[1] Salvo quanto disposto per il caso di concordato, la procedura di liquidazione giudiziale si chiude:
a) se nel termine stabilito nella sentenza con cui è stata dichiarata aperta la procedura non sono state proposte domande di ammissione al passivo;
b) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione;
c) quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo;
d) quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Tale circostanza può essere accertata con la relazione o con i successivi rapporti riepilogativi di cui all’articolo 130.
[2] In caso di chiusura della procedura di liquidazione giudiziale di società di capitali, nei casi di cui al comma 1, lettere a) e b), il curatore convoca l’assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell’attività o della sua cessazione ovvero per la trattazione di argomenti sollecitati, con richiesta scritta, da un numero di soci che rappresenti il venti per cento del capitale sociale. Nei casi di chiusura di cui al comma 1, lettere c) e d), ove si tratti di procedura di liquidazione giudiziale di società e fatto salvo quanto previsto dall’articolo 234, comma 6, secondo periodo, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese.
[3] La chiusura della procedura di liquidazione giudiziale della società nei casi di cui alle lettere a) e b) determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell’articolo 256, salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di liquidazione giudiziale come imprenditore individuale.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. I casi di chiusura della liquidazione giudiziale - II. Gli adempimenti del curatore - III. I casi di cessazione della liquidazione.
I. I casi di chiusura della liquidazione giudiziale
I.I casi di chiusura della liquidazione giudiziale1 La chiusura della liquidazione giudiziale si verifica in quattro distinte ipotesi, analiticamente rappresentate nell’art. 233 CCII. La chiusura della liquidazione giudiziale provoca la cessazione della procedura, ma la cessazione della procedura deriva, anche, da due ulteriori fattispecie: (i) la liquidazione giudiziale cessa per conversione della procedura in quella di concordato di liquidazione; (ii) la cessazione della procedura consegue poi al passaggio in giudicato della sentenza di revoca della liquidazione giudiziale.
2 Le quattro fattispecie di chiusura rispondono a situazioni fra loro molto diverse. Il primo caso è quello della chiusura per mancata presentazione di domande di credito entro il termine fissato per il tempestivo deposito delle domande di ammissione al passivo (art. 233, lett. a, CCII). Se nei trenta giorni che precedono l’udienza per la formazione dello stato passivo nessuna domanda di ammissione è presentata, la liquidazione giudiziale deve essere chiusa in quanto si presume un sopravvenuto disinteresse dei creditori alla regolazione concorsuale del dissesto. Dato che - (i) non è necessaria la pluralità di creditori perché la liquidazione giudiziale venga dichiarata, che (ii) in sede pre-concorsuale non si accertano i crediti, che (iii) il creditore che da concorsuale vuol divenire concorrente deve necessariamente seguire il percorso del procedimento di accertamento del passivo, che (iv) la liquidazione giudiziale è una procedura esecutiva che mira a soddisfare i creditori - se non vi sono creditori che chiedono di essere soddisfatti è logico che la procedura si arresti. Cfr. [F697].
3 Il secondo caso pertiene all’integrale pagamento dei debiti di massa e dei crediti insinuati maggiorati degli interessi maturati. Tale risultato può essere ottenuto o con un realizzo dell’attivo superiore al passivo ammesso (prima del completamento della liquidazione) o per soddisfazione del ceto creditorio in via stragiudiziale con il ritiro delle domande di credito. Non assumono rilevanza le modalità di pagamento, purché i creditori siano pagati. Nell’ipotesi prevista dall’art. 233, lett. b), CCII, devono essere sospese le operazioni di liquidazione dell’attivo. La chiusura non è impedita dalla pendenza di un giudizio di opposizione allo stato passivo; il creditore opponente può essere garantito dalla predisposizione di un accantonamento quando abbia ottenuto un provvedimento provvisorio ai sensi dell’art. 227 CCII, ovvero può essere, provvisoriamente, soddisfatto se presta garanzia. Quanto ai creditori tardivi, la chiusura è consentita purché non sia stata preliminarmente accertata la non imputabilità del ritardo. Con riferimento ai crediti condizionali è necessario accantonare le somme dovute ai creditori ammessi con condizione sospensiva, mentre vanno pagati integralmente coloro che sono stati ammessi con condizione risolutiva. Cfr. [F698].
4 Il terzo caso di chiusura è quello fisiologico e più frequente nella pratica, ovverosia l’integrale ripartizione dell’attivo - non accompagnata dalla possibilità di acquisirne in futuro anche attraverso azioni giudiziarie. Cfr. [F699].
