[1] Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:
a) gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal debitore sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
b) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
c) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore per debiti preesistenti non scaduti;
d) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori per debiti scaduti.
[2] Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori.
[3] Non sono soggetti all’azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca; (1)
c) le vendite e i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo e aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
d) gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati. L’esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie su beni del debitore posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64-bis omologato e dell’accordo di ristrutturazione omologato e in essi indicati, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dal debitore dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione. L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria; (2)
f) i pagamenti eseguiti dal debitore a titolo di corrispettivo di prestazioni di lavoro effettuate da suoi dipendenti o altri suoi collaboratori, anche non subordinati;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza previsti dal presente codice (3).
[4] Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
(1) Lettera così modificata dall’art. 20, comma 1, lett. a), D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, a decorrere dal 15 luglio 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 42, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 147/2020.
(2) Lettera così modificata dall’art. 20, comma 1, lett. b), D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, a decorrere dal 15 luglio 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 42, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 147/2020, e, successivamente, dall’art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, a decorrere dalla medesima data del 15 luglio 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 51, comma 1, del citato D.Lgs. n. 83/2022.
(3) Lettera così modificata dall’art. 28, comma 1, lett. b), D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, a decorrere dal 15 luglio 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 51, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 83/2022.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. Le prestazioni sproporzionate - II. Gli atti anomali (o anormali) - III. (Segue) A) casistica - IV. Le garanzie - V. Atti a titolo oneroso e pagamenti - VI. (Segue) A) ulteriore casistica - VII. La posizione dei subacquirenti - VIII. La scientia decoctionis - IX. Il sistema delle esenzioni - X. (Segue) A) le esenzioni per garantire la continuità aziendale - XI. (Segue) B) le esenzioni a tutela degli accordi - XII. (Segue) C) le esenzioni equitative - XIII. (Segue) D) le esenzioni nei rapporti bancari - XIV. (Segue) E) le esenzioni delle leggi speciali - XV. Profili processuali.
I. Le prestazioni sproporzionate
I.Le prestazioni sproporzionate1 Fra gli atti inclusi nel periodo sospetto annuale troviamo i cc.dd. atti sproporzionati e cioè quelli in cui il debitore ha eseguito una prestazione che ha sorpassato quella del terzo di oltre un quarto. La fissazione di una soglia-limite oltre la quale scatta la presunzione - oltre un quarto - potrebbe rivelarsi contraddittoria rispetto al dichiarato intento di allentare la pressione revocatoria, posto che se le prestazioni sono squilibrate ma in misura inferiore al venticinque per cento, se si ricade nel semestre anteriore alla liquidazione giudiziale, il curatore potrà pur sempre dare la prova della scientia decoctionis del convenuto, mentre se accade il contrario, il regime probatorio si ribalta in danno della parte in bonis.
2 Di fronte ad un atto sproporzionato compiuto entro l’anno anteriore alla liquidazione giudiziale, il curatore che agisce in giudizio deve provare la lamentata sproporzione tra le prestazioni, in quanto fatto costitutivo della domanda. Per converso, la natura anomala dell’operazione induce il sospetto che il terzo fosse a conoscenza dello stato di insolvenza e dunque in tal caso il curatore si avvale della presunzione della scientia decoctionis, con onere del convenuto di dimostrare la non conoscenza.
3 Sul piano dell’elemento oggettivo dell’azione il convenuto in revocatoria potrebbe opporre la simulazione relativa del prezzo dimostrando il maggior prezzo dissimulato con documento di data certa anteriore alla liquidazione giudiziale che consenta di dimostrare non solo il pagamento in favore dell’imprenditore debitore del maggiore importo, ma anche il collegamento di tale versamento con l’atto revocabile.
II. Gli atti anomali (o anormali)
II.Gli atti anomali (o anormali)1 Sono impugnabili se compiuti nell’anno anteriore alla liquidazione giudiziale con onere della prova a favore del curatore per ciò che attiene alla scientia decoctionis, gli atti “anomali” (o anormali), anche se il legislatore ha poi confinato l’anomalia nei pagamenti o altri atti estintivi di debiti scaduti ed esigibili, fra i quali anche il pagamento effettuato per estinguere debiti non ancora scaduti all’epoca del loro soddisfacimento, purché aventi scadenza anteriore alla dichiarazione di liquidazione giudiziale.
2 L’anomalia è qualificata dal legislatore come utilizzo di strumenti per estinguere il debito diversi dal denaro e da altri mezzi normali. Il giudizio di normalità è un giudizio che va contestualizzato nel tempo, nello spazio ed anche con riguardo più nello specifico al settore merceologico di riferimento, nonché in relazione agli usi commerciali. Pertanto, tolto il denaro che resta sempre un mezzo normale di pagamento (salva, però, l’ipotesi in cui un collegamento negoziale determini l’anomalia del pagamento in denaro), per tutte le altre modalità di estinzione delle obbligazioni è necessario operare uno scrutinio del rapporto ed in particolare è necessario valutare se il mezzo anormale (tale apparente) era stato pattuito sin dalla costituzione del rapporto .
III. (Segue) A) casistica
III.(Segue) A) casistica1 Datio in solutum (art. 1197 c.c.), cioè la liberazione del debitore dalle proprie obbligazioni mediante l’esecuzione di una prestazione diversa da quella originariamente pattuita, purché si accerti che la prestazione perseguiva una finalità satisfattoria del debito del debitore; il convenuto soccombente in revocatoria è obbligato alla reintegrazione del patrimonio del debitore attraverso la restituzione del bene in natura, mentre nel caso in cui la restituzione materiale non sia possibile (ad es. per perimento del bene o per sua alienazione a terzo di buona fede), l’accipiens sarà tenuto al pagamento dell’equivalente pecuniario, secondo il valore del bene all’epoca della stipula del contratto revocato.
2 Mandato in rem propriam all’incasso di crediti nei confronti di un terzo con il conferimento della facoltà di utilizzare le somme incassate per l’estinzione, totale o parziale, di un debito verso il mandatario, anche se tale pattuizione è coeva al sorgere del rapporto principale.
3 Cessione di credito effettuata con finalità solutoria, fatto salvo il caso in cui la cessione di credito sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito con essa estinto, dovendosi precisare che oggetto della revocatoria è il contratto di cessione e non il pagamento effettuato dal debitore ceduto, con la conseguenza che per il computo del «periodo sospetto» occorre avere riguardo alla data della cessione del credito.
4 Compensazione volontaria se il pactum de compensando non era contenuto negli accordi contrattuali che hanno originato l’obbligazione estinta per compensazione.
IV. Le garanzie
IV.Le garanzie1 La sorte delle garanzie nell’ottica delle azioni revocatorie è molto articolata in quanto si incontrano ben tre differenti regimi (e implicitamente un quarto) applicabili alle garanzie costituite a titolo oneroso. Le garanzie che denotano maggiori sospetti sono quelle rilasciate quando il debito è già sorto ma non è ancora scaduto; sono le garanzie reali (pegni, ipoteche volontarie, anticresi) e personali (fideiussioni) non contestuali perché concesse per debiti preesistenti e non scaduti nell’anno anteriore alla liquidazione giudiziale; in tal caso sul creditore garantito grava l’onere della prova della inscientia decoctionis.
2 Le garanzie non contestuali ma rilasciate per debiti scaduti e si tratta di pegni, anticresi e ipoteche volontarie ma anche giudiziali; questa previsione dimostra che la funzione della revocatoria concorsuale è proprio quella di neutralizzare i vantaggi acquisiti dai creditori, visto che qui è revocato un atto che non è compiuto dal debitore; sono revocabili se compiute nei sei mesi prima della domanda di liquidazione giudiziale e sul creditore garantito grava l’onere della prova sulla inscientia decoctionis.
3 Le garanzie reali contestuali sono normalmente accessorie all’erogazione del credito e quindi non presentano aspetti di anomalia; per questo sono incluse fra gli atti a titolo oneroso, revocabili se concesse nei sei mesi anteriori alla domanda di liquidazione giudiziale, ma a causa della loro normalità grava sul curatore l’onere della prova della scientia decoctionis del creditore garantito; fra le garanzie, quelle costitutive di un diritto di prelazione e cioè pegni e ipoteche, sono assoggettate all’azione revocatoria anche se prestate per debiti di terzi, ciò che esclude che per esse si debba sindacare l’eventuale gratuità ai sensi dell’art. 163 CCII, nell’ambito del più complesso rapporto trilaterale con il creditore garantito e l’obbligato principale.
4 Le garanzie personali contestuali anche se prestate per debiti altrui si considerano a titolo oneroso; tuttavia, ove si postuli che nell’art. 2901 c.c. è fissata una presunzione solo relativa, si può dimostrare che la garanzia possa essere stata rilasciata a titolo gratuito.
V. Atti a titolo oneroso e pagamenti
V.Atti a titolo oneroso e pagamenti1 Il curatore fallimentare che agisce in revocatoria deve fornire la prova del fatto storico del compimento nel «periodo sospetto» dell’atto revocando, nonché dimostrare che il convenuto in revocatoria fosse a conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava il debitore successivamente sottoposto alla liquidazione giudiziale all’epoca dell’atto, senza poter beneficiare del regime delle presunzioni di scientia decoctionis previste dal comma 1 della norma.
2 La fattispecie più significativa è rappresentata dalla revocabilità dei pagamenti. La revocabilità riguarda il pagamento dei debiti liquidi ed esigibili in quanto tale e prescinde dall’eventuale revocabilità del rapporto contrattuale cui è correlato il pagamento e che, in ipotesi, potrebbe anche difettare dei presupposti di revocabilità. Viene in considerazione il pagamento in sé per cui la revocabilità non è esclusa neppure dalla nullità del negozio giuridico da cui trae origine il pagamento stesso. Ne consegue che il «periodo sospetto» deve essere calcolato con riferimento alla data in cui il creditore ha ottenuto il soddisfacimento e non a quello del negozio sottostante.
3 Proprio l’autonomia del pagamento giustifica il fatto che sono revocabili anche i cc.dd. pagamenti coattivi e cioè quei pagamenti che il creditore ha ricevuto in esito all’esperimento di procedimenti di espropriazione individuale mobiliari, immobiliari o presso terzi, posto che oggetto della revoca non è il provvedimento giurisdizionale con il quale viene assegnato al creditore l’importo, ma l’atto estintivo realizzato con il successivo e distinto pagamento effettuato mediante la riscossione del mandato di pagamento. Ed ancora, l’autonomia del pagamento rispetto al rapporto spiega perché sono revocabili i pagamenti effettuati a favore di imprese che operano in un mercato di monopolio legale.
4 Il pagamento effettuato dal terzo in favore del creditore del debitore è revocabile quando il terzo abbia utilizzato denaro del debitore, ovvero, avendo utilizzato denaro proprio, si sia rivalso con esito positivo sul debitore stesso prima della liquidazione giudiziale.
VI. (Segue) A) ulteriore casistica
VI.(Segue) A) ulteriore casistica1 Quanto agli altri atti a titolo oneroso, la casistica è molto frastagliata, perché sono revocabili: (i) gli atti di disposizione e in particolare tutti i negozi con i quali il debitore ha dismesso cespiti e valori patrimoniali; (ii) la risoluzione consensuale del contratto; (iii) la stipulazione di un contratto di affitto d’azienda e di un contratto di locazione (in questo caso se invece il curatore è subentrato nel contratto di locazione, non sono revocabili i pagamenti dei canoni scaduti); (iv) la stipulazione di un contratto di transazione; (v) il negozio dal quale è sorto un credito poi oggetto di compensazione, proprio per evitare - con la dichiarazione di inefficacia - che si generi l’effetto compensativo tollerato dall’art. 155 CCII .
VII. La posizione dei subacquirenti
VII.La posizione dei subacquirenti1 Tutti gli atti assoggettabili ad azione revocatoria sono impugnabili nei confronti della controparte del debitore, ma alla revocatoria concorsuale si ritiene esteso il principio per il quale sono attaccabili anche i successivi negozi stipulati dalla controparte con un terzo. Pertanto, è ammessa anche la revocatoria nei confronti dei cc.dd. subacquirenti.
2 Ciò nonostante, non si produce un effetto automatico di inefficacia nei confronti del subacquirente, la cui posizione è assoggettata alla disciplina dell’azione revocatoria ordinaria e, quindi, dell’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., che fa salvi i diritti subacquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede. Ne consegue che i subacquirenti a titolo oneroso da chi abbia acquistato dal debitore restano esposti all’esercizio dell’azione del curatore quando hanno acquistato in mala fede e subiscono l’effetto pregiudizievole dell’inefficacia dell’atto intervenuto fra il debitore ed il suo avente causa diretto e loro dante causa.
3 Il curatore deve offrire la prova della scientia decoctionis in capo al terzo subacquirente, nei cui confronti non sono applicabili i regimi presuntivi disciplinati dall’art. 166 CCII. La prova della malafede del subacquirente si individua nella consapevolezza della circostanza che l’atto di acquisto intervenuto fra il suo dante causa ed il debitore era revocabile ai sensi dell’art. 166 (mentre qualora il terzo si sia reso acquirente a titolo gratuito, in base al disposto di cui all’art. 2901, c. 1, n. 2, c.c., non rileva lo stato soggettivo di buona o di mala fede del terzo e l’inefficacia dell’originario atto traslativo è immediatamente operante nei confronti del subacquirente a titolo gratuito).
VIII. La scientia decoctionis
VIII.La scientia decoctionis1 Nell’azione revocatoria concorsuale, la revocabilità di un atto non può essere disposta se il terzo che la subisce non era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, poi posto in liquidazione giudiziale. La prova della scientia decoctionis, oggi, va reinterpretata nel senso che si deve dimostrare che il terzo era consapevole che nel momento in cui l’atto è stato compiuto l’impresa non era più in grado di operare in regime di continuità aziendale.
2 Il regime probatorio della scientia decoctionis è regolato diversamente per le fattispecie di revocatoria previste dal comma 1 e dal comma 2 dell’art. 166. Nelle ipotesi di revocatoria regolate dal comma 1 della norma, il curatore beneficia di una presunzione iuris tantum di conoscenza da parte del convenuto in revocatoria dello stato di decozione del debitore; competerà, pertanto, al convenuto fornire la prova della propria inscientia decoctionis.
3 Tale prova non può, peraltro, consistere nella dimostrazione di uno stato d’animo o di un mero convincimento sulla normalità della situazione economica dell’imprenditore, occorrendo invece la ricorrenza di circostanze esterne, oggettivamente riscontrabili, tali da indurre ragionevolmente detto convincimento in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza. La prova della inscientia decoctionis può essere fatta dipendere dalla prova della non conoscenza della qualità di imprenditore commerciale, ovvero di socio illimitatamente responsabile del debitore e quindi della sua assoggettabilità alla liquidazione giudiziale.
4 Quando è promossa l’azione revocatoria concorsuale dei pagamenti e degli altri atti disciplinati al comma 2 dell’art. 166, è onere della liquidazione giudiziale fornire la prova della conoscenza da parte del convenuto in revocatoria dello stato di insolvenza in cui versava il debitore successivamente in liquidazione giudiziale all’epoca del compimento degli atti impugnati. A differenza delle fattispecie regolate dal comma 1 della norma, in questo caso la curatela non beneficia di alcun regime probatorio presuntivo.
5 Nell’interpretazione ormai consolidata, anche nella giurisprudenza di legittimità, il dato testuale di cui al capoverso dell’art. 166 (laddove ci si riferisce all’onere per il curatore di fornire la prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza in cui versava il debitore) deve essere inteso nel senso che siffatto onere probatorio è soddisfatto ove sussistano anche solo elementi presuntivi attinenti la conoscenza dello stato di insolvenza, come è normale che sia essendo normalmente difficile fornire una prova diretta di uno stato soggettivo.
6 Si deve trattare di fatti obiettivi e di comportamenti di comune prudenza ed avvedutezza, da valutare secondo criteri di normale e ordinaria diligenza, idonei a dimostrare la conoscenza effettiva dello stato d’insolvenza e non la semplice conoscibilità. Nel corso degli anni si è venuto stratificando un catalogo di sintomi presuntivi così consolidato da divenire quasi un diritto consuetudinario; fra questi i più ricorrenti sono: (i) i protesti di titoli di credito in virtù del loro carattere di anormalità rispetto al normale adempimento dei debiti d’impresa; (ii) le procedure esecutive e i decreti ingiuntivi nei confronti del debitore ma solo quando riguardino la parte attinta dall’azione revocatoria, oppure quando l’azione sia rivolta nei confronti di creditori dotati di una organizzazione aziendale di non limitate dimensioni in grado di monitorare i propri debitori e sempre nei limiti, sempre più accentuati, della riservatezza nell’accesso ai registri di cancelleria; (iii) le risultanze del bilancio della società fallita, dati certamente eloquenti e oggi facilmente accessibili presso il registro delle imprese; (iv) le notizie di stampa che possono costituire utile indice rilevatore della conoscenza dello stato di insolvenza, pur dovendosi avere riguardo al luogo di pubblicazione ed alla diffusione territoriale delle notizie di stampa; (v) altri casi tipici sono rappresentati dalla conclusione di un concordato stragiudiziale (poi evidentemente non andato a buon fine), dall’ipotesi del legale della società fallita che ha assistito il debitore nel corso della procedura pre-concorsuale, dall’ipotesi della pretesa del creditore di essere pagato alla consegna della merce, dalla sospensione delle forniture.
IX. Il sistema delle esenzioni
IX.Il sistema delle esenzioni1 Se per le esenzioni inserite nel 2005 pare fossero identificabili alcune linee guida, disarticolate sono le esenzioni che compaiono nell’art. 166, c. 4, CCII e quelle stabilite nella legislazione speciale: talune rispondono ad esigenze di pubblico interesse, come accade per le esenzioni relative al pagamento di tributi e di contributi previdenziali; altre volte sono previste per agevolare la diffusione sul mercato di certi titoli (è il caso della cartolarizzazione); altre volte, più spesso, per favorire l’erogazione del credito in determinati comparti produttivi.
2 Poiché tutte le esenzioni sono collocate nell’art. 166, v’è da chiedersi se riguardino tutte le fattispecie di azioni revocatorie o solo alcune (in particolare quelle allocate nel comma 2). Il tenore della norma induce a ritenere che le esenzioni non si applichino alle fattispecie di inefficacia di cui agli artt. 163 e 164 CCII, mentre vi rientrano anche le fattispecie anomale di cui al comma 1 dell’art. 166 in quanto l’anomalia è solo il segnale della scientia decoctionis e non attiene alla particolare lesività dell’atto (salvo il n. 1).
3 Pertanto, le esenzioni coprono tutti i casi dell’art. 166, c. 1 e 2, e si estendono anche alla revocatoria ordinaria esercitata dal curatore, cioè quella che abbiamo qualificato come revocatoria ordinaria concorsuale. Al contrario, le esenzioni non funzionano quando la liquidazione giudiziale non viene dichiarata perché in tal caso non emergono le ragioni che giustifichino una pretermissione dei diritti del singolo creditore che non ha alcun altro mezzo per conservare (recuperandola) la garanzia patrimoniale.
X. (Segue) A) le esenzioni per garantire la continuità aziendale
X.(Segue) A) le esenzioni per garantire la continuità aziendale1 La prima esenzione (lett. a) rappresenta in modo emblematico il mito del primato delle ragioni dell’economia sulle ragioni del diritto e della teoria del going concern secondo la quale un’impresa “in continuità” è destinata a creare molta più ricchezza di quanto possa ricavarsi da una liquidazione concorsuale. V’è però che, al cospetto dell’esigenza primaria di assicurare certezza e stabilità ai traffici commerciali connessi ad una ordinaria gestione dell’impresa, la traslazione normativa ha generato una disposizione che non si armonizza pienamente con il principio della tutela della continuità imprenditoriale.
2 Infatti, gli atti protetti sono solo i pagamenti, purché vengano eseguiti nel contesto dell’attività d’impresa e se effettuati nei termini d’uso. Se la protezione concerne i pagamenti, l’esonero non sembra estensibile (nonostante qualche presa di posizione della dottrina sul punto) ai negozi stipulati dall’imprenditore; quindi, una vendita normale, resta soggetta alla revocatoria ai sensi del comma 2 dell’art. 166.
3 Il riferirsi all’attività d’impresa vuol significare che si deve trattare di pagamenti intervenuti mentre l’impresa è ancora operativa, a nulla rilevando che si tratti di pagamenti relativi a obbligazioni assunte in termini di coerenza con l’oggetto sociale. L’esenzione non sembra dunque potersi applicare al caso dei pagamenti effettuati durante la fase di liquidazione dell’impresa, né quando l’impresa sia, nei fatti, cessata. Anche i pagamenti effettuati dai soci dovrebbero essere esclusi dall’esenzione perché estranei all’impresa.
4 L’espressione nei termini d’uso è quella più oscura. Se, infatti, vi è sostanziale concordia in relazione al fatto che l’esenzione riguarda i pagamenti effettuati alla scadenza, minore consenso vi è in ordine alla tollerabilità del ritardo, come pure in relazione alle modalità dell’adempimento. In tale contesto il raffronto non va operato con i pagamenti con mezzi anormali, perché più ragionevolmente vi possono essere pagamenti effettuati con mezzi normali che pur tuttavia non possono beneficiare dell’esonero dalla revocatoria, in quanto non effettuati nei termini d’uso; termini d’uso che vanno rapportati alle pratiche commerciali in uso fra le parti. Fra i pagamenti protetti dalla lett. a), vanno inclusi quelli effettuati a favore della società di leasing secondo quanto previsto dall’art. 177 CCII.
5 Poiché la protezione concerne direttamente i pagamenti, se il curatore agisce per far dichiarare inefficace il negozio da cui dipende il pagamento, è chiaro che revocato il negozio, il pagamento diventa indebito e quindi l’esenzione dalla revocatoria torna a non essere più invocabile.
