[1] Il curatore può cedere i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se oggetto di contestazione; può altresì cedere le azioni revocatorie concorsuali, se i relativi giudizi sono già pendenti.
[2] Per la vendita delle partecipazioni in società a responsabilità limitata si applica l’articolo 2471 del codice civile.
[3] In alternativa alla cessione di cui al comma 1, il curatore può stipulare contratti di mandato per la riscossione dei crediti.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. La cessione dei crediti
I.La cessione dei crediti1 Fra le cessioni in blocco, le più frequenti si rivelano quelle che riguardano i crediti e le azioni. Questo perché il legislatore identifica fra le attività da liquidare anche i crediti e le azioni, cioè il profilo dinamico di diritti sostanziali che potrebbero essere autonomamente cedibili. Il fatto che queste ‘utilità’ siano cedibili in blocco non esclude affatto che possano essere oggetto di trasferimento atomistico (art. 215 CCII).
2 Il curatore può cedere i crediti (esclusi quelli di cui all’art. 146 CCII, di natura strettamente personale del debitore), fra i quali i crediti di natura fiscale - nel rispetto della normativa di diritto tributario -, i crediti futuri e finanche i crediti in contenzioso. Quando il curatore decide di cedere un credito si applicano le norme di cui agli artt. 1260-1267 c.c.; il curatore può pattuire la cessione pro-solvendo o la cessione pro-soluto, soluzione quest’ultima decisamente preferibile perché solo in questo modo si asseconda la volontà di utilizzare questo strumento come un mezzo per giungere ad una più celere chiusura della liquidazione giudiziale. Diversamente, ove si preferisca la cessione pro-solvendo, la procedura deve rimanere aperta sino alla riscossione del credito da parte del cessionario, o quanto meno debbono essere costituite delle garanzie a favore del cessionario per le ipotesi in cui il credito non sia recuperato.
II. La cessione delle azioni
II.La cessione delle azioni1 L’art. 215 CCII prevede espressamente che il curatore possa cedere le azioni revocatorie concorsuali, purché pendenti. Si parla di cessioni di azioni revocatorie e non di cessioni di altre azioni ma anche le altre azioni sono cedibili. Il trasferimento della res litigiosa è ben consentito come dimostra l’art. 111 c.p.c., dal quale si ricava che il processo prosegue fra le parti originarie, il cessionario può intervenire e il cedente può essere estromesso; il curatore è già legittimato a trasferire le azioni (non solo quelle pendenti ma pure quelle che debbono essere radicate) in virtù della titolarità dei relativi diritti sostanziali.
2 La norma di cui all’art. 215 CCII precisa che non esiste un’analoga disponibilità da parte del curatore delle pretese che sorgono dalla liquidazione giudiziale e che non si concretano in diritti soggettivi ma in situazioni potestative; il curatore non può “negoziare” la pretesa revocatoria, ma se quella pretesa l’ha trasformata in una azione giudiziaria, allora è cedibile proprio l’azione. Questo vale per le azioni revocatorie concorsuali che debbono intendersi come tutte le azioni di cui agli artt. 163-170 CCII, comprese pertanto le azioni di inefficacia e le azioni revocatorie ordinarie coltivate dal curatore.
3 Quando oggetto di cessione è un’azione revocatoria concorsuale, se la domanda revocatoria viene respinta, nulla quaestio: il curatore ha incassato il prezzo della cessione, il convenuto non vede alterata la sua posizione e il terzo cessionario, soccombente, sopporta il rischio dell’alea contrattuale. Qualora, invece, la domanda revocatoria venga accolta diviene critica la posizione del terzo convenuto, il quale da un lato è tenuto alle restituzioni a favore del cessionario, ma dall’altro lato ha diritto di chiedere l’ammissione al passivo del credito che nasce dalla restituzione ai sensi dell’art. 171 CCII. Il convenuto in revocatoria, come un qualsiasi altro “terzo ceduto’ non può venire a trovarsi in una posizione deteriore, cioè privato del diritto di cui all’art. 171, solo perché il curatore decide di trasferire l’azione revocatoria; non possiamo pensare che la cessione dell’azione sia un modo per conculcare i diritti del terzo.
4 La soluzione che si può ipotizzare deve tener conto di due diverse alternative: se dopo la cessione dell’azione la procedura di liquidazione giudiziale, comunque, prosegue, il convenuto in revocatoria può fare ricorso al meccanismo di cui all’art. 171 CCII, e così non subisce alcun pregiudizio. Qualora dopo la cessione dell’azione il curatore proceda alla chiusura della liquidazione giudiziale, un’ammissione al passivo non è più prospettabile. Ed allora, se la liquidazione giudiziale si è chiusa, ormai la quota di riparto si è stabilizzata e così il convenuto può eccepire in compensazione proprio la quota che gli sarebbe spettata se gli fosse stato possibile insinuarsi al passivo. Il limite alla compensazione è rimosso perché la reciprocità di debiti e crediti è frutto della conseguenza generata dalla chiusura della liquidazione giudiziale.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. La cessione dei crediti
I.La cessione dei crediti1 Al principio secondo il quale la cessione dell’azione revocatoria deve, ai sensi dell’art. 124 l. fall., essere espressamente inserita nella proposta di concordato e recepita nella sentenza di omologazione consegue, da un canto, che, accanto al patto di cessione dell’azione stessa, debba necessariamente esistere un patto (assorbente e parallelo) relativo alla cessione dei beni oggetto dell’atto di cui viene chiesta la dichiarazione di inefficacia (che rappresenta anch’esso strumento necessario per l’adempimento del concordato) [C. III 6.11.2020, n. 24950]; dall’altro, che l’inclusione della cessione dell’azione revocatoria nel patto di concordato non possa ritenersi implicita tutte le volte che tale patto preveda la cessione dei beni, atteso che proprio la sua natura giuridica postula l’espressa menzione di una tale cessione [C. I 28.4.2003, n. 6587, Fall 2004, 533]. La cessione dell’azione revocatoria all’assuntore del concordato fallimentare non ha funzione strumentale ma liquidatoria, in quanto comporta, insieme con il trasferimento dell’azione, l’alienazione anticipata, da parte della massa fallimentare, del bene oggetto dell’atto revocando, subordinatamente all’esito positivo dell’azione medesima [T. Tivoli 27.5.2009, DeJure]; pertanto, l’azione revocatoria può essere proseguita dall’assuntore indipendentemente dalla circostanza che dalla liquidazione del restante patrimonio cedutogli consegua un ricavato sufficiente al pagamento della percentuale concordataria [C. 24.11.1981, n. 6230, GComm 1982, 2, 269]. L’art. 106 l. fall., nel testo anteriore alla novella del 2006, affida alla discrezionalità del giudice delegato la scelta delle forme della vendita, nonché le concrete modalità della stessa; ne consegue che il rilevante valore economico del bene non rappresenta un impedimento alla vendita ad offerte private né richiede necessariamente la fissazione di un prezzo minimo [C. I 12.1.2018, n. 662, GCM 2018; C. I 19.10.2007, n. 21090, Fall 2008, 97]. In caso di cessione autonoma dell’azione revocatoria, il convenuto soccombente ha diritto ad insinuare tardivamente solo l’importo interessato dalla procedura a titolo di prezzo di vendita e non l’ammontare effettivamente restituito all’acquirente [T. Saluzzo 7.7.2008, Fall 2009, 989].