Matteo L. Mattheudakis
Sommario: 1. Bene giuridico. – 2. Elementi di tipicità. – 3. Questioni di antigiuridicità: i rapporti con la legittima difesa. – 4. Elemento soggettivo. – 5. Consumazione e tentativo. – 6. La fattispecie aggravata del comma 2. – 7. Concorso di persone. – 8. Concorso di reati.
1. Bene giuridico.
1.Bene giuridico.Bene giuridico
Il delitto di rissa è previsto dall’art. 588 c.p. Trova collocazione nel titolo sui delitti contro la persona, in particolare nel capo che contiene le fattispecie poste a tutela dei beni giuridici vita e incolumità individuale.
Negli anni successivi all’entrata in vigore del codice Rocco, ha tuttavia ricevuto significativi consensi dottrinali (Quarta; Antolisei; in argomento, si veda inoltre Salcuni) e giurisprudenziali (ad esempio, Cass., 25 ottobre 2006, n. 10995) l’idea che, con l’incriminazione della semplice partecipazione a una rissa, il legislatore abbia voluto tutelare anche, se non esclusivamente, l’ordine pubblico o, più precisamente, la pubblica tranquillità.
La dottrina degli ultimi decenni, in ciò confortata anche da una giurisprudenza costante, è quasi unanime nel ritenere che vita e soprattutto incolumità individuale (Basile) siano gli esclusivi beni giuridici tutelati dalla fattispecie. Nonostante non sia infrequente, nella realtà, che un pericolo per l’ordine pubblico e la pubblica incolumità sia ben percepibile nello sviluppo di una rissa, ciò non sarebbe comunque essenziale per potere affermare la sussistenza dell’illecito.
2. Elementi di tipicità.
2.Elementi di tipicità.Laconicità della formulazione
Il comma 1 dell’art. 588 c.p. si limita a prevedere che sia punito con la pena della multa fino a euro 2000 «chiunque partecipa a una rissa», lasciando così all’interprete l’onere di un’attività di sussunzione assai delicata, che ha indotto infatti a dubitare seriamente della conformità della fattispecie ai principi costituzionali di tassatività e determinatezza (ad esempio, Fiandaca-Musco; Basile).
Violenza reciproca
In via di prima approssimazione, può dirsi largamente condivisa l’opinione secondo la quale si può parlare di rissa quando si è in presenza di atti violenti reciprocamente posti in essere da più persone: la violenza e il carattere di reciprocità della sua manifestazione sono dunque i requisiti generalmente considerati indefettibili.
Le divergenze aumentano man mano che si cerca di aggiungere qualche altro requisito suggerito dalle esigenze dell’applicazione pratica.
Al riguardo, pacifica l’irrilevanza di semplici ingiurie, si pone anzitutto il problema di stabilire se sia indispensabile il verificarsi di una contesa corpo a corpo, integrata cioè da uno scambio di percosse, oppure rilevi anche uno scontro a distanza. Quest’ultima soluzione ha trovato ragionevoli accoglimenti in giurisprudenza, ove si è affermato che lo scontro può avvenire, in tutto o in parte, anche mediante lancio di oggetti o spari tra più gruppi contendenti, nel qual caso potrebbe risultare ancora più evidente e più grave il pericolo per l’incolumità delle persone (Cass., 11 maggio 1981).
Coerente con la prospettiva di tutela dell’incolumità individuale è poi anche l’opinione di chi considera irrilevante, almeno ai fini della sussistenza del reato, il luogo in cui si verifica lo scontro (F. Mantovani). La giurisprudenza è concorde e riconosce costantemente dignità di rissa a episodi verificatisi in luoghi non frequentati o anche privati e non aperti al pubblico (tra le tante, Cass., 25 febbraio 1988).
Seguendo la stessa ratio, desta qualche perplessità il riferimento alla potenzialità espansiva della contesa come requisito essenziale del reato (Marini; Cornacchia). Al riguardo, può forse dirsi che è assai frequente, nella realtà, che una zuffa abbia caratteristiche tali da poter coinvolgere facilmente altri soggetti; non per questo, però, pare doversi escludere la tipicità del fatto nel caso in cui lo scontro coinvolga un numero esiguo di persone e non ve ne siano altre nello stesso luogo.
