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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

261. Liquidazione giudiziale di società a responsabilità limitata: polizza assicurativa e fideiussione bancaria

[1] Nella procedura di liquidazione giudiziale di società a responsabilità limitata il giudice delegato, ricorrendone i presupposti, può autorizzare il curatore ad escutere la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria rilasciata ai sensi dell’articolo 2464, quarto e sesto comma, del codice civile.

A) Inquadramento funzionale:

A)Inquadramento funzionale:

I. Il regime dei versamenti ancora dovuti - II. La escussione della polizza assicurativa o della fideiussione bancaria.

I. Il regime dei versamenti ancora dovuti

I.Il regime dei versamenti ancora dovuti

1 La materia della partecipazione del socio è oggetto degli artt. 260 e 261 CCII, ma nel codice civile sono contenute le disposizioni che concernono la riscossione dei versamenti dovuti in relazione alla quota di partecipazione (artt. 2344, 2356 e 2472 c.c.); il soggetto titolare del credito e della relativa azione per la riscossione del predetto credito è la società. Poiché il curatore esercita tutti i diritti patrimoniali del debitore, nessun dubbio poteva sussistere in ordine al fatto che spetti solo al curatore la legittimazione a riscuotere tale credito, cioè quello da mancato versamento del capitale sottoscritto.

2 In tale contesto, l’art. 260 CCII non introduce un’ipotesi di legittimazione ma si limita a stabilire che il procedimento di riscossione può rivestire le forme di una ingiunzione. La portata precettiva dell’art. 260 CCII sta allora nel fatto che vengono adattate al procedimento di liquidazione giudiziale alcune delle regole processuali del codice di rito.

3 Il primo adattamento è costituito dalla competenza del giudice visto che l’ingiunzione spetta al giudice delegato (e non al tribunale competente ex artt. 18 ss. c.p.c.). Il secondo adattamento attiene alla forma dell’atto sollecitatorio, in quanto non è necessario il ricorso sottoscritto da un difensore tecnico (v., art. 633 c.p.c.), ma è sufficiente una proposta del curatore; poi, il socio che vuole impugnare il decreto del giudice delegato dovrà fare opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. (e non proporre reclamo ex art. 124 CCII).

4 Nell’art. 260 CCII troviamo, però, anche una modifica di carattere sostanziale rappresentata dalla prevista decadenza dal beneficio del termine a favore del socio; se al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale il socio non era ancora divenuto inadempiente quanto al versamento, il credito della società, ormai nella disponibilità del curatore, diviene esigibile con la sentenza di liquidazione giudiziale.

5 Il debito che grava sul socio che abbia trasferito l’azione o la quota non liberata vale nei limiti di quanto previsto negli artt. 2356 e 2472 c.c. e cioè entro tre anni dal trasferimento della partecipazione e solo dopo la vana escussione del cessionario, fermo restando che la competenza “anomala” del giudice delegato si estende anche nei confronti di chi non è più socio .

II. La escussione della polizza assicurativa o della fideiussione bancaria

II.La escussione della polizza assicurativa o della fideiussione bancaria

1 È evidente che una volta dichiarata la liquidazione giudiziale vengono meno le ragioni di favore nei confronti del socio e la procedura di liquidazione giudiziale ha bisogno di recuperare tutte le risorse liquide disponibili, è logico che il curatore nell’ambito delle varie azioni recuperatorie che gli sono attribuite possa agire per l’escussione della garanzia. La prevista autorizzazione del giudice, comunque necessaria ai sensi degli artt. 123 e 128 CCII per stare in giudizio, viene qui anticipata all’attività di riscossione effettuata anche in via stragiudiziale.

B) Giurisprudenza:

B)Giurisprudenza:

I. La riscossione dei versamenti dovuti.

I. La riscossione dei versamenti dovuti

I.La riscossione dei versamenti dovuti

1 Il principio secondo cui, nell’ipotesi di richiesta ad un ufficio giudiziario di un decreto ingiuntivo e di conseguente emissione del decreto, in pendenza di un giudizio di accertamento negativo del credito oggetto del ricorso monitorio, non sussiste né relazione di litispendenza né relazione di continenza fra i due procedimenti, ma, difettando il presupposto della diversità dei giudici e dovendo i procedimenti reputarsi pendenti innanzi allo stesso ufficio, si determina - una volta proposta l’opposizione - soltanto l’esigenza della loro riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c., deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui un giudice delegato fallimentare emetta un decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 150 l. fall. in pendenza, avanti al tribunale cui egli appartiene, di un giudizio di accertamento negativo in ordine al credito oggetto dell’ingiunzione. Ciò, perché anche in tal caso il giudice delegato rappresenta soltanto un’articolazione del tribunale e, mancando il presupposto della diversità del giudice, non può configurarsi una sua competenza diversa ed autonoma rispetto a quella del tribunale [C. I 14.9.1999, n. 9803, Fall 2000, 771; T. Firenze 17.6.2019, n. 1921, DeJure]. La deliberazione di aumento del capitale sociale, assunta nonostante il mancato versamento integrale dei conferimenti ancora dovuti, è valida, ma non eseguibile sino a quando le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate, con la conseguenza che, ferma la responsabilità degli amministratori per gli eventuali danni ai soci e ai terzi, sussiste il diritto dell’emittente di ottenerne il pagamento da parte del sottoscrittore e, quindi, il potere in capo al giudice delegato, in caso di fallimento, di ingiungerne il pagamento anche prima del termine stabilito [C. I 1.12.2011, n. 25731, FI 2012, I, 3153; T. Mantova 2.5.2018, n. 289, DeJure]. La controversia avente ad oggetto l’esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale di una società è compromettibile in arbitri, ai sensi dell’art. 34, c. 1, d.lgs. n. 5/2003, poiché relativa a diritti inerenti al rapporto sociale inscindibilmente correlati alla partecipazione del socio, sicché, nel caso di fallimento della società, la clausola compromissoria statutaria resta opponibile al curatore fallimentare che agisca per l’esecuzione dell’aumento deliberato. (Nella specie, la S.C. ha riconosciuto la competenza arbitrale nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso su richiesta del curatore dal giudice delegato, ex art. 150 l. fall., nei confronti di un socio della fallita per i versamenti ancora dovuti) [C. I 30.9.2019, n. 24444, RDottComm 2020, 1, 92].

