Sommario: 4.1 Analisi degli scenari di emissione catastrofica – 4.2 Introduzione alla classificazione delle zone a rischio di esplosione – 4.3 Classificazione delle zone a rischio di esplosione per presenza di gas e vapori infiammabili – 4.4 Classificazione delle zone a rischio di esplosione per presenza di polveri combustibili – 4.5 Esempi applicativi ed approfondimenti
Abstract: Il Capitolo si propone di illustrare le metodologie di classificazione conformi alle norme EN IEC 60079-10-1 e CEI EN 60079-10-2. Sono inoltre introdotte particolari ed innovative metodologie per il calcolo delle distanze a rischio di esplosione elaborate a partire da simulazioni realizzate con il Software TNO-Effects, oltre a numerosi esempi applicativi ed approfondimenti.
«La gravità con la quale un sistema sbaglia è direttamente proporzionale all’intensità del credo del progettista che ciò non possa accadere.»
The Titanic Effect, J.A.N. Lee1
A partire dal Dopoguerra i provvedimenti richiedenti esplicite misure di sicurezza in luoghi con pericolo di esplosione derivarono dall’applicazione del Titolo VII, Capo X del D.P.R. n. 547/1955 (“Installazioni elettriche in luoghi dove esistono pericoli di esplosione o di incendio”)2.
In particolare vennero suddivisi i luoghi con pericolo di esplosione in due grandi tipologie:
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ambienti con presenza di gas/miscele esplosive o infiammabili;
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ambienti con presenza di polveri comportanti pericoli di esplosione.
Una lettura complessiva ed attenta del testo di legge del 1955 evidenzia un legislatore preoccupato di mettere in sicurezza situazioni nelle quali l’ATEX scaturisse prevalentemente da gas o vapori infiammabili e in cui gli inneschi fossero in massima parte di tipo elettrico, elettrostatico oppure dovuti a fiamme libere.
Tale approccio risultava ovviamente aderente alla cultura “antideflagrante” dell’epoca che derivava primariamente dalle esigenze di protezione dei lavoratori operanti in miniere grisuose3.
Figura 4.1 – Report ufficiale dell’esplosione di Senghenydd del 1913

Completamente esclusi dalla valutazione del legislatore degli Anni ‘50 risultarono gli apparecchi non elettrici/meccanici (adesso rientranti nell’ambito applicativo della Direttiva ATEX n. 2014/34/UE).
Gli avanzati concetti ora utilizzati sia per la classificazione delle zone, sia per la relativa valutazione del rischio di esplosione nei luoghi di lavoro (cfr. Titolo XI, D.Lgs. n. 81/2008) erano all’epoca ancora molto di là da definire4.
Per venire a capo di quali fossero i luoghi con pericolo di esplosione introdotti dal D.P.R. n. 547/1955 il Comitato Elettrotecnico Italiano istituì, negli Anni ‘60, la Commissione di studio 64/G che, dopo confronti approfonditi con l’ENPI, il Ministero del Lavoro e significative rappresentanze del mondo dell’industria, pubblicò la Norma tecnica CEI 64-2:1973 (“Impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione o di incendio”) che ebbe poi successivi aggiornamenti ed integrazioni5. Tale Norma tecnica era già presente, come riferimento in bozza, nell’IEC report 79-10:19726.
Particolare interesse, anche per le applicazioni della Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 che andremo ad illustrare, rivestiva la nota all’articolo 1.1.01 che di seguito riportiamo.
Nota all’art. 1.1.01, CEI 64-2:1998 (Scopo della Norma)
La materia trattata dalla presente Norma mal si presta a prescrizioni precise; perciò il testo si limita a stabilire concetti e disposizioni di carattere generale e a considerarne l’applicazione a casi caratteristici. Nessuna Norma, per quanto accuratamente studiata, può garantire in modo assoluto l’immunità delle persone e delle cose dai pericoli dell’energia elettrica in presenza di sostanze che possono dar luogo ad esplosione.
L’applicazione delle disposizioni contenute nella presente Norma può diminuire le occasioni di pericolo, ma non evitare che circostanze accidentali (eventualmente anche dovute ad eventi catastrofici) o comportamenti umani anomali possano determinare situazioni pericolose per le persone e per le cose.
Nella Norma CEI 64-2 venivano individuate le cosiddette “zone AD” (zone antideflagranti) nelle quali esisteva il pericolo di esplosione e al cui interno erano ammessi solo impianti elettrici eseguiti secondo i dettami dello standard.
Tali zone AD discendevano dall’identificazione di “centri di pericolo” (CP) a prescindere dalle caratteristiche di emissione e dispersione della sostanza infiammabile.
Una volta noto il CP conseguiva in modo univoco (o quasi) l’estensione della zona a rischio di esplosione ad esso correlata. Tale rigido criterio di classificazione verrà superato con il recepimento della Norma CEI EN 60079-10:1996 (erede del primo IEC report del 1972) nonché con l’elaborazione, da parte del Sottocomitato 31J del CEI, della relativa Guida CEI 31-35:1999.
Giungendo ai nostri giorni, il 13 ottobre 2018 venne “pensionata” la Norma CEI EN 60079-10-1:2010 in vigore dal febbraio 2010. Dopo circa otto anni e mezzo di vigenza questa edizione chiuse sostanzialmente un’epoca: quella degli standard IEC di classificazione che dettavano solo principi base e criteri generali (cd. Norma orientata agli obiettivi, objective-based standard) e che demandavano a successivi documenti di approfondimento la necessità di contestualizzare numericamente le affermazioni in essi contenute.
Era ben noto, infatti, che la sola CEI EN 60079-10-1:2010 (e le precedenti due edizioni della CEI EN 60079-10 del 1996 e del 2004) non era uno strumento sufficiente per la classificazione delle zone a rischio di esplosione. Non a caso vari stati appartenenti all’UE emanarono, in relazione alla EN 60079-10-1 Ed. 1, linee guida di applicazione e contestualizzazione le quali, assumendo a sé i principi base, fornivano regole e dettagli specifici per le classificazioni nazionali. Si citano, a titolo d’esempio, le seguenti:
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Germania: DGUV-Regel 113-001 “Explosions schutz-Regeln (Rx-RL)” e la TRBS 2152;
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Svezia: Klassning av explosionsfarliga områden;
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Olanda: NPR 7910-1;
-
Regno Unito: EI 15 e IGEM/SR/25.
In Italia, come già anticipato, vennero elaborate quattro edizioni della Guida CEI 31-357.
Tra i vari riferimenti quello che riscuote tuttora maggior successo in ambito internazionale è la Guida EI 15:2015, nata per il settore petrolifero, basata su simulazioni ingegneristiche svolte con software ad alta affidabilità8 ma facilmente estendibile anche ad altre filiere tecnologiche.
L’IEC, prima, ed il CENELEC, poi, facendo proprie le criticità che spinsero i vari Paesi ad elaborare Guide applicative, decisero di produrre un nuovo Standard normativo di classificazione, recepito in Italia come CEI EN 60079-10-1:2016 (ora ulteriormente aggiornato con la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021), recante sostanziali modifiche rispetto al documento precedente.
La seconda e la terza edizione della IEC 60079-10-1 sono dunque, nei fatti, Norme completamente nuove rispetto all’edizione precedente.
Non ci sono piccoli aggiornamenti di facciata, ma lo standard è stato rivoluzionato interamente per venire incontro, come già detto, alle non poche critiche e censure che nel corso degli anni la prima edizione della EN 60079-10-1 (e ancor prima la EN 60079-10) avevano sollevato sia in ambienti industriali sia in settori scientifici del mondo anglosassone.
A puro titolo esemplificativo si riporta il parere emesso nel 2005 dagli importanti Health and Safety Laboratory (HSL) britannici.
Facendo riferimento all’allora BS EN 60079-10:2003 (quindi all’edizione del 1996 della EN 60079-10), e commentando la modalità di calcolo del Vz (volume ipotetico di atmosfera esplosiva), parametro chiave della precedente procedura di classificazione, così si esprimevano:
“The British Standard contains a methodology for the estimation of this cloud size which is of unknown origin and dubious accuracy […]”.
Una stroncatura di cui la prima edizione della EN 60079-10-1 non tenne conto, ma che invece viene posta a fondamento dell’edizione ora vigente.
Il Vz è infatti stato parzialmente soppresso, come vedremo, non essendo rappresentativo di alcun fenomeno fisico reale (si concretizza, infatti, nel calcolo di un campo lontano9 nel campo vicino10).
In estrema sintesi, la Norma tecnica CEI EN 60079-10-1:2016 e a maggior ragione la CEI EN IEC 60079-10-1:2021 sono Norme che si autosostengono (o quantomeno tentano di farlo11); in esse sono presenti sia le equazioni di emissione relative ad alcuni scenari di rischio, sia nomogrammi logaritmici che consentono di determinare l’eventuale tipo di zona a rischio di esplosione (in base all’efficacia di diluizione dell’infiammabile) sia, per finire, nomogrammi logaritmici che permettono la stima della dispersione e quindi dell’estensione della zona.
Insomma, sono standard immediatamente applicabili una volta che siano note le equazioni di emissione afferenti ad ogni scenario e reperibili ampiamente nella letteratura tecnica di settore12.
Relativamente alle polveri combustibili la metodologia di classificazione non ha invece subito grandi mutamenti nel corso degli anni. Le modifiche intervenute tra la Norma EN 50281-3:2002, la EN 61241-10:2004 e l’attuale CEI EN 60079-10-2:2016 sono infatti esclusivamente ascrivibili alla normale manutenzione evolutiva del documento e non certo paragonabili alla recente rivoluzione subita nell’ambito dei gas e vapori infiammabili.
Il D.Lgs. n. 81/2008 pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di valutare la probabilità e la durata della presenza di atmosfere esplosive (art. 290, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008). Come già abbiamo avuto modo di constatare, la formazione di ATEX può aver luogo sia all’interno sia all’esterno dei sistemi di contenimento a causa di molteplici fattori tecnici e/o procedurali. L’analisi dei casi presentati nel Capitolo 1 permette di definire una serie di tipologie di emissione di ATEX. In particolare (Rota et al., 2007), le emissioni si possono riassumere in due grandi famiglie: emissioni istantanee ed emissioni continue.
E, queste ultime, sono ulteriormente suddivisibili in emissioni continue stazionarie ed emissioni continue non stazionarie.
Da un altro punto di vista, approfondendo la casistica proposta dalla Normativa tecnica di classificazione, esisteranno almeno due forme di emissione ricadenti nel campo di applicazione dell’art. 290, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008:
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emissioni catastrofiche, caratterizzate da rilasci d’ATEX massiva che coinvolgono prevalentemente liquidi e gas infiammabili (a seguito, ad esempio, di errori di manovra, di cedimenti sismici, di manutenzione gravemente scorretta, di azionamenti di sistemi di venting, ecc.);
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emissioni non catastrofiche che hanno origine da un funzionamento normale o anormale di un impianto o di un prodotto come, per esempio, lesioni alle tenute di flangia, piccoli errori di manovra, azionamento di sistemi di sicurezza contro le sovrappressioni (es. PSV) ecc. Questi scenari possono essere valutati con l’ausilio della Normativa tecnica di classificazione delle zone a rischio di esplosione.
A tale proposito la lettura congiunta dell’art. 293, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 (il datore di lavoro ripartisce in zone, a norma dell’Allegato XLIX, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive) e della Normativa tecnica13, permette di escludere dalla classificazione ATEX tutti i rilasci derivanti da guasti catastrofici. La Norma EN ISO 12100-1 fornisce, in relazione ai comportamenti umani, i seguenti esempi di uso scorretto o di comportamento facilmente prevedibile da tenere in considerazione nell’ambito della classificazione ATEX:
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perdita di controllo della macchina da parte dell’operatore;
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reazione istintiva di una persona in caso di malfunzionamento, incidente o guasto durante l’uso della macchina;
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comportamento derivante da mancanza di concentrazione o noncuranza;
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scelta comportamento derivante dall’adozione della “linea di minor resistenza” nell’esecuzione di un compito;
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comportamento risultante da pressioni per tenere la macchina in esercizio in tutte le circostanze;
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comportamento di alcune persone (bambini, persone disabili).
Il guasto catastrofico o il raro malfunzionamento sono esterni all’ambito applicativo della Norma EN IEC 60079-10-1:2021. Un esempio potrebbe essere un guasto di controlli di processo separati e indipendenti, automatizzati e/o manuali, che potrebbe condurre, per effetto domino, ad un rilascio importante di sostanza infiammabile. I malfunzionamenti rari potrebbero anche includere condizioni non contemplate in sede di progetto dell’impianto (es. corrosione galvanica o per correnti vaganti). Se i rilasci causati da corrosione o da condizioni assimilabili possono (o potrebbero) essere ragionevolmente previsti come parte delle operazioni dell’impianto, allora tali fattispecie non sarebbero da considerare un malfunzionamento raro. Nella categoria dei guasti catastrofici, quindi, si includono gli incidenti gravi come la rottura di un serbatoio di processo, o guasti su larga scala di attrezzature o tubazioni (cesoiamento a ghigliottina di tubazioni, cedimento grave di una flangia o di una guarnizione, ecc.).
La probabilità di tali guasti dovrebbe essere ridotta al minimo grazie ad un’oculata progettazione, esercizio, ispezione e controllo dell’impianto.
L’obbligo normativo posto in capo al datore di lavoro sarà quindi quello di effettuare analisi di scenario presidiando sia le situazioni di guasto catastrofico14 prevedibile sia le situazioni di guasto non catastrofico; nel primo caso indicando le misure di protezione finalizzate a rendere minima la probabilità di genesi dell’evento e, nel secondo caso, procedendo nell’operazione di classificazione delle zone a rischio di esplosione in base alle sorgenti di emissione15 d’ATEX individuate. Si riporta in Figura 4.2 un’esemplificazione di possibili guasti catastrofici in un impianto che tratta e contiene liquidi e vapori infiammabili.
La Banca Mondiale a questo riguardo indica i parametri di riferimento, nelle lesioni ai contenimenti, da assumersi rappresentativi di un guasto catastrofico (Kajes, 1985). Per esempio:
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tubazioni: sezioni di guasto del 20% e 100% del diametro della tubazioni;
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recipienti a pressione: sezione di guasto pari al 100% della tubazione entrante di maggior diametro, 20% della superficie del passo d’uomo, 20% e 100% delle linee strumentate, ecc;
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pompe centrifughe, pompe alternative: sezione di guasto del 20% e 100% del diametro delle tubazioni.
Tali tipologie di guasti sono configurabili, per la maggior parte, come emissioni istantanee ed emissioni continue non stazionarie.
Figura 4.2 – Esemplificazione di guasti catastrofici e sorgenti di emissione in un impianto che opera con liquidi e vapori infiammabili

4.1 Analisi degli scenari di emissione catastrofica
Le analisi di scenario è indispensabile siano sviluppate a partire da situazioni di guasto derivanti dalla combinazione di circostanze che siano realisticamente prevedibili e credibili. Quest’ultimo aspetto appare particolarmente delicato e critico; operativamente non è consigliabile, infatti, l’analisi di combinazioni di eventi che, pur teoricamente prevedibili, risultino estremamente improbabili. La mole di risorse e i tempi di sviluppo necessari ad un compito simile potrebbero essere esorbitanti rispetto alle richieste che derivano dall’applicazione concreta del Titolo XI, D.Lgs. n. 81/2008.
Nel merito si fornisce quindi un criterio che consente di definire, nello specifico, cosa si intenda per scenario credibile sulla scorta delle quattro condizioni suggerite dalla Dow Chemical Company (Fthenakis, 1993; Perry, 1997).
Quindi:
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ogni singolo evento che possa ragionevolmente accadere e dal quale derivi un’emissione è uno scenario credibile;
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scenari di emissione che necessitino, per manifestarsi, dell’accadimento contemporaneo di due o più eventi totalmente indipendenti tra loro non sono credibili;
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scenari che necessitino, per manifestarsi, l’accadimento di più di due eventi16 in sequenza totalmente indipendenti tra loro non sono scenari credibili;
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un guasto che si verifichi mentre un dispositivo di sicurezza a funzionamento indipendente è in attesa di riparazione si può inquadrare come un evento che accade durante il periodo dell’apertura dell’emergenza ed è quindi credibile. La mancanza di disponibilità del dispositivo non riparato, infatti, è una condizione preesistente e nota e quindi l’avaria successiva, in presenza di un primo guasto conosciuto, non può essere classificata come “secondo guasto indipendente”.
Alla luce delle precedenti considerazioni, quindi, il datore di lavoro nel caso individui una (o più) potenziali sorgenti di emissione catastrofica, dovrà selezionare e porre in atto misure di protezione che mettano in sicurezza lo scenario di rischio individuato, facendo ricorso sia alle regole tecniche di prevenzione incendi sia alle misure proposte dalla Normativa tecnica (EN, NFPA, VDI, API, ecc.). In presenza di valutazioni di rischio che evidenzino per la prima volta criticità covanti (in precedenza non intercettate), nell’attesa che si assumano i necessari provvedimenti di bonifica definitiva, risulterà indispensabile l’approntamento di soluzioni tecniche temporanee ed affidabili che garantiscano l’esercizio dell’attività in condizioni di sicurezza.
In caso contrario il processo dovrà essere interdetto fino alla risoluzione del problema. Questi aspetti dovranno comunque essere realizzati anche nell’ambito delle procedure di gestione del cambiamento descritte nel Capitolo 9.
Figura 4.3 – Azioni in funzione della tipologia dello scenario di emissione per aziende a rischio convenzionale

Una volta che siano ragionevolmente escluse le situazioni di emissione catastrofica si potrà procedere alla classificazione delle zone a rischio di esplosione secondo quanto indicato dalla Normativa tecnica specifica.
A titolo illustrativo si riporta un elenco di fattori di rischio spesso causa di scenari d’emissione catastrofica, sia in aziende a rischio convenzionale che RIR:
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assenza di protezioni meccaniche in contenimenti e tubazioni potenzialmente soggetti ad urti (es. condotte installate ai lati della viabilità di stabilimento, contenimenti posti nel raggio d’azione di gru, ecc.);
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carenze nel calcolo sismico e/o nella realizzazione di strutture di sostegno degli impianti;
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regole tecniche di prevenzione incendi disapplicate;
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presenza di fenomeni di corrosione galvanica non gestiti;
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carenze nell’affidabilità dei sistemi di sicurezza degli apparecchi a pressione (es. valvole di sicurezza);
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modifiche sostanziali a macchine ed impianti non previste in origine dal costruttore;
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circuiti aventi funzioni di sicurezza non sufficientemente affidabili (rif. EN 61508, EN 61511, ecc.);
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messa a terra ed equipotenzialità tra parti di impianto non verificata e/o non efficace ed efficiente.
4.2 Introduzione alla classificazione delle zone a rischio di esplosione
L’operazione di classificazione delle zone a rischio di esplosione per presenza di gas, vapori e nebbie oppure di polveri combustibili è una procedura che permette di identificare la planivolumetria17 del processo nella quale risulta più o meno probabile la formazione di ATEX. Tale operazione è realizzata in base alla presenza di sorgenti di emissione di gas/liquidi infiammabili e/o polveri combustibili che possono generarsi sia durante il normale ciclo di produzione sia a causa di anomalie prevedibili dello stesso. I principali motivi da porre alla base dell’operazione “classificazione delle zone a rischio di esplosione” sono riconducibili ai seguenti (“The 7 Whys”):
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perché consente la visualizzazione, attraverso una metodologia standardizzata e replicabile, delle zone di stabilimento a rischio di esplosione;
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perché serve a risolvere (in parte) la richiesta di valutazione della «probabilità e durata dell’ATEX» del D.Lgs. n. 81/2008;
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perché serve a scegliere gli apparecchi meccanici ed elettrici in categoria conforme alla zona (cfr. D.Lgs. n. 85/2016, Direttiva 2014/34/UE);
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perché consente di individuare le parti dell’impianto a rischio di emissione da assoggettare a manutenzione preventiva (routinaria e non routinaria, RCM, RAMS, ecc);
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perché è ormai indispensabile nei procedimenti di prevenzione incendi (cfr. art. V.2.2.3, RTV.2);
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perché è utile alla quantificazione degli effetti dell’esplosione, Flashfire in particolare [cfr. D.Lgs. n. 81/2008, D.Lgs. n. 105/2015 (Seveso III)];
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perché individua le aree nelle quali risulta indispensabile l’adozione di «permessi di lavoro» [D.Lgs. n. 81/2008, D.Lgs. n. 105/2015 (Seveso III)].
In riferimento al disposto normativo in tema di sicurezza sul lavoro, l’art. 293 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che:
il datore di lavoro ripartisca in zone, a norma dell’Allegato XLIX, le aree in cui possono formarsi atmosfere esplosive.
Particolare attenzione deve essere posta alla definizione di ATEX la quale, a norma dell’art. 3.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 è definita come:
“miscela con l’aria, in condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori o polveri la quale, dopo l’accensione, permette l’autosostentamento della propagazione delle fiamme”.
I parametri essenziali presenti nella definizione esposta sono quindi i seguenti:
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la miscela dell’ATEX con l’aria;
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le condizioni atmosferiche;
-
le sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori, polveri;
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l’autosostentamento.
Uno scenario nel quale mancasse anche uno solo di questi aspetti, in particolar modo uno dei primi tre, risulterebbe escluso dal campo di applicazione del Titolo XI, D.Lgs. n. 81/2008.
L’art. 288, comma 1-bis, D.Lgs. n. 81/2008 fornisce inoltre l’utile definizione di condizioni atmosferiche:
“Per condizioni atmosferiche si intendono condizioni nelle quali la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera è approssimativamente del 21 per cento e che includono variazioni di pressione e temperatura al di sopra e al di sotto dei livelli di riferimento, denominate condizioni atmosferiche normali (pressione pari a 101325 Pa, temperatura pari a 293 K), purché tali variazioni abbiano un effetto trascurabile sulle proprietà esplosive della sostanza infiammabile o combustibile”.
Tutte le variazioni di pressione e temperatura che allontanandosi dai valori di riferimento standard, possiedano un effetto trascurabile sulle proprietà esplosive dell’ATEX (es. MIE, LFL, UFL, Pmax, Kg, Kst, ecc.) potranno quindi essere definibili “atmosferiche”. A questo proposito, le linee guida alla Direttiva 2014/34/UE specificano quanto segue:
“La Direttiva 2014/34/UE non definisce le condizioni atmosferiche. Tuttavia, una gamma di temperatura circostante compresa tra -20 °C e 60 °C e una gamma di pressione compresa tra 0,8 bar e 1,1 bar possono essere una base appropriata per la progettazione e l’uso previsto dei prodotti. Ciò non esclude che i prodotti possano essere progettati e valutati specificamente per funzionare occasionalmente anche al di fuori di tali condizioni. Occorre notare che i prodotti elettrici sono normalmente progettati e testati per essere impiegati all’interno di una gamma di temperatura ambiente compresa tra -20 °C e 40 °C in conformità con le norme armonizzate. I prodotti progettati per essere impiegati al di fuori della suddetta gamma necessiteranno di un’ulteriore marcatura e un ulteriore collaudo, laddove necessario. Questo richiederà normalmente l’accordo tra il fabbricante e l’utente previsto”.
Passando ora alle definizioni di “zona a rischio di esplosione”, esse sono presenti nell’Allegato XLIX del D.Lgs. n. 81/2008 (Tabella 4.3) e derivano direttamente dalle specifiche incluse nelle Normative tecniche CEI EN IEC 60079-10-1:2021 e CEI EN 60079-10-2:2016 (cfr. seguente Tabella 4.1).
Tabella 4.1 – Definizioni delle zone ATEX18
Tipo di zona | Descrizione [Normativa tecnica] | Descrizione [Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008] |
---|---|---|
0 | Luogo in cui un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas è presente continuamente o per lunghi periodi o frequentemente (art. 3.3.4, EN IEC 60079-10-1)18 | Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia |
1 | Luogo in cui un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas è probabile sia presente occasionalmente durante il funzionamento normale (art. 3.3.5, EN IEC 60079-10-1) | Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva, consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori o nebbia, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività |
2 | Luogo in cui un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas non è probabile sia presente durante il funzionamento normale ma, se ciò avviene, è possibile persista solo per brevi periodi (art. 3.3.6, EN IEC 60079-10-1) | Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata |
20 | Luogo nel quale un’atmosfera esplosiva, dovuta alla presenza di polvere sottoforma di una nube di polvere nell’aria, è presente continuativamente, oppure per lunghi periodi oppure frequentemente (art. 3.25.1, EN 60079-10-2) | Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria |
21 | Luogo nel quale un’atmosfera esplosiva, dovuta alla presenza di polvere sottoforma di una nube di polvere nell’aria, è probabile che si manifesti occasionalmente nel funzionamento normale (art. 3.25.2, EN 60079-10-2) | Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività |
22 | Luogo nel quale un’atmosfera esplosiva, dovuta alla presenza di polvere sottoforma di una nube di polvere nell’aria, non è probabile che si manifesti nel funzionamento normale ma, se essa avviene, persisterà solo per un breve periodo (art. 3.25.3, EN 60079-10-2) | Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata |
La Tabella 4.1 è certamente meritevole di alcune annotazioni.
Prima annotazione. La definizione delle zone 0/20 e 2/22 utilizza il parametro della durata di presenza dell’ATEX. In particolare la zona 0/20 è identificata da una durata d’ATEX “continuativa o per lunghi periodi” mentre la zona 2/22 è caratterizzata da “breve periodo”. A partire dalle definizioni contenute in ICI/RoSPA, in IP 15 (ora EI 15:2015) e nella ex Guida CEI 31-35:2012 per presenza “continuativa o per lunghi periodi” si intende una durata complessiva (D) non inferiore a 1000 ore/anno19 (che si traduce in una probabilità di presenza di ATEX (P) non inferiore all’11,4%. Un’ispezione casuale, cioè, avrebbe una probabilità superiore a 0,114 di rilevare un’ATEX interna al campo di esplosività).
Per converso è da intendersi di “breve durata” un’ATEX avente persistenza interna all’intervallo 10÷0,1 ore/anno. Utilizzando il medesimo criterio proposto in precedenza, la traduzione di tale parametro in ambito “probabilistico non condizionato” determinerà una probabilità compresa tra (circa) 10-3 e 10-5. La durata delle zone 1/21 verrà infine determinata “per esclusione”: a tale parametro sarà quindi assegnato l’intervallo compreso tra 10 e 1000 ore/anno. Una probabilità non condizionata d’ATEX inferiore a 10-5 sarà considerabile a rischio trascurabile e quindi definibile NP (Negligible Presence).
Seconda annotazione. La porta logica che caratterizza la zona 0/20 sarà la “OR”: “continuamente o per lunghi periodi” OR “frequentemente”. È sufficiente, cioè, il soddisfacimento di una sola di queste condizioni per definire la zona 0 o 20. Per la classificazione di tipo 2/22 la connessione logica sarà invece la “AND”: “bassa probabilità” AND “breve durata”. Le aree 2 o 22, in altri termini, devono soddisfare entrambe le condizioni per essere definite tali.
Terza annotazione (collegata alla seconda). Dalle definizioni fin qui esposte le zone classificate a rischio di esplosione risultano intimamente connesse alla presenza di una manutenzione preventiva efficace. Non sarebbe infatti possibile, diversamente, ipotizzare la presenza di un secondo grado di emissione. Sia la “bassa probabilità” sia la “breve durata” non potrebbero infatti essere ottenute in presenza di manutenzione semplicemente reattiva e/o “a guasto”.
Quarta annotazione. Come si rileva dal confronto tra le definizioni di zona, in EN IEC 60079-10-1:2021 non è presente la caratterizzazione “nebbia” invece rinvenibile nel D.Lgs. n. 81/2008. La Norma tecnica, cioè, non prevede la classificazione ATEX in presenza di tale specifica forma di dispersione20 poiché lo standard IEC 60079-14, e i modi di protezione ad esso collegati, non trovano applicazione21. Tuttavia, se è stato individuato un pericolo dovuto a nebbie esplosive, questo dovrà comunque essere evidenziato e distinto, per esempio con una marcatura appropriata, dalle altre zone a rischio di esplosione per presenza di gas e vapori (sia nelle tavole grafiche sia nei luoghi di lavoro).
Quinta annotazione. Non confondiamo il valore di probabilità non condizionata, definito nella prima annotazione, con il valore di frequenza di emissione proprio di ogni singola sorgente di emissione. La frequenza di emissione, per esempio nel caso di sorgenti di emissione di secondo grado, è legata all’ampiezza del foro di guasto di progetto22: ampiezze maggiori corrisponderanno frequenze di emissione minori (e viceversa). Esemplificativamente, una doppia tenuta d’albero non monitorata è associabile alle seguenti frequenze di guasto (con “d” diametro del foro di guasto):
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d = 1 mm, frequenza maggiore di 10-2/(SE ∙ anno);
-
d = 2 mm, frequenza compresa nell’intervallo 10-2÷10-3/(SE ∙ anno);
-
d = 10 mm, frequenza compresa nell’intervallo 10-3÷10-4/(SE ∙ anno).
A zone a rischio di esplosione credibilmente maggiori, in termini di pericolosità, corrisponderanno frequenze di rilascio minori come dimostra il diagramma di seguito riportato in Figura 4.4.
Figura 4.4 – Fori di guasto attesi e loro frequenza

Fonte: EI, 2016
Come appare evidente la tenuta a maggiore affidabilità è la flangiatura, sottoposta in genere a sole sollecitazioni di tipo statico, mentre i compressori (alternativi e centrifughi) manifestano i fori di guasto più ampi a parità di frequenza23. C’è da dire, tuttavia, che le flange possono essere molto più numerose delle apparecchiature di pressurizzazione24: non necessariamente, quindi, la frequenza di guasto cumulata legata a flange, e connessa con logica OR nel caso di sorgenti di emissione di secondo grado, risulta inferiore della singola frequenza di guasto di un dato apparecchio.
È importante tener presente che la scelta della metodologia di analisi delle zone a rischio di esplosione influenza in modo sostanziale il risultato di classificazione. Relativamente a questo aspetto, in ambito internazionale sono stati proposti vari strumenti di classificazione delle zone a rischio di esplosione, sia per gas, vapori e nebbie che per polveri combustibili.
Si citano, a titolo indicativo, i seguenti enti normativi:
-
European Committee for Electrotechnical Standardization, EU – Norme EN prodotte dal CENELEC
-
Energy Institute, UK – Norme IP
-
American Petroleum Institute, USA – Norme API
-
National Fire Protection Association, USA – Norme NFPA.
In Italia è il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) che ha il compito di recepire la Normativa EN e che può provvedere ad una sua integrazione e contestualizzazione applicativa anche attraverso la pubblicazione di Guide. A questo proposito l’Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008 precisa che:
“Per la classificazione delle aree o dei luoghi si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate relative ai settori specifici, tra le quali:
-
EN 60079-10 (CEI 31-30) “Classificazione dei luoghi pericolosi” e successive modificazioni24
-
EN 61241-10 (CEI 31-66) “Classificazione delle aree dove sono o possono essere presenti polveri combustibili” e successive modificazioni25
e le relative guide: CEI 31-35 e CEI 31-56”.
Pur a fronte di riferimenti normativi non più vigenti27, l’intento evidente del legislatore comunitario (prima) e nazionale (poi) è stato quello di orientare il datore di lavoro ad un utilizzo generalizzato delle Norme europee della serie EN 60079-10-1/2 per la classificazione delle zone a rischio di esplosione.
Le norme tecniche ora vigenti e da utilizzarsi nel processo di classificazione delle zone a rischio di esplosione (citate dall’Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008) sono la EN IEC 60079-10-1, valida per gas e vapori infiammabili e la EN 60079-10-2 utilizzabile nel caso di polveri combustibili. A supporto delle Norme EN citate vennero emessi dal CEI svariati documenti tra cui si citano le Guide CEI 31-35 e CEI 31-56, purtroppo abrogate il 14 ottobre 2018 senza sostituzione ma con la seguente indicazione presente nel sommario: “Il Sotto Comitato CEI SC 31J (…) ritiene che i contenuti tecnici (delle Guide CEI), abrogate, rappresentino un utile riferimento, per le metodologie scientifiche in esse contenute, relativamente alle parti non in contrasto con (le nuove edizioni delle norme CEI EN 60079-10-1:2016 e CEI EN 60079-10-2:2016), nell’ambito delle scelte affidate al valutatore/classificatore”.
Si rileva altresì che alla data di redazione del presente volume le Guide CEI 31-35:2012 e CEI 31-35/A:2012 non risultano più citate nell’allegato K, EN IEC 60079-10-1:2021 (Regolamenti industriali e norme nazionali) ma solo in bibliografia. Peraltro la Norma EN IEC 60079-10-1:2021 contiene già al proprio interno la Guida applicativa: essa è costituita dagli undici allegati informativi che consentono un primo approccio alle tematiche di classificazione in conformità allo Standard medesimo28.
Nel corso della presente trattazione, pertanto, faremo quasi esclusivo riferimento alle Norme EN in vigore e citeremo, ove necessario le sole parti delle Guide CEI abrogate ove queste non siano in contrasto con gli Standard EN, considerandole quindi alla stregua di letteratura tecnico-scientifica di integrazione.
In particolare le Norme a cui faremo riferimento nel presente lavoro saranno le seguenti:
-
CEI EN 60079-10-1:201629 (in vigore fino al 22/1/2024);
-
CEI EN IEC 60079-10-1:202130 (Fino al 22/1/2024 la seconda e la terza edizione “vivranno” contemporaneamente. Successivamente a tale data dovranno essere ritirate tutte le Norme in conflitto con la CEI EN IEC 60079-10-1:2021, tra cui la appena citata CEI EN 60079-10-1:2016);
-
CEI EN 60079-10-2:2016 (in vigore dal 1/12/2015).
Si rileva che il recente, compulsivo, avvicendarsi di Norme europee e Guide nazionali può aver ingenerato qualche perplessità anche tra gli utilizzatori professionali di tali strumenti. Con la seguente Figura 4.5 ci proponiamo il non facile scopo di chiarire e condensare in una sola immagine, e solo per la parte gas e vapori, il rapido modificarsi nel tempo del territorio normativo.
Figura 4.5 – Avvicendarsi, nel tempo, di Norme tecniche e Guide interpretative

