabilità del datore di lavoro che, proprio in ragione di tale precedente, doveva vietare l'utilizzo di stracci in prossimità della macchina''. (V. anche Cass. n. 20129 del 16 maggio 2016, sub art. 28, al paragrafo 7, con riguardo ad ``analoghi incidenti e incendi, sia pure di minore portata, verificatisi in passato'').

    ``La non integrale dotazione di poteri in capo al soggetto chiamato a svolgere ruolo di garanzia per certo non ne fa venir meno la funzione, il ruolo, e, quindi, la penale responsabilità, ma, semmai, non libera dalla garanzia il delegante''.

    Condannato per più violazioni antinfortunistiche, un dirigente comunale delegato dal sindaco lamenta che ``la delega conferitagli in materia antinfortunistica e di sicurezza sul lavoro, non poteva ritenersi pienamente valida e produttiva di effetti giuridici, perché non accompagnata dall'effettiva assegnazione, da parte del delegante, dei fondi necessari per l'espletamento delle funzioni delegate''. La Sez. III replica che, ``se anche fossero vere le circostanze dedotte nell'atto di gravame, non per questo verrebbe meno la responsabilità del delegato''. Spiega che ``l'invalidità della delega - in base al principio di effettività - impedisce che il delegante possa essere esonerato da responsabilità, ma non esclude la responsabilità del delegato che, di fatto, abbia svolto le funzioni delegate'', e che, ``in realtà il delegato che ritenga di non essere stato posto in grado di svolgere le funzioni delegate (ovvero non si ritenga in grado di svolgere adeguatamente quelle funzioni) deve chiedere al delegante di porlo in grado di svolgerle e, in caso di rifiuto o mancato adempimento, rifiutare il conferimento della delega''.

    Il caso è quello di un infortunio accaduto alla dipendente di un supermercato colpita a un occhio dallo schizzo di un prodotto detergente corrosivo usato per la pulizia di un forno girarrosto. Condannato per il delitto di lesione personale colposa (con l'addebito di non aver informato la dipendente circa le caratteristiche pericolose del prodotto, di non averla dotata di occhiali protettivi e di non aver previsto presidi o vasche lava-occhi di primo soccorso in prossimità del posto di lavoro), il direttore della filiale lamenta l'invalidità della delega rilasciatagli, in quanto ``non sarebbero state accertate le sue qualità tecnico-professionali, la sua accettazione della delega e la facoltà di impegnare la spesa in nome e per conto dell'azienda''. La Sez. IV ribatte che, ``se anche fossero vere le circostanze dedotte, non per questo verrebbe meno la responsabilità del delegato'', in quanto ``l'invalidità della delega impedisce che il delegante possa essere esonerato da responsabilità, ma non esclude la responsabilità del delegato che, di fatto, abbia svolto le funzioni delegate, e ciò in base al principio di effettività''. E impartisce un illuminante insegnamento ai soggetti delegati: ``il delegato che ritenga di non essere stato posto in grado di svolgere le funzioni delegate - o, a maggior ragione, non si ritenga in grado di svolgere adeguatamente queste funzioni - deve chiedere al delegante di porlo in grado di svolgerle e, in caso di rifiuto o mancato adempimento, rifiutare il conferimento della delega''.

    Di per sé può destare perplessità:

    ``La esistenza del limite di spesa di cui disponeva il delegato non risulta argomento valido per la esclusione della sua responsabilità. Non risulta acclarato con certezza che la modifica del macchinario avrebbe comportato una spesa superiore al budget di cui disponeva l'imputato e che pur volendo ammettere che il valore della modifica avrebbe comportato un esborso di circa 1500-2000 euro, tale differenza non si discostava considerevolmente dal tetto di spesa di cui disponeva l'imputato''.

    Tra i requisiti della delega tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza v'è quello della specificità. Ecco come ne parla la Corte Suprema:

    ``La delega di funzioni prevenzionistiche richiede per la sua efficacia - in primo luogo nei confronti del delegante - la ricorrenza dei requisiti esplicitamente elencati dall'art. 16 (tra i quali va rinvenuto anche quello della specificità dell'oggetto)''.

    ``La delega appare largamente vacua, a causa del sommario e inconferente riferimento, in quanto privo di specificità, alle più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione con poteri decisionali e di spesa [quali?]''.

    ``Seguire il cantiere non può ritenersi delega espressa (al di là della forma scritta, che un cospicuo filone giurisprudenziale pretendeva già prima dell'entrata in vigore dell'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008 come necessaria almeno a fini di prova) dal contenuto certo, perché con tale espressione si fa riferimento all'organizzazione del cantiere''.

    ``Nel caso di specie, la delega rilasciata dall'imputato nei confronti del direttore di cantiere era con tutta evidenza una delega di carattere generale riferita in via esclusiva all'obiettivo della migliore conduzione dell'attività produttiva; obiettivo, quest'ultimo, tale da assorbire in sé anche la gestione di compiti in tema di sicurezza, in tal senso genericamente contemplati, nel quadro di detta delega, al solo fine di rendere possibile quella preminente finalità di efficienza produttiva. Tale delega deve ritenersi conseguentemente tale da non prevedere alcuno specifico trasferimento di poteri e responsabilità in tema di sicurezza suscettibile di escludere la posizione di garanzia del datore di lavoro: trasferimento di poteri certamente non surrogabile dalla richiamata possibilità di `impartire istruzioni dettagliate' e di vigilare sulla loro osservanza, riferendosi, tali prerogative, non già in modo certo e specifico all'ambito della sicurezza, bensì genericamente al ruolo del direttore tecnico di cantiere e alle relative funzioni di generale sovrintendente dell'attività produttiva''.

    Inidonea, pertanto, è da considerarsi la non infrequente delega a rappresentante davanti alle autorità giudiziarie e agli organi di vigilanza:

    L'amministrato delegato di una s.r.l. -imputato di lesioni personali colpose per l'infortunio occorso a un dipendente adibito all'uso di una macchina senza l'impiego dei necessari dispositivi di protezione- deduce a propria discolpa ``l'innegabile incapacità del dipendente infortunato ad esprimersi e capire la lingua italiana'', e sostiene che ``all'interno della s.r.l. il preposto alla sicurezza ed al rispetto della normativa antinfortunistica sul luogo di lavoro era altra persona in forza di delega conferita nell'assemblea ordinaria della società'' e che tale persona ``non era un semplice preposto alla sicurezza ma è, altresì co-amministratore della s.r.l., e, quindi, pienamente coinvolto nei processi decisionali di destinazione delle risorse aziendali''. La Sez. IV prende atto che ``il delegato era stato semplicemente nominato quale rappresentante della società innanzi alle autorità giudiziarie e agli enti e organi preposti all'esercizio delle funzioni di controllo e vigilanza per la sicurezza sul lavoro, per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per la protezione''. Osserva che ``tale atto di nomina era privo di data certa e non attribuiva al delegato quell'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate ed era quindi sprovvisto dei requisiti prescritti dall'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008''. Aggiunge che ``tale delega non era idonea ad escludere, in capo al datore di lavoro, l'obbligo di vigilanza sul corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite'', e che ``il datore di lavoro era giustamente individuato, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008 proprio nell'imputato, il quale era peraltro anche socio lavorante con incarichi attinenti alla produzione e proprio per questo a diretto contatto con le maestranze e, dunque, aveva comunque l'obbligo di impedire, a prescindere da qualsiasi delega di funzioni, comportamenti scorretti e pericolosi dei lavoratori dei quali fosse venuto a conoscenza e, così, anche condotte del tipo di quelle poste in essere dalla persona offesa alle quali aveva più volte assistito''.

    Da sempre la Suprema Corte usa sottolineare che, in caso di mancata delega degli obblighi antinfortunistici, il datore di lavoro - primo destinatario di tali obblighi - è penalmente responsabile in caso di violazione degli obblighi medesimi. Solo che ultimamente non mancano sentenze di segno opposto; v., a proposito dell'obbligo di vigilanza sui lavoratori, sub art. 18, par. 5).

    Significative comunque:

    Nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia. Inoltre, indipendentemente dalla esistenza o meno della figura del preposto - la cui specifica competenza è quella di controllare l'ortodossia antinfortunistica dell'esecuzione delle prestazioni lavorative per rapporto all'organizzazione dei dispositivi di sicurezza - il datore di lavoro risponde dell'evento dannoso laddove si accerti che egli abbia omesso di rendere disponibili nell'azienda i predetti dispositivi di sicurezza. Egli, peraltro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro. Peraltro, in ordine alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti nelle organizzazioni complesse, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere sì trasferiti (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa''. (La sentenza è riportata più ampiamente sub art. 2, par. 8, lettera C).

    La responsabilità penale del rappresentante legale dell's.p.a., ``in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche''. (Conforme Cass. 7 giugno 2018, n. 25133).

    ``La posizione di garanzia del datore di lavoro può venire meno, in presenza di altre figure professionali deputate all'osservanza delle misure poste a salvaguardia della sicurezza sul lavoro, solamente in caso di valida, rigorosa e rituale delega di funzioni, configurandosi altrimenti mero concorso di colpe fra il datore di lavoro e gli altri soggetti''.

    ``Gli obblighi di cui è titolare il datore di lavoro ben possono essere trasferiti ad altri sulla base di una delega, purché espressa, inequivoca e certa, ma tale delega, tuttavia, laddove rilasciata a soggetto privo di una particolare competenza in materia antinfortunistica e non accompagnata dalla dotazione del medesimo di mezzi finanziari idonei a consentirgli di fare fronte in piena autonomia alle esigenze di prevenzione degli infortuni, non è sufficiente a sollevare il datore di lavoro dai propri obblighi in materia e a liberarlo dalla responsabilità per l'infortunio conseguito alla mancata predisposizione dei necessari presidi di sicurezza. Il principio di cui sopra è stato ribadito da questa Corte di legittimità anche in casi di società di notevoli dimensioni laddove è stata ritenuta sussistente la responsabilità del legale rappresentante di una società di notevoli dimensioni, in assenza di una delega di funzioni certa e specifica ed in assenza di una documentazione attestante una organizzazione del lavoro nell'ambito dell'azienda con specifica suddivisione dei ruoli in ragione della quale sia demandata ad altro soggetto in via esclusiva la predisposizione delle misure di prevenzione e il relativo controllo sulla concreta applicazione delle misure antinfortunistiche. Destinatario della normativa antinfortunistica in una impresa strutturata come persona giuridica è il suo legale rappresentante, quale persona fisica attraverso cui l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive; ne consegue che la responsabilità penale del predetto, ad eccezione delle ipotesi di valida delega, deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche''.

