[1] Nel caso in cui i fatti previsti negli articoli 322, 323 e 325 hanno cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, le pene da essi stabilite sono aumentate fino alla metà.
[2] Le pene stabilite negli articoli suddetti sono aumentate:
a) se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati;
b) se il colpevole per divieto di legge non poteva esercitare un’impresa commerciale.
[3] Nel caso in cui i fatti indicati nel comma 1 hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. Quantificazione della pena ed entità del danno - II. Le aggravanti di cui al comma 2.
I. Quantificazione della pena ed entità del danno
I.Quantificazione della pena ed entità del danno1 Le conseguenze patrimoniali dei reati di cui agli artt. 322, 323 e 325 vengono in considerazione ai fini della applicazione della circostanza aggravante e dell’attenuante che l’art. 325 prevede, rispettivamente ai commi 1 e 2, per il caso di rilevante gravità del danno cagionato ovvero per il caso di speciale tenuità del danno stesso. L’attenuante prevista dall’art. 326, c. 2 (aver cagionato danno patrimoniale di speciale tenuità) ha natura oggettiva, in quanto il danno è quello prodotto dal fatto reato; tuttavia non può prescindersi dal considerare anche le dimensioni dell’impresa, il movimento degli affari e l’ammontare dell’attivo e del passivo.
2 Il danno cui il legislatore fa riferimento si identifica con il danno patrimoniale ricollegabile ai singoli fatti di bancarotta (e di ricorso abusivo al credito) e limitato al decremento di massa attiva o all’incremento di passivo che sia conseguito dai fatti stessi, restando pertanto esclusa la possibilità di considerare l’intero ammontare del passivo fallimentare, inteso quest’ultimo in senso lato, quale «danno da liquidazione giudiziale». In ragione della non sovrapponibilità, ai fini penali, dei due distinti concetti di danno da reato concorsuale ed ammontare del passivo, si perviene al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 326, c. 3, anche quando il singolo fatto di bancarotta non abbia comportato in sé alcun danno patrimonialmente apprezzabile o, reciprocamente, all’applicazione dell’aggravante pur in presenza di non rilevante entità dello stato passivo.
II. Le aggravanti di cui al comma 2
II.Le aggravanti di cui al comma 21 In deroga alle norme comuni sul concorso di reati (artt. 71 ss. c.p.) e sul reato continuato (art. 81 c.p.), l’art. 326, c. 2, lett. a), prevede l’aggravamento delle pene edittali per l’ipotesi di commissione di più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli artt. 322, 323 e 325. La previsione normativa corrisponde al c.d. principio di unitarietà del reato di bancarotta (e di ricorso abusivo al credito) in virtù del quale costituisce modalità di estrinsecazione di un’unica fattispecie penale la realizzazione, da parte del colpevole, di più condotte tra quelle distintamente previste da ciascuna delle singole norme incriminatrici sotto le rubriche di bancarotta fraudolenta, di bancarotta semplice e di ricorso abusivo al credito.
2 L’applicazione dell’aggravante in parola avrà luogo pertanto nell’ipotesi di commissione di più fatti di bancarotta fraudolenta o di bancarotta semplice o di ricorso abusivo al credito, siano essi contemplati o meno dallo stesso comma o dallo stesso numero della singola norma incriminatrice. La pluralità di atti di bancarotta è considerata, ai sensi dell’art. 326, c. 2, lett. a), come semplice circostanza aggravante del reato (assoggettata all’ordinario giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti) solo all’interno del medesimo procedimento concorsuale.
