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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Massimo Fabiani, Giovanni Battista Nardecchia

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

    236. Effetti della chiusura

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    [1] Con la chiusura cessano gli effetti della procedura di liquidazione giudiziale sul patrimonio del debitore e le conseguenti incapacità personali e decadono gli organi preposti alla procedura medesima.

    [2] Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dalla procedura non possono essere proseguite, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 234.

    [3] I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 278 e seguenti.

    [4] Il decreto o la sentenza con la quale il credito è stato ammesso al passivo costituisce prova scritta per gli effetti di cui all’articolo 634 del codice di procedura civile.

    [5] Nell’ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell’articolo 234, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto. In nessun caso i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi medesimi.

    A) Inquadramento funzionale:

    A)Inquadramento funzionale:

    I. La disciplina degli effetti della chiusura della liquidazione giudiziale.

    I. La disciplina degli effetti della chiusura della liquidazione giudiziale

    I.La disciplina degli effetti della chiusura della liquidazione giudiziale

    1 Col decreto di chiusura cessa la procedura di liquidazione giudiziale: si riespande la capacità del debitore di compiere efficacemente atti di disposizione sul patrimonio (il debitore, con la chiusura, riacquista i diritti personali nonché la disponibilità e l’amministrazione dei beni che sussistono al momento della chiusura). La chiusura della liquidazione giudiziale determina anche il venir meno delle incapacità personali che gravavano sul debitore.

    2 I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni esecutive e cautelari e non sono più sottoposti al rigido principio di esclusività del procedimento di formazione del passivo. La chiusura della liquidazione giudiziale non implica, però, la liberazione del debitore dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura di liquidazione giudiziale, come stabilito dall’art. 237; questa liberazione (recte, inesigibilità) consegue soltanto - visto il disposto di cui all’art. 278 CCII - alla dichiarazione di esdebitazione. Con la chiusura della liquidazione giudiziale, i creditori possono iniziare o proseguire azioni revocatorie ordinarie.

    3 Le decisioni assunte nel procedimento di accertamento dello stato passivo non producono effetti fuori dal concorso; tuttavia, per ragioni di economia processuale, si è ritenuto (art. 237 CCII) di offrire al creditore ammesso la possibilità di utilizzare il provvedimento di ammissione come prova scritta ai sensi dell’art. 634 c.p.c. per ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti del debitore tornato in bonis.

    4 Decadono gli organi della procedura. Alla decadenza dall’incarico di curatore non sono però estranei ulteriori attività quali gli adempimenti fiscali, la consegna al debitore di eventuali attività residue, dei documenti e delle scritture contabili, la richiesta, a norma dell’art. 2655 c.c., dell’annotazione del decreto di chiusura a margine della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale; se al debitore sono restituiti beni immobili occorre procedere alla cancellazione della trascrizione della sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale. Con la chiusura della liquidazione giudiziale, il curatore decade dall’incarico e quindi perde la legittimazione processuale attiva e passiva che pure ritorna in capo all’ex debitore, salvi i casi della ficta chiusura.

    5 Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale non possono essere proseguite e il giudice della causa deve emettere una decisione in rito dichiarando l’improcedibilità della domanda; ciò non accade quando vi sia stata, nella fase di liquidazione dell’attivo, la cessione delle azioni revocatorie; in tal caso l’azione può proseguire; non diversamente, la regola dell’improseguibilità non si applica a quei giudizi che, pur promossi dal curatore, abbiano ad oggetto diritti che siano stati negoziati dal curatore ai sensi dell’art. 215 CCII.

    6 Così pure, tutti i giudizi pendenti divengono improseguibili se presuppongono necessariamente la pendenza della liquidazione giudiziale; per contro gli altri s’interrompono, ai sensi dell’art. 300 c.p.c. Il processo interrotto potrà essere riassunto nei confronti del debitore o dallo stesso proseguito rimanendo la competenza del giudice adito in base al principio della perpetuatio iurisdictionis; nel caso in cui venga introdotto un nuovo giudizio valgono le regole del diritto comune.