6 L’esenzione stabilita nella lett. f), si colloca a metà strada fra quelle che si giustificano nell’ottica della conservazione dell’impresa e quelle di stampo equitativo; riguarda i pagamenti effettuati a favore di dipendenti e altri collaboratori anche non subordinati. Il riferimento a «prestazioni di lavoro» consente di ricondurre all’esenzione il pagamento di stipendi e compensi, mentre lascia aperto il dubbio se l’esonero valga anche per il TFR e a maggior ragione per il pagamento di somme a favore del lavoratore subordinato a titolo variamente risarcitorio. L’espressione «collaboratori» è di incerta classificazione; si possono includere i professionisti, come i lavoratori autonomi, mentre assai più difficile è pensare di estendere il beneficio a quegli imprenditori che di fatto lavorino in esclusiva per un solo cliente.
XI. (Segue) B) le esenzioni a tutela degli accordi
XI.(Segue) B) le esenzioni a tutela degli accordi1 La concreta praticabilità dell’esenzione è condizionata da alcuni requisiti: (i) il piano di risanamento (anche quello di gruppo, v., art. 284 CCII) deve contemplare in modo dettagliato quali sono gli atti (atti, negozi, pagamenti, garanzie) che si debbono considerare esecutivi in funzione dell’attuazione del programma, in modo che di fronte all’azione revocatoria esercitata dal curatore si possa opporre che l’atto impugnato era inserito nelle previsioni del piano, fermo restando che nel giudizio revocatorio il giudice può sindacare una non corrispondenza del piano al modello di cui all’art. 56 CCII; tuttavia, (ii) l’esenzione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore, ovvero di dolo o colpa grave del debitore, purché si dimostri che al momento del compimento dell’atto il creditore fosse a conoscenza della mala fede del professionista o del debitore.
2 Gli accordi di ristrutturazione e i piani soggetti ad omologazione generano l’esenzione solo se omologati dal tribunale, mentre nel concordato non si esclude l’esenzione anche per atti anteriori; la norma fa riferimento sia (a) agli atti compiuti in esecuzione, ma anche (b) agli atti compiuti durante il procedimento, purché previsti nel piano e purché attuativi degli accordi, se posti in essere legalmente dopo il deposito della domanda di accesso nel registro delle imprese. Tali esenzioni, come riferito, si applicano anche alla revocatoria ordinaria promossa dal curatore.
3 Sempre con riferimento alla tutela delle soluzioni concordate, la lett. g) dell’art. 166, estende l’esenzione ai pagamenti effettuati in prossimità della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi allo scopo di potervi accedere; si ha riguardo sia ai compensi dei professionisti, sia ai crediti dei fornitori di servizi essenziali.
4 Alle esenzioni indicate nell’art. 166 CCII si giustappongono quelle di cui all’art. 24 CCII che hanno uno spettro applicativo “mobile”. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall’imprenditore durante la composizione negoziata sono esonerati dall’azione revocatoria ma solo se si tratta di atti “normali” (art. 166, c. 2, CCII), perché se la fattispecie ricade nell’art. 166, c. 1, la revocatoria resta esperibile. Ritorna ad essere esperibile anche la revocatoria di cui al comma 2, se il pagamento o l’atto di straordinaria amministrazione non sono stati condivisi dall’esperto che ha fatto iscrivere il proprio dissenso dall’operazione, oppure non sono stati autorizzati dal tribunale.
XII. (Segue) C) le esenzioni equitative
XII.(Segue) C) le esenzioni equitative1 L’esenzione di cui alla lett. c) presenta tratti marcatamente equitativi. Si vuole infatti tutelare chi ha acquistato un immobile destinato ad abitazione principale e lo ha fatto corrispondendo un giusto prezzo; in sostanza si vuole offrire una garanzia alla conservazione del “diritto alla casa”, laddove sia sottoposto a liquidazione giudiziale il venditore (che spesso è il costruttore). L’esenzione concerne sia gli atti di compravendita che i contratti preliminari, anche se in questo caso nei limiti in cui il preliminare sia stato trascritto e la trascrizione produca ancora efficacia ex art. 2645-bis c.c.
2 Occorre che l’immobile (i) abbia una destinazione ad uso abitativo e deve trattarsi dell’abitazione principale destinata al compratore stesso, ad un suo parente o affine entro il terzo grado, oppure che (ii) sia destinato a costituire la sede dell’impresa, sempre che l’attività sia in corso o siano stati effettuati investimenti per l’inizio. Occorre che il prezzo di acquisto (o del preliminare), sia giusto; in tal caso vale l’esenzione, mentre se il prezzo non è “giusto”, ma neppure sproporzionato (cioè in misura inferiore al quarto), l’atto resta revocabile ai sensi del comma 2.
3 Quanto al profilo temporale per la valutazione della congruità del prezzo, nell’ottica di tutela del “diritto alla casa” si comprende la scelta di retrodatarla al momento della stipulazione del contratto preliminare; ciò purché il contratto preliminare sia munito di data certa anteriore alla liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 2704 c.c. Se l’art. 2645-bis c.c. stabilisce che i contratti preliminari aventi ad oggetto edifici da costruire o in corso di costruzione devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, è evidente che i contratti privi di tali formalità non devono essere trascritti, talché continua ad essere legittima la stipulazione del contratto preliminare di bene immobile in forma scritta ma senza alcuna formalità.
4 Orbene, ancorché la forma scritta sia libera, poiché il curatore quando agisce ai sensi dell’art. 166 CCII assume, pacificamente, la posizione di terzietà, possono essergli opposte solo le scritture private munite di data certa anteriore alla liquidazione giudiziale. In tale contesto il prezzo indicato nel preliminare può essere valutato ai fini del giudizio comparativo per stabilire il «giusto prezzo» solo se risultante da scrittura munita di data certa.
XIII. (Segue) D) le esenzioni nei rapporti bancari
XIII.(Segue) D) le esenzioni nei rapporti bancari1 La ragione dell’esenzione delle rimesse dalla revocatoria va colta nel fatto che la banca nel rapporto di conto corrente agisce anche come mandatario del cliente e svolge un servizio nell’interesse del correntista e dei terzi. Ciò significa che meritano un trattamento agevolato tutte quelle operazioni nelle quali la banca opera come mandataria del cliente e tale scelta è coerente con una visione unitaria del conto corrente, visione che si contrappone a quella atomistica.
2 Ogni rimessa che, anche indirettamente, risulta effettuata in funzione dell’operatività del conto corrente non va dunque imputata alla banca come atto estintivo di una obbligazione ma va qualificata come atto neutrale almeno sino a quando non risulta che sia affluita allo scopo di ridurre le pretese della banca.
3 Gli accreditamenti divengono veri e propri pagamenti quando riducono l’esposizione debitoria e ciò accade: (a) perché il conto è scoperto per essere stato superato il limite dell’affidamento o per essere il conto non affidato; (b) perché il conto non reagisce più come rapporto di dare-avere essendosi trasformato in un saldo (in un credito). Tuttavia, la rimessa si trasforma in pagamento sub (a) e (b) solo quando abbatte il debito in maniera durevole.
4 L’uso del termine «durevole» va diversamente modulato a seconda che riguardi, o no, l’ipotesi sub a); se si riferisce alle rimesse extra-fido, la riduzione non è durevole, se: (i) l’andamento del conto, pur presentando un saldo superiore all’affidamento, è continuamente o periodicamente movimentato con operazioni sia in dare che in avere; (ii) il saldo del conto è apparentemente oltre il limite ma sol perché non sono computati a favore del correntista accrediti provenienti da terzi che debbono essere verificati; di fatto si assiste al ritorno alla teoria del “saldo contabile”, certamente più favorevole alla banca ed “economicamente” più coerente con le dinamiche del rapporto; (iii) vi è sequenza di operazioni di segno diverso nella stessa giornata; (iv) gli accrediti sono effettuati in funzione di successivi prelievi pur quando non vi sia né identità di importo, né contestualità delle operazioni. Se si riferisce alle rimesse intra-fido, la riduzione è durevole, se: (i) dopo un accreditamento non vi sono operazioni in addebito o queste riguardano solo voci quali ‘spese, interessi, commissioni; (ii) dopo uno o più accreditamenti vi sono solo operazioni in addebito munite di contestuale copertura.
5 L’espressione durevole non equivale a «definitivo», il che esclude che alla riduzione non possano seguire, sebbene distanziati nel tempo, altri addebiti. La scelta di considerare solutorie le rimesse che abbattono il debito per un periodo non transitorio ha il pregio di voler valorizzare il contratto di conto corrente come rapporto di durata, nel quale spesso le singole operazioni lasciano il passo ad una strategia di utilizzo del credito che una visione atomistica certamente penalizza. La possibilità di valutare ciò che è accaduto con una visione ex post, consente anche di considerare revocabili rimesse che prima non lo erano (quelle su conto passivo), visto che si sosteneva come i presupposti per la revocabilità della rimessa dovessero sussistere sin dal momento della operazione di accredito.
XIV. (Segue) E) le esenzioni delle leggi speciali
XIV.(Segue) E) le esenzioni delle leggi speciali1 Le esenzioni collocate nel comma 4 dell’art. 166 si riconducono in generale alla tutela della funzione creditizia, ma poi si disperdono in molte tracce, volta che il rinvio alle leggi speciali lascia aperto il fronte dell’esenzione alle scelte politiche del legislatore.
2 Le esenzioni speciali più significative sono: (i) le operazioni che coinvolgono l’istituto di emissione (Banca d’Italia); (ii) le operazioni di credito su pegno così dovendosi intendere quelle effettuate dai soli istituti istituzionalmente organizzati ed autorizzati a compiere operazioni di prestito su pegno in base alla disciplina di cui all’art. 32, l. n. 745/1938 e dall’art. 60, r.d. n. 1297/1939; (iii) operazioni di credito fondiario poste in essere da qualunque istituto di credito, purché nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 39, t.u. n. 385/1993; (iv) l’esenzione per le imprese di credito artigiano di cui all’art. 40, c. 1, l. n. 949/1952; l’esenzione per gli istituti di credito autorizzati, in base all’art. 20, l. n. 623/1959, all’erogazione di finanziamenti destinati ad incentivare la piccola e media industria, quando il finanziamento interviene allo scopo di incentivare i settori produttivi considerati dalla legge stessa; (v) l’esenzione prevista dall’art. 6, l. n. 52/1991 recante la disciplina della cessione dei crediti di impresa, per i pagamenti compiuti dal debitore ceduto al cessionario; (vi) l’esenzione di cui al d.lgs. n. 538/1992 dei pagamenti effettuati in favore di imprese fornitrici di prodotti galenico-sanitari; (vii) l’esenzione particolare per operazioni di «cartolarizzazione» dei debiti (art. 4, l. n. 130/1999); (viii) i pagamenti disposti a favore di enti previdenziali; (ix) i pagamenti a favore dell’amministrazione finanziaria per debiti d’imposta dirette e indirette .
XV. Profili processuali
XV.Profili processuali1 In base al disposto di cui all’art. 32 la competenza spetta in via esclusiva ed inderogabile al tribunale che ha dichiarato aperta la liquidazione giudiziale mentre, in ipotesi di azione revocatoria promossa da una liquidazione giudiziale nei confronti di altra procedura di liquidazione, deve ritenersi che sia territorialmente competente il tribunale che ha dichiarato la liquidazione giudiziale attrice.
2 Quando l’azione revocatoria è promossa nei confronti di convenuto non domiciliato o residente in Italia, la giurisdizione del giudice italiano (atteso che, in base all’art. 3, c. 2, l. n. 218/1995, la liquidazione giudiziale rientra fra le materie escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles 27.9.1968, e così pure in base al reg. UE 1215/2012), sussiste in base ai criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio.
3 Per quanto non risulti essere mai stata praticata, non sembra che vi siano ostacoli formali per escludere che la lite revocatoria sia devoluta in arbitri in quanto, in assenza di un espresso diniego, la controversia non ha per oggetto diritti indisponibili e quindi l’arbitrato è consentito, non risultando certo decisiva, in contrario, la competenza esclusiva del tribunale concorsuale.
4 La legittimazione attiva compete in via esclusiva al curatore che, in relazione ai fatti dedotti in giudizio, assume la posizione di terzo con le ovvie conseguenze sul fronte della opponibilità degli atti (v. art. 2704 c.c.). In ipotesi di liquidazione giudiziale del socio illimitatamente responsabile, attivamente legittimato all’esercizio dell’azione revocatoria contro atti posti in essere dal socio, oltre al curatore della sua liquidazione giudiziale personale, è anche il curatore della liquidazione giudiziale sociale. Cfr. [F501] [F502] [F503] [F504] [F505] [F506] [F507].
5 Quanto alla legittimazione passiva, questa spetta solo a chi ha beneficiato dell’atto soggetto a revoca (ed eventualmente al subacquirente), per cui il debitore non è parte in causa. Il contraddittorio può essere più ampio perché i creditori concorrenti sono legittimati a spiegare intervento (ma solo nella forma adesiva dipendente).
6 L’interesse ad agire del curatore è individuabile nel pregiudizio che l’atto da revocare arreca alla massa concorsuale per cui il fatto che il pagamento abbia soddisfatto un credito assistito da un privilegio di primo grado, non consente di escludere di per sé la sussistenza del pregiudizio, che può essere accertata solo avendo riguardo alla mancanza di crediti poziori.
7 Quanto al merito del processo e dunque all’oggetto dell’azione, le fattispecie di revocatoria concorsuale disciplinate al comma 1 ed al comma 2 dell’art. 166 sono distinte ed autonome tra loro, dando luogo a differenti domande che, pur potendo essere caratterizzate dal medesimo petitum, si fondano su diverse causae petendi. Ne consegue che il passaggio dall’una all’altra della fattispecie di revocatoria costituisce una domanda nuova e non una mera emendatio, impedendo la modifica della domanda in corso di causa ai sensi dell’art. 183 (riformulato nell’art. 171-ter a far data da giugno 2023) c.p.c. Questo non esclude che, fermi i fatti storici, si possa assistere ad una «riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice».
8 L’affermata natura costitutiva dell’azione revocatoria concorsuale induce a ritenere non praticabili le ordinanze anticipatorie di condanna di cui agli artt. 186-ter e 186-quater c.p.c., mentre c’è spazio per l’ordinanza di cui all’art. 186-bis c.p.c. in quanto l’azione revocatoria è sì costitutiva ma non necessariamente costitutiva. Nella stessa prospettiva acceleratoria va considerato certamente utilizzabile il procedimento dichiarativo semplificato di cui all’art. 702-bis (ora riformulato negli artt. 281-decies ss., a far data da giugno 2023) c.p.c.
9 Sempre dalla natura costitutiva dell’azione revocatoria concorsuale si fa discendere che la sentenza di accoglimento della domanda non potrebbe produrre effetti sino al suo passaggio in giudicato; tesi dibattuta e controvertibile ove si assuma che tutte le sentenze costitutive possano essere immediatamente produttive di effetti, e a maggior ragione quelle che contengono anche un capo accessorio di condanna, come spesso può capitare per le revocatorie di pagamenti. Cfr. [F508] [F509] [F510] [F511] [F512] [F513] [F514] [F515] [F516].
10 L’azione revocatoria concorsuale non riporta la proprietà del bene al debitore ma fa sorgere un vincolo di destinazione sul bene. Pertanto, ancorché non si sia in presenza di una controversia sulla proprietà, sussistono le condizioni perché sia accessibile la misura cautelare del sequestro giudiziario (art. 166 c.p.c.), le quante volte occorra provvedere alla gestione del bene durante il corso del processo; infatti, una controversia sulla destinazione del bene, all’esito dell’azione, non può essere negata.
11 Con la cessazione della procedura di liquidazione giudiziale, poiché la revocatoria concorsuale ha la funzione di redistribuzione concorsuale, per coerenza il processo dovrebbe cessare; così accade e l’azione diviene improseguibile, salvo che non sia stata oggetto di cessione a terzi (art. 215 CCII) o di trasferimento al terzo che propone il concordato di liquidazione; infatti, le azioni revocatorie (rientranti nella più ampia nozione di azioni di massa, v. art. 240 CCII) possono essere cedute a favore del proponente che sia un terzo o un creditore, se già autorizzate e possono essere trasferite durante la procedura concorsuale, se il giudizio è già pendente, secondo quanto previsto dall’art. 215 CCII, divenendo un cespite da liquidare che va menzionato nel programma di liquidazione (art. 213 CCII).
B) Frmule
B)FrmuleLuogo, data
Spett……….
Raccomandata a.r. (o a mezzo PEC)
Liquidazione giudiziale ……… R.G. LG ………
Dall’esame della contabilità della società debitrice risulta che la stessa ha provveduto ad effettuare in Vostro favore i pagamenti in calce indicati.
Poiché tali rimesse sono intervenute nel semestre antecedente la liquidazione giudiziale/alla domanda di ammissione al concordato preventivo (sentenza depositata
il ………, su ricorso depositato il ………), le somme da Voi percepite sono revocabili ai sensi dell’art. 166 CCII.
Per quanto sopra, Vi invito a rimettermi l’importo totale indicato in calce, a mezzo assegni circolari non trasferibili intestati alla presente Procedura di liquidazione giudiziale ovvero a mezzo bonifico bancario sul c/……… intestato al Liquidazione giudiziale presso la Banca ……… IBAN ………
Nulla pervenendomi entro il termine di 15 giorni dalla data odierna, mi vedrò costretto ad inoltrare istanza al Giudice Delegato per l’autorizzazione ad agire in giudizio, con evidente aggravio di spese a Vostro carico.
Distinti saluti
Il curatore ………
Luogo, data
Spett……….
A mezzo PEC
Liquidazione giudiziale ……… R.G. LG ………
Nella mia qualità di Curatore della Procedura di Liquidazione giudiziale indicata in oggetto, Vi segnalo che, sulla base delle movimentazioni riscontrate sul c/c n………. nel periodo dal ……… al ……… semestre anteriore alla domanda di ammissione dell’impresa alla Procedura di Concordato Preventivo - al ricorso ……… cui è seguita la sentenza di Liquidazione giudiziale], la società debitrice Vi ha versato la complessiva somma di euro ………
Trattandosi di pagamenti revocabili ex art. 166, c. 3, lett. b), CCII, in quanto connotati dal requisito della durevolezza, ed essendo indubbia, da parte Vostra, la conoscenza dello stato di insolvenza in cui all’epoca già si trovava la ………, rimango in attesa della restituzione del suddetto complessivo importo di euro ………, oltre interessi.
Vi avverto che, trascorsi inutilmente quindici giorni dal ricevimento della presente, la scrivente Procedura ricorrerà alle vie legali senza ulteriori avvisi.
Con espressa riserva di agire per eventuali ulteriori risultanze contabili.
Distinti saluti
Il Curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE AD AGIRE IN REVOCATORIA EX ART. 166, C. 1, LETT. A), CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,
ESPONE
quanto segue:
- la società ……… ha venduto in favore di ……… nell’anno antecedente il deposito del ricorso……… cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale, i seguenti beni:
- ………, per euro ……… in data ………
- ………, per euro ……… in data ………
- ………, per euro ……… in data ………
- tali atti dispositivi sono intervenuti nel periodo sospetto (la sentenza di liquidazione giudiziale è del ………e il ricorso che l’ha preceduta è stato depositato in data………) e sembrano revocabili ai sensi dell’art. 166, c. 1, lett. a), CCII, in quanto il prezzo incassato dall’impresa debitrice è di gran lunga inferiore (ben oltre il ¼) al valore di mercato del bene al momento della stipulazione del negozio come si ricava dalla stima effettuata da ……… che ha valutato i beni
- parte acquirente ……… ha contestato la richiesta del curatore di restituzione dei beni sopra specificati, non ritenendo sussistere i presupposti per la revoca;
- poiché, a parere del sottoscritto, la richiesta di restituzione appare fondata;
Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto
FA ISTANZA
perché la S.V. Ill.ma, ravvisatane l’opportunità, voglia autorizzare l’azione ex art. 166, c. 1, lett. a), CCII nei confronti di ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il Curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE AD AGIRE IN REVOCATORIA EX ART. 166, C. 1, LETT. B), CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,
ESPONE
quanto segue:
- la società ……… ha ceduto in favore di ……… nell’anno antecedente il deposito del ricorso……… cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale, i seguenti beni:
- ………, per euro ……… in data ………
- ………, per euro ……… in data ………
- ………, per euro ……… in data ………
- in verità tali atti dispositivi, che sono intervenuti nel periodo sospetto (la sentenza di liquidazione giudiziale è del ………e il ricorso che l’ha preceduta è stato depositato in data………), sono stati effettuati allo scopo di estinguere i debiti che la debitrice aveva nei confronti di ………, e vanno considerati come una datio in solutum ovverosia un mezzo anomalo di pagamento; sembrano dunque revocabili ai sensi dell’art. 166, c. 1, lett. b), CCII;
- il creditore ……… ha contestato la richiesta del curatore di restituzione dei beni sopra specificati, non ritenendo sussistere i presupposti per la revoca;
- a parere del sottoscritto, la richiesta di restituzione appare fondata e qualora non fosse possibile la restituzione, dovrebbe essere corrisposto il controvalore di euro ………;
Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto
FA ISTANZA
perché la S.V. Ill.ma, ravvisatane l’opportunità, voglia autorizzare l’azione ex art. 166, c. 1, lett. b), CCII nei confronti di ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il Curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
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LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE AD AGIRE IN REVOCATORIA EX ART. 166, C. 2, CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,
ESPONE
quanto segue:
- la società ……… ha effettuato in favore di ……… i seguenti pagamenti nel semestre antecedente il deposito del ricorso……… cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale:
- euro ……… in data ………
- euro ……… in data ………
- euro ……… in data ………
- essendo tali versamenti intervenuti nel periodo sospetto (la sentenza di liquidazione giudiziale è del ………e il ricorso che l’ha preceduta è stato depositato in data………), e pertanto revocabili ai sensi dell’art. 166 CCII, in quanto effettuati con modalità di pagamento diverse da quelle precedentemente adottate in esecuzione di un piano di ripianamento di debiti per forniture, il sottoscritto ha inviato alla ……… raccomandata in data ……… per richiederne la restituzione;
- la ……… ha contestato la richiesta di restituzione degli importi sopra specificati, non ritenendo sussistere i presupposti per la revoca;
- a parere del sottoscritto, la richiesta di restituzione appare fondata per le seguenti considerazioni:
………
la scientia decoctionis sembra provata dal fatto che, al momento del pagamento ………
FA ISTANZA
perché la S.V. Ill.ma, ravvisatane l’opportunità, voglia autorizzare l’azione ex art. 166, c. 2, CCII nei confronti di ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il Curatore ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
***
ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE AD AGIRE IN REVOCATORIA EX ART. 166, C. 3, LETT. B), CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe
ESPONE
quanto segue:
- la società ……… ha effettuato in favore della banca ……… nel semestre antecedente il deposito del ricorso……… cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale diverse rimesse sul c/c n……….; in particolare le rimesse appaiono connotarsi per durevolezza (dopo le rimesse il conto non è stato movimentato per ………):
- euro ……… in data ………
- euro ……… in data ………
- euro ……… in data ………
- essendo tali rimesse intervenute nel periodo sospetto (la sentenza di liquidazione giudiziale è del ………e il ricorso che l’ha preceduta è stato depositato in data ………) e pertanto revocabili ai sensi dell’art. 166 l. fall., il sottoscritto ha inviato alla ……… lettera di diffida a mezzo PEC in data ……… per richiederne la restituzione;
- la ……… ha contestato la richiesta di restituzione degli importi sopra specificati, non ritenendo sussistere i presupposti per la revoca, assumendo………;
- a parere del sottoscritto, la richiesta di restituzione appare fondata per le seguenti considerazioni:
………
la scientia decoctionis sembra provata dal fatto che, al momento del pagamento,
………
………
Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto
FA ISTANZA
perché la S.V. Ill.ma, ravvisatane l’opportunità, voglia autorizzare l’azione ex art. 166, c. 3, lett. b), CCII nei confronti di ………
Con osservanza
Luogo, data ………
Il Curatore ………
IL GIUDICE DELEGATO
Vista l’istanza del curatore;
viste le considerazioni svolte e i documenti allegati;
ritenuto che le descritte operazioni revocabili meritano di essere sottoposte al vaglio del giudice competente;
AUTORIZZA
il curatore a promuovere il giudizio ai sensi dell’art. 166, c. [1 - 2] CCII
………
Luogo, data ………
Il Giudice delegato………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
ATTO DI CITAZIONE EX ART. 166 CCII
La liquidazione giudiziale ……… (Codice Fiscale ………), in persona del Curatore, ………, in forza di decreto di autorizzazione dal Giudice Delegato del Tribunale di ………, dott………., in data ………, rappresentato e difeso in virtù di delega a margine
del [in calce al] presente atto, dall’avv………. e con domicilio eletto presso il suo studio in ………
ESPONE
A. Con sentenza n………. R.G. LG, depositata in data ………, il Tribunale di ……… ha dichiarato la liquidazione giudiziale di ………, nominando Giudice Delegato il dott………. e Curatore ………
B. Dalla verifica della documentazione in possesso della Società debitrice, è stato possibile appurare che in data ……… ……… in bonis ha acquistato dalla ……… per il prezzo complessivo di ……… la fornitura di merce qui di seguito descritta ………
Il prezzo in questione, tuttavia, non è mai stato pagato dalla ……… in bonis alla ………
C. Dopo circa ……… mesi dall’acquisto della merce di cui sopra, ……… in bonis, senza che nel corso del lungo tempo trascorso venisse formulata alcuna contestazione riguardo la qualità della fornitura, ha provveduto a restituire alla ……… la merce di cui è causa.
