[1] Per reati previsti negli articoli 322, 323, 329 e 330, l’azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale di cui all’articolo 49.
[2] È iniziata anche prima nel caso previsto dall’articolo 38 e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. La denuncia di reato e la relazione ex art. 130 CCII - II. Dichiarazione di liquidazione giudiziale e rapporto di pregiudizialità con il processo penale - III. Esercizio dell’azione penale.
I. La denuncia di reato e la relazione ex art. 130 CCII
I.La denuncia di reato e la relazione ex art. 130 CCII1 Nella vigenza dell’abrogato codice di rito penale, la diffusa prassi operativa - peraltro sostenuta da conformi interpretazioni di dottrina e giurisprudenza - aveva indotto ad una fattuale assimilazione della relazione di cui all’art. 33 l. fall. (ora art. 130 CCII) al rapporto disciplinato dall’art. 2 «vecchio» c.p.p. sicché il curatore, grazie alla trasmissione (per lo più direttamente curata dalla cancelleria) di copia della propria relazione al G.D., finiva con l’assolvere al proprio obbligo di fornire al p.m. notizia dei reati dei quali fosse venuto a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni. Abolito dalla riforma del processo penale l’istituto del rapporto, deve ora nutrirsi qualche perplessità circa la correttezza, non solo formale, di una eventuale sopravvivenza della descritta prassi operativa. Attesa la qualifica di pubblico ufficiale che ai sensi dell’art. 127 CCII assiste il curatore nell’esercizio delle funzioni connesse all’incarico, si deve infatti ritenere che la formulazione dei vigenti artt. 331 e 332 c.p.p. imponga al curatore stesso l’obbligo di presentare denunzia scritta al p.m. o alla p.g. dei reati perseguibili d’ufficio dei quali abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa delle cennate funzioni, esponendo nella denunzia stessa gli elementi del fatto e quelli ulteriori espressamente indicati dall’art. 332 c.p.p. (fonti di prova, identificazione dell’autore dei fatti e di eventuali testi o persone informate dei fatti stessi). Cfr. [F887]. Per ciò che specificamente attiene ai reati concorsuali, deve conseguentemente ritenersi che l’obbligo di denunzia come sopra posto a carico del curatore resti del tutto distinto ed autonomo, per propria intrinseca natura e finalità, rispetto all’obbligo di relazione al G.D. sancito dall’art. 130. Aldilà di teoriche imputazioni del curatore ex art. 334 c.p. ove ometta la denunzia al p.m. pur avendo provveduto alla relazione al G.D., la distinzione tra i due istituti riverbera i propri effetti soprattutto sul piano della acquisibilità della relazione ex art. 130 agli atti del dibattimento penale e della sua utilizzabilità ai fini di prova. Se infatti il nuovo codice di rito penale esclude - a differenza di quanto il precedente disponeva per il rapporto - l’acquisizione e l’utilizzabilità della denunzia, è invece diffusa, almeno in giurisprudenza, l’opinione della acquisibilità ed utilizzabilità della relazione ex art. 130 in quanto costituente documento a mente dell’art. 234 c.p.p. e non notizia di reato.
2 Le dichiarazioni rese dal debitore al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, c. 2, c.p.p., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità d’imputato, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 220, norme di coordinamento c.p.p., che concerne le attività ispettive e di vigilanza.