    Prescinde, invece, dal conferimento di un'apposita delega:

    ``Data la pacifica posizione dell'imputata quale datrice di lavoro in una struttura complessa, il tribunale ne ha fatto derivare -sic et simpliciter- la specifica responsabilità per l'uso di una leva non adatta''.

    Interrogativo: il dirigente, il preposto, sono penalmente responsabili in materia di sicurezza del lavoro, a condizione che abbiano ricevuto una delega o a prescindere dal conferimento di una delega da parte del datore di lavoro? Questa la risposta della Corte Suprema (v. pure Cass. 26 febbraio 2016, n. 7903; Cass. 13 settembre 2013, n. 37762):

    ``Il direttore generale di una struttura aziendale è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni. Ciò in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti''.

    ``Il fondamento della responsabilità penale del dirigente e direttore dello stabilimento non risiedeva nella delega di funzioni fatta allo stesso dal datore di lavoro, in quanto detta delega, non prevedendo espressamente alcuna autonomia di spesa in capo al dirigente e direttore dello stabilimento con specifico riferimento agli impegni finanziari relativi alla predisposizione dei mezzi di sicurezza e prevenzione, non poteva considerarsi valido presupposto per radicare in capo al direttore generale l'obbligo penalmente sanzionato di attivarsi al fine di approntare le adeguate misure di sicurezza. Al dirigente aziendale spetta iure proprio l'obbligo penale di apprestare le idonee misure di sicurezza, a prescindere dalla delega di funzioni (la cui finalità è essenzialmente quella di escludere, per le funzioni delegate, la responsabilità penale del datore di lavoro); come si desume dallo stesso tenore dell'art. 18 D.Lgs. n. 81/2008 che fa specifico riferimento agli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, evidenziando per l'appunto la fonte iure proprio dell'obbligo del dirigente''.

    ``Non è conforme agli indirizzi giurisprudenziali la tesi dell'imputato secondo cui la posizione di garanzia in ordine alla normativa antinfortunistica sorgerebbe - pur rivestendosi la qualifica dirigenziale - solo in presenza di espressa e formale delega. Il dirigente, in base alla legge, si colloca in un livello di responsabilità intermedio tra datore di lavoro e preposto ed è chiamato ad attuare le direttive datoriali, nonché chiamato a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale. Se può affermarsi che tale ruolo si svolge nell'ambito dei poteri gestionali conferiti, è comunque acquisito che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore tecnico è certamente destinatario dell'obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro''.

    ``In materia di prevenzione degli incidenti sul lavoro, il `capo cantiere', anche in assenza di una formale delega in materia di sicurezza sul lavoro, è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le norme antinfortunistiche: egli perciò assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operari, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione, e risponde perciò degli infortuni occorsi ai dipendenti''. (Nella specie si trattava del responsabile di cantiere in virtù di contratto di consulenza; v. anche Cass. 31 maggio 2016, n. 22837).

    L'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008 non richiede che il soggetto delegato sia un dipendente dell'azienda. Resta, quindi, valido l'insegnamento giurisprudenziale al riguardo:

    ``Non vi è alcun impedimento normativo che il datore di lavoro possa delegare una persona esterna all'azienda le sue funzioni in materia di prevenzione e sicu- rezza''.

    ``Il datore di lavoro può legittimamente ricorrere alla delega conferendola a soggetti esterni all'impresa''.

    ``Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore per assenza o inidoneità delle misure di sicurezza senza che sia possibile, in tali ipotesi, attribuire efficienza causale esclusiva alla condotta del lavoratore medesimo in ragione della posizione di garanzia che il datore di lavoro assume nei confronti dei lavoratori. Pur ammettendo che fosse stato il lavoratore a suggerire l'utilizzo delle attrezzature inadeguate, sarebbe stato preciso obbligo del datore di lavoro quello di verificare con gli operai il montaggio della struttura, il rispetto delle chiare prescrizioni stabilite nel libretto di istruzioni e la concreta possibilità di ancoraggio, essendo tenuto il datore di lavoro a non abdicare agli obblighi normativamente previsti a suo carico e a non disinteressarsi del lavoro da svolgere e delle modalità con le quali i lavora- tori Io avrebbero svolto. Si è ravvisato nella condotta dell'imputato una delega al lavoratore dei compiti suoi propri, con corretto governo sia del principio affermato da questa Corte, secondo il quale, in materia di norme di prevenzione antinfortunistica, pur potendo l'imprenditore delegare altra persona capace e idonea per l'adozione e l'osservanza delle misure di sicurezza, giammai la persona delegata può essere lo stesso lavoratore, beneficiario della tutela, sia della disciplina normativa secondo la quale, in ogni caso, la valutazione dei rischi nella scelta delle attrezzature di lavoro costituisce oggetto di un obbligo del datore di lavoro non delegabile a terzi (ora l'art. 17, D.Lgs. n. 81/2008 prevede che non sia delegabile la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nella scelta delle attrezzature di lavoro)''.

    ``Secondo la tesi difensiva, alla persona offesa sarebbe stata delegata l'osservanza delle norme a tutela della sua salute, sicché alla stessa dovrebbe imputarsi la responsabilità per l'infortunio patito. Trattasi di una tesi contraria alla ratio legis, la quale non prevede che l'attuazione degli obblighi in materia di sicurezza nell'ambiente di lavoro sia delegabile al lavoratore, non potendosi in capo a quest'ultimo riconoscersi al contempo la qualità di debitore e creditore dei doveri di sicurezza a garanzia della salute di sé medesimo''.

    ``Il conferimento di una specifica attività di consulenza nel settore della sicurezza, pur non operando in termini di delega di funzioni, implica l'accertamento della sussistenza della concreta possibilità dell'agente di uniformarsi alla regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato''. Ciò premesso, la Sez. IV sostiene la necessità di ``valutare l'eventuale influenza della detta attività di consulenza in ordine al giudizio sull'esigibilità del comportamento dovuto, indispensabile per fondare uno specifico rimprovero per un atteggiamento antidoveroso della volontà''. Rileva che ``tale valutazione deve considerare tanto la professionalità del consulente e, quindi, la sua effettiva esperienza e specializzazione nel settore, quanto l'ampiezza e la specificità dell'oggetto della consulenza e, quindi, l'eventuale particolare complessità della scelta degli specifici idonei dispositivi di protezione, onde poter dedurre la conoscenza o la conoscibilità di questi ultimi da parte del datore di lavoro, eventualmente anche a seguito di specifica interlocuzione con il consulente (in ipotesi, per il tramite del RSPP)''. Soggiunge che, ``diversamente opinando, si porrebbe in capo al datore di lavoro una inaccettabile responsabilità penale «di posizione», tale da sconfinare in responsabilità oggettiva, in luogo di una invece fondata sull'esigibilità del comportamento dovuto''. Afferma ``il principio di diritto per cui in tema di infortuni sul lavoro, il conferimento da parte del datore di lavoro di una effettiva e specifica attività di consulenza nel settore della sicurezza, a soggetto con esperienza e specializzazione in esso, volta a integrare il bagaglio di conoscenze al fine precipuo di raggiungerne il livello adeguato alla gestione dello specifico rischio, implica la verifica dell'ampiezza e della specificità dell'oggetto della consulenza e, quindi, dell'eventuale particolare complessità della scelta degli specifici idonei dispositivi di protezione onde poter dedurre la conoscenza o la conoscibilità di questi ultimi da parte del datore di lavoro''. Con riguardo al caso di specie, prende atto che ``la sentenza impugnata ha correttamente escluso la sussistenza di una valida delega di funzioni in materia di sicurezza in ragione del mero conferimento di attività di consulenza, nel detto settore, a una società, ma non ha accertato la sussistenza della concreta possibilità dell'agente di uniformarsi alla regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato''. E rimprovera al giudice di merito di aver ``omesso ogni valutazione circa l'effettività della consulenza, la professionalità del consulente e, quindi, in merito alla sua esperienza e specializzazione nel settore, oltre che in ordine all'ampiezza e alla specificità dell'oggetto della consulenza in considerazione dell'eventuale particolare complessità della scelta degli specifici guanti idonei a gestire il rischio di taglio, onde poter muovere un giudizio in termini di rimproverabilità soggettiva del datore di lavoro''.

    Tre dipendenti di una s.r.l. produttrice di acciai speciali s'infortunano nel reparto fonderia, due mortalmente, colpiti da una massa di circa 270 Kg di acciaio allo stato liquido fuoriuscita da una macchina centrifuga. Due gli imputati in cooperazione colposa con il datore di lavoro, giudicato separatamente. Anzitutto, un libero professionista esterno all'azienda (perito industriale specialista in prevenzione antinfortunistica), legato al datore di lavoro da un contratto d'opera intellettuale, per colpa consistita nel ``non aver adeguatamente coadiuvato il datore di lavoro nella valutazione globale di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori presenti nell'ambito del luogo di lavoro, e nella successiva elaborazione del relativo documento'', e, in particolare, per ``non aver valutato i rischi derivanti dalla messa in servizio e dalle modalità di impiego dell'attrezzatura in questione, malgrado fosse stata autoprodotta e messa in servizio già da alcuni anni, senza un documento progettuale e senza la previa attestazione da parte del costruttore della sua conformità ai requisiti essenziali di sicurezza e di salute, con dichiarazione CE ed apposizione di marcatura di conformità CE, come imposto dal regolamento `macchine', ciò nonostante si trattasse di attrezzatura estremamente pericolosa, generante il gravissimo rischio meccanico di proiezione a distanza di metallo fuso, causato da un'errata concezione del sistema di bloccaggio della flangia, per essere le spine coniche sottodimensionate rispetto alla importante pressione della massa di metallo sulla copertura''.

