Malaika Bianchi
Sommario: 1. Bene giuridico e grado di offesa. – 2. Soggetto attivo. – 3. Soggetto passivo. – 4. Condotta ed evento. – 5. Elemento soggettivo. – 6. Abbandono all’estero di cittadino italiano minorenne. – 7. Le ipotesi di cui al terzo e quarto comma: aggravamento delle pene. – 8. Rapporti con il reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.). – 9. Dubbi di legittimità costituzionale della norma.
1. Bene giuridico e grado di offesa.
1.Bene giuridico e grado di offesa.L’art. 591 c.p. si suddivide in quattro commi. I primi due commi prevedono due autonome fattispecie di reato. Con il primo comma si punisce: «Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura».
Il secondo comma punisce «chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro».
Le due fattispecie sono ugualmente punite con la pena alla reclusione da sei mesi a cinque anni.
Il terzo e il quarto comma prevedono pene più severe qualora dall’abbandono derivi una lesione personale o la morte del soggetto passivo (terzo comma) ovvero se il fatto è commesso da un soggetto legato alla vittima da un rapporto familiare (genitore, figlio, tutore, coniuge, adottante, adottato) (quarto comma).
Si concentrerà, in questa sede, il commento sulla prima fattispecie di reato, poichè la seconda è sostanzialmente disapplicata (v., infra, par. 6).
Beni giuridici
I beni giuridici tutelati sono la vita o incolumità individuale del soggetto passivo, ossia del minore di anni quattordici o dell’incapace, entrambi qualificabili come vittime vulnerabili (Basile).
Per quanto riguarda il grado di offesa al bene giuridico, è indiscusso l’inquadramento del reato nella categoria dei reati di pericolo.
Reato di pericolo astratto o concreto?
Si tratta però di reato di pericolo concreto o di reato di pericolo astratto? La diversa qualificazione non è di poco conto, in quanto incide significativamente sull’approfondimento di indagine che deve compiere il giudice in fase di accertamento della sussistenza del fatto tipico: se si inquadra il reato nella categoria dei reati di “pericolo astratto”, il compito del giudice si limita all’accertamento della sussistenza della condotta di abbandono di cui al primo comma della norma; se lo si individua come reato di “pericolo concreto”, allora il giudice è chiamato a verificare se nel caso sottoposto alla sua attenzione l’abbandono abbia prodotto un pericolo per la vita o l’incolumità individuale del soggetto passivo.
La giurisprudenza maggioritaria richiede la sussistenza di un “pericolo potenziale” per la vita o l’incolumità fisica del soggetto passivo. Si tratta di un concetto ambiguo che si presta ad applicazioni discrezionali: in alcune pronunce la Corte specifica che il pericolo potenziale non deve essere accertato in concreto, sostanzialmente assimilandolo al pericolo astratto (v., per esempio, Cass., 23 maggio 2003, n. 27882); in altre decisioni, invece, la Corte, pur dichiarando che è sufficiente un “pericolo anche solo potenziale” per il bene giuridico tutelato dalla norma, richiede in realtà che l’incolumità o la vita della persona abbandonata sia stata effettivamente esposta a pericolo, assolvendo l’imputato per il reato ex art. 591 c.p. in casi in cui, pur in presenza di una condotta di abbandono, il soggetto infraquattordicenne o incapace poteva comunque essere assistito da altri (nel caso, per esempio, della madre che abbandona il neonato in ospedale, v. Trib. Milano, 10 gennaio 2005, in Foro ambrosiano, 2005, 266). Vi sono poi sentenze che fanno esplicito riferimento alla sussistenza di una situazione di pericolo concreto per il bene giuridico (v. Cass. 2 maggio 2016, n. 44089) (amplius Masera).