II. Dichiarazione di liquidazione giudiziale e rapporto di pregiudizialità con il processo penale
II.Dichiarazione di liquidazione giudiziale e rapporto di pregiudizialità con il processo penale1 La nuova codificazione del processo penale ha profondamente inciso sul rapporto tra dichiarazione di liquidazione giudiziale giudizio penale per reaticoncorsuali, rapporto che - secondo le previsioni degli artt. 19 e 21 dell’abrogato c.p.p. - si risolveva nel riconoscere alla declaratoria di liquidazione giudiziale la natura di questione pregiudiziale implicante controversia sullo stato delle persone che, in quanto tale, imponeva la sospensione del processo penale fin tanto che sulla questione stessa non fosse intervenuta sentenza con autorità di cosa giudicata. La pendenza in sede civile di giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento obbligava pertanto il giudice penale alla sospensione del procedimento relativo a fatti di bancarotta (per i quali - come si vedrà oltre - si sosteneva diffusamente che la dichiarazione di fallimento assumesse natura di elemento costitutivo della fattispecie). Il giudicato fallimentare sullo stato di insolvenza dell’imputato costituiva pertanto, a mente delle richiamate disposizioni dell’abrogato c.p.p. la c.d. pregiudiziale fallimentare al processo penale, la sorte del quale restava condizionata dai possibili diversi esiti di un eventuale giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento. Il vigente c.p.p., radicalmente immutando il descritto impianto dei rapporti tra giurisdizioni, ha sancito la sostanziale autosufficienza della giurisdizione penale affidando in via esclusiva al giudice di questa il compito di risolvere incidentalmente ogni questione civile, amministrativa o penale da cui dipenda la decisione del caso sottopostogli (art. 2 c.p.p.). Espunta dall’ordinamento qualsiasi ipotesi di sospensione obbligatoria del processo penale nell’attesa del giudicato sulla pregiudiziale civile o amministrativa, residua la previsione di una sospensione del tutto facoltativa da parte del giudice penale nel solo caso di questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza, peraltro all’espressa condizione della serietà della questione stessa e della effettiva pendenza del relativo giudizio (art. 3 c.p.p.). Le altre questioni civili o amministrative, tra le quali la c.d. pregiudiziale fallimentare, possono dar luogo soltanto in sede dibattimentale alla sospensione meramente facoltativa prevista dall’art. 479 c.p.p. comunque condizionatamente alla sussistenza oggettiva di una particolare complessità della questione, alla effettiva pendenza del relativo giudizio ed alla inesistenza di limiti di legge alla prova, in quella sede.
2 Nella nuova articolazione dei rapporti tra giurisdizioni, pertanto, l’accertamento dell’insolvenza, contenuto nella sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, non vincola in alcun modo il giudice penale, che potrà pervenire alla condanna per reato concorsuale nonostante la pendenza in sede civile di un reclamo ex art. 51 CCII ovvero del tutto riconsiderare, anche ai fini del proscioglimento dell’imputato, la sussistenza dei presupposti della dichiarazione di liquidazione giudiziale pronunziata dal giudice civile. Stante il più volte ricordato principio di autonomia della giurisdizione penale, l’eventuale revoca della liquidazione giudiziale in accoglimento dell’opposizione potrà valere esclusivamente quale elemento di prova ai fini dell’accertamento del reato concorsuale o, se intervenuta dopo la condanna penale definitiva, dar luogo al procedimento di revisione di cui all’art. 630, lett. b), c.p.p., esclusa anche in questo caso qualsiasi autorità di giudicato sostanziale della sentenza civile.
III. Esercizio dell’azione penale
III.Esercizio dell’azione penale1 Per tutte le ipotesi di bancarotta da chiunque realizzate (il testuale richiamo ai soli artt. 322, 323, 329 e 330 si ritiene meramente esemplificativo), l’art. 346 in commento prevede che l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. abbia luogo di norma dopo la ricezione della comunicazione della sentenza di fallimento ai sensi dell’art. 49 CCII. L’esercizio anticipato dell’azione penale rispetto alla declaratoria di liquidazione giudiziale è tuttavia previsto dal comma 2 dello stesso art. 346 nel caso in cui lo stato di insolvenza sia risultato in sede penale, secondo le previsioni dell’art. 38 CCII, ovvero sussistano gravi motivi e sia già stata presentata domanda per la dichiarazione di liquidazione giudiziale. L’attuale assetto dell’ordinamento processuale penale induce ad individuare l’effettivo esercizio della azione penale nel momento in cui il p.m. formula la richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato; prima di tale momento si tratterà pertanto non di esercizio dell’azione ma di attività di indagine in relazione ai possibili reati concorsuali che il p.m. condurrà in piena libertà di iniziativa anche per ciò che concerne eventuali misure cautelari.
B) Frmule
B)FrmuleALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI ………
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DENUNZIA DI REATO EX ART. 331 C.P.P.
PRESENTATA DA:
……… in qualità di curatore della Liquidazione giudiziale ………, dichiarata dal Tribunale di ……… con sentenza n………. del ………
***
Ill.mo Signor Procuratore,
il sottoscritto ………, nella indicata qualità di curatore della Procedura n………./……… e nell’esercizio delle proprie funzioni, è venuto a conoscenza in data ……… di fatti e circostanze che possono integrare fattispecie di reato perseguibile d’ufficio e che pertanto il sottoscritto
DENUNZIA
come di seguito in adempimento dell’obbligo di cui all’art. 331 c.p.p., fornendo i dati e le notizie di cui all’art. 332 c.p.p.:
1. Elementi essenziali del fatto.
………
………
………
I fatti e le circostanze sopra riportate nei loro elementi essenziali appaiono realizzare l’ipotesi di reato prevista dall’art………., salve le diverse ed ulteriori valutazioni che la S.V. riterrà di ravvisare nell’esposto.
