Malaika Bianchi
Sommario: 1. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.). – 1.1. Reato culturalmente motivato. Premessa antropologica-culturale. – 1.2. Premessa definitoria. Cenni di diritto internazionale e comparato. – 1.3. Il nuovo art. 583-bis c.p. I beni giuridici tutelati e l’oggetto materiale del reato. – 1.4. Soggetto attivo e soggetto passivo. – 1.5. Condotte. – 1.6. Assenza di esigenze terapeutiche. – 1.7. Cause di giustificazione: consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) ed esercizio del diritto (art. 51 c.p.). – 1.8. Elemento soggettivo. – 1.9. Circostanze aggravanti e attenuanti. – 1.10. Pene accessorie. – 1.11. Fatto commesso all’estero. – 1.12. Conclusioni: norma manifesto, norma efficace? – 2. Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies). – 2.1. Ratio dell’intervento legislativo. – 2.2. Condotte ed evento. – 2.3. Elemento soggettivo. – 2.4. Una disciplina severa. – 2.5. Reato simbolico o reato necessario?
1. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.).
1.Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.).1.1. Reato culturalmente motivato. Premessa antropologica-culturale.
1.1.Reato culturalmente motivato. Premessa antropologica-culturale.Il delitto di “Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”, introdotto all’art. 583-bis del codice penale con la legge n. 7 del 9 gennaio 2006, prevede, nei primi due commi quanto segue: «Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità». Seguono alcune circostanze aggravanti, pene accessorie e l’ipotesi di fatto commesso all’estero, temi di cui parleremo più avanti nel commento.
Reato culturalmente motivato
Il delitto de quo è riconducibile alla categoria del “reato culturalmente motivato”, ossia un “comportamento realizzato da un soggetto appartenente a un gruppo culturale di minoranza, che è considerato reato dall’ordinamento giuridico del gruppo culturale di maggioranza. Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale del soggetto agente è condonato, o accettato, come comportamento normale, o approvato, o addirittura è incoraggiato o imposto” (Basile).
Le pratiche di manipolazione degli organi genitali femminili (MGF) sono, infatti, diffuse fra alcune comunità etiche e religiose di una quarantina di paesi nell’ambito del continente africano e asiatico e sono volte ad attuare un controllo sulla sessualità e sul corpo della donna. Consistono spesso in un’asportazione di tessuti dell’apparato genitale femminile, anche se le modalità e le tipologie di intervento variano a seconda dell’area socio – geografica di appartenenza, così come diverso è il numero e l’età delle donne che vengono ad esse sottoposte nelle varie comunità.
Motivazioni
Differenti sono anche le motivazioni sottostanti l’esercizio di tali pratiche: rafforzare il senso di appartenenza ad una determinata comunità; adempiere a convinzioni religiose; esaltare la sessualità femminile; soddisfare l’onore familiare; osservare credenze relative all’igiene e alla salute della donna; esaltare la verginità e la fedeltà coniugale; aumentare il piacere sessuale del marito; favorire la fertilità; aumentare le possibilità che la donna trovi marito (amplius Basile).
L’appartenenza radicata a questi sistemi culturali e sociali determina, da un lato, che la donna vittima solitamente accondiscenda o acconsenta ad essere sottoposta a tali pratiche (anche se frequentemente si tratta di bambine molto piccole) o che tema, in caso di rifiuto, di essere ostracizzata dalla comunità di appartenenza e, dall’altro, che l’autore sia convinto di agire per il bene della donna, a tutela della sua salute e del suo stato sociale (Regione Emilia Romagna, Progetto n. 9, 27, 20). Si aggiunga che l’autore potrebbe non essere a conoscenza del fatto che questo comportamento, lecito e ammesso nel proprio paese di provenienza, costituisce reato nel paese ospitante (si pensi al fatto commesso all’estero dallo straniero, come previsto dal quinto comma della norma, o allo straniero appena giunto in Italia e non ancora integrato dal punto di vista socio-culturale), con complesse ricadute in tema di ignoranza della legge penale (Basile).
L’inquadramento di queste condotte nell’ambito dei reati culturalmente motivati fa sorgere gli interrogativi classici insiti nei rapporti fra diritto penale e multiculturalismo: è legittimo incriminare comportamenti che trovano il loro fondamento nella cultura e nel sistema giuridico del paese di provenienza dell’autore ma che si pongono in contrasto con i valori dell’ordinamento occidentale ospitante, e ciò anche nel caso di consenso del soggetto passivo? Qual è la linea di confine fra protezione dei diritti umani fondamentali e rispetto dell’autonomia culturale? (Fiandaca, Musco). Come vedremo nel paragrafo che segue, l’orientamento della comunità internazionale è profondamente contrario alle pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili nella convinzione della loro pericolosità e dannosità per la salute delle donne.