3 Si dovrà invece fare applicazione delle ordinarie regole del concorso di reati ed eventualmente, ove ricorra il presupposto della identità di disegno criminoso (art. 81 c.p.), della continuazione di reato nel caso di commissione di fatti sia di bancarotta fraudolenta che di bancarotta semplice, stante l’autonomia delle due distinte ipotesi di reato, nonché nel caso di reati concorsuali che, pur commessi all’interno di uno stesso gruppo di imprese, riguardano comunque, procedure distinte. L’aggravante in parola è testualmente applicabile anche all’ipotesi di commissione di più fatti di abusivo ricorso al credito (art. 325) che, per quanto sopra precisato, concorreranno invece, formalmente o in continuazione, con gli altri fatti di bancarotta semplice o fraudolenta eventualmente posti in essere dall’autore. La lett. b) dell’art. 326, c. 2, prevede inoltre l’aggravamento di pena per l’ipotesi di commissione di fatti di bancarotta, fraudolenta o semplice, ovvero di abusivo ricorso al credito da parte di chi per legge si trovava in stato di inabilitazione all’esercizio di impresa commerciale. L’inosservanza di un divieto di legge differenzia la circostanza in parola dallo specifico reato previsto dall’art. 340 (cfr. infra per il relativo commento), la cui commissione presuppone invece l’inottemperanza al divieto comminato quale pena accessoria da una sentenza di condanna penale. Le aggravanti di cui ai alle lett. a) e b) della norma in commento, in quanto indeterminate per ciò che concerne la misura dell’aumento, potranno comportare un incremento della pena fino al massimo di 1/3, secondo le disposizioni di cui all’art. 64 c.p. e con i limiti di cui all’art. 65 c.p. nel caso di concorso di altre aggravanti.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. Quantificazione della pena ed entità del danno - II. Le aggravanti di cui al comma 2.
I. Quantificazione della pena ed entità del danno
I.Quantificazione della pena ed entità del danno1 La circostanza aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità” di cui all’art. 219, c. 1, l. fall. si configura solo se a un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave. In proposito, il danno patrimoniale rilevante ai fini dell’aggravante non può essere identificato con la passività di cui la società risultava essere titolare al momento della cessione, poiché il danno patrimoniale consiste in un pregiudizio significativo arrecato ai creditori della società, attraverso una fraudolenta sottrazione dell’attivo, con corrispondente danno ai creditori che verrebbero così sprovvisti di una tutela ai fini del soddisfacimento del proprio credito, garantito appunto dalla massa attiva della società stessa. Diversamente, la passività di quest’ultima può essere definita come l’ammontare complessivo delle situazioni debitorie di cui la stessa è titolare a seguito dello svolgimento dell’attività d’impresa. Pertanto, è evidente che, mentre il danno patrimoniale può risultare quale conseguenza di una operazione fraudolenta, la passività ben può prescindere dalla stessa, potendosi verificare in qualsiasi momento della vita dell’impresa stessa [T. Napoli 4.11.2021, n. 8891, DeJure 2021]. La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità è applicabile, con interpretazione estensiva e sistemica, anche ai fatti di bancarotta impropria, considerato il rinvio operato dalla suddetta norma a tutte le fattispecie di bancarotta “propria” ed il richiamo integrale dell’art. 223, c. 2, l. fall. alle pene previste dall’art. 216 l. fall. [C. pen. V 24.2.2021, n. 24216, CP 2022, 285; C. pen. V 25.1.2012, n. 10791; C. pen. V 8.11.2011, n. 127; C. pen. V 26.9.2011, n. 44933, CP 2012, 4205; C. pen. V 22.6.2010, n. 30932; C. pen. V 18.2.2010, n. 17690, ivi 2011, 442; in senso contrario C. pen. V 18.12.2009, n. 8829, CP 2011, 4, 3990]. La circostanza aggravante dell’avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219 l. fall., ha natura oggettiva ed, in quanto tale, si comunica al concorrente ai sensi dell’art. 118 c.p. [C. pen. V 17.2.2020, n. 13802, CP 2020, 4269]. Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere il danno patrimoniale di rilevante gravità, cagionato dai fatti di bancarotta, previsto dall’art. 219 l. fall., ha natura di circostanza aggravante speciale e ad effetto speciale, pertanto - alla luce dell’art. 157 c.p. nel testo novellato dalla l. n. 251/2005 - si deve tenere conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante e non assume rilievo la diminuzione di pena per le circostanze attenuanti [C. pen. I 9.7.2015, n. 34530, CED Cass. pen. 2015; C. pen. V 18.2.2009, n. 17190, Fall 2010, 245]. Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza. (Fattispecie relativa alla contestazione suppletiva della circostanza aggravante di cui all’art. 219, c. 1, l. fall., formulata sulla base di elementi già noti al momento dell’esercizio dell’azione penale) [C. pen. V 11.12.2019, n. 3712, CED Cass. pen. 2020]. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale (in riferimento agli artt. 11, 25, 117 Cost. e, all’art. 7 C.e.d.u.), relativa all’applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219, c. 1, l. fall. alle ipotesi di bancarotta “impropria” previste dall’art. 223, c. 1, della stessa legge. (In motivazione la Corte ha chiarito che ritenendo, invece, l’inapplicabilità dell’aggravante citata alla bancarotta impropria si determinerebbe l’irragionevole risultato di sottoporre solo l’imprenditore individuale ad un trattamento sanzionatorio astrattamente più afflittivo, a fronte di fatti del tutto analoghi commessi nell’ambito della gestione societaria) [C. pen. V 6.10.2017, n. 4400, CP 2018, 2403]. La attenuante prevista dall’art. 219, c. 2, l. fall. (aver cagionato danno patrimoniale di speciale tenuità) ha natura oggettiva, in quanto il danno è quello prodotto dal fatto-reato; pertanto, in ipotesi di bancarotta semplice, esso si sostanzia in quello derivante dal comportamento omissivo ascrivibile all’imputato, che può aver prodotto conseguenze tenui o, addirittura, inesistenti ai creditori, considerati, non singolarmente, ma nel loro insieme [C. pen. V 15.3.2000, n. 4727]. In tema di bancarotta semplice fallimentare, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, c. 3, l. fall., configurabile quando il danno arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manca del tutto, la valutazione rimessa al giudice non può limitarsi alla considerazione degli importi delle somme non registrate nelle scritture contabili, ma deve estendersi alle dimensioni dell’impresa, al movimento degli affari, all’ammontare dell’attivo e del passivo, nonché all’incidenza che la condotta illecita ha avuto sul danno derivato alla massa dei creditori [C. pen. V 29.1.2016, n. 20695, CED Cass. pen. 2016; C. pen. V 18.1.2013, n. 19034; C. pen. V 18.1.2013, n. 13285; C. pen. V 4.7.2012, n. 44443; C. pen. V 2.10.2009, n. 49642, Fall 2010, 996; C. pen. V 16.1.2008, n. 5300, ivi 2008, 845; C. pen. V 9.4.2003, n. 21353, RP 2004, 263]. In tema di bancarotta fraudolenta, la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno di cui all’art. 219, c. 3, l. fall., va valutata all’atto della dichiarazione di fallimento, che rappresenta il momento consumativo del reato, costituendo il recupero del bene a seguito del prospettato esercizio dell’azione revocatoria un mero post factum, irrilevante anche ai fini della configurabilità dell’attenuante comune della riparazione del danno di cui all’art. 62, c. 1, n. 6, c.p. [C. pen. V 13.1.2021, n. 7999, CP 2021, 2360; C. pen. V 26.11.2020, n. 856, CED Cass. pen. 2021]. In particolare, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 219, c. 3, l. fall., deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatore e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori. In ogni caso occorre aver riguardo non già all’entità del passivo ed alla differenza fra attivo e passivo, bensì alla effettiva diminuzione patrimoniale cagionata ai creditori dai fatti di bancarotta dei quali l’imputato deve rispondere [C. pen. V 1.4.2019, n. 19981, RDottComm 2019, 560; C. pen. V 3.12.2018, n. 7888, CED Cass. pen. 2019].
2 L’entità obiettiva del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione all’importo globale del passivo [C. pen. V 2.10.2009, 49642, Fall 2010, 996; C. pen. V 3.6.1998, n. 8037, C 2001, 300]. In tema di reati fallimentari, ai fini dell’applicazione dell’art. 219 l. fall., la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, ma alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta. Pertanto, il giudizio relativo alla particolare tenuità o gravità del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, né a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posta in relazione alla diminuzione globale, che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti [C. App. Napoli 22.1.2020, n. 393, GD 2020]. Il danno valutabile ai fini della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, c. 3, l. fall., quale che sia l’ipotesi di bancarotta, fraudolenta o semplice, è quello cagionato dal fatto reato e non quello derivante dal passivo del fallimento. Ne deriva che, in tema di bancarotta semplice documentale, la particolare tenuità del fatto rilevante ai fini dell’attenuante, deve essere valutata con esclusivo riferimento al danno direttamente cagionato alla massa dei creditori dalla mancanza della prescritta contabilità, in ragione della impossibilità di ricostruire la consistenza del patrimonio e il movimento degli affari dell’impresa fallita e di esercitare le azioni revocatorie o le altre azioni a tutela degli interessi dei creditori, con la conseguenza che qualora tale danno non sussista o non sia dimostrato l’attenuante in questione deve essere applicata [C. pen. V 5.6.2014, n. 46479, GD 2015; C. pen. 16.4.1986, Izzo, RP 1987, 376]. In tema di bancarotta fraudolenta, la speciale tenuità del danno, integrativa dell’attenuante di cui all’art. 219, c. 3, r.d. 16.3.1942, n. 267, va valutata in relazione all’importo della distrazione, e non invece all’entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento [C. pen. V 26.11.2019, n. 52057, CP 2020, 2090] .