2. Fonti di prova.
La commissione dei fatti di cui sopra è comprovata allo stato dai documenti che di seguito si elencano e che si producono in allegato:
(All. 1) ………
(All. 2) ………
(………)………
nonché dalle seguenti dichiarazioni raccolte dal curatore:
(All……….) ………
Per ciò che concerne infine le valutazioni tecniche dei fatti, il sottoscritto fa integrale riferimento a quanto già rappresentato al Giudice Delegato con relazione ex art. 130 CCII depositata in data ……… (e di cui all’All……….).
3. Persone alle quali si attribuiscono i fatti denunziati.
All’epoca dei fatti risultavano in carica negli organi rappresentativi e di controllo della società (cfr. All……….) i signori:
- ………, nato a ……… il ………, Presidente del Consiglio di amministrazione;
- ………, nato a ……… il ………, Amministratore;
- ………, nato a ……… il ………, Amministratore;
- ………, nato a ……… il ………, Presidente del Collegio Sindacale;
- ………, nato a ……… il ………, Sindaco effettivo;
- ………, nato a ……… il ………, Sindaco effettivo;
ai quali, in ragione della carica e della attiva partecipazione ai fatti, le condotte di reato possono essere attribuite.
4. Persone informate dei fatti.
Appaiono in grado di riferire sullo svolgimento dei fatti sopra denunziati i signori:
- ………, nella qualità di ………;
- ………, nella qualità di ………
5. Persona offesa dal reato.
Le condotte descritte, per effetto delle conseguenti diminuzioni di attivo ed incremento di passivo quantificabili allo stato in euro ………, hanno arrecato danno alla Massa dei creditori della Liquidazione giudiziale ………, rappresentata dal sottoscritto curatore.
Appaiono inoltre poter rivestire la qualifica di persone offese, in virtù dei danni direttamente ed individualmente patiti:
- ………;
- ………
Tanto il sottoscritto denunzia alla S.V. per le determinazioni di competenza.
Produce in allegato i documenti descritti in narrativa come All. da n. 1 a n……….
Con osservanza
Luogo, data ………
Il Curatore ………
C) Giurisprudenza:
C)Giurisprudenza:I. La denuncia di reato e la relazione ex art. 33 l. fall. - II. Dichiarazione di fallimento e rapporto di pregiudizialità con il processo penale - III. Esercizio dell’azione penale.
I. La denuncia di reato e la relazione ex art. 33 l. fall.
I.La denuncia di reato e la relazione ex art. 33 l. fall.1 Le relazioni del curatore fallimentare costituiscono documenti che, a norma dell’art. 234 c.p.p., possono essere acquisiti ed utilizzati come prova nel processo penale per i delitti di bancarotta [C. pen. V 19.3.1997, n. 6804].
2 Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, c. 2, c.p.p., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità d’imputato, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 220, norme di coordinamento c.p.p., che concerne le attività ispettive e di vigilanza [C. pen. V 4.10.2004, n. 46795, RP 2006, 114; C. pen. V 15.10.2001, n. 41134, D&G 2001, 72].
II. Dichiarazione di fallimento e rapporto di pregiudizialità con il processo penale
II.Dichiarazione di fallimento e rapporto di pregiudizialità con il processo penale1 La sospensione del dibattimento, prevista dall’art. 479 c.p.p., per la definizione della questione pregiudiziale, è ispirata ad esigenze di celerità ed economia, sicché ad essa può farsi luogo solo in presenza di determinate condizioni, la cui mancanza comporta l’irrilevanza della pregiudiziale e l’obbligo di procedere. La prima di tali condizioni, costituita dalla “particolare complessità” della controversia civile o amministrativa da cui dipende la decisione sull’esistenza del reato, è dettata allo scopo di scongiurare superflue stasi processuali, verificabili allorquando il giudice che procede possa pervenire agevolmente alla decisione, risolvendo anche la questione pregiudiziale. Il giudice è tenuto, pertanto, a motivare la sussistenza del requisito della particolare complessità della suddetta questione [C. pen. V 22.4.1993, n. 1305].