    Secondo imputato: un consulente esterno all'azienda, legato al datore di lavoro da un contratto d'opera intellettuale, per colpa consistita nel ``non aver adeguatamente coadiuvato il datore di lavoro nella elaborazione dell'attestazione della conformità CE del macchinario in questione ai requisiti essenziali di sicurezza e salute e nella elaborazione del manuale d'uso e manutenzione del medesimo''.

    Con riguardo al perito industriale specialista in prevenzione antinfortunistica, la Sez. IV sottolinea la mancanza di elementi specifici idonei a farlo ``considerare, in luogo di un semplice consulente esterno, un vero e proprio titolare, di fatto, di una specifica posizione di garanzia'', una ``longa manus del datore di lavoro'', e a far ``ritenere che la posizione di consulente esterno, ai fini della valutazione dei rischi aziendali, imponesse al medesimo non soltanto di coadiuvare il datore di lavoro nell'attività finalizzata alla redazione del documento di valutazione dei rischi - il cui obbligo, va qui ribadito, ricade interamente sul datore di lavoro - ma anche di entrare nel dettaglio delle caratteristiche progettuali della macchina centrifuga, con specifico onere di revisionare l'intero progetto al fine di valutarne le eventuali falle in termini di sicurezza''. Considera ``del tutto inaccettabile e vuota di significato l'affermazione secondo cui l'inserimento di un qualsiasi soggetto nella valutazione dei rischi del ciclo industriale non lo esenta da corresponsabilità''. Spiega che ``avvalersi di consulenti non implica necessariamente il trasferimento degli obblighi di protezione dal datore di lavoro ai soggetti esterni all'azienda''. Aggiunge che i magistrati di merito, ``del tutto contraddittoriamente, pur riconoscendo che all'imputato non risulta attribuita alcuna delega in materia di sicurezza'', desumono ``la sua posizione di `garante di fatto' sulla base di `una consulenza, sia pure generalizzata''`, in relazione alla messa in sicurezza delle macchine'', e ribatte che ``di tale `consulenza generalizzata', non è dato alcun contenuto effettivo e specifico'', che ``non si ha contezza degli esatti compiti contrattualmente attribuiti al consulente, in assenza di una pattuizione espressa fra le parti''. Ammette che ``un consulente esterno possa essere chiamato a rispondere di eventuali comportamenti colposi che abbiano contribuito, in cooperazione colposa ex art. 113 c.p. con le figure principali destinatarie degli obblighi prevenzionistici in materia di infortuni sul lavoro all'aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento''. Cita in proposito Cass. 18 ottobre 2013 n. 43083 (per vero, non attinente a consulenti esterni, bensì all'amministratore unico di una società proprietaria di una stalla e al socio amministratore di una società subaffittuaria della stalla). E comunque richiede che ``una simile condotta di cooperazione colposa sia correttamente analizzata e specificamente individuata sulla base di un ragionamento probatorio che dia adeguato conto, al di là di ogni ragionevole dubbio, della sua esistenza e riconducibilità al prevenuto in termini di prevedibilità e prevenibilità dell'evento''.

    Anche con riguardo al secondo consulente esterno, la Sez. IV osserva come non ``sia dato comprendere quali sarebbero stati gli esatti obblighi a suo carico a tutela dei lavoratori derivanti dalla attività di consulenza prestata in favore del datore di lavoro''. Prende atto che ``il suo ruolo era stato quello di predisporre la documentazione tecnica che afferisce alla macchina centrifuga in relazione al processo di certificazione di qualità della stessa per l'ottenimento del certificato di qualità EN ISO'', ``quindi un'attività di consulenza rivolta essenzialmente al mantenimento e miglioramento dei sistemi di qualità, attività affatto diversa rispetto alla consulenza o alla collaborazione in materia di sicurezza per i lavoratori''. Rimprovera ai magistrati di merito di aver ``completamente ribaltato tale prospettiva, inserendo l'attività dell'imputato del tutto apoditticamente in un più generale processo di `messa a norma' del macchinario avvenuto, con singolare rovesciamento dei tempi fisiologici di vita della macchina, in epoca successiva alla messa in funzione del macchinario medesimo''. Si duole che all'imputato ``viene attribuito uno specifico ruolo di controllo e di verifica della sicurezza del macchinario che non è dato evincere da alcun elemento specifico'', e che ``la responsabilità del consulente viene desunta, per lo più, da generiche affermazioni che attengono, più correttamente, alla posizione di responsabilità del datore di lavoro in materia di sicurezza, salvo ricondurre apoditticamente anche ai consulenti del medesimo una posizione di corresponsabilità che, però, è affermata in maniera astratta e non è sorretta da dati concreti, idonei a fondare in maniera congrua e logica, oltre che corretta in diritto, l'asserita corresponsabilità del consulente esterno''. Osserva che la responsabilità dell'imputato è stata ricavata ``dalla sua posizione di consulente esterno chiamato dal datore di lavoro ad occuparsi dei profili di certificazione di qualità del macchinario, profili che, in quanto in qualche modo connessi con la problematica della sicurezza e pericolosità del macchinario, imporrebbero anche al consulente, così come al datore di lavoro, di salvaguardare i lavoratori da tutti i possibili pericoli e rischi derivanti dall'utilizzo del macchinario medesimo''. Ritiene che si tratti ``di un'argomentazione che, oltre ad essere assolutamente generica ed apparente, contiene chiari errori in diritto, non potendo ricavarsi da un soggetto esterno all'azienda, che collabori con il datore di lavoro in ordine alla redazione di documentazione tecnica diretta a regolarizzare, in senso lato, il macchinario in questione, una automatica posizione di garanzia in materia antinfortunistica che si aggiunge a quella specifica del datore di lavoro''. Ritiene non spiegato adeguatamente in che modo l'imputato ``avrebbe potuto prevedere un rischio riconducibile ad un difetto di progettazione della macchina, tanto più che egli si era limitato a predisporre documentazione tecnica per fini completamente diversi rispetto a quelli riconducibili alla prevenzione dei rischi specifici del macchinario in questione'', e, dunque, non spiegato ``il nesso esistente fra l'incarico all'imputato di predisporre la documentazione tecnica per l'ottenimento della marcatura CE, e la possibilità da parte del medesimo, attraverso il detto incarico, di avere contezza dell'asserito difetto delle spine coniche di fissaggio, riguardante la sicurezza della centrifuga in termini progettuali''.

    Una cittadina cinese titolare di una ditta - condannata per più contravvenzioni antinfortunistiche - che ``aveva fatto affidamento negli atti che avrebbe dovuto predisporre il proprio consulente e, ritenendo che il consulente avesse ottemperato agli obblighi di legge, ciò ha determinato un errore sul fatto che costituisce il reato, con la conseguenza che la punibilità sarebbe esclusa ai sensi dell'art. 47, ultimo comma, c.p. per errore su una legge diversa dalla legge penale''. La Sez. III replica: ``A tutto voler concedere circa l'astratta ravvisabilità di un'errata o insufficiente preparazione tecnico-legale dell'imputata, i fatti-reato sono puniti a titolo contravvenzionale e dunque postulano la mera coscienza e volontà della condotta che è stata ampiamente ravvisata sul rilievo che l'imputata, accettando il ruolo e le funzioni di titolare di una ditta commerciale operante nel territorio dello Stato, non poteva non essere edotta degli oneri e prescrizioni derivanti da espresse previsioni di legge. Nei reati contravvenzionali, la buona fede dell'agente tale da escludere l'elemento soggettivo non può essere invocata da chi, deducendo di aver fatto affidamento sull'opera di un terzo, riveste tuttavia la qualifica soggettiva richiesta per la realizzazione del fatto di reato, incombendo sul soggetto qualificato obblighi di accertamento personali il cui mancato espletamento integra l'elemento soggettivo dell'illecito quanto meno sotto l'aspetto della colpa generica per negligenza''.

    ``Il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza''.

    L'amministratore delegato e il direttore generale di una s.p.a. furono condannati per il reato di lesioni colpose in danno di tre dipendenti impiegate nell'attività di cottura di pasti destinati alla refezione scolastica e ustionate da un getto di calore proveniente dall'acqua in ebollizione in un macchinario in pressione.

    Con riferimento al datore di lavoro, la Sez. IV rammenta che ``il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni''. D'accordo con la corte d'appello, nota come ``il fatto che il datore di lavoro, per operare correttamente tale valutazione, si avvalga di un tecnico esperto nella materia non ne esclude la responsabilità in caso di omissioni o errori, rimanendo egli titolare della funzione fondamentale di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, la quale presuppone, come requisito indispensabile, che i rischi ivi presenti siano in primo luogo esaustivamente e specificamente individuati, al fine di poter poi prevedere le idonee misure precauzionali''.

    ``Il DVR, redatto da una società specializzata, è stato sottoscritto anche dal legale rappresentante di una s.r.l. in qualità di responsabile per la sicurezza. Né l'odierno imputato può invocare l'insussistenza dell'elemento soggettivo, posto che il DVR è stato da lui stesso sottoscritto anche in qualità di responsabile per la sicurezza. Egli, dunque, lungi dall'appellarsi ad una incolpevole estraneità riguardo alle carenze del documento in questione, ha fatto proprio, in considerazione della qualifica rivestita e della sottoscrizione del documento, il contenuto del DVR, delle cui carenze è certamente chiamato a rispondere''.

    ``Quanto all'affidamento del datore di lavoro al DVR elaborato da terzi'', la Sez. IV afferma, ``in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Igs. n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori''.

