Maria Chiara Parmiggiani
Sommario: 1. Premessa. – 2. L’aborto in generale e nella prospettiva del codice Rocco. – 3. Il bene giuridico tutelato dai reati contro la maternità. – 4. L’interruzione colposa della gravidanza: aborto colposo (art. 593-bis, comma 1) e parto prematuro colposo (art. 593-bis, comma 2). – 4.1. Aborto colposo. – 4.2. Parto prematuro colposo. – 5. L’interruzione non consensuale della gravidanza: l’aborto doloso (art. 593-ter, comma 1). – 6. Le ipotesi preterintenzionali: l’aborto preterintenzionale (art. 593-ter, comma 2) e il parto prematuro preterintenzionale (art. 593-ter, comma 3). – 7. Le circostanze aggravanti: morte e lesioni della gestante (art. 593-ter, comma 4). – 8. La minore età della donna (art. 593-ter, comma 5, c.p.).
1. Premessa.
1.Premessa.Con il d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 sono stati introdotti nel nostro codice penale gli artt. 593-bis e 593-ter, che puniscono l’interruzione colposa di gravidanza e l’interruzione di gravidanza non consensuale.
Si tratta di figure criminose solo apparentemente inedite: il decreto legislativo, infatti, ha incorporato nel codice sostanziale delle produzioni normative che erano già previste in altri testi di natura speciale.
La riserva di codice e le modifiche legislative
La modifica del 2018 si inserisce in un ampio intervento riformatore che ha dato attuazione a una delle deleghe contenute nella L. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. “legge Orlando”), con cui è stato introdotto nel nostro ordinamento penale il principio della “riserva di codice”. Si tratta di una previsione disciplinata all’art. 3-bis c.p. (inserito con l’art. 1 del d.lgs. n. 21/2018), rubricato “Principio della riserva di codice”, secondo cui “nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”. Conformemente a tale principio, il legislatore del 2018 ha inciso sulla parte generale e sulla parte speciale del codice, contemporaneamente abrogando più fattispecie contenute nella legislazione complementare. Nelle intenzioni del delegante vi era la volontà di garantire una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi l’effettività della funzione rieducativa della pena.
Tra le fattispecie di reato introdotte nel codice penale, dunque, sono state individuate quelle contenute agli artt. 17 e 18 della legge 22 maggio 1978, n. 194, c.d. “legge sull’aborto”. I neo-articoli 593-bis e 593-ter riproducono letteralmente tali disposizioni (oggi abrogate) e sono inseriti nel nuovo Capo I-bis del Titolo XII del Libro II del codice penale, dedicato proprio ai Delitti contro la maternità e collocato subito dopo quello che punisce i Delitti contro la vita e l’incolumità individuale.
2. L’aborto in generale e nella prospettiva del codice Rocco.
2.L’aborto in generale e nella prospettiva del codice Rocco.La definizione di aborto
Per il diritto penale l’aborto è l’interruzione intenzionale del processo fisiologico della gravidanza, con la conseguente morte del feto, avvenuta in qualsiasi momento dall’insorgere della gravidanza all’inizio del parto.
Presupposto dell’aborto è la gravidanza della donna, che viene arrestata per opera del soggetto attivo e non per cause naturali. L’interruzione della gravidanza deve avere come effetto la soppressione del prodotto del concepimento: se il feto non muore non si ha aborto, ma acceleramento del parto. La morte del feto segna il momento consumativo dell’aborto, che va distinto dal feticidio, di cui all’art. 578 c.p. – il quale presuppone che la gravidanza sia giunta al termine col distacco naturale del feto dall’utero materno -, così come dalle altre condotte di omicidio ex artt. 575 ss. c.p.
I reati di aborto nell’impianto originario del Codice Rocco
Nell’impianto originario del codice Rocco l’interruzione di gravidanza era punita in modo incondizionato e attraverso delitti che prevedevano pene particolarmente severe.
Al Titolo X, subito dopo i Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, erano contemplati i Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe. Qui erano inseriti i delitti di aborto: l’aborto di donna non consenziente (art. 545 c.p.), punito con la reclusione da sette a dodici anni; l’aborto di donna consenziente (art. 546 c.p.), che puniva con la reclusione da due a cinque anni anche la madre che aveva consentito all’aborto; l’aborto procuratosi dalla donna (art. 547 c.p.), punito con la reclusione da uno a quattro anni. Erano, altresì, previsti i delitti di istigazione all’aborto (art. 548 c.p.) e di atti abortivi su donna ritenuta incinta (art. 550 c.p.).