1.2. Premessa definitoria. Cenni di diritto internazionale e comparato.
1.2.Premessa definitoria. Cenni di diritto internazionale e comparato.Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con l’espressione “mutilazioni genitali femminili” (MGF) si intendono “tutte le pratiche di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre alterazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. L’OMS ha, inoltre, classificato quattro tipi di mutilazioni genitali femminili caratterizzate da un diverso grado di gravità: 1) escissione del prepuzio, con o senza escissione parziale o totale del clitoride (primo tipo); 2) escissione del prepuzio e del clitoride, con escissione parziale o totale delle piccole labbra (secondo tipo); 3) escissione di parte o della totalità dei genitali esterni con cucitura o restringimento del canale vaginale (infibulazione); 4) altre pratiche consistenti nel forare, trapassare o incidere il clitoride e/o le labbra, ecc.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che queste pratiche non comportano alcun beneficio per la salute, anzi possono causare rischi immediati per la stessa e complicazioni a lungo termine per la salute e il benessere fisico, mentale e sessuale delle donne. Si tratta di una pratica riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani delle bambine e delle donne e come una forma estrema di discriminazione di genere, che riflette una radicata disuguaglianza tra i sessi. Essendo praticata anche su bambine senza consenso, costituisce una violazione dei diritti dei bambini. Si sostiene che le MGF violino diritti fondamentali, come il diritto alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica, il diritto a non subire tortura e trattamenti crudeli, inumani o degradanti, nonché il diritto alla vita quando tali pratiche portano alla morte (WHO).
Proprio in ragione dei gravi danni alla donna che queste pratiche comportano, si sono espressi a loro condanna, dagli anni ’50, diversi documenti sovranazionali, fra cui si segnalano la Dichiarazione e la Piattaforma d’azione di Pechino del 1995, la dichiarazione congiunta OMS, UNICEF, UNFPA sulle mutilazioni genitali femminili del 1997, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1998 e del 2000, la risoluzione del Parlamento europeo 2001/2035, la recente Dichiarazione sulla intensificazione degli sforzi globali per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili dell’Assemblea Generale dell’ONU (n. 67/146) del 20 dicembre 2012.
Queste prese di posizione a livello internazionale hanno spinto numerosi paesi occidentali a criminalizzare le pratiche di mutilazioni genitali femminili, sia europei (v., per esempio, la Svezia, la Norvegia, il Belgio, la Spagna, la Germania), sia extra-europei (v., per esempio, gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, l’Australia, il Canada). Anche alcuni paesi africani, in cui esse sono diffuse per ragioni culturali, sono intervenuti a vietare a livello normativo in tutto o in parte tali pratiche, ad es. Ghana, Tanzania, Sudan (Basile).
1.3. Il nuovo art. 583-bis c.p. I beni giuridici tutelati e l’oggetto materiale del reato.
1.3.Il nuovo art. 583-bis c.p. I beni giuridici tutelati e l’oggetto materiale del reato.Con la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, l’Italia si allinea agli altri paesi occidentali che hanno deciso di prevedere una disciplina ad hoc per contrastare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili e lo ha fatto introducendo, attraverso una nuova norma, due autonome fattispecie di reato: il delitto di mutilazione degli organi genitali femminili (comma 1) e il delitto di lesione degli organi genitali femminili (comma 2).
Mutilazione degli organi genitali femminili
Come vedremo diffusamente più avanti, si punisce, con il delitto di “mutilazione degli organi genitali femminili”, chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili, intendendosi, per pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
Lesione degli organi genitali femminili
Si punisce con il delitto di “lesione degli organi genitali femminili” chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente. Il primo delitto prevede una pena più severa (reclusione da quattro a dodici anni) rispetto a quella prevista per il secondo (reclusione da tre a sette anni). La pena per il secondo delitto è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
Prima dell’introduzione della nuova norma, queste pratiche erano comunque riconducibili nell’ambito del delitto di lesioni personali (artt. 582-583 c.p.). Quali sono dunque le motivazioni sottostanti l’introduzione della nuova norma? Da un lato vi è la percepita esigenza di far emergere chiaramente, attraverso una norma simbolica, il disvalore di questo comportamento e di rendere più immediata la denuncia da parte degli operatori sanitari e dei servizi; dall’altro vi è l’esigenza di evitare che possa operare la regola del bilanciamento fra circostanze (le lesioni gravi e gravissime, in quanto circostanze aggravanti, possono infatti essere poste in bilanciamento con circostanze attenuati) e quindi il rischio che condotte di mutilazioni genitali femminili vengano punite con pene troppo lievi (Basile).
Beni giuridici
La dottrina individua i beni giuridici tutelati dai delitti di mutilazione e lesione degli organi genitali femminili nell’integrità fisica della donna, nella sua salute psico-sessuale e anche nella sua dignità personale, in considerazione del ruolo di controllo della sessualità femminile che si riconosce a queste pratiche.