In alcuni commenti si è affacciata l’idea che la rissa debba nascere all’improvviso, senza alcuna preordinazione (Giannelli-Maglio) e talvolta si richiede che lo scontro avvenga “ad armi pari”. Non sarebbero riconducibili, pertanto, allo schema dell’art. 588 c.p. né lo scontro successivo al c.d. dichiaramento né la spedizione punitiva, nella quale difetta tendenzialmente una paritas virum tra i contendenti.
A ben vedere, non sembra esservi un valido motivo per escludere la sussistenza del delitto in esame in tutti quei casi in cui due o più fazioni – si pensi, ad esempio, alle baby gang – si fronteggino violentemente “su appuntamento”, fissando il “raduno”, come spesso accade, tramite i social network.
Quanto poi al riferimento alla “competitività” dei contendenti, si è già detto come sia indispensabile che le minacce per l’incolumità individuale siano reciproche e non unilaterali. Quindi, nel caso in cui i “colpi” provengano da un solo fronte, non ci si trova nell’ambito di una rissa; ma «una volta accertata l’esistenza di gruppi contrapposti con vicendevole intenzione offensiva dell’altrui incolumità personale, è irrilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto» (Cass., 19 gennaio 2015, n. 18788).
Numero minimo dei soggetti attivi
Considerato che si tratta, all’evidenza, di un reato necessariamente plurisoggettivo proprio, per il quale è prevista cioè la punibilità di tutti i soggetti coagenti, un problema che da sempre ha suscitato interesse è quello che ha a che vedere con il numero minimo di partecipanti per poter affermare la sussistenza del reato.
L’orientamento più accreditato e ampiamente avallato dalla giurisprudenza è quello che richiede la partecipazione di almeno tre persone, a prescindere dal fatto che almeno due di queste siano raggruppate (ad esempio, Cass., 4 dicembre 2019, n. 12200).
A dividersi il campo con questa lettura è da tempo la tesi che si accontenta di uno scontro violento tra sole due persone. A sostegno, si osserva principalmente che, in assenza di un’indicazione positiva specifica, nulla vieta di sostenere che i beni giuridici vita e incolumità individuale debbano essere tutelati da questa fattispecie anche nel caso in cui a essere esposti al pericolo siano solo due soggetti (Marini; Basile).
Come già detto, la giurisprudenza recepisce da tempo – spesso senza esplicitarne la ragione – la tesi mediana, ma deve segnalarsi come sia affiorata, in alcune pronunce (prevalentemente) di merito (ad esempio, Trib. Monza, 24 gennaio 2008), la tendenza a richiedere che le persone siano «in numero superiore a tre».
In ogni caso, nel numero minimo, secondo un’opinione piuttosto diffusa, dovrebbero includersi anche i soggetti non imputabili e quelli non punibili (Marini; F. Mantovani; Antolisei).
Profili spazio-temporali
A specificazione dei termini di partecipazione alla rissa, in giurisprudenza si ritiene che sia necessaria, in generale, la presenza dei corrissanti nel medesimo contesto spazio-temporale, ma che non occorra che gli stessi vengano contemporaneamente e insieme a vie di fatto, né che la rissa abbia luogo in un unico posto, ben potendo le modalità dell’azione implicare spostamenti in luoghi vicini e frazionamenti in vari episodi collegati. Ne consegue che non viene meno l’unicità di contesto spazio-temporale allorché la violenta e reciproca aggressione tra più soggetti contrapposti abbia una dinamica progressiva e si verifichi attraverso manifestazioni tra loro concatenate e prive di soluzioni di continuità, anche se in luoghi diversi e vicini, a nulla rilevando, in tal caso, che gli eventuali gruppi si scindano in sottogruppi, anche di due sole persone o che, al limite, a uno degli episodi in successione rimangano presenti solo due dei corrissanti (in questo senso, ad esempio, Cass., 3 marzo 2015, n. 19055).