La decisione della Corte costituzionale n. 27 del 1975
Con l’entrata in vigore della Costituzione si sono iniziate a percepire l’inadeguatezza di quei reati e la necessità di porre al centro della tutela gli interessi personalissimi della gestante e quelli del nascituro. La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 18 febbraio 1975, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 546 c.p. nella parte in cui incriminava l’aborto di donna consenziente anche nel caso in cui fosse accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico o l’equilibrio psichico della gestante senza che ricorressero gli estremi dello stato di necessità, ha aperto le porte alla successiva adozione della legge 194/78 recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.
La legge n. 194/1978
Con la novella – che ha abrogato l’intero Titolo X del Codice penale – si è regolamentata ex novo la materia e, al valore sociale della maternità è stata accostata, con pari dignità ideologica, la tutela della vita umana dal suo inizio. Al fine di prevenire gli aborti clandestini si è abbandonata la via della repressione incondizionata dell’aborto, prevedendo una legalizzazione sotto condizioni.
In estrema sintesi, la normativa ha introdotto il limite temporale di 90 giorni dall’inizio della gravidanza per consentire alla donna di chiedere l’interruzione di gravidanza quando “accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art. 4).
Dopo i 90 giorni, si può ricorrere all’aborto “a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6).
Dal punto di vista penale, gli artt. 17 e 18 (oggi – come detto – abrogati) prevedevano le ipotesi di interruzione della gravidanza senza il consenso della donna, prendendo in considerazione le tre forme dell’elemento soggettivo: interruzione colposa della gravidanza (art. 17); interruzione dolosa della gravidanza (art. 18, co. 1) e aborto preterintenzionale (art. 18, co. 2).
L’art. 19, tuttora vigente, punisce l’interruzione volontaria della gravidanza in violazione delle modalità stabilite dalla L. n. 194/1978.
3. Il bene giuridico tutelato dai reati contro la maternità.
3.Il bene giuridico tutelato dai reati contro la maternità.Il bene giuridico tutelato
Il bene giuridico tutelato dagli artt. 593-bis e 593-ter c.p. è la maternità, sia nella prospettiva della madre, sia in quella del nascituro.
Godono, infatti, di protezione la vita e l’incolumità del feto nella fase prenatale (nelle ipotesi di aborto e di parto prematuro) nonché la vita e l’incolumità della madre (nelle ipotesi di lesioni o morte preterintenzionali della donna).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il momento d’inizio della vita biologica autonoma del feto (che segna il discrimine tra l’applicazione delle fattispecie di aborto e quelle di omicidio) è il travaglio, in cui ha inizio il periodo di transizione tra la vita intrauterina e quella extrauterina e che si identifica con il momento della “rottura delle acque”, ossia la rottura del sacco contenente il liquido amniotico (cfr. ex multis Cass., 29 gennaio 2013, n. 7697, in Cass. Pen., 2013, 4467).
Il travaglio come discrimen tra reati di aborto e di omicidio
In caso di parto indotto prematuramente e fuori dalle modalità consentite dalla legge, che si concluda con la morte del prodotto del concepimento (sia esso feto o neonato), l’illecito commesso sarà un omicidio o un procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di vita autonoma o meno, considerato che il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto, coincidendo, quindi, con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina (Cass., 30 gennaio 2019, n. 27539).
In altre parole, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo coincide con l’inizio del travaglio, momento in cui prende il via il processo fisiologico di separazione del feto dal corpo materno e il nuovo essere acquista autonomia, con conseguente fine della gravidanza (caso in cui è stato contestato il reato di omicidio colposo perché il decesso era avvenuto dopo che la partoriente aveva già espulso il liquido amniotico a causa della rottura delle membrane, Cass., 30 gennaio 2019, n. 9447).