Oggetto materiale
Oggetto materiale dei reati sono gli organi genitali femminili. Risulta pertanto dirimente comprendere se debbano essere tenuti in considerazione ai fini del reato solo gli organi genitali femminili esterni o anche quelli interni. Sebbene secondo la letteratura medica gli organi genitali comprendano sia gli organi genitali interni che esterni, si ritiene, pur in presenza della generica locuzione “organi genitali femminili”, che il legislatore abbia inteso far riferimento, in ossequio alla definizione elaborata dall’OMS, che fu presa come riferimento nei lavori preparatori della nuova incriminazione, ai soli organi genitali femminili esterni (individuati, in medicina, nel monte di Venere, nelle grandi labbra, nelle piccole labbra, nel clitoride, nel vestibolo della vagina, nei bulbi del vestibolo, nelle ghiandole vestibolari e nell’imene con esclusione delle gonadi e delle vie genitali interne) (Basile; Abbadessa). Se non si adottasse questa interpretazione restrittiva, e si includessero nell’alveo dell’incriminazione anche pratiche manipolative di organi genitali femminili interni, non solo si creerebbe una sovrapposizione con il reato di lesioni personali gravissime nel caso, per esempio, della perdita della capacità di procreare, ma si rischierebbe anche di interporsi in pratiche pienamente volontarie e consensuali che attualmente non sono criminalizzate in Italia, volte a ridurre o addirittura ad escludere la capacità riproduttiva della donna (ossia forme di sterilizzazione consensuale non terapeutica, come, per esempio, la chiusura delle tube uterine per non avere più figli) e che rappresentano una forma di auto-controllo della donna sulla propria sessualità, ossia una manifestazione di autodeterminazione, che si pone in segno opposto rispetto alla ratio che sottende il fenomeno delle MGF che si intende reprimere, ossia l’etero-controllo dell’uomo e della società sulla sessualità della donna (Basile).
1.4. Soggetto attivo e soggetto passivo.
1.4.Soggetto attivo e soggetto passivo.Reati comuni
Entrambi i delitti descritti dalla norma possono essere commessi da “chiunque”. Si tratta pertanto di “reati comuni”.
Soggetto passivo può essere solo una donna, trattandosi di organi genitali femminili. È previsto un aumento di pena per il caso in cui il soggetto passivo sia una minorenne.
1.5. Condotte.
1.5.Condotte.Come abbiamo anticipato, la norma contempla due delitti. Il primo comma punisce chiunque, in assenza di ragioni terapeutiche, cagioni una mutilazione degli organi genitali femminili; il secondo punisce chiunque, in assenza di ragioni terapeutiche, provochi, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili.
Mutilazione degli organi genitali femminili
Per quanto riguarda il delitto di “mutilazione degli organi genitali femminili”, il legislatore ha individuato le pratiche di mutilazione, attraverso una loro elencazione, partendo dalla pratica meno invasiva per arrivare a quella più invasiva e grave: «Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo».
La “clitoridectomia” ha un preciso contenuto descrittivo autonomo e consiste nell’ablazione, parziale o totale, del clitoride.
Le definizioni di escissione e infibulazione sono invece rinvenibili nella classificazione fornita dall’OMS e recepita, fra gli altri, dalla Risoluzione n. 2001/2035 del Parlamento europeo. Per “escissione” si intende “l’ablazione del clitoride e delle piccole labbra”; per “infibulazione” si intende “l’ablazione totale del clitoride e delle piccole labbra nonché della superfice interna delle grandi labbra e cucitura della vulva per lasciare soltanto una stretta apertura vaginale”.
La definizione si chiude con una formula di genere: “qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo”. La dottrina ritiene che possa ritenersi integrata tale clausola da tutte le altre condotte che cagionino una mutilazione, cioè l’ablazione, l’asportazione, la resezione, il distacco, parziale o totale, di uno o più organi genitali femminili esterni.
Lesioni agli organi genitali femminili
Il delitto meno grave di “lesioni agli organi genitali femminili” è descritto con una formula analoga a quella prevista per il delitto di lesioni, attraverso il riferimento alla nozione di “malattia”. La condotta incriminata consiste nel provocare, anche qui in assenza di esigenze terapeutiche, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente. Centrale è il concetto di “malattia nel corpo o nella mente” per il quale valgono le stesse considerazioni effettuate nel commento all’art. 582 c.p. Dovendo trattarsi di lesioni diverse da quelle indicate nel primo comma della norma, si ritiene che questo secondo delitto dia rilevanza al IV tipo di MGF secondo la classificazione dell’OMS, ossia le pratiche manipolatorie consistenti nel forare, trapassare o incidere il clitoride o le labbra, nel produrre una tensione del clitoride e/o delle labbra, nel cauterizzare mediante ustione il clitoride e i tessuti circostanti, nell’introdurre sostanze corrosive nella vagina per causare sanguinamento o nell’introdurre erbe nella vagina allo scopo di serrarla o restringerla. Secondo la dottrina vi rientrerebbe anche la reinfibulazione, ma non la deinfibulazione (Basile).
1.6. Assenza di esigenze terapeutiche.
1.6.Assenza di esigenze terapeutiche.Per entrambi i delitti previsti dalla norma (mutilazione e lesioni) è previsto, quale elemento negativo del fatto tipico, l’assenza di esigenze terapeutiche (Fiandaca-Musco), ossia l’assenza di patologie che, per essere curate, richiedono l’esecuzione delle pratiche descritte dalla norma.
In questi casi la mutilazione o le lesioni si renderebbero necessarie, nell’interesse della donna, per prevenire una malattia, per evitare un suo peggioramento, per consentire la guarigione (si pensi, per esempio, alla rimozione di una cisti dal canale vaginale) (Basile).