5 Quando la liquidazione giudiziale si presenta senza attivo da realizzare e risulta l’inutilità o l’inopportunità della sua prosecuzione, il curatore - esaurito l’accertamento del passivo - può procedere al deposito dell’istanza di chiusura. Anche nel caso di insussistenza di attivo (la norma parla di insufficienza di attivo) vanno effettuati tutti gli adempimenti propedeutici alla chiusura, quali rendiconto ed eventuale liquidazione del compenso al curatore. Cfr. [F700].
II. Gli adempimenti del curatore
II.Gli adempimenti del curatore1 Pure in tale caso vanno adempiuti i compiti essenziali del curatore; la chiusura della procedura va preceduta dalla relazione di cui all’art. 130 CCII, dalla discussione del conto di gestione ex art. 231 e dalla formazione dello stato passivo, a meno che il tribunale non abbia provveduto ex art. 209 CCII.
2 Nel caso di chiusura della liquidazione giudiziale di società con soci illimitatamente responsabili, la chiusura della liquidazione giudiziale sociale (per i casi di cui all’art. 233, lett. a e b, CCII) provoca automaticamente la chiusura della liquidazione giudiziale del socio a meno che non vi fosse stata una dichiarazione di liquidazione giudiziale del socio quale imprenditore individuale (è il caso in cui, dichiarata la liquidazione giudiziale di un imprenditore individuale, la liquidazione giudiziale sia poi stata “estesa” alla società di fatto successivamente rilevata). Sennonché, non v’è alcuna ragione di ritenere che nelle ipotesi di cui alle lett. c) e d) dell’art. 233 CCII, la sorte debba essere diversa, posto che se le ripartizioni sono esaurite o questa non può essere disposta per mancanza di attivo, la sopravvivenza della liquidazione giudiziale del socio non avrebbe alcun significato.
3 L’art. 233, c. 2, CCII stabilisce le regole da applicare in caso di chiusura della liquidazione giudiziale di una società di capitali. L’apertura della liquidazione giudiziale provoca lo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484, c. 7-bis, c.c., ma non ancora l’estinzione con cancellazione della società dal registro delle imprese e ciò a ragione dal momento che un conto è il caso della chiusura per insufficienza di attivo e altro conto è il caso di chiusura per mancato deposito delle domande di ammissione al passivo. In questa prospettiva, nei casi dell’art. 233, lett. a) e b), CCII, immediatamente dopo la chiusura il curatore convoca l’assemblea ordinaria dei soci affinché questi deliberino se riprendere l’attività o farla cessare definitivamente: sono, dunque, i soci a decidere quale debba essere la sorte della società-impresa.
4 Viceversa, nei casi dell’art. 233, lett. c) e d), CCII, l’esaurimento dell’attivo comporta la naturale cessazione dell’attività, talché il curatore dopo la chiusura chiede la cancellazione della società dal registro delle imprese, fermo restando quanto è previsto dall’art. 234 in tema di ficta chiusura.
III. I casi di cessazione della liquidazione
III.I casi di cessazione della liquidazione1 La procedura di liquidazione giudiziale cessa anche per altre due cause: (i) quando viene omologato il concordato di liquidazione; (ii) quando viene revocata la sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale. In ambedue i casi non è prevista l’applicazione del procedimento di chiusura perché la cessazione della liquidazione giudiziale deriva direttamente dal concordato o dalla revoca della sentenza; pur tuttavia si è previsto che il tribunale adotti tutte le disposizioni necessarie per attuare gli effetti della decisione.
2 Anche con la cessazione della procedura conseguente alla revoca della liquidazione giudiziale si determinano gli effetti indicati ed in particolare vengono meno i limiti ai diritti del debitore e dei creditori, così come decadono gli organi della procedura. Ancorché la revoca della sentenza debba per logica coerenza esplicare effetto ex tunc in modo da ripristinare compiutamente i diritti del debitore, il sistema ha scelto una soluzione diversa nel momento in cui l’art. 53, c. 1, CCII stabilisce che tutti gli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura conservano effetto.
3 Nel caso di cessazione della procedura a seguito dell’omologazione del concordato di liquidazione, gli effetti sulla liquidazione giudiziale sono diversi a seconda della proposta e a seconda di quale sia il grado di coinvolgimento degli organi della liquidazione giudiziale ed in particolare del curatore che vede trasformato il suo ruolo da amministratore del patrimonio del debitore a sorvegliante dell’adempimento del concordato (art. 249 CCII).