    ``II dipendente di una fattoria, alla guida di un trattore al quale era attaccato l'attrezzo denominato `raccoglisarmenti', cadde con il mezzo d'opera in un dirupo durante una manovra eseguita in prossimità del ciglio dello stesso e rimase schiacciato dal trattore''. Oltre al datore di lavoro (che peraltro patteggiò), fu imputato di lesioni personali colpose il consulente esterno in materia di sicurezza sul lavoro del datore di lavoro, poiché ``aveva predisposto un documento di valutazione dei rischi incompleto, generico e superficiale, avendo omesso in particolare di analizzare i rischi connessi all'uso del veicolo con il quale era avvenuto l'infortunio in quello specifico ambiente lavorativo nel quale l'evento si era prodotto e di segnalare la necessità dell'adeguamento del veicolo alla vigente normativa, dotandolo di dispositivo anti- ribaltamento e di cinture di sicurezza''. A sua discolpa, l'imputato deduce che ``la posizione di garanzia in relazione al verificarsi di un evento che si assume connesso con la presunta carenza del documento di valutazione dei rischi afferisce esclusiva- mente al datore di lavoro e non è estensibile al consulente che abbia collaborato per la redazione del documento''. Asserisce che ``il consulente esterno del datore di lavoro rientra tra i soggetti [contemplati attualmente nell'art. 31, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, e prima nell'art. 8, comma 4, del D.Lgs. n. 626/1994], il quale prevede che il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne all'azienda in possesso delle conoscenze professionali per integrare l'azione di prevenzione e protezione, ferma restando la designazione del responsabile del servizio di prevenzione protezione''. Aggiunge che, ``se è vero che il responsabile di quest'ultimo servizio opera per conto del datore di lavoro e che solo a questi compete l'obbligo di effettuare la valutazione del rischio e di elaborare il documento, tanto vale a maggior ragione per il semplice consulente esterno''. E ancora lamenta che ``l'opera del consulente è condizionata dai dati conoscitivi offerti dal datore di lavoro'', mentre ``nel caso di specie le informazioni fornite dal datore di lavoro al consulente indicavano che il trattore in questione non era adoperato per le lavorazioni agricole nella fattoria in cui avvenne l'infortunio ma era confinato in altra fattoria''. Né egli doveva ``verificare personalmente tali informazioni'', in quanto ``tale obbligo non è previsto normativamente''. Infine, sottolinea che il documento di valutazione dei rischi era stato redatto quasi tre anni prima dell'infortunio: ``poiché il documento di valutazione dei rischi rappresenta una fotografia del rischio esistente in un determinato momento storico ed è esclusivo obbligo del datore di lavoro aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute della sicurezza del lavoro, con il connesso obbligo di rielaborare la valutazione ed il documento in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza della salute, è il datore di lavoro a non aver ottemperato agli obblighi ed è l'omesso aggiornamento della valutazione dei rischi ad aver avuto l'efficienza causale rispetto all'evento''; e ``l'infortunio fu determinato in via esclusiva dalla decisione del datore di lavoro di utilizzare il mezzo su un terreno diverso rispetto a quello conosciuto dall'imputato, esponendo il lavoratore ad un'attività pericolosa senza aver adeguato alla suddetta lavorazione l'originario documento di valutazione dei rischi''. La Sez. IV osserva: ``Con tranquillizzante consonanza di voci, tanto la dottrina che la giurisprudenza di legittimità ritengono che una posizione di garanzia - presupposto essenziale ancorché non esclusivo dell'imputazione di un evento illecito in forza della regola della `causalità equivalente' di cui all'art. 40 cpv. c.p. - possa essere costituita oltre che dalla legge e più in generale da fonti di diritto pubblico, anche dal contratto. L'assunzione di una posizione di garanzia può derivare anche dallo svolgimento di attività intrinsecamente pericolose, tali essendo non solo quelle così identificate dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì ogni attività che per sua stessa natura o per le caratteristiche di esercizio comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno. L'imputato assunse su base contrattuale - ancorché priva di forma scritta - il compito di collaborare con il datore di lavoro nell'attività di risk assessment che esita nella redazione del documento di valutazione dei rischi. Ciò non è in alcun modo in contrasto con la circostanza dell'essere il datore di lavoro unico soggetto gravato dall'obbligo di provvedere agli adempimenti prescritti in tema di valutazione dei rischi. Questi reca l'intera responsabilità per l'inosservanza dell'obbligo ed è il soggetto attivo di un reato proprio, qual è quello definito dal combinato disposto, al tempo del fatto, dagli artt. 4 e 89, D.Lgs. n. 626/1994 ed oggi dagli artt. 17, comma 1, lett. a) e 55, D.Lgs. n. 81/2008. Ove la violazione della prescrizione cautelare rappresenti il nucleo di una condotta produttiva di un evento illecito, colui che cooperi con propria condotta agevolatrice alla produzione dell'evento è chiamato a risponderne in forza della previsione dell'art. 113 c.p.; e se il suo apporto è di natura omissiva, le condizioni dell'imputazione del fatto anche al cooperante si rinvengono nel combinato disposto dagli artt. 40 cpv. e 113 c.p. La cornice normativa appena evocata è esattamente quella nella quale viene collocata l'attribuzione della responsabilità per un avvenuto infortunio al responsabile del servizio di prevenzione e protezione che abbia offerto o mancato di offrire `per colpa' - ovvero per negligenza, imprudenza, imperizia o violando positive regole cautelari - al datore di lavoro un contributo nella elaborazione della valutazione dei rischi, quando dalle deficienze di questa imputabili al cooperatore sia derivato, secondo un rapporto di connessione eziologica, l'infortunio. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (SS.UU., 18 settembre 2014, P.M., R.C., Espenhahn e altri, in ISL, 2014, 11, 552)''. L'esclusiva competenza del datore di lavoro a elaborare la valutazione dei rischi e a redigere il relativo documento non può condurlo ad esenzioni da responsabilità ma non si oppone all'inclusione di altri nel cono del rimprovero penale. L'imputato aveva assunto in forza di contratto di consulenza il compito di svolgere attività di supporto tecnico all'adempimento dovuto dal datore di lavoro dell'obbligo di valutazione dei rischi lavorativi, e assumendo il compito di collaborare nel risk assessment, si è fatto co-gestore del rischio determinato dalle attività dell'impresa, sia pure limitatamente alla fase della valutazione dei rischi specifici connessi alle diverse lavorazioni e componenti del processo produttivo. Il datore di lavoro, quale dominus dell'organizzazione aziendale, è depositario di tutte le informazioni influenti sulla valutazione dei rischi, e mentre talune devono essere necessariamente veicolate al consulente perché questi ne possa avere conoscenza, altre sono agevolmente reperibili da questo solo che il rapporto di consulenza abbia una sua dimensione reale. In ogni caso, è erroneo far derivare dalla previsione dell'art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 e oggi dell'art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 l'insussistenza dell'obbligo del consulente nella valutazione dei rischi (sia esso RSPP o esperto estraneo all'organigramma aziendale) di acquisire le informazioni necessarie al corretto assolvimento del suo compito, che in prima istanza consiste nella `individuazione dei fattori di rischio sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale'. Nel caso di specie, l'imputato effettuò una visita presso le varie sedi dell'azienda, venendo così a conoscere dell'unitarietà della gestione pur a fronte delle diverse intestazioni; che egli esaminò il trattore, già allora obsoleto e non dotato di essenziali ed obbligatori dispositivi di sicurezza quali il rollbar e le cinture di sicurezza, e ciò nonostante lo indicò come `in buone condizioni', senza evidenziare che non era idoneo all'utilizzo su qualsiasi tipo di terreno''. E ne desume ``il pertinente bagaglio informativo in possesso dell'imputato''.

    Il direttore generale di una s.p.a. fu condannato per un infortunio mortale addebitatogli per ``l'omissione della valutazione e gestione dei rischi, anche interferenziali, connessi alle lavorazioni interne a un cantiere navale, e per l'omessa adozione e regolamentazione delle misure organizzative destinate alla minimizzazione di detti rischi'', con la conseguenza che ``un lavoratore, nel ruotare il braccio di sol- levamento della gru che stava manovrando, andava a collidere con una scala di accesso alla nave in costruzione posta nelle immediate vicinanze, sulla quale si trovava altro lavoratore, il quale, per effetto del cedimento della scala, cadeva nel vuoto perdendo la vita a causa del violento impatto con il suolo''. A sua discolpa, sostiene che si era ``avvalso, al fine di far fronte alla complessa gestione dei problemi della sicurezza del cantiere navale, della collaborazione del responsabile del servizio sicurezza, prevenzione e protezione, nonché di un consulente esterno specializzato in materia, i quali avevano trascurato di evidenziargli i pericoli con- nessi all'istallazione della ridetta scala e ai problemi di interferenza con l'attività della gru posta nelle immediate vicinanze del cantiere di costruzione della nave''. La Sez. IV conferma la condanna: ``L'imputato era generalmente riconosciuto co- me l'organo di vertice per tutte le problematiche inerenti la materia della sicurezza e della prevenzione degli infortuni sul lavoro; attività che esercitava mediante una continuativa presenza in azienda e all'interno del cantiere. Tali circostanze, inoltre, hanno trovato una conferma documentale nella documentazione concernente il c.d. `piano di sicurezza e igiene' direttamente approvato dall'imputato e contenente la valutazione dei rischi e le prescrizioni in materia di sicurezza e di prevenzioni degli infortuni sul lavoro relative alle varie attività svolte all'interno del cantiere. In capo all'imputato gravava l'obbligo di valutare in via preventiva tutti i rischi correlati alle lavorazioni all'interno del cantiere, con particolare riferimento ai rischi correlati al posizionamento della gru all'interno del bacino galleggiante, adottando tutte le opportune soluzioni affinché l'area di azione della stessa non interferisse con i luoghi di lavoro e con le relative vie d'accesso. Allo stesso imputato, inoltre, spettava l'assolvimento dell'obbligo preventivo di adottare adeguate misure tecniche volte ad assicurare l'utilizzo della gru esclusivamente da parte di personale qualificato. Il lavoratore, pur non essendo in possesso di detta qualità, era stato adibito alla manovra della gru, non solo al momento del fatto oggetto dell'odierno processo, ma anche in altre occasioni, sì da divenire una `prassi tollerata' all'in- terno del cantiere. (Evidente è) l'assoluta irrilevanza del coinvolgimento di un consulente esterno (o di eventuali altri soggetti) nella gestione della materia antinfortunistica, non valendo detta collaborazione accessoria a esonerare l'imputa- to, quale responsabile aziendale per la sicurezza, dal dovere di vigilare sui luoghi di lavoro, segnatamente in presenza di situazioni di pericolo agevolmente percepibili e di fatto facilmente rimediabili''.