Pericolo e danno
Quanto ai profili di offensività del delitto di rissa, l’opinione prevalente in dottrina ritiene che il legislatore abbia voluto ricorrere allo schema del pericolo astratto (ad esempio, Cornacchia; F. Mantovani) – talvolta lo si qualifica come presunto (Manzini) – e che quindi un esame dell’effettività della minaccia al bene giuridico sia precluso nel caso concreto, anche se il progressivo affinamento della definizione della struttura oggettiva della fattispecie è giunto al punto da prevenire significativamente la sussunzione di episodi non concretamente offensivi. Sembra però ancora più pertinente l’osservazione per cui, già con riferimento alla fattispecie del comma 1, si concretizzerebbe direttamente un danno all’incolumità individuale (Basile).
3. Questioni di antigiuridicità: i rapporti con la legittima difesa.
3.Questioni di antigiuridicità: i rapporti con la legittima difesa.Legittima difesa
Problematica è l’esclusione dell’antigiuridicità del delitto di rissa. Secondo una parte significativa della dottrina, tra rissa e legittima difesa vi sarebbe incompatibilità logica: si argomenta nel senso che, se lo scambio di violenze deriva da un’iniziale aggressione ingiusta e dalla successiva reazione difensiva degli aggrediti, il fatto tipico di reato non sussiste nemmeno in capo agli aggressori; viceversa, se la reazione difensiva è sproporzionata, il reato torna a configurarsi, ma vengono a mancare i presupposti per applicare la causa di giustificazione (ad esempio, Pannain; F. Mantovani).
Muovendo dalla ritenuta inconciliabilità “tendenziale” della legittima difesa con la rissa, taluno ha poi rilevato che, in ogni caso, l’operatività della causa di giustificazione in menzione sarebbe spesso paralizzata in concreto, tenendo conto della frequente difficoltà di distinguere il soggetto aggredito dall’aggressore; ciò anche a causa della simultaneità delle reciproche aggressioni e delle innumerevoli eventualità che possono verificarsi sia nelle intensità delle violenze che nel grado di pericolosità dei mezzi usati (Calamanti).
La giurisprudenza talvolta ha ritenuto che, ordinariamente, la legittima difesa sia inapplicabile al reato di rissa e a quelli commessi nel corso di essa, in quanto i corrissanti sono animati dall’intento reciproco di offendersi e di accettare la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non può dirsi necessitata (ad esempio, Cass., 9 ottobre 2008, n. 4402; Cass., 18 aprile 2013, n. 23883). Si è specificato, in alcuni precedenti, che la legittima difesa può eccezionalmente essere riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti previsti dalla legge, vi sia una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un’offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma e in tal senso ingiusta (Cass., 19 febbraio 2015, n. 32381). Più di recente, si è ripetutamente affermato il principio per cui sarebbe «configurabile la legittima difesa in uno scontro tra gruppi contrapposti solo quando coloro che si difendono si pongono in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o dandosi alla fuga, così da far venir meno l’intento aggressivo, e non quando la difesa si esplica attivamente» (Cass., 8 ottobre 2020, n. 33112; Cass., 12 novembre 2021, n. 3801; nel senso di applicare la legittima difesa agli aggrediti e di escludere contestualmente la sussistenza del delitto di rissa agli aggressori unilaterali, Cass., 2 febbraio 2022, n. 22587).
4. Elemento soggettivo.
4.Elemento soggettivo.Dolo generico
Il delitto di rissa è punibile a titolo doloso. È sufficiente un dolo generico, per integrare il quale vi devono essere consapevolezza e volontà di partecipare a una contesa reciprocamente violenta.
Si è specificato che la partecipazione deve essere connotata da un animo offensivo o di sopraffazione, necessariamente presente in tutti i corrissanti (Cass., 16 aprile 2015, n. 48007). Tuttavia, in dottrina, non manca chi ha definito questo requisito eccessivo, dovendosi ritenere sussistente il dolo anche nei casi in cui si partecipi alla rissa con malanimo, controvoglia, specie nei casi di scontri tra tifoserie “sportive”, in cui talvolta si agisce più che altro per non dissociarsi dal gruppo (F. Mantovani; Basile).