    7 Qualora all’atto della chiusura della procedura sia pendente un giudizio di reclamo contro la sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale, la legittimazione passiva rimane in capo al curatore; in caso contrario, attore e convenuto verrebbero a coincidere.

    B) Giurisprudenza:

    B)Giurisprudenza:

    I. Gli effetti della chiusura.

    I. Gli effetti della chiusura

    I.Gli effetti della chiusura

    1 Dopo la chiusura del fallimento per i motivi di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 118 l. fall., il debitore tornato in bonis riacquista comunque il potere di disporre del proprio patrimonio e di esercitare le azioni relative (anche se concernenti rapporti verso terzi anteriori all’apertura del fallimento), ove non sia stata disposta, per qualsiasi ragione, la riapertura del fallimento [C. V 26.2.2004, n. 3903, DPS 2005, 946; T. Bolzano 5.3.2020, n. 256, DeJure]. La chiusura del fallimento, ancorché intervenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 9.1.2006, n. 5, comporta il venir meno delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento, e ciò in virtù della sentenza della C. Cost. n. 39/2008, con cui è stata dichiarata l’illegittimità degli artt. 50 e 142 l. fall. (nel testo precedente al d.lgs. n. 5/2006, che ha abrogato tali istituti), nella parte in cui stabilivano che le incapacità del fallito, anziché arrestarsi con la chiusura del fallimento, perdurassero nel tempo sino alla concessione della riabilitazione [C. I 15.3.2013, n. 6651; C. I 26.2.2009, n. 4630, Fall 2009, 1477]. Nel giudizio di cassazione, così come è consentito al successore a titolo universale di una delle parti già costituite di proseguire il procedimento (atteso che l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie dello stesso), a maggior ragione deve ritenersi possibile la prosecuzione del processo iniziato dal curatore fallimentare da parte dell’imprenditore tornato “in bonis”, visto che la chiusura del fallimento, pur privando il curatore della capacità di stare in giudizio, non comporta una successione nel processo, bensì il mero riacquisto della capacità processuale in capo al soggetto già dichiarato fallito [C. s.u. 7.5.2021, n. 12154; C. III 23.9.2013, n. 21729].

    2 L’automatico scioglimento del contratto d’appalto rappresenta un effetto di diritto sostanziale conseguente alla dichiarazione di fallimento destinato a perdurare anche dopo la chiusura della procedura concorsuale, ove non intervenga una nuova convenzione tra le parti, dovendo escludersi un’automatica reviviscenza del contratto originario [C. I 9.7.1999, n. 7203, Fall 2000, 758].

    3 La chiusura del fallimento non implica la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare, come stabilito dall’art. 120 l. fall., il quale, prevedendo che i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore, anche per la parte dei loro crediti che non abbia trovato soddisfazione, sia per capitali che per interessi, implica la possibilità di far valere i crediti stessi nei confronti del debitore ritornato in bonis [C. VI 4.4.2019, n. 9511; C. 15.5.2003, n. 7563, I 2003, 1641; C. s.u. 26.11.1993, n. 11718]. In tema di fallimento, l’art. 120 l. fall. quando si riferisce agli interessi fa un evidente richiamo agli accessori maturati fino alla dichiarazione di fallimento, posto che la parte non soddisfatta del credito deve essere intesa come la parte di credito che non ha avuto soddisfazione secondo le regole concorsuali (si ricorda a tal fine che una procedura fallimentare poteva e può chiudersi ai sensi dell’art. 118 l. fall. senza che vi sia stata l’integrale soddisfazione del creditore). [T. Padova 17.3.2017, RG 2017]. In caso di fallimento del debitore opponente in pendenza del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c., il decreto ingiuntivo opposto è relativamente inefficace nei confronti della procedura fallimentare ma, se il giudizio di opposizione (interrotto per il fallimento del debitore) non viene riassunto, lo stesso decreto diviene definitivamente esecutivo e può essere fatto valere nei confronti del debitore ritornato in bonis, mentre l’ipoteca iscritta in forza di detto decreto si consolida, con la conseguenza che, ove il bene ipotecato venga acquistato da un terzo dopo l’iscrizione ipotecaria, il creditore garantito può agire nei suoi confronti ex art. 602 c.p.c., poiché l’ipoteca anteriormente iscritta attribuisce al creditore garantito il diritto di espropriare l’immobile ipotecato anche nei confronti del terzo acquirente [C. I 2.5.2022, n. 13810, GCM 2022]. La sopravvenuta chiusura del fallimento non determina l’improseguibilità delle azioni esercitate dal curatore che, come quelle di responsabilità spettanti alla società ed ai creditori sociali, sussistono anche al di fuori della procedura e non la presuppongono [C. I 14.3.2014, n. 6029, GCM 2014].