Si rammenta che il D.Lgs. n. 81/2008 suggerisce che “si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate relative ai settori specifici”. Per esempio nel caso dell’Oil & Gas si può far ricorso alla Guida EI 15:2015 (ex IP 15) elaborata (nel rispetto della EN 60079-10) dall’Energy Institute britannico31; non è una Norma armonizzata ma è citata nell’Allegato K, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 che contiene l’elenco completo degli standard nazionali di riferimento.
4.3 Classificazione delle zone a rischio di esplosione per presenza di gas e vapori infiammabili
4.3.1 CEI EN IEC 60079-10-1:2021: focus sulla Norma tecnica
La terza edizione della Norma di classificazione CEI EN IEC 60079-10-1:2021 (di seguito “Norma”) introduce modifiche che vanno ad impattare in modo a volte sostanziale sul quadro complessivo di classificazione impostato dalla precedente edizione. Le principali innovazioni, rispetto all’edizione del 2016 dello standard, sono di seguito elencate:
-
le applicazioni commerciali e industriali del gas combustibile non sono più esentate dal campo di applicazione della Norma. In molti casi, tuttavia, la valutazione potrebbe condurre ad una classificazione di area non pericolosa;
-
aggiornamento di dettagli editoriali e di note alle definizioni;
-
eliminazione della definizione di guasto catastrofico contenuta nel §3.7.3 della seconda edizione (ora trattata nel §4.5);
-
introduzione del nuovo §4.4.2 relativo alle zone di estensione trascurabile;
-
introduzione del nuovo §5.3.2 relativo agli impianti operanti con gas combustibile (eliminati dalle esclusioni del campo di applicazione);
-
introduzione della Figura 1 in riferimento al volume di diluizione;
-
aggiornamento del diagramma di flusso presente nella Figura B.1 (modi di rilascio);
-
aggiornamento delle equazioni relative alla velocità di evaporazione da pozza di liquido per allinearle alle modifiche della fonte bibliografica;
-
aggiornamento della Figura B.2 (velocità di evaporazione volumetrica specifica dei liquidi) tenendo conto della nuova equazione di emissione da pozza e di una velocità di ventilazione pari a 0,25 m/s;
-
ristrutturazione della Tabella C.1 (velocità indicative di ventilazione esterna);
-
eliminazione del fattore di sicurezza k e sua cancellazione dall’asse orizzontale del nomogramma di Figura C.1 (il fattore k era stato inizialmente introdotto per fornire un coefficiente di sicurezza aggiuntivo relativo nella determinazione dell’LFL per le sostanze infiammabili, in particolare per le miscele di gas e vapori. Tuttavia in questa edizione della Norma, considerando la derivazione del nomogramma C.1, tale fattore è stato considerato superfluo);
-
aggiornamento e allineamento delle equazioni per il calcolo della ventilazione naturale alla Norma BS 5925:1991 (Code of practice for ventilation principles and designing for natural ventilation);
-
modifica delle ascisse della Figura C.6 per coordinarla alla nuova equazione C.4;
-
eliminazione del fattore di sicurezza k e sua cancellazione dall’asse orizzontale del nomogramma di Figura D.1;
-
imposizione di nuove limitazioni all’uso del nomogramma di Figura D.1;
-
aggiornamento e correzioni dell’Allegato E (esempi di classificazione delle zone pericolose);
-
aggiornamento dell’Allegato G sulle nebbie infiammabili;
-
introduzione di nuove voci nella Tabella K.1 (codici industriali e standard nazionali);
-
introduzione di nuove voci nella bibliografia.
Annotazione: tutti gli allegati della Norma tecnica CEI EN IEC 60079-10-1:2021 sono classificati come “informativi”32.
4.3.1.1 Campo di applicazione
La Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 trova applicazione nei luoghi in cui vi può essere pericolo di accensione di ATEX causate dalla presenza di gas o vapori infiammabili. Sono tuttavia escluse dall’ambito applicativo le seguenti fattispecie:
-
miniere grisouose;
-
lavorazione e fabbricazione di esplosivi;
-
guasti catastrofici o malfunzionamenti rari che esulano dal concetto di normalità trattato nella presente Norma;
-
locali adibiti ad uso medico;
-
locali domestici;
-
luoghi dove il pericolo può manifestarsi per la presenza di polveri o fibre combustibili, ma i principi della Norma possono essere usati per valutazioni con presenza di miscele ibride (si veda inoltre la Norma CEI EN 60079-10-2).
Tutte le esclusioni elencate erano sostanzialmente presenti anche nell’edizione del 2016 della Norma con una eccezione: nella nuova edizione è stato eliminato il riferimento ad “applicazioni commerciali ed industriali dove viene utilizzato solo gas a bassa pressione […], dove l’installazione soddisfa i requisiti di regole e codici relativi al gas”. Tale specifica applicazione è ora ricompresa nel Capitolo dedicato all’utilizzo di codici industriali e Normative nazionali.
L’art. 5.3.2 della terza edizione, specifica tuttavia che nella maggior parte dei casi la conformità degli impianti ai codici del gas pertinenti determina classificazioni non pericolose o di estensione trascurabile. Le basse pressioni considerabili, nella terza edizione, sono comunemente considerabili quelle inferiori a 2 barg. Tra i codici del gas pertinenti a cui fanno riferimento le Norme (seconda e terza edizione) citiamo la regola tecnica di prevenzione incendi di cui al D.M. 08/11/201933. Gli obiettivi specifici di tale regola tecnica, esplicitati nella medesima all’art. 2, risultano peraltro perfettamente compatibili con lo scopo del Titolo XI, D.Lgs. n. 81/2008:
-
evitare, nel caso di fuoriuscite accidentali di combustibile gassoso, accumuli pericolosi del combustibile medesimo nei luoghi di installazione e nei locali direttamente comunicanti con essi;
-
limitare, in caso di evento incidentale, danni alle persone;
-
limitare, in caso di evento incidentale, danni ai locali vicini a quelli contenenti gli impianti;
-
garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza.
Il D.M. 08/11/2019 si applica alla progettazione, realizzazione ed esercizio degli impianti per la produzione di calore civili extradomestici di portata termica complessiva maggiore di 35 kW alimentati da combustibili gassosi (gas manifatturato, gas naturale o GPL) con pressione non maggiore di 0,5 barg, asserviti a:
-
climatizzazione di edifici e ambienti;
-
produzione di acqua calda, acqua surriscaldata e vapore;
-
cottura del pane e di altri prodotti simili (forni) ed altri laboratori artigiani;
-
lavaggio biancheria e sterilizzazione;
-
cottura di alimenti (cucine) e lavaggio stoviglie, anche nell’ambito dell’ospitalità professionale, di comunità e ambiti similari.
-
Si escludono dal campo di applicazione gli impianti:
-
realizzati specificatamente per essere inseriti in cicli di lavorazione industriale;
-
di incenerimento;
-
costituiti da stufe catalitiche;
-
costituiti da apparecchi di tipo A ad eccezione di quelli per il riscaldamento realizzati con diffusori radianti ad incandescenza.
Quindi mettendo a fattor comune le due disposizioni (terza edizione della Norma e Regola tecnica di cui al D.M. 08/11/2019) si conclude che nella maggior dei casi le zone a rischio di esplosione risultano non pericolose o di estensione trascurabile se vengono rispettate le seguenti condizioni:
-
presenza di gas manifatturato, gas naturale o GPL;
-
pressione minore di 0,5 barg;
-
impianti di climatizzazione di edifici e ambienti, produzione di acqua calda, acqua surriscaldata e vapore, cottura del pane e di altri prodotti simili (forni) ed altri laboratori artigiani, lavaggio biancheria e sterilizzazione, cottura di alimenti (cucine) e lavaggio stoviglie, anche nell’ambito dell’ospitalità professionale, di comunità e ambiti similari;
-
piena conformità al D.M. 08/11/2019.
Commento: la sola presenza di gas in bassa pressione non giustifica la conclusione di zona non pericolosa. Devono essere soddisfatte tutte e quattro le condizioni appena citate.
In tema di malfunzionamento raro appaiono particolarmente interessanti le esemplificazioni che includono il guasto di comandi di processo separati ed indipendenti (manuali o automatizzati) da cui potrebbe generarsi una catena di eventi tale da condurre ad un rilascio importante di sostanza infiammabile.
I malfunzionamenti rari potrebbero anche includere circostanze non previste in sede di progetto come una corrosione non attesa dalla quale si origini un’emissione.
Il guasto catastrofico risulta strettamente correlato alla precedente nozione di raro malfunzionamento e, in questo senso, nella nuova Norma viene definito come un evento eccedente i parametri progettuali dell’impianto di processo e del sistema di controllo che causi un rilascio di sostanza infiammabile (per esempio incidenti rilevanti a contenimenti di processo, cedimento catastrofico di flange o tenute connesse ad apparecchi o sistemi di tubazioni).
In generale si può ritenere il guasto catastrofico come conseguenza di un malfunzionamento raro.
Sia il guasto catastrofico così come il malfunzionamento raro possono essere anche correlati all’assenza di adeguate politiche di manutenzione del sistema (cfr. UNI EN 13306:2018 e/o Titolo III, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008).
4.3.1.2 I limiti inferiore e superiore di infiammabilità
Rispetto alla prima edizione della Norma appaiono modificati, terminologicamente, sia il LEL sia l’UEL sostituiti dai più consoni limiti inferiore e superiore di infiammabilità (LFL, UFL). Si ha, infatti:
-
Limite Inferiore di Infiammabilità (LFL): concentrazione di gas, vapori o nebbie infiammabili con l’aria al di sotto della quale non si può formare un’ATEX.
-
Limite Superiore di Infiammabilità (UFL): concentrazione di gas, vapori o nebbie infiammabili con l’aria al disopra della quale non si può formare un’ATEX.
Il LEL e l’UEL e l’LFL e l’UFL hanno in genere un utilizzo intercambiabile e vengono adoperati come sinonimi l’uno dell’altro.
Ciò, in realtà, è vero solo in parte e, al netto delle differenze che vedremo successivamente, il campo di infiammabilità (LFL÷UFL) è il range di concentrazione all’interno del quale può verificarsi una propagazione autonoma del regime di fiamma mentre il campo di esplosività (LEL÷UEL), interno al precedente, è da intendersi come l’insieme delle concentrazioni che consentono la combustione dell’intera massa della miscela non combusta.
Si richiama, a questo proposito, la definizione di atmosfera esplosiva così come definita nella Direttiva n. 2014/34/UE:
Atmosfera esplosiva: una miscela contenente aria, a condizioni atmosferiche, sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri nella quale, dopo l’innesco, la combustione si propaga all’intera miscela non bruciata.
La modifica, mantenuta nella terza edizione della Norma, è stata probabilmente introdotta per specificare che l’esplosione di un’ATEX non dipende solo da uno specifico rapporto di miscela ma da numerosi altri parametri tra i quali la congestione planovolumetrica nella quale il rilascio ha avuto luogo, il confinamento piano-parallelo, l’energia di innesco della sorgente di accensione (eventualmente rapportata alla minima energia di accensione della sostanza), l’entità complessiva del rilascio, la collocazione (rispetto alla nube) della sorgente di accensione ecc.
In genere l’LFL è compreso nell’intervallo 1÷5% mentre l’UFL può variare molto arrivando, in alcuni casi, a valori superiori al 50% quando non prossimi al 100% in volume (come nei casi di: idrogeno, acetilene, ossido di carbonio, vinil acetilene, n-propil nitrato, isopropil nitrato, ossido di etilene34, idrazina, solfuro di carbonio, acetaldeide).
In generale, a seconda delle vicissitudini di emissione, un’ATEX innescata può determinare uno o più dei seguenti scenari d’incidente (cfr. Capitolo 8 e Allegato D del presente volume):
-
Flash fire;
-
esplosione di vapori non confinata (UVCE);
-
esplosione di vapori confinata (VCE);
-
Jet fire;
-
Pool fire;
-
Fireball.
Gli effetti fisici degli scenari incidentali descritti sono riassumibili nei seguenti:
-
fiamme e gas caldi;
-
irraggiamento termico;
-
onde di pressione;
-
proiezione di frammenti o oggetti;
-
rilasci di sostanze pericolose.
La transizione tra un Flash fire ed una VCE si verifica a causa di rilevanti accelerazioni del fronte di fiamma. Tali accelerazioni sono possibili in presenza di:
-
congestione dovuta a ostacoli esterni come, per esempio, piperack, tettoie e strutture di protezione dagli agenti atmosferici, serbatoi, colonne di distillazione o, comunque, strutture di processo a più livelli;
-
rilasci jet ad alta quantità di moto con creazione di elevata turbolenza;
-
combinazioni di emissioni ad alta quantità di moto e congestione.
In genere nelle esplosioni industriali il volume iniziale dell’ATEX si espanderà per almeno 8 volte (parametro equivalente al rapporto tra la temperatura di fiamma e la temperatura ambiente, entrambe espresse in gradi K). Tale entità di espansione corrisponde ad un raddoppio del raggio nel caso di nubi sferiche e ad un raddoppio dell’altezza nel caso di nubi emisferiche. A questo proposito dovrà pertanto essere posta particolare attenzione al termine confinamento dato che:
-
non tutte le esplosioni che avvengono in un ambiente chiuso sono confinate;
-
non tutte le esplosioni che avvengono all’aperto sono non confinate.
La Regola Tecnica Verticale n. 2 (RTV.2) del Testo Unico di Prevenzione Incendi specifica, inoltre, che:
-
nei casi in cui l’esplosione potrebbe essere seguita da un incendio, è necessario valutare quest’ultimo scenario tenendo conto dell’indisponibilità di quanto danneggiato dall’esplosione;
-
nei casi in cui a seguito di un incendio possa verificarsi un’esplosione, si deve valutare quest’ultimo scenario tenendo conto dell’indisponibilità di quanto danneggiato dall’incendio.
In conclusione, come bene si comprende, l’esplosione è un fenomeno complesso che non può essere ricondotto alla sola presenza di una miscela ATEX con concentrazione interna al campo di infiammabilità.
4.3.1.3 Manutenzione
Il nuovo standard di classificazione specifica, ove già non fosse sufficientemente chiaro, che nell’ambito della classificazione delle zone è necessario tenere in debita considerazione le operazioni di manutenzione ordinaria agli impianti.
Manutenzione (art. 2.1, UNI EN 13306:2018): combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali, durante il ciclo di vita di un’entità, destinate a mantenerla o riportarla in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta.
L’assenza di manutenzione può rendere nel tempo inefficaci anche plurime barriere indipendenti atte ad evitare l’emissione e, come taluni accadimenti incidentali del passato dimostrano, può essere posta alla radice di incidenti catastrofici. In aggiunta a questo l’assenza o la mancanza di adeguatezza della manutenzione effettuata può mutare il grado della sorgente di emissione e, in conseguenza di questo, la relativa classificazione della zona a rischio di esplosione. Ricordiamo, a questo riguardo, che una sorgente di emissione di secondo grado è tale se:
non si prevede si verifichi durante il normale funzionamento e, se essa ha luogo, è probabile accada solo poco frequentemente e per brevi periodi.
In relazione a ciò, appare chiaro che l’assenza di manutenzione preventiva potrebbe non consentire di intercettare in “breve periodo” un’emissione. A tale proposito la Norma specifica che questo aggravio di rischio, in termini di classificazione ATEX, non dovrebbe essere un alibi per giustificare l’assenza di manutenzione dell’asset.
In conclusione, la classificazione delle zone a rischio di esplosione deve presupporre l’implementazione di un ragionevole piano di manutenzione preventiva e correttiva proporzionato al rischio dell’impianto valutato. A titolo indicativo, le frequenze e le modalità di controllo delle sorgenti di emissione derivanti da gas naturale sono rinvenibili in IGEM/SR/25 Ed 2 mentre, più in generale, si può fare riferimento all’integrità meccanica (Mechanical Integrity) proposta dal CCPS, alla manutenzione orientata all’affidabilità (RCM, Reliability Centered Maintenance) contestualizzata in ambito industriale oppure alle ispezioni basate sul rischio (RBI, Risk-Based inspection) di cui agli standard UNI EN 16991:2018, API RP 580:2016 e API RP 581:2016. In questo senso si può fare esplicito riferimento al programma LDAR (Leak Detection And Repair) dell’ISPRA.
4.3.1.4 Sistemi di controllo e sicurezza funzionale
Un aspetto particolarmente innovativo presente nella terza edizione dell’EN IEC 60079-10-1 è legato all’introduzione del concetto di riduzione del rischio ALARP (tanto basso quanto ragionevolmente praticabile, As Low As Reasonably Practicable) in relazione alla probabilità che l’eliminazione dell’ATEX e delle sorgenti di accensione non risulti tecnicamente praticabile.
Tale concetto, diffusamente rinvenibile in ambito anglosassone, appare sostanzialmente assente nel contesto prevenzionistico italiano. Anche laddove la valutazione del rischio è più sviluppata, come per l’applicazione della Direttiva Seveso III, ci si ferma sempre “un po’ prima”, calcolando sia le frequenze dei vari TOP EVENT sia simulando gli effetti prevedibili di rilascio senza combinare, però, i due parametri.
A questo proposito l’articolo 4.3 della Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 specifica che qualora si utilizzino sistemi specifici di controllo, come l’inertizzazione (flussaggio, purgaggio) nei contenimenti chiusi, l’interno dei volumi di processo possa essere declassificato assegnando una zona pericolosa meno onerosa (es. da zona 0 “nativa” a zona 1 oppure, con particolari attenzioni, zona 2). In tali ambiti, l’affidabilità delle misure di controllo dovrà pertanto essere commisurata alla declassificazione della zona a rischio di esplosione grazie a sistemi di controllo progettati e installati conformemente a standard relativi la sicurezza funzionale (es. IEC 61508, IEC 61511, IEC 62061, IEC 60079-29-3).
Un Sistema Stumentato di Sicurezza (SIS) è composto da almeno tre elementi:
-
sensore: rileva un potenziale pericolo e produce un segnale elettrico che viene inviato ad un solutore logico. Esempi di sensori sono i trasmettitori di pressione, i trasmettitori di livello, i misuratori di temperatura ecc;
-
solutore logico: rileva il segnale elettrico che supera una determinata soglia e invia un segnale agli elementi finali. I solutori logici possono essere computer, controllori elettronici programmabili (PLC) e circuiti relè;
-
elemento finale: svolge la funzione di sicurezza. Esempi di elementi finali sono le valvole di arresto, gli interruttori automatici, i motori, i ventilatori ecc.
I tre sottosistemi devono agire di concerto per individuare la deviazione (cioè la domanda) e portare l’apparecchio sotto controllo (EUC) in uno stato sicuro. In breve, il SIS individua, reagisce e scongiura.
Si riportano di seguito alcuni possibili esempi di sistemi strumentati di sicurezza in ambito ATEX:
-
sistemi di controllo della ventilazione artificiale generale (VAG);
-
sistemi di controllo della ventilazione artificiale locale (VAL);
-
sistemi controllo del flussaggio di gas inerte in impianti di processo operanti con fluidi infiammabili;
-
sistemi di controllo del purgaggio con gas inerte in impianti di processo operanti con fluidi infiammabili;
-
sistemi di controllo di livello alto-alto in serbatoi contenenti fluidi infiammabili;
-
sistemi di controllo di livello alto-alto in silos di contenimento polveri combustibili;
-
ambienti con controllo di esplodibilità dell’atmosfera;
-
ambienti con controllo di temperatura dell’atmosfera;
-
sistemi di controllo delle tenute d’albero in pompe centrifughe dedicate al trasferimento di liquidi infiammabili.
Il dimensionamento del livello di integrità di sicurezza (SIL) delle varie funzioni strumentate di sicurezza (SIF) relative al SIS dovrà partire necessariamente, nella logica ALARP, dall’identificazione dei confini tra “tollerabilità” e “tollerabilità generalizzata” del rischio in ambito ATEX. Tale parametro è calcolabile adottando una definizione di rischio e determinando numericamente i parametri critici in essa contenuti.
Molta cautela, tuttavia, dovrà essere posta nella eventuale declassificazione del contenimento con l’ausilio di sistemi di inertizzazione: in questo ambito ciò che “comanderà” sarà principalmente la “disponibilità intrinseca” del gas inerte. La presenza di una SIF, quindi, se da un lato contribuirà ad aumentare l’affidabilità della catena di alimento del gas, dall’altro sarà sempre necessario confrontarsi con l’effettiva durata dell’ATEX all’interno del volume controllato. L’adozione di catene molto affidabili, infatti, non necessariamente si tradurrà in una riduzione particolarmente sensibile delle durate delle atmosfere esplosive.
Passare da una zona 0, cioè, caratterizzata da probabilità non condizionata di ATEX superiore all’11,4% sul tempo complessivo di processo, a zone non classificate, nelle quali le previsioni di probabilità dovranno necessariamente essere inferiori a probabilità di 10-5 non è cosa semplice. Molta attenzione, quindi.
Ritornando alla trattazione specifica di un SIS, le barriere di protezione, rispetto ad un evento catastrofico derivante dall’innesco di un’ATEX, sono suddivisibili in misure di prevenzione o di mitigazione.
Relativamente alle misure di prevenzione si individua:
-
l’impianto di processo;
-
i sistemi di controllo di processo (BPCS);
-
i sistemi d’allarme;
-
i sistemi strumentati di sicurezza (SIS);
-
la protezione fisica.
Mentre, relativamente alle misure di mitigazione, si specificano:
-
il contenimento fisico;
-
gli abbattitori e le torce;
-
i sistemi fire & gas;
-
le procedure di evacuazione;
-
i piani di emergenza per la popolazione.
Il SIL di ogni SIF è suddivisibile su quattro livelli di prestazione; maggiore sarà il SIL maggiore sarà il fattore di riduzione del rischio (RFF) secondo quanto specificato in Tabella 4.2 nella quale si correlano tali parametri con il funzionamento su domanda oppure continuo del sistema.
Tabella 4.2 – Relazione tra SIL, PFDavg, PFH, RRF

In presenza di luoghi di lavoro chiusi con basso grado di diluizione e/o con un livello di concentrazione di infiammabili superiore all’LFL/4 sarà presente una classificazione di campo lontano con aggravio di rischio rispetto al grado della sorgente di emissione. Da una sorgente di secondo grado, cioè, si potrà originare una zona di tipo 1 e da una sorgente di primo grado deriverà una zona 0. In tali circostanze l’adozione di un sistema di controllo dell’esplodibilità, progettato ed installato a Norma CEI EN 60079-29-2:2016, giustificherà l’utilizzo di apparecchiature con un livello di protezione EPL inferiore a quello richiesto.
4.3.1.5 Le zone Non Estese (NE)
La terza edizione della Norma fornisce nuovi criteri per la definizione di una zona NE, integrativi della basilare accoppiata tra “ALTA” diluzione dei gas infiammabili e “BUONA” disponibilità della ventilazione. Tali criteri sono i seguenti (cfr. art. 4.4.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021):
-
l’accensione dell’ATEX non causa danni da sovrappressione o da proietti;
-
l’accensione dell’ATEX non genera calore sufficiente a causare danni o incendi i materiali circostanti;
-
per gas distribuito a pressioni superiori 10 barg deve essere presa in considerazione una specifica valutazione del rischio;
-
una zona NE non deve essere adottata in presenza di gas distribuito a pressioni superiori a 20 barg a meno che una specifica e dettagliata valutazione del rischio non possa documentare il contrario.
Tali aspetti, essendo completamente nuovi nell’ambito della classificazione delle zone, appaiono meritevoli dei necessari approfondimenti nelle sedi competenti.
In ogni caso, esistono da decenni criteri per la valutazione quantitativa dei danni da esplosione sia per impianti RIR sia nell’ambito della valutazione di rischio in conformità alla direttiva sociale 1999/92/CE (cfr. art. 290, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2008).
Il riferimento è alla metodologia del TNT equivalente o del TNO Multienergy, limitandoci a citare gli strumenti più diffusi (si rimanda al Capitolo 8 per i dettagli).
4.3.1.6 Le competenze professionali
Un paragrafo particolarmente importante del nuovo testo normativo è relativo alle competenze richieste al personale che esegue la classificazione delle zone a rischio di esplosione.
Il classificatore deve possedere le seguenti competenze specifiche:
-
conoscere la natura delle sostanze infiammabili;
-
conoscere gli aspetti connessi alla ventilazione e alla dispersione dei gas;
-
avere familiarità con gli aspetti di processo relativi agli impianti esaminati.
Ove necessario, il personale dovrebbe regolarmente aderire a percorsi di formazione continua.
La competenza può essere dimostrata in conformità con un quadro di formazione e valutazione pertinente a regolamenti oppure norme nazionali o requisiti degli utenti. Gli elementi di competenza sono coperti in diversi schemi di certificazione del personale (IECEx, IsmATEX, ecc.)
In ogni caso, in assenza di specifici dettagli normativi cogenti, la verifica del livello di competenza professionale è demandata al committente (datore di lavoro) sulla base delle referenze e dell’expertise maturata dal professionista incaricato.
4.3.2 Classificazione ATEX: gas e vapori infiammabili
La classificazione delle zone a rischio di esplosione è l’operazione che, escludendo scenari di incidente catastrofico, valuta la probabilità e la durata della presenza di un’atmosfera esplosiva in una data planivolumetria chiusa oppure in uno spazio aperto con l’obiettivo di indirizzare alla corretta scelta, installazione e funzionamento di apparecchi da impiegarsi con sicurezza in questi ambienti.
La Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 prevede essenzialmente tre (riassumibili in due) metodi di classificazione:
-
metodologia semplificata e/o utilizzo di codici industriali e norme nazionali;
-
metodologia con sorgenti di emissione.
Nell’ambito della classificazione delle zone a rischio di esplosione potranno essere considerate le implicazioni della presenza di sistemi di controllo, progettati ed installati in conformità a norme inerenti alla sicurezza funzionale, e finalizzati alla riduzione della probabilità e/o della durata della presenza di ATEX. La Norma consiglia, inoltre, di tenere in debita considerazione l’esperienza precedente nella classificazione di impianti analoghi35.
Pur essendo prevista la possibilità di una combinazione delle metodologie in corrispondenza delle varie fasi di sviluppo di un progetto (es. metodologia semplificata nella fase di ideazione o di una modifica di un processo, metodologia per sorgenti di emissione in impianti esistenti nei quali sono bene identificate le sostanze e i parametri di emissione in gioco), si sconsiglia un approccio “cherry picking” che preveda la selezione di esempi tratti da standard differenti utilizzati nello stesso ambito (anche) con il fine di rendere meno gravosa la classificazione delle zone a rischio di esplosione.
4.3.2.1 Metodologia semplificata e/o utilizzo di codici industriali e norme nazionali
La previsione di utilizzare metodi semplificati di classificazione non era prevista nella prima edizione della Norma.
La CEI EN IEC 60079-10-1:2021 ora ammette la possibilità di ricorrere a metodologie in cui il tipo di zona e l’estensione della medesima sono individuati utilizzando diagrammi tipici presenti in molte fonti autorevoli di normazione tra le quali vogliamo citare:
-
EI 15:2015;
-
API RP 505:2018;
-
NFPA 497:2017.
Esiste, peraltro, la possibilità di ricorrere a standard tecnici presenti negli allegati delle norme di tipo C di specifici apparecchi/impianti (cfr. Direttiva 2006/42/CE). Il riferimento è, per esempio, alle seguenti Normative tecniche:
-
Cabine di verniciatura per materiali di rivestimento organici: UNI EN 16985:2019 (Allegato B, solvente e polvere).
-
Batterie stazionarie: CEI EN IEC 62485-2:2018.
-
Miscelatori di vernici: UNI EN 12757-1:2010 (Allegato B).
-
Essiccatoi e forni nei quali si sviluppano sostanze infiammabili: UNI EN 1539:2015.
Inoltre, un ampio elenco di standard nazionali cui attingere è presente nell’Allegato (informativo) K della CEI EN IEC 60079-10-1:2021 che non cita la ex Guida CEI 31-35:2012, comunque abrogata, interpretativa della Norma, anch’essa abrogata CEI EN 60079-10-1:2010.
È possibile, tuttavia, che la metodologia semplificata di cui si è detto possa non trovare applicazione nei casi in cui:
-
La quantità di rilascio di infiammabile risulti troppo bassa o troppo alta rispetto ai limiti previsti nello standard semplificato.
-
Il progetto della particolare tipologia di impianto non sia conforme a tutti i requisiti specificati nello standard nazionale o nel codice industriale.
-
Siano utilizzati metodi per ridurre l’estensione della zona a rischio di esplosione o la probabilità di rilascio attraverso l’utilizzo di ventilazione, inertizzazione, ecc. In generale le metodologie semplificate sono consigliabili, come già accennato, nelle fasi iniziali di progettazione dell’impianto oppure in occasione di modifiche significative su asset esistenti (soprattutto nei casi in cui il quadro complessivo delle sostanze presenti in ciclo non sia ancora definitivo) e/o quanto i parametri operativi non siano ancora noti in modo ragionevolmente preciso e/o (ancora) quando i sistemi di controllo e di ventilazione siano solo abbozzati.
4.3.2.2 Metodologia con sorgenti di emissione
La classificazione delle zone a rischio di esplosione prevista dalla Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 è sintetizzabile nei seguenti punti:
-
Catalogare le caratteristiche ATEX dei liquidi e dei gas infiammabili presenti nel processo analizzato.
-
Individuare presenza e affidabilità dei sistemi di prevenzione dell’ATEX (inertizzazione, controllo di esplodibilità, ventilazione artificiale locale, ecc.).
-
Identificare le sorgenti di emissione.
-
Escludere le sorgenti di emissione escludibili.
-
Associare ad ogni sorgente di emissione residua il/i relativo/i grado/i di emissione.
-
Calcolare la portata di emissione di ogni sorgente di emissione.
-
Caratterizzare il livello di ventilazione presente negli ambienti oggetto di valutazione.
-
Associare la/le zona/e classificata/e (o NE) ad ogni sorgente di emissione.
-
Calcolare le dispersioni e le conseguenti estensioni delle zone a rischio di esplosione.
-
Tracciare le zone specifiche tavole grafiche di classificazione (piante e prospetti).
Le formule per le determinazioni numeriche di rilascio sono riepilogate nell’Allegato B alla CEI EN IEC 60079-10-1:2021 mentre per le caratteristiche di ventilazione si farà riferimento all’Allegato C della Norma. Più complesso è il caso della determinazione delle distanze di dispersione, come vedremo nella parte applicativa di questo Capitolo, viste le numerose esclusioni previste in Allegato D, CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
Altresì, rispetto alla procedura prevista dalla ex Guida CEI 31-35:2012 esisteranno novità sia nel calcolo delle caratteristiche del campo vicino che per la verifica delle condizioni di sicurezza del campo lontano (nel caso, quest’ultimo, di luoghi chiusi). In particolare, nello studio del campo lontano, la condizione di sicurezza viene stimata dall’edizione 2021 adottando un coefficiente di sicurezza pari a 4 sul LFL:
“[…] se la concentrazione di fondo (campo lontano, ndr) supera il 25% dell’LFL, il grado di diluizione deve essere generalmente considerato basso”.
“[…] Il grado di diluizione deve essere considerato basso se la concentrazione di fondo supera il 25% del LFL o se indicato da una valutazione basata sulla figura C.1”.
Il parametro a cui viene associata la definizione di concentrazione critica (Xcrit) risulta indipendente dal grado della sorgente. Perché la condizione di campo lontano sia da escludere è necessario che:

dove:
Xb | è la concentrazione di campo lontano [vol/vol] |
f | è l’inefficienza della ventilazione [adimensionale]36 |
Qg | è la portata volumetrica di infiammabile proveniente dalla sorgente di emissione [m3/s] |
Q2 | è la portata volumetrica della miscela aria/gas in uscita dall’ambiente [m3/s] |
LFL | è il limite inferiore di infiammabilità della sostanza di riferimento [vol/vol] |
4.3.2.2.1 Il rilascio/emissione
Forse uno tra i problemi più comuni per chi si occupa di classificazione delle zone a rischio di esplosione è la difficoltà nella comprensione delle differenze che intercorrono tra il fenomeno fisico del rilascio/emissione di una sostanza infiammabile rispetto alla sua dispersione.
In generale rilascio/emissione e dispersione sono collegate tra loro da una relazione di causalità e consequenzialità. La dispersione in atmosfera è quindi l’effetto del rilascio/ emissione di sostanze infiammabili.
Il rilascio e la sua relativa portata in massa, dipendono da una serie di fattori tra i quali si elencano i seguenti:
-
natura e tipo di rilascio;
-
velocità di rilascio;
-
concentrazione;
-
volatilità del liquido infiammabile;
-
temperatura del liquido infiammabile.
Gli scenari di rilascio che vengono inclusi nell’ambito applicativo del nuovo standard CEI EN IEC 60079-10-1:2021 dipendono dallo stato fisico della sostanza infiammabile e possono essere riassunti nei seguenti37:
-
rilascio di liquidi (cfr. B.7.2.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021);
-
rilascio di gas con velocità subsoniche a flusso non soffocato (cfr. B.7.2.3.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021);
-
rilascio di gas con velocità soniche a flusso soffocato (cfr. B.7.2.3.3, CEI EN IEC 60079-10-1:2021);
-
rilascio da pozze in fase di evaporazione (cfr. B.7.3, CEI EN IEC 60079-10-1:2021);
-
rilascio attraverso aperture in edifici (cfr. B.8, CEI EN IEC 60079-10-1:2021). Tali scenari dipendono dallo stato fisico, dalla temperatura e dalla pressione della sostanza infiammabile e, come si può constatare, le situazioni prese in considerazione dalla terza edizione dello standard ricalcano quanto già approfondito nella precedente edizione. Si annoti che con la CEI EN IEC 60079-10-1:2021 l’equazione di emissione da pozza è stata aggiornata rispetto alla seconda edizione: tale modifica prevede un aumento di circa tre volte del tasso di emissione di vapori infiammabili.
4.3.2.2.2 La dispersione
Una volta che l’infiammabile è emesso in atmosfera questo tenderà, nel campo vicino, a formare gradienti di concentrazione decrescenti che tenderanno a raggiungere la concentrazione di campo lontano (nel caso di luoghi chiusi) o dell’ambiente aperto. La dispersione, quindi, dipenderà da tutta una serie di fattori tra i quali si ricordano i seguenti:
-
tipologia di fluido (liquido, vapore, gas, nebbia, spray);
-
collocazione della sorgente di emissione (ambiente chiuso, ambiente aperto);
-
altezza della sorgente di emissione (sottosuolo, al livello del suolo, in altezza);
-
spinta di galleggiamento (neutra, positiva, negativa);
-
quantità di moto dell’emissione (ridotta, elevata).
Tali criteri sono sostanzialmente riepilogati, all’interno della Norma, negli Allegati C (ventilazione) e D (determinazione delle zone pericolose).
Per quanto attiene la ventilazione la CEI EN IEC 60079-10-1:2021 fornisce una metodologia derivata sia dalla Norma BS 5925:199138 (peraltro già sostanzialmente presente anche nell’Allegato GC3, ex Guida CEI 31-35:2012) sia dall’Harris39.
Tali metodi di calcolo, che appaiono certamente affidabili per edifici di semplice costruzione e di volumetria ridotta40, possono via via divenire meno rappresentativi del fenomeno indagato nel caso di ambienti complessi e/o molto ampi (es. capannoni industriali, aree fortemente congestionate, ecc.).
In queste ultime situazioni si può fare anche ricorso a simulazioni CFD, così come consigliato dalla Norma di classificazione, a rilievi sperimentali che coinvolgono l’utilizzo di gas traccia oppure a metodologie specifiche quali quelle proposte dal CIBSE (Ivings et al. 2014)41. In ogni caso i riferimenti utilizzati devono essere validati.
Per quanto attiene alle velocità dell’aria necessarie per la stima della diluizione delle dispersioni, l’Allegato C della Norma suggerisce i valori da assumersi in ambiente esterno in relazione a:
-
elevazione della sorgente di emissione (inferiore a 2 m, compresa tra 2 m e 5 m, superiore a 5 m);
-
densità del gas/vapore (più leggero dell’aria, più pesante dell’aria, evaporazione da superficie di liquido);
-
zone ostruite o non ostruite;
I valori della velocità dell’aria esterna risultano in ogni caso compresi tra 0,15 m/s e 2 m/s, come risulta evidente dalla Tabella 4.3.
Tabella 4.3 – Velocità indicative dell’aria esterna, uw

Fonte: IEC, 2021
In generale la dispersione delle sostanze infiammabili è data dall’interazione tra tre fenomeni che influenzano i motivi convettivi dei fluidi:
-
la quantità di moto del rilascio;
-
la tendenza al galleggiamento del fluido;
-
la velocità dell’aria.
I rilasci a getto sono la modalità di dispersione più efficace nell’impoverire la miscela d’origine. In altri termini, tale forma di dispersione tende a far decrescere la componente infiammabile nella minor distanza possibile. Per converso, la dispersione in rilasci a bassa velocità di emissione sarà principalmente governata da fenomeni di convezione di tipo passivo legati sia alla tendenza al galleggiamento del fluido, sia alla velocità dell’aria presente.
In generale i fluidi a bassa densità tenderanno a disperdersi con modalità più efficaci rispetto a gas/vapori pesanti i quali, tenderanno a permanere nel campo di infiammabilità per maggior tempo.
A questo si aggiunge il fatto che, al netto delle classi di stabilità di Pasquill, la velocità media del vento tende a diminuire con la quota. Il gradiente di diminuzione verso il suolo aumenta al diminuire del grado di ostruzione (cfr. coefficiente f).
La velocità di diminuzione della velocità con la quota, cioè, è massima per luoghi privi di ostruzione.
Inoltre la velocità dell’aria non è rappresentata da un valore univoco per ogni località ma è soggetta a variazioni, anche significative, al modificarsi delle stagioni, della durata del giorno, ecc.
A titolo esemplificativo si riporta uno studio sulla velocità media scalare oraria misurata su tre anni (1/1/2018÷31/12/2020, n. 26.258 rilievi orari) dalla stazione meteo regionale installata all’aeroporto di Gorizia (FVG).
I valori sono ordinati in modo decrescente.
Figura 4.6 – Esempio di media triennale delle velocità scalari al suolo (2018÷2020), valori cumulati

Fonte: ARPA FVG – OSMER
Il risultato, espresso in forma tabellare, è il seguente:
Tabella 4.4 – Esempio di media triennale delle velocità scalari al suolo (2018÷2020), frazioni percentuali