Tale trasferimento di merce veniva fiscalmente regolato dalla ……… in bonis come segue ………
In tal modo, pertanto, ……… in bonis estingueva il proprio debito nei confronti della ………
D. L’operazione così posta in essere risulta, tuttavia, integrare una «datio in solutum» suscettibile di revocatoria ex art. 166, c. 1, lett. b), CCII, ricorrendone tutti i presupposti di legge.
Vi è, infatti, la prova documentale delle seguenti circostanze:
(i) la vendita di merce da ……… a ……… in bonis in data ……… per il prezzo complessivo di ………;
(ii) il mancato pagamento del prezzo di cui sopra da parte di ……… in bonis;
(iii) la successiva restituzione da parte di ……… in bonis in favore di ……… della stessa merce.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo dell’azione revocatoria esperita con il presente atto dal Liquidazione giudiziale ………, è appena il caso di rammentare che, in base al disposto di cui al comma 1 dell’art. 166 CCII, il Curatore concorsuale che agisce in revocatoria beneficia di una presunzione iuris tantum della conoscenza da parte del convenuto in revocatoria dello stato di decozione in cui versava il debitore all’epoca dell’operazione revocanda.
E. Le descritte circostanze integrano, dunque, i presupposti di legge per l’esercizio nei confronti dell’accipiens ……… dell’azione revocatoria ex art. 166, c. 1, lett. b), CCII del sopra menzionato pagamento, azione che viene esperita con il presente atto dalla Liquidazione giudiziale ………
Per tutto quanto sin qui esposto, la liquidazione giudiziale ………, in persona del Curatore, ………, come sopra rappresentato e difeso,
CITA
………, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in ……… a comparire avanti il Tribunale di ………, sezione e Giudice Istruttore da designarsi ex art. 168-bis, c. 1 e 2, c.p.c., per l’udienza del giorno ………, ore di rito, nel termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a pese dello Stato, ed a comparire all’udienza indicata (o a quella diversa eventualmente fissata) e che in difetto di costituzione si procederà in sua declaranda contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Nel merito:
- pronunciare, per i motivi di cui in narrativa, l’inefficacia nei confronti della massa dei creditori della liquidazione giudiziale ………, e per l’effetto revocare, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 166, c. 1, lett. b), CCII, l’atto con cui ……… in bonis in data ……… ha ceduto alla ……… la seguente merce ……… in quanto atto estintivo di debito pecuniario scaduto ed esigibile non effettuato con denaro o con altri mezzi normali di pagamento;
- per l’effetto, condannare ………, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore della liquidazione giudiziale ………, in persona del Curatore ………, della seguente merce ………;
- in via subordinata, per il caso di alienazione a terzi da parte di ……… della merce ……… condannare ………, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della liquidazione giudiziale ………, in persona del Curatore ………, dell’importo di euro ……… in linea capitale, ovvero al pagamento di quel maggiore o minore importo ritenuto di giustizia, oltre agli interessi al tasso legale vigente pro tempore dalla data della domanda al saldo effettivo.
In via istruttoria:
Ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova:
I, VERO CHE «………»
II, VERO CHE «………»
In ogni caso:
Con vittoria di spese, e onorari.
Si producono i seguenti documenti:
1) copia autentica decreto del G.D. di autorizzazione a stare in giudizio;
2) copia sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale;
3) ………
Luogo, data ………
Firma ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
ATTO DI CITAZIONE EX ART. 166 CCII
La liquidazione giudiziale ……… (Codice Fiscale ………), in persona del Curatore, ………, in forza di decreto di autorizzazione dal Giudice Delegato del Tribunale di ………, dott………., in data ………, rappresentato e difeso in virtù di delega a margine del [in calce al] presente atto, dall’avv………. e con domicilio eletto presso il suo studio in ………
ESPONE
A. Con sentenza n………. R.G. LG, depositata in data ………, il Tribunale di ……… ha dichiarato la liquidazione giudiziale di ………, nominando Giudice Delegato il dott………. e Curatore ………
B. Dalla verifica della documentazione in possesso della Società debitrice, il Curatore ha potuto rilevare che la ……… in bonis ha intrattenuto presso la Banca ………, Filiale ……… di ………, il rapporto di conto corrente contraddistinto dal n……….
C. Il Curatore ha potuto appurare, sulla base della documentazione disponibile, che nel periodo dal ……… al ……… (data di deposito del ricorso cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale della ……… in bonis) erano affluite sul c/c n………. rimesse e versamenti aventi natura solutoria, per l’importo di complessivi euro ……… in linea capitale.
Per la concreta determinazione delle operazioni revocabili, la liquidazione giudiziale ……… ha, quindi, provveduto ad effettuare la riclassificazione delle operazioni risultanti dagli estratti conto.
Le descritte operazioni di riclassificazione hanno consentito di appurare, come già accennato, che le operazioni revocabili compiute nel periodo dal ……… al ……… sul conto corrente n………., sono connotate dal requisito di cui alla lett. b) dell’art. 166, c. 3, CCII
Infatti, quanto alla durevolezza della riduzione dell’esposizione, va precisato che a seguito delle rimesse il conto non è stato movimentato per ………;
D. Per ciò che concerne la prova della scientia decoctionis, la curatela deduce che
I) nel mese di ……… e cioè prima della rimessa affluita sul c/c……… due istituti di credito avevano notificato decreti ingiuntivi nei confronti di ……… e iscritto ipoteca giudiziale;
II) nel mese di ………, un assegno tratto sul c/c della banca convenuta era stato protestato;
III) nel bilancio depositato al ………, la società pur presentando un patrimonio netto positivo di euro ……… risultavano molte componenti allarmanti, in quanto ………
IV) poiché l’odierna convenuta è una banca di primaria rilevanza, deve escludersi che i fatti di cui sopra siano stati ignorati e poiché la prova della conoscenza dello stato di insolvenza può essere fornita con presunzioni, gli elementi di prova offerti appaiono sufficienti; in ogni caso la prova potrà essere completata con l’audizione dei testi ……… sulle circostanze di cui sopra.
In relazione a tutte le predette rimesse e versamenti, inefficaci e revocabili in base al disposto di cui all’art. 166, c. 2, CCII, il Curatore della liquidazione giudiziale ………, con lettera a mezzo PEC in data ………, ha richiesto alla Banca ……… la restituzione in favore della liquidazione giudiziale della predetta somma di ……… in linea capitale, senza tuttavia ottenere alcun positivo riscontro.
La liquidazione giudiziale ……… si vede, pertanto, costretta a promuovere la presente azione al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia nei confronti della massa dei creditori della liquidazione giudiziale dei pagamenti di cui sopra.
Conseguentemente, la Banca ……… dovrà essere condannata al pagamento in favore della liquidazione giudiziale ……… delle somme predette, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dalla data della domanda al saldo.
Per tutto quanto sin qui esposto, la liquidazione giudiziale ………, in persona del Curatore, ………, come sopra rappresentato e difeso,
CITA
………, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in ……… a comparire avanti il Tribunale di ………, sezione e Giudice Istruttore da designarsi ex art. 168-bis, c. 1 e 2, c.p.c., per l’udienza del giorno ………, ore di rito, nel termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166 e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a pese dello Stato, ed a comparire all’udienza indicata (o a quella diversa eventualmente fissata) e che in difetto di costituzione si procederà in sua declaranda contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Nel merito:
1. Pronunciare l’inefficacia nei confronti della massa dei creditori della liquidazione giudiziale ……… e per l’effetto revocare, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 166, c. 2, CCII le rimesse ed i versamenti effettuati sul c/c n………., intrattenuto presso la Banca ………, nel periodo dal ……… al ……… per un importo di complessivi euro ……… in linea capitale, ovvero quella maggior o minor somma che verrà accertata;
2. per l’effetto, condannare la Banca ………, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore della liquidazione giudiziale ………, in persona del Curatore ………, dell’importo di euro ……… in linea capitale, pari alle rimesse effettuate sul c/c n………. nel periodo dal ……… al ……… aventi carattere solutorio, ovvero alla maggiore o minore somma che verrà accertata.
Il tutto oltre agli interessi legali dalla data della domanda ed oltre alla rivalutazione monetaria.
In via istruttoria:
Ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova:
I, VERO CHE «………»
II, VERO CHE «………»
In ogni caso:
Con vittoria di spese e onorari.
Si producono i seguenti documenti:
1) copia autentica decreto del G.D. di autorizzazione a stare in giudizio;
2) copia sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale;
3) ………
Luogo, data ………
Firma ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
COMPARSA DI COSTITUZIONE
La Società ……… (Codice Fiscale ………), in persona del legale rappresentante pro-tempore, ………, rappresentato e difeso in virtù di delega a margine del [in calce al] presente atto, dall’avv………. e con domicilio eletto presso il suo studio in ………
Vista la domanda presentata dalla Liquidazione giudiziale ……… con atto di citazione notificato in data ………, con il presente atto si costituisce in giudizio ed
ESPONE
A. Il curatore della liquidazione giudiziale ……… ha promosso il giudizio ai sensi degli artt. 32 e 166 CCII chiedendo la declaratoria di inefficacia delle rimesse affluite sul c/c ……… in data ………, per l’importo di euro ………
La domanda dell’attore è infondata per i seguenti motivi.
B. In via preliminare si eccepisce che la curatela ricorrente non ha precisato se il periodo sospetto decorra nel caso di specie dalla liquidazione giudiziale o dal precedente concordato preventivo, sì che non è dato capire se le rimesse siano avvenute nel periodo sospetto.
La domanda va dunque respinta
C. In ogni caso la domanda deve essere respinta perché le ……… rimesse oggetto di domanda revocatoria non possono reputarsi assistite dai requisiti di cui all’art. 166, c. 3, lett. b), CCII
Infatti, le rimesse del ……… e del ……… non possono reputarsi aver ridotto in modo durevole l’esposizione debitoria in quanto sul c/c, sono annotate operazioni di addebito in un caso dopo ……… giorni e nel secondo caso dopo ………
D. Se pure le eccezioni preliminari di merito fossero ritenute non fondate, la domanda dovrebbe essere comunque respinta in quanto la restituzione delle rimesse non sarebbe possibile alla luce del disposto di cui all’art. 171 CCII. Occorre al riguardo precisare che all’inizio del semestre l’esposizione debitoria ammontava ad euro ………, mentre alla data della liquidazione giudiziale era diminuita sino ad euro ………; la differenza fra il massimo scoperto e il saldo finale esclude che le rimesse abbiano avuto un effetto solutorio.
E. La curatela nessuna prova ha dato della conoscenza dello stato di insolvenza, posto che a fronte delle circostanze indicate nell’atto introduttivo, decisivo appare il fatto che solo n………. settimane prima della liquidazione giudiziale (quindi qualche giorno prima della domanda di concordato preventivo) la società, poi debitrice, aveva chiesto di essere quotata in borsa e la stampa nazionale ne aveva dato enorme risalto; la domanda deve essere pertanto respinta……….
Per tutto quanto sin qui esposto, la Società ………, in persona del legale rappresentante, come sopra rappresentata e difesa,
CHIEDE
Che l’ill.mo Tribunale, voglia accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Nel merito:
- respingere la domanda perché non sussistono i presupposti della revocatoria.
In via istruttoria:
Ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova:
I, VERO CHE «………»
II, VERO CHE «………»
In ogni caso:
Con vittoria di spese e onorari.
Si producono i seguenti documenti:
1) ………
2) ………
3) ………
Luogo, data ………
Firma ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
COMPARSA DI COSTITUZIONE
La Società ……… (Codice Fiscale ………), in persona del legale rappresentante pro-tempore, ………, rappresentata e difesa in virtù di delega a margine del [in calce al] presente atto, dall’avv………. e con domicilio eletto presso il suo studio in ………
Vista la domanda presentata dal Liquidazione giudiziale ………con atto di citazione notificato in data ………, con il presente atto si costituisce in giudizio ed
ESPONE
A. Il curatore della liquidazione giudiziale ……… ha proposto domanda ai sensi degli artt. 32 e 166 CCII chiedendo la declaratoria di inefficacia dei pagamenti effettuati in data ………, per l’importo di euro ………
La domanda dell’attore è infondata per i seguenti motivi.
B. I pagamenti sono stati effettuati in data ………; quando i pagamenti sono avvenuti, l’impresa, poi debitrice, aveva predisposto un piano di risanamento ai sensi dell’art. 56 CCII che era stato attestato da un revisore contabile.
C. Nel piano di risanamento, fra l’altro concordato con oltre il ………% dei creditori, l’impresa aveva programmato di ripristinare l’equilibrio finanziario, proseguendo la propria attività (salvo la cessione di un asset non strategico), entro il termine del ………;
D. Con la relazione depositata in data ………, l’esperto attestava la ragionevolezza del piano di risanamento precisando che l’equilibrio finanziario avrebbe potuto essere conseguito entro ………
E. Circa un mese dopo l’avvenuta attestazione, la liquidazione giudiziale dei quattro più importanti clienti della ……… generava una situazione di tensione finanziaria che a quel punto la società non era più in grado di governare; poiché la ragionevolezza del piano va verificata ex ante, gli eventi successivi non possono assumere rilievo ai fini di un sindacato postumo sulla attestazione.
F. I pagamenti ricevuti dalla esponente erano tutti esattamente indicati come attuativi delle previsioni di piano.
Poiché sussiste la fattispecie esonerativa di cui all’art. 166, c. 3, lett. d), CCII, la domanda deve essere respinta.
Per tutto quanto sin qui esposto, la Società ………, in persona del legale rappresentante, come sopra rappresentata e difesa,
CHIEDE
Che l’ill.mo Tribunale, voglia accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Nel merito:
- respingere la domanda perché non sussistono i presupposti della revocatoria.
In via istruttoria:
Ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova:
I, VERO CHE «………»
II, VERO CHE «………»
In ogni caso:
Con vittoria di spese e onorari.
Si producono i seguenti documenti:
1) ………
2) ………
3) ………
Luogo, data ………
Firma ………
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ……… civile
in persona del giudice monocratico dott……….
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Oggetto: azione di inefficacia ex art. 166 CCII
Nel procedimento iscritto al numero di ruolo generale sopra riportato, promosso con atto di citazione notificato in data ………
DA
Liquidazione giudiziale ………
in persona del curatore ………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura a margine del ……… [in calce all’atto], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- ATTORE -
CONTRO
………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura in calce al ……… notificato [a margine della comparsa di costituzione - in calce alla comparsa di costituzione], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- CONVENUTO -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il curatore della liquidazione giudiziale ………, ha notificato atto di citazione ai sensi degli artt. 32 e 166 CCII nel quale ha esposto:
- che nell’anno anteriore alla liquidazione giudiziale l’impresa debitrice aveva alienato alla ………, il capannone sito in ………e locato alla ………;
- che il prezzo riscosso dalla debitrice ammontava ad euro ………;
- che il prezzo medio di mercato, all’epoca del rogito, ammontava ad euro ………;
- che tali valori indicavano come la prestazione del debitore sorpassasse di oltre ¼ quella del compratore;
- ha dunque concluso chiedendo la declaratoria di inefficacia dell’atto di compravendita ai sensi dell’art. 166 CCII
La società convenuta ……… ha depositato comparsa di risposta con la quale ha eccepito:
- che il prezzo pagato in realtà era di gran lunga superiore a quello risultante dal rogito, come si ricavava da ………
- che in ogni caso al momento della stipulazione del contratto la venditrice non si trovava in stato di insolvenza in quanto ………
Alla udienza fissata per la comparizione delle parti ai sensi dell’art. 183 c.p.c……….
A seguito del deposito delle memorie venivano disposti i mezzi istruttori ………;
precisate le conclusioni, il Tribunale si è riservato la decisione.
Posto che parte attrice ha introdotto una domanda revocatoria ai sensi dell’art. 166, c. 1, lett. a), CCII, era onere della liquidazione giudiziale dimostrare che nell’anno anteriore al deposito del ricorso cui è seguita la liquidazione giudiziale l’impresa debitrice aveva compiuto un atto a titolo oneroso con prestazioni sproporzionate.
Per quanto attiene all’elemento obiettivo dell’azione revocatoria va osservato che l’atto di vendita è intervenuto in data ……… e che il ricorso cui è seguita la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale risale al ……… Il presupposto temporale di cui all’art. 166, c. 1, CCII deve quindi ritenersi rispettato.
Si tratta allora di verificare se il prezzo pagato da ……… fosse congruo in relazione al valore di mercato dell’epoca.
Per dimostrare la sproporzione del prezzo, la difesa della curatela ha allegato una perizia svolta nell’ambito della procedura concorsuale dalla quale si ricaverebbe che il valore del bene venduto doveva aggirarsi intorno a euro ………
Nel corso del processo è stata disposta consulenza tecnica d’ufficio. Il c.t.u. ha indicato come valore del bene quello di euro ……… e ha precisato che all’epoca della vendita il valore ………
La difesa del convenuto ha eccepito che ………
Ad avviso del Tribunale il valore indicato dal consulente tecnico va recepito in quanto l’indagine appare completa, coerente e non inficiata da vizi logici.
Per quanto attiene al profilo della sproporzione occorre ricordare come nella fattispecie all’esame del Tribunale, il prezzo di euro ……… è inferiore al valore del bene di euro ……… in misura del ………%.
Tale percentuale ad avviso del Giudicante è superiore a quella che per legge legittima la pronuncia di revoca.
Ciò posto si tratta di valutare se la convenuta abbia fornito la prova della simulazione parziale del prezzo pattuito rispetto al prezzo effettivamente pagato.
Tale prova non è stata fornita. È, infatti, pacifico che la prova del maggior prezzo debba essere data con atto avente data certa; al contrario la convenuta ha chiesto di provare la consegna della somma di euro ……… in contanti e quella di euro ……… con consegna di merce.
La prova è inammissibile.
Poiché l’attore ha provato la sproporzione, era onere del convenuto dimostrare la propria inscientia decoctionis
Le prove offerte sono rappresentate da ………
In tale prospettiva va accolta la domanda attorea e va dunque pronunciata l’inefficacia dell’atto di vendita.
Le spese di lite vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e sono liquidate in complessivi euro ……… Le spese di c.t.u., come liquidate in corso di giudizio, vanno definitivamente poste a carico di ………
P.Q.M.
Il Tribunale di ………, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando nella causa promossa da Liquidazione giudiziale ……… nei confronti di ……… con atto di citazione notificato in data ………, così decide:
1) pronuncia l’inefficacia del contratto di vendita stipulato in data ……… fra ……… (acquirente) e ……… (venditore) relativo a ……… ubicato in Comune di ………, Via ………,
2) condanna parte ……… alla rifusione delle spese di lite, in favore di parte ……… liquidandole in complessivi euro ………, oltre a quelle di c.t.u.;
Luogo, data ………
Il Giudice est……….