La dottrina prevalente ritiene opportuna la qualificazione del reato nella categoria dei reati di pericolo concreto, considerando necessario, nel rispetto di alcuni principi fondamentali del diritto penale, che venga accertata da parte del giudice la messa in pericolo in concreto del bene giuridico tutelato dalla norma. Non solo l’inquadramento dell’art. 591 c.p. come reato di “pericolo astratto” lo pone in conflitto con il principio di offensività, poiché non sussisterebbero quelle condizioni che legittimano una tale anticipazione della tutela penale; fondare l’incriminazione esclusivamente sulla condotta di “abbandono” pone il reato in contrasto anche con il principio di precisione perché l’indeterminatezza del termine “abbandono” non permette di delineare chiaramente il perimetro della fattispecie (per es., commette abbandono il figlio che rifiuta di assistere la madre anziana e disabile dimessa dall’ospedale ma che in realtà continua ad essere accudita in ospedale dal personale sanitario? Commette abbandono la madre che, dopo aver partorito, lascia il figlio in ospedale ove è accudito del personale del reparto? L’incolumità o la vita della madre anziana e del neonato sono messi in pericolo dalla condotta dei soggetti agenti?) (Basile). Senza poi trascurare, da un lato, la severità della pena edittale prevista dal legislatore (da sei mesi a cinque anni), sanzione che pare più proporzionata se connessa ad un illecito di pericolo concreto piuttosto che di pericolo astratto e, dall’altro, la lettera della circostanza aggravante di cui al terzo comma della norma, che richiede l’effettiva lesione della vita o dell’incolumità individuale del soggetto passivo (v. Fiandaca, Musco; F. Mantovani).
2. Soggetto attivo.
2.Soggetto attivo.Reato proprio
Nonostante l’utilizzo del pronome “chiunque”, la norma non configura un “reato comune” ma un “reato proprio” poiché l’inciso «della quale abbia la custodia o debba avere la cura», contenuto nel primo comma, implica che soggetto attivo possa essere solo chi si trovi in una relazione di custodia o di cura rispetto al soggetto passivo e sia quindi titolare di una posizione di garanzia rispetto a quest’ultimo. (Fiandaca-Musco; F. Mantovani). A differenza di quanto sostenuto da un orientamento risalente, si può affermare che il presupposto della sussistenza di una relazione di custodia o cura è da intendersi riferibile sia al soggetto incapace che al minore di anni quattordici (Fiandaca, Musco).
Dovere di custodia
Il dovere di custodia implica una “sorveglianza diretta ed immediata che si esplica su soggetti che ne sono normalmente bisognevoli”, quali, per esempio, i minori in tenera età o gli anziani non autosufficienti (Basile): si pensi, per esempio, al figlio che abbandoni la madre incapace, con lui convivente, omettendo di richiedere l’intervento di soggetti esterni in grado di evitare l’insorgere di un pericolo per l’incolumità della donna ed impedendo a chiunque altro l’accesso all’ambiente domestico (v. Cass., 3 febbraio 2021, n. 18665).
Dovere di cura
Il dovere di cura, invece, implica “l’insieme di prestazioni e cautele protettive (eventualmente comprensive della stessa custodia) di cui abbisognano persone di regola capaci di provvedere a se stesse, ma che tali non sono nel caso concreto, perché versanti in particolari contingenze”, quali, per esempio, il malato appena operato affidato alla cura del medico, o l’alpinista inesperto affidato alle cure della guida alpina (Basile)
Sussistono relazioni di cura o custodia in diversi ambiti: in ambito familiare (es. relazioni dei genitori con i figli e viceversa, dei coniugi fra di loro); in ambito scolastico (es. sorveglianza degli insegnanti nei confronti degli alunni) e para-scolastico (es. l’autista dello scuolabus che lascia a terra un bambino con l’effetto di causarne il ritorno a casa da solo e conseguente esposizione a pericolo); in ambito lavorativo (es. datore di lavoro che non presti assistenza sanitaria al lavoratore colto da malore); in ambito sanitario (cura o custodia in capo a personale sanitario verso i pazienti). Il dovere di cura o custodia può derivare anche da contratti di diritto privato, come nel caso dell’affidamento di un soggetto incapace ad una clinica ospedaliera privata, ad una casa di riposo (non poche sono le imputazioni ai sensi dell’art. 591 c.p. a carico di dirigenti o operatori di strutture di ricovero per anziani o disabili, che omettono i doveri di assistenza, assunti per contratto, nei confronti di questi ultimi), ad una badante (si pensi alla badante che lasci in casa da sola, durante la notte, una persona affetta da una grave malattia neurodegenerativa, totalmente incapace).