5. Consumazione e tentativo.
5.Consumazione e tentativo.Consumazione
Da parte di più voci, si è sostenuto che l’art. 588 c.p. configuri un reato eventualmente permanente, sulla base del possibile protrarsi per un lasso di tempo apprezzabile dell’attività conflittuale dei rissanti (Pannain; Manzini). Di conseguenza, si è concluso che, per l’individuazione del momento di consumazione del reato, si debba fare riferimento alla cessazione della permanenza.
Tentativo
Il tentativo, astrattamente configurabile – ad esempio nel caso in cui l’imminente e inequivocabile partecipazione alla rissa sia impedita da un improvviso intervento attivo delle forze dell’ordine – sarebbe di problematica legittimazione se si privilegiasse l’inquadramento della fattispecie base del comma 1 quale reato di pericolo. In ogni caso, deve essere segnalata l’assenza di precedenti giurisprudenziali nelle principali banche dati giuridiche. Di più: si è rilevata l’eccezionalità di pronunce persino in relazione alla fattispecie base di rissa: «le risse che giungono all’attenzione delle nostre corti sono sempre risse aggravate da lesione personale o morte […] d’altra parte, chi, partecipando ad una rissa semplice, si è preso qualche percossa – qualche spinta, qualche schiaffo – ben si guarderà dal denunciare il fatto, onde evitare di autodenunciarsi» (Basile).
6. La fattispecie aggravata del comma 2.
6.La fattispecie aggravata del comma 2.Il comma 2 dell’art. 588 c.p. prevede la pena della «reclusione da sei mesi a sei anni» – il minimo e il massimo edittale sono stati elevati in tal senso tramite il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130 (convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 173), che ha ritoccato verso l’alto anche la pena pecuniaria del comma 1 – «se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale». «La stessa pena si applica se la uccisione o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa».
Due ipotesi di circostanza aggravante
Dottrina e giurisprudenza prevalenti paiono orientate nel senso che tale comma disciplini due ipotesi di circostanza aggravante, suscettibili di bilanciamento ex art. 69 c.p. (Basile; Ronco; diversamente Salcuni). Si tratterebbe, in particolare, di ipotesi riconducibili alla categoria delle circostanze aggravanti oggettive di cui all’art. 70, comma 1, n. 1, c.p., in quanto attinenti alla gravità dell’offesa.
Profili di causalità
È opinione prevalente che, con l’utilizzo delle espressioni «rimane ucciso» o «riporta lesione personale», il legislatore abbia voluto escludere effetto aggravante a eventi verificatisi del tutto casualmente; rectius: accaduti secondo modalità eccentriche rispetto ai pericoli più tipici della fattispecie base. Si esemplifica, in tal senso, riferendosi più che altro a ipotesi come quella del corrissante che, nel corso dello scontro, perisca a causa di un malore, quindi indipendentemente da una condotta violenta di un “avversario” che renda ragionevolmente prevedibile il verificarsi della morte.
Quanto al profilo della causalità, si è sottolineato come la relazione tra rissa ed evento aggravante sia da definirsi piuttosto in termini di «occasionalità necessaria» (contra, nel senso della necessità di un accertamento ordinario della causalità, Basile; F. Mantovani), o di «dipendenza» (Pannain), poiché – si dice – la rissa, di per sé, non può essere causa dell’uccisione o della lesione.
Il fatto che la norma preveda che l’evento possa verificarsi genericamente in danno di «taluno» induce buona parte della dottrina, seguita in ciò anche dalla giurisprudenza, a ritenere che possa portare alla pena più grave anche la lesione o la morte di un terzo, purché, naturalmente, avvenuta in connessione alla rissa (ad esempio, Cornacchia); meno accreditata è, invece, la tesi volta a includere anche gli eventi cagionati da terzi estranei (contrari ad entrambe le estensioni, Marini; Giannelli-Maglio).
La posizione del corrissante leso
Punto centrale e assai controverso è quello riguardante i soggetti ai quali l’aggravante si può addebitare e il titolo di tale imputazione (Basile).
La giurisprudenza, alla luce del fatto che l’aggravante è normativamente posta a carico dei rissanti, esplicitamente, «per il solo fatto della partecipazione alla rissa», pare ritenere che si applichi sia all’autore diretto dell’evento dannoso che a tutti gli altri partecipanti al delitto di rissa, compreso il corrissante leso (così, ad esempio, Cass., 9 ottobre 2008, n. 4402).