    ``Al datore di lavoro si è ascritto di aver omesso di controllare, in deroga ad un preciso obbligo strettamente connesso alla posizione di garanzia rivestita, a nulla rilevando che né il collaboratore esterno, né la lavoratrice, mai gli avessero segna- lato disfunzioni dei macchinari e dell'attività produttiva in genere, anche mediante lo strumento della delega, il rispetto delle disposizioni antinfortunistiche dallo stesso impartite nel documento di valutazione dei rischi e nello svolgimento dell'attività formativa dei lavoratori, in relazione al divieto di funzionamento del macchinario, privo del carter di protezione''.

    Nell'esaminare la procura rilasciata dal datore di lavoro, la Sez. IV pone in luce ``la non riconducibilità della procura rilasciata all'istituto della delega di cui all'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008, sostanziandosi essa nel conferimento di un incarico di consulenza esterna per l'organizzazione di un piano operativo degli adempimenti conseguenti al D.Lgs. n. 626/1994, dunque privo di quei caratteri che solo consentono un trasferimento di funzioni dal datore di lavoro al delegato, con conseguente esonero del primo dalle responsabilità inerenti la sua posizione di garanzia nella materia di adozione delle misure di prevenzione''.

    ``La nomina del consulente, senza, però, che allo stesso siano stati effettivamente conferiti i poteri necessari per ritenere la sussistenza di una delega, non elude la responsabilità del datore di lavoro''.

    Il caso è quello di un infortunio accaduto alla dipendente di un supermercato colpita a un occhio dallo schizzo di un prodotto detergente corrosivo usato per la pulizia di un forno girarrosto. Condannato per il delitto di lesione personale colposa (con l'addebito di non aver informato la dipendente circa le caratteristiche pericolose del prodotto, di non averla dotata di occhiali protettivi e di non aver previsto presidi o vasche lavaocchi di primo soccorso in prossimità del posto di lavoro), il direttore della filiale a propria discolpa quanto alla mancata predisposizione di una cassetta di pronto soccorso, ``che ciò avrebbe richiesto una previsione espressa nel documento di valutazione dei rischi e ciò costituisce un compito non delegabile del datore di lavoro''. Ineccepibile la replica della Sez. IV: ``la mancata previsione di un rischio nel documento di valutazione dei rischi non consente di omettere di approntare i mezzi di protezione necessari previsti dalla legge nel caso si verifichi una situazione che ne richieda l'utilizzo''. (In argomento v. sub art. 28, par. 13).

    Finalmente, l'art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008 - introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009 - ha dedicato alla subdelega un'apposita disciplina. Di grande interesse, con riguardo all'obbligo del delegato sub-delegante di vigilare sull'operato del sub- delegato (esplicitamente evocato dall'art. 16, comma 3-bis, secondo periodo, D.Lgs. n. 81/2008), sono:

    ``Fino alla novella n. 106 del 3 agosto 2009, che ha modificato l'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 (delega di funzioni) introducendo il comma 3 bis, non era prevista la possibilità della sub-delega''.

    ``L'imputato, giusta procura rilasciatagli dall'amministratore delegato, rivestiva presso lo stabilimento la qualifica di dirigente, e, in quanto tale, all'epoca dell'infortunio, aveva la piena responsabilità dell'unità produttiva ed era munito dei poteri decisionali e di spesa (come risultava dal contenuto della stessa procura), che gli avrebbero certamente consentito di intervenire per rimuovere le situazioni di rischio e comunque di segnalare ai vertici societari le situazioni di criticità e di sospendere la movimentazione manuale dei carri in presenza di un rischio così elevato per l'incolumità dei lavoratori. Egli non era esonerato da responsabilità neppure per effetto della delega in materia infortunistica che aveva conferito ad altri, sia perché detta delega non risultava essere stata accettata; sia perché, comunque, l'imputato non aveva esercitato quel potere di vigilanza e controllo che gli era proprio. L'imputato, recandosi quale direttore presso lo stabilimento in occasione delle visite periodiche, nell'affidarsi totalmente all'operato di altri, si era personalmente disinteressato degli aspetti attinenti alla sicurezza dei lavoratori, così venendo meno agli obblighi su di lui incombenti (sulla base degli artt. 2, lett. d), e 18 D.gs. n. 81/2008), dai quali avrebbe potuto essere sollevato soltanto rifiutando il conferimento dell'incarico, dimettendosi o comunque rinunciando alla qualità da cui derivavano gli obblighi medesimi. Egli aveva conservato, in virtù del ruolo apicale rivestito, la qualità di garante della sicurezza, pur in presenza della delega a sua volta conferita in materia antinfortunistica con procura speciale a X (che veniva designato come responsabile del sito, con attribuzione della qualifica di datore di lavoro). L'imputato aveva completamente abdicato al suo ruolo, disinteressandosi di qualunque aspetto attinente alla sicurezza dei lavoratori: egli, infatti, nonostante la intervenuta delega da parte dell'amministratore delegato, aveva a sua volta delegato altri ad occuparsi di ogni questione concernente l'igiene e la sicurezza, senza farsi carico di verificare (in occasione della presa di possesso dell'incarico di direttore operativo, né, in seguito, durante le visite periodiche in stabilimento), di vigilare che le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro fossero effettivamente assicurate e che il delegato fosse persona capace di espletare in modo efficace l'incarico e di esercitare correttamente i poteri conferitigli. Ciò non doveva essere avvenuto, posto che il rischio correlato alla manovra di traslazione dei carri, previsto (nel documento di valutazione dei rischi, sia pure genericamente) e ripetutamente segnalato anche dagli operatori, era stato negligentemente sottovalutato e non era stata adottata alcuna misura idonea ad evitarlo''.

    Condannato per lesione personale colposa in danno di un lavoratore distaccato e infortunatosi presso altra azienda, il datore di lavoro distaccatario lamenta, in parti- colare, che ``l'evento si è determinato per una serie di circostanze negative e imprevedibili, quali il fatto che egli fosse ristretto in carcere'' e ``il fatto che il responsabile del servizio che aveva la delega fosse in malattia''.

    La Sez. IV replica che ``la dinamica dell'infortunio aveva dimostrato che lo stesso era stato determinato, da un lato, dalla complessiva inidoneità della postazione sulla quale fu chiamato ad operare il lavoratore, dall'altro dalla impreparazione tecnica dello stesso, che svolgeva originariamente mansioni di autista e non aveva mai ricevuto una formazione professionale quale addetto al caricamento dei cassonetti dell'immondizia sul camion compattatore, e dalla sua conseguente incapacità di affrontare il pericolo derivante dalla inidoneità del camion compattatore in uso quel giorno che era munito di pedane posteriori per l'alloggiamento dei due addetti al caricamento dei cassonetti prive di adeguati presidi anticaduta''. Considera ``irrilevante la circostanza che l'imputato si trovasse in carcere, in quanto egli avrebbe dovuto procedere alla sua sostituzione con un atto formale di delega accettato dal delegato, atto, che, invece, non risultava essere stato fatto e che solo avrebbe potuto esonerarlo dalla piena responsabilità rispetto alla sicurezza e alla salute degli operai che lavoravano con lui con criteri di subordinazione''. E ritiene altrettanto ``irrilevante che la persona che avrebbe dovuto sostituirlo si trovasse in malattia, circostanza che era chiaramente conosciuta dall'imputato, dal momento che quella persona si trovava in malattia in seguito ad un infortunio sin da due mesi prima dell'arresto dell'imputato''.

    La Sez. IV conferma la condanna di una datrice di lavoro per l'infortunio mortale subito in cantiere da un lavoratore, e, in particolare, in accordo con i magistrati di merito, sottolinea che il soggetto ``designato quale responsabile del cantiere non avrebbe comunque potuto essere destinatario di una delega di funzioni in materia antinfortunistica, atteso che costui era stato nominato rappresentante del lavoratori''.

    ``Se è vero che vi era un formale atto di delega per la sicurezza regolarmente accettato dal soggetto designato a tal fine, è anche vero che, ai fini dell'identificazione della persona responsabile, nell'ambito di un'impresa in cui la ripartizione delle funzioni è imposta dall'organizzazione aziendale, occorre accertare l'effettiva situazione di responsabilità all'interno delle posizioni di vertice per individuare i soggetti titolari dell'obbligo di garanzia, che può prescindere da un atto formale di delega. Nel caso di specie, si è esclusa l'operatività dell'esonero di responsabilità dell'imputato, attesa la specifica funzione, attribuita al delegato, di `coadiuvare' il datore di lavoro nella realizzazione di misure preventive e protettive: e certamente il coadiuvare, vale a dire il `prestare la propria opera di collaborazione' implica il mantenimento da parte del datore di lavoro della sua originaria posizione di garanzia''.

    ``La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. La designazione del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare, non equivale a delega di funzioni, utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica e quindi non gli consente di trasferire allo stesso la posizione di garanzia che egli ordinariamente assume ex lege nei confronti dei lavoratori e che lo obbliga a prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. La designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l'istituto della delega di funzioni di cui all'art. 16 del Dlgs. 81/2008 e non può quindi assumerne la medesima rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità''. (Conforme con riguardo al caso della Costa Concordia, Cass. 19 luglio 2017 n. 35585: ``in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione e informazione dei dipendenti''. (Conformi, per tutte, Cass. 15 maggio 2019, n. 20821; Cass. 18 marzo 2019, n. 11685; Cass. 24 agosto 2018, n. 38905; Cass. 31 gennaio 2018, n. 4621; Cass. 2 gennaio 2018, n. 13; Cass. 11 luglio 2017, n. 33758).

    ``Il principio del cumulo delle responsabilità in capo ai rappresentanti della componente datoriale non trova applicazione nel caso di esistenza di una delega esplicita o implicita della posizione di garanzia, quest'ultima ravvisabile nell'incarico conferito, anche in assenza di atto espresso, a una figura prevenzionale specificamente preposta a garantire gli obblighi attinenti alla sicurezza. È escluso che, in difetto di precisazioni risultanti dagli atti sociali riguardo all'estensione del ruolo e delle competenze attribuite (specificamente in ambito di sicurezza sul lavoro) a soggetti determinati, il semplice conferimento dell'incarico di direttore tecnico dell'impresa, con attribuzione di `funzioni tecniche', equivalga a una efficace delega in materia antinfortunistica''.