Ciò vuol dire che se l’intervento viene effettuato per esigenze terapeutiche, nell’interesse della salute della donna, nessuna di queste due ipotesi delittuose potrà ritenersi configurata. Sarà, peraltro, compito del giudice accertare che effettivamente sussistano tali “esigenze” e lo farà sulla base delle acquisizioni riconosciute dalla scienza medica italiana e occidentale.
Si tratta invero di un tema molto delicato dal momento che solitamente chi esegue tali pratiche lo fa nella convinzione di agire per migliorare la salute della donna, come previsto dalla cultura di origine. Questo aspetto dovrà essere preso in considerazione in sede di accertamento del dolo, poiché ai fini della sua sussistenza è necessaria anche la consapevolezza di agire in assenza di esigenze terapeutiche (Abbadessa) (v., amplius, par. 1.8).
1.7. Cause di giustificazione: consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) ed esercizio del diritto (art. 51 c.p.).
1.7.Cause di giustificazione: consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) ed esercizio del diritto (art. 51 c.p.).Consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.)
Per capire se la scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) sia applicabile in relazione ai delitti descritti dall’art. 583-bis, occorre innanzitutto verificare se i diritti offesi dal fatto tipico siano disponibili o meno. Ebbene, l’integrità fisica, la salute psico-sessuale, la dignità della donna possono essere considerati diritti individuali relativamente disponibili, ossia disponibili entro i limiti indicati dall’art. 5 c.c., che ricordiamo essere un importante punto di riferimento per valutare il perimetro di operatività del consenso dell’avente diritto in relazione all’integrità personale fisica, in quanto vieta atti di disposizione del proprio corpo “quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Risulta pertanto fondamentale capire entro quali limiti può avere valore il consenso della donna in questo ambito (Basile; Abbadessa).
Per quanto riguarda il delitto di mutilazione (primo comma), il consenso della vittima non dovrebbe avere rilevanza scriminante dal momento che questa pratica determina una diminuzione permanente dell’integrità fisica della donna. Vi è peraltro chi sostiene, con un parallelismo con altre pratiche che incidono sull’integrità fisica del soggetto che esprime il consenso e che sono ammesse dal nostro ordinamento (es. mutamento del sesso, donazione del rene, circoncisione maschile rituale, ecc.), ma anche ragionando su un concetto ampio di salute della donna (che includa non solo la dimensione fisica ma anche psichica), che anche nel caso delle mutilazioni genitali femminili, la donna adulta potrebbe esercitare la propria libertà di autodeterminazione e decidere di sottoporvisi consapevolmente e liberamente (Basile; Fiandaca, Musco).
Per quanto riguarda il delitto di lesioni agli organi genitali femminili (secondo comma), si ritiene in dottrina che il consenso della donna possa, in alcuni casi, avere valore scriminante. Ci si riferisce alle ipotesi in cui le pratiche lesive non cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, non siano contrarie alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume: in questa fattispecie rientrano infatti anche diminuzioni temporanee dell’integrità fisica. Valutazione quest’ultima che dovrà essere effettuata caso per caso in sede giudiziaria (v. Fornasari; Basile; Bartoli, Pellissero, Seminara).
Un problema interpretativo non semplice si pone nel caso in cui ad essere sottoposta a tali pratiche sia una bambina. Non avendo quest’ultima la capacità naturale per esprimere un consenso valido, ci si interroga in ordine alla legittimità del consenso espresso dai genitori e in dottrina vi è chi chiaramente risponde che i genitori non sarebbero legittimati ad acconsentire al posto della figlia minorenne alla sua sottoposizione a tali pratiche, salvo sussistano comprovate esigenze terapeutiche (Strano Ligato).
Esercizio del diritto (art. 51 c.p.)
A diverse conclusioni si giunge in ordine alla scriminante dell’esercizio del diritto (art. 51 c.p.). I due diritti che potrebbero essere rilevanti in questo contesto sono il diritto di libertà religiosa e il diritto che deriva da una consuetudine. In dottrina si esclude che possano avere valore scriminante. Per quanto riguarda il diritto alla libertà religiosa (art. 19 Cost.), esso soccombe se posto in bilanciamento con il diritto all’integrità fisica, alla salute psico-sessuale (art. 32 Cost.) e alla dignità personale (artt. 2 e 3 Cost) (si pensi ai genitori che invocano il proprio credo religioso a giustificazione della sottoposizione della figlia alle suddette pratiche). Per quanto riguarda la consuetudine, anche qualora si fosse in presenza di una norma consuetudinaria applicata in un altro ordinamento, dal momento che non è recepita nell’ordinamento giuridico italiano, essa non può avere rilevanza scriminante (amplius Basile).
1.8. Elemento soggettivo.
1.8.Elemento soggettivo.Il delitto di mutilazione degli organi genitali femminili (comma 1) è punito a titolo di dolo generico. Il delitto di lesione degli organi genitali femminili (comma 2) è punito a titolo di dolo specifico (“fine di menomare le funzioni sessuali”).
