Alberto Cadoppi
Sommario: 1. La giustificazione della punizione dell’omesso soccorso e il problema del bene giuridico. – 2. Soggetto attivo e situazione tipica. – 3. La condotta omissiva. – 4. Elemento soggettivo. – 5. Scriminanti e scusanti. – 6. Consumazione e tentativo. – 7. Circostanze aggravanti.
1. La giustificazione della punizione dell’omesso soccorso e il problema del bene giuridico.
1.La giustificazione della punizione dell’omesso soccorso e il problema del bene giuridico.L’art. 593 c.p. è formulato nel modo seguente:
«Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento euro.
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità». Seguono alcune aggravanti di cui diremo.
Legittimazione
Il delitto in questione presenta aspetti di particolare interesse, anche sotto il profilo della sua stessa legittimazione. Infatti, è vero che esso si trova nell’ambito dei delitti contro la vita e l’incolumità delle persone, tuttavia è stato spesso considerato, in dottrina, come un delitto di “omessa solidarietà” (in collegamento a quello – sicuramente meno problematico – di cui all’art. 591 c.p.).
La repressione penale di questa condotta pone quindi un quesito fondamentale. È possibile punire un soggetto solo per un difetto di “solidarietà” sociale o umana? Nell’ottica del legislatore fascista, questo aspetto poteva essere tranquillamente enfatizzato. Nella Relazione preliminare al codice si giustificava infatti la punizione di questa particolare omissione in quanto “violazione di quei doveri morali e sociali di mutua assistenza che, in una società civile, integrano un vero e proprio obbligo giuridico, la cui inosservanza deve essere penalmente repressa”. È ben vero che anche la nostra Costituzione repubblicana impone ai cittadini, all’art. 2, «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Tuttavia è da vedere quanto questa sacrosanta statuizione della nostra Carta fondamentale possa applicarsi direttamente al diritto penale, facendo seguire ad alcuni di tali inadempimenti la dura sanzione prevista dal più terribile dei diritti.
Reati di pura omissione
Si deve anche tenere presente che il delitto de quo è uno dei più classici reati di pura omissione, e da questo punto di vista presenta i problemi di legittimazione che caratterizzano in generale tutti i reati omissivi puri, viste le loro tendenziali “evanescenza materiale” e “inoffensività”. Si aggiunga che – come abbiamo evidenziato nella Parte Generale di questi Elementi – i reati omissivi restringono maggiormente la libertà dei cittadini rispetto ai reati commissivi. Infatti impongono di agire, e basta il mero inadempimento dell’azione dovuta per far scattare la punibilità.
Non è un caso che l’omissione di soccorso in alcuni ordinamenti non sia affatto punita. È questo il caso dei paesi di common law, dove la presenza dei c.d. “Bad Samaritan Statutes” è assolutamente eccezionale. È classico l’esempio di chi, vedendo un bambino che sta affogando nella fontana di Trafalgar Square a Londra, non lo soccorre né avvisa l’autorità o la madre: ebbene, tale condotta – pur immorale e ignobile – resta clamorosamente impunita nell’ordinamento penale inglese.
Nei sistemi continentali, l’omissione di soccorso è generalmente punita, anche se i diversi codici cercano di temperare o l’estensione dei presupposti dell’obbligo di soccorso, o quella dell’assistenza richiesta.
Bene giuridico “vita e incolumità individuale”
È chiaro che inquadrando il reato sotto l’angolazione del bene giuridico “vita e incolumità individuale” esso assume una proiezione teleologica ben più plausibile rispetto al mero richiamo a doveri etici di solidarietà (come pure faceva parte della dottrina, specie quella più risalente). Se si sottolineano le potenzialità della norma in rapporto alla prevenzione della morte o di gravi lesioni all’incolumità fisica, si coglie forse l’aspetto più pregnante della stessa, e vista sotto tale prospettiva la norma diventa anche più semplice da interpretare.
Resta un problema finale. È chiaro che la vita e l’incolumità fisica sono beni da tutelare da parte del diritto penale. Ed è chiaro che va punito chi, dolosamente o anche colposamente, arreca attivamente danno a tali beni. Ma possiamo dire che sia giustificato richiedere ai cittadini di attivarsi al fine di proteggere tali beni anche quando essi non hanno attivamente provocato la lesione dei beni stessi? Sappiamo che l’omissione, nel nostro sistema, presuppone un obbligo giuridico di attivarsi. Senza tale obbligo, non si dà omissione (c.d. “natura normativa” dell’omissione: v. la Parte Generale). Ora, in questo caso potenzialmente tutti i cittadini sono obbligati al soccorso.