Si è dunque ritenuto applicabile il delitto di omicidio e non l’interruzione illegale di gravidanza nelle condotte dirette a sopprimere il prodotto del concepimento in avanzato stato di gestazione, poste in essere dopo il distacco dall’utero, anche se forzatamente indotto (fattispecie in cui sono stati condannati per omicidio volontario di un feto una donna incinta che era oltre i termini per abortire legalmente, un’amica, un medico ospedaliero e un altro agevolatore che si erano accordati per far partorire la donna al sesto mese di gestazione, simulando un incidente, Cass., 2 febbraio 2023, n. 22711).
4. L’interruzione colposa della gravidanza: aborto colposo (art. 593-bis, comma 1) e parto prematuro colposo (art. 593-bis, comma 2).
4.L’interruzione colposa della gravidanza: aborto colposo (art. 593-bis, comma 1) e parto prematuro colposo (art. 593-bis, comma 2).L’art. 593-bis c.p. contempla due fattispecie autonome di reato: l’aborto colposo e il parto prematuro colposo.
La prima, che punisce «chiunque cagioni a una donna per colpa l’interruzione della gravidanza», è sanzionata con la reclusione da tre mesi a due anni. La nozione “interruzione di gravidanza” è sinonimo di “aborto”. Si tratta, pertanto, di un delitto con evento di danno per il feto.
La seconda ipotesi di reato punisce con una pena diminuita fino alla metà «chiunque cagioni per colpa un parto prematuro». È una fattispecie di reato di pericolo presunto a tutela dell’incolumità del prodotto del concepimento.
Il terzo comma dell’art. 593-bis c.p. prevede un’aggravante speciale: la pena è aumentata se il fatto è commesso con violazione delle norme poste a tutela del lavoro (come, ad esempio, l’ipotesi della lavoratrice incinta esposta a sostanze tossiche). La generica formulazione di tale disposizione ne amplia l’applicabilità, che va dall’inosservanza dei precetti posti a tutela delle lavoratrici madri sino al mancato rispetto delle più generali norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La procedibilità dei reati è d’ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.
4.1. Aborto colposo.
4.1.Aborto colposo.Il primo comma dell’art. 593-bis c.p. descrive l’ipotesi di aborto colposo.
Soggetti attivi
Si tratta di un reato comune, realizzabile, cioè, da chiunque, ad eccezione della gestante stessa. Ed infatti, la locuzione utilizzata nel testo dell’articolo («chiunque cagiona ad una donna») fa ritenere che volontà del legislatore fosse quella di escludere tra il novero dei soggetti attivi del reato la madre. Ratio di tale scelta deve rinvenirsi nel rapporto particolare e simbiotico che si crea tra quest’ultima e il futuro bambino.
Condotta
L’elemento oggettivo del reato consiste nel cagionare l’interruzione della gravidanza. L’aborto della donna può essere provocato con qualsiasi modalità, trattandosi di un reato a forma libera. La condotta, dunque, può essere indifferentemente attiva od omissiva. Il presupposto del reato è, ovviamente, lo stato di gravidanza della donna.
L’aborto colposo può essere la conseguenza delle condotte attive o omissive del personale medico o sanitario.
La condotta è attiva quando, per esempio, l’aborto è provocato a seguito di una errata diagnosi, oppure per aver violato regole cautelari nell’esecuzione di un’operazione, ovvero nel caso in cui siano stati prescritti alla gestante farmaci incompatibili con lo stato di gravidanza.
L’evento può essere riconducibile a una condotta omissiva del sanitario, invece, quando, a titolo esemplificativo, non si sia prescritto un farmaco per arrestare una minaccia di aborto, ovvero quando non sia stato eseguito un taglio cesareo con conseguente aborto (Cass., 14 luglio 2000, n. 10482).
Ci si domanda se il delitto di aborto colposo possa essere ravvisato anche all’infuori del contesto medico, come per esempio nei casi di incidenti stradali.
In ossequio a un primo indirizzo, l’art. 593-bis c.p. può trovare applicazione anche quando l’interruzione della gravidanza sia diretta conseguenza dell’incidente stradale, poiché il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento va compiuto con riferimento al bene giuridico tutelato dalle norme violate, ossia la vita e l’incolumità degli utenti della strada (Nuvolone-Lanzi).