Dolo generico
Per entrambe le fattispecie occorre pertanto la rappresentazione e volontà di cagionare la mutilazione (I comma) o le lesioni (II comma) nella consapevolezza dell’assenza di esigenze terapeutiche. Se il soggetto agisce in assenza di tale consapevolezza non potrà rispondere per i delitti in commento. Sarà compito del giudice, in sede di accertamento del dolo, verificare se difetta tale consapevolezza e in caso di valutazione con esito negativo, potrà ritenere configurabile, qualora ne sussistano tutti gli elementi, il reato di lesioni personali dolose, di cui all’art. 582 c.p., eventualmente aggravato (art. 583 c.p.).
Dolo specifico
Per quanto riguarda il reato di cui al II comma occorre altresì che l’agente abbia agito al “fine di menomare le funzioni sessuali”: pertanto qualora egli operi in assenza della finalità di menomare le funzioni sessuali del soggetto passivo, non potrà essere ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 583-bis, comma II, c.p., ma potrà rispondere, qualora ne sussistano tutti gli elementi, del reato di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p., eventualmente aggravato ai sensi dell’art. 583 c.p.
Evidentemente la presenza di questo dolo specifico pone problemi di coordinamento con le motivazioni culturali che solitamente sottendono tali pratiche. Esso, infatti, difetterebbe nel caso in cui l’autore abbia agito al fine contrario di migliorare la salute della donna, nel senso di consentire che esprima la sua sessualità secondo i canoni della cultura di appartenenza (Basile; Abbadessa). Sul punto si è espressa la Corte d’Appello di Venezia che, riformando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto non configurato il dolo specifico della fattispecie in capo a due genitori, appartenenti alla comunità degli Edo-bini nigeriani, che avevano accettato di sottoporre le proprie figlie a tali pratiche. La Corte, dando rilevanza anche alle dichiarazioni di testi qualificati (due docenti universitari e un sacerdote cristiano), che avevano illustrato le finalità culturali sottese a tali pratiche, ha ritenuto che gli imputati avessero agito per motivazioni legate a funzioni identitarie, di umanizzazione e di purificazione e in assenza di finalità di menomazione delle funzioni sessuali (A. Venezia, 21 febbraio 2013, n. 1485).
Ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 c.p.)
Sotto il profilo della colpevolezza, inoltre, non può escludersi che il soggetto agente non sia a conoscenza del fatto che l’esercizio di tali pratiche integri un reato in Italia e che si possa prendere in considerazione una eventuale ipotesi di ignoranza inevitabile (art. 5 c.p.). Si pensi, per esempio, all’ipotesi di fatto commesso all’estero dallo straniero ai danni di una bambina straniera residente in Italia che si trova in vacanza nel paese di origine con la famiglia (v., infra, il quinto comma dell’art. 583-bis c.p.); ovvero al caso di uno straniero non residente in Italia che, ospite nel nostro Paese per pochi giorni di una famiglia della medesima etnia (residente in Italia), e quindi soggetto totalmente carente in termini di integrazione e socializzazione, su richiesta del genitore pratichi sulla figlia di quest’ultimo una mutilazione genitale secondo quanto previsto dalla loro cultura di appartenenza (potremmo essere nell’ambito di una “non colpevole carenza di socializzazione”. Sul punto, v. Basile).
Proprio sul tema dell’ignoranza della legge penale, in un caso di mutilazioni genitali femminili si è espressa recentemente la giurisprudenza in uno dei pochi casi giudiziari editi. Nel caso di specie le pratiche mutilatorie erano state effettuate su due sorelle minorenni di origine egiziana durante una vacanza in Egitto. A distanza di diversi anni, in seguito ad un colloquio con una operatrice e conseguente visita ginecologica, i genitori delle ragazze venivano chiamati a rispondere del reato in commento. Sulla base delle risultanze probatorie, in primo grado, la madre veniva condannata mentre il padre veniva assolto per non aver commesso il fatto, esito che viene confermato anche nei successivi gradi di giudizio. Orbene, viene respinta in tutti i gradi di giudizio la tesi difensiva dell’assenza di colpevolezza della madre, per ignoranza inevitabile della legge penale. La difesa adduceva la breve permanenza in Italia dell’imputata prima dei fatti (era arrivata in Italia nel 2005, i fatti erano avvenuti in Egitto nel 2007 e la nuova norma era entrata in vigore nel 2006); la scarsa integrazione in Italia anche sotto il profilo della mancanza di un adeguato livello culturale, visto lo scarsissimo livello di scolarizzazione (la ricorrente avrebbe conseguito la licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione solo nel 2010); il consolidato retaggio culturale, considerando da un lato che la pratica di mutilazioni genitali femminili in Egitto è diffusissima e radicata e dall’altro che la stessa ricorrente vi era stata sottoposta.