Personalità e colpevolezza
Non è remoto il rischio che l’addebito dell’aggravante ai corrissanti non autori diretti dell’evento proponga una risposta sanzionatoria quantomeno parzialmente in violazione del principio di personalità della responsabilità penale. Non soddisfano, in particolare, quelle sentenze che ravvisano nella partecipazione alla rissa una sorta di culpa in re ipsa in relazione agli eventi ulteriori (emblematicamente Cass., 22 novembre 1965). Sarebbe decisamente più conforme a Costituzione, come indicato dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione in una ben nota pronuncia in tema di colpa in attività illecita, accertare una colpa “in concreto” (Cass., Sez. Un., 22 gennaio 2009, n. 22676): questa è la declinazione più corretta dell’attuale regime di imputazione delle aggravanti dell’art. 59, comma 2, c.p.
Non si può poi trascurare come una disinvolta applicazione dell’aggravante ponga serie perplessità anche in relazione all’altro – logicamente prioritario – aspetto considerato dall’art. 27 Cost.: pare elusivo, infatti, affermare che il comma 2 dell’art. 588 c.p., letteralmente interpretato, non includa anche vere ipotesi di responsabilità per fatto altrui, argomentando che il rissante che si vede imputato l’evento materialmente prodotto da un corrissante risponde «per avere collaborato alla rissa, antecedente causale dell’evento stesso» (così, invece, letteralmente, Grosso).
Anche la Corte Costituzionale, chiamata in passato a pronunciarsi sulla legittimità del comma 2 dell’art. 588 c.p., ha preso posizione in modo poco soddisfacente; ed è un’insoddisfazione, ex post, tanto più elevata, se si considera il percorso evolutivo che la stessa Corte ha svolto, da lì in avanti, sul tema della colpevolezza. Con la sentenza n. 21/1971, la “Consulta” ha escluso che la norma in questione configuri una responsabilità per fatto altrui o per fatto proprio incolpevole, limitandosi a rilevare che «il singolo corrissante è chiamato a rispondere solo per la sua propria condotta, venendo ad assumere una responsabilità per rissa semplice o aggravata, a seconda degli effetti concreti della “colluctatio”, cui egli ha coscientemente e volontariamente partecipato»: come dire, in realtà, che, una volta “entrato” nella rissa, il soggetto risponde di qualsiasi evento, cioè in qualsiasi modo verificatosi o da chiunque cagionato, poiché coscienza e volontà – uniche tracce “soggettive” nell’imputazione aggravante ricostruita dalla Corte – vengono poste in relazione alla partecipazione alla rissa e non a quel quid pluris che è l’evento che giustifica l’aggravio di pena.
In tale prospettiva, risulta comprensibile – ma, altrettanto, non condivisibile – che parte della dottrina più risalente abbia ritenuto di affermare che l’aggravante si applichi anche prescindendo dall’individuazione del responsabile diretto della morte o delle lesioni verificatesi nella rissa (Pannain; Manzini).
È facile notare come, sostanzialmente, nel tempo si sia affermata un’imputazione obiettiva dell’aggravante, ma ciò che sembra, ancor prima, significativo è che problematico sarebbe persino ipotizzarne un’imputazione per colpa allo stesso soggetto leso, il quale è, tra l’altro, il più penalizzato a livello probatorio. Non privo di criticità, com’è evidente, sarebbe, infatti, imporre un onere di cautelare la propria persona nell’ambito di una rissa, minacciando un correlato aumento di pena. Se si crede di poter affermare l’imposizione di condotte preventive al rissante – una volta, quindi, superato logicamente il divieto di integrare il delitto di base – queste non potranno che essere volte a impedire offese più gravi a terzi (non a sé), altrimenti si rischia di condizionare problematicamente il maggior rimprovero al rispetto di precauzioni paternalistiche sulla propria persona (Pannain; Marini; Giannelli-Maglio; Masera; criticamente anche Basile).