II. Le aggravanti di cui al comma 2
II.Le aggravanti di cui al comma 21 L’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., considerando circostanza aggravante la reiterazione di più episodi di bancarotta, statuisce la unitarietà del reato, anche se commesso mediante una pluralità di condotte fra quelle alternativamente previste dall’art. 216, sicché alla bancarotta non sono applicabili i principi di diritto comune stabiliti in tema di continuazione, e la circostanza aggravante è assoggettata all’ordinario giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti previsto dall’art. 69 c.p. [C. pen. V 4.3.1998, n. 4431, Gpen 1999, II, 359; C. pen. V 9.12.1992, Antonini]. È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 25, c. 2, e 27, c. 3, Cost., l’art. 69, c. 4, c.p., come sostituito dall’art. 3, l. 5.12.2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 219, c. 3, l. fall. sulla recidiva di cui all’art. 99, c. 4, c.p. [C. Cost. 17.7.2017, n. 205, CP 2018, 1184].
2 In tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 c.p. [C. pen. V 5.7.2019, n. 44097, CED Cass. pen. 2020; C. pen. V 16.9.2015, n. 1106, Ilfallimentarista.it 2016; C. s.u. 27.1.2011, n. 21039, S 2011, 1196; C. pen. V 21.11.2007, n. 4406, Fall 2008, 609; C. pen. 15.12.2006, n. 3619, ivi 2007, 840; in senso contrario C. pen. 10.11.2004, n. 48282, DPS 2005, 86]. La pluralità di atti di bancarotta è considerata, ai sensi dell’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., come semplice circostanza aggravante del reato (assoggettata all’ordinario giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti) solo all’interno del medesimo procedimento concorsuale; ne consegue che, nel caso in cui le dichiarazioni di fallimento siano plurime ed autonome, le rispettive condotte illecite realizzano una ipotesi di concorso di reati, con applicazione del cumulo materiale delle pene, ovvero, se ne sussistono i presupposti, dell’istituto della continuazione [C. pen. V 17.12.2008, n. 1137, Fall 2009, 1352; in senso conforme C. pen. V 4.6.2004, n. 31408, RP 2005, 1020; in senso contrario C. pen. V 21.11.2007, n. 4406, Fall 2008, 609; C. pen. V 15.12.2006, n. 3619, ivi 2007, 840]. In tema di reati fallimentari, l’ipotesi della pluralità dei fatti di bancarotta, prevista dall’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., benché non assimilabile, sotto il profilo strutturale, alle comuni circostanze aggravanti, mantiene tuttavia, sotto il profilo formale e funzionale, la sua connotazione di circostanza aggravante, soggetta, come tale, al giudizio di comparazione con eventuali attenuanti [C. pen. V 8.7.2014, n. 42905, RP 2014, 1124]. In tema di reati fallimentari, laddove all’imputato siano contestati più fatti di bancarotta, la mancata contestazione della circostanza aggravante speciale di cui all’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall. non integra alcuna violazione dell’art. 522 c.p.p., in quanto la predetta circostanza comporta una disciplina più favorevole di quella derivante dalle regole generali sulla determinazione della pena in caso di pluralità di reati, e la contestazione di questi ultimi pone l’imputato in condizione di conoscere il significato dell’accusa e di esercitare il diritto di difesa [C. pen. V 2.4.2019, n. 20532, CED Cass. pen. 2019].