La Corte di Cassazione, nella prima sentenza di legittimità che si è pronunciata sulla norma in oggetto, evidenzia, innanzitutto, che le conformi pronunzie di merito “hanno posto in evidenza la consistente durata della permanenza in Italia della donna, iniziata ad Ottobre 2005, essendo le condotte illecite perpetrate tra Luglio e Settembre 2007, il medio livello culturale in suo possesso e il significativo decorso del tempo tra l’inserimento nel codice penale della norma incriminatrice speciale violata – Febbraio 2006 – e l’epoca del commesso reato, puntualizzando che le condotte oggetto di giudizio anche in precedenza ricadevano sotto la previsione sanzionatoria del delitto di lesioni aggravate”. Inoltre, per quanto concerne la consuetudine egiziana in materia, che avrebbe determinato la commissione del reato, osserva come la giurisprudenza di legittimità abbia più volte affermato il principio “secondo il quale eventuali giustificazioni fondate sulla circostanza che l’agente per la cultura mutuata dal proprio paese d’origine sia portatore di diverse concezioni dei rapporti di famiglia, non assumono rilievo, in quanto la difesa delle proprie tradizioni deve considerarsi recessiva rispetto alla tutela di beni giuridici che costituiscono espressione di un diritto fondamentale dell’individuo ai sensi dell’art. 2 Cost. (Sez. 3, Sentenza n. 7590 del 20 novembre 2019 Ud. (dep. 26 febbraio 2020) Rv. 278600). Principio ripreso anche in relazione a facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza – come per certi versi sembra prospettare nel caso di specie la versione difensiva – qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell’ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di vivere; in tal senso si sottolinea l’esigenza di valorizzare – in linea con l’art. 3 Cost. – il principio della centralità della persona umana, in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a tradizioni diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica”. Per quanto riguarda il cd. “dovere di informazione” per conseguire la conoscenza della legislazione vigente, la Corte afferma che: “dalle concordanti sentenze di merito emerge chiaramente che in base alle condizioni soggettive ed oggettive di vita della giudicabile, alle quali si è accennato in precedenza, la stessa sarebbe stata in grado di informarsi adeguatamente circa l’esistenza del divieto, penalmente sanzionato, di praticare le mutilazioni genitali alle figlie” (T. Torino 30 ottobre 2018, n. 1626; C. App. Torino 26 febbraio 2020, n. 1410; Cass., 2 luglio 2021, n. 37422, con nota di Sciuttieri).
1.9. Circostanze aggravanti e attenuanti.
1.9.Circostanze aggravanti e attenuanti.Il terzo comma della norma prevede un aumento della pena di un terzo “quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro”.
Inoltre la legge n. 94 del 2009 ha esteso l’applicazione delle circostanze aggravanti previste dall’art. 585 c.p. anche al delitto in commento: la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite. Di particolare rilievo, in questo contesto, l’ipotesi che il fatto sia commesso ai danni di un discendente.
Il secondo comma (quindi il delitto di “lesione degli organi genitali femminili”) prevede poi una circostanza attenuante ad effetto speciale (diminuzione della pena “fino a due terzi”) per il caso in cui la lesione sia di lieve entità. In giurisprudenza è stata ritenuta di lieve entità una minima e superficiale incisione del clitoride, che si è cicatrizzata in pochi giorni e non ha verosimilmente prodotto alcun pregiudizio alla sensibilità del clitoride (v. T. Verona 14 aprile 2010, O., in DImm, 2010, 234).
1.10. Pene accessorie.
1.10.Pene accessorie.Decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale
Il quarto comma della norma, introdotto dalla l. 1° ottobre 2012, n. 172 dispone che: «La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente:
1) la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale;
2) l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno».
Interdizione della professione sanitaria (art. 583-ter c.p.)
La severità sanzionatoria emerge inoltre anche dalla previsione di una ulteriore pena accessoria di particolare rigore, introdotta nell’ambito all’art. 583-ter c.p., secondo cui: «La condanna contro l’esercente una professione sanitaria per taluno dei delitti previsti dall’articolo 583-bis importa la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da tre a dieci anni. Della sentenza di condanna è data comunicazione all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri». Il legislatore ha dunque voluto colpire severamente gli esercenti una professione sanitaria che si rendano responsabili di uno dei delitti indicati, aggiungendo alla sanzione principale, l’interdizione dalla professione per un tempo particolarmente lungo (da un minimo di tre a un massimo di dieci anni). La previsione di questa pena accessoria si pone in linea con le politiche internazionali e nazionali di contrasto a qualsiasi forma di medicalizzazione delle pratiche di mutilazioni genitali femminili, come espresso non solo dall’Organizzazione mondiale della sanità, ma anche dal Parlamento europeo (Risoluzione n. 2001/2035) e dall’Assemblea generale dell’ONU (v. Risoluzione n. 67/146). Se da un lato la medicalizzazione di tali pratiche permetterebbe di evitare gravi rischi alla salute della donna (proprio perché verrebbero effettuate in un contesto “professionale”), dall’altro lato essa rappresenterebbe una tendenziale legittimazione delle stesse (WHO).
1.11. Fatto commesso all’estero.
1.11.Fatto commesso all’estero.Il quinto comma amplia i limiti di validità spaziale della legge italiana, estendendo l’applicabilità della norma anche in caso di fatto commesso all’estero, purché soggetto attivo sia un cittadino italiano o uno straniero residente in Italia, ovvero purché il soggetto passivo sia un cittadino italiano o straniero residente in Italia. La norma si conclude specificando che “in tal caso la punibilità è subordinata alla richiesta del Ministro della giustizia”.