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ……… civile
in persona del giudice monocratico dott……….
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Oggetto: azione di inefficacia ex art. 166 CCII
Nel procedimento iscritto al numero di ruolo generale sopra riportato, promosso con atto di citazione notificato in data ………
DA
Liquidazione giudiziale ………
in persona del curatore ………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura a margine del ……… [in calce all’atto], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- ATTORE -
CONTRO
………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura in calce al ……… notificato [a margine della comparsa di costituzione - in calce alla comparsa di costituzione], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- CONVENUTO -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il curatore della liquidazione giudiziale ………, ha notificato atto di citazione ai sensi degli artt. 32 e 166 CCII nel quale ha esposto:
- che nell’anno anteriore al deposito del ricorso cui è seguita la liquidazione giudiziale l’impresa ……… aveva venduto alla debitrice per euro ……… una autovettura ………,
- che dopo aver pagato la somma di euro ………, il contratto veniva risolto consensualmente circa ……… mesi prima della liquidazione giudiziale;
- che il veicolo veniva restituito al venditore che tratteneva l’importo ricevuto;
- che l’accipiens era a conoscenza dello stato di insolvenza del solvens,
- ha dunque concluso chiedendo la declaratoria di inefficacia dell’atto di restituzione dell’autoveicolo inteso come pagamento anormale sensi dell’art. 166 CCII
La società convenuta ……… ha depositato comparsa difensiva con la quale ha eccepito:
- l’insussistenza della fattispecie della datio in solutum in quanto il contratto si era semplicemente risolto;
- la propria inscientia decoctionis in quanto al momento della restituzione del bene non vi era alcun sintomo esteriore del dissesto ………; chiedeva quindi il rigetto della domanda.
Venivano poi depositate le memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c. ed assunte le prove dedotte.
Precisate le conclusioni, il Tribunale si è riservato la decisione.
Sulla domanda revocatoria ex art. 166, c. 1, lett. b), CCII
L’attore assume che l’atto pregiudizievole per la massa dei creditori dovrebbe essere identificato nella restituzione dell’autovettura ………, intesa come datio in solutum rispetto alla obbligazione di pagamento del prezzo dell’autovettura stessa.
Quando un soggetto che è debitore di un altro provvede a trasferire della merce al secondo, occorre interrogarsi se le parti con la consegna di merce in luogo del denaro abbiano voluto estinguere una obbligazione ovvero se non abbiano preferito risolvere il contratto.
In situazioni di questo genere è imprudente procedere per astrazioni ma il dato della comune esperienza suggerisce che, se non si riesce a scoprire l’effettiva volontà delle parti, quando il bene passa dal compratore al venditore normalmente si assiste ad una risoluzione del contratto piuttosto che alla estinzione del debito (fattispecie che più verosimilmente ricorre, invece, quando il creditore riceve merce del debitore o di terzi e non la propria).
In tale contesto non sembra possa essere condivisa la domanda principale svolta dalla Liquidazione giudiziale, domanda che presuppone la qualificazione del fatto sotto la lente della datio in solutum e da qui nell’alveo della anomalia del pagamento.
Le prove orali dedotte dall’attore e poi espletate non hanno, infatti, consentito di dimostrare che la restituzione del bene sia stata pattuita dai contraenti come estinzione della obbligazione di pagamento del prezzo.
Non sussistono, dunque, i presupposti di accoglimento della domanda.
………
………
Le spese di lite vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e si liquidano in euro ………
P.Q.M.
Il Tribunale di ………, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando nella causa promossa dal Liquidazione giudiziale ……… nei confronti di ……… con atto di citazione notificato in data ………, così decide:
1) rigetta la domanda
2) spese di lite ………;
Luogo, data ………
Il Giudice est……….
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ……… civile
in persona del giudice monocratico dott……….
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Oggetto: azione di inefficacia ex art. 166 CCII
Nel procedimento iscritto al numero di ruolo generale sopra riportato, promosso con atto di citazione notificato in data ………
DA
Liquidazione giudiziale ………
in persona del curatore ………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura a margine del ……… [in calce all’atto], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- ATTORE -
CONTRO
………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura in calce al ……… notificato [a margine della comparsa di costituzione - in calce alla comparsa di costituzione], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- CONVENUTO -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il curatore della liquidazione giudiziale ………, ha notificato atto di citazione ai sensi degli artt. 32 e 166 CCII nel quale ha esposto:
- che, nel semestre anteriore al ricorso cui è seguita la liquidazione giudiziale (dichiarata in data ………), la debitrice aveva eseguito a favore di ……… un pagamento in data ……… per l’importo di euro ………, pagamento avvenuto a mezzo ………,
- che l’accipiens era a conoscenza dello stato di insolvenza del solvens in quanto nei confronti della debitrice erano stati emessi numerosi decreti ingiuntivi, erano iniziate molteplici procedure esecutive, erano stati elevati protesti, i bilanci segnalavano notevoli perdite;
- ha dunque concluso chiedendo che, previa declaratoria di inefficacia, parte convenuta fosse condannata alla restituzione della somma sopra indicata oltre interessi e rivalutazione monetaria precisando che la stessa ……… era a conoscenza del dissesto tanto è vero che aveva interrotto il rapporto commerciale.
La società convenuta ……… ha depositato comparsa difensiva con la quale ha eccepito di non essere stata a conoscenza del dissesto della ……… in quanto tutti gli elementi raccolti dall’attore riguardavano fatti a cui la convenuta era completamente estranea; precisava che ……… e concludeva per il rigetto della domanda.
Alla udienza fissata per la comparizione delle parti ………; ……… assunte le prove ………, all’udienza di precisazione delle conclusioni il Tribunale si è riservato la decisione.
L’azione proposta dalla curatela va esattamente qualificata alla luce dell’art. 166, c. 2, CCII, sì che era onere dell’attore dimostrare che era intervenuto un pagamento con mezzi normali da parte dell’imprenditore debitore entro il semestre anteriore alla presentazione del ricorso cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale, e che il convenuto era a conoscenza dello stato di decozione del debitore.
Così riassunto il contenuto della odierna controversa in termini di qualificazione della domanda, va osservato che le prove fornite dalla difesa della curatela appaiono sufficienti per ritenere fondata la domanda.
Per ciò che attiene al profilo oggettivo dell’azione revocatoria, il curatore ha dimostrato che vi è stato un pagamento in data ……… per l’importo di euro ……… e cioè entro i sei mesi prima del deposito della domanda cui è seguita la dichiarazione di liquidazione giudiziale intervenuta in data ………
L’importo pagato risulta dal doc………. fasc. att. e non è stato contestato.
Per quanto riguarda il profilo soggettivo dell’azione, il curatore ha dedotto la sussistenza della scientia decoctionis in base ad indici presuntivi non direttamente riferibili alla società convenuta.
È ben vero che la liquidazione giudiziale ha allegato alla citazione copiosa documentazione inerente la concessione di provvedimenti monitori contro ………, ma trattasi di decreti ingiuntivi emessi da autorità giudiziarie sparse su tutto il territorio nazionale sì che appare improbabile che una società di dimensioni non ragguardevoli quali è la convenuta, abbia potuto conoscerne l’esistenza.
Per la stessa ragione anche l’imponente numero di procedure esecutive non può essere nel caso specifico prova sufficiente della scientia decoctionis.
Al contrario, è concludente la prova fornita dall’attore in ordine alla conoscenza diretta della convenuta, prova fondata sul valore probatorio della lettera ……… con la quale la ……… lamentava gli inadempimenti della ……… e, constatando la morosità, comunicava la sospensione dei lavori.
Tale lettera è stata preceduta da una fitta corrispondenza fra le parti, il cui contenuto ha per oggetto le difficoltà della ……… ad eseguire i pagamenti; in sostanza quando il pagamento oggetto dell’odierna iniziativa revocatoria venne eseguito, erano ormai in corso trattative da circa ……… mesi in ordine alle modalità con le quali eseguire il pagamento.
La tensione finanziaria della ……… era evidente per qualsiasi imprenditore se è vero che a fronte del proprio credito la ……… accettò di essere pagata da un terzo e nonostante i molti ostacoli frapposti e non pretese mai un pagamento diretto, nella verosimile convinzione che la ……… non sarebbe stata in grado di procurarsi altrimenti la provvista.
………
………
Poiché i testimoni hanno precisato che la ……… era solita chiedere informazioni, queste informazioni non potevano essere positive anche perché segnali di crisi evidente erano contenuti nel bilancio al ……… e nella relazione del C.d.A. del ………
In questo senso la domanda va accolta.
La ……… va condannata alla restituzione della somma di euro ……… oltre agli interessi al saggio legale dalla domanda al saldo.
Non sussistono invece i presupposti per la condanna ex art. 1224, c. 2, c.c. in quanto non è stato dimostrato il maggior danno nel periodo.
Le spese di lite vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e si liquidano in euro ………
P.Q.M.
Il Tribunale di ………, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando nella causa promossa dal Liquidazione giudiziale ……… nei confronti di ……… con ricorso notificato in data ………, così decide:
1. pronuncia l’inefficacia del pagamento eseguito in data ……… e per l’effetto condanna ……… a restituire al curatore della liquidazione giudiziale ……… la somma di euro ……… oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;
2. spese di lite ………
Luogo, data ………
Il Giudice est……….
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ……… civile
in persona del giudice monocratico dott……….
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Oggetto: azione di inefficacia ex art. 166 CCII
Nel procedimento iscritto al numero di ruolo generale sopra riportato, promosso con atto di citazione notificato in data ………
DA
Liquidazione giudiziale ………
in persona del curatore ………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura a margine del ……… [in calce all’atto], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- ATTORE -
CONTRO
………
rappresentato e difeso dall’avv………., come da procura in calce al ……… notificato [a margine della comparsa di costituzione - in calce alla comparsa di costituzione], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo.
- CONVENUTO -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
In data ……… veniva stipulato fra la società ……… e la banca ……… un contratto di finanziamento a medio termine per l’importo di euro ………, garantito da ipoteca sull’immobile aziendale. In data ……… corrispondeva alla banca la somma di euro ……… a titolo di pagamento di una rata. La liquidazione giudiziale della ……… veniva dichiarata il ………su ricorso di………depositato in data………
Il curatore della liquidazione giudiziale ………, ha notificato atto di citazione ai sensi degli artt. 24 e 632 e 166 CCII nel quale ha esposto:
- che, nel semestre anteriore al deposito della domanda cui è seguita la liquidazione giudiziale, l’impresa debitrice aveva eseguito un pagamento a favore di ……… per il complessivo importo di euro ………
- che la convenuta era a conoscenza dello stato di insolvenza posto che la ……… era stata oggetto di protesti e di decreti ingiuntivi;
- ha dunque concluso chiedendo che, previa declaratoria di inefficacia, parte convenuta fosse condannata alla restituzione della somma sopra indicata oltre interessi e rivalutazione monetaria
La società convenuta ……… ha depositato comparsa difensiva con la quale ha eccepito che il pagamento era intervenuto in relazione ad una operazione di finanziamento a medio termine concesso a piccole/medie imprese sì che era esentato da revocatoria decorsi dieci giorni dalla erogazione; negava infine di essere stata a conoscenza del dissesto della ……… al tempo dei pagamenti e concludeva per il rigetto della domanda.
Alla udienza fissata per la comparizione delle parti ………; ……… quindi, disposti i mezzi istruttori ………, il Tribunale si è riservato la decisione.
L’azione proposta dalla curatela va qualificata alla luce dell’art. 166, c. 2, CCII sì che occorre accertare l’esistenza di pagamenti avvenuti nel semestre anteriore al deposito della domanda cui è seguita la liquidazione giudiziale nel concorso della consapevolezza da parte dell’accipiens dell’esistenza dello stato di decozione del solvens.
Quanto al profilo oggettivo dell’azione revocatoria, in punto di fatto è agevole osservare che il pagamento oggetto dell’odierna iniziativa giudiziaria ricade nel periodo sospetto dei sei mesi prima della presentazione del ricorso di……… per la liquidazione giudiziale dal momento che è avvenuto nel mese di ………, mentre la liquidazione giudiziale è stato dichiarato nel mese in data ………
Prima di passare all’esame del profilo soggettivo dell’azione revocatoria occorre però affrontare l’eccezione formulata in via principale (e tempestivamente, sin dalla comparsa di risposta) dalla difesa della convenuta, ad avviso della quale nel caso di specie deve trovare applicazione l’esimente di cui all’art. 166, c. 4, CCII con specifico riferimento all’art. 20, l. 30.8.1959, n. 623.
Per comodità espositiva giova trascrivere il contenuto di tale disposizione: «le disposizioni di cui all’art. 166 CCII non si applicano, dopo che siano trascorsi 10 giorni dalla stipulazione del mutuo, agli istituti autorizzati ad esercitare il credito a medio termine, nonché a tutti gli altri istituti di credito, limitatamente alle operazioni da questi effettuate con fondi statali o con l’assistenza della garanzia dello Stato».
Secondo la difesa della convenuta il solo fatto che il finanziamento provenga da un istituto autorizzato ad esercitare il credito a medio termine (e non v’è contestazione in ordine al fatto che tale qualifica soggettiva ricorra per ………) esclude la revocabilità dell’operazione (trascorsi dieci giorni) e ciò a prescindere dalla circostanza che al finanziamento abbia oppure no partecipato lo Stato.
Diversamente opinando, l’attore assume che l’esenzione dalla revocatoria può intervenire solo in questo secondo caso ed oppone che la convenuta non ha fornito adeguata prova al riguardo.
La questione non è affatto nuova nel panorama giurisprudenziale; in particolare la banca invoca l’autorità del precedente costituto da C. 11.1.1995, n. 252, secondo la quale l’esenzione dalla revocatoria concorsuale stabilita dall’art. 20, l. 30.7.1959, n. 623 per gli istituti autorizzati ad esercitare il credito a medio termine risponde a finalità di incentivazione di tale forma di credito, sicché non è ad essa applicabile la limitazione - prevista dall’articolo citato per gli altri istituti di credito - alle operazioni effettuate con fondi statali o con l’assistenza dello Stato.
Diversamente da quanto opinato dalla difesa della banca, la sola interpretazione letterale della disposizione non sembra fornire argomenti inequivoci per affermare che l’esenzione dalla revocatoria non presuppone il contributo statale. Infatti l’apposizione della «virgola» dopo istituti di credito ben potrebbe far pensare che il contributo statale è richiesto per tutte le banche.
Piuttosto è l’interpretazione finalistica che può apparire più convincente dal momento che è funzionale alla concessione del credito ad imprese medio/piccole, quindi con minori disponibilità di capitale, l’assicurazione che l’operazione non corra il rischio della inefficacia sopravvenuta per effetto della liquidazione giudiziale del finanziato. Le operazioni di finanziamento di cui alla l. n. 623/1959 vengono regolate con tassi agevolati e per finalità ben determinate, ciò che giustifica una particolare protezione.
In questo senso ben si può affermare che l’esonero dalla revocatoria ricorre in tutti i casi in cui un istituto di credito a medio termine concede finanziamenti nell’osservanza della legge speciale. L’esenzione concerne non solo il contratto originario e la conseguente iscrizione ipotecaria, ma anche gli atti di adempimento del contratto, quindi nel caso di specie, i pagamenti.
La domanda non può quindi essere accolta.
Le spese di lite vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e si liquidano in euro ………
P.Q.M.
Il Tribunale di ………, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando nella causa promossa dal Liquidazione giudiziale ……… nei confronti di ………, con atto di citazione notificato in data ……… così decide:
1. rigetta la domanda;
2. spese di lite ………;
Luogo, data ………
Il Giudice est……….
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
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ISTANZA CON INFORMAZIONE PREVENTIVA PER LA STIPULA DI UNA TRANSAZIONE
Ill.mo Giudice delegato,
il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,
ESPONE
quanto segue:
- in data ………, lo scrivente curatore è stato autorizzato a promuovere una causa revocatoria nei confronti di ………, avente ad oggetto i seguenti pagamenti in esecuzione di un piano di ripianamento di debiti per forniture:
- ……… in data ………
- ……… in data ………
- ……… in data ………
- ……… in data ………
- essendo tali rimesse intervenute nel semestre antecedente il ricorso cui è seguita la liquidazione giudiziale (sentenza del ………) e pertanto revocabili ai sensi dell’art. 166 l. fall., l’avvocato ……… ha inviato alla ……… raccomandata in data ……… per richiederne la restituzione (all. 1);
- pur ravvisando motivi per contestare la richiesta di restituzione degli importi sopra specificati, la ……… ha fatto pervenire al sottoscritto proposta di transazione (all. 2) che prevede, per definire la vertenza, il versamento immediato della somma omnicomprensiva di euro ………, corrispondente al ………% degli importi versati dalla società debitrice nell’ultimo trimestre anteriore alla liquidazione giudiziale, con rinuncia, per la somma suddetta, all’insinuazione al passivo della liquidazione giudiziale da parte di ………;
- quanto agli ulteriori importi, la ……… contesta i presupposti di cui all’art………. CCII, trattandosi di pagamenti effettuati a fronte di debiti liquidi ed esigibili ed effettuati nei termini d’uso;
- il legale della liquidazione giudiziale ha espresso parere favorevole alla proposta di definizione transattiva in quanto ………(all. 3);
[allegato parere del legale];
- il sottoscritto, in considerazione del contenuto della proposta transattiva ed alla luce del parere del legale della liquidazione giudiziale, ritiene conveniente la proposta transattiva per i seguenti motivi: ………
………
- il sottoscritto è stato autorizzato dal comitato dei creditori ad accettare la proposta transattiva nei termini in cui la stessa è stata formulata dal convenuto.
- la stipulazione di tale transazione non è contemplata nel programma di liquidazione approvato ex art. 213 CCII
Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto curatore informa la S.V. Ill.ma che si accinge, nel termine di dieci giorni da oggi, ad accettare la proposta di definizione transattiva formulata da ……… e descritta in premessa ed allega in calce l’autorizzazione resa dal comitato dei creditori.
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
Allegati:
………
………
………
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Verbale del comitato dei creditori
Il comitato dei creditori, letta l’istanza del curatore con la quale questi chiede l’autorizzazione ad accettare la proposta transattiva formulata da ………
Tenuto conto che ………
Autorizza il curatore ad accettare la proposta transattiva formulata dal Sig……….ed allegata alla richiesta di autorizzazione inviata al comitato dei creditori.
Il comitato dei creditori ………
C) Giurisprudenza:
C)Giurisprudenza:I. Premessa - II. Aspetti processuali - III. La conoscenza dello stato di insolvenza - IV. (Segue) A) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 1 - V. (Segue) B) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 2 - VI. (Segue) C) gli indici presuntivi della scientia decoctionis. Fattispecie - VII. Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio straordinario: (segue) A) la sproporzione tra prestazioni - VIII. (Segue) B) il pagamento effettuato con mezzi anormali - IX. (Segue) C) la costituzione di garanzie per debiti preesistenti - X. Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio ordinario: (segue) A) il pagamento dei debiti liquidi ed esigibili - XI. (Segue) B) revocatoria del pagamento del terzo - XII. La revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario nel regime abrogato - XIII. (Segue) A) il criterio del «saldo disponibile» - XIV. (Segue) B) la teoria del «massimo scoperto» - XV. (Segue) C) i saldi giornalieri - XVI. (Segue) D) la revocabilità dell’anticipazione di effetti Ri.Ba. - XVII. (Segue) E) le operazioni bilanciate - XVIII. (Segue) F) la compensabilità dei saldi di più rapporti di conto corrente - XIX. (Segue) G) la non cumulabilità delle diverse linee di affidamento - XX. (Segue) H) l’onere della prova dell’elemento oggettivo - XXI. Gli atti a titolo oneroso e le garanzie per debiti contestualmente creati - XXII. L’azione revocatoria nei confronti dei terzi subacquirenti - XXIII. Le esenzioni dalla revocatoria - comma 3 - XXIV. (Segue) A) i pagamenti nei termini d’uso - XXV. (Segue) B) le rimesse sul conto corrente bancario - XXVI. (Segue) C) Il piano attestato - XXVII. (Segue) D) i pagamenti effettuati per prestazioni lavorative - XXVIII. (Segue) E) le esenzioni per prestazioni in relazione al concordato preventivo - XXIX. Le esenzioni dalla revocatoria - comma 4.