    ``La dedotta esistenza del direttore di stabilimento non poteva avere effetto deresponsabilizzante del rappresentante legale, non risultando neppure essere stato prospettato il rispetto delle rigorose forme, condizioni e modalità alle quali è condizionata una efficace delega, oggi enumerate dall'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 - che ha recepito le consolidate indicazioni della giurisprudenza - (atto scritto con data certa, accettazione scritta, assegnazione di congrui poteri e corrispondente autonomia di spesa, ecc.), fermo restando, in ogni caso, l'indelegabile funzione di vigilanza generale''. (Conforme, del medesimo estensore, Cass. 11 giugno 2013, n. 25647).

    La Sez. IV si pone ``la questione relativa all'applicabilità della sopravvenuta disciplina legislativa destinata alla fissazione dei requisiti di forma e di sostanza necessari ai fini della validità della delega di funzioni, in vista dell'applicazione della legge penale''. E osserva: ``Il tema deve ritenersi in astratto rivestito di una sua sicura rilevanza, poiché lo sviluppo della giurisprudenza di legittimità formatasi, in tema di delega di funzioni, sotto il vigore della disciplina ante-vigente rispetto alle nuove disposizioni dell'art. 16 del D.Lgs. n 81/2008, muovendo da posizioni caratterizzate da minor rigore (cfr. Cass., Sez. IV, n. 12800/2007, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa), e pur giungendo a conclusioni più esigenti (la delega di funzioni nell'esercizio di un'attività di impresa esonera il titolare dalle responsabilità penali connesse alla correlata posizione di garanzia se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidoneo il conferimento in forma orale: Cass., Sez. III, n. 6872/2011), ha in ogni caso sempre escluso l'esigenza di una formale accettazione per iscritto della delega di funzione (viceversa introdotto dall'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008). Secondo la prospettiva aperta dall'art. 2 c.p. (ossia sul piano della successione di leggi penali nel tempo, in connessione con il tema della modificazione della norma extra-penale che rifluisce sulla costruzione della fattispecie incriminatrice), occorre interrogarsi se la modificazione delle norme che disciplinano i requisiti destinati a individuare il soggetto a cui è imposto, ai sensi dell'art. 40 c.p., l'obbligo giuridico di impedire l'evento (nei reati omissivi impropri) costituisce o meno un'effettiva ipotesi di successione di leggi penali nel tempo rilevante ai fini del- l'applicazione della legge più favorevole al reo. Su tale punto, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall'art. 2, comma 3, c.p., qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi l'illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale (Cass., Sez. IV, n. 17230/2006; Cass., Sez. II, n. 46669/2011). Sulla base di tali principi, la sola introduzione legislativa del requisito della forma scritta dell'accettazione della delega (o dell'introduzione della formale previsione dell'autonomia di spesa del delegato) non è valsa a far venir meno il disvalore sociale della condotta omissiva, e quindi l'illiceità penale della stessa, non avendo quell'introduzione inciso sulla struttura essenziale del reato, comportando esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e limitandosi a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale''. Ed esclude, pertanto, ``l'applicabilità, quale disciplina più favorevole al reo (ai sensi dell'art. 2 c.p.), del nuovo regime relativo alla delega di funzioni''.

    Il delegato per la sicurezza di una s.p.a. fu assolto perché il fatto non sussiste dal delitto di lesione personale colposa in danno di un lavoratore dipendente ``intento a versare, anche mediante scuotimento, il contenuto di un sacco contente nitrocellulosa, e investito da una fiammata''. Nell'annullare con rinvio l'assoluzione, la Sez. IV osserva: ``Al lavoratore singolo non era stato attribuito l'effettivo potere di autotutelarsi sospendendo la lavorazione tutte le volte che la nitrocellulosa si presentava compattata, cosa di frequente ricorrenza. Al più è dato rinvenire il sommario e del tutto generico avvertimento di stare attenti. Peraltro tratterebbe sì di un irragionevole ed illegale spostamento del rischio a carico del soggetto garantito, il quale avrebbe dovuto valutare il rischio e, ad un tempo, assumersi la responsabilità di sospendere il ciclo produttivo. Diversamente si sarebbe dovuto ragionare ove fosse stato assegnato l'effettivo potere ad un soggetto di garanzia, sempre presente durante la lavorazione, di prendere i provvedimenti del caso, ivi inclusa la sospensione della produzione''.

    ``È il delegato a dover informare il datore di lavoro delle insicurezze connesse alla carenza sistematica di attrezzature o anche a carenze momentanee. Nella misura in cui il delegato non aveva quel potere economico, avrebbe dovuto informarne il datore di lavoro essendo esigibile quell'obbligo continuo di raccordo tra datore di lavoro e delegato che impone di intervenire congiuntamente laddove vengano segnalate criticità nella sicurezza''.

    Nel confermare la condanna del delegato alla sicurezza di una s.p.a. per l'infortunio occorso a una lavoratrice, la Sez. fer. osserva: ``Irrilevante, al fine di escludere la responsabilità dell'imputato, risulta il richiamo alla qualifica di responsabile della sicurezza, in quanto proprio a tale figura professionale è demandato il controllo costante della sicurezza della macchine, per effetto del miglioramento della tecnica, oltre che la formulazione di osservazioni concrete sugli inconvenienti derivanti dalla loro utilizzazione. Tale responsabilità potrebbe escludersi ove questi dimostri che, a fronte di una corretta segnalazione dei problemi, il datore di lavoro si sia astenuto dal provvedere, non potendosi imputare a tale figura professionale, ove priva di autonomia di spesa, il mancato adempimento, laddove è indiscusso che nella specie nessuna segnalazione sia intervenuta, circostanza che consente di ascrivere alla diretta responsabilità dell'odierno imputato quanto verificatosi''.

    ``Quanto alla concreta ed effettiva autonomia di spesa del delegato'', la Sez. IV prende atto ``di un mero obbligo in capo al delegato di segnalazione al delegante e al RSPP degli interventi importanti''. E osserva che ``detto ``obbligo di segnalazione'' è conforme al dettato normativo, in quanto costituisce il presupposto per l'espletamento del dovere di vigilanza del delegante sul delegato (e, sotto questo profilo, avrebbe potuto logicamente rappresentare un ulteriore elemento indicativo della effettività della delega in esame), mentre in maniera illogica è stato assimilato ad un (non riscontrato) ``obbligo di preventiva autorizzazione'' all'intervento''.

    Gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 D. Lgs. n. 81/2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale''.

    ``Pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all'interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008''.

    ``Il principio di effettività, in base al quale assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale, tuttavia, a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge, non potendosi confondere la tematica della delega delle funzioni prevenzionistiche con quella del principio di effettività, in base al quale colui che ha di fatto assunto e svolto i compiti propri del datore di lavoro risponderà in virtù di tale volontaria assunzione e non di una delega invalida, laddove il delegante `imperfetto' conserverà tutte le funzioni prevenzionistiche e i suoi doveri non potranno essere relegati all'obbligo di vigilanza di cui all'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008''.

    ``Nel caso in specie difetta una specifica delega per come prevista dall'art.16 D.Lgs. n. 81/2008. Invero il giudice di legittimità, pur distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla delega di funzioni, ha ampiamente esplicitato che, pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all'interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008''.

    La Sez. IV sottolinea l'esigenza di non confondere ``i due distinti piani di giudizio della concorrenza di plurime posizioni di garanzia con quello della validità della delega che riverbera i suoi effetti direttamente sull'estensione (ma non necessariamente sull'esistenza, stante la natura gestionale, che implica cioè anche un correlato potere di spesa, dell'impiego di un macchinario sprovvisto delle caratteristiche tecniche necessarie a scongiurare situazioni di pericolo per i lavori addetti) della posizione di garanzia propria del datore di lavoro, ma che non copre quella derivante da posizioni diverse come quella del direttore del processo ortofrutta'', e ciò perché ``il principio di effettività, in base al quale assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale, tuttavia, a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge, non potendosi confondere la tematica della delega delle funzioni prevenzionistiche con quella del principio di effettività, in base al quale colui che ha di fatto assunto e svolto i compiti propri del datore di lavoro risponderà in virtù di tale volontaria assunzione e non di una delega invalida, laddove il delegante `imperfetto' conserverà tutte le funzioni prevenzionistiche e i suoi doveri non potranno essere relegati all'obbligo di vigilanza di cui all'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008''. (Conforme Cass. 3 ottobre 2016, n. 41328).

    Condannato per un infortunio mortale, il procuratore di una s.r.l. deduce a sua discolpa la ``mancanza di accettazione da parte sua della delega, rammentando come questa, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008, sia divenuta requisito essenziale per il trasferimento di funzioni prevenzionistiche''. Il fatto è, però, che ``il giudice di primo grado non aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulla esistenza di una valida delega bensì sulla concreta ingerenza nell'attività di cantiere. La riproposizione del tema dell'accettazione della procura quale condizione di validità di una delega prevenzionistica è quindi priva di effettiva pertinenza e non considera che eventuali vizi dell'atto di trasferimento delle funzioni si riflettono sulla possibilità di esonero da responsabilità del delegante ma non sulla persistente responsabilità del delegato che abbia concretamente esercitato le funzioni in questione''.

    ``Il delegante `imperfetto' manterrà su di sé tutte le funzioni prevenzionistiche che l'atto non è valso a trasferire ad altri e i suoi doveri non si ridurranno all'obbligo di vigilanza di cui all'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008''.

    Contrariamente a quanto si pensa abitualmente, malgrado decenni e decenni di elaborazione giurisprudenziale, un istituto tradizionale come la delega di funzioni è ancora oggi caratterizzato da contrasti interpretativi destinati a pesare negativamente sui comportamenti delle imprese e degli operatori.

    Tra le criticità, fanno spicco le divergenze originate dalla presenza nel settore della sicurezza sul lavoro e dall'assenza in altri settori di una norma: quell'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008 che per la prima volta disciplina esplicitamente i requisiti di ammissibilità della delega (e della subdelega) di funzioni antinfortunistiche.