Obbligo generale di soccorso
Si può dire che vi sia nel nostro sistema un obbligo generale di soccorso dei propri simili in pericolo? Proprio su questo punto si incentra la differenza fra l’approccio continentale e anglosassone al tema: gli anglosassoni ritengono – in genere – che nei loro ordinamenti non sussista un simile obbligo generale di soccorso.
Ebbene, anche partendo da una prospettiva liberal – e dunque aderendo al c.d. “harm principle” come criterio di legittimazione delle scelte punitive (v. ancora la Parte Generale) – è possibile individuare un obbligo generalizzato di soccorso dei pericolanti.
Compatibilità con il pensiero liberal
Lo stesso Joel Feinberg, del resto – campione del liberalismo penale – ha ampiamente dimostrato la compatibilità con delle norme che puniscono i “cattivi Samaritani” con il pensiero liberal e con lo stesso “principio del danno”. Tutto ciò se sono rispettate alcune condizioni: in primis, il soccorso deve essere richiesto solo nel caso in cui il soccorrendo sia davvero in pericolo di vita o rischi gravemente la sua incolumità fisica. In secondo luogo, si può imporre un intervento soccorritore di qualche tipo solo nei casi in cui vi sia “vicinanza fisica” tra il pericolante e il soccorritore stesso.
“Soccorsi facili”
E in terzo luogo, l’intervento di soccorso non deve essere troppo oneroso, né troppo rischioso per il terzo che si imbatte in una situazione di pericolo. In altre parole, sarebbe plausibile imporre al cittadino i c.d. “easy rescues”, ovvero i “soccorsi facili”. Pretendere troppo dal cittadino significherebbe passare alla logica della “morale dell’eccellere”, ovvero pretendere l’altruismo – se non addirittura l’eroismo – e sanzionarne penalmente la mancanza. Non è questo il compito di un diritto penale liberal, che – ispirandosi alla “morale del dovere” – può sicuramente reprimere penalmente gravi forme di egoismo, ma non imporre l’altruismo con la minaccia della sanzione penale.
In questa prospettiva, va aggiunto che l’imposizione almeno di qualche forma di easy rescue ai cittadini – senza restrizione a determinate categorie – può giustificarsi anche considerando che ciò che viene imposto al singolo che si imbatte in una persona in pericolo potrebbe un domani avere effetti benefici anche nei confronti di quel medesimo cittadino che, in altra occasione, potrebbe trovarsi in pericolo e avere lui bisogno dell’intervento soccorritore altrui.
Una norma come l’art. 593 c.p., come vedremo meglio, si avvicina a questo modello, ma se non interpretata restrittivamente rischia di scivolare verso la “morale dell’eccellere” e dunque di uscire dal perimetro di ciò che si può legittimamente punire nell’ambito di una concezione liberale del diritto penale.
2. Soggetto attivo e situazione tipica.
2.Soggetto attivo e situazione tipica.La norma fa riferimento a “chiunque”, come soggetto attivo del reato. A prima vista sembrerebbe dunque un reato comune, e non proprio. E in effetti qualcosa di vero vi sarebbe in questa affermazione. Nel nostro paese, tutti i cittadini sono tenuti al soccorso delle persone in pericolo, e tale obbligo non è ristretto a limitate categorie di individui (es.: medici, poliziotti o simili).
Soggettività limitata
Tuttavia, si è osservato – nello studio in generale dei reati omissivi propri (Cadoppi) – che tutti i reati omissivi puri sono a soggettività limitata e dunque “propri” almeno in senso ampio. Infatti, non è possibile prevedere obblighi che valgano in ogni momento e per tutti, perché vincolerebbero le persone ad un’attività continua al fine di sottrarsi alla responsabilità penale.
Situazione tipica
Ogni reato omissivo – anche quelli che hanno come soggetto attivo “chiunque” – presuppone una situazione di fatto, detta anche “situazione tipica”, che fa scaturire in concreto un obbligo di attivarsi. In questo caso la situazione tipica, nel primo comma, consiste nel trovare «abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa»; e nel secondo comma nel trovare «un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo».