B) Frmule
B)FrmuleTRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: ………
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER LA CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 233, lett. a, CCII)
Ill.mo Signor Giudice Delegato
il sottoscritto ………, designato Curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe
PREMESSO
che nessuna domanda di ammissione al passivo risulta presentata nei termini di rito di cui all’art. 49 CCII;
che il rendiconto è stato approvato;
che sono state compiute tutte le operazioni richieste dalla legge;
CHIEDE
che la S.V. voglia riferire all’Ill.mo Tribunale perché dichiari la chiusura della liquidazione giudiziale ……… a norma dell’art. 233, lett. a), CCII
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: ………
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER LA CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 233, lett. b, CCII)
Ill.mo Signor Giudice Delegato
il sottoscritto ………, designato Curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe
PREMESSO
che come risulta dalle quietanze allegate, tutti i creditori ammessi sono stati integralmente soddisfatti prima dell’esecuzione del riparto finale; [che relativamente ai crediti oggetto dei giudizi allo stato pendenti, sono stati predisposti gli opportuni accantonamenti, secondo le direttive del Giudice Delegato];
che il rendiconto è stato approvato;
che sono stati predisposti i pagamenti del compenso del curatore e delle spese della procedura;
che sono state compiute le operazioni richieste dalla legge;
CHIEDE
che la S.V. voglia riferire all’Ill.mo Tribunale perché dichiari la chiusura della liquidazione giudiziale ……… a norma dell’art. 233, lett. b), CCII
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: ………
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER LA CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 233, lett. c, CCII)
Ill.mo Signor Giudice Delegato
il sottoscritto ………, designato Curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe
PREMESSO
che è stata compiuta la ripartizione finale dell’attivo in conformità del piano di riparto reso esecutivo in data ………, come risulta dalle quietanze allegate;
che il rendiconto è stato approvato;
che sono stati predisposti i pagamenti del compenso del curatore e delle spese della procedura;
che sono state compiute le operazioni richieste dalla legge;
CHIEDE
che la S.V. voglia riferire all’Ill.mo Tribunale perché dichiari la chiusura della liquidazione giudiziale ……… a norma dell’art. 233, lett. c), CCII
Allega: ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: ………
Curatore: ………
Sent. n.: ………
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ISTANZA PER LA CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 233, lett. d, CCII)
Ill.mo Signor Giudice Delegato
il sottoscritto ………, designato Curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe
PREMESSO
che la procedura non può essere utilmente continuata per mancanza assoluta di beni di proprietà del debitore, per non essere ravvisabili proficue azioni di recupero dei crediti e, comunque, per insufficienza di attivo;
che il rendiconto è stato approvato;
che sono state compiute le operazioni richieste dalla legge;
CHIEDE
che la S.V. voglia riferire all’Ill.mo Tribunale perché dichiari la chiusura della liquidazione giudiziale ……… a norma dell’art. 233, lett. d), CCII
Allega ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
C) Giurisprudenza:
C)Giurisprudenza:I. Le ipotesi di chiusura - II. L’ipotesi del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili.