Secondo un diverso orientamento, che si incentra sul fatto che le norme sulla circolazione stradale non sono poste a tutela della gravidanza, un soggetto potrebbe rispondere dell’aborto colposo solo nel caso in cui fosse a conoscenza dello stato di gravidanza della donna (Padovani).
La giurisprudenza di legittimità ha escluso la configurabilità del reato in un caso nel quale, a seguito di investimento stradale, era deceduta anche una donna incinta, non potendosi riconoscere all’investitore un’ulteriore responsabilità, ossia quella di dover presumere che la donna investita potesse essere incinta, in considerazione della sua giovane età (Cass., 23 maggio 2017, n. 25552).
Diverso, poi, è il caso in cui l’aborto sia la conseguenza indiretta o mediata dell’altrui condotta, che abbia provocato un imminente pericolo per la vita della donna o una delle condizioni dello stato di necessità. In tali casi, qualora la donna decida di abortire, non potrebbe ricorrere la fattispecie in commento, bensì il delitto di lesioni a carico dell’agente che ha causato un pregiudizio all’integrità psico-fisica della gestante.
Il momento consumativo del delitto di aborto colposo è rappresentato dalla morte del feto. È indifferente che essa avvenga nell’utero materno o a seguito di espulsione di feto vitale, poi deceduto in quanto incapace di vita autonoma.
Trattandosi di reato colposo, non è configurabile il tentativo.
Elemento soggettivo
Con riferimento all’elemento soggettivo, il delitto di cui all’art. 593-bis, comma 1, c.p. è punito a titolo di colpa, che può essere sia generica (qualora si tratti di violazione delle regole di diligenza, prudenza o perizia), oppure specifica (nel caso di inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline).
4.2. Parto prematuro colposo.
4.2.Parto prematuro colposo.Il secondo comma dell’art. 593-bis c.p. punisce chiunque cagioni con colpa un parto prematuro.
Natura della fattispecie
Parte della dottrina ritiene che sarebbe preferibile configurare il parto prematuro non come una fattispecie autonoma (Nuvolone-Lanzi), bensì come una circostanza attenuante dell’aborto colposo (Padovani).
La conseguenza più significativa dell’accoglimento dell’una o dell’altra teoria riguarda la possibilità di effettuare o meno un giudizio di bilanciamento delle circostanze, ai sensi dell’art. 69 c.p., con evidenti conseguenze in termini di sanzioni. Prima dell’introduzione della legge n. 194/1978, il parto prematuro configurava un’ipotesi di lesione grave; l’aborto una lesione gravissima. Oggi, se si verifica un parto prematuro o un aborto colposo, accompagnato da lesioni colpose, si può configurare un concorso formale di reati ai sensi dell’art. 81 c.p.
In un recente arresto giurisprudenziale si è affermato che il reato di procurato parto prematuro è integrato dalla condotta colposa che, comportando l’interruzione del normale e completo ciclo fisiologico della gravidanza, determini pericolo per la salute della gestante o del nascituro, senza che assuma rilevanza la distinzione tra parto prematuro e parto pretermine (fattispecie in cui la Corte di cassazione ha dichiarato immune da censure la sentenza che aveva ritenuto sussistente il reato in una fattispecie in cui il parto, indotto da un sinistro stradale, non garantendo certezza sulla maturità polmonare e fetale del nascituro, aveva determinato un pericolo per la salute della gestante e del feto, sebbene il neonato non avesse presentato particolari sofferenze o patologie alla nascita, Cass., 29 gennaio 2021, n. 11703).
5. L’interruzione non consensuale della gravidanza: l’aborto doloso (art. 593-ter, comma 1).
5.L’interruzione non consensuale della gravidanza: l’aborto doloso (art. 593-ter, comma 1).Il primo comma dell’art. 593-ter c.p. punisce, con la pena della reclusione da quattro a otto anni, chiunque cagioni l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna. Si tratta dell’ipotesi di aborto non consensuale doloso.
Soggetti attivi
Soggetto attivo del reato può essere chiunque.
L’art. 593-ter c.p. descrive, infatti, al primo comma, un reato comune di evento di danno.
L’evento è rappresentato dall’interruzione della gravidanza.
