[1] Si applicano le pene stabilite nell’articolo 323 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, i quali:
a) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo;
b) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. La bancarotta semplice impropria
I.La bancarotta semplice impropria1 L’art. 330 sanziona il reato di bancarotta semplice c.d. impropria e ne individua al n. 1 l’elemento materiale attraverso l’integrale richiamo alle condotte descritte dall’art. 323 (al cui commento pertanto si rinvia) e la formulazione al n. 2 di una ulteriore ipotesi di bancarotta consistente nel dissesto colposo cagionato od aggravato per inosservanza di obblighi di legge. La completa autonomia del patrimonio sociale induce a ritenere inapplicabile, nell’ambito della bancarotta impropria semplice, l’ipotesi di cui all’art. 323 che sanziona le spese personali o per la famiglia eccessive, evidente essendo l’ininfluenza sul patrimonio della società di una prodiga gestione delle proprie personali sostanze da parte dei soggetti preposti all’amministrazione ed al controllo della società stessa. Si intende invece riferita al patrimonio sociale la condotta di cui all’art. 323, lett. b) consistente nella consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti e che risulterà pertanto punibile anche a titolo di bancarotta semplice impropria con l’avvertenza che, presupponendo la fattispecie un diretto potere gestorio da parte dell’autore, il reato potrà essere commesso dai soli amministratori, direttori generali e liquidatori e non anche dai sindaci, cui non compete alcun potere di diretta amministrazione e che pertanto potranno, ricorrendone i presupposti, rispondere a titolo di concorso nel fatto. Ad identiche considerazioni si perviene per la condotta di cui all’art. 323, lett. c) (operazioni di grave imprudenza per ritardare la liquidazione giudiziale) che presuppone anch’essa un diretto potere gestorio in capo all’autore.
2 Il n. 2 dell’art. 330 introduce l’ipotesi di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto che si sovrappone parzialmente a quella prevista dall’art. 323, lett. d) già ricompresa nel generale rinvio posto dalla lett. a) dell’articolo in commento. Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 330, lett. b), rientra fra gli «obblighi imposti dalla legge», la cui inosservanza, se cagione di aggravamento del dissesto della società, può dar luogo a responsabilità penale degli amministratori, anche il dare esecuzione alle decisioni assembleari che non siano semplicemente «gestionali» ma che attengano alla vita dell’ente sociale, come quelle che deliberano lo scioglimento anticipato o la trasformazione della società, ovvero (come nella specie), la presentazione della proposta di concordato preventivo. Entrambe le fattispecie, infatti, contemplano l’aggravamento del dissesto quale conseguenza della condotta colposa dell’agente, ma l’inosservanza di specifici obblighi di legge, espressamente presupposta dall’art. 330, lett. b), trasferisce sul piano della colpa specifica la colpa grave, che invece caratterizza l’ipotesi di reato di cui alla lett. d) dell’art. 323. Pertanto, qualora il dissesto della società sia conseguenza diretta o indiretta della violazione di un obbligo di legge gravante sull’autore, la punibilità della condotta di bancarotta semplice impropria avrà luogo ex art. 330, lett. b) quale che sia il grado della colpa; ricorrerà invece la fattispecie di cui all’art. 323, lett. d) nel solo caso di colpa grave non correlata ad alcuna violazione di legge o nel caso di mancata richiesta della liquidazione giudiziale. Soggetti attivi della bancarotta semplice impropria disciplinata dall’art. 330 sono i soggetti preposti all’amministrazione e al controllo delle società commerciali, per l’individuazione dei quali si fa rinvio al commento all’art. 329.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. La bancarotta semplice impropria
I.La bancarotta semplice impropria1 Il combinato disposto dell’art. 224 e dell’art. 217 l. fall. prevede il reato di bancarotta semplice, o impropria, in cui l’attività criminosa degli amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società fallite ha per oggetto il patrimonio sociale di cui i soggetti suindicati hanno la gestione ed il controllo, non assumendo il patrimonio personale dei soggetti medesimi alcuna rilevanza ai fini del reato in questione. Orbene, se è pur vero che il rinvio previsto dall’art. 224 non può estendersi a tutte le ipotesi contemplate dall’art. 217 che sono state definite per il fallimento delle imprese individuali - rimanendovi dunque escluse le ipotesi non compatibili con la struttura societaria - non può ritenersi tuttavia che il rinvio operato dall’art. 224 non sia applicabile alle ipotesi di cui all’art. 217, c. 1, n. 2. La circostanza che il testo di quest’ultima norma usi il possessivo suo - riferendosi al patrimonio che l’imprenditore individuale abbia consumato in notevole parte in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti - non è di per sé sufficiente per ritenere la norma non applicabile alla società, essendo evidente che il legislatore, mediante il rinvio dell’art. 224, ha inteso far riferimento al patrimonio della società e non certo ai patrimoni personali degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, che non hanno rilevanza alcuna nelle ipotesi di bancarotta. Ne consegue che ben può ritenersi ipotizzabile in astratto il reato di bancarotta semplice impropria nel caso in cui l’amministratore, ed i soggetti ad esso assimilati dall’art. 224, abbiano consumato una notevole parte del patrimonio sociale in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti [C. pen. V 5.12.1996, n. 894, CP 1998, 1781].
2 Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 224, n. 2, l. fall., rientra tra gli «obblighi imposti dalla legge» la cui inosservanza, se causa o concausa di dissesto societario ovvero di aggravamento dello stesso dissesto, può dar luogo a responsabilità penale degli amministratori, anche l’esecuzione di delibere assembleari che non siano semplicemente «gestionali», ma che attengano alla vita dell’ente sociale, come quelle che decidono lo scioglimento anticipato o la trasformazione della società (art. 2365 c.c.), oppure la presentazione della proposta di concordato fallimentare o della domanda di concordato preventivo [C. pen. V 26.9.2002, n. 40581, RP 2003, 1043]. In tema di bancarotta semplice, la convocazione dell’assemblea dei soci, ex art. 2482-bis c.c., in presenza di una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo per perdite, rientra tra gli “obblighi imposti dalla legge” la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 224, c. 1, n. 2, l. fall., quando costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento [C. pen. V 19.12.2019, n. 11311, CP 2020, 3851; C. pen. V 9.10.2014, n. 8863, CED Cass. pen. 2015]. L’amministratore che in violazione dei doveri connessi alla carica, nonostante il deposito di bilanci in perdita, eroda completamente il capitale sociale e ometta alla messa in liquidazione della società aggravando il dissesto, commette il reato di cui all’art. 224 l. fall. (Nel caso di specie, si trattava di una società che lavorava per il Comune e, nonostante la perdita che aveva eroso il capitale sociale, l’amministratore aveva continuato a gestire in via ordinaria la società, ricorrendo al credito bancario e contraendo debiti con i fornitori e le società interinale di lavoro, fidandosi delle assicurazioni fornite dal sindaco del comune in ordine alla volontà di ripianare le perdite della società) [T. Pescara 29.10.2018, n. 2713, DeJure 2020]. L’amministratore di una società in accomandita semplice non può ritenersi responsabile ex art. 224, n. 2, l. fall. del reato di bancarotta semplice per aver concorso a cagionare il dissesto della società non essendosi attivato, in presenza di una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. (riduzione del capitale minimo legale), per convocare l’assemblea per le delibere del caso (art. 2482-ter c.c.) e per richiedere il fallimento. Tali disposizioni, infatti, proprie della disciplina delle società di capitali, non trovano applicazione nel caso in cui la fallita sia una società semplice [C. pen. V 2.5.2016, n. 42310, Ilfallimentarista.it 2016].