    4 La chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio, fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, e determina il subentro dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura del fallimento [C. II 26.6.2019, n. 17149]; ciò anche in ipotesi di fallimento di una società, la quale non si estingue per effetto della chiusura del fallimento (ove questa non avvenga per riparto o per inesistenza dell’attivo ma per concordato o per cessazione della massa passiva), ma riacquista la capacità di agire, pur trovandosi in stato di liquidazione; in tale ipotesi, per il periodo successivo alla chiusura del fallimento e fino a che la società non decida di proseguire la liquidazione con la procedura ordinaria, mediante la nomina di uno o più liquidatori, la rappresentanza dell’ente spetta ai suoi amministratori non cessati dalla carica per effetto del fallimento, limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione [C. VI 9.7.2013, n. 17008; C. I 23.4.2010, n. 9723, Fall 2010, 1463; C. III 30.9.2009, n. 20947, GComm 2011, II, 1049; C. 12.3.1984, n. 1688, Fall 1984, 1170].

    5 La chiusura del fallimento non rende improcedibile l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento ed il relativo giudizio continua in contraddittorio anche del curatore, la cui legittimazione non viene meno, in quanto in tale giudizio si discute se il debitore doveva essere dichiarato fallito, o meno, e, perciò, se lo stesso curatore doveva essere nominato al suo ufficio [C. I 8.2.2016, n. 2399, GCM 2016]. Nel caso di fallimento sottoposto al regime introdotto dal d.lgs. n. 5/2006, la sopravvenuta revoca o chiusura della procedura concorsuale rende improcedibile il giudizio di opposizione allo stato passivo per la sua natura endofallimentare, restando esclusa ai sensi dell’art. 120 l. fall. l’efficacia ultrafallimentare del provvedimento con il quale il credito è stato ammesso al concorso [C. I 9.8.2017, n. 19752, GCM 2017]. La sopravvenuta chiusura del fallimento comporta la cessazione della materia del contendere in ordine all’azione revocatoria ordinaria, esperita dal curatore ai sensi dell’art. 66 l. fall. la quale, non diversamente dalla revocatoria fallimentare, è destinata a produrre effetti non già solo a beneficio di singoli creditori, bensì indistintamente a vantaggio di tutti i creditori ammessi al concorso, con il corollario che il bene del quale il debitore si sia disfatto con l’atto oggetto di revoca è destinato ad essere appreso dalla curatela per poter essere poi sottoposto a vendita forzata nell’interesse della massa; il che non può accadere una volta che la procedura concorsuale si sia definitivamente conclusa (non rilevando, ovviamente, l’eventualità del tutto ipotetica di una successiva riapertura in presenza di una delle condizioni prevedute dall’art. 121 l. fall.), atteso che la chiusura del fallimento comporta la decadenza del curatore dalla sua funzione (art. 120, c. 1, l. fall.) e quindi non solo ne mina alla radice la legittimazione a stare in giudizio nell’interesse dei creditori del fallito (i quali riacquistano il libero esercizio delle azioni individualmente loro spettanti: art. 120 cit., c. 2), ma impedisce anche ogni prospettiva di apprensione e di messa in vendita, da parte del medesimo curatore, del bene oggetto dell’azione revocatoria [C. I 27.4.2011, n. 9386, Fall 2012, 233; C. I 6.10.2005, n. 19443, ivi, 2006, 602; C. I 16.7.1996, n. 6440, ivi, 1997, 255]. La pendenza della procedura concorsuale si configura come condizione di proseguibilità dell’azione revocatoria fallimentare, in quanto la declaratoria di inefficacia relativa dell’atto impugnato, cui essa è preordinata, ha come termini soggettivi, da un lato, le parti dell’atto, e, dall’altro, i creditori concorsuali costituiti in massa, sicché, ove la procedura si chiuda senza necessità di liquidare il bene oggetto dell’atto di disposizione, viene meno l’interesse ad ottenere la declaratoria, con la conseguente cessazione della materia del contendere [C. I 6.8.2014, n. 17709, GCM 2014]. La chiusura del fallimento ed il conseguente