In dottrina si discute se con tale perifrasi debba essere inteso solo l’aborto (nel senso di soppressione del prodotto del concepimento) oppure se si debba comprendere anche l’acceleramento del parto. La questione è particolarmente rilevante se si considera che il legislatore ha previsto la punibilità del parto prematuro nella forma colposa (art. 593-bis, comma 2, c.p.) e preterintenzionale (art. 593-ter, comma 3, c.p.), mentre resterebbe priva di tutela la più grave ipotesi dolosa.
Secondo un orientamento (Antolisei), l’interruzione di gravidanza deve essere considerata come concetto di genere comprensivo tanto dell’evento aborto, quanto di quello di parto prematuro. A sostegno di tale ipotesi si afferma che non avrebbe senso prevedere che un reato sia punibile a titolo di colpa o di preterintenzione, ma non lo sia anche a titolo di dolo.
A questa teoria si obietta (Padovani-Palazzo) che il legislatore abbia inteso differenziare i fenomeni dell’aborto e del parto prematuro, distinti anche dal punto di vista del linguaggio negli artt. 593-bis e nello stesso art. 593-ter, commi 2 e 3, c.p. Inoltre, assimilare il parto prematuro all’aborto doloso comporterebbe l’applicazione della medesima pena a due eventi che hanno un disvalore sostanziale differente.
Al di là di quale soluzione sia preferibile, occorre considerare che l’ipotesi di parto prematuro doloso appare di rara verificazione e di difficile accertamento sul piano concreto.
Condotta
La fattispecie di aborto doloso è a forma libera, poiché punisce l’interruzione della gravidanza a prescindere dalle modalità utilizzate.
Nella prassi si è ravvisato tale reato nella condotta del marito che aveva costretto la moglie ad interrompere la gravidanza, giunta all’undicesima settimana, mediante atti di violenza e minaccia consistiti fra l’altro nell’inveire verbalmente contro la donna al fine di recarsi in ospedale per abortire, sino ad averle scagliato addosso delle bottiglie e un tavolo, che aveva colpito la coniuge all’altezza del ventre (episodio, quest’ultimo, occorso il giorno precedente a quando in effetti la donna si era poi recata presso il presidio ospedaliero per interrompere la gestazione, Cass., 25 ottobre 2012, n. 8777). In un altro caso, tale reato è stato ravvisato nella condotta di chi aveva cagionato l’interruzione della gravidanza della compagna, senza il suo consenso, colpendola con pugni al ventre e somministrandole, con violenza e minaccia, alcune compresse di un farmaco abortivo (Cass., 23 maggio 2013, n. 35086).
Vizi del consenso
La mancanza di un valido consenso è elemento costitutivo della fattispecie. Si considera non prestato anche il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. L’assenza di consenso si verifica sia quando lo stesso non è stato prestato sia se è stata manifestata una volontà contraria.
Per violenza si intende una coazione fisica relativa, tale per cui la donna ha la possibilità di esprimere una volontà, anche se è stata coartata. Se la violenza fosse assoluta non si potrebbe parlare di consenso estorto, poiché non vi sarebbe alcun consenso. La minaccia, invece, consiste nella prospettazione di un male ingiusto futuro il cui verificarsi dipende dall’agente. Nell’inganno, poi, rientrano quei comportamenti che incidono sulla formazione della volontà, provocando una visione falsata, per cui la volontà espressa è il frutto di valutazioni che si fondano su presupposti errati.
Il consenso è ritenuto valido anche se è espresso da una donna minore degli anni diciotto e da una donna interdetta.
Con riguardo alla minore, il comma 5 dell’articolo in commento prevede un inasprimento di pena se la vittima è una donna minore di diciotto anni. Non avrebbe senso tale aggravante se non si desse rilievo alla volontà della minorenne. È pur vero, tuttavia, che al consenso prestato dalla minore non deve attribuirsi un valore incondizionato, dato che esso deve essere accertato in relazione alla sua capacità di decidere consapevolmente sull’interruzione della gravidanza. Discorso analogo è ritenuto plausibile anche con riferimento alla donna interdetta, a meno che non si tratti di una donna totalmente priva della capacità di intendere e di volere. In tal caso, anche in presenza di consenso, troverebbe sempre applicazione l’art. 595-ter c.p.