    Il risultato è che, in materie come quella ambientale o alimentare, la Cassazione applica condizioni e limiti non del tutto collimanti con quelli previsti in tema di sicurezza del lavoro.

    Un esempio. L'art. 16, D.Lgs. n. 81/2008 prescrive che la delega risulti da atto scritto. Ma in più sentenze attinenti ai reati ambientali o alimentari la Cassazione insegna che la delega di funzioni è valida, pur se rilasciata oralmente.

    Altro esempio di segno diametralmente opposto. L'art. 16 stabilisce che la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i limiti e le condizioni tassativamente indicati nei primi tre commi. Tra questi limiti e condizioni non contempla le grandi dimensioni dell'impresa. Per contro, in materia ambientale o alimentare, la Cassazione più volte ha sostenuto l'inammissibilità della delega al di fuori dell'imprese di grandi dimensioni.

    In una sentenza del 2015 la Cassazione osserva che, ``a seguito della normativizzazione dell'istituto della delega nel D.Lgs. n. 81/2008, l'attuale art. 16 del citato T.U. non contempla più tra i requisiti richiesti per attribuire efficacia all'atto di delega proprio quello della sua `necessità', essendo oggi pacificamente ammissibile in campo prevenzionistico l'attribuzione delle funzioni delegate anche in realtà di modesta entità organizzativa''. Ne desume che ``il c.d. requisito dimensionale, per espressa volontà legislativa (ove il legislatore avesse voluto, infatti, avrebbe espressamente incluso il requisito dimensionale tra quelli necessari, come ha fatto cristallizzando in previsioni di diritto positivo i principi giurisprudenziali elaborati in materia, pressoché integralmente recepiti nell'art. 16 citato), non costituisce più condizione o requisito di efficacia di una delega di funzioni nella materia della prevenzione infortuni sul lavoro''. Ritiene che ``la presenza di una volontà legislativa ben determinata (escludere il requisito della necessità della delega) nell'affine materia prevenzionistica, esplichi i suoi effetti anche nella materia ambientale, considerando, del resto, gli inevitabili e naturali punti di contatto tra l'esercizio delle funzioni e gli adempimenti delegati nei due settori'', e che ``il mantenimento del requisito dimensionale quale condicio sine qua non dell'efficacia della delega di funzioni in materia ambientale determinerebbe un'illogica ed ingiustificabile disparità di trattamento (per di più fondata su una contraria esegesi giurisprudenziale, valevole solo per il settore ambientale e non più per quello prevenzionistico) tra chi è delegato agli adempimenti ambientali e chi è delegato agli adempimenti in materia antinfortunistica, con la paradossale conseguenza, ove le deleghe confluiscano nel medesimo soggetto, che l'osservanza della legge consentirebbe di ritenere efficace l'atto di delega in materia prevenzionistica, ma non quello conferito in materia ambientale''. Insegna che ``il necessario rispetto del principio di non contraddizione (in quanto sarebbe logicamente inconcepibile che l'ordinamento prima conceda un potere di agire e poi ne sanzioni penalmente l'esercizio), impone di rivisitare l'orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi con riferimento alla materia ambientale e ritenere, pertanto, non necessario anche in tale settore - per la necessaria influenza operata dall'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 - il requisito della necessità della delega''. Aggiunge che ``per il principio di non contraddizione, uno stesso ordinamento non può, nella sua unitarietà, imporre o consentire (in materia prevenzionistica), ad un tempo, vietare (in materia ambientale) il medesimo fatto (ossia il conferimento di una delega di funzioni nelle modeste realtà organizzative) senza rinnegare sé stesso della sua politica di attuazione''. (Così Cass. 2 luglio 2015, n. 27862; per un recente riferimento alla giurisprudenza del passato sul criterio delle dimensioni aziendali Cass. 25 settembre 2018, n. 41352).

    Parole preziose. Ma non sono valse a fugare le contraddizioni dalla giurisprudenza della Corte Suprema (quanto alla delega nel settore degli alimenti Guariniello, Codice della Sicurezza degli Alimenti commentato con la giurisprudenza, seconda edizione, 2016, Wolters Kluwer, 434 s.).

    La strada maestra è quella di un chiarimento normativo. Non per nulla, in uno schema di disegno di legge elaborato su mandato del Ministro della Giustizia per la riforma dei reati agroalimentari, è stata inserita un'apposita disposizione - ricalcata sull'art. 16 TUSL - che disciplina la delega da parte del titolare dell'impresa alimentare o comunque da parte del soggetto che ne eserciti i poteri gestionali, decisionali e di spesa.

    Per ora, il disorientamento è tale che finiscono per prodursi effetti paradossali. Sulla base dell'art. 16, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008, la Cassazione usa correttamente affermare che la delega di funzioni antinfortunistiche deve essere necessariamente scritta. Ma non manca qualche decisione pur minoritaria che a sorpresa apre la strada alla delega orale. Dove il principio di non contraddizione gioca a spese della lettera della legge.

    Questa sentenza considera ``non così pacifico che la delega debba risultare necessariamente per iscritto, una volta che sia stato nominato il direttore tecnico, destinato a gestire l'attività materiale della società''. E in particolare sostiene che. ``in tema di individuazione delle responsabilità penali nelle strutture complesse, la necessità che la delega di funzioni da parte dei vertici aziendali ai soggetti preposti debba avere forma espressa e contenuto chiaro non comporta l'obbligo della forma scritta, richiesta nel solo settore pubblico, atteso che soltanto in campo amministrativo sussiste l'esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi all'interno della struttura'', e che ``il concetto è stato poi ribadito con particolare riguardo al settore alimentare ed al settore degli infortuni sul lavoro''.

    (V., altresì, Cass. 28 novembre 2014, n. 49670, Zanivan e altro, ove si afferma: ``Quanto, alla presunta individuazione di un preposto alla verifica del concreto rispetto della normativa di sicurezza, si osserva che essa vale ai fini dell'esonero da responsabilità esclusivamente nel caso di esistenza di una delega esplicita o implicita della posizione di garanzia, quest'ultima ravvisabile nell'incarico conferito, anche in assenza di atto espresso, a una figura prevenzionale specificamente preposta a garantire gli obblighi attinenti alla sicurezza, con la precisazione che la delega non espressa presuppone una ripartizione di funzioni imposta dalla complessità dell'organizzazione aziendale, che dipende comunque dalle dimensioni dell'impresa. In assenza di allegazione riguardo alla presenza di siffatta delega nessun esonero di responsabilità è, pertanto, ipotizzabile''; nonché Cass. 19 giugno 2015, n. 25913, Di Matteo, ove si asserisce che ``la delega di funzioni non necessita di prova per iscritto, non potendo consentire il difetto di forma l'inosservanza delle norme poste a tutela dell'incolumità e della vita dei lavoratori''; Cass. 28 maggio 2015, n. 22813, per cui ``con riguardo alle imprese di grandi dimensioni, in cui la ripartizione delle funzioni è imposta dall'organizzazione aziendale, la giurisprudenza ha cautamente prospettato la possibilità di accertare, in concreto, la predisposizione gerarchica delle responsabilità all'interno delle posizioni di vertice e cioè l'esistenza di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'imprenditore da responsabilità di livello intermedio e finale'').

    Significativa anche:

    Il direttore tecnico con delega in materia ambientale presso l'insediamento produttivo di una s.p.a. esercente la produzione e la lavorazione di laminati piani a caldo, a freddo e rivestiti, nonché le lavorazioni metalliche in genere e la lavorazione di prodotti siderurgici od affini, fu condannato per il reato di cui all'art. 29-quattuordecies, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, perché, in concorso con altra persona, non aveva osservato le prescrizioni imposte dalla Provincia con l'autorizzazione integrata ambientale (AIA). Nell'annullare con rinvio la condanna, la Sez. III rimprovera al tribunale di non aver ``fatto buon governo dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il criterio oggettivo dimensionale che giustifica la delega non va inteso in senso quantitativo bensì qualitativo, avuto riguardo alla complessità degli impegni e compiti da assolvere''. Richiama, in particolare, Cass. 2 luglio 2015, n. 27862, ``secondo cui, addirittura, in tema di reati ambientali, non è più richiesto, per la validità e l'efficacia della delega di funzioni, che il trasferimento delle stesse sia reso necessario dalle dimensioni dell'impresa o, quanto meno, dalle esigenze organizzative della medesima, attesa l'esigenza di evitare asimmetrie con la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la quale, a seguito della entrata in vigore dell'art. 16 del d.Lgs. n. 81/2008, non contempla più tra i requisiti richiesti per una delega valida ed efficace quello delle `necessità'''. Rileva che ``tale più recente orientamento abbia ormai superato la precedente impostazione della stessa Sezione III che con sentenza n. 46710/13 aveva affermato, in tema di disciplina penale dei prodotti alimentari, che la delega di funzioni poteva operare quale limite della responsabilità penale del legale rappresentante della impresa solo laddove le dimensioni aziendali fossero state tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità, ma non anche in caso di organizzazione a struttura semplice''. Inoltre, considera ``dubbia la valutazione compiuta in concreto sul requisito dimensionale dal tribunale, il quale sembra aver omesso di considerare che il fatto si è verificato in uno stabilimento di circa 800 dipendenti ed esteso per quasi un milione di metri quadrati'', e irrilevante che ``si tratti di un ramo d'azienda o di una società del gruppo, perché la valutazione deve essere condotta in concreto sulle esigenze organizzative dell'impresa, intese per giunta secondo un'accezione qualitativa e non quantitativa''. Prende atto che il tribunale ``adombra la possibilità di un divieto di subdelega che non si riscontra nella normativa che ha ritenuto di applicare analogicamente, perché il comma 3 bis dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 ammette espressamente la sub-delega''.

    La Sez. IV ritiene ``la caducazione della precedente delega, avendo lo stesso C.d.A. e, del resto, lo stesso imputato, riconosciuto il venir meno di essa, una volta mutato l'organo di governo dell'ente (il primo proponendone il rinnovo, il secondo allegando l'esistenza di una nuova delega di tenore analogo)''.