Fonte: ARPA FVG – OSMER
Quanto più si sposta in alto il riferimento dell’uw tanto meno frequenza cumulata viene a sommarsi. Dato che la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 definisce a disponibilità ADEGUATA una velocità presente per più del 95% del tempo, nel caso in esame dovremo concludere che tale valore si colloca al limite inferiore dell’intervallo [0,7÷0,4 m/s]42.
Peraltro, stante le previsioni dell’Allegato C43 e delle note alla Tabella C.144 e nonostante alcune inconsistenze tra le due fonti, possiamo concludere che valori di velocità pari a 0,5 m/s in presenza di gas leggeri siano a disponibilità BUONA mentre i valori superiori a tale indicazione siano a disponibilità ADEGUATA.
L’assunzione di una disponibilità ADEGUATA in ambiente aperto in luogo della BUONA, generalmente consigliata nella ex Guida CEI 31-35:2012, impatta generalmente per sorgenti di grado superiore al secondo (primo e continuo) e per dispersioni differenti dal getto (dispersione passiva o gas pesanti).
In ogni caso i riferimenti in termini di ventilazione possono essere desunti anche da eventuali stazioni meteo di stabilimento (industrie Seveso III) oppure consultando i siti ARPA locali e derivando, da questi, medie di lungo periodo (non scordando che il vento al suolo è generalmente riferito ad un’altezza di 10 m).
Relativamente ai rilasci interni, la terza edizione della Norma, a differenza della seconda, non fornisce indicazioni in tema di velocità minima dell’aria da adottare per la classificazione.
Le opzioni possibili per l’assunzione di tale fondamentale parametro sono le seguenti:
-
ex Guida CEI 31-35:2012. §3.26: “Simboli utilizzati nella presente Guida. Velocità di riferimento dell’aria nell’ambiente considerato”.
-
Allegato C, UNI 10339:1995. Negli ambienti chiusi dove sono presi provvedimenti per il benessere delle persone, le velocità dell’aria sono generalmente comprese tra 0,05 m/s e 0,15 m/s.
-
Allegato E, CEI EN IEC 60079-10-1:2021. Calcolo della velocità dell’aria ipotizzando, per uw, un profilo costante a tutta altezza dell’edificio ottenuto dividendo la portata d’aria ipotizzata per la sezione trasversale dell’edificio medesimo.
-
CIBSE, Guide A, Environmental Design, 2015. Per velocità dell’aria interna inferiori a 0,1 m/s si assume che la convezione naturale sia comunque pari a 0,1 m/s.
-
Campionamento sperimentale. La determinazione della velocità interna può essere realizzata con una campagna di misure sperimentali aventi grado di affidabilità statisticamente consistente45.
I valori locali di ventilazione unitamente al tipo di rilascio consentiranno di determinare l’ampiezza della zona a rischio di esplosione.
L’Allegato D, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 propone, in questo senso, un nomogramma sviluppato in base ad equazioni di continuità e a simulazioni CFD, assumendo una distanza di dispersione proporzionale alla radice quadrata dei valori delle ascisse46 e moderando i risultati ottenuti con le finalità della Norma47.
In tale nomogramma sono previste tre modalità differenti di dispersione di tipo esclusivamente convettivo:
-
a getto (non ostacolata);
-
diffusiva/passiva e/o a getto ostacolata (e quindi con perdita di quantità di moto);
-
gas pesanti o vapori che si diffondono su superfici orizzontali.
Avremo modo di ritornare sull’argomento anche se le equazioni che governano 2. e 3. sono le medesime (KM o Fauske modificata): ciò che cambia è la prossimità o meno al suolo.
Ai fini della classificazione la ventilazione è classificabile, in relazione alla sua probabilità e durata (= disponibilità), nelle tre categorie qualitative di seguito specificate:
Buona: la ventilazione è presente praticamente in modo ininterrotto.
Adeguata: è prevista la presenza di ventilazione durante il normale funzionamento. Le interruzioni sono consentite a condizione che si verifichino poco frequentemente e per brevi periodi49.
Scarsa: la ventilazione che non soddisfa lo standard di buona o adeguata, ma non si prevedono interruzioni per lunghi periodi.
Come già accennato, all’aperto valori di velocità pari a 0,5 m/s in presenza di gas leggeri sono considerabili a disponibilità BUONA. Il riferimento alla ventilazione BUONA, al chiuso, è comunque correlato alla presenza di potenziali sorgenti di emissione attive. La presenza di sistemi di interblocco affidabili che consentano l’intercettazione delle sorgenti di emissione in assenza di ventilazione può essere definibile a disponibilità BUONA.
La ventilazione è altresì configurabile come BUONA anche nei casi in cui siano presenti brevissime interruzioni necessarie all’avviamento di ventilatori di backup.
4.3.2.2.3 Le sorgenti di emissione
Non esistono particolari differenze tra le varie edizioni della Norma IEC 60079-10-1 nella suddivisione del grado delle sorgenti di emissione (continuo, primo e secondo) e nella conseguente classificazione qualitativa di tali sorgenti. Il nuovo standard infatti fornisce le seguenti definizioni:
sorgente di emissione: un punto o parte da cui può essere emesso nell’atmosfera un gas, un vapore, una nebbia o un liquido infiammabile con una modalità tale da formare un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas;
sorgente di emissione di grado continuo: emissione continua oppure che è prevista avvenire frequentemente o per lunghi periodi50;
sorgente di emissione di grado primo: emissione che può essere prevista avvenire periodicamente oppure occasionalmente durante il funzionamento normale;
sorgente di emissione di grado secondo: emissione che non è prevista avvenire nel funzionamento normale e, se essa avviene, è probabile accada solo poco frequentemente e per brevi periodi51.
Una descrizione di dettaglio di potenziali sorgenti di emissione rinvenibili in impianti soggetti a rischio di esplosione sono riportate in Tabella 4.5.
Tabella 4.5 – Esempi di sorgenti di emissione
Grado della sorgente di emissione | Esempi |
---|---|
Continuo |
|
Primo |
|
Grado della sorgente di emissione | Esempi |
---|---|
Secondo |
|
Sarà sempre opportuno, una volta mappate tutte le potenziali sorgenti di emissione della macchina/impianto/attrezzatura, escludere le sorgenti “escludibili”, e questo con il fine di realizzare una classificazione che eviti palesi sovrastime di rischio. I riferimenti tecnici rispetto ai quali effettuare tale opera di “smagrimento” sono i seguenti:
-
Art. 287, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008;
-
Art. 5.7.1.2, CEI 31-35:2012 (abrogata. Articolo non in contrasto con CEI EN 60079-10-1:2016);
-
Allegato B, UNI EN 1127-1:2011.
Tabella 4.6 – Sorgenti di emissione: le esclusioni
Riferimento normativo | Descrizione dell’esclusione |
---|---|
Art. 287, comma 3, D.lgs. n. 81/2008 |
|
Riferimento normativo | Descrizione dell’esclusione |
---|---|
Art. 5.7.1.2, CEI 31-35:2012 |
|
Riferimento normativo | Descrizione dell’esclusione |
---|---|
Annex B, EN 1127-1:2019 |
|
Fonte: IEC, 2021
Un aspetto che merita di essere nuovamente sottolineato è riferito alle sorgenti di emissione di secondo grado che generano un rilascio che non è atteso abbia luogo durante le normali operazioni e, se avviene, è “poco frequente” e di “breve durata”. È questo l’ambito delle sorgenti di emissione dovute a “guasto”.
Il riferimento alla “breve durata” presuppone che la rilevazione dell’emissione e la sua bonifica avvenga nel più breve tempo possibile. Questa assunzione implica la necessità di un piano di controlli e manutenzione sviluppato, in generale, secondo quanto previsto dal Titolo III, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 e, in particolare, secondo i dettami della manutenzione orientata all’affidabilità (RCM) di cui abbiamo già discusso51.
La nuova edizione della IEC 60079-10-1, pur puntualizzando correttamente questo aspetto, non giunge a concludere che in assenza di un sistema di controllo e manutenzione ravvicinata, in particolare per le installazioni incustodite e remote, la sorgente di emissione muti dal secondo al primo o al grado continuo.
In altri termini, qualsiasi sia la valutazione sul grado di emissione della sorgente questa dovrà essere condotta partendo dal presupposto che il controllo e la manutenzione delle attrezzature e degli impianti sia eseguito conformemente alle istruzioni del fabbricante, alle norme tecniche armonizzate applicabili e/o alle corrette pratiche ingegneristiche (come l’RCM o i programmi finalizzati al raggiungimento dell’integrità meccanica così come intesa in ambito CCPS).
La classificazione delle zone a rischio di esplosione non deve, cioè, essere un alibi per non attuare piani di manutenzione preventiva e su condizione e l’utilizzatore deve essere reso consapevole che trascurare il fondamentale aspetto manutentivo degli apparecchi/impianti può compromettere le basi stesse sulle quali la classificazione delle zone si fonda. Quali frequenze di monitoraggio adottare dunque? Uno spunto proviene dall’ISPRA che, con il suo “Leak Detection and Repair” (LDAR e/o smart LDAR), suggerisce intervalli di monitoraggio e riparazione correlati alla tipologia di componente.
Il programma LDAR, scaricabile on-line dal sito ISPRA (Allegato H – Modalità attuative di un programma LDAR per raffinerie e impianti chimici) fornisce uno strumento prezioso per l’elaborazione di un piano di manutenzione preventiva su base volontaria (per industrie non soggette a Direttiva Seveso III) oppure obbligatoria (per raffinerie e impianti chimici assoggettati a Direttiva Seveso III). Per maggiore approfondimento si rimanda al Paragrafo 9.5.2.
Un aspetto di rilevanza fondamentale, nel processo di modellazione della sorgente di emissione, è relativo alla scelta del foro di guasto.
Nel caso di emissione di grado secondo la Tabella B.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 viene in aiuto suggerendo almeno tre possibili opzioni:
-
Valori tipici per le condizioni nelle quali l’apertura di emissione non si espanderà.
-
Valori tipici per le condizioni nelle quali l’apertura di emissione potrebbe espandersi, per esempio, in caso di erosione.
-
Valori tipici per le condizioni nelle quali l’apertura di emissione potrebbe espandersi fino a diventare un guasto grave, per esempio, una rottura improvvisa.
Poiché, in genere, tra l’opzione n. 1. e l’opzione n. 2. possono intercorrere fino a 3 ordini (per esempio i gasket in fibra compressa su flangia possono variare da 0,025 mm2 a 2,5 mm2) tale aspetto specifico influenzerà in modo decisivo la classificazione ATEX. Escludendo le condizioni previste nel punto n. 3., assimilabili ad un guasto catastrofico, potremo orientarci verso fori di guasto di entità minima se:
-
non esistono condizioni di corrosione ambientale (alogenidrica, correnti vaganti, ecc);
-
il fluido canalizzato non genera corrosione (es. gas disidratato e non corrosivo);
-
il piping è assoggettato a controlli di manutenzione preventiva (es. gas test periodici);
-
il piping è dimensionato correttamente rispetto alle reali condizioni di esercizio;
-
non sono presenti elementi sottoposti ad attrito ed usura (es. tenute su alberi rotanti).
Spesso è sufficiente l’assenza di uno dei prerequisiti indicati per orientare verso la scelta di fori di guasto maggiori. Per esempio una canalizzazione di gas naturale con le seguenti caratteristiche:
-
assenza di ambienti corrosivi esterni;
-
presenza di gas disidratato nelle canalizzazioni;
-
presenza di un sistema strutturato di manutenzione capace di individuare il “primo guasto”52;
porta ad assumere fori di guasto non superiori a 0,25 mm2 (vedi anche IGEM/ SR/25:2010). D’altra parte la sola presenza di un ambiente di installazione ostile (es. offshore) oppure di gas aggressivi (es. produzione di biogas) deve comportare assunzioni di fori di guasto minimi non inferiori a 2,5 mm2.
Un ottimo riferimento per la scelta dei fori di guasto in ambito gas è riportato nel rapporto tecnico UNI CEI TR 11798:202053 al quale si rimanda per maggiori dettagli.
4.3.2.3 Il grado di diluizione
Il grado di diluzione della miscela infiammabile originato dalla ventilazione (e classificabile in ALTO, MEDIO o BASSO) rappresenta probabilmente la più importante novità introdotta dalla seconda edizione della Norma (e parzialmente modificato nella terza edizione) poiché tale parametro ha sostituito in parte il precedente criterio (volume ipotetico di atmosfera esplosiva, Vz).
L’Allegato C, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 specifica che il grado di diluizione può essere sintetizzato dalla seguente relazione54:
Grado di diluizione = f(uw, Qc)
dove:
uw | è la velocità di ventilazione [m/s]; |
Qc | è il rilascio volumetrico caratteristico della sorgente di emissione [m3/s]. |
La velocità di ventilazione (uw), sia indoor sia outdoor, dovrà essere sempre valutata in relazione alla tendenza al galleggiamento (o meno) del gas55. Inoltre la presenza di ostacoli tenderà ad influire negativamente, e in misura maggiore, sulla dispersione dei gas pesanti o neutri rispetto ai gas leggeri.
La portata caratteristica di rilascio (Qc) viene calcolata con la seguente equazione:

dove:
Wg | è la portata della sorgente di emissione [kg/s]; |
ρg | è la densità del gas/vapore a temperatura e pressione ambiente [kg/m3]; |
LFL | è il limite inferiore di infiammabilità della sostanza emessa [vol/vol]. |
Il grado di diluizione, una volta noti uw e Qc, verrà infine ricavato dal diagramma logaritmico C.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 (cfr. seguente Figura 4.756).
Commento: a differenza di quanto previsto nella precedente Norma CEI EN 60079-10-1:2016 non è più presente il coefficiente di sicurezza “k” al denominatore.
Figura 4.7 – Grado di diluizione in funzione di uw e Qc

Fonte: IEC, 2021
Per maggiore praticità di calcolo si riportano di seguito le equazioni logaritmiche estrapolate dal diagramma della precedente Figura 4.7.

Il confine tra le zone ad ALTA e MEDIA (AM) diluizione è rappresentato, più concretamente, da un volume di infiammabile rilasciato pari a 0,1 m3.
Ogni punto posto alla sinistra della retta logaritmica AM sarà quindi indicativo di un volume inferiore mentre alla destra esisteranno solo volumi superiori di ATEX non più trascurabili. Facendo poi riferimento agli studi di Persic57 si può dimostrare una relazione tra queste equazioni e il “Volume Ipotetico di Atmosfera Esplosiva”, Vz58.
In conclusione il limite di diluizione AM, secondo la Norma, si colloca in corrispondenza di un volume Vz pari a 0,1 m3 mentre il limite MB si ottiene con Vz = 100 m3.
Risulta evidente che il passaggio da diluizione MEDIA a diluizione ALTA (e quindi zona NE) lo si può ottenere con aumenti della velocità locale uw, spostandosi, cioè, verticalmente verso l’alto fino ad attraversare il limite di diluizione ALTA–MEDIA.
Nel caso di emissioni localizzate tale risultato è raggiungibile, per esempio, adottando sistemi di Ventilazione Artificiale Locale (VAL) opportunamente dimensionati: in questo caso l’intersezione Qc-uw si sposterà verticalmente (in alto) a causa dell’aumento della velocità e sarà possibile quindi l’attraversamento del limite di diluizione ALTOMEDIO. In un ambiente aperto e normalmente ventilato non è atteso si formino zone con BASSA diluizione; in queste circostanze, soprattutto se in presenza di ampiezze di zone classificate aventi dz > 30 m59, è necessario considerare la possibile presenza di uno scenario di incidente rilevante escluso dal campo applicativo della CEI EN IEC 60079-10-1:2021. Il tipo di zona classificata deriverà dunque da una relazione complessa tra i seguenti parametri:
-
Grado della sorgente di emissione;
-
Disponibilità della ventilazione;
-
Efficacia della diluizione.
La Tabella D.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 illustra la matrice utile all’ottenimento delle zone in relazione ai parametri appena specificati.
Tabella 4.7 – Matrice di classificazione
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
Note:
|
|||||||
+ significa “circondato da”. La disponibilità di ventilazione negli spazi chiusi a ventilazione naturale non è comunemente considerata buona. |
Fonte: IEC, 2021
Alcune osservazioni sulla matrice qui sopra rappresentata:
-
la presenza di un’ALTA diluzione e di una disponibilità BUONA della ventilazione permette di considerare NE le zone a prescindere dal grado di emissione;
-
zone NE sono altresì ottenibili, con sorgenti di emissione di secondo grado, in presenza di ALTE diluzioni ma disponibilità solo ADEGUATE del sistema di ventilazione;
-
la sola presenza di una disponibilità della ventilazione di tipo BUONO non è di per sé garanzia di non aggravio di rischio (una SE di grado secondo, infatti, potrebbe generare zone di tipo 1 o anche 0);
-
sorgenti di emissione di primo grado e continue in presenza di ALTE diluzioni generano comunque zone classificate estese in assenza di continuità del servizio di ventilazione (= disponibilità differente da BUONA);
-
diluizioni di tipo MEDIO generano sempre zone classificate estese; nel caso in cui sia presente una disponibilità di ventilazione BUONA la zona sarà unica e correlata al grado della sorgente di emissione (SE continua corrisponde alla zona 0, SE di primo grado corrisponde alla zona 1, SE di secondo grado determina una zona 2);
-
con diluizione MEDIA e disponibilità diversa da BUONA le zone “native”, di cui al precedente punto, saranno circondate (campo vicino e/o lontano) anche da un’ulteriore zona 2 calcolata in presenza della sola ventilazione residua;
-
la regola di cui la punto 6 non trova applicazione nel caso di sorgenti di secondo grado. Questo a causa del fatto che si ritiene non credibile la presenza di guasto alla ventilazione contemporaneo ad un guasto che generi una SE di secondo grado che, è già di per sé, molto poco probabile (la frequenza di accadimento di una SE di secondo grado è infatti stimata tra 10-3 e 10-5 rilasci/anno);
-
la diluzione BASSA, indipendentemente dalla disponibilità della ventilazione e dal grado della sorgente di emissione, può generare zona 1 o anche zona 0 (condizioni di “assenza di ventilazione”);
Relativamente al problema della diluzione BASSA aggiungiamo che questa può essere causata da due condizioni (contemporanee o no);
-
concentrazione di campo lontano Xb > Xcrit (quest’ultimo tipicamente pari a LFL/4);
-
combinazione tra uw e Qc ricadenti nell’area di diluizione BASSA del nomogramma.
4.3.2.4 Tipologia di aperture
Nel caso di classificazione di campo lontano (diluizione BASSA “OR” Xb > Xcrit) la zona di tipo 1 (oppure 0) generata dalla/e sorgente/i di emissione sarà estesa all’intera planovolumetria e le aperture dell’involucro costituiranno, a loro volta, sorgente di emissione per l’ambiente a valle. La Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 definisce, a questo proposito, quattro tipologie di apertura verso l’esterno e/o l’ambiente a valle:
-
Tipologia A. Aperture non conformi alle caratteristiche specifiche nelle tipologie B, C e D tra le quali: a) passaggi aperti per l’accesso o per il passaggio di servizi (esempi di servizi sono le condotte o le tubazioni che attraversano pareti, soffitti e pavimenti), b) aperture che vengono aperte frequentemente, c) aperture di ventilazione fisse in stanze, edifici e aperture simili.
-
Tipologia B. Aperture normalmente chiuse (per es. a chiusura automatica), aperte di rado e con chiusura a scatto.
-
Tipologia C. Aperture normalmente chiuse (per es. chiusura automatica), aperte di rado e dotate di dispositivi di tenuta (ad es. una guarnizione) lungo tutto il perimetro; oppure due aperture di tipo B in serie, dotate di dispositivi di chiusura automatica indipendenti.
-
Tipologia D. Aperture efficacemente sigillate come, per esempio, nei passaggi di servizio. Oppure aperture normalmente chiuse conformi al tipo C che possono essere aperte solo con mezzi speciali o in caso di emergenza. Oppure una combinazione di un’apertura di tipo C adiacente a un’area pericolosa e un’apertura di tipo B in serie.
Tabella 4.8 – Tipologia di apertura e grado di emissione
Zona a monte dell’apertura | Tipologia di apertura | Grado di emissione dell’apertura (considerata come sorgente di emissione) |
---|---|---|
Zona 0 | A B C D |
Continuo (Continuo)/Primo Secondo Secondo/Nessuna emissione |
Zona 1 | A B C D |
Primo (Primo)/Secondo (Secondo)/Nessuna emissione Nessuna emissione |
Zona 2 | A B C D |
Secondo (Secondo)/Nessuna emissione Nessuna emissione Nessuna emissione |
Per i gradi di rilascio indicati tra parentesi, la frequenza di funzionamento delle aperture deve essere considerata nel progetto. Altresì, il grado della sorgente di emissione dell’apertura tra un luogo interno classificato e ventilato naturalmente e un’area esterna non classificata può essere definito considerando il grado della sorgente che genera la zona interna.
4.3.2.5 Determinazione della distanza pericolosa
La distanza pericolosa che si origina nel campo vicino risulta dipendente, con la seconda e terza edizione della Norma, dal modello di dispersione tipico delle modalità di rilascio del gas/vapore infiammabile oggetto di studio.
La Norma suddivide il campo vicino in tre modelli di dispersione:
-
Dispersione a getto, sostanzialmente indipendente dalla velocità locale dell’aria.
-
Dispersione diffusiva/passiva, propria di rilasci privi di quantità di moto all’emissione oppure di getti che hanno dissipato la propria quantità di moto nell’attrito con l’aria o in caso di urto. La dispersione diffusiva/passiva consente anche la determinazione dell’altezza di classificazione derivante da pozze di infiammabili.
-
Dispersione di gas e vapori densi lungo superfici orizzontali.
La distanza pericolosa, una volta noti il tipo di rilascio e la portata volumetrica del medesimo (Qc), verrà ricavata dal diagramma logaritmico D.1, CEI EN IEC 60069-10-1:2021.
Figura 4.8 – Stima delle distanze di classificazione in funzione del tipo di dispersione e di Qc

Fonte: IEC, 2021
Distanza pericolosa per dispersione a getto:

Distanza pericolosa per dispersione diffusiva/passiva:

Distanza pericolosa per dispersione di gas pesante:

Sono definiti a getto i rilasci sonici, cioè le emissioni che hanno luogo a partire da pressioni (assolute) nel contenimento superiori a 1,7÷1,9 bar.
Il parametro in uscita dal diagramma D.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 è quindi la distanza intercorrente tra il punto di emissione e la zona in corrispondenza della quale la concentrazione raggiunge il valore LFL. Relativamente al rilascio di gas leggeri sono possibili almeno tre ipotesi di emissione (trascurando quella relativa all’urto del getto su una superficie vicina):
-
La quantità di moto del getto, in relazione all’attrito con l’aria ambiente esterna, è tale che il limite di sicurezza LFL viene raggiunto prima della trasformazione del medesimo in dispersione passiva.
-
La quantità di moto del getto, in relazione all’attrito con l’aria ambiente esterna, è tale che il limite LFL non viene raggiunto prima della trasformazione in dispersione passiva.
-
L’emissione non possiede quantità di moto rilevante e viene dispersa con modalità passive a partire dal foro di guasto.
Nel caso del metano, per esempio, pressioni fino a 200 barg e fori di guasto minori o uguali a 2,5 mm2 consentono comunque il raggiungimento dell’LFL all’interno della zona a getto (range di temperatura -20÷40 °C).
L’idrogeno, invece, con il medesimo foro di guasto, manifesta un comportamento più articolato nel campo -20÷40 °C ed è possibile che il flusso a getto si esaurisca prima del raggiungimento del limite inferiore di esplosione (LFL).
L’adozione di concentrazioni di sicurezza inferiori all’LFL può complicare ulteriormente la situazione. Questo aspetto risulta di fondamentale importanza poiché non sempre la distanza pericolosa di una iniziale dispersione a getto potrà essere determinata solo con la retta logaritmica “getto” presente nel diagramma D.1, EN IEC 60079-10-1:2021.
È infatti necessario valutare anche la distanza teorica in corrispondenza della quale avrà luogo la conversione tra getto e dispersione passiva e verificare che tale distanza sia superiore alla distanza pericolosa “jet”.
-
Una tra le modalità più utilizzate per determinare tale limite è basata sul numero di Froude densimetrico che rappresenta un gruppo adimensionale che rapporta la quantità di moto posseduta da un flusso di gas ad alta velocità rispetto alla gravità che agisce sulla massa in movimento. Maggiore è questo numero, maggiore è la predominanza dell’inerzia della massa di gas rispetto al suo galleggiamento.
-
Il TNO olandese (Yellow Book, 2005) indica specifiche equazioni per il calcolo di questo parametro.
In questa sede non ci si vuole tuttavia addentrare negli aspetti di gasdinamica che portano alle conclusioni anzidette. Chi voglia approfondire (davvero) gli interessanti aspetti teorici può riferirsi alla documentazione prodotta dall’istituto di ricerca olandese più volte citato.
Procediamo ora con qualche commento relativo al diagramma logaritmico D.1, EN IEC 60079-10-1:2021.
Facendo simulazioni di calcolo in relazione alla retta “getto” si osserva che, per distanze superiori ad 1 m, la medesima restituisce valori in vantaggio di sicurezza per il gas metano mentre nel caso del propano e dell’idrogeno le distanze a rischio di esplosione appaiono minori rispetto a quelle rappresentative del reale fenomeno fisico come evidenzia la seguente Figura 4.9 (modello di dispersione: TNO, Yellow Book, cap. 4). Appare pertanto credibile che la retta rappresentativa delle distanze a getto sia stata ottenuta, nella Norma, con simulazioni di dispersione effettuate con gas naturale quale sostanza di riferimento. Adottando quindi questa sostanza nei calcoli e assumendo le sezioni di guasto (S) suggerite dalla Norma si ottengono i seguenti risultati in riferimento ad 1 m di dispersione (cfr. UNI CEI TR 11798:2020):
-
S = 2,5 mm2, con p = 12 barg: dz = 1,1 m
-
S = 0,25 mm2, con p = 100 barg: dz = 1 m
-
S = 0,1 mm2, con p = 250 barg: dz = 1 m
Appare evidente che il diagramma logaritmico di cui all’Allegato D, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 risulti non utile nella grande parte delle pressioni di emissioni ATEX, considerando la presenza di fori di guasto riferiti alla Tabella B.1 della Norma. Come visto nel caso del gas naturale, la presenza di fori di guasto suggeriti dall’IGEM, e uguali a 0,25 mm2, rende applicabile il diagramma a partire dai 100 barg in su. Che fare, dunque?
Figura 4.9 – Analisi tecnica sulle curve di dispersione a getto, Diagramma D.1, EN IEC 60079-10-1:2021

La proposta è la seguente: per rilasci a getto sonico con distanze pericolose (dz) superiori ad 1 m si può optare per il nomogramma proposto dalla Norma, valutando caso per caso il vantaggio di sicurezza rispetto al calcolo analitico.
Per distanze pericolose inferiori ad 1 m si può invece far ricorso a equazioni affidabili come quelle presenti nella ex Guida CEI 31-35:2012, nella Norma NFPA 2:2023 oppure nel modello di dispersione di Chen e Rodi60. Il modo di procedere sarà più chiaro nel Capitolo dedicato agli esempi di calcolo.
In ogni caso l’uso delle equazioni presenti nella ex Guida CEI 31-35:2012 e/o NFPA 2:2023 e/o CR non risulta in contrasto con la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 bensì la integrano nelle parti in cui quest’ultima tace (distanze inferiori al metro oppure rilasci al chiuso).
Un altro punto critico del nomogramma D.1 è relativo alla dispersione di infiammabili da pozza.
Fisicamente tale dispersione è governata dalla velocità dell’aria (uw) che la lambisce. In particolare al diminuire della velocità il flusso da turbolento si trasforma progressivamente in laminare e l’estensione della zona a rischio di esplosione, cioè l’area di campo vicino nella quale la concentrazione di infiammabile risulta superiore all’LFL, aumenta61. Tale incremento, al diminuire della velocità, domina sulla diminuzione della portata di vapori infiammabili provenienti dalla pozza (almeno fino a velocità minime di 0,1-0,2 m/s, cfr. §4.5.19).
In Figura 4.10 si evidenzia graficamente quanto accennato nel caso di un rilascio di 100 kg di acetone su cemento: al diminuire della velocità aumenta la distanza a rischio di esplosione.
Figura 4.10 – Emissione e dispersione da pozza di acetone. Sversamento di 100 kg in ambiente aperto (Simulazione: Gexcon-Effects)62

Peraltro, se si correla la dispersione con vari modelli ingegneristici, adottando un approccio di sorgente di emissione virtuale o pseudo-sorgente, si verifica che la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 all’aumentare della velocità dell’aria restituisce valori difformi rispetto al fenomeno fisico.
La spiegazione è, peraltro, abbastanza semplice. Il modello di dispersione della terza (ma anche della seconda) edizione della Norma è dominato dalla emissione della pozza poiché, verosimilmente, le distanze classificate presenti nel diagramma D.1 sono state ottenute con velocità locali dell’aria uw di circa 0,25-0,3 m/s.
Per converso il modello di dispersione proposto nella ex Guida CEI 31-35:2012 appare fortemente conservativo soprattutto per tensioni di vapore del liquido superiori a 20.000 Pa.
Una proposta di soluzione è costituita dalle equazioni di Katan-Mecklenburgh che applicheremo negli esercizi di calcolo proposti nel prossimo Capitolo.
Si annoti che con la terza edizione della Norma l’equazione di emissione da pozza è stata aggiornata: tale modifica aumenta di circa tre volte il tasso di emissione di massa della pozza in evaporazione.
La CEI EN IEC 60079-10-1:2021 vieta altresì l’utilizzo, in ambienti chiusi, di tutti i modelli di campo vicino di cui al Diagramma D.1: “Le curve sono basate su una concentrazione di fondo pari a zero e non sono applicabili in situazioni interne con “media” e “bassa” diluizione”. Si ricorda, per converso, che l’edizione del 2016 limitava l’utilizzo dei modelli di dispersione diagrammati alle sole situazioni indoor a “bassa” diluzione.
Tale scelta, nella Norma del 2021, è probabilmente collegata al fatto che il modello di dispersione presentato nel diagramma D.1 suggerisce valori della distanza pericolosa compatibili, come appena accennato, con i modelli di dispersione più diffusi solo in presenza di velocità dell’aria di circa 0,25-0,3 m/s.
Tale valore di velocità dell’aria è peraltro quello consigliato dalla Tabella C.1 in presenza di pozze e luoghi non ostruiti in ambiente aperto.
Commento: queste criticità (portata di emissione da pozza triplicata tra la seconda e la terza edizione della Norma, diagramma D.1 che probabilmente sottostima le distanze pericolose in presenza di uw inferiori a 0,25 m/s) causano, ad oggi, una decisa sottostima dei dz derivanti da pozza se già calcolati con la Norma CEI EN 60079-10-1:2016 in ambienti chiusi. È consigliabile una loro rivalutazione.
Stanti le difficoltà connesse all’utilizzo dei modelli di dispersione presenti in Allegato D, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 riepilogabili nelle seguenti criticità:
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impossibilità di utilizzo del diagramma D.1 in ambienti chiusi a “bassa” e “media” diluizione (rappresentanti, peraltro, la maggioranza degli scenari di classificazione all’interno degli stabilimenti);
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incertezza sui limiti applicativi della metodologia;
-
incertezza sul reale significato fisico dell’ampiezza di dispersione ottenuta;
-
impossibilità di utilizzare parametri di sicurezza sull’LFL.
Nella parte applicativa, per il calcolo delle distanze a rischio di esplosione, si utilizzeranno modelli di dispersione ingegneristici ampiamente validati nella letteratura tecnica di settore. In particolare le modellazioni si baseranno sui seguenti modelli di calcolo:
-
Katan-Mecklenbugh (KM) per gli scenari di sversamento in pozza;
-
NFPA 2:2023 per gli scenari di rilascio a getto (cfr. Capitolo 12);
-
Equazione di Fauske modificata per le dispersioni passive emesse a distanza dal suolo (FM).
Per quanto attiene ai rilasci a getto si rileva, peraltro, la necessità di prestare molta attenzione nel considerare come esclusiva misura della zona a rischio di esplosione l’estensione dz fino all’LFL (o all’LFL/2) di un getto libero.
La presenza di ostacoli alla libera dispersione (es. pipe-rack) può, infatti, raddoppiare la distanza a rischio di esplosione (Colombini et al., 2021). Inoltre, la dispersione in prossimità del suolo può causare, per “effetto Coanda” , estensioni dell’ATEX fino a quattro volte maggiori rispetto al calcolo con getto libero (Colombini et al., 2020).
A conclusione di paragrafo si vuole fare un cenno all’attuale status giuridico della ex Guida CEI 31-35:2012 abrogata nell’ottobre 2018.
Ad oggi le novità in tema di ex Guida CEI 31-35:2012 aggiornate dalla Norma EN IEC 60079-10-1:2021 sono le seguenti:
-
L’Allegato K “Industry codes and national standards” non cita più la Guida ex CEI 31-35:2012 perché abrogata;
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La ex Guida è tuttavia presente nella bibliografia (al riferimento n. 24);
La ex Guida CEI 31-35:2012 è quindi ora considerabile come letteratura tecnicoscientifica, come del resto specificano i fogli di abrogazione della Guida medesima, e non rappresenta più lo stato dell’arte sull’argomento.
In ogni caso, alla luce di quanto brevemente richiamato si ritiene possano considerarsi “non in contrasto con la nuova edizione della Norma CEI EN 60079-10-1:2016” e, a maggior ragione, con la Norma EN IEC 60079-10-1:2021 le seguenti parti della ex Guida CEI 31-35:2012:
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§5.10.3.4 (fattore di efficacia della ventilazione).
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Capitolo 6 (opere esistenti e loro trasformazione, ampliamento o manutenzione).
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Subappendici da GB.3.2.1 a GB.3.2.3 (portata di liquido emesso dal sistema di contenimento e relative superfici delle pozze al suolo generate).
-
Subappendice GB.4 (calcolo della portata di emissione di gas, di liquidi che evaporano nell’emissione e da pozze).
Commento: la Guida e la Norma differiscono nella simbologia adottata e nell’utilizzo di coefficienti di sicurezza (k, kz, kdz, ecc.). La contestualizzazione specifica non può che essere affidata alla scelta del professionista.
4.3.2.6 La rappresentazione grafica delle zone a rischio di esplosione
La classificazione delle zone a rischio di esplosione dovrà essere supportata da una rappresentazione grafica che permetta la rapida individuazione delle sorgenti di emissione in relazione alle zone classificate a rischio di esplosione come illustrato in Figura 4.11.
Tale rappresentazione dovrà sempre riportare:
-
l’ubicazione delle sorgenti di emissione;
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la tipologia di zona classificata;
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il gruppo di gas associato ad ogni zona;
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la classe di temperatura associata ad ogni zona;
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l’estensione delle zone classificate individuate;
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il tipo di aperture presenti nel locale chiuso classificato.
Un particolare di estrema importanza e molte volte, purtroppo, trascurato è relativo alla classificazione da realizzarsi preliminarmente alle fasi di modifica e/o manutenzione non routinaria. Molti incidenti gravi accaduti nel passato sono stati infatti causati da una scorretta gestione del cambiamento impiantistico e/o del ciclo produttivo.
Figura 4.11 – Esempio di tavola grafica di classificazione delle zone a rischio di esplosione

4.3.2.7 La classificazione delle zone a rischio di esplosione dovute a gas, vapori e nebbie ed il D.Lgs. n. 81/2008
Nel seguito si riepilogano le misure di prevenzione e protezione applicabili e conseguenti alla classificazione delle zone a rischio di esplosione. Tali disposizioni derivano dall’applicazione del D.Lgs. n. 81/200863 e possiedono una validità generale.
Le misure specifiche sono invece riportate nella Normativa tecnica armonizzata di cui fa parte l’UNI EN 1127-1 che risulta citata nell’Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008.
Le disposizioni generali applicabili, poste in capo al datore di lavoro, sono le seguenti:
-
scelta, installazione, collaudo, utilizzo, controllo, verifica e manutenzione delle attrezzature di lavoro, DPI e impianti ed apparecchiature elettriche in conformità al Titolo III, D.Lgs. n. 81/2008;
-
immagazzinamento, manipolazione ed isolamento di agenti chimici incompatibili la cui reazione possa determinare la formazione di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili (art. 225, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008);
-
prevenzione della formazione di ATEX (art. 290, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008);
-
valutazione dei rischi tenendo conto della probabilità e durata della presenza di ATEX (art. 290, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008);
-
ripartizione in zone del luogo di lavoro (art. 293, comma 1 e Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008);
-
applicazione, nelle zone classificate, delle prescrizioni di protezione (art. 293, comma 2 e Allegato L, D.Lgs. n. 81/2008);
-
le aree classificate devono essere segnalate nei punti di accesso e devono essere provviste di allarmi ottico/acustici che segnalino l’avvio e la fermata dell’impianto, sia durante il normale ciclo sia durante un’emergenza in atto (art. 293, comma 3 e Allegato LI, D.Lgs. n. 81/2008);