3 La configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare, di cui all’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti [C. pen. V 17.9.2018, n. 48361, CED Cass. pen. 2019; C. pen. I 30.5.2017, n. 32400, D&G 2017; C. pen. V 22.10.2014, n. 50349, CED Cass. pen. 2015; C. pen. V 17.4.2013, n. 21036]. Ai fini del riconoscimento o meno del vincolo della continuazione, sotto il profilo della unicità del disegno criminoso, fra reati fallimentari, quando questi siano riferiti a più fallimenti, non può attribuirsi rilievo alle date in cui questi ultimi sono stati dichiarati, dovendosi invece aver riguardo alle epoche in cui sono state poste in essere le condotte che hanno dato luogo ai fallimenti medesimi [C. pen. I 4.12.1992, Romano, Gpen 1993, II, 510]. In tema di reati fallimentari, poiché la legge limita la considerazione unitaria della bancarotta alla sfera interna di ciascuno degli artt. 216 e 217 l. fall., deve ritenersi possibile il cosiddetto concorso esterno tra la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice, che costituiscono due fattispecie di reato fra loro completamente autonome. Pertanto, sulla base di tale principio, può ammettersi la continuazione tra fatti di bancarotta fraudolenta e fatti di bancarotta semplice [C. V 7.6.1996, n. 8041, CP 1998, 3412; in senso contrario C. pen. 3.6.2005, n. 27231]. In sede di incidente di esecuzione, tenendo conto dell’art. 219, c. 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, con il quale il legislatore ha espresso un tendenziale favore per il riconoscimento di una continuazione fra i diversi fatti illeciti posti in essere in una medesima procedura, ai fine dell’accertamento della continuazione fra condotte di appropriazione indebita e successivi fatti di bancarotta commessi ai danni di una identica persona giuridica, il giudice deve valutare la distanza cronologia dei fatti - considerando - con riferimento ai reati di bancarotta - il momento in cui le condotte delittuose sono state tenute e non quando è intervenuta la dichiarazione di fallimento, nonché il comune danno patrimoniale e l’identità del contesto caratterizzato dall’attività imprenditoriale svolta, procedendo ad una valutazione complessiva di tutti i dati disponibili [C. s.l. 22.4.2022, n. 12914, DeJure 2022]. In tema di reati fallimentari, la c.d. continuazione fallimentare tra più fatti di bancarotta non richiede la formale contestazione dell’art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., in quanto l’utilizzazione dell’istituto si risolve esclusivamente nell’applicazione di una disciplina più favorevole di quella che deriverebbe dalle regole generali in tema di determinazione della pena nel caso di pluralità di reati [C. pen. V 1.4.2022, n. 17799, CP 2022, 4088]. In tema di reati fallimentari, l’applicazione della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall’art. 219, c. 2, n., l. fall., non esclude l’autonomia ontologica delle singole fattispecie di bancarotta unificate, sicché l’intervenuta declaratoria di prescrizione di uno dei reati incide sulla quantificazione dell’aumento di pena, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito [C. pen. V 30.10.2018, n. 55390, CED Cass. pen. 2019]. Non è ravvisabile un reato unitario di bancarotta, ma, ove ne sussistano gli elementi, un’ipotesi di reato continuato, qualora il fallimento concerna singole imprese e società dotate di distinta ed autonoma personalità giuridica, che rimane inalterata anche quando esse vengano incluse in un più vasto organismo economico; il fenomeno del collegamento societario, quale centro di interessi sovrastante le singole società collegate, ha, infatti, natura meramente economica ed allo stato attuale del nostro ordinamento non dà vita ad un unitario centro imprenditoriale dotato di una sua propria soggettività [C. 15.6.1984, Frigerio, GI 1985, II, 316; C. pen. V 6.10.1999, n. 12897, RP 2000, 153]. In caso di pluralità di delitti di bancarotta, è illegale la pena determinata facendo applicazione dell’istituto della continuazione in luogo dell’aggravante della c.d. continuazione fallimentare. (Fattispecie in cui la Corte ha affermato l’illegalità della pena in quanto l’applicazione della continuazione aveva comportato la sottrazione delle attenuanti generiche, pur riconosciute, al giudizio di comparazione con l’aggravante della continuazione fallimentare) [C. pen. V 26.4.2022, n. 26412, CED Cass. pen. 2022]. Nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione e, quindi, anche l’aumento conseguente al riconoscimento della continuazione. (Fattispecie in cui la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione di uno dei reati integranti la pluralità dei fatti di bancarotta, ex art. 219, c. 2, n. 1, l. fall., ha quantificato l’aumento per la c.d. continuazione fallimentare in misura maggiore rispetto a quella determinata in primo grado, diminuendo complessivamente la pena) [C. pen. V 29.9.2017, n. 50083, CED Cass. pen. 2018].