Elemento soggettivo
La fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 593-ter c.p. è punita a titolo di dolo, che deve ricadere sulla coscienza e volontà di interrompere la gravidanza e sulla consapevolezza dell’assenza del consenso o della coartazione o dell’inganno che hanno inciso sulla volontà della donna.
Il reato è punibile anche a titolo di dolo eventuale, che si verifica laddove il reo si rappresenti come possibile o probabile la causazione dell’aborto accettando la verificazione dell’evento.
È chiaro che l’agente deve essere a conoscenza dell’assenza del consenso della gestante, oppure della sua coartazione o dell’inganno che ha portato la donna ad acconsentire all’intervento. L’errore sulla sussistenza e sulla validità del consenso esclude il dolo, ai sensi dell’art. 47 c.p. La punibilità, però, può avvenire a titolo di colpa, a norma dell’art. 593-bis c.p., quando l’errore sia dipeso da colpa.
Il solo caso in cui l’assenza di volontà della donna non può integrare gli estremi dell’aborto doloso è quello in cui l’intervento abortivo sia necessario per l’imminente pericolo di vita della gestante (art. 7, cpv, L. 194). Il medico sarà, dunque, esentato da pena solo qualora non sia stato possibile ricevere il consenso della donna, poiché, in caso contrario o nell’ipotesi in cui ci sia stato un rifiuto di sottoporsi all’intervento, egli dovrà rispettare la volontà della gestante, anche in presenza di un pericolo di vita, altrimenti sarà punito.
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la morte del prodotto del concepimento.
Il tentativo è ammissibile: si pensi all’ipotesi di chi intraprende una “pratica” idonea a cagionare l’aborto, che tuttavia non è portata a compimento, per ragioni indipendenti dalla sua volontà.
Rispetto al concorso con altri reati, di peculiare interesse è una pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale è stata esclusa la possibilità di ritenere applicabile il principio di assorbimento tra il reato di procurato aborto (rectius, interruzione non consensuale di gravidanza) e il più grave delitto di omicidio (Cass., 17 maggio 2010, n. 18514).
Il reato in esame è procedibile d’ufficio e l’autorità giudiziaria competente è il Tribunale collegiale. Nonostante si tratti di una fattispecie delittuosa di evidente importanza, non si rinviene una produzione giurisprudenziale di rilievo in termini quantitativi.
6. Le ipotesi preterintenzionali: l’aborto preterintenzionale (art. 593-ter, comma 2) e il parto prematuro preterintenzionale (art. 593-ter, comma 3).
6.Le ipotesi preterintenzionali: l’aborto preterintenzionale (art. 593-ter, comma 2) e il parto prematuro preterintenzionale (art. 593-ter, comma 3).Il secondo comma dell’art. 593-ter c.p. punisce con la stessa pena prevista per l’aborto doloso (ossia da quattro a otto anni di reclusione), la condotta di chi cagioni l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.
Confronto con l’omicidio preterintenzionale
Oltre all’omicidio preterintenzionale, questa è la sola altra ipotesi di reato preterintenzionale prevista dal nostro codice penale.
Il delitto ex art. 593-ter c.p. (che, come detto, era già disciplinato all’art. 18, comma 2, L. n. 194/1978) sostituisce l’abrogata circostanza aggravante prevista al n. 5 del comma 2 dell’art. 583 c.p., che qualificava come lesione gravissima il sopravvenuto aborto della persona offesa ed era punita con la reclusione da sei a dodici anni.
Nonostante oggi il trattamento sanzionatorio sia più tenue rispetto a quello previsto dalla circostanza aggravante ad effetto speciale abrogata, parte della dottrina sottolinea l’ingiustificata equiparazione – in termini di pena – dell’ipotesi dolosa a quella preterintenzionale (Canestrari).
Rispetto all’omicidio preterintenzionale, il reato in esame presenta delle differenze di formulazione.
Anzitutto, si richiede che l’aborto derivi da “azioni” dirette a provocare lesioni e non da “atti”, come nell’art. 584 c.p. Inoltre, non sono comprese nel novero delle condotte punibili nel reato di base le percosse. Da ciò deriva che qualora l’aborto sia provocato da azioni dirette a percuotere la donna si potrà configurare, qualora sia accertato l’elemento soggettivo richiesto, un’ipotesi di aborto colposo ai sensi dell’art. 593-bis, comma 1 c.p., in concorso con il delitto di percosse ex art. 581 c.p.