2 In virtù della disciplina delle questioni pregiudiziali, dettata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., la sentenza dichiarativa di fallimento, pur se irrevocabile, non ha efficacia di giudicato nel processo penale. Essa si offre alla doverosa valutazione del giudice penale al pari di qualsiasi altra indicazione probatoria ed in tali limiti può essere utilizzata per l’accertamento della verità sostanziale [C. pen. V 16.2.1995, n. 3943, Gpen 1997, II, 805; C. pen. V 24.9.1998, n. 7961, Fall 1999, 1135]. In base alla disciplina dettata dall’art. 3, c. 4, c.p.p., secondo la quale la sentenza irrevocabile del giudice civile fa stato nel processo penale solo quando abbia deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza, deve escludersi che il giudice penale, investito della cognizione di reati fallimentari, di fronte alla rappresentazione, da parte dell’imputato, di elementi volti a rimettere in discussione la sua qualità di imprenditore, soggetto come tale al fallimento, possa legittimamente disattendere la suddetta rappresentazione, richiamandosi unicamente al carattere asseritamente vincolante della sentenza irrevocabile con la quale il fallimento è stato revocato [C. pen. V 9.4.1999, n. 5544, RP 1999, 546].
III. Esercizio dell’azione penale
III.Esercizio dell’azione penale1 In tema di reati di bancarotta previsti dagli artt. 216, 217, 223 e 224 l. fall., poiché l’azione penale per i detti reati, come previsto dall’art. 238 della medesima legge, va esercitata indipendentemente dal passaggio in giudicato e, in taluni casi, anche dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, deve ritenersi che sia anche possibile, nelle stesse condizioni, l’applicazione di misure cautelari, i cui presupposti andranno verificati secondo gli ordinari canoni normativi, tenendosi anche conto delle eventuali opposizioni alla sentenza dichiarativa di fallimento, ma senza che la sola esistenza di tali opposizioni possa essere di per sé considerata come incompatibile con la presenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, c. 1, c.p.p. [C. pen. V 2.3.2011, n. 15061, S 2011, 727; C. pen. I 15.10.1993, n. 4191, CP 1995, 1629]. Nel caso in cui sussistano i presupposti per l’esercizio dell’azione penale per reati fallimentari, per l’applicazione dell’art. 238, c. 2, l. fall. è necessario fare riferimento alla condotta e non alla dichiarazione giudiziale di insolvenza [C. pen. V 17.9.2015, n. 43082, Ilfallimentarista.it 2015]. È legittima l’applicazione di misure cautelari personali per il reato di bancarotta anche prima della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 238, c. 2, l. fall. per l’esercizio anticipato dell’azione penale [C. pen. V 10.2.2012, n. 16000; C. pen. V 16.4.2007, n. 21288, Fall 2008, 93]. In tema di bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo disposto prima della sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto la previsione di cui all’art. 238 l. fall. consente lo svolgimento di attività di indagine in relazione al reato in questione anche prima della sentenza dichiarativa di fallimento, a condizione che ricorrano indizi dello stato di insolvenza o che concorrano gravi motivi e sia stata presentata domanda per ottenere la dichiarazione di fallimento. (Fattispecie relativa a Consorzio partecipato da soggetti pubblici, avente natura di società commerciale) [C. pen. V 15.3.2019, n. 20000, CED Cass. pen. 2019; C. pen. II 15.9.2016, n. 39361, Ilfallimentarista.it 2016]. In tema di decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari, con riferimento ai reati fallimentari nei casi previsti dall’art. 238, c. 2, l. fall., in cui è possibile esercitare l’azione penale anche prima della pronuncia di fallimento, opera il principio di retrodatazione della seconda ordinanza applicativa, previsto dall’art. 297, c. 3, c.p.p., anche nel caso in cui la richiesta di fallimento avanzata dal pubblico ministero sia posteriore rispetto alla data di emissione della prima ordinanza, poiché ciò che rileva è la data della condotta e non già quella della dichiarazione giudiziale di insolvenza. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che se l’assenza della declaratoria fallimentare non rappresenta, in tali casi, un ostacolo all’applicazione delle misure cautelari, neppure può impedire l’operatività della regola di retrodatazione dei termini cautelari) [C. pen. V 17.9.2015, n. 43082, CED Cass. pen. 2016].