    Il procuratore di una società cooperativa delegato all'igiene e sicurezza del lavoro -imputato del delitto di lesione personale colposa in danno di una dipendente investita nel parcheggio aziendale non regolamentato da un carrello elevatore privo di apposito specchietto retrovisore- solleva una questione giuridica di particolare interesse. Deduce, infatti, ``l'erronea applicazione dell'art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, avendo la corte di appello ritenuto che la delega di funzioni non avesse alcun riferimento ad una qualche territorialità e dovesse, quindi, estendersi anche agli stabilimenti, come quello coinvolto nell'infortunio, acquisiti successivamente al suo conferimento, in questo modo ammettendone una modifica unilaterale da parte del delegante, in difetto di accettazione da parte del delegato, peraltro a corrispettivo invariato e senza alcun adeguamento del relativo potere di spesa''. Purtroppo, risultando il delitto addebitato ormai prescritto, la Sez. IV si limita ad osservare che trattasi di ``una questione giuridica opinabile, concernente la possibilità dell'adeguamento automatico della delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 all'ampliamento della struttura aziendale, in assenza di una modifica scritta''. E in effetti, è da chiedersi se in caso di acquisizione di un nuovo stabilimento l'adeguamento automatico della delega non soddisfi requisiti quali la forma scritta del rilascio e dell'accettazione della delega, così come la sua specificità.

    Condannato per un infortunio a titolo di lesione personale colposa, il consigliere delegato di una s.p.a., a sua discolpa, rilevò che aveva delegato le funzioni antinfortunistiche a un dipendente con la qualifica di ``quadro'', già da anni responsabile della produzione. Solo che i magistrati di merito ritennero la delega inefficace, anche perché rilasciata a un dipendente provvisto del ruolo impiegatizio e non dirigenziale, e ne ricavarono che ``appariva poco verosimile che lo stesso godesse di quell'ampia autonomia propria del delegato''. La Sez. IV non è d'accordo, e annulla la condanna dell'imputato, per non aver commesso il fatto.

    L'amministratore delegato di una s.p.a. esercente piste da sci, il responsabile della sicurezza di una pista da slittino e un maestro di sci furono condannati ``per avere cagionato la morte di un minore, il quale, privo di esperienza, usciva, mentre lo percorreva con lo slittino, dal tracciato della pista, in una parte rettilinea priva di protezione laterale e precipitava su pendio lato valle''. A propria discolpa, l'amministratore delegato sostiene di aver efficacemente conferito al `responsabile della sicurezza' le funzioni ed i poteri in materia di sicurezza a mezzo di atto notarile, integrante i requisiti di cui all'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008, così residuando in capo al delegante solo l'obbligo di vigilanza''. La Sez. IV premette che, ``al di là dell'applicabilità diretta della norma, un orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche prima della sua entrata in vigore, aveva elaborato il concetto di delega di attribuzioni all'interno dell'impresa, non strettamente riferibile alla sola materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, indicandone le caratteristiche necessarie al fine di conferire validamente l'attribuzione dei poteri ivi indicati'', e che ``l'esigenza di dare forma e contenuto certo alla delega, così come di attribuire, al fine di riconoscerne l'effettività, i relativi poteri gestionali e di spesa, nei limiti necessari per farvi fronte, è stata colta anche al di fuori e prima della sua formalizzazione normativa, intervenuta con l'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008''. Osserva che, ``a seguito dell'analitica determinazione legislativa, espressa dai requisiti individuati dalla disposizione contenuta nel testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, la delega delineata dal legislatore con l'art. 16 è divenuta il modello idoneo di traslazione delle responsabilità e di conferimento dei relativi poteri, da parte dell'imprenditore al delegato, nella materia che ne forma oggetto'', e, quindi, ritiene possibile ``far riferimento all'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 per valutare la forma, il contenuto e l'effettività della delega''. Sotto questo profilo, con riguardo al caso di specie, nega che, ``in concreto e sostanzialmente, vi sia stato il trasferimento degli obblighi di prevenzione e sicurezza, gravanti sull'imprenditore'', ``e ciò perché il delegato era palesemente privo delle capacità e competenze necessarie, essendo stato promosso dirigente, nonostante la qualifica di operaio precedentemente rivestita'', ``così come era privo dei poteri e delle dotazioni economiche indispensabili allo svolgimento dell'incarico''. Nondimeno, annulla con rinvio la condanna dell'amministratore delegato. Ritiene, infatti, necessario ``verificare se, identificato il rischio concretizzatosi, in relazione all'effettivo contesto ed alla sua complessità, anche avuto riguardo alle dimensioni dell'impianto, esso fosse interamente afferente all'organizzazione concreta dell'attività ed ai compiti assegnati al dirigente'', e, dunque, ``analizzare se le attribuzioni conferite al direttore di impianto includessero quella discrezionalità tecnica rispetto al settore affidatogli, riflesso dell'autonomia riconosciuta al ruolo apicale nell'impresa - idonea a ricondurre all'organizzazione concreta dell'attività, inerente i compiti afferenti alla sua qualifica, le scelte relative all'intervento omesso'', così come approfondire ``la preparazione del direttore di impianto ad acquisire la qualifica di dirigente'', in considerazione ``non solo dei corsi sulla sicurezza delle piste da sci dal medesimo seguiti, ma dell'introduzione da parte del medesimo, proprio sulla pista da slittino, della segnaletica informativa alla partenza e del libro giornaliero dei controlli effettuati sulle sue condizioni e delle verifiche da effettuare, a seconda delle condizioni metereologiche''.

    La dirigente comunale del settore tributi - condannata quale datore di lavoro per più violazioni antinfortunistiche - lamenta che ``l'attribuzione da parte dell'organo di vertice di una pubblica amministrazione, nei confronti di un funzionario o dirigente, dei poteri di gestione in materia di prevenzione e protezione della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, deve riguardare un soggetto tecnicamente competente come prescrive l'art. 16, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008 in materia di delega, e come desumibile dallo stesso art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008'', e, inoltre, che, ``come indicato dal citato art. 16, la delega deve essere accettata dal delegato, e ai sensi degli artt. 2 e 16 a quest'ultimo vanno conferiti poteri di gestione, intendendosi con tale termine i poteri di autonomia decisionale e di spesa nella specifica materia della prevenzione''. Sottolinea che, ``avendo riguardo alle contestazioni, un dirigente comunale può dirsi dotato di poteri di gestione quando abbia a disposizione specifici capitoli di bilancio da dedicare alta tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, alla gestione delle emergenze e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici comunali'', e che l'assenza di tali poteri sarebbe dimostrata dal fatto che, ``all'epoca dell'ispezione degli organi deputati in materia di sicurezza sul lavoro, il S.P.P.R., con i relativi capitoli di spesa, era incardinato presso il settore Lavori Pubblici''. Conclude che ``la designazione dei dirigenti comunali come datori di lavoro, nell'ambito della prevenzione, di cui alla delibera di giunta municipale, sarebbe tamquam non esset'', anche ``perché proveniente da un organismo incompetente come la giunta comunale e non il sindaco''. La Sez. III opera un netto distinguo tra ``il conferimento di una delega da parte del datore di lavoro ex art. 16 D.Lgs. n. 81/2008'' e ``la designazione, nell'ambito della P.A., del datore di lavoro'': ``Si tratta di istituti distinti, per cui quest'ultimo esula dalla delega di funzioni, che presuppone la persistenza di due soggetti, delegato e delegante, tra cui si ripartiscono poteri anche alla luce dei limiti di delegabilità contemplati dall'art. 17 D.Lgs. n. 81/2008 dettato specificamente in materia. Laddove la designazione del datore di lavoro ex art. 2 D.Lgs. n. 81/2008, nell'ambito delle pubbliche amministrazioni, delinea l'individuazione di un'autonoma posizione datoriale, seppur conseguente ad un atto espresso di nomina ex art. 2 D.Lgs. n. 81/2008, in un quadro in cui la regola che limita la delegabilità di taluni obblighi propri del datore di lavoro ex art. 17 non è applicabile alle pubbliche amministrazioni che abbiano proceduto alla individuazione del dirigente ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008. La valutazione della designazione quale datore di lavoro deve operarsi solo ai sensi dell'art. 2, risultando quindi non corretti i richiami all'art. 16 in tema di delega. Tale nomina appare conforme ai necessari presupposti richiesti. Promana da organi politici (sindaco e giunta comunale) ovvero di vertice dell'amministrazione. La nomina, essendo intervenuta nel caso concreto con delibera della giunta municipale, comprensiva della partecipazione del sindaco, è indubitabile che sia intervenuta anche da parte di tale ultimo organo, superandosi quindi ogni disquisizione circa la riferibilità del potere di delega al Sindaco piuttosto che alla Giunta. Con essa la posizione di datore di lavoro appare riconosciuta all'imputata come agli altri dirigenti dei vari settori comunali, quale dirigente dotato di poteri di gestione e titolare di autonomi poteri di spesa alla luce del principio per cui rileva, al riguardo, la ripartizione di funzioni indicata dall'Ordinamento degli enti locali (art. 107 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267), che conferisce ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse. Dal verbale inerente una riunione di coordinamento nella materia in esame emerge la decisione dei dirigenti, datori di lavoro partecipanti, `di intervenire nell'immediato con interventi minimali sulla base delle loro disponibilità e di programmare quegli interventi più impegnativi per i quali si dovranno ricercare e stanziare adeguate risorse a bilancio per eseguire urgentemente tali interventi'. Non significativa, ai fini della ricostruzione della validità della designazione quale datore di lavoro, è la sottolineatura della collocazione del S.P.P.R. presso il settore Lavori Pubblici, cui competerebbero i capitoli di spesa, ove si consideri che l'RSPP svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro, ed è privo di effettivo potere decisionale, e pertanto la sua nomina non incide sulla identificazione del datore di lavoro né di per sé lo esonera da responsabilità''.

    Note a piè di pagina
    68
    Comma così modificato dall'art. 12, comma 1 del D.Lgs 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma così modificato dall'art. 12, comma 1 del D.Lgs 3 agosto 2009, n. 106.
    69
    Comma aggiunto dall'art. 12, comma 2 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma aggiunto dall'art. 12, comma 2 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Fine capitolo
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