-
coordinamento tra DDL integrativo rispetto a quanto previsto dall’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 (art. 292 e Allegato L, Parte A, D.Lgs. n. 81/2008). In particolare:
Allegato L, Parte A, D.Lgs. n. 81/2008
(…)
1.2. Istruzioni scritte e autorizzazione al lavoro.
Ove stabilito dal documento sulla protezione contro le esplosioni:
-
il lavoro nelle aree a rischio si effettua secondo le istruzioni scritte impartite dal datore di lavoro;
-
è applicato un sistema di autorizzazioni al lavoro per le attività pericolose e per le attività che possono diventare pericolose quando interferiscono con altre operazioni di lavoro.
Le autorizzazioni al lavoro sono rilasciate prima dell’inizio dei lavori da una persona abilitata a farlo.
(…)
Per la qualifica di personale esperto, ed al fine di realizzare e mantenere in efficienza e sicurezza, impianti elettrici in luoghi classificati, si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate relative ai settori specifici quali le seguenti:
EN 60079-14 (CE1 31-33) “Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive per la presenza di gas. Parte 14: Impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione per la presenza di gas (diversi dalle miniere)”
EN 61241-14 “Costruzioni elettriche destinate ad essere utilizzate in presenza di polveri combustibili. Parte 14: Scelta ed installazione”
EN 60079-17 “Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive per la presenza di gas. Parte 17: Verifica e manutenzione degli impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione per la presenza di gas (diversi dalle miniere) “
EN 61241-17 “Costruzioni elettriche destinate ad essere utilizzate in presenza di polveri combustibili. Parte 17: Verifica e manutenzione degli impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione (diversi dalle miniere) “
EN 60079-19 “Atmosfere esplosive. Parte 17: Riparazioni, revisione e ripristino delle apparecchiature.
(…)
-
informazione e formazione dei lavoratori (art. 294-bis e Allegato L, Parte A, D.Lgs. n. 81/2008). In particolare:
Art. 294-bis, D.Lgs. n. 81/2008
1. Nell’ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori esposti al rischio di esplosione e i loro rappresentanti vengano informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo:
-
alle misure adottate in applicazione del presente titolo;
-
alla classificazione delle zone;
(…)
-
al significato della segnaletica di sicurezza e degli allarmi ottico/acustici;
(…)
-
all’uso corretto di adeguati dispositivi di protezione individuale e alle relative indicazioni e controindicazioni all’uso;
Allegato L, Parte A, D.Lgs. n. 81/2008
(…)
1.1. Formazione professionale dei lavoratori.
Il datore di lavoro provvede ad una sufficiente ed adeguata formazione in materia di protezione dalle esplosioni dei lavoratori impegnati in luoghi dove possono formarsi atmosfere esplosive.
(…)
-
il piano di emergenza ed evacuazione deve essere integrato con il rischio derivante da esplosione. In particolare:
Allegato L, Parte A, D.Lgs. n. 81/2008
(…)
2.7. Ove stabilito dal documento sulla protezione contro le esplosioni, sono forniti e mantenuti in servizio sistemi di evacuazione per garantire che in caso di pericolo i lavoratori possano allontanarsi rapidamente e in modo sicuro dai luoghi pericolosi.
(…)
-
applicazione dell’Allegato IV, D.Lgs. n. 81/2008. In particolare:
Allegato IV, Parte 1, 3 e 4, D.Lgs. n. 81/2008
1. AMBIENTI DI LAVORO
1.6.2. Quando in un locale le lavorazioni ed i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori deve essere apribile nel verso dell’esodo ed avere larghezza minima di m 1,20.
3. VASCHE, CANALIZZAZIONI, TUBAZIONI, SERBATOI, RECIPIENTI, SILOS
3.6.2. Quando esistono più tubazioni o canalizzazioni contenenti liquidi o gas nocivi o pericolosi di diversa natura, esse e le relative apparecchiature devono essere contrassegnate, anche ad opportuni intervalli se si tratta di reti estese, con distinta colorazione, il cui significato deve essere reso noto ai lavoratori mediante Tabella esplicativa.
3.7. Le tubazioni e le canalizzazioni chiuse, quando costituiscono una rete estesa o comprendono ramificazioni secondarie, devono essere provviste di dispositivi quali valvole, rubinetti, saracinesche e paratoie, atti ad effettuare l’isolamento di determinati tratti in caso di necessità.
3.10. I recipienti adibiti al trasporto dei liquidi di materie infiammabili, corrosive, tossiche o comunque dannose devono essere provvisti:
3.10.1. di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto:
3.10.2. di accessori o dispositivi atti a rendere sicure ed agevoli le operazioni di riempimento e svuotamento;
3.10.3. di accessori di presa, quali maniglie, anelli, impugnature, atti a rendere sicuro ed agevole il loro impiego, in relazione al loro uso particolare;
3.10.4 di involucro protettivo adeguato alla natura del contenuto.
3.11.1 I recipienti di cui la punto 3.10, compresi quelli vuoti già usati, devono essere conservati in posti appositi e separati, con l’indicazione di pieno o vuoto se queste condizioni non sono evidenti.
3.11.2. Quelli vuoti, non destinati ad essere reimpiegati per le stesse materie già contenute, devono subito dopo l’uso, essere resi innocui mediante appropriati lavaggi a fondo, oppure distrutti adottando le necessarie cautele.
3.11.3. In ogni caso è vietato usare recipienti che abbiano già contenuto liquidi infiammabili o suscettibili di produrre gas o vapori infiammabili, o materie corrosive o tossiche, per usi diversi da quelli originari, senza che si sia provveduto ad una preventiva completa bonifica del loro interno, con la eliminazione di ogni traccia del primitivo contenuto e dei sui residui o prodotti secondari di trasformazione.
4. MISURE CONTRO L’INCENDIO E L’ESPLOSIONE
4.8.1. Negli stabilimenti dove si producono differenti qualità di gas non esplosivi né infiammabili di per se stessi, ma le cui miscele possono dar luogo a reazioni pericolose, le installazioni che servono alla preparazione di ciascuna qualità di gas devono essere sistemate in locali isolati, sufficientemente distanziati tra loro.
4.8.2. La disposizione di cui al punto precedente non si applica quando i diversi gas sono prodotti contemporaneamente dallo stesso processo, sempreché siano adottate idonee misure per evitare la formazione di miscele pericolose.
4.9. Le materie ed i prodotti suscettibili di reagire fra di loro dando luogo alla formazione di gas o miscele esplosive o infiammabili devono essere immagazzinati e conservati in luoghi o locali sufficientemente aerati e distanziati ed adeguatamente isolati gli uni dagli altri.
4.10. I dispositivi di aspirazione per gas, vapori e polveri esplosivi o infiammabili, tanto se predisposti in applicazione del punto 2.1.8.1, quanto se costituenti elementi degli impianti di produzione o di lavorazione, devono rispondere ai seguenti requisiti:
4.10.3. essere provvisti, in quanto necessario, di mezzi per la separazione e la raccolta delle polveri esplosive o infiammabili;
4.10.4. avere lo scarico in luogo dove i gas, i vapori e le polveri non possono essere causa di pericolo.
4.11. Nelle installazioni in cui possono svilupparsi gas, vapori o polveri suscettibili di dar luogo a miscele esplosive, devono essere adottati impianti distinti di aspirazione per ogni qualità di gas, vapore o polvere, oppure adottate misure idonee ad evitare i pericoli di esplosione.
-
applicazione dell’Allegato VI, D.Lgs. n. 81/2008. In particolare:
Allegato VI, Parte 8, D.Lgs. n. 81/2008
8. IMPIANTI ED OPERAZIONI DI SALDATURA O TAGLIO OSSIACETILENICA, OSSIDRICA, ELETTRICA E SIMILI
8.2. Il trasporto nell’interno delle aziende e dei locali di lavoro degli apparecchi mobili di saldatura al cannello deve essere effettuato mediante mezzi atti ad assicurare la stabilità dei gasogeni e dei recipienti dei gas compressi o disciolti e ad evitare urti pericolosi.
8.3. I recipienti dei gas compressi o disciolti, ad uso di impianti fissi di saldatura, devono essere efficacemente ancorati, al fine di evitarne la caduta accidentale.
4.3.2.8 La classificazione delle zone a rischio di esplosione dovute a gas, vapori e nebbie e la Direttiva 2014/34/UE
Spesso l’utilizzatore di un apparecchio CE-ATEX richiede al fabbricante del medesimo la fornitura della classificazione delle zone a rischio di esplosione. E a seguito di tale richiesta (meno) spesso il fabbricante fornisce tali informazioni. In altri termini: il fabbricante è sempre tenuto a fornire la classificazione delle zone pericolose del proprio apparecchio? La questione è stata affrontata anche nell’ambito delle recenti linee guida ATEX relative all’applicazione della Direttiva 2014/34/UE. Esse precisano che:
-
il fabbricante deve effettuare un’analisi dei rischi, incluso il rischio di esplosione;
-
l’allegato I della Direttiva ATEX 2014/34/EU contiene definizioni chiare e inequivocabili relativamente al luogo di impiego previsto per ogni apparecchio dotato di identificativo di gruppo e categoria;
-
diversamente dal campo di applicazione interamente armonizzato della Direttiva Macchine, il concetto di zona applicato nel quadro della Direttiva ATEX “luogo di lavoro” 1999/92/CE consente agli Stati membri di applicare requisiti più rigorosi di quelli definiti dalla Direttiva.
Al fine di evitare un approccio non armonizzato nel quadro di un ambito interamente armonizzato come la Direttiva Macchine, non è necessario applicare il concetto di zona così come è definito nella Direttiva 1999/92/CE. Il fabbricante dovrebbe invece:
-
effettuare la valutazione dei rischi (il fabbricante potrebbe applicare la Norma armonizzata EN 1127-1 che descrive i concetti generali e la metodologia per la protezione contro le esplosioni);
-
definire i requisiti dell’apparecchio da utilizzare all’interno dell’atmosfera potenzialmente esplosiva – e quelli dei dispositivi di sicurezza e di controllo situati all’esterno ma utili al loro funzionamento sicuro – al fine di garantire la piena conformità della macchina ai requisiti della Direttiva Macchine;
-
definire i requisiti delle misure addizionali di protezione contro l’esplosione (per esempio progettazione resistente all’esplosione, sistemi autonomi di protezione…) come risultato della valutazione del rischio (per esempio i mulini per farina);
-
acquistare o produrre l’apparecchio dotato di tali requisiti, cioè destinato ad essere utilizzato nelle condizioni definite durante l’analisi dei rischi, ed in conformità con la Direttiva 2014/34/UE.
4.4 Classificazione delle zone a rischio di esplosione per presenza di polveri combustibili
Nel Capitolo 2 è stato anticipato che le polveri combustibili, se finemente suddivise (granulometria inferiore a 500 micron), possono dar luogo ad un’ATEX che possiede caratteristiche di particolare pericolosità. A questo proposito la Norma differenzia le polveri combustibili in “propriamente dette” e in “particelle solide combustibili”64:
-
polveri combustibili: particelle solide finemente suddivise, di dimensioni nominali uguali o inferiori a 500 μm, che possono essere sospese nell’aria, possono depositarsi nell’atmosfera a causa del peso proprio, possono bruciare o divenire incandescenti e possono formare miscele esplosive con l’aria a pressione atmosferica e temperature normali;
-
particelle solide combustibili (particelle solide volanti combustibili): particelle solide, comprese le fibre, di dimensioni nominali superiori a 500 μm, che possono essere sospese nell’aria, possono depositarsi nell’atmosfera a causa del peso proprio, possono bruciare o divenire incandescenti e possono formare miscele esplosive con l’aria a pressione atmosferica e temperature normali.
Anche in questo caso, come nel caso dei gas, vapori e nebbie, sarà pertanto necessario che il datore di lavoro provveda alla classificazione delle zone a rischio di esplosione (art. 293, D.Lgs. n. 81/2008) presenti nel luogo di lavoro. L’Allegato XLIX, D.Lgs. n. 81/2008 consiglia di far riferimento per tale operazione alla Norma CEI EN 60079-10-2:2016 e alla relativa ex Guida CEI 31-56 che, seppur abrogata, costituisce un utile riferimento tecnico-scientifico. A questo proposito, e a differenza della casistica dei gas e vapori infiammabili, la Norma tecnica del 2016 è cambiata molto poco rispetto all’edizione del 2010; questo fa si che la ex Guida CEI 31-56:2012, seppur abrogata, continui a rappresentare un supporto tecnicamente aggiornato e utilizzabile.
La classificazione delle zone a rischio di esplosione, nel caso delle polveri combustibili, risulta molto più “empirica” e soggetta all’expertise del classificatore rispetto al caso dei gas e vapori infiammabili. Essa è sintetizzabile, analogamente alla casistica relativa ai gas e vapori infiammabili, nei seguenti, specifici, punti:
-
Catalogare le caratteristiche ATEX delle polveri combustibili presenti nel processo analizzato.
-
Individuare la presenza e affidabilità dei sistemi di prevenzione dell’ATEX (inertizzazione, ventilazione artificiale locale, ecc.).
-
Identificare le sorgenti di emissione.
-
Escludere le sorgenti di emissione escludibili.
-
Associare ad ogni sorgente di emissione residua il/i relativo/i grado/i di emissione.
-
Caratterizzare il livello di ventilazione presente negli ambienti e nei contenimenti oggetto di valutazione.
-
Associare la/le zona/e classificata/e (o NE) ad ogni sorgente di emissione.
-
Proporzionare l’estensione delle zone a rischio di esplosione.
-
Tracciare le zone specifiche tavole grafiche di classificazione (piante e prospetti).
A differenza della classificazione ATEX connessa ai gas/vapori infiammabili, nel caso delle polveri combustibili non sono utilizzabili equazioni specifiche per il calcolo sia delle portate di emissione sia delle distanze di dispersione. Si utilizzano, in sostituzione, metodologie empiriche e/o regole del pollice. Altresì, a differenza delle ATEX gas/ vapori, nel caso delle polveri combustibili sarà spesso necessario indagare anche l’interno dei contenimenti stante la presenza ubiquitaria di aria in condizioni atmosferiche. Tecnicamente, il fenomeno delle ATEX dovute a polveri combustibili possiede caratteristiche radicalmente diverse rispetto a quelle derivanti a gas, vapori e nebbie infiammabili (Eckhoff, 2006). A differenza della metodologia indicata dalla Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021, nella CEI EN 60079-10-2:2016 non è proposto alcun criterio per il calcolo della diluzione e non è quindi possibile, con metodi quantitativi, discriminare quali siano le sorgenti di emissione che generano ATEX estese da quelle non estese. Inoltre, la Norma CEI EN 60079-10-2:2016 indica esplicitamente quali siano le estensioni della zona pericolosa da adottare nei casi di zona 21 e 22 senza ricorrere a calcoli di particolare complessità.
4.4.1 Le sorgenti di emissione
Le sorgenti di emissione di polveri combustibili sono riassumibili in tre principali categorie:
-
presenza di strati di polvere;
-
presenza di emissioni dal sistema di contenimento;
-
presenza di emissioni all’interno del sistema di contenimento.
Tali sorgenti risultano quindi presenti sia all’interno dei contenimenti sia nei luoghi di lavoro ove siano depositati strati non controllati.
Particolare attenzione deve inoltre essere posta alla generazione di gas infiammabili negli stoccaggi di polveri di materiale organico. Nel medio e lungo periodo, infatti, l’aumento locale di temperatura può indurre una decomposizione con formazione di gas infiammabili (es. monossido di carbonio). In questo caso il volume libero verrebbe classificato come ATEX ibrida.
4.4.1.1 Emissioni dovute a strati di polvere combustibile
Le sorgenti di emissione derivanti da strati di polveri combustibili rappresentano una problematica particolare più volte affrontata in sede di normazione tecnica. La ex Guida CEI 31-56:2012 fissa in 0,3 mm lo spessore dello strato di polvere che, se disturbato, può generare una considerevole formazione di ATEX65:
“(…) Per la maggior parte delle polveri combustibili è già sufficiente il deposito di uno strato di spessore di 0,3 mm regolarmente distribuito al suolo, per occupare totalmente, quando disturbato, uno spazio considerevole con formazione di un’atmosfera esplosiva polvere/aria (…)”.
A questo proposito la appena citata condizione, molto restrittiva e difficile da rilevare, è stata contestualizzata ed interpretata nell’ambito delle “raccomandazioni pratiche” presenti in NFPA 499:202466. In teoria si può dimostrare che lo spessore di 1/84 di pollice (circa 0,3 mm) sarebbe sufficiente per creare una condizione di pericolo. Realizzare praticamente una simile condizione risulta, tuttavia, praticamente impossibile. La concentrazione di polvere ottimale è quella in corrispondenza della quale si ottiene il massimo tasso di aumento della pressione nelle condizioni di prova. Poiché tale concentrazione è di gran lunga superiore all’LFL/MEC, gli spessori degli strati di polvere combustibile necessari a produrre una concentrazione ottimale per l’esplosione sono compresi nel range da 1,9 mm a 12,7 mm (da 0,075 pollici a 0,5 pollici). Queste condizioni presuppongono una quantità molto superiore di polvere da portare in sospensione, senza ipotizzare un’efficienza di dispersione e distribuzione del 100%. C’è inoltre da tenere in considerazione tutta una serie di fattori che influenzano negativamente la suscettibilità di una polvere all’accensione quali la dimensione e la forma delle particelle, il contenuto di umidità, l’uniformità della distribuzione.
Pertanto, le polveri che si incontrano negli impianti industriali tendono ad essere meno suscettibili all’accensione rispetto a quelle utilizzate in laboratorio per ottenere dati sulla concentrazione di esplosione. In generale
Gli strati di polvere diffusi sono comunque assimilabili a sorgenti di emissione continue, di primo o secondo grado in funzione dei seguenti parametri:
-
disturbo dello strato;
-
mantenimento della pulizia.
Sono pertanto configurabili i seguenti gradi di emissioni dovuti a strati polverosi:
-
Emissione continua da strato: strati di polvere all’esterno dei sistemi di contenimento che possono essere disturbati frequentemente e formare nubi esplosive, con il livello di mantenimento della pulizia scarso.
-
Emissione di primo grado da strato: strati di polvere all’esterno dei sistemi di contenimento che possono essere disturbati anche poco frequentemente e formare nubi esplosive, con il livello di mantenimento della pulizia scarso.
-
Emissione di secondo grado da strato: strati di polvere all’esterno dei sistemi di contenimento che possono essere disturbati anche poco frequentemente e formare nubi esplosive, con il livello di mantenimento della pulizia adeguato.
Gli strati di polvere combustibile possono costituire un rilevante problema di classificazione delle zone a rischio di esplosione. È possibile, agendo sul livello di mantenimento della pulizia, limitare il grado della sorgente di emissione da strato e addirittura annullarlo adottando un livello di mantenimento della pulizia BUONO, secondo quanto indicato in ex Guida CEI 31-56:2012.
Nelle descrizioni precedenti è stata introdotta la definizione di livello di mantenimento di pulizia in luogo della sola frequenza di pulizia. Quest’ultimo parametro non è infatti, da solo, sufficiente a definire la durata di presenza dello strato. La presenza e la durata di uno strato di polvere dipende:
-
dal grado di emissione della sorgente di polvere;
-
dalla velocità di deposito della polvere;
-
dall’efficacia del mantenimento della pulizia.
In relazione a questo sono definiti tre livelli di pulizia degli strati (cfr. seguente Tabella 4.9).
Tabella 4.9 – Descrittori del livello di mantenimento della pulizia
Buono | Adeguato | Scarso |
---|---|---|
Gli strati di polvere sono mantenuti a spessori trascurabili, oppure sono assenti, indipendentemente dal grado di emissione. In questo caso il rischio che si verifichino nubi esplosive di polvere originate da strati e il rischio di incendio dovuto agli strati è stato rimosso | Gli strati di polvere non sono trascurabili ma di breve durata (meno di un turno). A seconda della stabilità termica della polvere e della temperatura superficiale dell’apparecchiatura, la polvere può essere rimossa prima dell’avvio di qualunque incendio. In questo caso le apparecchiature scelte secondo la regola 1 dell’Allegato B, CEI EN 60079-10-2:2016 sono probabilmente idonee. |
Gli strati di polvere non sono trascurabili e perdurano per oltre un turno di lavoro. Il rischio di incendio può essere significativo e dovrebbe essere controllato selezionando le apparecchiature in funzione dei suggerimenti dell’Allegato B, CEI EN 60079-10-2:2016. |
Solo la presenza di procedure aziendali che garantiscano un livello di mantenimento della pulizia BUONO assicura la prevenzione della sorgente di emissione e la generazione dell’ATEX. In Allegato GB.5.3 alla ex Guida CEI 31-56:2012 è riportata la procedura suggerita dal Comitato Elettrotecnico Italiano per dare efficacia ed evidenza al piano di mantenimento della pulizia degli strati ATEX.
Le operazioni di pulizia dovranno essere effettuate anche nelle zone di difficile visibilità o accessibilità. L’eliminazione dei depositi di polvere per via umida risulta particolarmente efficace. Tale regola, valida in via generale, dovrà però tenere in considerazione le seguenti controindicazioni:
-
possibile reattività delle sostanze rimosse con l’acqua;
-
possibile formazione di idrogeno in presenza di metalli leggeri;
-
possibile formazione di reazioni esotermiche;
- tra le prescrizioni sempre valide si elencano le seguenti:
-
evitare l’uso di aria compressa per la pulizia di polveri
-
adottare aspiratori marcati CE-ATEX in categoria II 2D.
-
A fini integrativi si riporta in Tabella 4.10 il dettaglio di quanto specificato, in tema di strati di polvere, dalle “raccomandazioni pratiche” di cui alla NFPA 499:2024.
Tabella 4.10 – Spessore dello strato, zona classificata e frequenza di pulizia
Spessore dello strato sulle apparecchiature (1) | Zona classificata (2) | Frequenza di dispersione (3) | Attività di pulizia (4) |
---|---|---|---|
Trascurabile, minore di 1 mm | Non classificata | Non frequente | Pulizia al bisogno |
Fino a 3 mm | Zona 22 | Infrequente | Pulizia quando necessario per mantenere a meno di 3 mm lo strato |
Fino a 3 mm oppure occasionale formazione di nube | Zona 21 oppure Zona 22 | Occasionale | Pulizia con frequenza appropriata e tale da minimizzare accumuli di polvere addizionale oppure formazione di nubi |
Da 3 mm al valore di test dello strato oppure presenza di nube di polvere | Zona 20 oppure Zona 21 | Continua/frequente | Pulizia con frequenza appropriata e tale da minimizzare accumuli di polvere addizionale |
Spessore dello strato eccedente il valore di test oppure presenza di un’estensiva nube di polvere | Zona 20 | Infrequente | Immediato shut down e pulizia dell’impianto |
Fonte: NFPA 499:2024
Data la condizione di cui al punto (1), questa dovrebbe essere correttamente associata alla classificazione della zona a rischio di esplosione definita nel punto (2), che a sua volta produce la frequenza di rilascio (3) e l’attività di manutenzione suggerita nel punto (4).
In genere, si assume come criterio guida utile per discriminare la presenza o meno di strati di polvere combustibile la possibilità di “leggere” il colore della superficie di deposito. Se il colore non è discernibile vi è la presenza di uno strato spesso almeno 1 mm, se invece è possibile individuare il colore del pavimento e/o i caratteri di una targa di marcatura ecc., allora è improbabile la presenza di una quantità di polvere tale da determinare una classificazione ATEX.
4.4.1.2 Emissioni dal sistema di contenimento
Le emissioni dal sistema di contenimento hanno luogo nei casi in cui siano presenti pressioni interne positive in assenza dell’installazione di sistemi di tenuta adeguati alla prevenzione delle perdite di polvere. In genere tali emissioni sono accompagnate da quelle dovute a strato, nei casi in cui non siano previsti sistemi di mantenimento della pulizia di livello buono secondo CEI EN 60079-10-2:2016.
Per emissioni dal sistema di contenimento saranno da intendersi pure le sorgenti che si vengono a generare durante le operazioni di carico e scarico polveri. In queste condizioni ed in ambiente chiuso, le sorgenti di emissione saranno di primo grado e, in assenza di provvedimenti di bonifica (es. aspirazione localizzata), la zona di tipo 21 che si viene a generare in prossimità della sorgente di primo grado sarà a sua volta sorgente di emissione di secondo grado. Per maggiori dettagli si rimanda alla parte applicativa del presente Capitolo.
4.4.1.3 Emissioni nel sistema di contenimento
In assenza di provvedimenti di bonifica (es. inertizzazione), le sorgenti di emissione presenti all’interno dei sistemi di contenimento possono essere di tipo continuo oppure, nel caso limitati cicli di carico e scarico, di primo grado. Le zone che si vengono a generare risultano di norma estese all’intero volume di contenimento.
Come abbiamo già avuto modo di vedere nel Capitolo 2, la velocità di sedimentazione delle polveri è una funzione proporzionale al diametro delle particelle e alla densità dei corpi incoerenti.
La ex Guida CEI 31-56:2012 fornisce un’equazione volta a determinare tale velocità di sedimentazione della polvere (ut):

dove:
ut | è la velocità di sedimentazione della polvere; |
ρ | è la densità (assoluta) della polvere; |
dm | è la grandezza media delle particelle; |
g | è l’accelerazione di gravità; |
µ | è il coefficiente di viscosità dinamica dell’aria. |
In questo senso, quindi, possiamo individuare almeno due situazioni all’interno di un contenimento per polveri:
-
fase turbolenta (es. caricamento polveri nei silos, normale funzionamento dei filtri e nei cicloni, pulizia pneumatica dei filtri a tessuto, ecc.). La velocità media dell’aria è significativamente elevata e, quindi, l’ATEX sarà formata dalle frazioni granulometriche sottili e medie in sospensione. Le frazioni più grossolane tendono invece a stratificare e a depositarsi avendo velocità di sostentamento maggiori della velocità media dell’aria all’interno;
-
fase laminare (es. silos durante lo stoccaggio in assenza di caricamento, filtri e cicloni non svuotati e non operativi, ecc.). In questa situazione, le velocità interne diminuiscono molto rispetto alla fase turbolenta. La presenza di una limitata velocità di circolazione interna dell’aria contribuisce comunque a mantenere in sospensione le frazioni granulometriche più fini.
Studi di modellazione CFP dimostrano, ove ce ne fosse la necessità, che i contenimenti in fase di caricamento possiedono una concentrazione di polveri combustibili fortemente variabile nello spazio. Peraltro un ampio volume risulta interno al campo LFL/ MEC÷UFL. Le fase di caricamento, quindi, sono da considerarsi per l’intera durata generatrici di ATEX interne.
Figura 4.12 – Concentrazione delle polveri combustibili all’interno di un silos in fase di caricamento assiale

Fonte: Rani et al., 2015
Si ricorda, a questo proposito, che sono proprio le frazioni più fini che danno il maggior contributo energetico in caso di esplosione. Tale conclusione è opportuno sia tenuta in debito conto, soprattutto nel caso in cui si debba procedere ad una valutazione di laboratorio dei parametri di esplosione.
Un ulteriore e significativo parametro per la classificazione interna è connesso alla frequenza di pulizia del sistema di filtrazione. A questo proposito la seguente Guida:
-
VDI 2263-6:2017 – Dust fires and dust explosions. Hazards – assessment – protective measures. Dust fires and explosion protection in dust extracting installations
fornisce un’interessante soluzione al problema correlando la classificazione sia della parte “sporca” che di quella “pulita” del sistema di filtraggio alla frequenza di pulizia delle maniche e alla presenza (o meno) di sistemi di monitoraggio.
Tabella 4.11 – Esempi di classificazione delle zone in separatori filtranti utilizzati in presenza di flussi d’aria e polvere combustibile (no miscele ibride)67

Fonte: VDI 2263-6:2017
Un calcolo esatto della concentrazione della polvere a seguito della rottura del filtro è difficile da realizzare poiché tale concentrazione dipende da molti fattori (ad es. numero, proprietà e condizioni degli elementi filtranti, entità della rottura/danneggiamento del filtro, concentrazione di polvere sul lato “sporco”, tipo e progettazione della depolverazione). In ogni caso, per i sistemi di aspirazione ad elementi filtranti la concentrazione di polvere sul lato “pulito”, in assenza di rottura del filtro, è di solito molto al di sotto del LFL/MEC. Nella parte applicativa di questo Capitolo daremo evidenza della classificazione ISSA68 sugli impianti di trattamento polveri.
4.4.2 La classificazione ATEX dust in sintesi
In questa situazione, come nel caso dei gas, vapori e nebbie, la classificazione delle zone a rischio di esplosione procede a partire dall’identificazione delle sorgenti di emissione.
A seconda della tipologia di sorgente di emissione è possibile quindi definire lo scenario di emissione in funzione della tipologia di impianto considerato.
A partire dall’ovvio discrimine tra impianti chiusi ed impianti aperti, un aspetto particolarmente importante è relativo alla tipologia di pressurizzazione presente all’interno dell’eventuale contenimento. Se l’impianto opera con una depressione avente disponibilità BUONA (cfr. GC.4, ex Guida CEI 31-56:2012) si esclude l’ipotesi di classificazione all’esterno dell’impianto stesso. Tale risultato si può ottenere anche nel caso di impianto in pressione con presenza di terminali di valvole o giunti flangiati la cui progettazione e costruzione sia stata effettuata tenendo in debita considerazione la prevenzione di perdite di polveri.
Pertanto è possibile escludere la classificazione all’esterno di un impianto che tratta polveri combustibili nei casi in cui:
-
siano presenti in corrispondenza delle zone di carico e scarico delle polveri sistemi di aspirazione localizzata aventi disponibilità di captazione BUONA e grado di captazione ALTO (zone non estese);
-
siano presenti contenimenti in depressione con disponibilità BUONA;
-
siano presenti sistemi di collegamento progettati e costruiti per prevenire l’emissione delle polveri.
In tutti i casi rimanenti si potrà creare una zona classificata estesa in relazione alla presenza di sorgenti di emissione dovute a:
-
carico e scarico polveri;
-
emissione da contenimento;
-
presenza di strati di polvere.
4.4.2.1 Ambiente e ventilazione
Non esiste ad oggi, purtroppo, un criterio univoco per la valutazione delle criticità legate alle condizioni ambientali in relazione alla dispersione delle polveri combustibili. La ex Guida CEI 31-56:2012 avvalora questa tesi asserendo che:
“La valutazione delle condizioni ambientali, della loro influenza sulla dispersione delle polveri nell’atmosfera e, più in generale, sulla classificazione dei luoghi deve essere eseguita caso per caso, coinvolgendo gli specialisti dei sistemi di contenimento, della sicurezza e dei costruttori di apparecchiature e componenti”.
In generale, tuttavia, la presenza di un ambiente chiuso può determinare una maggiore concentrazione delle polveri combustibili, a parità di ricambio locale dell’aria.
Inoltre le turbolenze dell’aria ambientale, se da un lato contribuiscono alla diluizione delle ATEX derivanti dal contenimento, dall’altro possono sollevare e disperdere gli strati di polveri eventualmente accumulati. Al contrario, la presenza di limitate velocità dell’aria ambientale, evitano di sollevare pericolose nubi di polvere da strato, ma facilitano, nel lungo periodo, la deposizione di polveri sottili.
4.4.2.2 Aperture degli ambienti
Le caratteristiche delle aperture tra gli ambienti riportate nell’art. 5.11.1, ex Guida CEI 31-56:2012 sono le medesime di quelle indicate dalla Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 con l’accortezza di escludere le aperture di tipologia D, in quanto considerate ridondanti. La relazione tra la classificazione delle zone a monte e a valle dell’apertura sono riportate in Tabella 4.12. La presenza di differenze di pressione di circa 5 Pa tra un ambiente ed un altro inibiscono il trasferimento delle polveri.
Tabella 4.12 – Relazione tra le zone classificate a monte e valle di un’apertura
Zona ambiente a monte | Tipo di apertura | Ambiente a valle | |||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Chiuso | Aperto | ||||||
Pressione ambiente uguale a quella a monte | Pressione ambiente minore di quella a monte | Pressione ambiente maggiore di quella a monte | Pressione ambiente uguale a quella a monte | Pressione ambiente minore di quella a monte | Pressione ambiente maggiore di quella a monte | ||
20 | A | 20 | 20 | 21 | 20 | 20 | 21 |
B | 21 | 21 | 22 | 21 | 21 | 22 | |
C | NP | NP | NP | NP | NP | NP | |
21 | A | 21 | 21 | 22 | 21 | 21 | 22 |
B | 22 | 22 | NP | 22 | 22 | NP | |
C | NP | NP | NP | NP | NP | NP | |
22 | A | 22 | 22 | NP | 22 | 22 | NP |
B | NP | NP | NP | NP | NP | NP | |
C | NP | NP | NP | NP | NP | NP |
Fonte: art. 5.11.1, ex Guida CEI 31-56:2012
4.4.2.3 Il contenimento in depressione delle polveri
Il contenimento in depressione delle polveri rappresenta una delle strategie di prima scelta per ridurre il problema della classificazione delle zone a rischio di esplosione all’esterno dell’impianto.
La ex Guida CEI 31-56:2012 propone, a questo proposito, un’utile metodologia per discriminare in quali situazioni si possano ragionevolmente escludere le sorgenti di emissione di polveri derivanti dal contenimento. In particolare, la possibilità di escludere le emissioni è subordinata al grado di emissione della sorgente in assenza di depressione e alla continuità con la quale nell’impianto è assicurata la depressione. I descrittori di tale continuità, che la linea guida definisce disponibilità, sono i seguenti:
-
disponibilità BUONA: La depressione è disponibile, in pratica, con continuità;
-
disponibilità ADEGUATA: La depressione è disponibile durante il funzionamento normale. Sono ammesse interruzioni purché siano poco frequenti e per brevi periodi;
-
disponibilità SCARSA: La depressione non risponde ai requisiti di disponibilità BUONA o ADEGUATA, anche se non sono previste interruzioni per lunghi periodi.
Tabella 4.13 – Influenza dei sistemi di contenimento in depressione
Grado di emissione in assenza di depressione | Disponibilità del sistema di contenimento in depressione | ||
---|---|---|---|
Buona | Adeguata | Scarsa | |
Continuo | (Zona 20 NE) | (Zona 20 NE) Zona 22 | (Zona 20 NE) Zona 21 |
Primo | (Zona 21 NE) | (Zona 21 NE) Zona 22 | (Zona 21 NE) Zona 22 |
Secondo | (Zona 22 NE) | (Zona 22 NE) | Zona 22 |
Fonte: Tabella GC.4.2-A, ex Guida CEI 31-56:2012
In particolare, le zone risultano non estese (NE) se il grado dell’emissione dal contenimento (in assenza di depressione) è continuo, di primo o di secondo grado e la disponibilità della depressione è BUONA. Nel caso di sorgente di emissione di secondo grado, la non estensione è conservata anche in presenza di disponibilità ADEGUATA. La disponibilità BUONA di un sistema di contenimento in depressione richiede il soddisfacimento di almeno una delle caratteristiche di seguito riportate:
-
presenza di ventilatori di emergenza protetti da UPS. In emergenza tali ventilatori ripristinano la depressione per un tempo sufficiente alla messa in sicurezza dell’impianto;
-
arresto automatico del processo in caso di guasto al sistema di depressione.
Un esempio della classificazione derivante da sorgenti di emissione in pressione è riportato in Figura 4.13, nella quale si evidenzia l’assenza di classificazione esterna nel caso di un filtro posto in depressione con una disponibilità BUONA. Il contenimento in pressione genera invece, a causa delle sorgenti di emissione dovute all’accoppiamento tra le lamiere, una classificazione di tipo 22 estesa intorno alla membratura del contenimento. Si esclude il contributo derivante dai guasti delle flange e delle tenute d’albero poste sui ventilatori, nell’ipotesi che la costruzione abbia tenuto in considerazione la prevenzione dell’emissione delle polveri.
Figura 4.13 – Esempio di classificazione dovuta alla presenza o meno della depressione. Tubazioni e ventilatore sono costruiti tenendo in considerazione la prevenzione dell’emissione delle polveri

La ex Guida CEI 31-56:2012 fornisce inoltre una serie di indicazioni sulle azioni da adottare nei casi in cui la depressione venga meno. In generale gli interventi previsti saranno di tre tipologie e la rapidità richiesta dall’azione sarà funzione della categoria degli apparecchi e della potenziale zona pericolosa che si genera in assenza di depressione. Le azioni previste coprono i seguenti aspetti:
-
presenza di allarmi ottico-acustici;
-
azioni volte a ripristinare l’efficienza del contenimento in depressione;
-
messa fuori servizio delle apparecchiature (elettriche e non elettriche).
Nella seguente Tabella 4.14 si riporta una sintesi delle procedure da implementare.
Tabella 4.14 – Provvedimenti da adottare in caso di interruzione del sistema di contenimento in depressione
Tipo di zona in assenza di depressione | Classificazione delle apparecchiature secondo la Direttiva 2014/34/UE | ||
---|---|---|---|
II 2D | II 3D | Non adatti alle zone pericolose | |
Zona 21 | Nessun provvedimento |
|
|
Zona 22 | Nessun provvedimento | Nessun provvedimento |
|
Fonte: Tabella GC.4.2-B, ex Guida CEI 31-56:2012
4.4.2.4 Sistemi artificiali di asportazione delle polveri (VAL)
I sistemi di asportazione artificiale delle polveri permettono, se correttamente progettati, installati e manutenzionati, di prevenire la formazione di nubi di polvere ATEX. L’utilizzo di aspirazione localizzate (VAL, Ventilazione Artificiale Locale) risulta estesamente diffuso in ambito industriale, primariamente per ragioni di igiene industriale. Possono essere soggette ad aspirazione localizzata:
-
le zone di carico polveri nei reattori chimici;
-
le fosse di scarico poste nella zona di alimentazione di silos;
-
le zone in prossimità delle lavorazioni per asportazione di truciolo (settore del legno, alluminio, ecc.);
-
le zone di verniciatura a polveri.
Non sempre risulta efficace l’aspirazione localizzata delle polveri. A questo proposito, la massima efficacia nell’aspirazione localizzata si verifica quando sono rispettate le seguenti condizioni (Marchesini, 1998):
-
segregazione della zona di emissione dell’inquinante. Quanto più efficace ed efficiente risulta il confinamento maggiore sarà la prevenzione nella diffusione nell’ambiente della polvere di processo;
-
captazione delle polveri il più possibile vicino alla zona di emissione. È sempre presente, infatti, una rapida diminuzione della velocità di frontale anche a piccole distanze dal bordo di aspirazione. In un condotto a sezione circolare, per esempio, la velocità si riduce di circa il 90% rispetto alla velocità misurata all’ingresso a una distanza dal bordo di aspirazione pari all’80% del diametro (Figura 4.14);
-
utilizzazione, ove possibile, dei movimenti d’aria naturali dell’emissione per massimizzare il rendimento di cattura delle polveri;
-
il sistema di aspirazione deve possedere una velocità di captazione sufficiente alla cattura dell’inquinante. Le linee guida ACGIH, a questo proposito, forniscono un adeguato riferimento per la progettazione dell’intervento;
-
le velocità all’interno del sistema di cattura devono essere ripartite in modo possibilmente uniforme, evitando brusche variazioni di sezione e di direzione, al fine di evitare turbolenze e perdite di carico elevate;
-
espulsione dell’aria aspirata all’esterno del locale di lavoro reintegrandola possibilmente con volumi di aria esterna prelevata da zona sicura e non classificata.
In generale, quindi, una corretta progettazione del sistema di aspirazione dovrà necessariamente tenere in considerazione la velocità di aspirazione che si viene a generare in corrispondenza del punto di emissione e non semplicemente considerando la velocità che è presente nel bordo di ingresso del dispositivo di captazione.
Fatte queste premesse, la velocità che si viene a generare ad una distanza (x) dal bordo di ingresso della cappa di aspirazione è calcolabile con le equazioni di Dalla Valle.
Figura 4.14 – Riduzione della velocità dell’aria rispetto alla distanza dalla zona di captazione