Fatto tipico
L’aborto preterintenzionale è un reato d’evento, che si consuma con l’interruzione della gravidanza realizzata con “azioni dirette a cagionare lesioni alla donna”. La locuzione utilizzata dal legislatore ricorda quella del delitto tentato, ma è carente del requisito dell’idoneità degli atti. Il delitto di lesioni, dunque, non deve essere necessariamente consumato o tentato, ma, per configurare l’aborto preterintenzionale, bastano “azioni dirette” a cagionare lesioni alla donna, senza che le stesse debbano anche essere idonee. In ossequio all’orientamento della giurisprudenza di legittimità la norma “non richiede la commissione del reato di lesioni nemmeno nella forma del tentativo che, come è noto, esige l’idoneità degli atti” (Cass., 2 luglio 1985, in Giur. it., 1986, II, 443). Tale argomentazione sarebbe avvalorata – sempre ad avviso della Corte di Cassazione – dall’analisi del trattamento sanzionatorio, che è il medesimo per l’aborto doloso e per quello preterintenzionale.
Elemento soggettivo
L’elemento soggettivo richiesto è il dolo di lesioni. L’agente, infatti, non deve aver voluto nemmeno a titolo di dolo eventuale l’aborto della donna, poiché in tal caso troverebbe applicazione il primo comma dell’art. 593-ter c.p. L’evento interruttivo della gravidanza, dunque, è posto a carico dell’agente in virtù del nesso di causalità. Tuttavia, in osservanza del principio di colpevolezza, dovrà essere accertata la sussistenza, in capo al soggetto, della consapevolezza dello stato di gravidanza della donna e della prevedibilità dell’evento quale possibile sviluppo della condotta di lesioni.
Secondo la dottrina maggioritaria, la fattispecie in esame non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui la donna chieda di interrompere la gravidanza a seguito delle lesioni patite. In tal caso, la volontà della donna si atteggerebbe quale causa interruttiva del nesso causale tra le lesioni dolose e il successivo aborto. Tale ipotesi non comprende, tuttavia, i casi in cui il ricorso all’interruzione della gravidanza si sia reso necessario in conseguenza delle lesioni patite dalla gestante.
Il parto prematuro preterintenzionale
Il terzo comma dell’art. 593-ter c.p. punisce, con la pena prevista per l’aborto doloso diminuita fino alla metà, la condotta di chi provochi lesioni volontarie che causano l’acceleramento del parto. Si tratta dell’ipotesi di parto prematuro preterintenzionale.
Come detto, l’accelerazione del parto è punita – oltre che nella forma preterintenzionale – anche in quella colposa, ma resta priva di sanzione l’accelerazione del parto volontaria, forse per una lacuna giuridica.
La formulazione letteraria del testo dell’articolo, che parla di “lesioni” e non di “azioni dirette a provocare lesioni” fa ritenere che sia necessario – per integrare l’ipotesi delittuosa in esame – che il reato di base debba essere consumato. Deve, cioè, verificarsi il delitto di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p.
L’evento non consiste nella morte del feto, bensì nell’interruzione anticipata della gravidanza, da cui deriva il parto prematuro.
La qualificazione giuridica del comma in commento è controversa: per taluni si tratta di una fattispecie autonoma di reato (Nuvolone-Lanzi); secondo altri è una circostanza attenuante (Padovani).
Tale comma era stato aggiunto – come la fattispecie precedente – a seguito dell’abrogazione dell’art. 583, comma 1, n. 3, c.p., che qualificava l’acceleramento del parto tra le lesioni personali gravi.
I reati contemplati al secondo e al terzo comma dell’art. 593-ter c.p. sono procedibili d’ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale.
7. Le circostanze aggravanti: morte e lesioni della gestante (art. 593-ter, comma 4).
7.Le circostanze aggravanti: morte e lesioni della gestante (art. 593-ter, comma 4).Il quarto comma dell’art. 593-ter c.p. prevede degli aggravamenti di pena se dall’aborto doloso (comma 1, art. 593-ter c.p.) o dall’aborto preterintenzionale (comma 2, art. 593-ter c.p.) derivano la morte della donna, ovvero delle lesioni gravissime o gravi.