1.12. Conclusioni: norma manifesto, norma efficace?
1.12.Conclusioni: norma manifesto, norma efficace?La scarsa applicazione giurisprudenziale della disposizione in commento e la presenza di altre norme che, già prima dell’introduzione dell’art. 583-bis c.p., permettevano di punire tali pratiche (v. i reati di lesioni) con pene edittali comunque severe, porta a riflettere sulla reale necessità della sua introduzione e sulla sua efficacia. Se da un lato si riconosce che alla base della scelta legislativa di introdurre la nuova norma vi fosse la preoccupazione che le pene previste per i reati di lesioni gravi e gravissime, in quanto circostanze aggravanti, potessero subire il bilanciamento con circostanze attenuanti e quindi l’opportunità di evitare che potessero essere applicate in concreto, a condotte di mutilazioni genitali femminili, pene sproporzionate in difetto, perché troppo lievi, dall’altro non si nega anche il carattere simbolico della nuova norma, volta a porre in evidenza il disvalore di tali pratiche (Basile).
Infine, si segnala che in un parere titolato “Circoncisione: profili bioetici” del Comitato nazionale per la bioetica, pubblicato il 25 settembre 1998, quindi prima dell’introduzione della nuova norma, il Comitato, pur dichiarando l’inammissibilità sotto il profilo etico di tali pratiche ed auspicando che venissero contrastate anche attraverso il diritto penale, esprimeva perplessità in ordine alla efficacia deterrente della sanzione penale, anche se formalmente irrinunciabile, “al fine di sradicare costumi e tradizioni dotate di ascendenze profonde nella cultura “di base” di molte popolazioni”, e suggeriva di investire in politiche di integrazione e aiuto ad elaborare una visione positiva e differente della sessualità femminile.
2. Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies).
2.Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies).2.1. Ratio dell’intervento legislativo.
2.1.Ratio dell’intervento legislativo.L’art. 583-quinquies c.p. prevede il nuovo reato di “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, con cui si punisce, con una pena particolarmente severa (reclusione da otto a quattordici anni), “chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso”.
La nuova figura autonoma di reato è stata introdotta dalla legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, conosciuta come “Codice Rosso”) che ha contestualmente abrogato il n. 4 del secondo comma dell’art. 583 c.p. (lesioni gravi e gravissime), che prevedeva un aggravamento della pena per le lesioni personali gravissime consistite nella deformazione o sfregio permanente del viso. Non si tratta dunque di una vera novità dal momento che la fattispecie era già prevista nell’impianto codicistico come circostanza aggravante, ma dell’introduzione di una fattispecie ad hoc che punisce con una pena più elevata la lesione personale dalla quale derivano appunto la deformazione o lo sfregio permanente del viso.
Obiettivi dell’introduzione di una figura autonoma di reato
La trasformazione a figura autonoma di reato ha avuto due obiettivi principali.
Sotto il profilo simbolico il legislatore ha voluto stigmatizzare il gravissimo fenomeno dei cd. “omicidi di identità”, rimarcandone il disvalore. Note sono vicende di cronaca che raccontano soprattutto di donne che alla fine di una relazione affettiva vengono sfigurate dal partner o dall’ex partner, spinto da finalità vendicative, con sostanze acide o corrosive. È evidente che il deturpamento e lo sfregio del volto incide indelebilmente sull’identità fisica, sociale e psicologica della vittima (Basile). Non a caso vi è chi individua proprio nella identità della persona che si manifesta attraverso l’aspetto esteriore il bene giuridico tutelato dalla norma e il principale distinguo rispetto alla precedente incriminazione contenuta nella previgente circostanza aggravante di cui all’art. 583, comma 2, n. 4 c.p. (Schiavo).
Sotto il profilo sanzionatorio è stata prevista, da un lato, una cornice edittale più severa rispetto a quella prevista per le lesioni gravissime (reclusione da otto a quattordici anni anziché reclusione da sei a dodici anni) e, dall’altro, si è voluto evitare che condotte di tal fatta possano essere punite con pene troppo lievi, e dunque sproporzionate in difetto, a causa del meccanismo del bilanciamento della circostanza aggravante con possibili circostanze attenuanti (Masera).
2.2. Condotte ed evento.
2.2.Condotte ed evento.È un reato a forma libera, poiché non sono indicate specifiche modalità attraverso le quali viene effettuata la condotta (possono essere armi da taglio, agenti chimici, fuoco, ecc.).
A differenza del reato di lesioni si precisa, tuttavia, che l’evento cagionato deve essere una deformazione o uno sfregio permanente ad una specifica parte anatomica, ossia al viso. La giurisprudenza si è già espressa in merito alla nozione di “deformazione” e di “sfregio” con riferimento alla previgente disposizione di cui all’art. 583, comma 2, n. 4, c.p. che, come abbiamo già detto, prevedeva un aggravamento della pena per le lesioni personali gravissime consistite nella deformazione o sfregio permanente del viso e che è stata abrogata contestualmente all’introduzione del delitto in commento.