I. Le ipotesi di chiusura
I.Le ipotesi di chiusura1 Il provvedimento di chiusura del fallimento per mancata presentazione di domande di ammissione al passivo, per il principio di universalità della procedura fallimentare che coinvolgendo l’intero patrimonio del debitore e l’intera massa dei creditori ne fa strumento irripetibile di liquidazione definitiva del dissesto accertato, preclude che possa essere riaperto il fallimento o dichiarato un nuovo fallimento su istanza di un creditore rimasto estraneo alla procedura con riferimento allo stesso dissesto [C. 4.3.1981, n. 1239, GComm 1981, II, 568]. Secondo l’ampia dizione dell’art. 18 l. fall., è legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento “qualunque interessato” e, perciò, ogni soggetto che ne abbia ricevuto o possa riceverne un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale [C. I 4.12.2012, n. 21681, Fall 2013, 994; C. I 14.10.2005, n. 20000]. Pertanto, seppure il fallimento sia stato chiuso per mancanza di domande di ammissione al passivo o per avvenuto pagamento dei creditori e delle spese di procedura, l’imprenditore fallito resta legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento, essendo in re ipsa il pregiudizio che questa infligge alla sua reputazione commerciale [C. VI 15.6.2018, n. 15782]. L’art. 118, c. 1, n. 1, l. fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quella letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla domanda tempestiva, il diritto all’insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101 l. fall.; viceversa l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima dell’adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva dell’art. 118, c. 1, n. 2, l. fall., nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine all’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare [C. I 16.5.2019, n. 13270, D&G 2019]. La chiusura del fallimento di una società disposta, per l’integrale avvenuto pagamento dei creditori ammessi, ai sensi dell’art. 118 l. fall., nel testo applicabile ratione temporis, non preclude l’adozione discrezionale di appositi accantonamenti in favore di creditori non ancora ammessi al passivo - per essere pendenti i relativi giudizi di opposizione allo stato passivo - mediante modalità di deposito stabilite dal giudice delegato che il curatore è tenuto ad attuare avvalendosi, ove in tal senso disposto dal medesimo giudice, degli strumenti contrattuali ritenuti più idonei. (Nella specie, il fallimento era stato dichiarato chiuso nel 1984 ed il curatore aveva stipulato un c.d. contratto di deposito in garanzia) [C. II 31.7.2018, n. 20225, GCM 2018]. La locuzione “giudizi” di cui all’art. 118, c. 2, l. fall., secondo cui “la chiusura della procedura di fallimento, quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo, non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale”, deve essere riferita a qualsiasi procedimento giudiziario, anche di natura esecutiva, individuale o concorsuale, finalizzato alla soddisfazione di poste attive del fallimento. Pertanto, il comma 2 dell’art. 118 l. fall. trova applicazione anche laddove il fallimento, compiuta la ripartizione finale dell’attivo, possa ancora ricavare soddisfazione dei propri crediti in conseguenza dei riparti che potrebbero essere eseguiti nell’ambito di una diversa procedura fallimentare in cui il credito sia stato ammesso o possa essere ammesso [T. Milano 22.3.2017, RG 2017]. Laddove il fallimento da cui si attende una soddisfazione delle ragioni del credito venga chiuso a norma dell’art. 118, c. 1, n. 3, l. fall., il curatore mantiene la legittimazione processuale e, nel caso di positiva conclusione dei procedimenti in corso, deve trattenere le somme ricevute a norma dell’art. 117, c. 2, l. fall. e successivamente procedere ad un riparto supplementare [T. Milano 22.3.2017, RG 2017]. La pendenza dell’insinuazione tardiva non impedisce la chiusura della procedura concorsuale, né ha effetto in ordine agli accantonamenti previsti dall’art. 113 l. fall. [C. s.l. 2.3.2020, n. 5680; C. I 7.12.2007, n. 25624, Fall 2008, 607; C. I 9.9.1995, n. 9506, GI 1997, II, 407; in senso contrario C. I 27.4.1998, n. 4259, Fall 1999, 590]. L’art. 118, c. 1, n. 1, r.d. n. 267/1942 non pone un termine di preclusione per eventuali domande tardive e, pertanto, non gli si deve attribuire alcuna natura decadenziale. La predetta norma configura, invece, una fattispecie di normale inutilità della pendenza della procedura, in carenza di domande; ma non esclude affatto la possibilità di prosecuzione, ove queste siano comunque presentate prima del decreto di chiusura e purché non sussistano altre condizioni per la cessazione della procedura concorsuale [C. I 15.2.2017, n. 4021, D&G 2017]. In presenza di una delle ipotesi previste dall’art. 118 l. fall., nessuna facoltà discrezionale è data agli organi fallimentari di protrarre la procedura, sicché quest’ultima, ricorrendo uno dei casi di cui al citato art. 118 l. fall., deve essere dichiarata nonostante la pendenza di giudizi di opposizione allo stato passivo o di dichiarazione tardiva di credito; la cognizione della corte d’appello in sede di reclamo, perciò, è limitata alla verifica della