2 In tema di fallimento, l’art. 150 l. fall. autorizza il giudice delegato ad emettere decreti ingiuntivi su proposta del curatore, e per tale proposta non è necessaria l’assistenza di un difensore; assistenza che occorrerà nel caso in cui sarà fatta opposizione e il giudice delegato autorizzerà il curatore a resistere [C. I 22.6.1972, n. 2066].

3 La sola qualità di azionista del fallito ed il relativo interesse di costui all’integrità del patrimonio della società, non è sufficiente ad abilitare il curatore del fallimento dell’azionista medesimo ad agire in giudizio contro il terzo per la reintegrazione del patrimonio sociale, trattandosi di azione non pertinente al singolo socio, ma alla società [C. 11.10.1960, n. 2633, DF 1961, 2, 52].

4 Nel giudizio sorto dall’opposizione proposta dal socio contro il decreto ingiuntivo sollecitato dal curatore fallimentare a norma dell’art. 150 l. fall., per i versamenti ancora dovuti su azioni sottoscritte in esecuzione di una delibera di aumento di capitale, la dichiarazione del presidente dell’assemblea dell’integrale liberazione delle azioni sottoscritte, contenuta nel verbale dell’assemblea, non ha gli effetti, nei confronti del curatore, di una confessione stragiudiziale, essendo questi parte processuale diversa dalla società fallita [C. 10.12.1992, n. 13095, GI 1994, 1883; T. Roma 28.11.2017, DeJure]. La controversia instauratasi in seguito alla proposizione, da parte del socio, dell’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice delegato su proposta della curatela fallimentare ex art. 150 l. fall. per la condanna all’esecuzione dei conferimenti ancora dovuti non ha ad oggetto diritti indisponibili ai sensi degli artt. 806 c.p.c. e 34, c. 4, d.lgs. n. 5/2003, per il sol fatto che l’art. 150 l. fall. tuteli anche il capitale sociale, né è assoggettata a competenza esclusiva ed inderogabile del giudice fallimentare per il sol fatto che l’art. 150 l. fall. riconosca la competenza del giudice delegato per l’emissione del decreto ingiuntivo [C. VI 25.2.2020, n. 4956, BBTC 2021, II, 320].

5 Non è compensabile, neppure in sede fallimentare, il credito del socio di una società di capitali col debito del socio stesso verso la società per sottoscrizione di nuove azioni, emesse in sede di aumento del capitale. Non può, infatti, trovare applicazione la disciplina della conversione delle obbligazioni in azioni ed altresì opera il divieto di compensazione di cui all’art. 1246, n. 5, c.c., in relazione alle modalità prescritte per i conferimenti dei soci. Tale divieto e posto a salvaguardia della corrispondenza tra il valore nominale del capitale e la sua effettiva entità, dato che i versamenti del sottoscrittore costituiscono atto dovuto per la conservazione della qualità di socio e vanno eseguiti appena gli amministratori sollecitano il socio all’adempimento [C. 10.12.1992, n. 13095, cit., 1883; in senso contrario C. I 19.3.2009, n. 6711, Fall 2010, 171; T. Salerno 11.7.2014, n. 3401, DeJure, secondo cui l’obbligo del socio di conferire in danaro il valore delle azioni sottoscritte in occasione di un aumento del capitale sociale è un debito pecuniario che può essere estinto per compensazione con un credito pecuniario vantato dal medesimo socio nei confronti della società, anche ai sensi dell’art. 56 l. fall., quando di essa sia sopraggiunto il fallimento, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il giudice delegato non può ingiungere al socio il versamento del capitale sociale ai sensi dell’art. 150 l. fall., in quanto tale modalità di esazione presuppone l’esistenza del credito vantato dalla società, che risulta invece estinto per compensazione].

6 L’obbligo di conferimento, assunto dal socio di una società in accomandita semplice con l’atto costitutivo, integra un debito verso la società, non verso gli altri soci, che persiste per tutta la durata del rapporto sociale; ne consegue che il diritto della società di pretendere l’adempimento di tale debito, anche quando venga esercitato dal curatore del fallimento con la speciale procedura monitoria contemplata dall’art. 150 l. fall., è soggetto a prescrizione solo a partire dalla data della cessazione del rapporto sociale [C. I 5.5.1988, n. 3324, DF 1988, II, 850; T. Napoli 10.1.2018, n. 252, DeJure].

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