In particolare, la Corte di Cassazione intende per deformazione o deformismo un’alterazione anatomica del viso che ne alteri profondamente la simmetria, tanto da causare un vero e proprio sfiguramento (Cass., 4 luglio 2000, n. 12006). Per sfregio permanente si intende, invece, qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità. Per quanto concerne, infine, il concetto di “viso”, ossia la sede oggetto di deformazione o di sfregio, si sono formati tre orientamenti con riferimento all’abrogata aggravante: secondo un orientamento più restrittivo deve intendersi quella parte del corpo che va dalla fronte all’estremità del mento e dall’uno all’altro orecchio, questi compresi; secondo un orientamento più estensivo, si ricomprende nella nozione di viso anche la parte centrale e le parti laterali del collo; secondo una lettura intermedia, la nozione di viso include anche le zone di “contorno”, che necessariamente contribuiscono alla formazione e al completamento dell’immagine, come la regione mandibolare e quella latero-superiore del collo, qualora l’alterazione sia tale da causare una modifica dei lineamenti del viso (Basile).
2.3. Elemento soggettivo.
2.3.Elemento soggettivo.Dolo generico
Il reato è punibile a titolo di dolo generico. Il soggetto agente deve quindi essersi rappresentato e voler cagionare la lesione consistente nella deformazione o nello sfregio permanente al viso, quantomeno nella forma del dolo eventuale.
Il reato non è punibile a titolo di colpa. Si tratta, sotto questo profilo, di una diminuzione di tutela rispetto alla disciplina previgente, poiché, se prima le ipotesi colpose potevano essere punite a titolo di lesioni colpose gravissime, ora, dal momento che il reato ad hoc è previsto solo nella forma dolosa, le ipotesi colpose potranno essere punite solo come lesioni lievi, o al più come lesioni gravi qualora la malattia superi i quaranta giorni (si fa, in dottrina, l’esempio di un chirurgo estetico che trasforma per imperizia il volto di una paziente in una maschera orripilante) (Manna; Padovani; Masera).
2.4. Una disciplina severa.
2.4.Una disciplina severa.Art. 576 c.p.
La legge n. 69/2019 ha inoltre modificato altre norme contemplando al loro interno anche le fattispecie di cui all’art. 583-quinquies c.p. Si tratta dell’art. 576 c.p., che prevede un aggravamento della pena (ossia l’ergastolo) nel caso di omicidio doloso aggravato da una delle circostanze indicate nella norma: ebbene, al comma 1, n. 5), è stato inserito anche l’art. 583-quinquies: si applica quindi la pena dell’ergastolo se l’omicidio doloso è commesso in occasione della commissione del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.
Art. 585 c.p.
Anche l’art. 585 c.p., a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 69/2019, oggi contempla, fra le altre, le ipotesi di cui all’art. 583-quinquies c.p. e quindi prevede un aggravamento della pena (da un terzo alla metà) nel caso in cui nel delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso concorra «alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 576» e prevede un aumento della pena fino a un terzo «se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite».
Art. 165 c.p.
Il delitto di cui all’art. 583-quinquies rientra, inoltre, fra i reati per cui la concessione della sospensione condizionale della pena è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati (art. 165, comma 5, c.p.).
Pena accessoria
L’impatto sanzionatorio è altresì inasprito dalla previsione di severe pene accessorie. Il secondo comma della norma prevede, infatti, che: «la condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno».
Ordinamento penitenziario
Il legislatore del 2019 interviene anche sull’ordinamento penitenziario subordinando l’applicazione dei benefici penitenziari per i condannati del delitto in commento ai risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno (art. 4-bis, comma 1-quater, Legge n. 354 del 1975). Sempre nello stesso testo normativo, l’art. 583-quinquies c.p. è stato inserto fra i delitti per i quali l’art. 13-bis prevede un trattamento psicologico per i condannati, con finalità di recupero e di sostegno.
2.5. Reato simbolico o reato necessario?
2.5.Reato simbolico o reato necessario?Una parte della dottrina si interroga sulla fondatezza politico-criminale e sull’opportunità dell’introduzione del nuovo reato ad hoc, mettendo a confronto la deturpazione del viso con altre lesioni gravissime che incidono irreparabilmente sulla vita di una persona (ad es. l’inutilizzabilità delle gambe e la necessità di una sedia a rotelle per muoversi, incapacità di respirare in assenza di un supporto di ossigeno esterno, ecc.) per le quali non è prevista una disciplina specifica altrettanto severa. Inoltre, riflettendo sugli esigui numeri dei casi che hanno ad oggetto condotte di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (si parla di una decina di vicende nell’arco temporale 2001-2017), si eccepisce che il fondamento dell’intervento legislativo sia da rinvenirsi più su una spinta emotiva e ideologica piuttosto che su ponderate riflessioni di natura politico criminale (Casalnuovo, Colella). Vi è peraltro chi, pur consapevole dei suoi aspetti critici, non tralascia alcune annotazioni positive, quale l’effetto deterrente che deriva dalla configurazione di una fattispecie ad hoc, ben più visibile rispetto ad una circostanza aggravante (Schiavo).
Note bibliografiche
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