Vicinanza fisica
In entrambi i casi dunque i soggetti obbligati, in concreto, sono solo quelli che si imbattono nei soggetti descritti. Del resto, la vicinanza fisica tra il quisque de populo che si trova magari a passeggiare tranquillamente per strada e il pericolante è importante perché fa sorgere spontaneamente nel passante la “spinta” ad attivarsi per dare una mano al suo simile in pericolo. In base a quanto abbiamo detto più sopra, però, occorre interpretare tali situazioni in modo restrittivo e ritagliato sul bene giuridico finale protetto (la vita e l’incolumità fisica) ché sennò si rischierebbe di dilatare troppo l’incriminazione facendola uscire dai binari della giustificabilità.
Primo comma
Quanto al primo comma, in effetti, si è parlato in dottrina e in giurisprudenza, talvolta, di pericolo presunto per il bene giuridico. È ben vero che nella maggior parte dei casi un bambino minore di 10 anni abbandonato o smarrito può correre seri rischi, come li può correre “un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa”, parimenti abbandonata o smarrita. Tuttavia, si dovrà limitare l’obbligo di intervento ai casi in cui il pericolo per la vita o l’incolumità fisica di questi soggetti sia in qualche modo plausibile. Ad esempio, se l’ambiente in cui il soggetto si trovasse abbandonato fosse del tutto sicuro e delimitato, si potrebbe ritenere insussistente l’offensività del fatto omissivo. Forse però a questo fine è sufficiente dare rilievo interpretativo pregnante alla situazione di abbandono e/o di smarrimento, sicché in luoghi del tutto sicuri e delimitati si potrebbe ritenere mancante il requisito in parola.
Secondo comma
Quanto al “corpo umano che sia o sembri inanimato”, ovvero la “persona ferita o altrimenti in pericolo” di cui al secondo comma, siamo di fronte all’ipotesi più problematica, ed anche più applicata in giurisprudenza. Il legislatore qui non specifica quale tipo di pericolo debba correre la persona da soccorrere, mentre in fattispecie simili esistenti in altri ordinamenti ciò viene meglio precisato dalla norma.
Nozione del pericolo
Al fine di scongiurare un’applicazione troppo estensiva della norma – e non in linea con le aspettative di un diritto penale liberal – sarebbe opportuno restringere interpretativamente la nozione del pericolo corso dalla persona. Solo chi corre concretamente pericoli per la sua vita o per la sua incolumità dovrebbe essere oggetto dell’obbligo di soccorso. Non chi magari rischia un pericolo di poco conto (ad esempio, chi ha preso una banale contusione per una caduta mentre camminava). Tuttavia, come correttamente osservato in dottrina e in giurisprudenza, il pericolo va valutato ex ante, e non ex post. Dunque, ciò che conta è che al momento del ritrovamento il pericolo apparisse esistente.
“Imbattuto” nella persona in pericolo
Ciò che è importante è che il soggetto attivo del reato – ovvero l’obbligato al soccorso – si sia davvero “imbattuto” nella persona in pericolo, ovvero lo abbia visto con i propri occhi. Non basta dunque – e su questo è allineata anche la giurisprudenza (v. ad es. Cass., 24 maggio 2002, n. 20480) – che il soggetto abbia “avuto notizia” di una persona in pericolo, magari in TV, o anche al telefono. In questi casi, manca quella contiguità fisica e spaziale fra i due soggetti, tale da far scattare anche spontaneamente la molla della “solidarietà”. Estendere l’obbligo anche a chi avesse semplicemente avuto notizia della situazione di pericolo significherebbe obbligare tendenzialmente in contemporanea un numero elevato di persone, ed anche estendere l’obbligo al di là di ciò che un ordinamento liberale può pretendere, in materia penale, dai cittadini.
“Trovare”
D’altra parte, l’art. 593 usa il verbo “trovare”, e applicare la norma anche a chi avesse solo “saputo” della situazione di pericolo senza trovare il pericolante significherebbe estendere analogicamente, in malam partem, la norma penale, operazione come è noto assolutamente vietata.
Persona già deceduta
Va poi detto che se la persona ritrovata è “inanimata” (o sembra tale), normalmente scatta l’obbligo. Tuttavia, nei casi in cui il ritrovatore sia in grado di essere sicuro che si tratta di persona già deceduta, allora verrebbe meno l’obbligo, dal momento che il bene giuridico in questo caso non sarebbe a rischio, per essere già definitivamente compromesso (così Cass., 19 novembre 1990, n. 15194). Il soccorso sarebbe, detto altrimenti, del tutto inutile.