3. Soggetto passivo.
3.Soggetto passivo.Soggetti passivi del reato sono la persona minore degli anni quattordici e la persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa.
Minore di anni quattordici
Nel caso del minore di anni quattordici non occorre, secondo una opinione frequente in dottrina e giurisprudenza, valutare la condizione di vulnerabilità in cui si trovava il minore al momento della condotta di abbandono poiché per gli infraquattordicenni si presume in via assoluta che siano incapaci di tutelarsi autonomamente contro i pericoli dell’abbandono (Pisapia). Secondo un altro orientamento dottrinale (che inquadra l’art. 591 c.p. fra i reati di pericolo concreto), non si dovrebbe invece prescindere da un valutazione in concreto del pericolo per la vita o l’incolumità individuale che si viene a creare in conseguenza dell’abbandono, poiché anche all’interno della categoria degli “infraquattordicenni” possono esistere condizioni e capacità differenti (es. non si può paragonare la condizione di un ragazzo di tredici anni in salute a quella di un neonato) (Basile).
Persona incapace di provvedere a se stessa
È opinione unanime, invece, che quando si tratti persona non in grado, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, debba essere accertata in concreto la reale incapacità. L’incapacità può derivare anche da una inesperienza in attività di rischio (si pensi, per esempio, allo scalatore inesperto che viene abbandonato dalla guida alpina). Rilevano pertanto non solo ipotesi di incapacità assoluta (per esempio il soggetto affetto da una infermità fisica o psichica totale) ma anche ipotesi di incapacità relativa (che dipende, per esempio, dal modo, dal tempo, dal luogo in cui è avvenuto l’abbandono). Può inoltre essere un’incapacità duratura o momentanea, purché sia sussistente nel momento dell’abbandono (Basile).
4. Condotta ed evento.
4.Condotta ed evento.La condotta di abbandono è integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto passivo. Sebbene il reato possa realizzarsi tramite una condotta sia attiva che omissiva, esso ha comunque natura omissiva in quanto l’abbandono penalmente rilevante consiste sempre in una violazione di un dovere di cura o custodia (Fiandaca-Musco).
Può trattarsi anche di un abbandono temporaneo (per esempio nel caso del genitore che si allontani volontariamente anche solo per mezz’ora dall’autovettura in cui ha lasciato i figli minori di anni quattordici con privazione della possibilità di poterne uscire in caso di pericolo o necessità, v. Trib. Trento, 26 marzo 2018, n. 150). Può ritenersi integrata la condotta di abbandono anche in caso di affidamento ad una persona non idonea a prendersi cura del soggetto minore o incapace (per esempio nel caso di una persona incapace, ospite di una struttura di cura, e affidata ad un’unica persona non in grado di garantirle la necessaria assistenza, v. Cass., 28 ottobre 2004, n. 409).
Secondo una parte della dottrina siamo di fronte ad un reato di mera condotta in quanto le eventuali conseguenze lesive derivanti dall’abbandono rilevano solo come ipotesi aggravante (III comma), mentre il reato si configura con la sola condotta di abbandono dell’infraquattordicenne o dell’incapace, indipendentemente dalle conseguenze che possono derivarne (Masera; Cass., 22 febbraio 2005, in Foro it., 2007, II, 417).