Quella che viene di seguito suggerita è valida, per esempio, nel caso di una VAL di sezione circolare.
Si ha:

dove:
vx | è la velocità dell’aria ad una distanza x dal bordo di captazione |
x | è la distanza dal bordo di captazione |
Q | è la portata di aria |
A0 | è la sezione del bordo di ingresso di captazione |
Uguagliare la vx con la velocità di cattura caratteristica della polvere da aspirare permette il corretto dimensionamento del sistema di aspirazione.
Inoltre, al fine di garantire un’efficace aspirazione minimizzando il rischio di esplosione si dovrà prestare particolare attenzione alle seguenti procedure:
-
prevedere l’avviamento dei sistemi di aspirazione prima dell’attivazione delle sorgenti di emissione. Negli stabilimenti chimici tale funzione è di norma assicurata dal sistema di aria falsa di processo;
-
il dimensionamento dei condotti deve essere tale da garantire sempre la velocità di sostentamento delle polveri all’interno dell’impianto;
-
i percorsi devono essere studiati in modo tale che siano il più possibile rettilinei ed evitino, di conseguenza, turbolenze non previste;
-
il montaggio di specole e vetri spia deve essere realizzato tenendo in considerazione gli aspetti di caricamento elettrostatico e quelli relativi alla resistenza della condotta in caso di esplosione;
-
l’impianto, ove possibile, deve essere realizzato in depressione. In tal modo, oltre ad assicurare una limitata classificazione delle zone, grazie alla presenza della bonifica dovuta alla depressione, si evitano le criticità legate all’installazione di ventilazione in categorie ATEX di tipo 1 o 2;
-
terminare la ventilazione solo dopo aver intercettato le sorgenti di emissione di polveri e aver adeguatamente lavato la condotta. Tale operazione risulta indispensabile per declassificare l’interno della condotta. Nel caso infatti rimangano strati all’interno della stessa, essi, al momento del riavvio, verrebbero di nuovo nebulizzate creando così un’ATEX interna alla tubazione.
È essenziale ricorrere a procedure articolate per mantenere nel tempo l’efficacia del sistema di aspirazione delle polveri. Accade infatti che accumuli di materiale, modifiche di configurazione e scarsa manutenzione possano pregiudicare sensibilmente le prestazioni in termini di portata/prevalenza dell’impianto di aspirazione.
Particolare attenzione deve essere posta all’effetto sinergico tra le polveri in sospensione e quelle cumulate. Tale effetto può determinare concentrazioni locali molto diverse da quelle teoriche.
Anche per questo aspetto risulta particolarmente utile il ricorso alla ex Guida CEI 31-56:2012. In essa si descrive in dettaglio la prestazione di un sistema di bonifica per captazione delle polveri. Preliminarmente si osserva che l’eventuale classificazione dovuta alla presenza di polveri combustibili è legata al grado di emissione e al grado e disponibilità del sistema di captazione ed asportazione.
Tabella 4.15 – Descrittori di efficacia e disponibilità dei sistemi artificiali di asportazione delle polveri
Efficacia dei sistemi artificiali di asportazione delle polveri | Disponibilità dei sistemi artificiali di asportazione delle polveri |
Grado ALTO: Il sistema artificiale di asportazione delle polveri è in grado di ridurre la concentrazione
di polvere nell’aria in modo praticamente istantaneo al di sotto del LFL nell’immediato
intorno della SE e all’interno del sistema di aspirazione. Grado MEDIO: Il sistema artificiale di asportazione delle polveri non è in grado di ridurre la concentrazione di polvere nell’aria al di sotto del LFL nell’immediato intorno della SE e all’interno del sistema di aspirazione, ma è capace di catturare tutta la polvere emessa dalla SE, considerando il grado di emissione per il quale il sistema è stato dimensionato e dove l’ATEX non persiste eccessivamente dopo l’arresto dell’emissione. Grado BASSO: Il sistema artificiale di asportazione delle polveri non è in grado di ridurre la concentrazione di polvere nell’aria al di sotto del LFL nell’intorno della SE e all’interno del sistema di aspirazione e non è capace di catturare tutta la polvere emessa dalla SE, considerando il grado di emissione per il quale il sistema è stato dimensionato e/o dove l’ATEX persiste eccessivamente dopo l’arresto dell’emissione |
Disponibilità BUONA: La depressione è disponibile, in pratica, con continuità. Disponibilità ADEGUATA: La depressione è disponibile durante il funzionamento normale. Sono ammesse interruzioni purché siano poco frequenti e per brevi periodi. Disponibilità SCARSA: La depressione non risponde ai requisiti di disponibilità BUONA o ADEGUATA, anche se non sono previste interruzioni per lunghi periodi. |
Fonte: ex Guida CEI 31-56:2012
Tabella 4.16 – Influenza dell’asportazione delle polveri sulle zone ATEX
Grado di emissione | Grado della captazione e asportazione della polvere | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Alto | Medio | Basso | |||||
Disponibilità della captazione e asportazione della polvere | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata, scarsa | |
Continuo | (Zona 20NE) Zona non pericolosa | (Zona 20NE) Zona 22 | (Zona 20NE) Zona 21 | Zona 20 | Zona 20 + Zona 22 | Zona 20 + Zona 21 | Non considerato |
Primo | (Zona 21NE) Zona non pericolosa | (Zona 21NE) Zona 22 | (Zona 21NE) Zona 22 | Zona 21 | Zona 21 + Zona 22 | Zona 21 + Zona 22 | Non considerato |
Secondo | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Non considerato |
Fonte: Tabella GC.3.2-A, ex Guida CEI 31-56:2012
Relativamente alla disponibilità della ventilazione, anche in questo caso, come in quello relativo al contenimento in depressione, è possibile definire una disponibilità BUONA se è presente una delle due condizioni sotto riportate:
-
presenza di ventilatori di emergenza protetti da UPS. In emergenza tali ventilatori ripristinano la captazione e l’asportazione delle polveri per un tempo sufficiente alla messa in sicurezza dell’impianto;
-
arresto automatico del processo in caso di guasto al sistema di aspirazione e captazione delle polveri.
Per quanto invece attiene all’efficacia dei sistemi di asportazione e captazione delle polveri, la valutazione in sede di progetto dovrà essere realizzata, oltre che in termini di velocità di cattura, anche studiando adeguatamente la conformazione della zona di aspirazione considerando le eventuali inerzie delle polveri che, nel caso in cui la captazione avvenga in prossimità di zone con asportazione di truciolo possiedono particolare rilevanza.
Una volta definiti i parametri di disponibilità ed efficacia è possibile individuare il tipo di classificazione della zona a rischio di esplosione.
In caso di emergenza (guasto al sistema di cattura localizzata delle polveri), sarà necessario procedere secondo quanto indicato in Tabella 4.17.
Tabella 4.17 – Provvedimenti da adottare in caso di interruzione del sistema di aspirazione
Tipo di zona in assenza di captazione ed asportazione delle polveri | Classificazione delle apparecchiature secondo la Direttiva 2014/34/UE | ||
---|---|---|---|
II 2D | II 3D | Non adatti alle zone pericolose | |
Zona 20 |
|
|
|
Zona 21 | Nessun provvedimento |
|
|
Zona 22 | Nessun provvedimento | Nessun provvedimento |
|
Fonte: Allegato CB, ex Guida CEI 31-56:2012
4.4.2.5 La classificazione delle zone
Una volta individuate le sorgenti di emissione residue nell’impianto secondo quanto indicato negli schemi riepilogativi illustrati in precedenza è possibile procedere alla valutazione delle zone a rischio di esplosione.
La Norma CEI EN 60079-10-2:2016 suggerisce di associare al grado della sorgente di emissione residua, il tipo di classificazione secondo la semplice correlazione riportata in Tabella 4.18.
Tabella 4.18 – Relazione tra il grado della sorgente di emissione e la tipologia di zona a rischio di esplosione
Grado della sorgente di emissione | Tipologia di zona a rischio di esplosione |
---|---|
Continuo | 20 |
Primo | 21 |
Secondo | 22 |
Successivamente, sarà necessario associare a ciascuna zona a rischio di esplosione l’estensione relativa.
Anche in questo caso sia la CEI EN 60079-10-2:2016, sia la ex Guida CEI 31-56:2012 forniscono un fondamentale aiuto che si riassume in Tabella 4.19, rimandando il lettore all’approfondimento di dettaglio alla Norma e Guida citata.
Tabella 4.19 – Tipo di zona, presenza all’esterno/interno dell’impianto, estensione relativa, esempi
Tipo di Zona | Interno/Esterno | Estensione | Esempi |
---|---|---|---|
20 | La presenza di una zona 20 è rilevabile all’interno dei contenimenti. Il verificarsi di una zona 20 deve essere vietato nei luoghi di lavoro. |
Estensione della zona al volume interno del contenimento. | Interno di sistemi di contenimento polveri. Tramogge, sili, cicloni, filtri. Sistemi di trasporto polveri, ad eccezione di alcune tipologie. Interno di miscelatori, mulini, essiccatori, apparecchiature per insacco. |
Tipo di Zona | Interno/Esterno | Estensione | Esempi |
---|---|---|---|
21 | La presenza di una zona 21 è ipotizzabile sia all’interno sia all’esterno dei contenimenti
di polvere. Non è vietata la presenza di zone 21 nei luoghi di lavoro. |
Zone interne al contenimento Estensione della zona al volume interno del contenimento. Zone esterne al contenimento In genere è sufficiente una distanza di 1 m intorno alla sorgente di emissione (con un’estensione verticale verso il basso fino a terra o fino al livello del pavimento pieno). Nelle zone all’esterno degli edifici il limite della zona 21 può essere alterato da effetti meteorologici. |
Aree prossime al contenimento di polveri e nelle immediate vicinanze di porte di accesso
che vengono frequentemente estratte o aperte per motivi operativi quando è presente
un’ATEX interna; Aree all’esterno del contenimento di polveri in prossimità di punti di riempimento o svuotamento, nastri di alimentazione, punti di campionamento, stazioni di scarico di camion, tappeti di scarico rialzati, ecc. dove non vengono adottate misure per prevenire la formazione di ATEX; Aree all’esterno del contenimento di polveri dove si accumula la polvere e dove lo strato di polvere può essere disturbato dalle operazioni in corso e formare un’ATEX; Aree all’interno del contenimento di polveri in cui è probabile che si formino nubi di polvere esplosive (ma non in modo continuo, prolungato o frequente), ad esempio il riempimento di un silo con materiale sfuso a basso contenuto di polvere e il lato sporco dei filtri se gli intervalli di autopulizia sono distanziati. |
22 | La presenza di una zona 22 è ipotizzabile sia all’interno sia all’esterno dei contenimenti
di polvere. Risulta tuttavia più probabile all’esterno dei contenimenti Non è vietata la presenza di zone 22 nei luoghi di lavoro. |
Zone interne al contenimento Estensione della zona al volume interno del contenimento. Zone esterne al contenimento In genere è sufficiente una distanza di 3 m oltre la zona 21 ed intorno alle sorgenti di emissione (con un’estensione verticale verso il basso fino a terra o fino al livello del pavimento pieno). Dove la diffusione della polvere sia limitata da strutture meccaniche le loro superfici possono essere considerate come il limite della zona. |
Scarichi degli sfiati dei filtri, perché, in caso di malfunzionamento, possono essere
emesse ATEX; Luoghi vicini ad apparecchiature che devono essere aperte a intervalli non frequenti o, in apparecchiature che sulla base dell’esperienza, possono formare perdite con espulsione violenta di polveri, a causa di una pressione superiore a quella atmosferica, ad esempio apparecchiature pneumatiche o connessioni flessibili che possono essere danneggiate, ecc; Stoccaggio di sacchi contenenti prodotti polverosi. Durante la manipolazione possono verificarsi lesioni ai sacchi, con conseguente emissione di polvere; Aree classificate come 21 nelle quali siano adottati provvedimenti di bonifica conformi alla ex Guida CEI 31-56:2012. Aree nelle quali si formano strati di polvere disturbati poco frequentemente con livello di pulizia adeguato. |
Fonte: CEI EN 60079-10-2:2016
La zona classificata a rischio di esplosione sarà univocamente definita da una stringa alfanumerica contenente, nell’ordine:
-
tipo di zona (20, 21, 22);
-
gruppo di polvere69 (IIIA, IIIB, IIIC);
-
classe di temperatura (es. T200 °C, T450 °C, ecc.).
4.4.2.6 La rappresentazione grafica delle zone a rischio di esplosione
Si rimanda a quanto già illustrato nel caso di gas, vapori e nebbie.
4.5 Esempi applicativi ed approfondimenti
Come appare chiaro da quanto finora illustrato e dalla diretta lettura delle Norme tecniche, la classificazione ATEX è certamente un’operazione non banale e deve essere svolta necessariamente da personale competente nel senso specificato dalle Norme stesse. Specialisti, cioè, che possiedano:
-
conoscenze approfondite sulle specifiche proprietà delle sostanze infiammabili;
-
conoscenza della fluidodinamica del rilascio e dispersione di gas e vapori infiammabili;
-
conoscenze di dettaglio della specifica tecnologia analizzata;
-
conoscenze applicative in termini di manutenzione orientata all’affidabilità, sistemi strumentati di sicurezza, tecnologie di monitoraggio e controllo.
La metodologia di classificazione, pur essendo di generale applicazione, necessita di una contestualizzazione nei vari settori industriali. Saranno quindi necessari sopralluoghi, confronti con il personale di stabilimento, tempo, perizia, attenzione e sensibilità tecnica.
Le problematiche ATEX presenti nella tipica piccola impresa manifatturiera del tessuto produttivo italiano sono differenti dalle implicazioni in termini di classificazione e scenari di rischio che si evidenziano, per esempio, nel settore dell’oil & gas piuttosto che in quello farmaceutico.
Un’acciaieria è cosa diversa, in tema di atmosfere esplosive, da un’industria galvanica o da un’azienda di trattamenti termici. Un mobilificio ha problematiche ATEX solo debolmente correlabili al grande stabilimento che produce pannelli MDF, la produzione di vernici possiede potenziali scenari di rischio d’esplosione nemmeno paragonabili all’azienda chimica che produce intermedi, un gasogeno di biogas installato presso un’azienda agricola non è una sfera di GPL gestita e manutenzionata in uno stabilimento chimico.
Nel seguito, quindi, si vogliono fornire i primi elementi applicativi in tema di classificazione delle zone a rischio di esplosione, essendo consapevoli del fatto che l’expertise specifica passa necessariamente dallo stabilimento, dal confronto con personale esperto (ingegneria, manutenzione, ecc.), dallo studio della specifica tecnologia e, perché no, anche da errori compiuti o subiti.
4.5.1 Approfondimento: il sisma ed il rischio di esplosione
Un esempio tipico di scenario di incidente catastrofico associabile ad emissione di ATEX è rappresentato dal sisma. L’Italia risulta infatti una tra le regioni più sismiche d’Europa possedendo ben il 45% dell’intera superficie classificato ad elevata sismicità e con solo il 14% degli edifici presenti in tali zone costruiti con criteri antisismici (Barberi et al., 2008).
Il rischio di esplosione connesso al terremoto è bene evidenziato dal sisma avvenuto a Kobe, in Giappone. Nel 1995 un violento terremoto colpì la città giapponese e causò un numero elevatissimo di morti (circa 6400) oltre a moltissimi guasti e rotture delle tubazioni degli impianti gas; rotture che rilasciarono massicce quantità di metano le quali, innescate, causarono esplosioni ed incendi che si propagarono all’intera città. La principale tecnica di prevenzione contro tali tipologie di scenario è rappresentata dall’alloggiamento degli impianti e delle tubazioni di adduzione del gas, all’esterno degli edifici. Inoltre, un’ulteriore misura di protezione particolarmente interessante è costituita dall’installazione, in zona sismica, di valvole automatiche di chiusura antisismica autoazionate a riarmo manuale (Bearzi et al., 2007). Tali valvole, installate in corrispondenza delle rampe gas, interrompono l’afflusso di metano nel caso rilevino accelerazioni superiori alla soglia di taratura.
In ogni caso, nel settore degli impianti operanti con liquidi e gas infiammabili, il fondamento delle misure di prevenzione e protezione contro rilasci catastrofici dovuti al sisma è rappresentato dalla corretta progettazione, realizzazione, collaudo e manutenzione delle strutture portanti conformemente al sisma di progetto previsto dalla Normativa di classificazione sismica.
4.5.2 Scenari di emissione catastrofica
4.5.2.1 Tubazione meccanicamente non protetta
Una tubazione convogliante liquidi infiammabili posta a ridosso della viabilità interna di stabilimento e non protetta meccanicamente risulta a rischio di emissione catastrofica?
Sì. Lo scenario di incidente è credibile (es. lesione a ghigliottina dovuta ad urto con un mezzo in manovra) e devono pertanto essere adottare le misure di protezione meccanica del caso (es. installazione di barriera New Jersey).
4.5.2.2 Valvola di sicurezza
Una valvola di sicurezza posta a protezione di un reattore risulta a rischio di emissione catastrofica?
No, a patto che sia installata, collaudata e costantemente mantenuta secondo le indicazioni del costruttore e verificata secondo la Normativa vigente (D.M. 329/2004). L’emissione occasionale proveniente dalla valvola dovrà essere classificata secondo la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
4.5.2.3 Lavori a fuoco
L’assenza di procedure di autorizzazione per lavori a fuoco può configurare scenari di emissione catastrofica?
No. Le lavorazioni a fuoco possono essere considerate principalmente una causa di innesco dell’ATEX e devono essere valutate nell’ambito dell’art. 289, comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 81/2008: “il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da ATEX tenendo conto della probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci”. Il datore di lavoro è infatti obbligato evitare l’accensione dell’ATEX (art. 289, comma 2, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008). Pertanto i lavori a fuoco non comportando direttamente rischi di emissione rilevante bensì rischi di innesco di ATEX dovranno essere regolamentati ai sensi dell’art. 292 e dell’Allegato L, punto 1.2, D.Lgs. n. 81/2008.
Figura 4.15 – Classificazione sismica nazionale aggiornata al 2006

Fonte: Dipartimento della Protezione Civile
4.5.2.4 Sisma
La carenza nella progettazione e nella realizzazione delle strutture di sostegno di un Pipe Rack e dei serbatoi di infiammabili ad esso collegati possono determinare scenari di emissione catastrofica?
Sì, lo scenario di incidente è credibile. Le strutture devono resistere al sisma di progetto in conformità alla classificazione sismica dell’installazione. Le strutture devono pertanto essere calcolate, installate, collaudate e manutenute secondo quanto previsto dall’Eurocodice 3.
4.5.2.5 Deposito di GPL
Un deposito di GPL fuori terra installato in difformità alla regola tecnica di prevenzione incendi può determinare rischi di emissione catastrofici?
Sì. Esistono vari scenari credibili di emissione catastrofica di ATEX (es. urto meccanico, incendio esterno, ecc.). Il Deposito di GPL deve essere installato ed utilizzato conformemente alla regola tecnica di prevenzione incendi nonché dotato di regolare Certificato di Prevenzione Incendi rilasciato dal locale Comando dei VV.F.
4.5.2.6 Usura della tenuta di una pompa per liquidi infiammabili
L’usura della tenuta singola di una pompa dedicata al trasporto di liquidi infiammabili configura lo scenario di emissione catastrofica?
No se la tenuta risulta correttamente progettata, installata, collaudata e mantenuta. In queste ipotesi l’emissione derivante dall’usura dovrà essere classificata nell’ambito della Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
4.5.2.7 Carenza nella formazione dei lavoratori
La mancanza di informazione e formazione dei lavoratori correttamente sviluppata ai sensi dell’art. 294-bis, D.Lgs. n. 81/2008 può essere correlata ad emissioni catastrofiche?
Non è semplice rispondere, tali e tante sono le variabili in gioco che dipendono dal compito specifico cui l’operatore è addetto. La risposta è tuttavia certamente affermativa se la mansione prevede competenze operative in termini di gestione degli impianti e/o del ciclo produttivo.
4.5.2.8 Bruciatori gas
Un bruciatore gas ad aria soffiata avente potenza pari a 300 kW e marcato CE ai sensi del D.Lgs. n. 23/2019 che recepisce il Regolamento UE 2016/426 ed integra il DPR n. 661/1996 può essere causa di emissione catastrofica di ATEX?
No, a patto che il bruciatore sia installato, collaudato, utilizzato e manutenuto conformemente a quanto previsto dal costruttore.
4.5.3 Domande su polveri e gas (FAQ)
4.5.3.1 Comportamento delle polveri
Come si comportano le concentrazioni delle polveri all’interno dei contenimenti e delle tubazioni?
Le polveri manifestano due comportamenti radicalmente differenti a seconda che si trovino all’interno di tubazioni oppure di contenimenti.
Nel primo caso (tubazioni) il convogliamento aeraulico delle polveri mantiene approssimativamente, in sospensione, i profili granulometrici presenti alla sorgente di emissione ed è molto semplice il calcolo della concentrazione delle stesse all’interno del condotto.
Invece le polveri in sospensione all’interno di contenimenti caricati pneumaticamente (es. silos, filtri, cicloni, ecc.), tenderanno a selezionarsi. Infatti, dato che la velocità di sostentamento risulta approssimativamente proporzionale al diametro aerodinamico, le polveri sottili, per mantenersi in sospensione una volta all’interno del filtro, avranno necessità di minime velocità dell’aria mentre quelle più grossolane si manterranno in sospensione solo in presenza di elevate turbolenze.
4.5.3.2 Polveri ed esplosioni
Quali sono le polveri che contribuiscono all’esplosione?
La Norma specifica che le polveri che contribuiscono ad un’esplosione sono quelle che possiedono diametri inferiori a 500 micron. In realtà, in una buona maggioranza di casi, la capacità di dar luogo ad un’esplosione si annulla nelle polveri con granulometria superiore a 300 micron. In genere, le caratteristiche di esplosione risultano indipendenti dal processo di produzione per granulometrie inferiori a circa 63 micron. Questo vuol dire che i parametri di esplosività saranno simili, nel caso di granulometrie superiori a 63 micron, solo se materiale e ciclo di produzione sono assimilabili. Il medesimo materiale e la medesima granulometria può generare esplosioni molto differenti se varia il processo di produzione. Infatti è sempre possibile che le polveri possiedano pari granulometria ma una “rugosità” del grano differente oppure, ancora, un contenuto d’umidità diverso.
4.5.3.3 Esplosività e concentrazione
Una polvere con una percentuale di polveri sottili alla sorgente, del 5%, 10% oppure 15% è “esplosiva”?
Dipende. In generale in condizioni stazionarie probabilmente no (se il profilo granulometrico è continuo). Le polveri più grossolane tenderanno infatti ad “inertizzare” le polveri più fini grazie a fenomeni di diluizione della concentrazione e raffreddamento. Risulta infatti più difficoltoso il riscaldamento di polveri di grande diametro rispetto a quelle a piccolo diametro.
→ | Questa considerazione può risultare valida solo nei casi di condizioni stazionarie (=interno delle tubazioni). Nel caso dell’interno di contenimenti ad elevata turbolenza, a causa del fenomeno che abbiamo descritto nella FAQ 4.5.3.1, ci sarà una concentrazione delle polveri in sospensione selezionata rispetto alle più sottili, che sono proprio quelle maggiormente reattive rispetto all’esplosione. Quindi, nel caso di contenimenti, la selezione della granulometria in sospensione dovuta al “galleggiamento” delle polveri risulterà (quasi) indipendente dalla concentrazione in ingresso. E dipenderà molto di più dalle velocità locali dell’aria. |
4.5.3.4 Effetto della pressione durante l’esercizio
L’effetto della pressione oppure della depressione del ventilatore all’interno del contenimento avrà pure qualche effetto sull’eventuale esplosione del contenimento?
No. Non rilevante almeno. Le pressioni che si manifestano durante un fenomeno esplosivo sono di almeno due ordini di grandezza superiori rispetto alle depressioni/pressioni in gioco durante il normale esercizio. Ed i carichi risultano applicati impulsivamente e non gradualmente.
4.5.3.5 Campionamento delle polveri
Quali sono le polveri che devo selezionare per i test di esplosione?
Alla luce di quanto già illustrato in precedenza, la protezione dei contenimenti deve essere progettata in base all’energia liberata durante l’esplosione. E tale energia risulterà fornita, in buona parte, dalle polveri in sospensione durante il fenomeno. E le polveri in sospensione sono quelle sottili. Un campione rappresentativo di tali polveri risulterà generalmente presente in adiacenza delle maniche filtranti. Questo naturalmente a patto che il filtro risulti in funzione da un tempo sufficientemente rappresentativo del ciclo di produzione (cfr. funzione t-Student).
Naturalmente, nel caso di materiali idrosolubili, tale considerazione può non essere applicabile vista la possibile formazione di croste dovute alla continua solubilizzazione e successiva solidificazione del materiale.
4.5.3.6 Guida alla ATEX – Prima Edizione, Maggio 2000, Domanda n. 1
Un recipiente chiuso (recipiente di trasformazione, serbatoio polmone, ecc.), o un altro apparecchio equivalente, contiene del liquido infiammabile di tipo volatile. L’interno del recipiente sarà classificato generalmente come zona 0, mentre gli apparecchi contenuti nel recipiente (per esempio, l’agitatore) rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE). Potrebbe trattarsi della zona 1 o 2. Ora, assumendo che l’ambiente che circonda il recipiente (o un altro apparecchio equivalente) risulti inclassificato a causa del fatto che il recipiente è costruito in acciaio, materiale che funge da barriera, e trascurando gli apparecchi come le valvole di sicurezza e altri, che potrebbero determinare una classificazione (seppure parziale) dell’esterno del recipiente, tale recipiente, in quanto unità completa, rientra nel campo di applicazione della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE)?
-
Esempio 1
Supponiamo che dei condotti di ventilazione trasportino miscele infiammabili sufficienti per determinare la classificazione dell’interno dei condotti. Le pareti dei condotti fungono da barriera ed isolano, dall’ambiente circostante, l’atmosfera potenzialmente esplosiva presente all’interno del condotto. L’ambiente che circonda il condotto risulta quindi inclassificato ed il condotto viene installato in una zona non classificata.
-
Esempio 2
Le pompe dosatrici ed i distributori di una stazione di rifornimento sono circondati, prevalentemente, da zone inclassificate. Tuttavia, l’esterno è classificato in corrispondenza dell’ugello erogatore. La parte interna rappresenta, interamente o in parte, un volume classificato.
-
Esempio 3
Una torre di distillazione per liquidi infiammabili.
Di norma, per rientrare nel campo di applicazione della Direttiva 94/9/ CE (ora 2014/34/UE), devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
-
presenza di atmosfera potenzialmente esplosiva;
-
l’atmosfera è costituita da una miscela di sostanze infiammabili ed aria;
-
l’atmosfera è soggetta a condizioni atmosferiche;
-
il prodotto contiene potenziali sorgenti di innesco proprie.
-
Poiché la Direttiva fa riferimento ai rischi, è necessaria una valutazione dei rischi in relazione al livello delle condizioni sopra riportate ed al fatto se esse costituiscono un pericoloso rischio di esplosione. Oltre alle condizioni sopra riportate, si rimanda alla Tabella 2 di pagina 1870 per verificare se un prodotto rientra nel campo di applicazione della Direttiva.
Situazione C – non rientra nel campo di applicazione della Direttiva
Esempio 1: situazione C, eventuale osservazione (a)
Esempio 2: Un distributore di benzina può essere considerato un assieme ai sensi della
Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE), sia esso costituito da parti recanti o meno la marcatura CE. È opinione ampiamente diffusa che la marcatura CE per l’intera apparecchiatura sia necessaria in entrambi i casi. Nell’assemblaggio di un distributore di benzina, il fabbricante può utilizzare solo parti recanti la marcatura CE. In tal caso, solo i rischi dovuti al fatto che tali parti sono collegate tra loro devono essere valutati ai fini della marcatura CE dell’intero distributore. Nel caso in cui un fabbricante utilizzi per l’assemblaggio prodotti non recanti la marcatura CE, sia parzialmente che totalmente, deve essere effettuata una valutazione di tutto l’assieme.
Esempio 3: forse situazione C, ma una risposta adeguata richiederebbe maggiori informazioni.
Opzione | Apparecchi con potenziale sorgente di accensione propria | Apparecchi da utilizzare all’interno o in relazione ad ATEX | Apparecchi in cui è presente un’ATEX interna | Apparecchi che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 2014/34/UE |
---|---|---|---|---|
A | SI | SI | SI | SI |
B | NO | SI | SI | NO a), b) |
C | SI | NO | SI | NO a), b) |
D | SI | SI | NO | SI |
E | NO | NO | SI | NO a), b) |
F | SI | NO | NO | NO b) |
G | NO | SI | NO | NO b) |
H | NO | NO | NO | NO b) |
-
“SI” per i prodotti contenuti in ATEX interna. Occorre inoltre tenere presente che gli apparecchi in quanto tali devono essere in grado di funzionare in conformità ai parametri operativi stabiliti dal fabbricante e di garantire il livello di protezione richiesto in base all’allegato II. “SI” anche per gli apparecchi non elettrici nel cui interno sia presente un’ATEX (ad esempio aspiratori, ventilatori, soffianti o compressori che producono miscele infiammabili) e sia presumibile, quindi, la presenza di un potenziale innesco.
-
“SI” per i dispositivi di sicurezza, di controllo e di regolazione destinati ad essere utilizzati al di fuori di ATEX, a fine di evitare i rischi di esplosione.
4.5.3.7 Guida alla ATEX – Prima Edizione, Maggio 2000, Domanda n. 2
Una costruzione, che contiene atmosfera esplosiva, ma non è circondata da atmosfera esplosiva, rientra nel campo di applicazione della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE)?
Altre domande sono inoltre presentate da fabbricanti ed organismi notificati in merito alla classificazione dei gruppi di apparecchi in categorie. Per esempio, se un apparecchio viene utilizzato in ambienti in cui la probabilità che si manifestino atmosfere esplosive sono rilevanti, scarse o inesistenti, ma all’interno dell’apparecchio, in condizioni di funzionamento normale, è sempre presente un’atmosfera esplosiva (per esempio, miscele aria-polveri in frantoi, essiccatoi, separatori di polveri), quale procedura di valutazione della conformità deve essere utilizzata in questi casi? Per scegliere la procedura corretta, è importante fare riferimento all’atmosfera che circonda l’apparecchio? In questo caso, la confusione deriva dal titolo stesso della Direttiva “…destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva”.
Facendo riferimento alla Tabella 2 di pagina 1871, si ha:
Situazione C, se l’apparecchio è dotato di sorgente di innesco propria;
Situazione E, se l’apparecchio è privo di sorgente d’innesco.
Per esempio: un recipiente che non è circondato da un’atmosfera potenzialmente esplosiva, ma che contiene un’atmosfera potenzialmente esplosiva non rientra, in generale, nel campo di applicazione della Direttiva.
Tuttavia, tutti gli apparecchi che si trovano all’interno del recipiente e sono dotati di sorgenti di innesco proprie rientrano nel campo di applicazione della Direttiva.
4.5.3.8 Guida alla ATEX – Prima Edizione, Maggio 2000, Domanda n. 3
Secondo le definizioni di atmosfere potenzialmente esplosive e condizioni atmosferiche, sembrerebbe che i recipienti di trasformazione, che funzionano in condizioni diverse da quelle atmosferiche, non rientrino nella Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/ UE). Tuttavia, i recipienti per le reazioni chimiche funzionano spesso ad una pressione di diverse atmosfere. E anche nei serbatoi polmone per gas liquido, la pressione è normalmente di parecchie atmosfere.
Se un prodotto non è destinato a essere utilizzato in condizioni atmosferiche, non rientra nel campo di applicazione della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE), ma un’atmosfera esplosiva potrebbe formarsi al suo interno in condizioni atmosferiche durante le fasi di avviamento, spegnimento o manutenzione. Ciò rientrerebbe nella valutazione dei rischi dell’utente e potrebbe richiedere la descrizione dettagliata degli apparecchi ATEX da installare nel o sul recipiente. Si tratta di una prassi comune.
4.5.3.9 Guida alla ATEX – Prima Edizione, Maggio 2000, Domanda n. 5
Secondo quanto stabilito dalla Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE), la presenza di aria è indispensabile per l’applicazione della Direttiva stessa. Tuttavia, alcune miscele di gas sono esplosive anche in assenza di aria. È necessario che le proprietà esplosive delle miscele siano basate sulla presenza di aria e sul contenuto di ossigeno nell’aria?
Nelle celle per la produzione del cloro viene prodotto anche idrogeno, ma separatamente.
Supponiamo che il cloro e l’idrogeno si mescolino nelle celle (o in altro modo) in presenza di quantità trascurabili di aria. La miscela rimane esplosiva in una vasta gamma di concentrazioni.
Una delle condizioni per rientrare nel campo di applicazione della Direttiva è che l’atmosfera potenzialmente esplosiva sia costituita da una miscela con l’aria. Pertanto, un prodotto che si trovi all’interno di un’atmosfera potenzialmente esplosiva in assenza di aria non rientra nel campo di applicazione della Direttiva, in quanto il pericolo di esplosione risulta esclusivamente dalla presenza di sostanze esplosive o instabili.
4.5.3.10 Guida alla ATEX – Prima Edizione, Maggio 2000, Domanda n. 14
I sistemi di trasporto, come gli elevatori a tazze, movimentano i materiali (per esempio alimenti e mangimi) tra le stazioni di alimentazione a quelle di distribuzione. All’interno degli elevatori a tazze e, in particolare, nella zona anteriore e posteriore, si possono manifestare durante il funzionamento miscele aria-polveri combustibili. Come devono essere trattati gli elevatori a tazze nel quadro della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/ UE), in particolare in relazione al fatto che nella zona circostante a questi elevatori non sono necessariamente presenti zone potenzialmente esplosive?
Lo scopo della Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE) è di evitare l’innesco di atmosfere potenzialmente esplosive da parte di apparecchi, sistemi di protezione e componenti. I prodotti sono suddivisi in categorie in base ai potenziali pericoli ed alle misure di prevenzione.
La Direttiva 94/9/CE (ora 2014/34/UE) stabilisce che un’atmosfera potenzialmente esplosiva è un’atmosfera suscettibile di diventare esplosiva a causa delle condizioni locali ed operative. Ciò significa che l’atmosfera potenzialmente esplosiva è presente sin dall’inizio oppure si sviluppa durante il processo di lavorazione (per esempio in relazione alla conversione di energia o alla trasformazione dei materiali). In questo senso, il concetto di suddivisione in zone non è applicabile.
Negli elevatori a tazze, la zona potenzialmente esplosiva è limitata, in generale, agli involucri e/o alle guaine, in cui molteplici potenziali sorgenti d’innesco possono attivarsi a causa della costruzione, per esempio mediante scintille dovute a sbattimento o sfregamento, o surriscaldamento. Un fabbricante di elevatori a tazze deve analizzare tutte le potenziali sorgenti d’innesco (per esempio, cinghie, tazze, ruote angolate, unità di comando, dispositivi di regolazione) e le misure di prevenzione in base al progetto, al materiale trasportato, alla velocità, ecc., dal punto di vista dell’uso previsto dell’apparecchio. In base al livello di sicurezza richiesto, che dipende dal relativo incorporamento nell’involucro e dalle anomalie o dai difetti dell’apparecchio di cui occorre abitualmente tener conto, i componenti speciali (che presentano un rischio più elevato) possono essere assegnati a categorie diverse rispetto alla categoria generale dell’elevatore a tazze.
4.5.4 Esempi di sorgenti di emissione di gas, liquidi infiammabili e polveri combustibili
Si riporta nelle figure seguenti una rapida carrellata di comuni sorgenti di emissione. Ad una breve descrizione della sorgente di emissione segue l’identificazione del grado e del tipo di emissione prevista.
Figura 4.16 – Immagini di sorgenti di emissione