In particolare, la pena sarà quella della reclusione da otto a sedici anni in caso di morte della gestante; da sei a dodici anni in ipotesi di lesioni gravissime e, nel caso di lesioni gravi, la pena prevista per le lesioni gravissime diminuita.
Gli eventi aggravanti di morte e lesioni non devono essere voluti dall’agente. Pertanto, qualora una condotta dolosa provochi la morte della donna o le lesioni e, contestualmente, l’interruzione di gravidanza, si potrà configurare un concorso di reati e non un concorso apparente di norme. Dunque, nel caso di uccisione della gestante, potranno concorrere il delitto di omicidio volontario di donna in stato di gravidanza con il reato di procurato aborto, in quanto il primo non assorbe il secondo.
Qualora la morte o le lesioni siano conseguenti all’aborto preterintenzionale si configura un caso di reato preterintenzionale (l’aborto preterintenzionale, appunto), aggravato da un ulteriore evento preterintenzionale (la morte e le lesioni gravi o gravissime).
Quelle contemplate al comma 4 dell’art. 593-ter c.p. sono delle ipotesi aggravate rispetto alle condotte base contemplate dai commi 1 e 2. Tuttavia, non è pacifico a quale titolo debba essere imputato l’evento più grave.
Secondo una parte della dottrina (Casini-Cieri) si tratta di reati autonomi. La morte o le lesioni della gestante sarebbero, dunque, delitti aggravati dall’evento e dunque ricondotti allo schema o dell’illecito preterintenzionale ovvero di quello a responsabilità oggettiva mista.
Secondo un diverso orientamento (Nuvolone-Lanzi), invece, si prospetterebbe come fattispecie autonoma la sola ipotesi in cui dall’aborto doloso o preterintenzionale derivi la morte della donna, mentre sarebbero qualificabili come circostanze aggravanti i casi in cui le condotte base provochino lesioni gravi o gravissime, data la stessa oggettività giuridica sottesa a tali fattispecie.
Un’interpretazione orientata al principio di colpevolezza (Summerer) esige che la morte o le lesioni siano addebitabili all’agente almeno a titolo colposo, richiedendosi quantomeno la prevedibilità dell’evento più grave.
Questione di legittimità costituzionale
Sono state sollevate più volte questioni di legittimità costituzionale poiché la pena prevista per i casi di morte della donna a seguito di aborto doloso o preterintenzionale è inferiore (nel minimo e nel massimo) rispetto a quella prevista per l’omicidio preterintenzionale, nonostante si tratti di condotta indubbiamente più grave. La fattispecie di cui all’art. 584 c.p., infatti, punisce con la reclusione da dieci a diciotto anni chi provochi la morte di una persona con atti diretti a ledere o a percuotere. Il comma 4 dell’art. 593-ter c.p., invece, prevede – oltre alla morte della donna – anche l’aborto doloso o preterintenzionale del feto, per cui la maggiore gravità è oggettiva. Tutte le questioni, però, sono state respinte in quanto manifestamente infondate (C. Cost., 30 luglio 1981, n. 162), poiché non sarebbe possibile un confronto tra le due fattispecie. Il quarto comma, con riferimento specifico alla morte, non è rapportabile – secondo la Consulta – all’art. 584 c.p., in quanto disciplina un reato circostanziato aggravato dall’evento e non un reato preterintenzionale.
8. La minore età della donna (art. 593-ter, comma 5, c.p.).
8.La minore età della donna (art. 593-ter, comma 5, c.p.).Aggravante della minore età
L’ultimo comma dell’art. 593-ter c.p. prevede una circostanza aggravante per i casi in cui i delitti di aborto doloso e aborto preterintenzionale siano commessi nei confronti di una donna minore di diciotto anni.
La ratio di tale previsione deriva dalla maggiore gravità che deve essere riconosciuta qualora il fatto sia commesso nei confronti di una persona minorenne e, dunque, particolarmente vulnerabile.
L’inserimento di tale comma conferma – come già enunciato – la validità del consenso prestato dalla gestante minore degli anni diciotto, alle condizioni e nei limiti previsti dalla L. n. 194/1078 e salvo l’accertamento dell’incapacità in concreto.
Note bibliografiche
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