Del tutto analoghe sono le difficoltà di conciliare la seconda ipotesi aggravante contemplata dal comma 2 con l’art. 27 Cost., visto che, seppur non menzionato, si ritiene, anche qui, implicitamente richiamato «il solo fatto della partecipazione alla rissa», come fondamento per una pena più grave. Ciò che è diverso, in questa ipotesi, è che «l’uccisione o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa».
Al riguardo, la dottrina tende a rivalutare la necessità che sia presente un legame causale tra la rissa e l’evento, specificando talora che la disposizione in esame si riferisce a tutte quelle situazioni in cui l’uccisione o la lesione siano frutto di turbamento psichico in capo a chi abbia appena partecipato a una rissa (Quarta). Deve trattarsi di un’azione in stretta connessione alla rissa, la quale si pone come motivo scatenante dell’ulteriore violenza (Pannain; Manzini).
Altra questione caratterizzata da elementi di ordine temporale è quella che riguarda l’addebito dell’aggravante anche a soggetti intervenuti nella rissa dopo l’evento oppure allontanatisi prima della causazione dello stesso. La dottrina si è divisa al riguardo, anche se l’esigenza che il rimprovero sia realmente “personalizzato” dovrebbe indurre a evitare del tutto tali addebiti.
L’inquadramento in senso preterintenzionale
Un’interpretazione della norma in senso preterintenzionale, proposta già in alcuni commenti (Marini; Salcuni; Cornacchia), potrebbe essere suggerita dal particolare legame che intercorre tra la fattispecie semplice e quella aggravata. Infatti, l’illecito descritto nel comma 1 tipizza una situazione di pericolo astratto in relazione ai beni giuridici presi esplicitamente in considerazione e tutelati nel comma 2 (in generale, per questo requisito dell’illecito preterintenzionale, Canestrari); aspetto colto anche da quegli orientamenti giurisprudenziali che, come visto, hanno però surrettiziamente dedotto in via automatica da tale nesso di pericolosità astratta la prevedibilità di ogni evento concreto verificatosi in una rissa, motivando così, con eccessiva disinvoltura, la frequente applicazione della sanzione più pesante.
Anche tale lettura della fattispecie aggravata consentirebbe di esigere (ciò che più conta, ossia) l’accertamento della colpa – tanto partendo dal presupposto che la preterintenzione sia sorta come un’ipotesi di dolo misto a colpa, quanto ricavando la doverosità di questo accertamento dall’obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme degli istituti costruiti come ipotesi di responsabilità incolpevole dal legislatore – del rissante a cui si vogliono addebitare le conseguenze più gravi di quanto realizzato volontariamente.
In termini sostanzialmente non molto diversi, tra gli inquadramenti più recenti, vi è quello di chi ha ravvisato nella fattispecie dell’art. 588, comma 2, c.p. un autonomo delitto aggravato dall’evento basato su un «coefficiente colposo di concreta prevedibilità» dell’evento stesso (Seminara).
Non manca chi auspica l’abrogazione del comma 2 dell’art. 588 c.p., sottolineando come, in tal caso, un’estensione dell’addebito ulteriore ai corrissanti diversi dall’autore del fatto più grave potrebbe avvenire solo a titolo di concorso nel reato (F. Mantovani).
7. Concorso di persone.
7.Concorso di persone.Quanto al concorso di persone nel reato, è diffusa l’opinione secondo cui si può tenere concettualmente distinta la «partecipazione alla rissa» dalla «partecipazione al delitto di rissa». In tale prospettiva, andrebbero puniti direttamente ex art. 588 c.p. soltanto gesti concretamente violenti, rivolti direttamente agli “avversari”, mentre gli istigatori e coloro che forniscono un contributo agevolatore, come la consegna di un’arma, potrebbero essere incriminati ricorrendo alla clausola estensiva dell’art. 110 c.p. In giurisprudenza, vi sono precedenti in cui è stata ammessa la punibilità ex art. 110 c.p. di condotte di istigazione (Cass., 3 ottobre 2019, n. 51103).