4.5.5 Rilascio di liquido infiammabile in ambiente aperto
Si vuole procedere alla classificazione dovuta al guasto ad una tenuta di flangia che interconnette una tubazione dedicata al trasferimento di acetone in un impianto chimico. La struttura intralicciata di sostegno della tubazione è collocata in luogo aperto in adiacenza della viabilità di stabilimento.
Lo scenario di classificazione deriverà quindi dall’emissione, a causa del cedimento di una flangia, di liquido infiammabile da una tubazione. Tale rilascio genererà sul cemento al suolo, supposto orizzontale, una pozza non confinata (non sono previsti cordoli). Le caratteristiche principali dell’infiammabile, riportate in Tabella 4.20, sono estratte dalla Norma EN ISO IEC 80079-20-1:2019 integrata con parametri estratti da DIPPR 801.
Tabella 4.20 – Parametri di infiammabilità dell’acetone
Sostanza infiammabile | Acetone (CAS No 67-64-1) |
Massa molare [M] | 58,08 kg/kmol |
Flashpoint [FP] | -17 °C |
Limite inferiore di infiammabilità [LFL] | 2,5% |
Temperatura di autoaccensione [AIT] | 539 °C |
Tensione di vapore [PV] | 22870 Pa (in condizioni ambiente) |
Densità del liquido [ΡL] | 792 kg/m3 |
Sorgente di emissione [SE] | Tenuta in fibra compressa |
Grado di emissione | Secondo (guasto alla tenuta) |
Coefficiente d’efflusso [CD] | 0,85 (ipotesi di foro regolare) |
Superficie di emissione [S] | 2,5 mm2 (condizioni di espansione dell’apertura in presenza di liquido in pressione) |
Pressione nel contenimento [P] | 2 barg |
Coefficiente di diffusione [D12] 1: ACETONE, 2: ARIA |
0,109 cm2/s (≌0 °C) |
COSTANTE SPECIFICA DEI GAS [R] | 8314 J/kmol K |
Fattore di comprimibilità | 1 (liquido) |
Gruppo e classe di temperatura | IIAT1 |
Mentre le caratteristiche ambientali sono riportate in Tabella 4.21.
Tabella 4.21 – Caratteristiche dell’ambiente di rilascio
Ambiente | Esterno. Luogo privo di ostacoli (f = 1) |
Presidio | Luogo costantemente sorvegliato nel quale, in occasione di sversamento, è credibile un intervento di bonifica della pozza in un tempo non superiore a 15 min |
Pressione ambiente [pa] | 101325 Pa |
Temperatura ambiente [TA] | 20 °C |
Altezza di rilascio [hr] | ≤ 5 m (altezza di installazione della tubazione) ≌ 0 m (pozza al suolo) |
Velocità dell’aria [uw] | 0,25 m/s (in relazione alla pozza di infiammabile, cfr. Table C.1, EN IEC 60079-10-1:2021) |
Disponibilità della ventilazione | Cfr. argomentazioni successive |
Con i parametri più sopra specificati applicando l’equazione B.1, EN IEC 60079-10-1:2021 si ottiene la seguente portata di emissione:

Considerando un tempo di intervento della squadra di emergenza di 15 min (rilevazione e bonifica pozza, tb = 900 s) ed uno spessore dello sversamento non inferiore a 0,005 m (hm = 5 mm a causa della pavimentazione in cemento) la superficie complessiva della pozza, al netto della quantità evaporata durante il processo di sversamento, sarà data dalla seguente equazione:

Lo sversamento complessivo prima della bonifica sarà quindi pari a circa 43 litri. Il diametro corrispondente, nell’ipotesi di circolarità della pozza, è quindi uguale a circa 3,3 m.
La portata di vapore dalla pozza sarà data dall’equazione B.6, EN IEC 60079-10-1:2021. Si ha, quindi:

La portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione è quindi la seguente:

dove:

Nota la Qc si procede alla verifica l’efficacia della ventilazione in termini di diluzione72.
Figura 4.17 – Determinazione del grado di diluizione (cfr. Allegato C, EN IEC 60079-10-1:2021)

Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
Disponibilità della ventilazione: ADEGUATA73
Grado della diluzione: MEDIO
si ottiene una zona di tipo 2 IIAT1 estesa.
Tabella 4.22 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 IIAT1 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
Poiché la densità del vapore emesso dalla pozza è superiore a quella dell’aria (2,4 kg/m3 vs. 1,2 kg/m3) l’emissione si considera come gas pesante. Si ha, relativamente all’estensione orizzontale della zona pericolosa a partire dal bordo pozza, il seguente valore:

L’estensione verticale della zona classificata, invece, sarà invece data dalla seguente equazione (emissione passiva):

Figura 4.18 – Determinazione della distanza pericolosa (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)

La forma della zona classificata possiede, in conclusione, le seguenti caratteristiche:
Diametro equivalente, deq = 3,3 m
Estensione orizzontale, dz = r = 3,2 m (a partire dal bordo pozza)
Estensione verticale, dy = r’ = 1,5 m a partire dal suolo
Forma: cilindrica (Fonte: IEC, 2021)
Figura 4.19 – Forma della zona classificata

Fonte: IEC, 2021
Procediamo ora al ricalcolo dell’estensione della zona a rischio di esplosione utilizzando la metodologia di Katan così come riportata da Mecklenburgh75. Si ha:

Il valore dell’estensione orizzontale dz, a partire dal bordo pozza, appare sovrapponibile al valore ricavato con il diagramma logaritmico mentre il calcolo dell’estensione verticale, dy, restituisce un valore molto più aderente al fenomeno fisico reale (la simulazione di dispersione condotta con GEXCON-Effects indica un’altezza dy fino all’LFL non superiore a 0,1 m).
Commento: A questo proposito l’incidente accaduto nel petrolchimico di Buncefield (UK) nel 2005, dovuto allo sversamento di una rilevantissima pozza di benzina (superficie stimata non inferiore a 120.000 m2), fornisce la reale misura della “massima altezza raggiungibile” dai vapori di un liquido infiammabile tipico. Le varie inchieste condotte convergono, infatti, nell’affermare che il range di ampiezza verticale fosse compreso nell’intervallo 2÷3 m. Ovviamente l’incidente di Buncefield, oltre a non essere incluso nel campo di applicazione della CEI EN IEC 60079-10-1:2021 (è stato un incidente catastrofico) rappresenta un caso limite anche nell’ambito degli incidenti rilevanti. Come già specificato in nota 59, la Norma EI 15:2015 fissa a 30 m l’estensione della zona pericolosa oltre la quale il concetto di classificazione perde di significato.
I precedenti calcoli sono stati svolti nell’ipotesi della presenza di una pozza di liquido infiammabile sversata su cemento in assenza di cordoli.
Le principali misure tecniche finalizzate a limitare l’estensione delle zone a rischio di esplosione causate dallo scenario di sversamento in pozza possono essere di seguito riepilogate:
-
installazione di tenute di flangia realizzate con materiali maggiormente affidabili rispetto alla fibra compressa. Il foro di guasto si riduce e, in conseguenza di questo, lo sversamento diviene minore;
-
installazione di cordoli fissi destinati a limitare l’esposizione all’aria della pozza. Si riduce la superficie e la conseguente portata di emissione;
-
installazione di controlli strumentati di sicurezza. Nella ex Guida CEI 31-35:2012 si stimano intervalli di tempo non superiori a 10 s per l’intercettazione automatica da dispositivi rilevatori.
Un alto aspetto rilevante è connesso allo spessore della pozza e, in molti casi, tale parametro è stato collegato alla tipologia del suolo di deposito del liquido. Una parametrizzazione di questa variabile è riportata nel Purple Book del TNO76.
Tabella 4.23 – Spessori tipici delle pozze di infiammabile in relazione al suolo
Rif | Tipologia di suolo | Spessore atteso della pozza [m] |
---|---|---|
A | Terreno sabbioso compattato, cemento, pietre, sito industriale | 0,005 |
B | Terreno sabbioso normale, ghiaia, cantiere ferroviario | 0,010 |
C | Terreno sabbioso rugoso, terreno agricolo, prato | 0,020 |
D | Terreno molto rugoso, terreno sabbioso coltivato e con buche | 0,025 |
Fonte: TNO-Purple Book
A parità di sversamento e di parametri di ventilazione, la quantificazione in termini di estensione della zona classificata è riportata in Tabella 4.24 (calcolo svolto con le equazioni KM). In essa è evidente il vantaggio di sicurezza che alcuni terreni restituiscono rispetto allo scenario worst case (suolo in cemento).
Tabella 4.24 – Scenari di rilascio e classificazione in relazione alla tipologia di suolo di sversamento
Rif | Diametro equivalente pozza, deq [m] | Estensione orizzontale (a partire da bordo pozza), dz [m] | Estensione verticale (a partire dal suolo), dy [m] |
---|---|---|---|
A | 3,3 | 3,4 | 0,2 |
B | 2,3 | 2,3 | 0,2 |
C | 1,7 | 1,7 | 0,1 |
D | 1,5 | 1,5 | 0,1 |
Facciamo ora l’ipotesi che lo sversamento accidentale abbia luogo in una zona con presenza di cordoli alti 30 cm. Ipotizziamo, in questo caso, un bacino di contenimento quadrato con lato pari ad 1 m. La superficie conseguentemente sarà pari ad 1 m2 e, poiché l’altezza della pozza incrementerebbe di 8,6 volte (per un’altezza del pelo libero totale, quindi, di 43 mm) la distanza tra il liquido ed il bordo di protezione sarebbe non superiore ad h = 300 – 43 ≌ 260 mm = 0,26 m.
Questa è dunque l’ipotesi di un liquido non bollente non lambito dall’aria di ventilazione. L’equazione alla quale fare riferimento passa sotto il nome di legge di Maxwell-Stefan ed è rinvenibile nella ex Guida CEI 31-35:2012 (rif. equazione n. f.GB.4.4-3, personalizzata per le applicazioni di classificazione). Il motore che determinerà una maggiore o minore portata di evaporazione sarà funzione della diffusività del gas/vapore specifico in aria.
Nel caso dell’acetone il coefficiente di diffusione è il seguente (fonte: Tabella 2-141, Perry’s):

Riproporzionando a 20 °C, si ha:

di conseguenza la portata in massa è calcolata con la seguente equazione:

Procediamo nuovamente al calcolo della portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione:

E quindi, nota l’esiguità della Qc e procedendo alla riverifica dell’efficacia della ventilazione, si ottiene una diluizione alta e una conseguente zona di tipo 2NE all’esterno del bacino di contenimento.
L’interno del bacino di contenimento, essendo a ventilazione impedita (e quindi a diluizione bassa), evidenzia i seguenti descrittori da inserire nella matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
Disponibilità della ventilazione: -
Grado della diluzione: BASSO
determina una zona di tipo 1 IIAT1 estesa.
Tabella 4.25 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 IIAT1 |
Commento: la presenza di cordoli di contenimento, quindi, consente da un lato di ridurre l’estensione della zona di sversamento, dall’altro di limitare la portata di emissione di vapori infiammabili a fronte, tuttavia, di un aggravio di rischio all’interno del bacino.
4.5.6 Interpretazione dell’art. 4.4.2, EN IEC 60079-10-1:2021 sulla non estensione delle zone ATEX
Rispetto al solo grado di diluizione rinvenibile nell’Allegato C.3.5 la Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021 ha previsto criteri integrativi per la classificazione delle zone NE. Per definire una zona ATEX di estensione trascurabile ci si deve ora basare anche sui seguenti, ulteriori, parametri:
-
l’accensione dell’ATEX non genera danni dovuti all’onda di sovrappressione e/o causati da proietti (es finestre frammentate);
-
l’accensione dell’ATEX non produce calore sufficiente a causare danni e/o un incendio ai materiali circostanti;
-
indicazione relative alle massime pressioni di esercizio per il gas distribuito.
Gli effetti quindi considerati nell’ambito della classificazione e finalizzati a far rientrare il rilascio generato nella categoria della Non Estensione (NE), al netto delle valutazioni sulle pressioni di esercizio per i gas infiammabili (rapidamente verificabili e sulle quali non ci soffermeremo), saranno pertanto quelle connesse alla creazione di onde di sovrappressione, proietti o incendi nei casi che coinvolgono esplosioni di pozze di infiammabile sversato.
Quale valutazione deve pertanto essere posta in essere per ottemperare all’art. 4.4.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021?
Per rispondere è necessario fare una breve simulazione di calcolo. Utilizzeremo come sostanza di riferimento l’acetone. La quantità sversata che determina la NE della zona ATEX è non superiore a:
-
Circa 7 litri, all’aperto assumendo una velocità dell’aria pari ad uw = 0,25 m/s;
-
Circa 5 litri, al chiuso assumendo una velocità dell’aria pari ad uw = 0,05 m/s.
L’innesco di tali piccole pozze non può essere comprensibilmente posto all’origine di fenomeni di sovrappressione tali da determinare la proiezione di frammenti solidi.
Diverse sono invece le considerazioni da fare nel caso di flashfire della nube e successivo incendio di pozza. Purtroppo anche la presenza di quantità assimilabili a quelle appena indicate può determinare, in occasione del trasferimento manuale di solventi, eventi incidentali che possono causare danni gravi agli operatori, soprattutto se l’attività non è gestita in termini di prevenzione dell’innesco elettrostatico.
In questi casi, infatti, l’operatore risulta completamente all’interno degli effetti prevedibili del flashfire e/o del successivo incendio. Non è un caso che sia prevista proprio per tali operazioni una specifica formazione svolta ai sensi dell’art. 294-bis, D.Lgs. n. 81/2008.
Concludendo, alla luce di quanto esposto la declinazione in termini operativi dell’art. 4.4.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 potrebbe essere ricondotta a quello che andremo ora ad esplicitare.
A prescindere dalla presenza di un ALTO grado di diluzione (cfr. diagramma logaritmico C.1) si dovrà escludere la NE delle zone ATEX nei seguenti casi:
-
trasferimento manuale di liquidi infiammabili in assenza di conformità al rapporto tecnico CEI CLC/TR 60079-32-1:2016;
-
contenimenti/tubazioni con gas infiammabili compressi a pressioni superiori a 10 barg nel caso di presenza continua del personale informato e formato ai sensi dell’Art. 294-bis, D.Lgs. n. 81/2008;
-
contenimenti/tubazioni con gas infiammabili compressi a pressioni superiori a 20 barg nel caso di locali tecnici e/o occasionale presenza di personale informato e formato ai sensi dell’Art. 294-bis, D.Lgs. n. 81/2008.
Con le accortezze previste dall’art. 4.4.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 possiamo conclusivamente affermare che una zona NE, ad eccezione dei casi appena citati, potrà considerarsi di estensione trascurabile ed essere trattata come non pericolosa.
4.5.7 Classificazione derivante dall’azionamento di una valvola di sicurezza (PSV) in serbatoio contente propano
Preliminarmente allo studio di caso si riepilogano i criteri base per la classificazione delle valvole di sicurezza (di seguito Pressure Safety Valve, PSV).
Le PSV sono misure passive di sicurezza ed intervengono scaricando in atmosfera eventuali accumuli di pressione generati all’interno dei contenimenti. La progettazione di tali dispositivi è rigorosamente standardizzata attraverso le Norme della famiglia EN ISO 4126-1/10.
In generale il dimensionamento della sezione di scarico e della pressione di apertura sono tali che la dinamica di efflusso non consente il raggiungimento della tensione di scostamento dalla proporzionalità del materiale costituente il recipiente a pressione. Le PSV intervengono per aumenti della pressione interna al contenimento generalmente causati da:
-
Incendi esterni;
-
Boil off da contenimenti criogenici (es. LNG, LH2);
-
Anomalie di esercizio (es. errori di manovra, reazioni fuggitive);
-
Funzionamento anomalo o fuori servizio di strumentazione di regolazione o controllo;
-
Pressioni di esercizio variabili in processi discontinui (a batch).
Quando si possono escludere gli scenari e le anomalie elencate nei punti nn. 2, 3, 4 e 5 (per esempio per l’assenza delle cause radice degli eventi) l’intervento della PSV, per queste specifiche fattispecie può essere trascurato ai fini della classificazione delle zone ATEX.
Quando tale conclusione non può invece essere raggiunta con certezza tecnica sarà necessario ricorrere ad una valutazione analitica sviluppando uno o più alberi di guasto (Fault Tree Analysis, FTA) finalizzati a determinare la frequenza dell’evento apicale (Top Event) definibile “Scarico della sovrappressione dalla PSV”.
La classificazione della PSV come sorgente di emissione di secondo grado deriverà dal raggiungimento di una frequenza di accadimento del Top Event superiore a 10-5 eventi/ anno (cfr. Tabella V.2-1, RTV.2, Codice di Prevenzione Incendi).
Peraltro, a meno di evidenze documentate opposte, si tende a considerare il punto 1. esposto in precedenza (incendio esterno) come un “guasto catastrofico” (F ≤ 10-6 eventi/anno). E il guasto catastrofico, per sua definizione, è escluso dall’ambito applicativo della Norma di classificazione (cfr. art. 1, EN IEC 60079-10-1:2021).
La classificazione derivante dalle valvole di sicurezza dovrà in ogni caso ricomprendere sempre i guasti connessi all’imperfetta tenuta tra la sede e l’otturatore della PSV.
Tali guasti, di ampiezza almeno pari ad 1/10 della sezione dell’orifizio di scarico (cfr. Tabella B.1, EN IEC 60079-10-1:2021), sono tipicamente sorgenti di emissione di primo grado.
Passiamo ora allo studio di caso. Un grande impianto metallurgico necessita, per l’alimentazione dei bruciatori di processo adibiti al preriscaldo di forni elettrici ad arco EAF, di grandi quantitativi di propano. A tal fine si è resa necessaria l’installazione di un serbatoio di gas di petrolio liquefatto (approssimato a propano) da 20 m3.
L’impianto è collocato in un’area del sito di produzione nella quale una revisione indipendente dei fattori di rischio, condotta a prescindere dalla non inclusione in Direttiva Seveso III del sito, ha quantificato la seguente frequenza (Ffire) di incendio:
Ffire = 10-6 eventi/anno
In virtù di tale frequenza si esclude il rilascio a piena sezione della PSV (non sono infatti presenti ulteriori cause radice per lo sviluppo degli scenari nn. 2, 3, 4 e 5).
Il management, a prescindere da tale analisi, ha comunque optato per un interramento del serbatoio. La temperatura, alla profondità dello scavo, si mantiene stabilmente a circa 15 °C.
La PSV installata a protezione del serbatoio possiede le seguenti caratteristiche:
-
SPSV = 78,5 mm2 (sezione dell’orifizio di scarico)
-
P = 10 barg (pressione di attivazione)
La sorgente di emissione che verrà indagata sarà quindi quella di seguito indicata:
Primo grado con sezione di guasto pari a: S = A/10 = 7,85 mm2.
La pressione di emissione sarà quella relativa alla tensione di vapore del propano corrispondente alla temperatura di interramento.
Le caratteristiche principali dell’infiammabile, riportate in Tabella 4.26, sono estratte dalla Norma EN ISO IEC 80079-20-1:2019 integrata con parametri estratti da DIPPR 801.
Tabella 4.26 – Parametri di infiammabilità del propano
Sostanza infiammabile | Propano (cas n. 74-98-6) |
Massa molare [Mgas] | 44,09 kg/kmol |
Pressione critica | 42,48 bar |
Temperatura critica | 96,68 °C |
Flashpoint [FP] | -102,15 °C |
Limite inferiore di infiammabilità [LFL] | 1,7% |
Temperatura di autoaccensione [AIT] | 445 °C |
Sorgente di emissione [SE] | Perdita non rilevata tra sede ed otturatore |
Grado di emissione | Primo |
Coefficiente d’efflusso [Cd] | 0,62 (bordi a spigolo) |
Superficie di emissione [S] | 7,85 mm2 |
Pressione nel contenimento [P0] | Cfr. argomentazioni successive |
Costante specifica dei gas [R] | 8314 J/kmol K |
Fattore di comprimibilità [Z0] | Cfr. argomentazioni successive |
Rapporto tra i calori specifici [γ] | Cfr. argomentazioni successive |
Gruppo e classe di temperatura | IIAT2 |
Le caratteristiche di ventilazione sono le seguenti:
Tabella 4.27 – Caratteristiche dell’ambiente di rilascio
Ambiente | Esterno Luogo privo di ostacoli (f = 1) |
Presidio | Luogo non presidiato |
Pressione ambiente [p∞] | 1,01325 bar |
Temperatura ambiente [T∞] | 15 °C |
Altezza di rilascio [hr] | ≌ 3 m |
Velocità dell’aria [uw] | Cfr. argomentazioni successive |
Disponibilità della ventilazione | Cfr. argomentazioni successive |
Lo scarico della PSV avviene verso l’alto ad una quota di circa 3 m. La velocità dell’aria si assume non inferiore a (cfr. Tabella C.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021):
uw = 0,6 m/s
La tensione di vapore del propano si ricava dal webBook del NIST che diagramma e raccorda le funzioni di Antoine valide in differenti range di temperature (cfr. seguente Figura 4.20).
Figura 4.20 – Tensione di vapore del propano

Fonte: NIST, 2018
Alla temperatura propria dell’interramento (Tint = T1 = 273,15 + 15 ≌ 288 K) il propano evidenzia la seguente tensione di vapore assoluta:
P0 | = 7,3 bar | |
Z0 | = 0,852 | [Fonte: iterazione di Newton–Raphson su EOS Peng Robinson. Sono possibili altre forme di soluzione (es. NIST WebBook, DIPPR 801, Secondo coefficiente del viriale, ecc.)] |
Il coefficiente di espansione politropica viene calcolato in base al cp del gas ideale, riprodotto in Figura 4.21.
Figura 4.21 - cp al variare della temperatura, hp gas ideale

Fonte: DIPPR 801
Si ricava, alla temperatura di 15 °C, il seguente parametro:
cp = 71,9 kJ/kmol K
Il coefficiente di espansione politropica sarà quindi calcolato con la seguente espressione:

La procedura di calcolo che verrà seguita farà riferimento allo schema di rilascio sottoespanso riportato in Figura 4.2277.
Figura 4.22 – Schema di rilascio sottoespanso secondo la notazione presente in NFPA 2:2023

Il gas in uscita dalla sorgente di emissione è di tipo pesante, come si evince dal seguente calcolo:

La portata della sorgente di emissione è calcolata con l’equazione B.5, EN IEC 60079-10-1:2021. Si ha:

Con i seguenti parametri di derivazione.

Il grado di diluizione è quindi di tipo MEDIO.
Figura 4.23 – Determinazione del grado di diluizione (cfr. Allegato C, EN IEC 60079-10-1:2021)

Di seguito si riportano i calcoli del modello che confluiranno nella determinazione della distanza di classificazione dz.
La densità del gas all’interno del contenimento in pressione è la seguente:

Facendo riferimento allo schema di Figura 4.22 si procede al calcolo della pressione nel bordo d’uscita:

La temperatura presente nel bordo d’uscita è invece la seguente:

Attraverso questi due parametri è possibile il calcolo della compressibilità del gas all’uscita “j”:
Zj | = 0,905 [Fonte: iterazione di Newton–Raphson su EOS Peng Robinson. Sono possibili altre forme di soluzione (es. NIST WebBook, DIPPR 801, Secondo coefficiente del viriale, ecc.)] |
La densità del gas al bordo fisico d’uscita è quindi la seguente:

Si noti che sia la pressione tra l’interno e il bordo d’uscita sia la densità diminuiscano entrambe di 40%: la compressibilità del gas risulta, infatti, prossima all’unità e non vi sono marcate variazioni di temperatura.
La velocità del suono del gas in condizioni di completa sottoespansione è invece la seguente:

Mentre la velocità al termine della fase di espansione in atmosfera è rappresentata dall’equazione riportata appresso.

Lo pseudo-diametro verrà quindi calcolato con la seguente equazione:

Con questo parametro è ora possibile determinare la distanza a rischio di esplosione. Si ha:

dove k è uguale a:
k = 0,065 ∙ M + 4,268 ≌ 7,1378
Il valore di dz,NFPA2, arrotondato per eccesso al multiplo di 0,5 m più prossimo, restituisce quindi:
dz,NFPA2 = 1,5 m
Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: PRIMO
Disponibilità della ventilazione: ADEGUATA
Grado della diluzione: MEDIO
si ottiene una zona di tipo 1 IIAT2 estesa79.
Tabella 4.28 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 | [Zona 0NE]1 Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 | [Zona 1NE] Zona 1 | Zona 1 IIAT2 + 2 IIAT2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
A titolo di confronto si utilizza ora l’equazione f.GB.5.1-5a, ex CEI 31-35:2012 che fornisce valori affidabili e riproducibili in presenza di equilibrio termico tra lo stoccaggio del gas pressurizzato e la temperatura ambiente. Si ha:

Risultato paragonabile a quello ottenuto con l’equazione NFPA 2:2023.
Commento: i risultati del calcolo svolto con il software ingegneristico HyRAM+ v5.0 di SANDIA (USA) è il seguente:
-
Maximum mass flow rate [kg/s]: 1,021E-002
-
Maximum distance to flammable concentration [m]: 1,2÷1,6 m
Dove la distanza minima del range è calcolata con il modello Yoceil/Otugen e la massima è calcolata con il modello di Ewan/Moodie.
Figura 4.24 – Range delle distanze calcolate dal SW HyRAM+ v5.0 di SANDIA

La determinazione della distanza pericolosa fatta invece in base al nomogramma dell’Allegato D, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 è di seguito riportata.
Figura 4.25 – Determinazione della distanza pericolosa (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)

La dz è quindi pari a 1,2 m per rilascio a getto, distanza comparabile (anche se inferiore di 30 cm) a quella determinata con la metodologia NFPA 2:2023 e/o ex CEI 31-35 mentre risulta di ampiezza uguale a 2,5 m per dispersione diffusiva/passiva.
Poiché la direzione di rilascio è nota, la forma sarà quella di un cono (a rovescio) con diametro di base, assumendo un angolo di emissione di circa 30° + 30° (cfr. art. 5.11.2.3, ex CEI 31-35:2012), pari a circa r” = 0,85 m.
Infine, per la definizione di r’ si farà ricorso alla seguente equazione empirica:

La forma della zona classificata possiede, in conclusione, le seguenti caratteristiche:
Estensione verticale superiore, dz = r = 1,5 m a partire dalla sorgente di emissione
Diametro di base del cono, 2r” = 1,7 m
Estensione verticale inferiore, r’ = 0,3 m
Forma: conica (Fonte: IEC, 2021)
Figura 4.26 – Forma della zona classificata

Fonte: IEC, 2021
Annotazione: relativamente alle PSV convoglianti gas infiammabili, il rapporto tecnico UNI CEI TR 11798:202080 specifica che le tenute delle valvole e i dispositivi di scarico in atmosfera possono essere classificati con riferimento alla IEC 60534-4:2021. In particolare, poiché la PSV appena studiata possiede sede a tenuta metallica questa ricade in classe IV. Tale classe, per valvole gas, G, prevede una perdita non superiore a 0,001 la capacità di sfioro. Molto inferiore, quindi, al valore di default previsto in CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
4.5.8 Rilascio di liquido infiammabile in ambiente chiuso
Nel reparto di produzione di un’azienda di vernici si svolge da tempo un’operazione di travaso di acetato di etile da fusti orizzontali. Sul fusto, preliminarmente alle operazioni, viene installata una valvola di intercettazione. Successivamente il medesimo viene orientato orizzontalmente sulla scaffalatura, in un apposito alloggiamento, e periodicamente spillato in un tank poi movimentato con carrello elevatore. Attualmente risulta in fase di approvazione un progetto di ampliamento che prevede un locale apposito destinato alle operazioni di travaso infiammabili.
Purtroppo, motivi di ordine burocratico-amministrativo hanno rallentato la soluzione tecnica del problema.
Nell’attesa della messa in sicurezza si vuole procedere alla classificazione derivante dall’operazione volta ad individuare le necessarie misure di prevenzione e protezione. Lo scenario di classificazione deriverà quindi dall’emissione non controllata di acetato di etile a causa del cedimento della valvola di intercettazione durante il periodo notturno non presidiato dello stabilimento. Tale rilascio genererà sul cemento del suolo, supposto orizzontale, una pozza non confinata (non sono installati cordoli).
Le caratteristiche principali dell’infiammabile, riportate in Tabella 4.29, sono estratte dalla Norma EN ISO IEC 80079-20-1:2019 integrata con parametri estratti da DIPPR 801.
Tabella 4.29 – Parametri di infiammabilità dell’acetato di etile
Sostanza infiammabile | Acetato di etile (CAS No 141-78-6) |
Massa molare [M] | 88,1 kg/kmol |
Flashpoint [FP] | -4 °C |
Limite inferiore di infiammabilità [LFL] | 2% |
Temperatura di autoaccensione [AIT] | 470 °C |
Tensione di vapore [pv] | Cfr. argomentazioni successive |
Densità del liquido [ρl] | 901 kg/m3 |
Sorgente di emissione [SE] | Cedimento valvola di intercettazione |
Grado di emissione | Secondo |
Coefficiente di diffusione [D12] 1: Acetato di etile, 2: Aria | 0,089 cm2/s (≌30 °C) |
Costante specifica dei gas [R] | 8314 J/kmol K |
Fattore di comprimibilità [Z] | 1 (liquido) |
Gruppo e classe di temperatura | IIAT1 |
Mentre le caratteristiche ambientali sono riportate in Tabella 4.30.
Tabella 4.30 – Caratteristiche dell’ambiente di rilascio
Ambiente | Interno (magazzino intensivo con scaffalature metalliche) Luogo nel quale la dispersione degli inquinanti al suolo è parzialmente ostacolata (f = 3) |
Presidio | Luogo non sorvegliato |
Pressione ambiente [pa] | 105 Pa |
Temperatura ambiente [Ta] | 30 °C |
Altezza di rilascio [hr] | ≌ 0 m (pozza al suolo) |
Velocità dell’aria [uw] | Cfr. argomentazioni successive |
Disponibilità della ventilazione | Adeguata (ventilazione naturale in ambiente chiuso) |
L’edificio possiede una superficie in pianta di 1200 m2 (a = 30 m, b = 40 m) e un’altezza media all’intradosso non inferiore ad h = 7 m. Il volume complessivo è dunque pari a V = 8400 m3. Si rileva, peraltro, che la metodologia per il calcolo dei ricambi d’aria di cui all’Allegato C, CEI EN IEC 60079-10-1:2021, idonea per volumi di calcolo limitati, non risulta affidabile nel caso degli ampi volumi del capannone in esame.
La letteratura di settore81 indica, per converso, che reparti assimilabili a quello studiato presentano ricambi d’aria compresi nell’intervallo 1÷2 vol/h.
Altresì, più rilievi sperimentali condotti con la metodologia di gas traccia (CO2) hanno portato a constatare un ricambio locale, presente nell’area di travaso, non inferiore a C = 2,5 vol/h. La velocità dell’aria presente nell’edificio, assunta rappresentativa, sarà quindi data dalla media tra la velocità massima e media calcolata in base ai ricambi per infiltrazione rilevati.
Si ha:

Tali valori risultano confermati da una campagna di controlli anemometrici a sfera calda.
Si assume, a fini ATEX, la seguente velocità dell’aria in prossimità della zona di rilascio:
uw = 0,025 m/s
Si assume altresì come scenario di sversamento, il cedimento della valvola di intercettazione mobile installata sul fusto. Le ipotesi di calcolo sono le seguenti:
-
Accadimento notturno
-
Reparto non presidiato
-
Fusto pieno al 50% della capacità massima (circa V = 100 litri di acetato di etile)
-
Pavimentazione in cemento
-
Spessore medio della pozza non inferiore a 0,005 m (hm = 5 mm)
L’area della pozza, ipotizzata circolare, sarà quindi:

Il diametro corrispondente sarà quindi:

L’ambiente possiede una temperatura tipica estiva mai inferiore a 30 °C (aria e superficie del pavimento). Come risulta evidente dalla seguente Figura 4.27 la tensione di vapore a 30 °C dell’acetato di etile sarà uguale a, circa:
pv ≌ 15840 Pa
Figura 4.27 – Tensione di vapore dell’acetato di etile

Fonte: DIPPR 801
A partire dai dati appena esposti la portata di vapore dalla pozza sarà data dall’equazione B.6, CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
Si ha, quindi:

La portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione è la seguente:

dove:

Nota la Qc si procede alla verifica l’efficacia della ventilazione in termini di diluzione82.
Figura 4.28 – Determinazione del grado di diluizione (cfr. Allegato C, EN IEC 60079-10-1:2021)

Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
Disponibilità della ventilazione: ADEGUATA
Grado della diluzione: MEDIO
si ottiene una zona di tipo 2 IIAT1 estesa.
Tabella 4.31 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 IIAT1 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
Essendo l’ambiente chiuso con diluizione MEDIA, non è possibile procedere all’utilizzo del diagramma logaritmico D.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 (“The curves are based on a zero background concentration and are not applicable for indoor medium and low dilution situations”) ed è quindi per questo motivo che faremo ricorso alle equazioni KM. Si ha:

Commento: a titolo di confronto, la distanza calcolata con il diagramma D.1 sarà non superiore a dz = 1,8 m, in deciso svantaggio di sicurezza. Questo aspetto dovrà essere tenuto in adeguata considerazione soprattutto nei casi in cui si sia operato, nel passato, classificando le emissioni derivanti da pozza in ambiente chiuso utilizzando la Norma CEI EN 60079-10-1:2016.
La forma della zona classificata possiede, in conclusione, le seguenti caratteristiche:
Diametro equivalente, deq = 5 m
Estensione orizzontale, dz = r = 6 m (a partire dal bordo pozza)
Estensione verticale, dy = r’ = 0,5 m a partire dal suolo
Forma: cilindrica (Fonte: IEC, 2021)
Poiché l’estensione in pianta del reparto risulta del medesimo ordine di grandezza della zona classificata:

è necessario procedere all’estensione della zona classificata di tipo 2 IIAT1 all’intero reparto con conseguente necessità di adeguamento impiantistico e di apparecchi CEATEX.
Un’alternativa, nell’attesa di procedere con i lavori che prevedono la costruzione di un locale dedicato, potrebbe consistere nell’installazione di un bacino con cordoli capace di contenere lo sversamento accidentale di progetto. Verifichiamo tale opzione ipotizzando la presenza di un bacino di contenimento con cordoli alti 30 cm e della superficie di 4 m2 (2 x 2 m) posto al di sotto della zona di spillaggio. L’altezza della pozza, nel caso di sversamento completo di 100 litri di acetato di etile, sarà non inferiore a:

La distanza tra il liquido ed il bordo di protezione è quindi non superiore a:
h = 300 – 25 ≌ 275 mm = 0,275 m.
Questa è dunque l’ipotesi di liquido non bollente non lambito dall’aria di ventilazione. Si fa riferimento alla legge di Maxwell-Stefan rinvenibile nella ex Guida CEI 31-35:2012 (rif. equazione n. f.GB.4.4-3). Il motore che determinerà una maggiore o minore portata di evaporazione sarà funzione della diffusività del gas/vapore specifico in aria.
Nel caso dell’acetato di etile il coefficiente di diffusione è il seguente (fonte: Tabella 2-141, Perry’s):

di conseguenza la portata in massa è calcolata con la seguente equazione:

Procediamo nuovamente al calcolo della portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione:

Nota la Qc si procede alla verifica l’efficacia della ventilazione in termini di diluzione all’esterno del bacino di contenimento.
Figura 4.29 – Determinazione del grado di diluizione (cfr. Allegato C, EN IEC 60079-10-1:2021)

Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
Disponibilità della ventilazione: ADEGUATA
Grado della diluzione: ALTO
si ottiene una zona di tipo 2NE.
Tabella 4.32 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2NE | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
L’interno del bacino di contenimento, essendo a ventilazione impedita (e quindi a diluizione bassa), evidenzia i seguenti descrittori da inserire nella matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
Disponibilità della ventilazione: -
Grado della diluzione: BASSO
determina una zona di tipo 1 IIAT1 estesa.
Tabella 4.33 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2[Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 IIAT1 |
Commento: la presenza di cordoli di contenimento, quindi, consente da un lato di ridurre l’estensione della zona di sversamento, dall’altro di limitare la portata di emissione di vapori infiammabili con conseguente declassamento della zona da 2 IIAT1 a 2NE a fronte, tuttavia, di un aggravio di rischio all’interno del bacino.
4.5.9 Classificazione dello sfiato di respirazione di un serbatoio destinato allo stoccaggio di etanolo alimentare
Si vuole procedere alla classificazione della zona a rischio di esplosione derivante dallo sfiato di respirazione di un serbatoio atmosferico, cilindrico ad asse verticale (non coibentato), collocato all’aperto fuori terra della capacità di 10 m3 (d0 = 2 m, Hint = 3,2 m).
Lo sfiato, del diametro di 5 pollici (dh = 0,127 m), è protetto da una barriera tagliafiamma ed è collocato ad un’altezza di 4 m.
I dati storici del costruttore indicano che, nella zona climatica di installazione, la temperatura interna del liquido, pur con le dovute accortezze installate per limitare l’irraggiamento diretto del sole, può permanere per diversi giorni al di sopra dei 40 °C.
Il trasferimento da autobotte a serbatoio avviene con una pompa centrifuga della portata di circa 10 litri/s.
Le caratteristiche principali dell’infiammabile, riportate in Tabella 4.34, sono estratte dalla Norma EN ISO IEC 80079-20-1:2019 integrata con parametri estratti da DIPPR 801.
Tabella 4.34 – Parametri di infiammabilità dell’etanolo
Sostanza infiammabile | Etanolo (cas n. 64-17-5) |
Massa molare [M] | 46,07 kg/kmol |
Flashpoint [FP] | 12 °C |
Limite inferiore di infiammabilità [LFL] | 3,1% |
Temperatura di autoaccensione [AIT] | 400 °C |
Tensione di vapore [pv] | Cfr. argomentazioni successive |
Sorgente di emissione [SE] | Sfiato dalla valvola di respirazione |
Grado di emissione | Primo |
Coefficiente di diffusione [D12] 1: Etanolo, 2: Aria | 0,1264 cm2/s (≌25 °C) |
Costante specifica dei gas [R] | 8314 J/kmol K |
Fattore di comprimibilità [Z] | 1 (liquido) |
Gruppo e classe di temperatura | IIBT2 |
Mentre le caratteristiche ambientali sono riportate in Tabella 4.35.
Tabella 4.35 – Caratteristiche dell’ambiente di rilascio
Ambiente | Esterno Luogo con un livello di ostacoli medio (f = 3) |
Presidio | Luogo non sorvegliato |
Pressione ambiente [pa] | 105 Pa |
Temperatura ambiente [Ta] | 40 °C |
Altezza di rilascio [hr] | ≌ 4 m (pozza al suolo) |
Velocità dell’aria [uw] | Cfr. argomentazioni successive |
Disponibilità della ventilazione | Cfr. argomentazioni successive |
Come già specificato, l’ambiente di installazione durante l’estate evidenzia temperature estremamente elevate. Si assume quindi, in vantaggio di sicurezza, sia la temperatura ambiente sia la temperatura del liquido pari a 40 °C.
Come risulta evidente dalla Figura seguente la tensione di vapore a 40 °C dell’etanolo sarà uguale a, circa:
pv ≌ 18092 Pa
Figura 4.30 – Tensione di vapore dell’etanolo