sussistenza di una delle predette ipotesi [C. I 13.7.2017, n. 17337; C. I 22.10.2007, n. 22105]. Non è censurabile e non è pertanto fonte di responsabilità il comportamento del curatore il quale, in pendenza di dichiarazione tardiva di credito, dia corso alla liquidazione finale dell’attivo e proceda alla chiusura del fallimento senza attendere la decisione sul credito né operare accantonamenti a favore del creditore tardivamente insinuato [C. I 28.8.1998, n. 8575, FI 1999, I, 919; C. I 9.9.1995, n. 9506, Fall 1996, 171]. La pendenza del termine per proporre impugnazione avverso i provvedimenti del tribunale fallimentare relativi al piano di riparto, alla revoca del curatore e alla approvazione del conto di gestione, non è ostativa alla chiusura del fallimento, spettando anche in tal caso agli organi fallimentari, nell’ambito del potere discrezionale di cui dispongono, apprezzare la convenienza, al fine della realizzazione delle finalità cui il fallimento e preordinato, di mantenere in vita la procedura in vista di un probabile incremento dell’attivo [C. I 10.8.2017, n. 19940, GCM 2017]. Il giudizio di ammissione allo stato passivo - nel caso di insinuazione tardiva - è controversia che trova nella procedura fallimentare il suo necessario presupposto e che quindi, con la chiusura del fallimento viene, inevitabilmente, a perdere la propria ragione d’essere, onde la sentenza che ha definito il giudizio di appello è stata inutiliter data [C. I 28.9.2004, n. 19394, I 2005, 297]. Il riacquisto della capacità processuale del fallito determinato dalla chiusura (o dalla revoca) del fallimento provoca l’interruzione dei processi in cui sia parte il curatore della procedura, per cui il giudizio ex art. 98 l. fall. può essere riassunto nei confronti del debitore tornato in bonis, o da lui proseguito, al fine di giungere all’accertamento giudiziale sull’esistenza, o meno, del credito di cui si era chiesta l’insinuazione, dovendosi ritenere irrilevante, la circostanza che le conclusioni del creditore continuino ad essere formulate in termini di ammissione al passivo, piuttosto che di condanna al pagamento dell’invocato credito, atteso che la domanda di insinuazione, inserendosi in un processo esecutivo concorsuale e tendendo all’accertamento del credito in funzione esecutiva mediante la sua collocazione sul ricavato dell’attivo fallimentare, ricomprende quella di condanna richiesta nel giudizio ordinario [C. I 30.3.2018, n. 7968; C. I 3.5.2017, n. 10722; C. VI 29.5.2013, n. 13337]. La chiusura del fallimento di una società per ripartizione finale dell’attivo od insufficienza tale da impedire l’utile continuazione della procedura, disposta ai sensi dell’art. 118 l. fall., previgente, applicabile ratione temporis, non ne determina l’estinzione, sia perché con essa non si produce indefettibilmente la definizione di tutti i rapporti che fanno capo alla società, sia perché si verifica, con la fine dello “spossessamento”, il riacquisto della libera disponibilità dei propri beni da parte del fallito [C. VI 23.6.2016, n. 13089; C. I 23.4.2010, n. 9723, Fall 2010, 1463]. La chiusura del fallimento non produce effetti interruttivi automatici sui processi in cui sia parte il curatore, perché la perdita della capacità processuale che ne consegue non si sottrae alla regola, dettata a tal fine dall’art. 300 c.p.c., della necessità della dichiarazione in giudizio da parte del procuratore dell’evento interruttivo [C. I 27.10.2016, n. 21742, GCM 2017]. Il fallimento di una società e dei suoi amministratori non determina il venir meno di questi ultimi, perché la società rimane in vita ed essi restano in carica, salva la loro sostituzione; ne consegue che, ove detta società ritorni “in bonis” a seguito della chiusura del fallimento, essa riacquista la propria ordinaria capacità, con tutti i conseguenti poteri di rappresentanza degli organi sociali [C. III 22.6.2016, n. 12879; C. III 30.9.2009, n. 20947, GComm 2011, II, 1046]. L’estinzione della società per effetto dell’obbligatoria cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 118, c. 1, n. 4, l. fall., a seguito di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo, determina il trasferimento degli eventuali crediti residui, che non siano stati realizzati dal curatore fallimentare, ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa, salvo che il mancato espletamento dell’attività di recupero consenta di ritenere che la società vi abbia già rinunciato prima dell’apertura della procedura concorsuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dei soci della società estinta, poiché l’esistenza del credito litigioso non era stata portata a conoscenza della curatela, dovendo ritenersi che esso fosse stato già tacitamente rinunciato dalla creditrice) [C. I 22.5.2019, n. 13921, GCM 2019].
II. L’ipotesi del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili
II.L’ipotesi del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili1 La chiusura del fallimento sociale determina la chiusura del fallimento dei singoli soci illimitatamente responsabili, a meno che questi risultino autonomamente e personalmente imprenditori individuali in stato di insolvenza [T. Torino 14.6.1991, GI 1992, I, 2, 88].