Quanto alla circostanza aggravante prevista dall’art. 112, comma 1, n. 1, c.p., che attribuisce rilievo al concorso di cinque o più persone nel reato, si osserva non di rado come il necessario concorso di più persone rappresenti già un dato strutturale del fatto tipico, non potendo quindi rilevare anche come circostanza aggravante (F. Mantovani), così come analoga chiusura è manifestata anche nei confronti della previsione dell’art. 114, comma 1, c.p., volta ad attenuare la pena per i concorrenti responsabili di una condotta di minima importanza (Pannain).
Riguarda ancora il concorso di persone, ma nei reati diversi dalla rissa, il contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità della disposizione dell’art. 116 c.p. ai rissanti diversi dagli autori o coautori dei reati più gravi contro la persona (favorevole, ad esempio, Cass., 2 ottobre 2019, n. 45356), come ipotesi alternativa al mero addebito della fattispecie di rissa aggravata.
8. Concorso di reati.
8.Concorso di reati.In merito alle possibilità e ai limiti di concorso del delitto di rissa con altri reati, l’unico punto su cui vi è piena convergenza riguarda l’assorbimento delle percosse già nella fattispecie di rissa semplice, in linea con la previsione generale dell’art. 581, comma 2, c.p.
Più problematica è l’ipotesi di concorso del delitto di rissa con le fattispecie di omicidio e lesioni personali, rendendosi necessario pervenire a una disciplina che tenga conto dell’esistenza dell’aggravamento di pena specificamente previsto dall’art. 588, comma 2, c.p. (Basile).
La giurisprudenza è costante nel ritenere che con la fattispecie aggravata di rissa prevista dall’art. 588, comma 2, c.p. concorrano, «con riguardo al solo corrissante autore degli ulteriori fatti, i reati di lesioni o di omicidio da costui commessi nel corso della contesa, che non hanno valore assorbente rispetto alla rissa, non essendo il reato di lesioni o quello di omicidio “reato progressivo” rispetto alla rissa e non essendo peraltro il reato di rissa, rispetto alle lesioni e all’omicidio, “reato complesso”» (Cass., 7 luglio 2009, n. 31219; analogamente, in seguito, Cass., 7 aprile 2016, n. 30215).
Secondo i più, l’espressione «per il solo fatto della partecipazione alla rissa» assumerebbe, infatti, qui, un significato diverso da quello attribuitole in sede di “colpevolezza”, ove, come visto, si tende a punire maggiormente per il mero fatto di trovarsi in re illicita. Il legislatore avrebbe voluto espressamente fare salvo il concorso tra art. 588, comma 2, c.p. e reato ulteriore contro la vita o l’incolumità individuale.
Ne bis in idem sostanziale
In ogni caso, non si può però fare a meno di osservare che il risultato a cui si perviene è in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, posto che il rimprovero, per due volte, viene sostanzialmente fondato sul medesimo aspetto di disvalore (opinione diffusa in dottrina: ad esempio, Grosso; Salcuni; Pelissero; Basile; F. Mantovani). Sarebbe, pertanto, più opportuno risolvere il problema all’interno di un’alternativa tra applicazione della fattispecie aggravata e configurazione di un concorso tra rissa semplice e reato ulteriore, in modo da sanzionare con più equilibrio le condotte e gli eventi posti in essere da ciascuno dei rissanti (Grosso).
Questo lineare modo di procedere non incontra, però, il favore della giurisprudenza, la quale sembra temere, ad esempio, che, applicando l’aggravante solo a chi non si è reso materialmente responsabile dell’evento, si finisca per punire l’autore diretto del reato meno di tutti gli altri. Perciò, a quel soggetto viene applicato, di solito, anche l’aumento di pena previsto dal comma 2, in modo da punirlo, così, senza dubbio, più severamente degli altri (ad esempio, Cass., 7 aprile 2016, n. 30215).
Quanto al rapporto con altre fattispecie poste a tutela della persona, si è perlopiù ravvisato il concorso tra rissa e ingiuria (ora depenalizzata) e tra rissa e minacce, forse non attribuendo il giusto rilievo al fatto che la rissa non è di certo un confronto cordiale tra “galantuomini”; una maggior valorizzazione dell’id quod plerumque accidit, dunque, deporrebbe per il concorso apparente di norme.
Note bibliografiche
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