I. Premessa
I.Premessa1 L’azione revocatoria fallimentare non produce un effetto restitutorio in favore dell’imprenditore assoggettato alla procedura concorsuale né, tantomeno, un effetto traslativo in favore della massa dei creditori, ma comporta l’inefficacia relativa dell’atto rispetto alla massa dei creditori [C. I 22.3.2007, n. 6991, GC 2007, I, 1597; C. I 31.8.2005, n. 17590, Fall 2006, 473; C. 2.4.1984, n. 2154, GI 1985, I, 637; C. 13.6.1978, n. 2936; ma contra C. III 3.8.2021 n. 22153 secondo la quale mentre l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, con riguardo ad atto dispositivo di un bene, implica una mera declaratoria di inefficacia dell’atto stesso, che consente al creditore vittorioso di aggredire, con successiva esecuzione individuale, l’oggetto dell’atto revocato, l’accoglimento della revocatoria fallimentare, il quale si inserisce in una procedura esecutiva già in atto e caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori, non comporta soltanto l’acquisizione del bene alla massa attiva per il suo recupero alla funzione di garanzia ex art. 2740 c.c., ma conferisce anche al curatore - a cui compete, ai sensi dell’art. 31 l. fall. L’amministrazione del patrimonio del fallito, inclusi i beni sopravvenuti - il potere di apprensione del cespite per gestirlo nell’interesse della massa, oltre che per sottoporlo espropriazione]. L’azione revocatoria prevista dall’art. 67 l. fall. si caratterizza come rimedio volto a ripristinare la parità di trattamento tra i creditori (sia pur nel rispetto dell’eventuale causa di prelazione), e, con riguardo, in particolare, ai pagamenti compiuti in un arco di tempo - predeterminato ex lege - anteriore alla dichiarazione di fallimento, a rendere tali atti inefficaci nei confronti della massa, con effetto retroattivo [C. I 22.1.1999, n. 570, Fall 2000, 1]. Nella revocatoria fallimentare avente ad oggetto gli atti a titolo oneroso compiuti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento ex art. 67, c. 2, l. fall., il danno è configurato diversamente rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., in quanto, la norma, allo scopo di realizzare una più intensa tutela dei creditori in riferimento agli atti compiuti nell’imminenza della dichiarazione di fallimento, stabilisce una presunzione assoluta e legale di danno, consistente nella lesione della par condicio creditorum derivante dal compimento dell’atto, che è conseguentemente revocabile se il curatore abbia dimostrato la conoscenza dello stato di insolvenza, essendo quindi irrilevante l’inesistenza di una sproporzione tra le prestazioni [C. I 15.5.2019, n. 13002; C. I 19.12.2012, n. 23430, Fall 2013, 996; C. I 26.7.2012, n. 13293, ibidem, 764; C. s.u. 28.3.2006, n. 7028, FI 2006, I, 1718; C. I 14.11.2003, n. 17189, GIUS 2004, 1103]. Nella revocatoria fallimentare di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, prevista dall’art. 67, c. 2, l. fall., il danno della massa consiste nella pura e semplice lesione del criterio della par condicio creditorum; pertanto, il presupposto oggettivo della revocatoria sussiste anche quando, contestualmente o meno al pagamento, entri nel patrimonio del fallito un bene, come controprestazione, sia che tale bene venga inventariato dagli organi del fallimento sia che esso venga consumato prima della dichiarazione di fallimento [C. I 15.9.1997, n. 9146, Fall 1998, 1039; C. I 12.11.1996, n. 9908, GI 1997, I, 1348; C. I 16.9.1992, n. 10570, FI 1994, I, 178]. In tema di azione revocatoria di pagamenti eseguiti entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento (art. 67, c. 2, l. fall.), la prova dell’eventus damni ad essi sotteso deve ritenersi in re ipsa, in forza della presunzione di pregiudizio per la massa dei creditori conseguente all’atto di disposizione patrimoniale da parte del fallito, così che, sul curatore, grava il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’accipiens [C. I 25.1.2022, n. 2218; C. I 16.10.1987, n. 7649, FI 1988, I, 823; C. I 19.2.1999, n. 1390]. Ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall’imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall. (nel testo originario, applicabile “ratione temporis”), l’“eventus damni” è “in re ipsa” e consiste nel fatto stesso della lesione della “par condicio creditorum”, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall’imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito, come nella specie, da ipoteca fondiaria gravante sull’immobile compravenduto) non esclude la possibile lesione della “par condicio”, né fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi [C. I 25.1.2022, n. 2218]. La prova della mancanza del requisito dell’eventus damni deve essere valutata con riferimento al momento in cui viene promossa l’azione revocatoria e non con riferimento al momento di compimento dell’atto revocando [C. I 8.3.1993, n. 2751, Fall 1993, 832].
2 Con riguardo alla revocatoria fallimentare di pagamento effettuata dal fallito, la circostanza che il credito soddisfatto sia assistito da privilegio non rende la revocatoria stessa inammissibile [C. s.u. 15.2.2022, n. 5049; C. I 12.12.2014, n. 26216; T. Piacenza 16.6.2020] ma rileva sotto il diverso profilo dell’interesse alla relativa azione, il quale può essere riconosciuto solo se e nei limiti in cui il curatore dimostri che il creditore, senza quel pagamento, non avrebbe trovato capienza, in tutto od in parte, sul ricavato del bene cui il privilegio si riferisce, in ragione della sua insufficienza, ovvero della conoscenza su di esso di crediti privilegiati poziori [C. I 18.1.1991, n. 495, Fall 1991, 594; C. 28.4.1975, n. 1626]. Il pagamento di un debito del fallito eseguito da un terzo è ammissibile solo se il solvens si sia rivalso sul patrimonio del fallito prima dell’apertura della procedura concorsuale [C. I 5.5.2022, n. 14136; C. I 15.06.2018, n. 15794; C. I 22.3.1991, n. 3110, FI 1992, I, 153]. Le rimesse su conto corrente operate dall’imprenditore poi fallito sono passibili di revocatoria ai sensi dell’art. 67 l. fall. a condizione che il conto, all’atto della rimessa, risulti scoperto. L’onere di provare l’esistenza, alla data del versamento, di un contratto di apertura di credito in ampliamento rispetto a quello precedentemente concesso grava, conseguentemente (in base alle ordinarie regole processuali in tema di ripartizione del carico probatorio), sulla banca resistente, con la conseguenza che, in difetto di tale prova, gli sconfinamenti del cliente rispetto al tetto massimo riconosciutogli devono ritenersi frutto di mera tolleranza da parte dell’istituto di credito e non anche dimostrativi, di per sé solo, dell’esistenza di un tale contratto, da desumersi per facta concludentia [C. I 30.6.2020, n. 13175; C. I 28.5.2018, n. 13287; C. I 11.9.1998, n. 9018, Fall 1999, 991]. Il curatore fallimentare non ha interesse ad agire per far revocare il pagamento di un credito privilegiato se non dimostra il pregiudizio arrecato alla massa per effetto della lesione dei creditori poziori [C. I 8.3.1993, n. 2751, cit.; C. I 18.1.1991, n. 495, cit.]. L’interesse del Fallimento ad agire in revocatoria sussiste o non sussiste a seconda che in sede di riparto fallimentare, genericamente inteso, vi siano o meno altri creditori concorrenti al momento della decisione della causa che possano beneficiare di tale liquidità, non potendosi tutelare, sulla base dell’attuale quadro normativo, creditori non ancora ammessi al passivo. Non sussiste pertanto interesse ad agire se risulta provato che le somme oggetto di revocatoria dovrebbero comunque essere destinate a pagare i medesimi convenuti [T. Milano 30.5.2017]. L’azione revocatoria fallimentare di una vendita eseguita dal fallito nell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento non presuppone la dimostrazione di un danno patrimoniale, essendo sufficiente che per effetto dell’atto oggetto di revoca sia alterata la “par condicio creditorum” ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione; pertanto, ove il curatore provi la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, è irrilevante la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall’imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato [C. s.u. 28.3.2006, n. 7028, FI 2006, I, 1718].
3 In ipotesi di vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare relativa ad un pagamento eseguito dal fallito nel “periodo sospetto”, l’obbligazione restitutoria dell’accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l’atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della revocatoria, dovendosi ritenere la natura costitutiva di tale sentenza e perciò qualificare come diritto potestativo (e non come diritto di credito) la situazione giuridica facente capo al curatore fallimentare che agisce in revocatoria [C. s.u. 23.11.2018, n. 30416; C. I 15.12.2011, n. 27084, Fall 2012, 1001; C. I 10.6.2011, n. 12736, ibidem, 473; C. I 27.4.2011, n. 9388, ibidem, 233; C. I 22.1.2009, n. 1617, ivi 2009, 1000; C. s.u. 15.6.2000, n. 437, CG 2000, 1489; T. Reggio Calabria 4.12.2018; contra C. App. Roma 12.10.2018]. Poiché anche in ipotesi di esperimento dell’azione revocatoria per i casi di cui al comma 1 dell’art. 67 l. fall. non diversamente che per quelli di cui al comma 2 della stessa norma, l’atto contro il quale viene esperita la revocatoria è originariamente valido ed efficace e solo a seguito dell’accoglimento della revocatoria, in ragione della natura di azione costitutiva di quest’ultima, avente ad oggetto l’esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito, diviene privo di effetti nei confronti della massa fallimentare, l’obbligazione restitutoria pecuniaria nascente dalla revocatoria stessa, in dipendenza della natura dell’atto revocato, non ha ad oggetto un debito di valore ma un debito di valuta [C. I 11.9.2001, n. 11594, Fall 2002, 531; C. s.u. 15.6.2000, n. 437, cit.; C. I 24.1.1998, n. 690, Fall 1998, 719; in senso contrario C. I 16.6.2011, n. 13244, ivi 2012, 353; C. I 8.4.1998, n. 3651, FI 1999, I, 1295; C. I 4.4.1997, n. 2936, Fall 1998, 32; C. I 25.3.1994, n. 2912, ivi 1994, 1015]. Allorquando il bene oggetto di revocatoria non si trovi più nel patrimonio del convenuto, l’effetto recuperatorio dell’azione (salvo, ove possibile, l’esercizio della revocatoria contro i terzi acquirenti) si trasferisce sull’equivalente pecuniario dell’alienazione successiva, da qualificarsi, peraltro, alla stregua di un credito di valore affinché non sia violato il diritto dei creditori di considerare il bene, nella sua consistenza economica, come mai uscito dal patrimonio del debitore [C. I 18.5.2005, n. 10432, Fall 2006, 409; C. I 20.7.1999, n. 7790, ivi 2000, 850; C. I 22.10.2002, n. 14891, ivi 2003, 1255].
4 La sentenza di revoca di pagamenti, a seguito dell’accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare ha carattere costitutivo. Ne deriva, pertanto, che soltanto quest’ultima produce l’effetto caducatorio dell’atto giuridico impugnato e solo a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito. Finché non è sorto il credito restitutorio per capitale, quindi, non sorge il credito accessorio degli interessi e sino alla sentenza di revoca del pagamento non può parlarsi d’interessi scaduti, onde non può farsi luogo all’anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c., che presuppone l’intervenuta scadenza degli interessi primari [C. I 11.6.2004, n. 11097, GD 2004, 65]. Al vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un atto solutorio consegue che, sulle somme dovute, devono essere corrisposti gli interessi a far data dal giorno della domanda giudiziale, attesa la natura costitutiva dell’azione stessa, senza esclusione, ove ne sussistano i presupposti, del maggior danno ex art. 1224 c.c., da riconoscersi ugualmente a far data da tale costituzione in mora [C. I 22.06.2018, n. 16565; C. I 23.5.2018, n. 12850; C. I 20.4.2001, n. 5843, Fall 2001, 1027; C. s.u. 15.6.2000, n. 437, cit.; C. I 14.3.2000, n. 2909, cit.; C. I 2.9.1998, n. 8703, Fall 1999, 1189]. È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, c. 2, l. fall., in riferimento agli artt. 3, 24 e 47 Cost., nella parte in cui tale disposizione assoggetta a revocatoria fallimentare i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati dal debitore nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento con mezzi normali di pagamento [C. Cost. 27.7.2000, n. 379, Fall 2001, 377].
II. Aspetti processuali
II.Aspetti processuali1 Le ipotesi di atti revocabili enumerate nei tre numeri dell’art. 67, c. 1 e 2, l. fall. sono autonome e la domanda di inefficacia fondata sull’una è diversa da quella che si fondi sull’altra; pertanto al giudice non è consentito, ove con l’atto introduttivo del giudizio sia stata dedotta la concessione di garanzie per debiti “preesistenti non scaduti”, conoscere della non dedotta ipotesi della notevole sproporzione tra le prestazioni [C. I 20.6.2000, n. 8375, Fall 2001, 654]. Le ipotesi di revocatoria previste dai vari numeri del comma 1 e dal comma 2 dell’art. 67 l. fall. sono tra loro distinte e danno luogo ad azioni autonome, sicché il passaggio dall’una all’altra di dette ipotesi costituisce ad ogni effetto domanda nuova, sotto il profilo del mutamento dell’aspetto di fatto della causa petendi [C. I 20.3.1999, n. 2589, Fall 2000, 161]. In tema di fallimento, il principio dell’autonomia delle singole ipotesi di revocatoria di cui, rispettivamente, al comma 1 e al comma 2 dell’art. 67 l. fall., va coordinato con quello della riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice, secondo il quale, dedotto in causa, nei suoi estremi materiali, l’atto di cui si chiede la revocazione, pur se erroneamente sussunto dalla parte in una delle ipotesi previste dall’art. 67, anziché in un’altra, diversa da quella che nella specie gli è propria, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, d’ufficio, ne rilevi l’esatta qualificazione e decida la causa secondo la regula iuris a questa corrispondente [C. I 21.12.2005, n. 28299, Fall 2006, 968; C. I 21.3.2003, n. 4126, FI 2003, I, 1402]. Vi è diversità tra l’azione diretta, ex art. 64 l. fall., a far dichiarare privi di effetto rispetto ai creditori gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento e le azioni previste dall’art. 67, c. 1 e 2, l. fall. (anch’esse tra loro diverse in relazione agli specifici requisiti), volte ad ottenere la revoca di atti di disposizione del patrimonio del debitore, compiuti durante il periodo sospetto, quando ricorrono i presupposti soggettivi ed oggettivi specificamente previsti dallo stesso art. 67; da tale diversità discende che, per non incorrere in ultra petita, il giudice pronunzia sulla prima azione non prescindendo né indipendentemente dalla qualificazione data dall’attore, cioè se siano state invece proposte le seconde; in particolare, quando l’attore non allega a fondamento della sua azione la gratuità dell’atto impugnato ma il fatto che l’altra parte era a conoscenza dello stato di insolvenza, si deve escludere che sia stata proposta l’azione di inefficacia ex art. 64; il che, tuttavia, non si verifica nel caso di specie, in cui il fallimento ha fatto esplicito riferimento all’inefficacia di tutti i bonifici impugnati, in quanto atti in realtà a titolo gratuito ex art. 64 e non titolati da alcun dimostrato rapporto a beneficio in favore della società [T. Milano 3.7.2020]. L’azione revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal fallito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (art. 67, c. 2, l. fall.) e l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dei pagamenti eseguiti successivamente alla apertura della procedura concorsuale (art. 44, c. 1, l. fall.), costituiscono due azioni diverse in riferimento all’elemento soggettivo - in quanto soltanto nella prima è richiesta la scientia decoctionis da parte dello accipiens - ed al tempo in cui è stato eseguito il pagamento con riguardo alla data della dichiarazione di fallimento, e pertanto stabilire quale delle due azioni sia stata proposta, ovvero se siano state proposte entrambe, costituisce una questione di interpretazione della domanda, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione congrua, coerente ed immune da vizi logici e giuridici [C. 11.1.2005, n. 351]. Quindi, le domande di revocatoria fallimentare di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 67 l. fall. possono essere presentate in maniera alternativa e ciò non impedisce al giudice di decidere per l’una o per l’altra, facendo applicazione, in forza del “criterio dell’“evidenza”, del principio della “ragione più liquida” [C. VI 21.12.2018, n. 33117].
2 L’accoglimento della domanda in base ad una sola delle “causae petendi” fungibilmente poste a fondamento della stessa non implica, per l’appellato vittorioso, l’onere di proporre appello incidentale per far valere le causae petendi non esaminate dal giudice di primo grado, né quello di riproporre con espresse deduzioni le ragioni pretermesse, essendo sufficiente che ad esse la parte non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame [C. I 28.10.2005, n. 21087, Fall 2006, 603]. Nell’azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono quelle ritenute revocabili, essendo fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove nell’atto di citazione sia stata richiesta la revoca di un loro determinato numero, individuato attraverso il rinvio ad una consulenza di parte, costituisce inammissibile domanda nuova, la pretesa di ottenere l’inefficacia di altre rimesse in sede di precisazione delle conclusioni, ancorché nei limiti della somma complessiva di cui si è invocata la condanna con l’atto introduttivo della lite [C. I 14.10.2019, n. 25852].
3 Il tribunale fallimentare è funzionalmente competente anche nel caso di azione revocatoria ex art. 67, c. 2, l. fall., avente ad oggetto un contratto di affitto di fondo rustico stipulato dal fallito [C. I 16.6.1990, n. 6082, GI 1991, I, 307; C. 8.10.1974, n. 2683, GI 1975, I, 248]. A norma dell’art. 3, c. 2, ultima parte, l. n. 218/1995, nelle fattispecie escluse dall’ambito di applicazione della convenzione di Bruxelles del 27.9.1968, tra le quali ricade la materia fallimentare, la giurisdizione del giudice italiano discende dall’applicazione dei criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio, e, con specifico riferimento alla revocatoria fallimentare, si determina in relazione al luogo di apertura del fallimento, tanto ai sensi dell’art. 20 c.p.c., dovendosi identificare nel domicilio del curatore il luogo dell’adempimento dell’obbligazione restitutoria fatta valere con detta azione, quanto ai sensi dell’art. 24 l. fall., che attribuisce a quel giudice la competenza a conoscere di tutte le azioni derivanti dal fallimento [C. s.u. 7.2.2007, n. 2692, FI 2007, I, 2815; C. I 4.8.2006, n. 17706, Fall 2007, 632; C. s.u. 10.8.1999, n. 584, DF 2000, II, 520]. Le azioni che derivano dal fallimento sono di esclusiva competenza del giudice fallimentare, in quanto volte a ristabilire la “par condicio creditorum” e, per stabilire la legge applicabile, occorre far riferimento al “forum con cursus”. Pertanto, laddove lo stato di insolvenza venga dichiarato in Italia, sussiste la giurisdizione del giudice italiano, in base ai criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio e, con specifico riferimento all’azione revocatoria fallimentare, del giudice che ha emesso la sentenza di insolvenza, ovvero il giudice del luogo di apertura del fallimento [T. Roma 8.1.2016].
4 Con riguardo ai rapporti contrattuali sorti anteriormente all’instaurarsi della procedura concorsuale, il curatore del fallimento, qualora non impugni i relativi negozi con le azioni esperibili a tutela della massa, come nel caso in cui ne deduca la simulazione o la revocabilità, non assume la qualità di terzo, ma viene a trovarsi nella stessa posizione del fallito; pertanto, a fronte dell’ammissione di una banca al passivo del fallimento di un suo correntista, in forza di un precedente contratto di apertura di credito in conto corrente, il curatore, ove si limiti a contestare l’operatività della clausola relativa alla regolamentazione degli interessi, non può essere considerato come terzo rispetto al contratto stesso, e non può, quindi, invocare l’inopponibilità di detta clausola per difetto di data certa, secondo il disposto dell’art. 2704 c.c. [C. 21.6.1984, n. 3657, Fall 1984, 1389]. Il curatore che agisce in revocatoria non è tenuto a disconoscere la scrittura a firma del fallito, contro di lui proposta dal convenuto, in quanto egli è terzo nei rapporti intrattenuti dal fallito con il convenuto stesso [C. 20.11.1969, n. 3774, DF 1970, II, 335]. La domanda riconvenzionale volta al riconoscimento di un credito nei confronti del fallito e proposta nell’ambito di un giudizio promosso dal fallimento per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, non solo non comporta il trasferimento dell’intera causa avanti al giudice della verifica dello stato passivo, ma è improponibile, attesa l’esclusività del rito per essa previsto a fini pubblicistici [C. 9.9.2002, n. 13057, Fall 2003, 821]. In materia fallimentare, il credito verso il fallito non può essere compensato con il debito di restituzione a seguito di esperimento fruttuoso dell’azione revocatoria, atteso che quest’ultimo è un debito verso la massa e non verso il fallito, cosicché manca, perché possa operare la compensazione, il requisito della reciprocità delle obbligazioni [C. I 11.8.2021, n. 22666; C. I 31.8.2015, n. 17338; C. I 26.7.2002, n. 11030, Fall 2003, 507]. Nel giudizio di revocatoria fallimentare, non è ammissibile il deferimento di giuramento o di interrogatorio formale nei confronti del fallito, perché questi non è parte in causa, e perché comunque non potrebbe fornire elementi di prova in una controversia concernente l’inefficacia di atti da lui compiuti in pregiudizio della massa [C. 13.6.1975, n. 2370]. Il principio secondo cui, dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, la legittimazione a proporre le azioni a tutela della massa - tra cui la revocatoria fallimentare - spetta, in via esclusiva, al curatore, se esclude, per un verso, la legittimazione del singolo creditore ad esperire le azioni predette e ad intervenire in via principale nel giudizio all’uopo promosso dal curatore, non impedisce, tuttavia, per altro verso, l’intervento adesivo dipendente del creditore nello stesso giudizio, atteso che con tale tipo di intervento il soggetto non fa valere un autonomo diritto, ma si limita a sostenere le ragioni di una delle parti, fonda la sua legittimazione su un rapporto giuridico dipendente da quello oggetto del processo e potrebbe subire l’efficacia riflessa della sentenza: il che si verifica, appunto, per il creditore del fallito, il cui credito è soddisfatto, nell’ambito del concorso proprio della procedura fallimentare, in misura che dipende anche dall’esito delle azioni di massa proposte dal curatore [C. I 20.12.2002, n. 18147].
5 L’ammissione definitiva allo stato passivo fallimentare del credito risultante a saldo di conto corrente in favore di un istituto bancario, non impedisce (nel caso di decurtazione di somme incassate da quest’ultimo per conto del correntista fallito, dopo la chiusura del conto, a parziale soddisfacimento di detto credito) al curatore del fallimento di esperire l’azione revocatoria per contestare, ai sensi dell’art. 67 l. fall., l’efficacia dei pagamenti parziali connessi alla riscossione di tali somme, poiché, data l’autonomia dei suddetti pagamenti rispetto al negozio da cui trae origine il credito ammesso, nessun ostacolo deriva all’esperimento dell’azione suindicata dal provvedimento decisorio di ammissione al passivo di quest’ultimo, e, pertanto, anche se per l’impugnativa del suddetto provvedimento sia intervenuta una sentenza del tribunale fallimentare, questa non può spiegare effetto preclusivo in ordine a quei pagamenti, che non concorrenti alla formazione del conto, ma alla sua successiva parziale estinzione, non costituiscono premessa indispensabile della decisione [C. 4.2.1981, n. 743, AC 1981, 327]. L’ammissione al passivo di un credito residuo rispetto ad un altro precedentemente soddisfatto, ancorché disposta in via definitiva e senza riserve, implica soltanto un accertamento dell’esistenza del titolo giustificativo del primo e non anche dell’insussistenza di un credito maggiore poiché prescinde da indagini sulla validità ed opponibilità alla massa di pagamenti parziali percepiti dal creditore, sicché non preclude la dichiarazione di inefficacia di questi ultimi, lasciando impregiudicate le relative questioni [C. I 29.9.2015, n. 19319]. Il curatore fallimentare non può agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa l’intervenuta risoluzione di diritto di un contratto di leasing relativo ad un macchinario allorquando, in sede di accertamento del passivo, sia stata già definitivamente accolta la domanda di rivendica del bene oggetto del menzionato contratto avanzata dal terzo acquirente, in quanto, non essendosi opposta in tale sede alla restituzione, la curatela fallimentare ha ormai riconosciuto la validità dell’atto d’acquisto del rivendicante e non può pretendere di tornare in possesso del medesimo bene attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria, posto che un simile effetto non sarebbe raggiungibile senza la modificazione dello stato passivo, ormai preclusa dal giudicato endofallimentare, il quale copre sia il dedotto che il deducibile [C. I 4.9.2013, n. 20222].