Quanto all’ipotesi in cui sia stato il soggetto stesso a creare dolosamente o colposamente il pericolo, in questo caso non è applicabile l’art. 593 c.p.; nel caso in cui il ferito morisse, si applicherebbe l’omicidio (o doloso o preterintenzionale o colposo). Se invece il soggetto avesse contribuito fortuitamente a creare la situazione di pericolo, sarebbe tenuto al soccorso.
3. La condotta omissiva.
3.La condotta omissiva.L’art. 593 prevede due condotte parzialmente diverse per le due ipotesi del primo e del secondo comma.
Primo comma
Relativamente al primo comma, non prevede un obbligo di assistere o soccorrere, ma solo di avvisare immediatamente l’autorità. Invero, nel caso di ritrovamento di minori degli anni dieci o incapaci abbandonati o smarriti non avrebbe senso un’assistenza o un soccorso.
Secondo comma
Quanto al secondo comma, il legislatore prevede una doppia possibilità, o di «prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità». Come si vede, si tratta di condotte alternative e non cumulative. Si pone peraltro il problema se chi trova la persona in pericolo possa scegliere a suo piacimento se effettuare l’assistenza necessaria o se avvisare l’autorità. La legge non dice nulla in proposito, né suggerisce criteri in base ai quali decidere nel caso concreto.
L’azione dovuta maggiormente idonea a tutelare il bene giuridico
È chiaro che se si guarda alla tutela del bene giuridico (vita e incolumità individuale) si potrebbe dire che l’azione dovuta è quella che risulta maggiormente idonea a tutelare il bene giuridico (e la cui omissione è maggiormente idonea a lederlo). Tuttavia va considerato che non avendo detto nulla il legislatore sembrerebbe arbitrario inserire interpretativamente nella norma qualcosa che non vi si trova. È certo che sarebbe stato meglio che il legislatore si fosse espresso in termini più chiari, come avviene in altri ordinamenti. La giurisprudenza tende a richiedere la condotta maggiormente idonea a salvaguardare il bene giuridico, per cui in certi casi condanna anche laddove il soggetto ha avvisato la polizia o il pronto soccorso, ma non ha prestato l’assistenza necessaria o non ha atteso almeno l’arrivo della polizia in caso di perdurante pericolo per il ferito.
Una interpretazione comunque non troppo esigente
Si auspica – in ossequio ai principi liberal espressi in apertura – una interpretazione comunque non troppo esigente nei confronti del ritrovatore della persona in pericolo. Questi molto spesso si imbatte nella persona in pericolo improvvisamente, mentre sta facendo tutt’altro. Ben diverso è il caso del conducente di un veicolo che viene coinvolto in qualche modo in un incidente. Qui si applicano regole tutte diverse e più stringenti, previste dall’art. 189 del codice della strada. In quei casi, il conducente è obbligato all’assistenza, e non può cavarsela semplicemente avvisando l’autorità.
Normalmente è sufficiente l’avviso all’autorità
Ma nei casi di cui all’art. 593 c.p., la situazione è ben diversa, e pretendere un’assistenza o un soccorso da parte di un semplice “passer-by” significa spesso pretendere troppo da tale soggetto. Non solo: molto frequentemente il semplice “passante” non è certo attrezzato per apprestare un’assistenza medica adeguata, per cui il suo darsi da fare in tal senso potrebbe essere addirittura controproducente per la salvaguardia del bene giuridico. Dunque si deve ritenere che normalmente è sufficiente l’avviso all’autorità. In certi casi però un minimo di assistenza può essere davvero necessaria e del tutto esigibile dal soggetto (es.: spostare un ferito dal centro della strada, o segnalarne la presenza per impedire che venga travolto da altri veicoli): in queste ipotesi questa minima attività può essere richiesta. Sicché chi si limitasse a telefonare alla polizia, allontanandosi immediatamente e lasciando il ferito in balia delle auto in arrivo sarebbe forse correttamente punibile (così Cass., 14 dicembre 2004, n. 3397). Quanto all’autorità da avvisare, pur nel silenzio della legge, si deve trattare di autorità idonea. Sbaglierebbe – e meriterebbe probabilmente la condanna – quel lavoratore che, vedendo un suo collega ferito, si limitasse a chiamare il suo datore di lavoro magari in quel momento lontano dalla fabbrica (così Cass., 14 dicembre 2022, n. 47322: nel caso di specie il ferito era stato semplicemente caricato su di un furgone, con cui fu trasportato al pronto soccorso solo dopo 40 minuti). D’altronde, la norma prevede che l’avviso dell’autorità sia “immediato”. Ogni ritardo significativo dunque sarà da considerarsi come un’omissione.