Fonte: DIPPR 801
La concentrazione media interna dei vapori, applicando la legge di Raoult, sarà dunque pari a:

La massa molare equivalente (Meq) dei vapori in uscita, alla concentrazione media del 18,1% di etanolo, sarà la seguente:

La densità dei vapori in uscita sarà quindi uguale a:

Molto simile alla densità dell’aria. La miscela di vapori emessi avrà quindi una spinta di galleggiamento neutra.
Tenendo in considerazione questo aspetto unito all’altezza di rilascio (hr ≌ 4 m) nonché all’area parzialmente ostruita (f = 3) si ottiene, dalla Tabella C.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021, la velocità di ventilazione dell’aria:

La presenza di ventilazione residua si assume non inferiore a:

Il limite inferiore di infiammabilità della miscela etanolo-aria in uscita dallo sfiato sarà il seguente:

Giunti a questo punto dell’analisi constatiamo che i possibili scenari di emissione risultano sostanzialmente i seguenti:
-
rilascio connesso al caricamento del liquido (SE di grado PRIMO). Il trasferimento di massa è di tipo convettivo;
-
rilascio per diffusione in condizioni di livello stazionario del fluido (SE di emissione di grado CONTINUO). Il trasferimento di massa è di tipo diffusivo.
Procediamo alla valutazione del primo scenario di emissione, quello definito “rilascio connesso al caricamento del liquido”. Durante le fasi di riempimento del serbatoio la valvola di sfiato emetterà un volume di vapore (Etanolo-Aria) pari alla portata di liquido in entrata, al netto della minima compressione dei vapori che si genererà a causa della resistenza all’efflusso dallo sfiato. Poiché la pompa di riempimento possiede una portata Qp = 10 litri/s questa sarà anche la portata di vapore in uscita. La portata volumetrica caratteristica di rilascio sarà quindi la seguente:

Nota la Qc si procede alla verifica l’efficacia della ventilazione in termini di diluzione all’esterno del serbatoio.
Figura 4.31 – Determinazione del grado di diluizione (cfr. Allegato C, EN IEC 60079-10-1:2021)

Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: PRIMO
Disponibilità della ventilazione: ADEGUATA83
Grado della diluzione: MEDIO
si ottiene una zona di tipo 1 IIBT2
Tabella 4.36 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Non hazardous [Zona 0NE]1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 1 | Zona 1 IIBT2 + 2 IIBT2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
Per il calcolo della distanza di classificazione si utilizza l’equazione di Fauske modificata di cui al riferimento f.GB.5.1-4, ex Guida CEI 31-35:2012 (derivata dall’espressione di Katan-Mecklenburgh esposta in precedenza84).
Si dovrà tenere bene a mente, tuttavia, che la concentrazione dell’etanolo nella sorgente di emissione è pari al 18,1% e sarà quindi necessario lavorare con la sostanza equivalente calcolata che simula l’emissione di pari caratteristiche.
Si ha (eliminando i fattori correttivi presenti in ex CEI 31-35:2012 e omogeneizzando la simbologia alla CEI EN IEC 60079-10-1:2021):

dove:

Relativamente alla zona 2 IIBT2 verrà svolto il calcolo in base alla ventilazione residua. Si ha:

Ricercando la distanza pericolosa con il diagramma D.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 (avendo come riferimento l’emissione diffusiva/passiva), si ottiene un dz ≌ 1 m (sia per la zona 1 IIBT2 che per la zona 2 IIBT2).
Sia per il vantaggio di sicurezza sia per la giustificabilità dei risultato ottenuto si assume rappresentativa del caso in esame la distanza pericolosa ricavata con la formula di Fauske modificata.
Poiché la direzione di rilascio è nota, ma la velocità di uscita è molto ridotta rispetto ad un rilascio a getto, la forma della zona classificata sarà quella di un cilindro di pari altezza e diametro.
Figura 4.32 – Determinazione della distanza pericolosa (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)

La forma della zona classificata di tipo 1 IIBT2 possiede, in conclusione, le seguenti caratteristiche:
Estensione verticale, dz = r = 2 m a partire dalla sorgente di emissione
Estensione orizzontale, dz = r = 2 m a partire dalla sorgente di emissione
Mentre la zona classificata di tipo 2 IIBT2 che contorna la zona 1 IIBT2 evidenzia i seguenti parametri:
Estensione verticale, dz = r = 3 m a partire dalla sorgente di emissione
Estensione orizzontale, dz = r = 3 m a partire dalla sorgente di emissione
Forma: entrambe cilindriche (Fonte: IEC, 2021).
Figura 4.33 – Forma della zona classificata

Fonte: IEC, 2021
La presenza della barriera tagliafiamma in luogo aperto e privo di inneschi rende lo scenario Jetfire “possibile” ma “non credibile”.
Per classificare l’interno del serbatoio consideriamo i seguenti limiti di infiammabilità, così come riportati in UNI CEI EN ISO/IEC 80079-20-1:2020. Si ha:
-
LFL = 3,1%
-
UFL1 = 19% (a 60 °C)
-
UFL2 = 27,7% (a 100 °C)
Poiché la concentrazione interna dell’infiammabile è pari alla seguente:
C ≌ 18,1%
se ne conclude che durante il normale esercizio la concentrazione dell’ATEX presente nel serbatoio è interna al campo di infiammabilità. Rispetta quindi la seguente condizione (art. 3.3.4, CEI EN IEC 60079-10-1:2021): “Area in cui è presente un’atmosfera esplosiva in modo continuativo, o per lunghi periodi, o frequente”.
La zona interna al serbatoio è dunque di tipo 0 IIB T2 estesa all’intero contenimento. Procediamo ora ad indagare il secondo scenario di emissione, quello per diffusione. Più precisamente quello che abbiamo definito “rilascio per diffusione in condizioni di livello stazionario del fluido”.
Il problema, in questo caso, è che non abbiamo a disposizione equazioni “a la carte” (provenienti, cioè, da fonte nota, citata e reperibile); è necessario pertanto “costruirle” a partire da leggi fondamentali. Faremo un’unica ipotesi, abbastanza ragionevole tecnicamente: l’emissione per diffusione si verifica in presenza di una riduzione di diametro progressiva con l’altezza a partire dal diametro massimo del serbatoio fino a divenire ampia quanto la superficie di sfiato.
Una diminuzione, cioè, che in un’altezza pari ad h = 0,5 m si riduca dal diametro d0 = 2 m al diametro dello sfiato dh = 0,127 m. L’equazione per il calcolo dell’emissione, la cui dimostrazione è allegata a margine del presente esercizio85, è di seguito riportata:

Il coefficiente di diffusione86 dell’etanolo è il seguente:

La portata in massa è quindi calcolata con l’equazione appena illustrata:

La portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione è quindi la seguente:

Con:

La portata dell’emissione convettiva risulta circa 5.000 volte più elevata dell’emissione per diffusione.
Il risultato evidenzia un’ALTA efficacia di diluizione.
Con i seguenti descrittori inseriti nella successiva matrice di classificazione:
Grado della sorgente di emissione: CONTINUO
Disponibilità della ventilazione: BUONA87
Grado della diluzione: ALTO
si ottiene una zona di tipo 0NE.
Tabella 4.37 – Matrice di classificazione (cfr. Allegato D, EN IEC 60079-10-1:2021)74
Grado di emissione | Efficacia della ventilazione | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Diluizione Alta | Diluizione Media | Diluizione Bassa | |||||
Disponibilità della ventilazione | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata o scarsa | |
Continuo | Zona 0NE1 | Zona 2 [Zona 0NE]1 | Zona 1 [Zona 0NE]1 | Zona 0 | Zona 0 + Zona 23 | Zona 0 + Zona 1 | Zona 0 |
Primo | Non hazardous [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE]1 | Zona 2 [Zona 1NE] | Zona 0 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 + Zona 2 | Zona 1 oppure Zona 04 |
Secondo2 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Non hazardous [Zona 2NE]1 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 2 | Zona 1 e persino Zona 04 |
Commento 1: come appare evidente il moto convettivo durante le fasi di trasferimento del liquido risulta di ordini di grandezza superiore al trasferimento di massa diffusivo. Il flusso per convezione genera quindi zone classificate ed estese significativamente ampie mentre la magnitudo del fenomeno diffusivo, di per sé, non mostra caratteristiche tali da generare zone a rischio di esplosione, soprattutto in presenza di liquidi con tensione di vapore relativamente limitato.
Commento 2: Di seguito, per approfondimento, si procede ad ottenere l’equazione diffusiva utilizzata per il calcolo. Partendo dall’equazione 3.3-7 del Cussler93, si ha94:

E quindi:

Dove:

Impostando l’integrazione si ha:

E quindi:

Procedendo, sia ha:

Semplificando:

In definitiva:

Moltiplicando ambo i membri per la massa molare (M), uniformando l’analisi dimensionale e considerando che y1h = 0 si ottiene, nella simbologia per noi più consueta, l’equazione definitiva:

4.5.10 Determinazione delle caratteristiche d’infiammabilità di miscele idroalcoliche, acqua-acetone e acqua-ammoniaca
Il flash point è una tra le proprietà fisiche più importanti per la sicurezza contro le esplosioni. Esso è definito come (cfr. art. 3.6.8, CEI EN IEC 60079-10-1:2021): “La più bassa temperatura di un liquido alla quale, in date condizioni normalizzate, il liquido emette vapori in una quantità tale da poter formare una miscela vapore/aria incendiabile”.
Il flash point può essere rilevato sperimentalmente con due modalità:
-
in tazza chiusa (ISO 3679:2015. Determination of flash no-flash and flash point. Rapid equilibrium closed cup method);
-
in tazza aperta (ISO 2592:2000. Determination of flash and fire points. Cleveland open cup method).
Il valore della tazza chiusa è di solito più basso di qualche grado rispetto al risultato della tazza aperta ed è preferito quando si prendono decisioni critiche per la sicurezza.
Mentre il flash point delle sostanze pure è generalmente un valore noto (cfr. banche dati DIPPR 801, schede di sicurezza, UNI CEI EN ISO/IEC 80079-20-1:2020, ecc.) i dati riferiti alle miscele sono reperibili con maggiore difficoltà. Con questo esercizio si vogliono fornire gli andamenti del flash point in miscele idroalcoliche e acqua-acetone, al variare della concentrazione, calcolati con i coefficienti di attività di Margules.
A questo proposito il rapporto tecnico CEI CLC/TR 60079-32-1:2016 indica che: “[…] è prudente supporre che possa esistere un’atmosfera infiammabile anche quando la temperatura del liquido è inferiore al flash point di un certo margine di sicurezza. Tale valore dipende dal livello di incertezza sulla temperatura, sulla composizione del liquido, ecc. In condizioni ben controllate in genere è necessario, per i liquidi puri, un vantaggio di sicurezza di 5 °C e, per le miscele, un “delta” di almeno 11 °C”.
Il margine di sicurezza per le miscele dovrà quindi essere non inferiore a 11 °C a partire dal flash point calcolato. L’equazione generale per stimare il punto di infiammabilità di una miscela binaria è la seguente:

Una miscela binaria acquosa contiene ovviamente acqua e un componente infiammabile. Poiché il flash point che la miscela esibisce è correlato al componente infiammabile, un termine dell’equazione precedente si elimina e rimarrà, quindi:

Si ottengono, facendo ricorso ai coefficienti di attività di Margules, i seguenti diagramma e Tabella di sintesi dai quali si evidenzia che la diluizione in acqua di componenti infiammabili manifesta la sua efficacia solo a partire da frazioni molari molto elevate e, conseguentemente, con percentuali molari di infiammabile basse (circa 0,1 mol/mol).
Peraltro, per garantire temperature di esercizio di sicurezza, la temperatura operativa dovrà essere mantenuta almeno 11 °C inferiore al limite calcolato in relazione alla concentrazione della miscela.
Figura 4.34 – Flash point calcolato, per miscele acqua-infiammabile non ideali, con i coefficienti di attività di Margules

Tabella 4.38 – Flash point calcolato, per miscele acqua-infiammabile non ideali, con i coefficienti di attività di Margules. Valori tabellati

Commento: tale approfondimento spinge a concludere che la tecnica di incrementare il flash point di un solvente con diluizione in acqua al fine di renderlo meno pericoloso potrebbe essere controproducente, soprattutto nei casi di solventi estremamente infiammabili (quale è l’acetone).
Consideriamo ora un’altra sostanza, spesso utilizzata miscelata all’acqua, e lungamente studiata in passato: l’ammoniaca. In realtà la maggior parte degli incidenti di origine esplosiva (escludiamo in questa sede tutti gli altri rischi collegati all’idro-ammoniaca) hanno coinvolto miscele confinate all’interno di contenimenti e/o serbatoi.
Concentriamoci quindi su recipienti ermetici chiusi contenenti una soluzione acquosa ammoniacale con vapori in equilibrio termodinamico. La concentrazione d’equilibrio è peraltro legata alla tensione di vapore e incrementa all’aumentare della temperatura. Altresì, la temperatura in corrispondenza alla quale la concentrazione uguaglia l’LFL è detta Temperatura Limite Inferiore (TLI) mentre quella che si registra in coincidenza all’UFL è definita TLS (Temperatura Limite Superiore)90. Le soluzioni idro-ammoniacali non possiedono flash point ma esistono, e sono sperimentalmente misurabili nei recipienti chiusi, sia il TLI che il TLS91. Tali limiti non sono purtroppo derivabili dalla legge di Henry poiché l’acqua e l’ammoniaca non sono una miscela ideale.
A questo si aggiunge il problema che il vapor d’acqua è un agente inertizzante la cui concentrazione aumenta, nel volume chiuso, all’aumentare della temperatura. A tale proposito esistono specifiche raccolte di dati che riassumono la modifica dell’intervallo TLI÷TLS al variare della concentrazione di ammoniaca in acqua (vol/vol). Di seguito si riporta una rassegna di questi intervalli92:
-
H2O÷NH3 [72÷28]: TLI = 269,7 K, TLS = 286,1 K
-
H2O÷NH3 [75÷25]: TLI = 273,3 K, TLS = 290,2 K
-
H2O÷NH3 [79,5÷20,5]: TLI = 279,7 K, TLS = 294,2 K
-
H2O÷NH3 [85÷15]: TLI = 297,2 K, TLS = 310,7 K
-
H2O÷NH3 [90÷10]: TLI = 310,0 K, TLS = 320,2 K
Come risulta evidente, i rischi di esplosione delle soluzioni idro-ammoniacali non possono essere sottovalutati, soprattutto in riferimento a contenitori e/o serbatoio chiusi.
4.5.11 Pozze di infiammabili: affidabilità sul calcolo delle distanze a rischio di esplosione
Il BSI britannico espresse, all’epoca dell’entrata in vigore della Norma EN 60079-10-1:2015, una posizione assai critica in particolare verso gli allegati C e D. Si riporta un estratto delle considerazioni allora espresse (traduzione non ufficiale): “Il BSI, in qualità di membro del CENELEC, è tenuto a pubblicare la EN 60079-10-1 come Norma britannica. Tuttavia, si vuol richiamare l’attenzione sul fatto che durante l’elaborazione del documento, la commissione britannica ha votato contro la sua approvazione come Norma europea. Il Comitato del Regno Unito teme che le metodologie contenute negli allegati informativi C e D per la determinazione del tipo e dell’estensione delle zone non siano state adeguatamente convalidate come richiesto nella sezione 5.2. e suggerisce agli utenti di prendere in considerazione le seguenti problematiche quando si opera con questa Norma:
-
la portata di ventilazione (volume d’aria per unità di tempo) relativa alla portata di rilascio della sostanza infiammabile è, tra i vari fattori, quello più importante poiché determina la capacità di un rilascio di diluirsi in un ambiente chiuso. La “velocità della ventilazione” ha solo un effetto secondario: la commissione per il Regno Unito ritiene che ciò non si rifletta adeguatamente nella Norma;
-
l’entità del gas o dei vapori infiammabili che vengono emessi dalla sorgente di emissione dipendono dalla sostanza emessa, dalle condizioni di rilascio (es. dimensioni dei fori di guasto, pressione di emissione) e dall’ambiente in cui avviene il rilascio (es. portata di ventilazione o condizioni atmosferiche). Per determinare le estensioni di zona esistono vari approcci scientificamente fondati, compresi standard industriali specifici e modelli di dispersione;
-
non sono posti limiti alla classificazione della zona 2NE. Il comitato britannico ritiene che una classificazione della zona 2NE dovrebbe essere individuata solo in presenza di emissioni con pressioni comunque inferiori a 10 barg, che rappresenta un limite accettato in altre linee guida industriali;
-
per la valutazione dell’evaporazione di una pozza di idrocarburi volatili è necessario utilizzare altre norme e fonti di informazione per effettuare controlli incrociati dei risultati al fine di garantire che i rischi siano ridotti al minimo ragionevolmente possibile.
Facendo riferimento anche a questa posizione dell’UK i limiti di utilizzo del nomogramma D.1 hanno subito una drastica riduzione nel passaggio tra seconda e terza edizione della Norma. In primo luogo è stato eliminato il coefficiente di sicurezza k sul valore del limite inferiore di infiammabilità. Ora il nomogramma D.1 consente di calcolare la sola distanza dalla sorgente di emissione in corrispondenza della quale la dispersione (jet, diffusiva/passiva, gas pesanti) “vede” l’LFL.
Inoltre in luogo dell’indicazione: “(…) Le curve (della Figura D.1, ndr) sono basate su una concentrazione di fondo iniziale pari a zero e non sono applicabili nelle situazioni al chiuso con diluizione bassa (…)” ora è presente il seguente alert (traduzione non ufficiale): “(…) Le curve (della Figura D.1, ndr) sono basate su una concentrazione di fondo pari a zero e non sono applicabili alle situazioni al chiuso con media e bassa diluizione (…)”.
Tale modifica esclude, nei fatti, l’utilizzo dei nomogrammi in tutti gli scenari di rilascio che avvengano al chiuso o con velocità molto differenti da quelle raccomandate in Tabella C.1, EN IEC 60079-10-1:2021.
Questo aspetto appare di una rilevanza notevole limitando di molto la portata applicativa dell’allegato D della Norma.
In altri termini, quindi, per la determinazione delle distanze a rischio di esplosione al chiuso è necessario provvedere altrimenti sia per i rilasci a getto, sia per quelli diffusivi come per quelli in pozza/gas pesanti.
Poiché sui getti abbiamo già avuto modo di approfondire in precedenza, ci concentreremo ora sul solo calcolo delle distanze pericolose causate da pozze di infiammabili93 che emettono, nella generalità dei casi, gas pesanti. Lo studio di strumenti alternativi al nomogramma D.1 è stato quindi da noi condotto includendo tra le possibili opzioni:
-
l’equazione f.GB.5.1-6 della Guida CEI 31-35:2012
-
l’equazione di Katan-Mecklenburgh, presentata nel secondo studio di caso di questa sezione
-
la simulazione svolta con un software ingegneristico che costituirà il nostro “stato dell’arte” (Gexcon-Effects, rev. 11.3.0)
-
la Figura D.1, EN IEC 60079-10-1:2021
La simulazione condotta è stata realizzata variando i seguenti parametri:
-
Velocità dell’aria uw (compresa nell’intervallo 0,05÷0,5 m/s);
-
Sostanze infiammabili: acetato di etile, acetone, benzene, esano e MEK94;
-
Sversamento su cemento (spessore della pozza, hm = 5 mm);
-
Quantità sversata pari a 35 litri, equivalente ad una pozza di superficie di 7 m2, del diametro di 3 m;
Di seguito si riportano i diagrammi di sintesi dello studio condotto.
Figura 4.35 – Sversamenti a confronto: acetato di etile

Figura 4.36 – Sversamenti a confronto: acetone

Figura 4.37 – Sversamenti a confronto: benzene

Figura 4.38 – Sversamenti a confronto: esano

Figura 4.39 – Sversamenti a confronto: MEK

Il confronto tra il calcolo delle distanze pericolose calcolate con differenti strumenti permette di trarre alcune importanti conclusioni:
-
Il diagramma D.1, EN IEC 60079-10-1:2021 non simula la realtà del fenomeno fisico di dispersione di gas pesanti. All’aumentare della velocità di ventilazione dovrebbe infatti corrispondere una diminuzione complessiva della distanza pericolosa. Ciò non avviene poiché il meccanismo di simulazione è strettamente correlato alla sola portata di emissione e non tiene in considerazione il contributo della dispersione causata dalla ventilazione locale. Le distanze pericolose crescono quando dovrebbero diminuire e diminuiscono quando dovrebbero aumentare;
-
L’equazione f.GB.5.1-6 inclusa nella ex Guida CEI 31-35:2012 tende a fornire un andamento qualitativo più aderente al fenomeno fisico (all’aumentare della velocità dell’aria la distanza pericolosa diminuisce linearmente). Purtroppo tale modello sconta margini di sicurezza molto ampi, soprattutto in presenza di tensioni di vapore del liquido infiammabile superiori ai 20 kPa. Un solo esempio su tutti: una pozza di acetone del diametro di 3 m se lambita da una velocità d’aria di intensità pari ad uw = 0,25 m/s, genera una zona pericolosa ampia circa 6,7 m determinando complessivamente una zona pericolosa non inferiore a 2 × 6,7 + 3 ≌ 16,5 m! Davvero troppo ampia. Peraltro l’intersezione con le previsioni date dal diagramma D.1 ha luogo con velocità dell’aria molto variabili;
-
Il modello di Katan-Mecklenburgh derivante, si ricorda, da esperienze sperimentali condotte in seno al “Department of Scientific and Industrial Research and Fire Offices Committee” britannico evidenzia andamenti molto simili al gold standard di riferimento (Gexcon-Effects) simulando molto da vicino il fenomeno reale. Peraltro l’intersezione con le previsioni fatte dal diagramma D.1 si addensano attorno a valori di velocità dell’aria, uw, pari a circa 0,25 m/s che si ritiene siano i parametri di velocità in base al quale le simulazioni della Norma EN IEC 60079-10-1:2021 sono state condotte.
In conclusione: la semplice e storica modellazione di Katan-Mecklenburgh si ritiene adatta a svolgere, con affidabilità e precisione, le simulazioni di calcolo dell’ampiezza delle zone a rischio di esplosione per gli scenari di sversamento di liquidi infiammabili non coperti dall’attuale revisione della Norma EN IEC 60079-10-1:2021.
4.5.12 La classificazione delle zone a rischio di esplosione in presenza di fluidi viscosi
Le equazioni presenti nell’allegato B.7.2.2, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 non prevedono la modellazione di efflussi di liquidi viscosi. Tale caratteristica, tuttavia, risulta spesso presente nei processi di produzione. Peraltro la presenza di medie e alte viscosità nei liquidi può grandemente ridimensionare lo scenario di classificazione a parità di tutti gli altri fattori (sezione di guasto, densità, pressurizzazione).
A scopo esemplificativo riprendiamo i parametri di calcolo esposti nell’esercizio 5.5.6 e li modifichiamo ipotizzando che la tubazione convogli un prodotto verniciante (PV) avente una viscosità dinamica pari a 650 cP. La tensione di vapore sia pari a circa 2500 Pa, tipica di un prodotto verniciante con base solvente di acetato di etile95. Le caratteristiche del PV sono di seguito indicate.
Tabella 4.39 – Parametri di infiammabilità del prodotto verniciante convogliato
Sostanza infiammabile | Prodotto Verniciante (PV) |
Massa molare [M] | 88,1 kg/kmol |
Limite inferiore di infiammabilità [LFL] | 2,5% |
Tensione di vapore [pv] | 2500 Pa (in condizioni ambiente) |
Densità del liquido [ρl] | 792 kg/m3 |
Sorgente di emissione [SE] | Tenuta in fibra compressa |
Grado di emissione | Secondo (guasto alla tenuta) |
Coefficiente d’efflusso [Cd] | 0,85 (ipotesi di foro regolare) |
Superficie di emissione [S] | 2,5 mm2 (condizioni di espansione dell’apertura in presenza di liquido in pressione) |
Pressione nel contenimento [p] 2 | barg |
Costante specifica dei gas [R] | 8314 J/kmol K |
Fattore di comprimibilità [Z] | 1 (liquido) |
Viscosità dinamica [µ0] | 0,65 Pa s (650 cP) |
Gruppo e classe di temperatura | IIAT1 |
Le caratteristiche ambientali sono riportate in Tabella 4.40.
Tabella 4.40 – Caratteristiche dell’ambiente di rilascio
Ambiente | Esterno. Luogo privo di ostacoli (f = 1) |
Presidio | Luogo sottoposto a costante presidio nel quale, in occasione di sversamento, è credibile un intervento di bonifica della pozza in un tempo non superiore a 15 min |
Pressione ambiente [pa] | 101325 Pa |
Temperatura ambiente [T] | 20 °C |
Altezza di rilascio [hr] | ≤ 5 m (altezza di installazione della tubazione) |
Velocità dell’aria [UW] | 0,25 m/s (Tabella C.1; CEI EN 60079-10-1:2016 in corrispondenza della pozza di infiammabile) |
Disponibilità della ventilazione | Buona (ventilazione esterna sempre presente) |
Con i parametri più sopra specificati applicando l’equazione B.1, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 si ottiene la seguente portata di emissione:

Tale valore, stante la viscosità del PV, dovrà essere modifcato con un fattore di correzione della capacità Kv calcolabile con la procedura prevista dall’art. 7.5 della Norma EN ISO 4126-7:2013.
Si procede, innanzitutto, al calcolo del numero di Reynolds all’uscita del foro:

Il calcolo di Kv è il seguente:

Con Kv ≥ 0,3
La portata corretta è quindi uguale a:

Considerando un tempo di intervento della squadra di emergenza di 15 min (rilevazione e bonifica pozza, tb = 900 s) ed uno spessore dello sversamento non inferiore a 0,005 m (hm = 5 mm a causa della pavimentazione in cemento) la superficie complessiva della pozza, al netto della quantità evaporata durante il processo di sversamento, sarà data dalla seguente equazione:

Lo sversamento complessivo prima della bonifica sarà quindi di circa 16 litri. Il diametro corrispondente, nell’ipotesi di circolarità della pozza, è quindi pari a circa 2 m. La portata di vapore dalla pozza sarà data dall’equazione B.6, EN IEC 60079-10-1:2021. Si ha, quindi:

La portata caratteristica volumetrica della sorgente di emissione è quindi la seguente:

Nota la Qc la verifica della ventilazione porta a definire un’ALTA diluizione (cfr. Allegato C, CEI EN IEC 60079-10-1:2021). Pertanto con i seguenti descrittori inseriti nella matrice di classificazione:
-
Grado della sorgente di emissione: SECONDO
-
Disponibilità della ventilazione: BUONA
-
Grado della diluzione: ALTO
si ottiene una zona di tipo 2 NE.
Poiché la zona non deriva da operazioni di trasferimento manuale manteniamo la classificazione di tipo NE.
4.5.13 Calcolo dei ricambi d’aria naturale
Uno tra gli aspetti applicativi più problematici per chi si occupa di classificazione delle zone a rischio di esplosione è relativo alla determinazione dei ricambi d’aria naturale nei luoghi chiusi da valutare.
Tale criticità, si badi bene, non è un’esclusiva dell’ultima edizione della Norma bensì è un tema che da sempre complica le analisi di rischi in ambito ATEX.
Soprattutto nei casi di medi e grandi complessi industriali risulta peraltro difficile l’applicazione sia dell’allegato C.5, EN IEC 60079-10-1:2021 sia della Norma britannica BS 5925:1991 (Code of practice for ventilation principles and designing for natural ventilation) pensati per il calcolo dei ricambi d’aria in ambienti di ridotta volumetria. È anche per questo che si vuole proporre l’approccio empirico-statistico del CIBSE inglese che, peraltro, era stato già una volta ripreso nell’ambito della ex Guida CEI 31-35:2007 nell’allegato GC.4 (Ambienti chiusi – Valori indicativi dei ricambi d’aria per infiltrazioni).
Tabella 4.41 – Valori empirici di infiltrazione d’aria in stabilimenti industriali

Fonte: CIBSE
Tabella 4.42 – Valori empirici di infiltrazione d’aria in stabilimenti industriali
Tipologia di costruzione | Caratteristiche degli edifici (unico ambiente senza pareti interne) | Ricambi d’aria per infiltrazione [Vol/h] |
---|---|---|
Con pareti esterne in mattoni o calcestruzzo | Superficie in pianta fino a 300 m2 | 1,0 |
Superficie in pianta da 300 m2 a 3000 m2 | 0,75 | |
Superficie in pianta da 3000 m2 a 10000 m2 | 0,50 | |
Superficie in pianta oltre 10000 m2 | 0,25 | |
Ultimo piano di un edificio a più piani con tetto in lastre o simili | 1,25 | |
Con tamponamenti delle pareti esterne a pannelli | fino a 300 m2 | 2,25 – 1,75 |
da 300 m2 a 3000 m2 | 1,5 – 1,0 | |
da 3000 m2 a 10000 m2 | 1,0 – 0,75 | |
oltre 10000 m2 | 0,75 – 0,50 |
Fonte: Allegato GC.4, ex Guida CEI 31-35:2007
Peraltro, conformemente alla Norma ASTM E741:2017 (Standard Test Method for Determining Air Change in a Single Zone by Means of a Tracer Gas Dilution) è possibile l’utilizzo dell’equazione J.2, EN IEC 60079-10-1:2021 con obiettivi di calcolo dei ricambi d’aria.
Il tipico gas traccia, utile a monitorare i ricambi d’aria, è l’anidride carbonica: essa tende a stratificare verso il basso e risulta molto affidabile nell’inferire i ricambi d’aria presenti a livello del suolo laddove sono presenti sia la dispersione per gas densi, tipicamente passiva, sia la maggior quantità di impedimenti (fattore “f” elevato).
Di seguito, a titolo d’esempio, si riporta l’andamento del calcolo di un ricambio d’aria in un locale tecnico adibito alla produzione H2. Il rilievo è stato effettuato in condizioni climatiche assimilabili alla stagione primaverile. Il ricambio d’aria (di tipo meccanico) appare qualitativamente di tipo esponenziale inverso.
Si nota che la retta di interpolazione sui dati di decrescita logaritmica della concentrazione di CO2 evidenzia un coefficiente angolare pari a 9,1 (in valore assoluto. Cfr. parametro “m”).
Tale valore sarà il parametro nominale di ricambio d’aria (ACH = 9,1 Vol/h).
Figura 4.40 – Rilievo del ricambio d’aria in un locale tecnico adibito alla produzione H2

4.5.14 Nebbie e spray infiammabili
Il problema della classificazione di luoghi per presenza di nebbie e/o spray combustibili negli anni sta diventando via via sempre più pressante nonostante l’esclusione degli oneri di classificazione, così come specificato nella quarta annotazione del §4.1 alla quale si rimanda.
Nel Capitolo 2 del presente manuale si è trattato diffusamente il problema di questa particolare forma di rilascio e dispersione e se ne consiglia la lettura per chi voglia approfondire la problematica che, in sintesi, si può così riassumere:
-
liquidi ad alto punto di infiammabilità come, per esempio, gli oli lubrificanti, evidenziano proprietà esplosive se nebulizzati sotto forma di ATEX nebbia o spray, anche a temperature molto inferiori al loro Flash point;
-
la MIE dell’ATEX correlata al rilascio nebbia o spray varia con il cubo della dimensione della dispersione. In altri termini un dimezzamento della dimensione media delle gocce costituenti l’emissione determina una riduzione di almeno 8 volte la minima energia di innesco;
-
esistono evidenze consistenti che il fenomeno accada (esplosione di ATEX causate da nebbie combustibili) soprattutto nei crankcase di grandi motori diesel marini.
Rimane tuttavia il problema della classificazione delle zone a rischio di esplosione stante quanto dichiarato, a riguardo, dalla Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021:
Le nebbie infiammabili possono formarsi o essere presenti contemporaneamente ai vapori infiammabili. In tali casi l’applicazione rigorosa delle specifiche di questa Norma potrebbe non essere appropriata […]. Le informazioni sulle nebbie infiammabili sono riportate nell’Allegato G.
Alle criticità indicate si aggiungano le seguenti:
-
gli studi hanno dimostrato che la formazione di una nebbia infiammabile è un fenomeno più complesso di quanto precedentemente riconosciuto (lo studio del fenomeno è, ad onor del vero, relativamente recente se comparato con gli approfondimenti svolti per i liquidi e gas infiammabili);
-
le informazioni esistenti sono relativamente scarse e talvolta contraddittorie o inconcludenti;
-
fluidi diversi hanno un comportamento significativamente differente e, per la classificazione delle zone, potrebbe essere utile una valutazione separata delle diverse sostanze.
Tutto negativo quindi? No, non tutto.
I modelli di fluidodinamica computazionale dei fluidi (CFD) forniscono previsioni ragionevolmente buone in termini di dimensione e concentrazione delle gocce degli spray nebulizzati. I risultati dei modelli sono peraltro coerenti con la Guida EI 15:2015.
Lo studio più recente in termini di classificazione delle zone a rischio di esplosione è quello condotto dall’HSE nel 201796 e suggerisce un approccio articolato e specifico che coinvolge l’utilizzo della Guida EI 15:2015.
In generale se sono valide le seguenti condizioni:
-
oli lubrificanti e idraulici prossimi alla temperatura ambiente;
-
diametri del foro di guasto superiori ad 1 mm;
-
pressioni di emissione inferiori a 20 bar;
non è attesa la formazione di ATEX spray se non sono previsti urti.
In tutti gli altri casi è suggerito dall’HSE il ricorso alla Guida EI 15:2015 utilizzando, come liquido di riferimento, la tipologia C97.
A questo si aggiunga che prove sperimentali di efflusso da fori piccoli (0,5 mm, 1 mm, 3 mm) con fluidi ad alta viscosità (Bohra, 2004) evidenziano la presenza di perdite di carico durante il passaggio del fluido calcolabili solo attraverso una significativa modifica del coefficiente di efflusso (Cd). Tali ostacoli al deflusso, funzione del numero di
Reynolds, determinano, nel caso di fluidi viscosi a temperatura ambiente, una portata in uscita minore rispetto a quella calcolabile applicando la semplice equazione di Bernoulli98 (assumendo Cd convenzionali).
Ovviamente la trattazione di dettaglio di tali innovative relazioni per il calcolo di Cd esula dagli scopi del presente lavoro.
In ogni caso, alla luce delle precedenti considerazioni, l’affermazione fatta dalla Norma, appare pienamente condivisibile:
È importante evidenziare che non tutte le perdite di liquido causano la formazione di nebbie, per esempio, le perdite attraverso i guasti alle tenute di flangia oppure i guasti alle tenute a premi-stoppa, che rappresentano le più comuni emissioni di secondo grado nel caso di gas e vapori, nel caso di liquidi viscosi saranno di solito trascurabili ed in molti casi causeranno sgocciolamenti invece di nebbie.
Si tenga in ogni caso in conto del fatto che il posizionamento di adeguate barriere di coalescenza e dissipazione della quantità di moto, poste in adiacenza delle potenziali sorgenti di emissione spray, consentono di evitare la formazione di ATEX trasformando così una tematica ATEX in un problema di prevenzione incendi.
4.5.15 Classificazioni di ambienti chiusi e presenza di campo lontano di classificazione
Nelle simulazioni fin qui condotte per i rilasci al chiuso si è sempre evidenzata l’assenza di campo lontano: l’Xb, cioè, era sostanzialmente prossimo allo 0%. Abbiamo tuttavia compreso che il limite oltre il quale la diluizione è definibile BASSA, è stabilito dalla Norma EN IEC 60079-10-1:2021 dal superamento della concentrazione Xcrit stabilita alla concentrazione (in volume) di LFL/4. In realtà una tale concentrazione, oltre a determinare rischi di esplosione causerebbe effetti nocivi sugli operatori ben prima del raggiungimento dell’infiammabilità. Ad esempio:
-
Acetone: LFL = 2,5%, OSHA-PEL99 = 0,1%
-
Propano: LFL = 1,7%, OSHA-PEL = 0,1%
-
n-Esano: LFL = 1,2%, OSHA-PEL = 0,05%
-
Ossido di etilene: LFL = 3,0%, OSHA-PEL = 0,0001%
Assunto questo, e cioè che la presenza di campo lontano di classificazione in ambienti frequentati e normalmente areati è fatto molto poco verosimile, soprattutto in presenza di sorgenti continue e di primo grado, introduciamo ora un fattore di correzione della distanza di classificazione. All’aumentare della concentrazione di base (Xb) risulta astrattamente possibile che la distanza a rischio di esplosione aumenti. Il decremento della concentrazione di campo vicino, cioè, sarebbe asintotico non già all’origine delle ordinate (= 0% vol/vol) ma al livello di concentrazione di campo lontano.
La distanza a rischio di esplosione, dunque, aumenterebbe del seguente fattore kz (Tommassini, 2013):