6 La cessione delle azioni revocatorie in favore dell’assuntore del concordato fallimentare è ammissibile limitatamente a quelle già iniziate dal curatore alla data della presentazione della proposta [C. VI 15.10.2020, n. 22257; C. I 28.4.2003, n. 6587, FI 2003, I, 3027; C. I 9.10.1998, n. 10013, Fall 1999, 614]. Ora, dopo la modifica dell’art. 124 l. fall., a quelle già autorizzate. Il trasferimento dell’azione segue al decreto di cui all’art. 136 l. fall. [C. I 15.6.2018, n. 15793]. Qualora il concordato fallimentare con assunzione preveda la cessione delle azioni revocatorie, la chiusura del fallimento conseguente alla definitività del provvedimento di omologazione determina una successione a titolo particolare dell’assuntore nel diritto controverso regolata dall’art. 111 c.p.c., sicché quest’ultimo, pur potendo intervenire nel giudizio pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, ma non come parte necessaria né in sostituzione del curatore fallimentare, non è tuttavia legittimato a rinunciare al ricorso già proposto dalla curatela [C. I 31.8.2015, n. 17339]. L’omologazione del concordato fallimentare produce l’improponibilità e l’improseguibilità delle azioni revocatorie promosse dalla curatela ai sensi degli artt. 64 e 67 l. fall., a condizione che il presupposto dell’impedimento all’esercizio o prosecuzione delle stesse sia dichiarato nel processo e reso operativo attraverso lo strumento processuale dell’interruzione ex art. 300 c.p.c., ovvero attraverso la produzione in giudizio dei documenti attestanti l’intervenuta omologazione del concordato, ciò che non può avvenire nel giudizio per cassazione, ostandovi l’art. 372 c.p.c. [C. I 8.6.2018, n. 15012; C. I 11.4.2001, n. 5369, Fall 2002, 69; C. I 14.2.2001, n. 2093; C. I 23.7.1993, n. 8255, ivi 1994, 133]. In caso di fallimento di società di persone con consequenziale fallimento dei soci illimitatamente responsabili, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria contro atti di disposizione compiuti dal socio va riconosciuta oltre che al curatore del fallimento personale anche al curatore del fallimento sociale in considerazione dell’interesse correlato agli effetti positivi che, ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali è destinato a produrre l’incremento del patrimonio personale del socio [C. VI 21.10.2021, n. 29284; C. I 30.1.1998, n. 969, RDC 2000, 2, 147].
7 La legittimazione passiva, con riguardo ad azione revocatoria dei pagamenti di contributi effettuati da un imprenditore edile a una cassa edile di mutualità ed assistenza, va riconosciuta nei confronti della cassa medesima, non dei lavoratori beneficiari di tali contributi, qualora essa, alla stregua del suo ordinamento come fissato dagli accordi fra gli associati, non si ponga nella mera veste di mandataria del datore di lavoro e dei lavoratori, nella attività di riscossione e versamento dei contributi stessi, ma assuma in proprio la qualità di creditrice, acquisendo le relative somme nel suo patrimonio, con piena disponibilità per il perseguimento delle finalità affidatele [C. 28.4.1981, n. 2559; C. 26.6.1980, n. 4002, DF 1980, II, 569]. Nell’ipotesi di apertura di credito in conto corrente assistita da garanzia fideiussoria, il fideiussore non è litisconsorte necessario nel giudizio promosso contro la banca dal curatore del fallimento del correntista al fine di ottenere la revoca delle rimesse affluite sul conto nel periodo sospetto [C. 30.1.1985, n. 579, Fall 1985, 648].
8 La carenza di interesse ad agire del curatore di cui all’art. 100 c.p.c. è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, poiché l’esistenza di tale interesse costituisce un requisito della trattazione del merito della domanda [C. I 8.7.2004, n. 12558, GD 2004, 51; C. 19.7.2000, n. 9479, Fall 2001, 660; C. I 28.10.1988, n. 5857, ivi 1989, 288].
9 La sentenza dichiarativa di fallimento, al pari di ogni altra pronuncia, viene ad esistenza alla data del suo deposito e produce i suoi effetti da tale momento, pur se diverso da quello della sua deliberazione, anche al fine del computo del periodo sospetto per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare [C. I 10.04.2019, n. 10104; C. I 16.4.1992, n. 4705, Fall 1992, 911; C. I 22.11.1991, n. 12573]. In tema di azione revocatoria fallimentare, nella ipotesi di successione di procedure concorsuali a carico del medesimo imprenditore commerciale il computo a ritroso del cosiddetto “periodo sospetto”, ex art. 67 l. fall., inizia a decorrere dal decreto di ammissione alla prima procedura [C. I 19.2.2021, n. 4482; C. I 29.03.2019, n. 8970; C. I 16.4.2018, n. 9290; C. I 29.3.2016, n. 6045; C. I 12.12.1998, n. 12536, Fall 1999, 658; C. I 2.9.1996, n. 7994, ivi 1997, 74; C. I 13.12.2002, n. 17844, AC 2003, 1086; C. I 27.10.1995, n. 11216, NGCC 1996, I, 467; C. I 30.5.1994, n. 5285, Fall 1995, 1; C. I 22.11.1991, n. 12573; C. Cost. 23.1.1997, n. 12, Fall 1997, 367; C. Cost. 6.4.1995, n. 110]. Ora dalla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo sul registro delle imprese [T. Milano 2.7.2019].
10 Quando, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, risulti l’esistenza di altro socio illimitatamente responsabile, la successiva dichiarazione di fallimento di quest’ultimo ha effetto ex nunc; pertanto, per la revocabilità di atti compiuti da detto socio, l’anno anteriore al fallimento va computato con riferimento alla data del fallimento del socio stesso [C. s.u. 7.6.2002, n. 8257, I 2003, 1223; C. I 10.8.1991, n. 8757, DF 1992, II, 373; in senso contrario C. I 1.8.1996, n. 6971, GComm 1998, II, 495].
11 Il carattere costitutivo della sentenza di revoca di pagamenti, ai sensi dell’art. 67 l. fall., comporta che soltanto la sentenza stessa produce - dalla data del passaggio in giudicato - l’effetto caducatorio dell’atto giuridico impugnato e che soltanto a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito, e, finché non è sorto il credito (restitutorio) per capitale, neppure sorge il credito accessorio per interessi; ne deriva che, sino alla sentenza di revoca del pagamento passata in giudicato, non può parlarsi di interessi scaduti e che non può, pertanto, farsi luogo all’anatocismo (nella fattispecie, richiesto dal curatore anche sugli interessi primari maturati nel corso del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 345, c. 1, seconda parte, c.p.c.), perché l’art. 1283 c.c. presuppone l’intervenuta scadenza (e dunque esistenza del credito) degli interessi primari; né rileva, in contrario, che gli interessi sul credito riconosciuto al fallimento rientrino tra gli effetti restitutori, rispetto ai quali la sentenza di revoca retroagisce alla data della domanda, perché la decorrenza degli interessi (dalla data della domanda) non va confusa con la scadenza, la quale, nell’ipotesi di credito derivante da pronuncia giudiziale costitutiva, non può che coincidere con la data della pronuncia stessa, ossia con il passaggio in giudicato, giacché solo in tale data, perfezionatosi l’accertamento giudiziale ed il suo effetto costitutivo, sorge la conseguente obbligazione restitutoria [C. I 30.7.2012, n. 13560]. Nell’ipotesi di revocatoria, la pronuncia di condanna, pur dipendente dalla pronuncia costitutiva di accertamento di inefficacia, non è tuttavia con essa nel rapporto di corrispettività sinallagmatica, sicché la provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado ben può essere riferita alle statuizioni di condanna della stessa, del tutto analogamente ai capi di condanna alle spese, pure accedenti a capi di pronuncia costitutiva [C. III 8.11.2018, n. 28508; C. I, 29.7.2011, n. 16737, Fall 2011, 1398; C. App. Salerno 20.6.2011, CG 2012, 62; T. Napoli 4.5.2011, ibidem; in senso contrario, T. Cuneo 21.12.2010, ibidem; C. App. Torino 22.5.2006, Fall 2007, 179]. Ove l’azione revocatoria non sia stata dai creditori dell’alienante introdotta prima del fallimento dell’acquirente del bene che ne costituisce oggetto, essa, stante l’intangibilità dell’asse fallimentare in base a titoli formati dopo il fallimento (c.d. cristallizzazione), non può essere esperita con la finalità di recuperare il bene alienato alla propria esclusiva garanzia patrimoniale, poiché giustappunto si tratta di un’azione costitutiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente, restando in questo caso i creditori dell’alienante (e per essi il curatore fallimentare ove l’alienante sia fallito) restano tutelati nella garanzia patrimoniale generica dalle regole del concorso, nel senso che possono insinuarsi al passivo del fallimento dell’acquirente per il valore del bene oggetto dell’atto di disposizione astrattamente revocabile, demandando al giudice delegato di quel fallimento anche la delibazione della pregiudiziale costitutiva [C. s.u. 4.6.2020, n. 12476]. È inammissibile l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, esperita nei confronti di un fallimento, trattandosi di un’azione costitutiva che modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente ed operando il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso in funzione di tutela della massa dei creditori [C. s.u. 23.11.2018, n. 30416]. È ammissibile il sequestro giudiziario dei beni di una società scissa in vista della revoca dell’atto di scissione qualora sia presente il pericolo in astratto della ulteriore distrazione dei beni [T. Messina 10.4.2020].
III. La conoscenza dello stato di insolvenza
III.La conoscenza dello stato di insolvenza1 Lo stato di insolvenza si sostanza nella incapacità dell’imprenditore di assolvere regolarmente e con normali mezzi solutori alle obbligazioni assunte per il venir meno della liquidità e della disponibilità di credito occorrenti per il normale svolgimento dell’attività d’impresa [C. I 27.4.1998, n. 4277, Fall 1999, 297]. L’accertamento del giudice del merito in ordine alla conoscenza da parte del creditore, convenuto con l’azione revocatoria fallimentare, dello stato di insolvenza del debitore, integra un apprezzamento di fatto che, se fondato su elementi non controversi ed oggettivamente significativi e se sorretto da congrua e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità [C. I 4.2.2008, n. 2557, Fall 2008, 6062; C. I 22.6.2007, n. 14676, ivi 2007, 1231; C. I 9.2.2001, n. 1839, Fall 2001, 1330].
IV. (Segue) A) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 1
IV.(Segue) A) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 11 In tema di revocatoria fallimentare, l’art. 67, c. 1, n. 1, pone a favore del fallimento una presunzione iuris tantum di conoscenza, da parte del terzo, dello stato di insolvenza del debitore nel momento in cui fu posto in essere l’atto, presunzione che impone al terzo convenuto in revocatoria di dare la prova, con ogni mezzo, dell’ignoranza di tale stato. L’accertamento espresso dal giudice di merito sull’esistenza della inscientia decotionis nonché sulla concludenza della prova offerta a tal fine dal terzo, involgendo un apprezzamento di fatto, è incensurabile in Cassazione, quando il giudizio sia giustificato da motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto [C. I 8.8.2003, n. 11948, GIUS 2004, 333]. Il convenuto in revocatoria ex art. 67, c. 1, l. fall. può vincere la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza posta dalla legge a favore del curatore se, non potendo fornire la prova negativa direttamente, dimostra l’esistenza, al momento in cui è stato posto in essere l’atto impugnato, di circostanze tali da far ritenere a una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l’imprenditore si trovi in una situazione normale di esercizio dell’impresa, sempre che non siano emerse prove dell’effettiva scientia decoctionis da parte di detto convenuto [C. I 10.2.2011, n. 3280; C. I 23.9.2009, n. 20482, Fall 2010, 739; C. I 6.8.2009, n. 17998, ibidem, 621; C. I 15.2.2008, n. 3781, ivi 2008, 606; C. I 9.5.2007, n. 10629; ivi 2007, 1231; C. I 18.5.2005, n. 10432, GD 2005, 45]. In tema di revocatoria fallimentare, ed ai fini della prova della sussistenza della scientia decoctionis, poiché il ricorso per la dichiarazione di fallimento non riceve alcuna forma di pubblicità legale, né le cancellerie sono autorizzate a rilasciare ad eventuali terzi interessati informazioni in ordine al suo deposito, deve presumersi, salvo prova contraria, che la pendenza dello stesso sia nota solo a chi lo abbia proposto [C. I 22.3.2013, n. 7281]. La prova della inscientia decoctionis, richiesta dall’art. 67, c. 1, l. fall. per escludere la revocabilità degli atti in esso contemplati, non può esaurirsi nella dimostrazione di uno stato d’animo o di un mero convincimento sulla normalità della situazione economica dell’imprenditore poi dichiarato fallito, occorrendo, per converso, la presenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente detto convincimento in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza [C. I 17.5.2013, n. 12085; C. I 24.10.2012, n. 18196, Fall 2013, n. 996; C. I 19.4.2010, n. 9289, ivi 2010, 1463; C. I 26.1.1999, n. 683, Fall 2000, 119; in senso contrario C. 26.1.2011, n. 1834, GComm 2012, II, 640]. Il convenuto con l’azione revocatoria fallimentare non è ammesso a provare che il debitore, nel cosiddetto periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento, non versava in stato di insolvenza, ma solo in una situazione di temporanea difficoltà ad adempiere, atteso che detto stato di insolvenza è oggetto di presunzione iuris et de iure derivante dalla stessa apertura della procedura concorsuale; né, a maggior ragione, siffatto accertamento può essere compiuto d’ufficio dal giudice del merito, il quale deve invece verificare, ai fini della prova dell’elemento soggettivo dell’azione, se, nel medesimo periodo e con riguardo al tempo degli atti revocandi, si siano manifestati all’esterno i sintomi del dissesto e come tali siano stati percepiti dall’accipiens [C. I 24.2.2011, n. 4559]. L’art. 2710 c.c., che attribuisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, individua l’ambito operativo della sua speciale disciplina nel riferimento, necessariamente collegato, all’imprenditore ed al rapporto di impresa, sicché non può trovare applicazione con riguardo al curatore del fallimento, il quale, agendo in revocatoria nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito, assume, rispetto ai rapporti tra quest’ultimo ed il creditore, la qualità di terzo [C. I 9.5.2013, n. 11017; C. s.u. 20.2.2013, n. 4213, GD 2013, 45; in senso contrario C. I 14.10.2010, n. 21251, FI 2011, I, 67; C. I 27.9.2010, n. 20268, Fall 2011, 493]. In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l’esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell’estratto del libro fidi, il quale, al più, attesta l’esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento; né tale conclusione viola l’art. 2710 c.c. - il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa - presupponendo l’applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende avvalersi siano contenute in uno dei libri contabili obbligatori. [C. I 9.8.2017, n. 19751]. In tema di azione revocatoria fallimentare, il requisito soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza, previsto dall’art. 67 l. fall. non si estende alla conoscenza, da parte del terzo acquirente, della qualità di imprenditore commerciale in capo al soggetto del quale sia stato successivamente dichiarato il fallimento [C. I 20.12.2002, n. 18151, I 2003, 329; C. I 7.2.2000, n. 1317, NGCC 2000, I, 553; C. I 25.3.1994, n. 2911, GComm 1995, II, 838]. Ai fini della revocabilità ex art. 67, c. 2, l. fall., di una garanzia ipotecaria che incide sul patrimonio del socio illimitatamente responsabile di una società di persone, receduto e dichiarato fallito per effetto del fallimento della società, è necessaria la prova della conoscenza, da parte del soggetto che ha iscritto l’ipoteca, della qualifica di socio illimitatamente responsabile del proprietario dell’immobile oggetto dell’iscrizione, nonché dello stato di insolvenza, alla data dell’atto revocando, della società, mentre non assume rilievo l’eventuale errore di diritto del medesimo soggetto, per aver ritenuto che il socio, in quanto receduto, non potesse essere più chiamato a rispondere dell’insolvenza della società [C. I 20.6.1994, n. 5921, Fall 1995, 152; C. I 7.3.1998, n. 2540, ivi 1999, 61; C. I 12.11.1998, n. 11419, FI 1999, I, 1513]. Il principio secondo il quale nel giudizio per revocatoria promosso dal curatore ex art. 67 l. fall. non è consentito mettere in discussione la qualità di imprenditore del fallito comporta che la domanda del curatore non può essere disattesa (e l’atto non può essere ritenuto irrevocabile) in quanto al soggetto poi fallito non appaia oggettivamente riferibile la qualità di imprenditore commerciale (poiché ogni indagine al riguardo è riservata al giudizio per la dichiarazione di fallimento ed all’eventuale procedimento di opposizione alla relativa sentenza), ma non implica la irrilevanza tout court, ai fini della pronuncia di merito sull’azione revocatoria, della verifica della situazione psicologica in cui versava il terzo acquirente al momento della stipula dell’atto in ordine alla conoscenza o meno di detto essenziale presupposto. La condizione di imprenditore commerciale, difatti, pur non venendo in considerazione quale autonomo requisito oggettivo ai fini dell’accoglimento della domanda del curatore, ben può essere, in sé stessa, revocata in dubbio, con riferimento al tempo del compimento del negozio, in via del tutto incidentale, ma determinante agli effetti della eventuale esclusione di una realtà giuridica che, se non esistente, non pare legittimamente predicabile in termini di “conoscenza o conoscibilità” da parte del terzo acquirente, così che, a tale indagine, non risulta ostativo l’avvenuto accertamento, in sede di dichiarazione di fallimento, di tale qualità con riferimento al diverso momento dell’apertura della procedura concorsuale [C. I 12.11.1998, n. 11419, Fall 1999, 887]. Nel caso di azione revocatoria fallimentare concernente atti di disposizione patrimoniale compiuti da un socio illimitatamente responsabile di una società, dichiarato fallito per effetto del fallimento di questa, dovendo la conoscenza dello stato di insolvenza riferirsi non già al socio (il quale, uti singulus, ben può non versare in stato di insolvenza), ma alla società, l’elemento della scientia decotionis deve avere tra le sue componenti oggettive la qualità di socio illimitatamente responsabile della società in stato di insolvenza rivestita dall’autore dell’atto revocando, con la conseguenza che, a seconda che quest’ultimo rientri tra quelli previsti dal comma 1 o tra quelli contemplati dal comma 2 dell’art. 67 l. fall., il terzo può provare di avere ignorato che il fallito rivestisse l’anzidetta qualità e il curatore ha l’onere di provare che il terzo era a conoscenza che l’altra parte fosse socio illimitatamente responsabile della società in stato di insolvenza [C. I 14.1.1998, n. 255, Fall 1999, 32; C. I 27.11.1997, n. 11978, ivi 1998, 1155].
V. (Segue) B) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 2
V.(Segue) B) la prova della scientia decoctionis nella revocatoria ex art. 67, c. 21 La conoscenza da parte del terzo dello stato di dissesto in cui versa il debitore al momento del compimento dell’atto dispositivo, dev’essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte al momento della stipula dell’atto impugnato. Peraltro, non ponendo la legge alcun limite ai mezzi di prova esperibili dal curatore, gli elementi indicativi di tale situazione possono risultare anche da indizi, quando ad essi sia attribuibile l’efficacia probatoria delle presunzioni semplici, la cui valutazione è rimessa alla prudente valutazione del giudice del merito, a norma dell’art. 2729 c.c. [C. I 30.6.2020, n. 13169; C. I 12.11.2013, n. 25379; C. VI 4.5.2012, n. 6686, S 2012, 709; C. I 28.2.2007, n. 4762, DF 2008, II, 227; C. I 5.3.2004, n. 4503, GI 2004, 2302]. In tema di azione revocatoria fallimentare, la sussistenza del requisito della scientia decotionis non può essere desunto dalla mera conoscibilità dello stato di insolvenza, e, pur giovando al fine del suo accertamento le presunzioni evincibili da circostanze esterne obiettive, tali da indurre ragionevolmente una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza a ritenere che la controparte del rapporto si sia trovata in stato di dissesto, la effettiva conoscenza, da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, in quanto elemento positivo dell’azione revocatoria, non può essere ravvisata per il fatto che la ignoranza di tale insolvenza sia colpevole [C. I 28.8.2001, n. 11289, Fall 2002, 514]. Ai fini dell’accertamento della conoscenza dello stato di insolvenza, il giudice può avvalersi di presunzioni semplici, valorizzando le fonti di conoscenza rappresentate da una campagna di stampa nei confronti dell’imprenditore insolvente, con una valutazione in concreto delle sue caratteristiche, ovvero del numero delle notizie, della rilevanza nazionale e della dovizia di particolari narrati [C. I 31.8.2021, n. 23650; C. VI 8.2.2017, n. 3299; contra C. App. Ancona 2.10.2019]. Nella revocatoria fallimentare la prova della scientia decoctionis può essere fornita tramite presunzioni e se queste sono diverse, il giudice del merito deve procedere ad una valutazione complessiva [C. I 13.10.2005, n. 19894, FI 2005, I, 3296; C. I 7.8.1997, n. 7298, Fall 1998, 280; C. I 4.11.1998, n. 11060, ivi 1999, 297; C. I 28.4.1998, n. 4318, ibidem, 84]. In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore, della cui dimostrazione è onerata la curatela ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., è correttamente provata anche attraverso indizi aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza, se essi consistono in elementi di fatto plurimi ed idonei a permettere una valutazione globale della situazione economica del solvens ai fini della prova per presunzioni della conoscenza effettiva il relativo apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità [C. I 17.7.2007, n. 15939, Fall 2008, 356]. La prova della conoscenza, da parte dell’accipiens, dello stato di insolvenza del debitore poi fallito può legittimamente fondarsi su elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, tali, cioè, da lasciar ragionevolmente presumere una conoscenza effettiva, e non meramente potenziale, del predetto stato [C. I 30.6.2020, n. 13169; C. I 12.9.2003, n. 13430, Fall 2004, 1104; C. I 7.2.2001, n. 1719, GC 2001, I, 2977; C. I 19.5.2000, n. 6530, Fall 2001, 416]. La presenza di elementi indiziari dell’esistenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore di per sé non soddisfa la prova dell’effettiva conoscenza o conoscibilità dell’insolvenza a norma dell’art. 67 l. fall. [C. I 3.3.1999, n. 1772, Fall 2000, 303; C. I 26.1.1999, n. 683, cit.]. In presenza di una molteplicità di indizi, in ossequio al requisito della loro concordanza, la relativa valutazione, va effettuata complessivamente e non atomisticamente [C. 18.2.2005, n. 3390]. Agli effetti della scientia decoctionis per l’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare anche un solo indizio può costituire prova presuntiva di un fatto ignoto da dimostrare [C. I 9.4.2003, n. 5550, Fall 2004, 172; C. 18.6.1987, n. 5356, ivi 1987, 1164]. In materia di revocatoria fallimentare, la scientia decoctionis può ben essere dimostrata attraverso la prova testimoniale [C. 12.3.1974, n. 659, DF 1974, II, 1044].