Già una o più altre persone si sono fermate
Vi è da considerare l’ipotesi in cui un soggetto trovi un pericolante ma in un momento in cui già una o più altre persone si sono fermate per prestare assistenza o avvisare l’autorità. In questi casi (e la giurisprudenza concorda) l’obbligo non sussiste perché l’assistenza non è più “occorrente”. E in ogni caso l’apporto del nuovo arrivato sarebbe inutile e non farebbe che aggiungere confusione. Diversa è l’ipotesi in cui dovesse sopraggiungere casualmente un medico e si accorgesse che non si sta prestando adeguato soccorso al ferito. In questo caso il medico sarebbe tenuto ad intervenire, sempre che la sua attività possa apparire davvero utile.
Il passante non si trova in una posizione di garanzia
Va comunque precisato che il passante non si trova in una posizione di garanzia nei confronti del pericolante. Così nel caso in cui all’omissione di soccorso seguisse la morte, non vi sarebbe omicidio per omissione (da omesso impedimento dell’evento ovvero da omissione impropria), ma si applicherebbe l’aggravante di cui diremo più avanti. Questo è un punto molto importante, e conferma che un obbligo generalizzato di soccorso nel nostro sistema esiste ma non si spinge sino a trasformare tutti i cittadini (neppure i “ritrovatori” di persone in pericolo) in altrettanti “garanti”, come potrebbe essere in uno stato autoritario o di polizia.
4. Elemento soggettivo.
4.Elemento soggettivo.Dolo
L’elemento soggettivo in entrambe le ipotesi è il dolo, non essendo prevista un’ipotesi colposa e trattandosi di delitto.
Situazione tipica
Quanto alla situazione tipica, secondo certe opinioni relative più in generale a tutti i reati omissivi propri (Cadoppi), essa dovrebbe essere oggetto di conoscenza effettiva da parte del soggetto. Ché infatti è solo la situazione tipica che fa scattare l’obbligo di agire, e che accende nel soggetto attivo quella sorta di allerta che rende percepibile al soggetto la sua omissione. In questo caso il mero dubbio che un minore o incapace si trovi abbandonato, o che una persona si trovi in pericolo, non dovrebbe essere sufficiente per integrare il dolo. Tuttavia si deve riconoscere che la giurisprudenza non è così comprensiva e in certi casi almeno condanna anche in caso di dolo eventuale. D’altra parte, almeno in relazione al corpo inanimato, la stessa legge parifica ad essa l’ipotesi in cui esso “sembri” inanimato.
Quanto all’omissione, si può verificare il caso in cui un soggetto ritenga più utile l’avviso dell’autorità piuttosto che il soccorso o viceversa. In queste ipotesi non si può certo ravvisare il dolo, ma casomai una colpa non punibile.
Quanto all’obbligo legislativo di agire, esso relativamente a certi reati omissivi potrebbe essere considerato oggetto del dolo (reati a situazione tipica “neutra”); ma qui la situazione tipica (la vista di un ferito!) non è certo “neutra”, sebbene “pregnante”, perché idonea a risvegliare un istinto di solidarietà nel passante. Sicché in questo caso non si richiederà, per il dolo, la conoscenza del precetto legislativo e dell’obbligo corrispondente.
5. Scriminanti e scusanti.
5.Scriminanti e scusanti.Stato di necessità
Se nell’attuare il soccorso il soccorritore dovesse correre il “pericolo attuale di un danno grave alla persona”, sussisterebbe lo stato di necessità (art. 54 c.p.). Va però detto che in certi casi può essere scriminata dallo stato di necessità l’omissione del soccorso, ma potrebbe restare in piedi l’obbligo di avvisare l’autorità. E in questi casi l’omissione di questa seconda condotta alternativa costituirebbe reato. Si possono peraltro immaginare ipotesi in cui lo stesso avviso all’autorità si dimostra pericoloso (si pensi al caso di chi assiste ad un ferimento ed è esposto alla possibile reazione dell’aggressore ancora in loco). In questi casi tutt’al più il soggetto sarà obbligato ad effettuare l’avviso una volta cessato il pericolo.