Per altri Autori il reato in esame andrebbe qualificato come reato di evento poiché, nella prospettiva del suo inquadramento quale reato di pericolo concreto, la condotta deve causare un evento di pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto passivo. Ciò significa, nell’applicazione pratica, che nel caso in cui l’abbandono non sia causativo di un pericolo concreto per la vita o l’incolumità della persona abbandonata, non potrebbe ritenersi integrato l’art. 591 (Basile). In linea con questo orientamento si richiama, a titolo di esempio, una pronuncia della Corte di Cassazione in cui è stata esclusa la responsabilità per il reato in questione in capo alla moglie che non aveva accolto in casa il marito molto malato che tuttavia era accompagnato da altri famigliari disponibili a dargli ospitalità: in questo caso l’uomo infermo non versava in una situazione di pericolo per la propria vita e incolumità (v. Cass., 19 maggio 1995, n. 7003). È stata invece ritenuta responsabile del delitto di abbandono una donna che aveva lasciato la figlia di 23 mesi in auto da sola al caldo con i vetri alzati mentre lei era andata a fare la spesa (Cass., 18 aprile 2016, n. 29666). Parimenti è stato condannato per il reato in commento il comandante della nave che, dopo essersi reso responsabile di un naufragio colposo, aveva abbandonato i passeggeri della nave e l’equipaggio non preoccupandosi di metterli in salvo (Cass., 12 maggio 2017, n. 25585). Interessante una recentissima pronuncia di merito che condanna il Comandante della nave mercantile ASSO 28, fra gli altri, per il reato di “abbandono di persone minori o incapaci” (591 c.p.), per aver abbandonato cinque minori stranieri e cinque donne incinte in uno stato di pericolo: in particolare, dopo averli imbarcati unitamente agli altri migranti in acque internazionali nei pressi della piattaforma petrolifera della società, li riconducevano nel porto di Tripoli, un porto non sicuro, non avendo la Libia aderito alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati e attesa l’ineffettività del sistema di accoglienza libico e le condizioni inumane e degradanti presenti nei centri di detenzione per migranti, ove non è assicurata la protezione fisica e il rispetto dei diritti fondamentali (GUP Napoli, sent. n. 1643 del 13 ottobre 2021 (dep. 30 dicembre 2021); confermato da Corte app. Napoli, sent. 10 novembre 2022 (dep. 1° febbraio 2023), n. 16696).
5. Elemento soggettivo.
5.Elemento soggettivo.Dolo generico
L’elemento soggettivo è il dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di abbandonare il soggetto passivo, nella consapevolezza delle sue caratteristiche (che sia minore di anni quattordici, ovvero che sia incapace di provvedere a se stesso). Il soggetto attivo deve anche essere a conoscenza della relazione di custodia o cura che lo lega al soggetto passivo.
Il dolo può assumere anche la forma del dolo eventuale (v., a tale proposito, Cass., 21 ottobre 2021, n. 44657, secondo cui: “Il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci è generico e può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l’agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumità fisica di quest’ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l’evento si verifichi”).
6. Abbandono all’estero di cittadino italiano minorenne.
6.Abbandono all’estero di cittadino italiano minorenne.Il secondo comma prevede un’autonoma fattispecie di reato, con cui si punisce «chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro». Si tratta di una fattispecie sostanzialmente disapplicata, che è stata introdotta nel periodo della massiccia emigrazione italiana e del ricorso alla manodopera di minori italiani emigrati all’estero (v. Basile).
Il bene giuridico tutelato è sempre la vita e l’incolumità individuale del soggetto passivo.
7. Le ipotesi di cui al terzo e quarto comma: aggravamento delle pene.
7.Le ipotesi di cui al terzo e quarto comma: aggravamento delle pene.Morte o lesione personale derivante dall’abbandono
Il terzo comma prevede un aggravamento della pena qualora dall’abbandono derivi la lesione personale (reclusione da uno a sei anni) o la morte (reclusione da tre a otto anni) della persona abbandonata.
La dottrina più recente configura questa ipotesi come una autonoma figura di reato e non una circostanza aggravante (F. Mantovani, Basile). Ovviamente queste conseguenze non devono essere volute dall’agente, ossia sorrette da dolo (nemmeno nella forma del dolo eventuale), poiché in tal caso l’agente sarebbe responsabile per il reato di lesione personale o di omicidio. La giurisprudenza richiede che vi sia un coefficiente di colpa rispetto alla lesione o alla morte del soggetto passivo e quindi la prevedibilità di tale evento, ciò nel rispetto del principio di colpevolezza (v. Cass., 22 febbraio 2005, n. 9386) (Masera).