2 In tema di azione revocatoria fallimentare di pagamenti relativi a crediti liquidi ed esigibili, la prova della conoscenza, da parte dell’accipiens, dello stato di insolvenza del debitore poi fallito può legittimamente fondarsi su elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, tali, cioè, da lasciar ragionevolmente presumere una conoscenza effettiva, e non meramente potenziale, del predetto stato, assumendo, a tal fine, indiscussa rilevanza probatoria, tra l’altro, le eventuali qualità personali e professionali del creditore, la struttura organizzativa di cui egli può disporre, la zona commerciale in cui esplichi, in concreto, la propria attività [C. I 11.11.1998, n. 11369, Fall 1999, 886]. Il presupposto soggettivo per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare si identifica nella conoscenza effettiva e concreta, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore poi fallito, e non anche nella sola potenziale ed astratta conoscibilità di tale stato. Ne consegue che, qualora il creditore abbia, come nel caso di una banca, la possibilità di ottenere informazioni sulla situazione patrimoniale dei propri debitori in misura certamente superiore a quella comune, alla luce, altresì, delle specifiche conoscenze tecniche a sua disposizione (con conseguente capacità di identificazione di eventuali, anche poco significative, vicende aziendali come sintomatiche dello stato di insolvenza), non è lecito da ciò inferire la conclusione che, solo in quanto banca, detto creditore abbia, sempre e necessariamente, conoscenza effettiva e concreta dello stato di insolvenza del debitore fallito, escludendo, così, illegittimamente, ogni necessità di allegazione, da parte del curatore, di ulteriori elementi sintomatici della concreta conoscenza della crisi dell’imprenditore [C. I 12.5.1998, n. 4765; C. I 6.12.1996, n. 10886].
VI. (Segue) C) gli indici presuntivi della scientia decoctionis. Fattispecie
VI.(Segue) C) gli indici presuntivi della scientia decoctionis. Fattispecie1 In tema di revocatoria fallimentare, la prova dell’esistenza di protesti a carico del fallendo non è ancora prova che di tali protesti la parte creditrice fosse a conoscenza ed occorre, quindi che la curatela, per completare il proprio onere probatorio, individui il veicolo attraverso il quale le manifestazioni d’insolvenza - nel caso, i protesti - sono giunte a conoscenza del creditore. Di norma, la pubblicazione nel bollettino dei protesti costituisce prova indiziaria idonea, ma la conoscenza del protesto può essere dimostrata con qualsiasi altro mezzo che il giudice del merito riconosca idoneo e salva sempre la prova contraria che il convenuto in revocatoria può fornire. La presunzione che l’istituto di credito, in quanto tale, fruisca di canali di conoscenza dei protesti più rapidi del bollettino, è generica, perché non tiene conto che tale canale preferenziale è presumibile solo in relazione alla sfera di operatività dell’istituto; la presunzione va quindi, perché operi, collegata alle modalità specifiche della fattispecie [C. VI 14.1.2016, n. 526; C. I 13.1.2010, n. 391, D&G 2010; C. I 4.5.2009, n. 10209, Fall 2009, 1477; C. I 24.3.2000, n. 3524; C. I 24.11.1999, n. 13048, DPS 2000, 72; C. I 7.7.1999, n. 7064, Fall 2000, 1003; contra T. Bari 12.1.2017 per la quale con riferimento al requisito della scientia decoctionis, una visura protesti costituisce una circostanza di per sé irrilevante, non potendosi certo pretendere che il creditore, nel momento in cui riceveva il pagamento, dovesse necessariamente informarsi circa la sussistenza o meno di protesti in danno della solvens. Anche la pendenza di procedure esecutive mobiliari nei confronti della fallita non è elemento sintomatico della conoscenza dello stato di insolvenza della stessa, trattandosi di procedure per le quali non è previsto un sistema di pubblicità verso terzi]. Le procedure fallimentari, esecutive e monitorie, non sono soggette a forme pubblicitarie e le cancellerie non sono autorizzate a fornire informazioni in ordine al deposito degli atti relativi. Del resto, in tema di azioni revocatorie fallimentari, il giudizio circa la possibilità di avere puntuale e tempestivo riscontro dell’assoggettamento del debitore a procedure giudiziarie recuperatorie va modulato avendo riguardo alla valorizzazione della qualità del soggetto verso cui si dirige l’azione revocatoria e della conseguente disponibilità, in capo allo stesso, di operatori professionali qualificati e di peculiari strumenti conoscitivi [C. VI 27.8.2019, n. 21749; C. II 4.10.2016, n. 19795]. In materia di revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, gli elementi presuntivi per l’accertamento della conoscenza, in capo alla banca convenuta, dello stato di insolvenza del debitore devono essere messi in relazione con la natura di agente economico qualificato proprio della convenuta, che le consente sia l’acquisizione di informazioni ordinariamente non accessibili ai comuni operatori, e che le attribuisce la capacità di percepire, nella situazione in cui si era trovata concretamente ad operare, i segnali di dissesto in cui versava la società debitrice [C. I 2.11.2017, n. 26061]. In tema di azione revocatoria fallimentare, la qualità di operatore economico qualificato della banca convenuta, pur non integrando, da sola, la prova dell’effettiva conoscenza dei sintomi dell’insolvenza, impone di considerare la professionalità ed avvedutezza con cui normalmente gli istituti di credito esercitano la loro attività. Ne consegue che la “scientia decoctionis” della prima non può escludersi solo perché, in sede di concessione o di rinnovo di un fido, abbia effettuato un qualunque esame dei bilanci della correntista poi fallita, concluso con la mera affermazione della sua solvibilità, dovendosi, piuttosto, verificare - per scongiurare analisi funzionali non all’accertamento della solvibilità del cliente, ma alla protezione della stessa banca da eventuali revocatorie - se sia stato svolto un esame critico ed attento della effettività, della coerenza e della congruità delle singole voci esposte nei bilanci, e se i criteri di giudizio in concreto utilizzati corrispondano o meno alla prassi degli istituti nella concessione del credito [C. I 29.7.2014, n. 17208]. Deve escludersi in capo alla Banca convenuta in revocatoria, ancorché operatore qualificato, la sussistenza di un incondizionato obbligo di esame dei bilanci, inconferente essendo a tal fine il richiamo all’art. 124-bis t.u.b. trattandosi di norma destinata a regolare i contratti di credito al consumo conclusi per scopi estranei all’attività imprenditoriale del contraente. Occorre, in ogni caso, valutare se il mancato accesso ai dati di bilancio e a quelli forniti nel registro delle imprese si sia tradotto, nella specie, in comportamento negligente della Banca al fine di escludere che l’addotta ignoranza possa ritenersi incolpevole. Spetta al fallimento che agisce in revocatoria fornire la prova della necessità in capo alla Banca di esaminare i bilanci della società poi fallita, allorché il conto corrente intrattenuto con la società non era assistito da affidamento [C. App. Milano 20.6.2016].
2 In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, la concessione di un nuovo finanziamento dopo la revoca del fido, non solo non è fatto sintomatico della inscientia decoctionis, ma può addirittura avere valore indiziario circa le speranze del creditore di potere aiutare il fallendo a superare la crisi economica, e, quindi, confermativo della scientia decoctionis [C. 21.12.2005, n. 28299, cit.; C. I 12.12.2005, n. 27390, I 2006, 484; C. I 14.2.1990, n. 1094, DF 1990, II, 1056].
3 In materia di prova presuntiva della conoscenza dello stato di insolvenza, ai fini dell’accoglimento della revocatoria fallimentare, l’utilizzazione della pubblicazione di notizie relative al dissesto dell’impresa, poi fallita, in località territorialmente vicina a quella in cui opera l’accipiens, con l’implicazione che anche quest’ultimo non può ragionevolmente ignorare le precarie condizioni patrimoniali del contraente, non integra una ipotesi di praesumptio de praesumptio, ma dà luogo ad un’unica presunzione, sia pure articolata su autonome circostanze di fatto, come tale pienamente valida secondo i principi della prova per presunzioni [C. I 6.11.1993, n. 11013, Fall 1994, 361].
4 Ai fini di un’applicazione giuridicamente corretta, in relazione ai criteri probatori, del disposto dell’art. 67 l. fall. nella parte in cui prevede la revoca degli atti a titolo oneroso compiuti da chi, entro l’anno successivo, sia dichiarato fallito, a condizione che il curatore provi che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza, il giudice della revocatoria fallimentare è tenuto a dar conto, attraverso adeguato esame, della irrilevanza, quale elemento sintomatico della cosiddetta scientia decoctionis, della peculiarità - ove non anche della anomalia - della situazione determinata dal contratto in discussione, considerata teleologicamente in ordine al risultato concretamente conseguito [C. I 18.4.2011, n. 8827, Fall 2012, 125; C. I 4.2.2008, n. 2557, ivi 2008, 6062; C. I 21.12.1998, n. 12736, Fall 1998, 903]. Il ragionamento con cui il giudice di merito, in sede di revocatoria fallimentare, proposta ai sensi del comma 2, art. 67 l. fall., avverso pagamenti di parcelle effettuati ad un avvocato, desume la scientia decoctionis da parte del medesimo dalla circostanza che egli, avendo difeso quale legale la società fallita nella fase prefallimentare, non poteva ignorare lo stato d’insolvenza in cui versava la società, si fonda su una presunzione, la cui utilizzabilità è certamente consentita per giungere alla prova del suddetto elemento ed è in concreto idonea a fornire tale prova, atteso che la posizione privilegiata del legale consentiva di rendersi conto dell’effettivo stato della società [C. I 6.11.1999, n. 12366, Fall 2000, 1266]. In tema di revocatoria fallimentare, allorquando, in relazione ad un’operazione di salvataggio dell’impresa, vengono pianificati alcuni pagamenti spiegati in un arco temporale, la consapevolezza iniziale dello stato di decozione del debitore (che si esprime nell’accettazione del piano) si proietta sulla successiva attività solutoria, ove non intervengano elementi atti a trasformare la speranza che l’impresa dissestata onori i suoi impegni in consapevolezza di fattori sopravvenuti, atti a comportare un mutamento della situazione economica. Fattori sopravvenuti che deve dedurre e provare chi contesta la persistenza della consapevolezza dello stato d’insolvenza in relazione ai singoli pagamenti [C. I 22.4.2000, n. 5279]. Nell’ipotesi di successione del fallimento al concordato preventivo e all’amministrazione controllata, esercitata l’azione revocatoria fallimentare in relazione a pagamenti effettuati nel periodo sospetto da calcolarsi a ritroso dalla data di ammissione alla prima procedura, l’identità ontologica tra lo stato di insolvenza di cui all’art. 5 l. fall. e la situazione di temporanea difficoltà che costituisce presupposto di ammissione alla amministrazione controllata non consente di attribuire rilievo, ai fini dell’accertamento della conoscenza dello stato di insolvenza, alla prognosi favorevole di risanamento dell’impresa conosciuta o condivisa dal creditore [C. I 29.9.1999, n. 10792, Fall 2000, 1251]. In tema di revocatoria fallimentare, il presupposto soggettivo, ai sensi dell’art. 67 l. fall., è costituito dalla conoscenza effettiva da parte del terzo dello stato d’insolvenza del debitore e non dalla semplice conoscibilità, sebbene la relativa dimostrazione possa fondarsi anche su elementi indiziari purché caratterizzati dagli ordinari requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. Tuttavia, tali condizioni non possono essere riscontrate nella mera esistenza di esecuzioni individuali, in quanto non soggette a forme pubblicitarie, o nelle iscrizioni ipotecarie a carico del debitore, quando non si sia dato conto di circostanze, quali la contiguità territoriale tra creditore e luogo delle procedure e l’esistenza di rapporti professionali tra creditore e debitore, che, in virtù di concreti collegamenti, permettano di ritenere effettivamente conosciuta e non solo conoscibile la scientia decoctionis [C. I 4.3.2010, n. 5256, Fall 2010, 1211; C. I 2.7.2007, n. 14978, ivi 2007, 1371]. Nell’azione revocatoria proposta nei confronti di un istituto di credito, dovendosi ritenere pacifica la capacità della banca di assumere informazioni qualificate, le risultanze della centrale rischi, con particolare riferimento alle revoche degli affidamenti, vanno considerate conosciute atteso il regolamento della Banca d’Italia al quale tutti gli intermediari devono attenersi, ed assumono il valore di prova presuntiva [C. I 13.10.2005, n. 19894, FI 2005, I, 3295].
VII. Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio straordinario: (segue) A) la sproporzione tra prestazioni
VII.Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio straordinario: (segue) A) la sproporzione tra prestazioni1 La prova della sproporzione può essere data con qualunque mezzo, e, quindi, anche con presunzioni, ma il giudice, per pronunziare la revoca dell’atto, deve accertare, alla stregua delle circostanze subiettive e obiettive che accompagnarono la conclusione, che l’atto stesso, per effetto della sproporzione, fu lesivo della consistenza patrimoniale del fallito [C. 7.10.1959, n. 2699, DF 1960, II, 83]. Nell’ipotesi di revocatoria ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 1, l. fall. la proporzionalità tra le prestazioni delle parti deve essere verificata considerando le obbligazioni dedotte nel contratto, senza tener conto di successivi inadempimenti e del danno che ne sia eventualmente derivato, atteso che l’inadempimento di talune di dette obbligazioni è accadimento successivo all’accordo delle parti ed estraneo all’assetto dato, con il negozio concluso, ai loro interessi [C. I 5.3.2007, n. 5058, Fall 2007, 969]. In tema di azione revocatoria fallimentare, l’accertamento del requisito oggettivo della “notevole sproporzione tra le prestazioni”, di cui all’art. 67, c. 2, l. fall., costituisce un apprezzamento di fatto del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se logicamente e congruamente motivato [C. I 17.4.2007, n. 9142, Fall 2007, 969].
2 Nel caso in cui sia stipulato un patto di opzione e, per effetto dell’esercizio del diritto in esso riconosciuto, del contratto finale, solo a quest’ultimo deve aversi riguardo al fine di valutare l’ammissibilità di una azione revocatoria. I presupposti oggettivi e soggettivi, infatti, devono avere riguardo al momento in cui è compiuto l’atto di disposizione lesivo e non anche al tempo in cui è stipulato il solo patto di opzione dal quale non discende la realizzazione dell’atto dispositivo in senso proprio [C. I 10.10.2003, n. 15142, I 2004, 321]. La notevole sproporzione tra la prestazione eseguita dal fallito e quella effettuata dal convenuto in revocatoria ex art. 67, c. 1, n. 1, l. fall., va valutata ex ante, con riferimento al momento della conclusione del contratto e non ex post, al momento della revocatoria. Infatti, la sproporzione tra le prestazioni - nella ratio della revocatoria, che è quella di ricostruire non solo il patrimonio del debitore, ma anche la par condicio creditorum - ai fini dell’esperibilità dell’azione, rileva quale prova della partecipatio fraudis del terzo, a prescindere dal danno effettivamente procurato al patrimonio del fallito [C. I 5.3.2007, n. 5058, cit.; C. I 19.4.1995, n. 4408, GI 1996, I, 648]. Nell’ipotesi di revocatoria, ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 1, l. fall., di atto di compravendita preceduto dalla stipula di un contratto preliminare ad effetti anticipati, la sproporzione tra le prestazioni va valutata con riferimento al momento della conclusione del contratto definitivo, essendo questo che determina l’effettivo passaggio della proprietà, ed è a tal momento che occorre riferirsi per la determinazione del valore venale del bene. Infatti, ancorché siano previsti la consegna del bene ed il pagamento del prezzo prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica di per sé l’anticipazione di tutti gli effetti traslativi del contratto definitivo, se il giudice del merito, ricostruendo la comune intenzione delle parti e valutando il loro comportamento anche successivo al contratto, accerti che trattasi di contratto preliminare solo con alcuni effetti anticipati, in quanto la disponibilità del bene ha luogo nella piena consapevolezza dell’altruità della cosa [C. VI 21.3.2017, n. 7216]. Ove l’azione revocatoria venga proposta ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 1, l. fall., con riferimento a un atto traslativo il cui effetto si sia interamente prodotto, pur se le prestazioni ulteriori a carico del venditore fallito siano state solo in parte adempiute, il giudizio di proporzionalità del prezzo contrattuale va compiuto con riferimento alle prestazioni eseguite [C. I 15.9.2004, n. 18570, FI 2005, I, 1421]. L’acquirente di un bene convenuto in revocatoria dal fallimento del venditore (art. 67, n. 1, l. fall.), qualora deduca la simulazione del prezzo, ha l’onere di provare, con un documento di data certa anteriore al fallimento, sia il versamento del maggior prezzo dissimulato, sia il collegamento di tale versamento con il contratto revocabile; inoltre, nel caso in cui la prova documentale della simulazione relativa non sia data da un unico documento, bensì da una serie di documenti tra loro ricollegabili, ciascuno di essi, secondo il regime probatorio suo proprio, deve avere data certa anteriore al fallimento [C. I 16.10.2012, n. 17761, Fall 2013, 898; C. I 28.1.2008, n. 1759, ivi 2008, 605; C. I 1.3.2005, n. 4285]. La simulazione relativa intervenuta tra le parti originarie del contratto, avente ad oggetto il prezzo della vendita, è opponibile al fallimento dell’alienante, ma la prova dell’accordo dissimulato deve essere fornita con scrittura avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento. E siccome l’art. 2704 c.c. non contiene un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi, ma lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la certezza della data, deve ritenersi che sia ammissibile la prova per testi o per presunzioni tesa a dimostrare, con il collegamento tra il pagamento documentato e il contratto dissimulato, la necessaria anteriorità di questo, allorché non sia in discussione la certezza di data della scrittura rappresentativa del pagamento [C. I 6.9.2006, n. 19136, C 2007, 856]. L’estinzione della precedente passività come finalità ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi utilizzati secondo lo schema del collegamento funzionale attribuisce alla complessiva operazione carattere anomalo e la qualifica come mezzo anomalo di pagamento ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. Risulta dunque superfluo l’accertamento della “scientia decoctionis”, ferma restando la possibilità per il convenuto di dimostrare la non conoscenza dell’insolvenza del debitore al momento dell’atto [C. I 16.2.2016, n. 2988].
3 Il contratto di transazione è soggetto alla revocatoria fallimentare. Infatti, la sua natura non aleatoria ma commutativa fa sì che ciascun contraente subisca un sacrificio patrimoniale determinato, onde procurarsi un vantaggio corrispondente e rende possibile al giudice valutare, ex art. 67, n. 1, l. fall., se la prestazione assunta dal fallito sorpassi notevolmente la controprestazione. La valutazione del giudice va effettuata con riferimento alle sole prestazioni dedotte in contratto e non anche con riferimento alle reciproche concessioni, ossia alle pretese originarie dei contraenti, poiché le valutazioni dette parti circa la situazione preesistente restano assorbite nel regolamento contrattuale, vale a dire nelle reciproche attribuzioni patrimoniali [C. III 27.6.2001, n. 8808, Fall 2002, 707; C. I 20.3.1976, n. 1016]. In tema di revocatoria fallimentare, promossa per far valere l’affermata sproporzione tra le reciproche prestazioni rinunciate nell’ambito di una transazione intercorsa tra le parti, l’onere della prova incombe sulla parte che ha proposto l’azione revocatoria, ed ha per oggetto anche il valore della rinuncia operata da controparte, senza che possa distinguersi tra elementi dedotti dalla parte attrice ed elementi dedotti dalla convenuta, le cui allegazioni sul punto non possono considerarsi oggetto di un’eccezione in senso stretto, avendo invece natura di mere contestazioni o difese [C. VI 9.4.2018, n. 8635]. In tema di revocatoria fallimentare promossa per sproporzione tra le prestazioni ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 1, l.fall. ed avente ad oggetto una transazione, il giudice non deve avere riguardo né soltanto alle prestazioni dedotte nell’atto di transazione, né soltanto alle pretese originarie come declinate dalla parte, ma deve tenere conto complessivamente delle reciproche concessioni. A tal fine, tuttavia, non occorre effettuare un accertamento incidentale in termini di fondatezza o infondatezza delle pretese originarie, ma è necessario stabilire il valore di queste, tenendo conto, con un giudizio prognostico, sia delle probabilità di un positivo accertamento in sede giudiziale, sia di tutte le altre circostanze (quali la solvibilità del debitore ed il tempo necessario per l’attuazione del diritto in via giudiziale) che incidono sulla valutazione economica della originaria pretesa nel momento in cui la parte transigente vi ha rinunziato [C. VI 13.9.2017, n. 21279]. La circostanza che il curatore subentri nel rapporto di locazione ultranovennale stipulato dal fallito in epoca antecedente la dichiarazione di fallimento, non esclude che, ove ne ricorrano le condizioni, il contratto possa essere revocato, ai sensi dell’art. 67 l. fall., atteso che l’esercizio dell’azione revocatoria vede il curatore intervenire come terzo, per elidere il pregiudizio recato al patrimonio del fallito da atti da questi compiuti entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento. Infatti, il contratto di locazione ultranovennale configura un atto di straordinaria amministrazione, idoneo di per sé ad alterare in senso peggiorativo la garanzia patrimoniale offerta dal locatore ai creditori e, pertanto soggetto all’azione revocatoria [C. I 4.5.1996, n. 4143, Fall 1997, 26; C. I 17.3.1995, n. 3089, ivi 1995, 1126]. Nei confronti dell’atto di alienazione di quote di una società collettiva regolare da parte di un socio poi dichiarato fallito, è proponibile l’azione revocatoria fallimentare, comportando, con l’inefficacia dell’atto di alienazione, la reintegrazione in favore della massa fallimentare nella posizione creditoria per il valore inerente alla quota, che, spettante al socio escluso di diritto dalla società in conseguenza del fallimento, va compresa nella massa attiva fallimentare a norma dell’art. 42 l. fall. [C. I 26.1.1993, n. 950, FI 1994, I, 838].