Dove:
k1 | è assunto uguale a 13 per l’idrogeno e pari a 82 per tutte le altre sostanze infiammabili |
M | è la massa molare dell’infiammabile |
LFLv | è il limite di infiammabilità della sostanza |
Xb | è la concentrazione di campo lontano (cfr. Equazione C.1, EN IEC 60079-10-1:2021) |
Nel caso di presenza di Xb diverso dallo 0%, ma comunque inferiore ad Xcrit, si renderà necessario moltiplicare il valore di dz per il kz. All’aperto il kz è per definizione unitario così come al chiuso in assenza di campo lontano classificato.
4.5.16 Il controllo di esplodibilità
Particolare attenzione deve essere posta all’installazione di sistemi di controllo di esplodibilità volti alla declassificazione dell’ambiente a rischio di esplosione (cfr. Capitolo 7, CEI 31-35:2012, abrogata).
Recenti studi in ambito offshore (settore idrocarburi) evidenziano infatti che la sensoristica sul campo non rileva il 36% dei rilasci maggiori e il 69% dei rilasci significativi di gas infiammabili100. Non è un caso che in ambito IEC non sia stato trovato il consenso sufficiente a predisporre un apposito Capitolo/Allegato nella Norma CEI EN IEC 60079-10-1:2021.
Di seguito si vogliono riepilogare, sul tema specifico, gli approcci prevalenti forniti dalle principali norme tecniche:
-
CEI 31-35:2012 (abrogata il 14/10/2018) – L’utilizzo del controllo di esplodibilità in aree chiuse classificate zona 2 consente la declassificazione dell’ambiente a luogo non pericoloso;
-
API RP 505:2018 – L’adozione di controlli di esplodibilità permette l’uso di apparecchi elettrici idonei alla zona 2 in ambienti chiusi classificati zona 1 a causa della ventilazione inadeguata (non è prevista, però, una formale declassificazione del luogo);
-
NFPA 497:2017 – Lo standard non discute dell’utilizzo di controlli di esplodibilità;
-
IGEM/SR/25:2013 – La Norma non discute dell’utilizzo di controlli di esplodibilità che sono tuttavia citati in IGEM/SR/15:2009 come sistemi di protezione destinati ad azionare lo shut down di emergenza;
-
CEI EN IEC 60079-10-1:2021 – Lo standard non discute espressamente dell’utilizzo di controlli di esplodibilità. Esso tuttavia specifica che “i sistemi di controllo conformi a una Norma di sicurezza funzionale possono ridurre il potenziale di una sorgente di emissione e/o la quantità di un rilascio […]. Tali controlli possono quindi essere presi in considerazione se relativi alla classificazione della zona pericolosa”. Se pertinenti, quindi, questi tipi di controlli (che verosimilmente includono tutte le forme di controllo di zone classificata, esplodibilità compresa), possono essere considerati nella classificazione dei luoghi pericolosi;
-
EI 15:2015 – La Norma non riconosce l’utilizzo del controllo di esplodibilità come base per la classificazione delle zone a rischio di esplosione. Lo standard raccomanda tuttavia l’uso del rilevamento dei gas per le strutture chiuse non presidiate e classificate Zona 2. La logica utilizzata è che, in determinate situazioni, la capacità di rilevare e rispondere a un rilascio di gas/vapore infiammabile può essere compromessa in impianti non monitorati con frequenza.
In generale il controllo di esplodibilità opera sul campo lontano di classificazione e può avere uno o più scopi:
-
rilevare, in modo affidabile ed in tempi brevi, la presenza di concentrazioni pericolose ma opportunamente inferiori all’LFL;
-
fornire un allarme di concentrazione anomala;
-
disattivare la/le sorgenti di emissione connesse all’emissione pericolosa (es. retroazione su valvola radice esterna);
-
attivare della ventilazione meccanica supplementare che consenta la diluizione di concentrazione dei gas/vapori infiammabili;
-
disattivare le sorgenti di accensione in tempi tali da non consentire l’innesco della miscela ATEX eventualmente formatasi.
Come già indicato nella disanima delle norme di classificazione, non tutte sono concordi nel consentire una declassificazione generalizzata del campo lontano in presenza di controlli di esplodibilità. Anzi, si può affermare che il solo standard tecnico (da noi individuato) che consentiva una declassificazione esplicita della zona classificata a zona non classificata era la Guida, ora abrogata, CEI 31-35:2012.
In ogni caso, le Norme tecniche europee per la scelta, l’installazione, l’uso, la manutenzione e la determinazione dell’affidabilità dei sistemi di controllo dell’esplodibilità sono le CEI EN 60079-29-n (n=1–4) alle quali si rimanda per ulteriori approfondimenti. Tale “pacchetto” di Norme possiede comunque una logica applicativa molto simile allo standard API RP 505:2018.
4.5.17 Esclusione dell’infiammabilità dei gas secondo la Norma EN ISO 10156:2017
La Norma EN ISO 10156:2017101 consente di verificare se una miscela di gas sia infiammabile o meno. Non è infatti infrequente le evenienze di miscele di gas processo (es. forming gas) composte sia da componenti infiammabili sia da inerti (es. CO2, N2, Argon, ecc.). A titolo d’esempio si voglia verificare se la miscela composta dai seguenti gas:
-
H2 = 3,66%
-
CO = 0,85%
-
CH4 = 0,5%
-
N2 = 93,3%
-
sia infiammabile o meno. Si ha, quindi:
3,66% H2 + 0,85% CO + 0,5% CH4 + 93,3% N2
Utilizzando i fattori correttivi “Kk” riportati in Tabella 1, EN ISO 10156 si ottiene la seguente miscela equivalente:
3,66% H2 + 0,85% CO + 0,5% CH4 + Kk·93,3% N2
cioè:
3,66% H2 + 0,85% CO + 0,5% CH4 + 1·93,3% N2
Riproporzionando all’unità si ricava:
0,0372 H2 + 0,0087 CO + 0,0051 CH4 + 0,9490 N2
Utilizzando ora i parametri Tci elencati in Tabella 2, EN ISO 10156 si ottiene la seguente concentrazione equivalente (Ceq):

Poiché la concentrazione equivalente risulta inferiore all’unità il gas di processo analizzato ai sensi della Norma EN ISO 10156 NON È INFIAMMABILE e si può escludere dalla classificazione delle zone a rischio di esplosione.
4.5.18 Emissione da pozza: i limiti applicativi dell’equazione B.6, CEI EN IEC 60079-10-1:2021
La Norma tecnica di classificazione CEI EN IEC 60079-10-1:2021 suggerisce, per il calcolo della portata di una pozza di infiammabili, di fare riferimento all’equazione B.6 di seguito riportata:

dove:
Wg | è la portata della pozza espressa [kg/s] |
uw | è la velocità dell’aria che lambisce la pozza [m/s] |
Ap | è l’area della pozza [m2] |
pv | è la tensione di vapore del liquido infiammabile alla temperatura T [Pa] |
M | è la massa molare del liquido infiammabile [kg/kmol] |
T | è la temperatura del liquido infiammabile [K] |
Pur essendo un’equazione empirica, essa risulta particolarmente affidabile per gli scenari propri della classificazione delle zone a rischio di esplosione102 in presenza di significative velocità dell’aria ambiente, comunque superiori ad 1 m/s, valore di test tipico per questa famiglia di equazioni103.
La formula B.6, come evidente, valuta la portata di emissione connessa ai moti convettivi ma esclude l’aspetto diffusivo. Se infatti è certamente vero che, all’aperto, la velocità dell’aria sarà sempre tale da superare la componente diffusiva dell’emissione, in ambiente chiuso tale aspetto non necessariamente sarà sempre soddisfatto. Detto in altri termini, l’assenza di ventilazione nelle adiacenze della pozza (uw = 0 m/s) non annulla la portata di emissione poiché la modalità di trasporto di materia residua, la diffusione, continuerà a far evaporare la pozza per differenza di concentrazione.
A titolo di esempio si osservi la Figura seguente nella quale è riportata la funzione B.6 al variare della temperatura nonché il contributo esclusivamente diffusivo all’emissione, predominante per valori di velocità inferiori a circa 0,09 m/s (punto di transizione). Si ritiene che tale aspetto debba essere preso in considerazione, soprattutto nei casi in cui l’equazione dell’Allegato B, CEI EN IEC 60079-10-1:2021 indichi risultati prossimi alla zero.
Figura 4.41 – Punto di transizione “diffusione-convezione” per l’acetone

Come appare evidente dalla seguente Tabella 4.43, elaborata a partire da specifica letteratura scientifica di settore104, la velocità di transizione tra emissione diffusiva ed emissione convettiva (calcolabile, cioè, con l’equazione B.6, CEI EN IEC 60079-10-1:2021) è collocabile nel range 0,1÷0,25 m/s. Poiché tali valori risultano generalmente superiori alle velocità medie presenti in luogo al chiuso (range 0,05÷0,1 m/s), una maggior aderenza al fenomeno fisico ATEX per pozze al chiuso si potrebbe ottenere calcolando la portata di emissione in base al dato di diffusione e la dispersione associata alla distanza a rischio di esplosione correlata alla velocità media effettiva dell’aria all’interno dell’opificio. Vedremo l’evoluzione normativa come si orienterà.
Tabella 4.43 – Portate di diffusione per vari liquidi infiammabili e correlazione con il punto di transizione (elaborazione su dati Mackay et al. 2014).


4.5.19 Classificazione ATEX derivante dal carico di una tramoggia in ambiente chiuso in assenza di VAL e strati diffusi
Scenario tipico n. 1: carico di tramoggia con sacco di polveri. L’operazione ha luogo in ambiente chiuso e non è prevista una Ventilazione Artificiale Locale (VAL). Stante il livello di pulizia BUONO, non è prevista la presenza di strati con spessore significativo (il colore del pavimento è ben distinguibile). Si formeranno le seguenti zone ATEX (grado di emissione PRIMO):
Zona 21: ampia 1 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento;
Zona 22: ampia 3 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento. Lo schema riepilogativo della classificazione è riportato nella Figura seguente.
Figura 4.42 – Schema di classificazione ATEX-Dust relativo allo scenario n. 1

4.5.20 Classificazione ATEX derivante dal carico di una tramoggia in ambiente chiuso in assenza di VAL con presenza di strati diffusi
Scenario tipico n. 2: carico di tramoggia con sacco di polveri. L’operazione ha luogo in ambiente chiuso e non è prevista una Ventilazione Artificiale Locale (VAL). Non si attua una sistematica e cadenzata pulizia e vi è la presenza diffusa di strati con spessore significativi (il colore del pavimento è, per buona parte della superficie, non distinguibile). Si formeranno le seguenti zone ATEX (grado di emissione PRIMO):
Zona 21 ampia 1 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento;
Zona 22 estesa all’intero reparto chiuso.
Lo schema riepilogativo della classificazione è riportato in Figura 4.43.
Figura 4.43 – Schema di classificazione ATEX-Dust relativo allo scenario n. 2

4.5.21 Classificazione ATEX derivante dal carico di una tramoggia in ambiente chiuso in presenza di VAL e assenza di strati diffusi
Scenario tipico n. 3: carico di tramoggia con sacco di polveri. L’operazione ha luogo in ambiente chiuso ed è prevista una Ventilazione Artificiale Locale (VAL) avente le seguenti caratteristiche:
Grado di captazione e asportazione VAL: ALTO (Il sistema artificiale di asportazione delle polveri è in grado di ridurre la concentrazione di polvere nell’aria in modo praticamente istantaneo al di sotto del LFL nell’immediato intorno della SE e all’interno del sistema di aspirazione);
Disponibilità VAL: ADEGUATA (La depressione è disponibile durante il funzionamento normale. Sono ammesse interruzioni purché siano poco frequenti e per brevi periodi).
Tabella 4.44 – Matrice di classificazione con captazione localizzata
Grado di emissione | Grado della captazione e asportazione della polvere | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Alto | Medio | Basso | |||||
Disponibilità della captazione e asportazione della polvere | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata, scarsa | |
Continuo | (Zona 20NE) Zona non pericolosa | (Zona 20NE) Zona 22 | (Zona 20NE) Zona 21 | Zona 20 | Zona 20 + Zona 22 | Zona 20 + Zona 21 | Non considerato |
Primo | (Zona 21NE) Zona non pericolosa | (Zona 21NE) Zona 22 | (Zona 21NE) Zona 22 | Zona 21 | Zona 21 + Zona 22 | Zona 21 + Zona 22 | Non considerato |
Secondo | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Non considerato |
Stante il livello di pulizia BUONO, non è prevista la presenza di strati con spessore significativo (il colore del pavimento è ben distinguibile). Si formeranno le seguenti zone ATEX (grado di emissione PRIMO):
Zona 22: ampia 3 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento;
Lo schema riepilogativo della classificazione è riportato nella Figura seguente.
Figura 4.44 – Schema di classificazione ATEX-Dust relativo allo scenario n. 3

4.5.22 Classificazione ATEX derivante dal carico di una tramoggia in ambiente aperto in assenza di VAL e strati diffusi
Scenario tipico n. 4: carico di tramoggia con sacco di polveri. L’operazione ha luogo in ambiente aperto e non è prevista una Ventilazione Artificiale Locale (VAL). Stante il livello di pulizia BUONO, non è prevista la presenza di strati con spessore significativo (il colore del pavimento è ben distinguibile). Si formeranno le seguenti zone ATEX (grado di emissione PRIMO):
Zona 21: ampia 1 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento;
Lo schema riepilogativo della classificazione è riportato nella Figura seguente.
Figura 4.45 – Schema di classificazione ATEX-Dust relativo allo scenario n. 4

4.5.23 Classificazione ATEX derivante dal carico di una tramoggia in ambiente chiuso in presenza di VAL di medie prestazioni e assenza di strati diffusi
Scenario tipico n. 5: carico di tramoggia con sacco di polveri. L’operazione ha luogo in ambiente chiuso ed è prevista una Ventilazione Artificiale Locale (VAL) avente le seguenti caratteristiche:
-
Grado di captazione e asportazione VAL: MEDIO (Il sistema artificiale di asportazione delle polveri non è in grado di ridurre la concentrazione di polvere nell’aria al di sotto del LFL nell’immediato intorno della SE e all’interno del sistema di aspirazione, ma è capace di catturare tutta la polvere emessa dalla SE, considerando il grado di emissione per il quale il sistema è stato dimensionato e dove l’ATEX non persiste eccessivamente dopo l’arresto dell’emissione.)
-
Disponibilità VAL: ADEGUATA (La depressione è disponibile durante il funzionamento normale. Sono ammesse interruzioni purché siano poco frequenti e per brevi periodi)
Tabella 4.45 – Matrice di classificazione con captazione localizzata
Grado di emissione | Grado della captazione e asportazione della polvere | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Alto | Medio | Basso | |||||
Disponibilità della captazione e asportazione della polvere | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata, scarsa | |
Continuo | (Zona 20NE) Zona non pericolosa | (Zona 20NE) Zona 22 | (Zona 20NE) Zona 21 | Zona 20 | Zona 20 + Zona 22 | Zona 20 + Zona 21 | Non considerato |
Primo | (Zona 21NE) Zona non pericolosa | (Zona 21NE) Zona 22 | (Zona 21NE) Zona 22 | Zona 21 | Zona 21 + Zona 22 | Zona 21 + Zona 22 | Non considerato |
Secondo | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Non considerato |
Stante il livello di pulizia BUONO, non è prevista la presenza di strati con spessore significativo (il colore del pavimento è ben distinguibile). Si formeranno le seguenti zone ATEX (grado di emissione PRIMO):
Zona 21 ampia 1 m in ogni direzione e con estensione verticale fino al pavimento;
Zona 22 estesa all’intero reparto chiuso.
Lo schema riepilogativo della classificazione è riportato in Figura 4.46.
Figura 4.46 – Schema di classificazione ATEX-Dust relativo allo scenario n. 5

Annotazione: la presenza di VAL con medie prestazioni in termini di affidabilità ed efficacia non altera la classificazione rispetto allo scenario nel quale la VAL non è presente. Ciò che fa grande differenza, quindi, non è tanto la prestazione assoluta del sistema di aspirazione quanto la sua disponibilità.
4.5.24 Determinazione dell’effetto dell’aspirazione localizzata in una lavorazione del settore legno (CEI EN 60079-10-2:2016)
In presenza di un sistema di aspirazione delle polveri localizzato è necessario distinguere la zona pericolosa (eventualmente) presente nel tronco di cono compreso tra la sorgente di emissione ed il bordo di captazione dalla zona pericolosa (eventualmente) presente all’esterno del cono citato.
Vogliamo ora analizzare lo scenario di emissione che si genera durante una lavorazione meccanica per asportazione di truciolo (settore legno).
L’assunzione fondamentale nel presente calcolo è che la granulometria della polvere generata durante la lavorazione sia inferiore a 0,5 mm e, quindi, potenzialmente pericolosa. Tale assunzione deve naturalmente essere verificata dato che non tutte le lavorazioni del legno producono frazioni granulometriche ATEX.
Si voglia determinare preliminarmente la portata di una sorgente di emissione durante l’esecuzione di una lavorazione con una fresatrice ad albero verticale (Toupie).
Legno. Parametri di calcolo
I calcoli che si svilupperanno nel seguito saranno realizzati sulla base dei dati contenuti in Allegato GA alla ex Guida CEI 31-56:2012 e della scheda di sicurezza della sostanza emessa.
Legno, polvere di noce nazionale
-
MEC = 60 g/m³;
-
ρ = 600 kg/m3 (densità del pannello);
-
Gruppo della polvere: IIIB (polvere non conduttiva);
-
Classe di temperatura: T400 °C.
Grado della sorgente di emissione
La sorgente di emissione è assimilabile ad un grado continuo, data la presenza di una forte discontinuità nella lavorazione. Il parametro di calcolo k sarà dunque pari a 0,25.
Parametri di lavorazione e di emissione
-
I parametri di lavorazione siano i seguenti:
-
Materiale in lavorazione: noce nazionale;
-
t = 12 mm (spessore pannello in lavorazione);
-
p = 5 mm (profondità di passata);
-
va = 5 m/min (velocità di avanzamento).
Con questi dati in ingresso attraverso gli strumenti analitici forniti dalla tecnologia meccanica, si ottiene una portata di massa della sorgente di emissione uguale a:

La portata dell’aria di aspirazione è calcolata con l’ausilio della Norma UNI EN 848-1 che, per le fresatrici ad albero verticale, prevede siano adottate bocche di captazione con le seguenti caratteristiche:
-
d = 100 mm (diametro bocca di aspirazione)
-
vb = 20 m/s (velocità di captazione)
In queste ipotesi, la portata di aspirazione sarà pari a:

La concentrazione a regime (C) sarà quindi uguale a:

Grado di efficacia e disponibilità del sistema di aspirazione.
Dato che la concentrazione di sicurezza è pari a:

-
C > Xcrit
-
la bocca di aspirazione è comunque capace di catturare tutta la polvere emessa dalla sorgente di emissione essendo dimensionata in conformità alla Norma tecnica armonizzata UNI EN ISO 19085-6:2018.
Si può concludere che il grado di efficacia del sistema di aspirazione è MEDIO.
Non essendo previsti particolari provvedimenti per assicurare la continuità di funzionamento del sistema di aspirazione, si può ritenere tale impianto in grado di assicurare il servizio durante il funzionamento normale.
La disponibilità del sistema di aspirazione è quindi ADEGUATA.
Riepilogo classificazione
I parametri di classificazione risultano quindi:
-
Grado della sorgente di emissione: PRIMO
-
Disponibilità di captazione: ADEGUATA
-
Grado di efficacia: MEDIO
Con tali parametri di classificazione si determina una zona di tipo 20 IIIB T400 °C circondata da una zona 22 IIIB T400 °C (Tabella GC.3.2-A, ex Guida CEI 31-56:2012).
Tabella 4.46 – Matrice di classificazione con captazione localizzata (disponibilità adeguata)
Grado di emissione | Grado della captazione e asportazione della polvere | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Alto | Medio | Basso | |||||
Disponibilità della captazione e asportazione della polvere | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata, scarsa | |
Continuo | (Zona 20NE) Zona non pericolosa | (Zona 20NE) Zona 22 | (Zona 20NE) Zona 21 | Zona 20 | Zona 20 + Zona 22 | Zona 20 + Zona 21 | Non considerato |
Primo | (Zona 21NE) Zona non pericolosa | (Zona 21NE) Zona 22 | (Zona 21NE) Zona 22 | Zona 21 | Zona 21 + Zona 22 | Zona 21 + Zona 22 | Non considerato |
Secondo | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Non considerato |
La zona 20 IIIB T400 °C sarà quindi compresa nel cono di aspirazione tra sorgente di emissione mentre la zona 22 IIIB T400 °C circonderà la prima zona ed avrà un’estensione almeno 1 metro come rappresentato nella Figura 4.47.
Figura 4.47 – Classificazione delle zone a rischio di esplosione dovute ad una lavorazione meccanica (disponibilità adeguata)

Come è evidente, la zona 22 IIIB T400 °C avvolge una parte della macchina utensile utilizzata che dovrà quindi essere marcata CE-ATEX in categoria conforme alla zona. Una soluzione al problema dell’adozione di macchine marcate CE-ATEX (molte volte non risolubile, dato che il mercato non offre macchine utensili in categoria ATEX) è legato al potenziamento della continuità dell’aspirazione.
Nel caso di impianti di aspirazione delle polveri di legno conformi alla Norma UNI EN 12779, si può ritenere la disponibilità di ventilazione BUONA e quindi la classificazione conseguente sarà una zona 20 IIIB T400 °C priva di zona 22 IIIB T400 °C esterna, come si rileva dalla Tabella 4.47 e dalla Figura 4.48.
Figura 4.48 – Classificazione delle zone a rischio di esplosione dovute ad una lavorazione meccanica (disponibilità buona)

Tabella 4.47 – Matrice di classificazione con captazione localizzata (disponibilità buona)
Grado di emissione | Grado della captazione e asportazione della polvere | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Alto | Medio | Basso | |||||
Disponibilitàdella captazione e asportazione della polvere | |||||||
Buona | Adeguata | Scarsa | Buona | Adeguata | Scarsa | Buona, adeguata, scarsa | |
Continuo | (Zona 20NE) Zona non pericolosa | (Zona 20NE) Zona 22 | (Zona 20NE) Zona 21 | Zona 20 | Zona 20 + Zona 22 | Zona 20 + Zona 21 | Non considerato |
Primo | (Zona 21NE) Zona non pericolosa | (Zona 21NE) Zona 22 | (Zona 21NE) Zona 22 | Zona 21 | Zona 21 + Zona 22 | Zona 21 + Zona 22 | Non considerato |
Secondo | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | (Zona 22NE) Zona non pericolosa | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Zona 22 | Non considerato |
4.5.25 Esempi di classificazione in apparecchi e/o impianti operanti con ATEX-polveri interne (rapporti tecnici ISSA)
Nel seguito si vogliono proporre alcuni esempi di classificazione ATEX di apparecchi operanti con polveri combustibili al proprio interno. Tali esempi sono estratti dalle specifiche fornite nei due seguenti rapporti tecnici ISSA:
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ISSA (2013). Collection of Examples “Dust Explosion Protection for Machines and Equipment”. Part 1: Mills, crushers, mixers, separators, screeners. Germany
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ISSA (2016). Collection of Examples “Dust Explosion Protection for Machines and Equipment”. Part 2: Conveyors transfers and receivers. Germany
Rimane sottinteso che la traduzione riportata nella tabella seguente non possiede carattere di ufficialità e, per ogni necessità, è opportuno riferirsi alle edizioni originali ISSA appena citate.
Tabella 4.48 – Classificazione interna degli apparecchi/impianti
Apparecchio/Impianto | Classificazione della zona a rischio di esplosione secondo ISSA | Note |
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Micronizzatori a getto | All’interno dei mulini a getto è presente quasi continuativamente una grande quantità di polveri fini. Durante il funzionamento a pieno regime, la concentrazione di polveri è spesso molto elevata e non è credibile che in un’esplosione la concentrazione sia superiore all’UFL. Può essere definita una zona 20 a seconda delle modalità di funzionamento (ad esempio con basso carico di prodotto o con frequenti avviamenti/arresti). Durante l’avviamento o l’arresto possono occasionalmente formarsi atmosfere esplosive: è quindi presente almeno una zona 21. | - |
Apparecchio/Impianto | Classificazione della zona a rischio di esplosione secondo ISSA | Note |
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Mulini a burattatura | All’interno dei mulini a burattatura la concentrazione di polveri supera spesso il limite inferiore di esplosione (LFL/MEC) durante il funzionamento ordinario. Pertanto, questo tipo di mulino è generalmente considerato classificato almeno zona 21. A seconda delle modalità di funzionamento (ad esempio carico elevato del prodotto oppure alta velocità) deve essere prevista una zona 20. | - |
Mulini a rulli | All’interno dei mulini a rulli è presente un flusso continuo di prodotto denso. La zona appropriata dipende quindi dalla dimensione delle particelle granulometria. Con grandi frazioni di polveri fini la concentrazione è spesso molto alta e non è credibile che in un’esplosione la concentrazione sia superiore all’UFL. Durante l’avviamento o l’arresto possono occasionalmente formarsi atmosfere esplosive: è quindi presente almeno una zona 21. Una variante del mulino a rulli è utilizzata per la frantumazione del carbone. In tali mulini il carbone viene frantumato tra i rulli rotanti e la tavola di macinazione. Evitare la presenza di sorgenti di accensione efficace (nidi/grumi fumanti) è molto difficoltosa poiché alcune tipologie di carbone tendono a bruciare facilmente. | - |
Frantumatori | I frantumatori a bassa velocità, a seconda del prodotto frantumato, sono in genere
considerati come zona 22. I frantumatori ad alta velocità dovrebbero essere trattati come mulini ad alta velocità quando, a causa delle polveri sottili che si producono, si crea un pericolo di esplosione. |
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Mixer | La concentrazione della polvere all’interno di un mixer dipende dai seguenti fattori: granulometria delle polveri presenti, velocità di miscelazione, grado di riempimento. Nella maggior parte delle situazioni, a seconda dei parametri indicati, le concentrazioni di polvere possono essere molto alte o molto basse e non è credibile si generi un’esplosione poiché la concentrazione risulta esterna al campo di esplosione. Tuttavia, durante l’avviamento o l’arresto possono occasionalmente formarsi atmosfere esplosive: è quindi presente almeno una zona 21. Altresì, a seconda della modalità di funzionamento, le atmosfere esplosive possono diventare più probabili (zona 20). | Per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-10 |
Cicloni | A partire dal flusso di prodotto e dal flusso d’aria in ingresso è possibile calcolare la concentrazione media di polvere all’interno di un ciclone. Quando questa concentrazione risulta essere entro i limiti di LFL/ MEC e UFL, è sempre necessario definire una zona 20. Tuttavia, a causa delle dinamiche di depolverazione proprie del ciclone occorre considerare che le forze centrifughe possono aumentare o diminuire le concentrazioni locali. Pertanto, la zona 22 (o 21) trova applicazione solo quando la concentrazione media di polvere è molto bassa o molto alta e quindi esterna al campo di esplosione. | Un esempio di classificazione di questi apparecchi è contenuto in CEI EN 60079-10-2:2016 Per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-6 e VDI 2263-6.1 |
Apparecchio/Impianto | Classificazione della zona a rischio di esplosione secondo ISSA | Note |
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Filtri | Poiché all’interno dei filtri sono considerate probabili le miscele esplosive di polvere e aria, si classifica zona 20 il volume “sporco”. Solo quando gli intervalli di pulizia dei filtri sono molto ampi, si può prendere in considerazione una classificazione di zona 21. | Un esempio di classificazione di questi apparecchi è contenuto in CEI EN 60079-10-2:2016 Per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-6 e VDI 2263-6.1 |
Filtri elettrostatici | I precipitatori elettrostatici vengono utilizzati principalmente con carichi di polvere molto bassi. È pertanto praticabile utilizzare una zona 22. | Per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-6 e VDI 2263-6.1 |
Scrubber a umido | Negli scrubber a umido in genere non sono presenti atmosfere esplosive: l’interno dell’apparecchio non è quindi zona classificata a rischio di esplosione. | Nota: per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-6 e VDI 2263-6.1 |
Vagliatori/setacciatori con parti interne in movimento | L’interno di vagliatori/setacciatori veloci con elementi mobili interni deve essere prevista una zona 20. | - |
Trasporto pneumatico | La probabilità che in una linea di trasporto pneumatico si formi una miscela esplosiva di polvere/aria dipende sia dal tipo di trasporto, come fase diluita o fase densa (flusso a letto mobile o flusso pulsato) sia dalle proprietà del prodotto: distribuzione granulometrica e peso specifico delle polveri in esame. Per prodotti grossolani con basso contenuto di polveri fini (<500 micron) si presume che non si formino atmosfere esplosive nella linea di trasporto. Tuttavia, è necessario tenere conto del fatto che, nel ricevitore, le frazioni fini della polvere possano accumularsi e causare la formazione di un’atmosfera esplosiva. Durante l’avvio e lo spegnimento è necessario tenere conto delle atmosfere esplosive. Durante il normale funzionamento, in particolare con elevati carichi di prodotto, l’esperienza insegna che la miscela polvere-aria è troppo ricca (l’UFL viene superato) per consentire l’innesco della miscela da parte di una sorgente di accensione efficace. La Figura 4.49 riportata nel seguito della presente Tabella fornisce un esempio di suddivisione in zone della polvere in base al tipo di trasporto e al carico del prodotto. | - |
Apparecchio/Impianto | Classificazione della zona a rischio di esplosione secondo ISSA | Note |
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Nastri trasportatori | La presenza di prodotti affinati o prodotti grossolani con un elevato contenuto di
polveri fini3 (ad es. grano non pulito) può causare la formazione occasionale di atmosfere esplosive
nei punti di carico e scarico (zona 21). Durante il trasporto è improbabile che si
formino atmosfere esplosive e, se del caso, persisteranno solo per un breve periodo
(tipicamente zona 22). Le misure per prevenire o ridurre le atmosfere esplosive includono:
Intorno ai punti di carico e scarico si possono formano depositi di polvere. Le misure per ridurre tali depositi includono:
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Trasportatori a catena | Nel trasporto con trasportatori a catena, si deve sempre assumere la presenza di atmosfere esplosive in prossimità dei punti di carico e scarico. Il trasporto lento e uniforme all’interno di tali trasportatori a catena fa sì che la presenza di atmosfere esplosive sia infatti molto limitata. La presenza di prodotti affinati o prodotti grossolani con un elevato contenuto di polveri fini (ad es. grano non pulito) può causare la formazione occasionale di atmosfere esplosive nei punti di carico e scarico (zona 21). Al di fuori di questi punti è improbabile che si formino atmosfere esplosive e, se del caso, persisteranno solo per un breve periodo (zona 22). Tuttavia, soprattutto in strutture chiuse, è possibile la propagazione dell’esplosione tra parti adiacenti del processo attraverso il trasportatore medesimo. | - |
Trasporto aeromeccanico | L’esperienza con i trasportatori a catena tubolare e aeromeccanici evidenzia l’assenza di atmosfera esplosiva all’interno dell’apparecchio. Con un carico parziale, e a seconda del prodotto, potrebbe essere necessario classificare l’interno come zona 22. Possono formarsi atmosfere esplosive in ingresso e uscita (tipica zona 21). | - |
Alimentatori a vibrazione | In generale non sono previste atmosfere esplosive all’interno degli alimentatori vibranti. Tuttavia, in entrata e in uscita possono formarsi atmosfere esplosive: zona 21 (presenza occasionale di atmosfere esplosive). | - |
Apparecchio/Impianto | Classificazione della zona a rischio di esplosione secondo ISSA | Note |
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Coclee | Non si possono escludere atmosfere esplosive all’interno di trasportatori a coclea, soprattutto se questi operano a velocità elevate (velocità di punta) (v > 1 m/s). All’ingresso e uscita è necessario tenere conto delle atmosfere esplosive. Se si presume che queste si presentino occasionalmente, tali aree dovrebbero essere considerate zona 21. Nei trasportatori a coclea a bassa velocità è improbabile la formazione di atmosfere esplosive e, se si creano, dovrebbero durare per un solo per breve tempo: zona 22 quindi. Per i trasportatori a coclea ad alta velocità, è più probabile che si formino atmosfere esplosive con aggravio di rischio (zona 20 o 21). | - |
Elevatori a tazze | Per la classificazione decisivi saranno l’affinazione del prodotto o la quantità di
polveri fini inclusi nel prodotto grossolano, nonché la capacità di creare miscele
polvere/aria. Soprattutto quando il prodotto viene caricato o scaricato, si deve tener conto del fatto che la concentrazione possa superare il limite inferiore di esplosione. È peraltro prevedibile un accumulo di polvere molto fine negli stoccaggi. A seconda del contenuto di polvere e della polverosità del prodotto, il limite inferiore di esplosione può essere superato anche nel resto dell’elevatore a tazze, ad esempio a causa di depositi di polvere disturbati. L’analisi dei rischi dovrebbe tenere conto del funzionamento a vuoto dell’elevatore a tazze, delle situazioni di avvio/arresto, dei malfunzionamenti (ad es. impatto delle tazze contro l’involucro) e delle ispezioni. Soprattutto nei casi in cui l’elevatore opera a vuoto si possono creare miscele esplosive di polvere/aria a causa di depositi di polvere disturbati o polvere che cade dalle tazze in fase di ritorno. Con prodotti grossolani, con un basso contenuto di polvere, ad esempio grano pulito, è consigliabile assumere una zona 21. La presenza di prodotti affinati o prodotti grossolani con un elevato contenuto di polveri fini (ad es. grano non pulito) determina una classificazione interna di tipo 20. |
Per questa tipologia di apparecchi si faccia riferimento alla Guida tedesca VDI 2263-8,
VDI 2263-8.1 e VDI 2263-8.2 Altresì, utili riferimenti sono rinvenibili nel rapporto tecnico CEN/TR 16829 |
Trasferimento e ricezione (unità svuotasacchi, riempimento tramogge, separatori a fine trasporto pneumatico, buffer tramogge su linee di confezionamento, su tramogge per miscelatori e mulini, su tramogge per reattori, tramogge intermedie tra 2 linee di trasporto pneumatico, tramogge intermedie per unità di dosaggio, tramogge intermedie tra 2 elementi di trasporto) | La presenza di prodotti affinati o prodotti grossolani con un elevato contenuto di
polveri fini109 (ad es. grano non pulito) può causare la formazione occasionale di atmosfere esplosive
nei punti di carico e scarico (zona 21). Nel separatore posto alla fine di una linea
di trasporto pneumatico, specialmente se piccolo, potrebbe essere richiesta classificazione
di tipo 20. Se i prodotti vengono scaricati in recipienti contenenti gas o vapori combustibili, possono formarsi miscele ibride. Tali scenari richiedono una specifica valutazione del rischio. Se i prodotti vengono scaricati in recipienti inertizzati, è necessario tenere conto che il trascinamento dell’aria possa causare una parziale inefficienza nella prevenzione dell’ATEX, con conseguente classificazione. Tale aspetto dovrebbe essere considerato nella progettazione del sistema di inertizzazione. |
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Fonte: ISSA, 2013, 2016
Figura 4.49 – Esempi di classificazione in trasporto pneumatico

Fonte: ISSA, 2016
Note a piè di pagina
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Le zone 0NE, 1NE oppure 2NE indicano zone teoriche le quali, sotto normali condizioni, possiedono estensione trascurabile.
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L’area di una zona 2 generata da una sorgente di emissione di secondo grado può superare quella riferibile ad una sorgente di emissione di grado primo o continuo; in queste circostanze deve essere assunta la maggiore distanza.
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La zona 1 non è necessaria in questo caso. In altre parole, una piccola Zona 0 si trova nell’area in cui il rilascio non è controllato dalla ventilazione e una Zona 2 più grande per quando la ventilazione non funziona.
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Sarà zona 0 se la ventilazione è così debole e il rilascio è tale che in pratica l’ATEX esiste praticamente in modo ininterrotto (condizioni di “assenza di ventilazione”).
+ significa “circondato da”. La disponibilità di ventilazione negli spazi chiusi a ventilazione naturale non è comunemente considerata buona.