Nessuna scusa se il soccorso è scomodo o gravoso
Se invece il soccorso è semplicemente scomodo o gravoso (la stessa cosa può applicarsi in certi casi all’avviso all’autorità: si pensi a chi, non dotato di telefono cellulare, sia costretto a fare una lunga marcia nella neve per avvisare l’autorità), la nostra legge non prevede nessuna possibilità di scusa. Altri ordinamenti limitano – tornando a quanto si diceva in apertura – l’obbligo ai soccorsi “facili”, magari prevedendo ipotesi specifiche di “inesigibilità”. Si potrebbe pensare di introdurre una simile “scusante”, o eventualmente un’attenuante. Allo stato, però, difficilmente si può superare il dettato normativo, se non tenendone conto nella commisurazione della pena.
Casi in cui il pericolante non vuole essere soccorso
Una questione discussa è quella della sussistenza o meno dell’obbligo di soccorso nei casi in cui il pericolante non vuole essere soccorso. Si pensi a chi si sta per togliere la vita e si oppone all’aiuto di un terzo. Qui, la soluzione più equilibrata pare quella di ritenere non punibile chi si astiene dal soccorso in ossequio alla volontà (pur autodistruttiva) altrui (anche se non mancano opinioni contrarie in dottrina). Ma allo stesso tempo non si può vietare tout court al soccorritore di agire tentando di salvare l’aspirante suicida: infatti, se soccorresse, pur commettendo forse, in astratto, una violenza privata (art. 610 c.p.), agirebbe comunque in stato di necessità. L’art. 54 c.p. infatti si applica anche se vi è la «necessità di salvare […] altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona».
Va peraltro soggiunto che chi incontra un aspirante suicida dovrebbe anche cercare di verificarne lo stato mentale. Se si trovasse chiaramente di fronte a uno squilibrato, l’obbligo di soccorrere, o forse più appropriatamente di avvisare prontamente l’autorità non verrebbe sicuramente meno neppure di fronte ad un fermo rifiuto di aiuto da parte del folle.
6. Consumazione e tentativo.
6.Consumazione e tentativo.Il reato di omissione di soccorso – come quasi tutti i reati omissivi (Cadoppi) – è istantaneo, e si consuma nel momento in cui il soggetto non attua l’azione soccorritrice o non avvisa l’autorità. In una sentenza si legge che si tratterebbe di un reato permanente (Cass., 14 dicembre 2004, n. 3397, cit.): si trattava del caso in cui un soggetto avrebbe dovuto attendere l’arrivo della polizia prima di lasciare il luogo di un incidente. Tuttavia in questi casi non ci si trova davanti a veri reati permanenti, ma a reati in cui l’azione dovuta per le peculiarità del caso concreto non si esaurisce in un attimo, ma dura qualche minuto o qualche decina di minuti. Indubbiamente si tratta di ipotesi particolari la cui natura si avvicina per certi versi a quella dei reati permanenti.
Il tentativo non è ammissibile
Il tentativo – come in ogni delitto omissivo proprio (Cadoppi) – non è ammissibile, perché fino al momento in cui non è scaduto il termine per adempiere (qui immediato) non vi è omissione, e l’omissione scatta allo scadere di quel termine, senza che sia possibile individuare prima di tale momento atti idonei e diretti in modo non equivoco all’omissione. Dunque anche in questo caso non si può parlare di tentativo.
7. Circostanze aggravanti.
7.Circostanze aggravanti.L’ultimo comma dell’art. 593 c.p. prevede che «se dalla condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata».
Nesso causale
Come si vede, per l’applicazione delle aggravanti, occorre il nesso causale fra l’omissione e l’evento, ma non occorre il dolo. Basterà la colpa in rapporto all’evento aggravatore, in applicazione dell’art. 59 c.p.
Il semplice ritrovatore non è un “garante”
La configurazione delle predette aggravanti conferma l’ipotesi teorica che il semplice ritrovatore di un pericolante non venga considerato un “garante” dell’incolumità di quest’ultimo. Solo se un soggetto avesse particolari obblighi di garanzia nei confronti dell’altro, si verificherebbe questa ipotesi, e in tal caso all’omissione dell’impedimento morte conseguirebbe (ex art. 40 capoverso c.p.) un vero e proprio omicidio per omissione, doloso o colposo (si pensi alla mamma nei confronti del bambino, alla baby sitter, alla guardia del corpo, ecc.). Analogamente, all’omissione dell’impedimento delle lesioni conseguirebbe il delitto omissivo improprio di lesioni, doloso o colposo.
In questo caso, il ritrovatore ha un semplice obbligo di attivarsi – sia pur in vista della protezione dei beni giuridici più volte ripetuti – e non di impedimento dell’evento.
Note bibliografiche
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