ritorno in bonis dell’impresa già dichiarata fallita consentono a quest’ultima la prosecuzione delle sole azioni che potevano essere promosse e che siano state avviate prima dell’apertura del fallimento, restando improcedibili tutti i giudizi che presuppongono in atto la procedura, che esprimono posizioni di interesse riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito e che possono essere riassunti (ove siano stati dichiarati interrotti) da chi vi abbia interesse, solo ai fini dell’emanazione di una pronuncia circa la loro improcedibilità e, in ogni caso, per provvedere alle spese processuali [C. I 29.2.2008, n. 5438, Fall 2008, 1168; C. App. Firenze 19.7.2022, n. 1510, DeJure]. La chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore, sicché il provvedimento emesso dagli organi fallimentari dopo la chiusura del fallimento è giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere e ogni interessato può farne valere l’inesistenza senza limiti di tempo, sia in via di eccezione, che con azione di accertamento, in quest’ultimo caso convenendo in giudizio, non gli autori dell’atto, ma i soggetti nella cui sfera giuridica esso ha prodotto i suoi effetti [C. II 14.12.2015, n. 25135, GCM 2015]. In tema di procedimento civile, la chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, determinando il subentrare dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura; tale principio peraltro, non vale per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c. sicché non è consentito il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c. di documenti attestanti la chiusura del fallimento [C. II 26.6.2019, n. 17149]. Ne consegue che, qualora in un giudizio di cassazione introdotto dalla curatela fallimentare sia stata ordinata l’integrazione del contraddittorio e nelle more sia sopravvenuta la chiusura del fallimento, all’esecuzione dell’ordine è legittimata solo la curatela (oltre che la sua controparte) e non anche il fallito tornato in bonis [C. III 18.4.2006, n. 8959, Fall 2006, 849]. In tema di giudizio di cassazione, sussiste la legittimazione processuale del curatore fallimentare se, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non sia ancora definitivo; così come nell’ipotesi in cui la legittimazione del curatore venga meno nella pendenza del giudizio, in quanto in esso non trovano applicazione gli artt. 299 e 300 c.p.c., né trova applicazione il principio generale secondo cui la chiusura del fallimento fa cessare la legittimazione processuale del curatore, con il conseguente subingresso del fallito, tornato in bonis, nei procedimenti pendenti al momento della chiusura [C. I 14.2.2019, n. 4514, GCM 2019]. La chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del già fallito nella disponibilità del suo patrimonio, con la relativa legittimazione processuale, comporta che lo stesso ex fallito subentri al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura del fallimento, il debitore tornato in bonis riacquista comunque il potere di disporre del proprio patrimonio e di esercitare le azioni relative (anche se riguardanti rapporti verso terzi anteriori all’apertura del fallimento) [C. I 6.3.1998, n. 2514, Fall 1999, 502; T. Brindisi 11.10.2017, n. 1664, DeJure]. Con la chiusura del fallimento e la conseguente decadenza degli organi fallimentari, il provvedimento con cui venga successivamente disposto il deposito di somme a garanzia di crediti deve ritenersi giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere, salvo che l’accantonamento sia stato disposto a garanzia di crediti già maturati alla data di chiusura della procedura concorsuale [C. II 31.7.2018, n. 20225, RDottComm 2018, 744].

    6 Dopo la chiusura del fallimento, anche se disposta senza integrale soddisfazione dei creditori, il fallito tornato in bonis riacquista la disponibilità dei diritti sorti prima della procedura e può dunque agire in giudizio per riscuotere i crediti pregressi, a nulla rilevando la mancata riapertura del fallimento [C. V 26.2.2004, n. 3903, FI 2004, I, 2455].

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