Circostanza aggravante speciale
Il quarto comma prevede un aggravamento delle pene (sia con riferimento alle due fattispecie base di cui al primo e al secondo comma che con riferimento all’ipotesi aggravata di cui al terzo comma) «se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato». Si tratta di una circostanza aggravante speciale ad effetto comune (con aumento di pena fino ad un terzo) di carattere soggettivo.
8. Rapporti con il reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.).
8.Rapporti con il reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.).Quale rapporto intercorre fra il reato di omissione di soccorso, di cui all’art. 593 c.p. e il reato di abbandono di persone minori o incapaci? Come afferma la giurisprudenza: “Il reato di abbandono di persone minori o incapaci è in rapporto di specialità rispetto a quello di omissione di soccorso, in quanto, a differenza di quest’ultimo che punisce chiunque si trovi occasionalmente a contatto diretto con una persona in stato di pericolo, sanziona la violazione di uno specifico dovere giuridico di cura o di custodia, che incombe su determinate persone o categorie di persone, da cui derivi una situazione di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo (in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata con la quale i giudici avevano qualificato come omissione di soccorso, anziché abbandono di persona incapace, la condotta dell’imputato che, rientrato a casa e trovata la moglie in gravissime condizioni di salute, aveva omesso di prestarle assistenza e di chiedere soccorso)” (Cass., 14 gennaio 2016, n. 12644).
9. Dubbi di legittimità costituzionale della norma.
9.Dubbi di legittimità costituzionale della norma.Come abbiamo anticipato, l’interpretazione della norma in termini di reato di percolo astratto, offerta da una parte della giurisprudenza, ha portato la dottrina a porre in dubbio la sua legittimità costituzionale, per contrasto con il principio di determinatezza-precisione, offensività, proporzionalità della pena. In una recente pronuncia di merito (Trib. Trento, 14 febbraio 2018, n. 150), il giudice ha ritenuto integrato il reato di abbandono di persone minori o incapaci da parte di una madre che aveva lasciato due dei tre figli minori in macchina in montagna (con ipad per comunicare) per circa mezz’ora mentre accompagnava, secondo quanto dichiarato da un testimone, la terza figlia alla lezione di sci. Il padre si era allontanato poco prima dall’automobile per recuperare l’attrezzatura da sci e al suo ritorno trovava i carabinieri vicino all’automobile mentre la moglie li raggiungeva poco dopo. In una nota di commento a questa sentenza, la dottrina pone in rilievo, innanzitutto, come la nozione di abbandono utilizzata dalla giurisprudenza, che si accontenta di una condizione di abbandono che determina un pericolo “meramente potenziale” per il bene giuridico tutelato e che vi include anche ipotesi di cd. abbandono temporaneo, si ponga in contrasto con l’intenzione del legislatore (che mirava a punire fatti di abbandono che effettivamente determinano un pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto passivo) e con lo stesso significato letterale del termine, nonché quello riconosciuto dal senso comune (il termine “abbandono” è definito nel vocabolario come: “lasciare definitivamente o per lungo tempo… oppure lasciare senza aiuto, sostegno o simili in casi di oggettivo bisogno”), che presupporrebbe un animus derelinquendi, implicante una definitività dell’abbandono.
L’attuale configurazione tipica della norma e la sua interpretazione giurisprudenziale renderebbe il fatto tipico sostanzialmente indeterminato, richiedendo, per esempio nel caso del minore infraquattordicenne, una sorta di “obbligo di custodia a vista” da parte del genitore e ciò in conflitto con spazi di libertà e di autonomia che sono di comune consuetudine (potrebbe essere ritenuto responsabile del reato anche il genitore che lascia giocare a pallone, senza controllarlo, il figlio tredicenne nella strada privata adiacente alla propria abitazione o che lascia il figlio da solo in casa mentre porta fuori il cane a fare una passeggiata).
Si propone pertanto una definizione della nozione di abbandono volta ad escludere che ipotesi di momentaneo allontanamento possano rientrarvi e una applicazione della norma conforme a Costituzione, in cui si richieda la sussistenza di un animus derelinquendi e una condotta di abbandono che determini effettivamente un pericolo concreto per la vita o l’incolumità individuale del soggetto passivo (Grosso S.).
Note bibliografiche
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