VIII. (Segue) B) il pagamento effettuato con mezzi anormali
VIII.(Segue) B) il pagamento effettuato con mezzi anormali1 In tema di fallimento, la norma di cui all’art. 67, c. 1, n. 2 (revocabilità degli atti estintivi di debito pecuniari scaduti ed esigibili effettuati con mezzi anormali di pagamento) deve ritenersi legittimamente applicabile, in via di interpretazione estensiva, anche ai debiti non ancora scaduti, purché aventi scadenza anteriore alla dichiarazione di fallimento. Se la legge sancisce, difatti, la revocabilità degli adempimenti “anormali” di debiti scaduti, a più forte ragione devono considerarsi revocabili i medesimi atti estintivi (sempre compiuti con mezzi anormali) prima della scadenza del debito, risultando in tal caso ancor più fondato il sospetto della consapevolezza, ex latere creditoris, del carattere pregiudizievole dell’atto [C. I 6.2.1999, n. 1036, Fall 2000, 289; C. 30.3.1981, n. 1816, ivi 1981, 641].
2 Ai fini della revocatoria fallimentare degli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili a norma dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., sono considerati mezzi normali di pagamento, diversi dal danaro, quelli che vengono comunemente accettati in commercio in via sostitutiva del denaro stesso, quali gli assegni circolari e bancari, le cambiali ed i vaglia cambiari [C. 19.6.1981, n. 4018, DF 1981, II, 474]. Agli effetti dell’azione revocatoria fallimentare, per mezzi normali di pagamento, diversi dal denaro, debbono intendersi soltanto quelli che comunemente vengono accettati in commercio quali sostitutivi del denaro, come gli assegni circolari e bancari, le cambiali ed i vaglia cambiari o simili [C. I 15.7.2011, n. 15691, Fall 2012, 621; C. VI 11.2.2011, n. 3471, GC 2012, I, 1082; C. 3.9.1976, n. 3082]. L’assegno postdatato, inteso nella sua obiettiva idoneità strumentale a costituire mezzo di pagamento equivalente al denaro, non perde le sue caratteristiche di titolo di credito, per cui gli atti estintivi di debiti, effettuati con assegni postdatati non costituiscono mezzi anormali di pagamento e non sono, pertanto, assoggettati alla azione revocatoria fallimentare prevista dall’articolo 67, comma 1, n. 2, della legge fallimentare [C. I 15.6.2018, n. 15794; C. I 11.1.2017, n. 504; C. I 17.2.2016, n. 3136]. Il complesso meccanismo negoziale costituito dalla attribuzione di un mandato in rem propriam all’incasso di contributi provenienti da un terzo e dall’ulteriore conferimento della facoltà di utilizzare le somme incassate per l’estinzione, totale o parziale, di un debito, benché non ancora sorto, anche attraverso la compensazione delle rispettive ragioni creditorie, produce effetti sostanzialmente analoghi alla cessione di crediti e, pur avendo anche uno scopo di garanzia, ha soprattutto funzione solutoria, risolvendosi nella precostituzione di un mezzo sicuro di pagamento per il mandatario in ordine ai finanziamenti da effettuare a favore del mandante; ne consegue che, trattandosi, altresì, di un mezzo satisfattorio diverso dal denaro ed estraneo comuni relazioni commerciali, risulta suscettibile di revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., se pattuito nel biennio sospetto, a nulla rilevando che tale pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto [C. III 25.7.1987, n. 6467, Fall 1987, 1246]. Qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall’obbligato mediante una prestazione diversa, consistente nel trasferimento di una res pro pecunia, la ricorrenza di una datio in solutum, ed il suo conseguente assoggettamento, in considerazione della non normalità del mezzo di pagamento, ad azione revocatoria fallimentare a norma dell’art. 67, c. 1, n. 2 va riconosciuta indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il suddetto trasferimento e, quindi, anche quando il trasferimento medesimo sia effetto di un valido contratto di compravendita, che evidenzi l’indicato intento dei contraenti per la mancata corresponsione del prezzo della vendita [C. VI 14.2.2018, n. 3673; C. I 9.6.2011, n. 12644, Fall 2012, 233; C. I 18.2.2009, n. 3905, ivi 2009, 1238; C. 26.6.1984, n. 3710].
3 Qualora l’azione revocatoria fallimentare abbia ad oggetto il pagamento di un debito pecuniario, che sia stato effettuato mediante la consegna, in luogo del denaro, di cose mobili cosiddetta datio in solutum, la revocatoria medesima, in relazione alla sua finalità di ripristino del patrimonio del fallito, deve essere rivolta in via principale alla condanna del terzo alla restituzione di quelle cose, mentre una condanna al versamento dell’equivalente in denaro può essere richiesta ed ottenuta solo a fronte della impossibilità di conseguire tale restituzione [C. I 14.3.2018, n. 6262; C. VI 8.11.2017, n. 26425; C. I 4.3.2016, n. 4265; C. 9.12.1985, n. 6217, Fall 1986, 737]. È assoggettabile a revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, c. 1, l. fall. la prestazione eseguita dal fallito, quando si possa ravvisare nell’atto una forma di pagamento anormale, qualificabile come datio in solutum, purché sia provato inequivocabilmente che tale prestazione perseguiva una finalità satisfattoria del proprio debito [C. I 21.12.2004, n. 23714, DPS 2005, 89; C. I 13.7.1999, n. 7406, Fall 2000, 847]. In tema di revocatoria fallimentare, la restituzione al venditore di merci acquistate e non ancora pagate, eseguita dal compratore al fine di estinguere ogni pregresso rapporto, costituisce datio in solutum qualificabile come mezzo anormale di pagamento ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. [C. I 8.1.2001, n. 193; C. I 24.7.2000, n. 9690, DPS 2000, 81; C. I 2.6.1999, n. 5356, Fall 2000, 757]. Qualora le parti della vendita di un bene mobile, in relazione alla parziale inadempienza del compratore al pagamento del prezzo, stabiliscano la restituzione della cosa al venditore, ed il relativo accordo, alla stregua della complessiva ricostruzione della volontà delle parti, debba intendersi non come una risoluzione consensuale del precedente rapporto, ma come una datio in solutum, rivolta ad estinguere l’indicato residuo debito mediante trasferimento di res pro pecunia, la suddetta restituzione viene ad integrare un pagamento di debito pecuniario con mezzi non normali, e resta conseguentemente soggetta a revocatoria, a seguito del sopravvenuto fallimento del compratore, a norma dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall.; l’accoglimento di tale revocatoria, nel concorso dei requisiti fissati dalla citata norma, non può trovare limiti od ostacoli nella circostanza che il convenuto non sia più in grado di restituire il bene, per averlo a sua volta alienato, trattandosi di situazione che spiega rilievo al diverso fine di comportare la sua condanna, anziché alla riconsegna del bene, al versamento dell’equivalente in denaro (secondo il valore che esso aveva al momento della stipula del negozio revocato, da liquidarsi tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione), senza che si renda in proposito necessaria la dimostrazione di un intento fraudolento nel trasferire ad altri il bene medesimo [C. I 8.5.1992, n. 5512, Fall 1992, 920; C. 8.7.1985, n. 4069, DF 1986, II, 297]. Non è configurabile come datio in solutum, qualificabile come mezzo anormale di pagamento revocabile a norma dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., l’ipotesi in cui la possibilità di una prestazione diversa dal denaro sia stata prevista originariamente, all’atto di stipulazione del contratto, versandosi in tal caso nella diversa fattispecie dell’obbligazione alternativa, nella quale entrambe le prestazioni sono dedotte in obbligazione, ed al debitore è lasciata la scelta dell’una o dell’altra; in simili ipotesi non si può infatti presupporre che la prestazione diversa sia dipesa dalle difficoltà economiche del debitore, ma si deve invece ritenere che sia stata il frutto di una scelta nell’ambito di quanto già stabilito in origine [C. I 20.2.2004, n. 3379, DF 2006, II, 14]. Costituiscono forme di datio in solutum revocabili la dazione di beni immobili e la prestazione di servizi [C. 22.11.1977, n. 5093]. In tema di azione revocatoria fallimentare, l’estinzione di un’obbligazione da parte del debitore mediante cessione di merce costituisce, in quanto prestazione diversa dal denaro, una datio in solutum, qualificabile come mezzo anormale di pagamento e quindi revocabile ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., né rileva l’accertamento di una clausola contrattuale in tal senso, poiché il creditore, in tal modo, realizza la compensazione del credito originario con il debito del pagamento del prezzo [C. I 14.2.2011, n. 3581, GC 2012, I, 1847; C. I 22.5.2007, n. 11850, Fall 2007, 1146].
4 Nel caso di revoca di una datio in solutum o di un atto di trasferimento di beni determinati, non restituibili in natura, il soccombente nell’azione di revocatoria fallimentare è tenuto a corrispondere l’equivalente pecuniario secondo il valore che essi avevano all’atto della stipula del negozio revocato e, quindi, tenendo conto della svalutazione monetaria da quel momento intervenuta, trattandosi di obbligazione da fatto illecito produttivo di danno per i creditori e, conseguentemente, di debito di valore volto a ripristinare il patrimonio del fallito nella situazione antecedente al compimento dell’atto revocato [C. I 28.5.2018, n. 13273; C. I 24.1.1998, n. 690, Fall 1990, 1005].
5 Il conferimento di un mandato irrevocabile in rem propriam all’incasso di crediti nei confronti di un terzo, con attribuzione della facoltà di utilizzare le somme incassate per estinguere, totalmente o parzialmente, un debito del mandante verso il mandatario, configura un negozio solutorio analogo alla ordinaria cessione dei crediti e, quindi, un mezzo anormale di pagamento, suscettibile di revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. [C. I 5.3.2019, n. 6382; C. I 3.5.2007, n. 10208, RDottComm 2007, 1133; C. I 10.11.2005, n. 21823, Fall 2006, 779; C. I 13.4.2000, n. 4754, ivi 2001, 306; C. I 4.11.1998, n. 11057, ivi 1999, 1196; C. I 8.51998, n. 4688, ibidem, 510]. In tema di revocatoria ex art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. del mandato rilasciato dal correntista alla banca per l’incasso di un credito, attraverso il quale l’istituto abbia inteso garantirsi il rientro anche di futuri finanziamenti, l’effetto solutorio derivante dalla riscossione del credito si realizza comunque entro il limite dello scoperto di conto (eventualmente comprensivo dei crediti della banca per i finanziamenti medio tempore erogati) esistente alla data di accredito della relativa rimessa, mentre non può estendersi ai crediti aventi titolo in finanziamenti successivi, posto che, una volta ripianato lo scoperto, non esiste più alcun debito del correntista da estinguere e la parte della somma riscossa eccedente lo scoperto non viene trattenuta dalla banca ad imputazione dei futuri crediti (da finanziamento) non ancora sorti, ma viene posta nella piena disponibilità del correntista [C. I 23.1.2013, n. 1526]. Il mandato a vendere merci proprie del mandante, che sia a sua volta debitore del mandatario, realizza finalità solutorie, allorché sia conferito con l’intesa delle parti di estinguere in tutto o in parte le reciproche ragioni di credito, e si iscrive nella categoria degli atti anormali di cui all’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. [C. I 8.9.2004, n. 18057, GD 2004, 41].
6 Qualora l’apertura di credito bancario risulti in concreto pattuita, per effetto di collegamento fra più negozi - in ipotesi in forza di contestuale cessione pro-solvendo alla banca di crediti verso terzi, non per assicurare all’accreditato una disponibilità di denaro, ma per ridurre una pregressa esposizione passiva di conto corrente - gli atti di cessione dei crediti e quelli estintivi di detta esposizione sono suscettibili di revocatoria in base all’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., configurando atti estintivi di debito scaduto ed esigibile effettuati con mezzi anormali di pagamento [C. I 25.2.1993, n. 2330, Fall 1993, 1013; C. App. Perugia 20.6.2019].
7 Agli effetti dell’azione revocatoria prevista dall’art. 67 l. fall., la cessione di credito pro solvendo, in quanto diretta alla estinzione di una obbligazione del cedente come effetto finale di un negozio giuridico soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto, integra un mezzo non normale per il pagamento stesso [C. I 11.12.2013, n. 25284; C. I 29.7.2005, n. 15955, Fall 2006, 967; C. I 23.4.2002, n. 5917, ivi 2003, 56; C. I 3.2.1987, n. 950, DF 1987, II, 692; C. I 17.5.1982, n. 3047, ivi 1982, 2, 910]. La cessione di credito, effettuata in funzione solutoria, attesa la sua anormalità rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti al danaro è soggetta a revocatoria fallimentare a norma dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., sottraendosene soltanto quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito con essa estinto [C. I 31.5.2018, n. 14002; C. I 2.11.2017, n. 26063; C. I 5.3.2007, n. 5057, I 2007, 942; C. I 5.7.1997, n. 6047, Fall 1997; C. 25.7.1987, n. 6467, cit.]. La cessione dei crediti, a norma degli artt. 5 e 7, l. 21.2.1991, n. 52, è revocabile ai sensi dell’art. 67 l. fall. ove ricorrano i presupposti dell’esecuzione del pagamento nell’anno anteriore al fallimento e prima della scadenza del credito ceduto, nonché della conoscenza dello stato di insolvenza del cedente, della cui dimostrazione è onerato il curatore [C. I 5.7.2013, n. 16828]. La cessione del credito pro solvendo, sia a scopo solutorio sia a scopo di garanzia, si perfeziona al momento della stipulazione del relativo negozio e non al momento del pagamento e pertanto il termine per l’esercizio della revocatoria fallimentare ex art. 67, c. 2, l. fall. decorre dalla data della cessione e non da quella del pagamento ed è a tale data che occorre far riferimento per stabilire la conoscibilità dell’insolvenza del cedente [C. I 19.10.2007, n. 22014, Fall 2008, 95; C. I 18.8.1992, n. 9603, Fall 1993, 164]. La cessione di credito dà luogo ad un rapporto bilaterale tra cedente e cessionario, rispetto al quale il debitore ceduto si presenta in situazione di totale estraneità; ne consegue che l’azione revocatoria fallimentare, proposta nei confronti di un debito pecuniario, investe esclusivamente il negozio tra cedente e cessionario, e non coinvolge alcun interesse del debitore ceduto, il quale, non ha la qualità di litisconsorte necessario [C. I 18.12.2007, n. 26662, Fall 2008, 464; C. I 10.11.1992, n. 12091, Fall 1993, 361]. La cessione di polizze di pegno in funzione solutoria di un debito pecuniario scaduto ed esigibile, costituisce mezzo anormale di pagamento ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall. pertanto, in ipotesi di vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare, qualora le polizze anzidette non vengano restituite, si farà luogo all’attribuzione dell’equivalente, consistente, non già nell’originario valore di stima del bene pignoratizio, ma nella differenza tra il valore stimato di quest’ultimo e l’importo dovuto, ai fini dell’estinzione del debito, all’istituto presso il quale il bene in parola risulta essere stato pignorato [C. 18.1.2019, n. 1399].
8 In tema di azione revocatoria fallimentare ex art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., la cessione di credito non costituisce mezzo anormale di pagamento qualora sia stata stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente - dovendo intendersi la contestualità in senso eminentemente sostanziale e causale - e non già per estinguere un debito preesistente e scaduto, dovendo escludersi la possibilità di ritenere che abbia avuto una funzione solutoria nel caso in cui tra le parti neppure sussisteva un preesistente rapporto di finanziamento [C. I 27.4.2011, n. 9388, cit.; C. I 29.7.2009, n. 17683, Fall 2010, 621; C. I 29.7.2009, n. 17683; C. I 22.1.2009, n. 1617, cit.; C. I 31.8.2005, n. 17590, Fall 2006, 538]. Tanto la cessione di credito, quanto la delegazione di pagamento non integrano mezzi normali di estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile, ai fini della revocatoria fallimentare prevista dall’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall.; pertanto, in ipotesi di sentenza che abbia accolto detta revocatoria nei confronti di un determinato atto, qualificandolo come cessione di credito, il soccombente non ha interesse a dedurre, in sede di impugnazione, che l’atto stesso configura una delegazione passiva [C. I 7.7.2022, n. 21585; C. I 27.6.1994, n. 6149, Fall 252; C. 19.7.1980, n. 4745]. L’atto di vendita di beni, il quale, alla stregua delle effettive pattuizioni intervenute fra le parti, risulti dissimulare una cessione dei beni medesimi, ad estinzione di debiti pecuniari, scaduti ed esigibili, del cedente verso il cessionario, è soggetto a revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., atteso che tale cessione integra un pagamento non effettuato con denaro od altri mezzi normali [C. 17.12.1981, n. 6675]. Ai fini della revocatoria fallimentare, l’effetto estintivo del pactum de compensando, a differenza del pagamento rispetto al rapporto che ne costituisce la causa, non può considerarsi distinto atto giuridico rispetto all’accordo che lo prevede, né di conseguenza è autonomamente revocabile, seguendo automaticamente tale accordo che solo può costituire oggetto della domanda di revoca; pertanto è revocabile, ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall. il patto di compensazione soltanto ove posto in essere entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, senza che possa rilevare che entro tale anno si sia verificato l’effetto compensativo [C. I 16.9.1986, n. 5621, GI 1987, I, 1226]. La compensazione tra i saldi di più conti ex art. 1853 c.c. opera ex lege anche in presenza di conti correnti con convenzione di assegno e pertanto si sottrae alla revocatoria fallimentare ex art. 56 l. fall. [C. I 23.5.1986, n. 3447, Fall 1986, 1324]. La compensazione può essere revocata nei limiti in cui il fallito, ricorrendo a tale modo di estinzione delle obbligazioni, estingue (non solo un proprio debito ma anche) un proprio credito, che viene sottratto al suo patrimonio e quindi ai suoi creditori; vale altresì evidenziare che non sono revocabili né la compensazione legale, ove ovviamente ne ricorrano tutti i presupposti (crediti contrapposti, liquidi, omogenei ed esigibili), né la compensazione giudiziale, in quanto frutto di un provvedimento giurisdizionale, ma solo la compensazione volontaria, ovvero quella frutto di un accordo tra le parti in assenza dei presupposti della compensazione [C. App. Catanzaro 2.5.2019].
IX. (Segue) C) la costituzione di garanzie per debiti preesistenti
IX.(Segue) C) la costituzione di garanzie per debiti preesistenti1 Qualora successivamente alla scadenza di un’obbligazione, creditore e debitore convengano con effetto novativo nuove obbligazioni, la garanzia prestata dal debitore deve considerarsi contestuale al sorgere del credito e come tale non può essere oggetto di azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, c. 1 [C. I 5.2.2003, n. 1655, DF 2005, II, 229]. La garanzia reale prestata dal terzo in un momento successivo all’insorgenza del debito garantito, ove non risulti correlata ad un corrispettivo economicamente apprezzabile proveniente dal debitore principale o dal creditore garantito, è qualificabile come atto a titolo gratuito. Ne consegue, in caso di sopravvenienza del fallimento del garante, che il suddetto atto esula dalla previsione dell’art. 67 l. fall., in tema di revocatoria delle garanzie a titolo oneroso, e resta soggetto, ai sensi e nel concorso dei requisiti fissati dal precedente art. 64, alla sanzione di inefficacia contemplata per i negozi gratuiti [C. I 21.5.2010, n. 12507, Fall 2010, 1331]. Va qualificata come azione di ripetizione di indebito l’azione proposta dalla curatela fallimentare volta alla ripetizione, nei confronti della parte convenuta, di somme ad essa erogate dall’imprenditore in bonis in assenza di qualsivoglia giustificazione causale idonea a sorreggere lo spostamento di ricchezza avutosi a vantaggio della parte stessa. L’azione di ripetizione dell’indebito mira, infatti, ad ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato, cioè di quanto pagato in assenza di valida causa debendi e costituisce espressione del cd. principio causalistico, in ciò differenziandosi dall’azione revocatoria ordinaria in corso di fallimento e dall’azione revocatoria fallimentare, ugualmente esperibili dal curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore. A differenza dell’azione di ripetizione di indebito, invero, le azioni disciplinate dagli artt. 66 e 67 l. fall. mirano a porre rimedio al rischio di svuotamento del patrimonio del fallito, colpendo taluni atti di disposizione patrimoniale con una declaratoria di inefficacia relativa degli stessi e, dunque, a tutelare la par condicio creditorum [T. Benevento 24.1.2019].
2 Ai fini dell’azione revocatoria di cui all’art. 67 l. fall., atteso che l’ipoteca volontaria si ha per costituita con l’iscrizione nei registri immobiliari e non invece con l’atto di concessione, per l’accertamento della scientia decoctionis nonché della preesistenza e scadenza del credito deve farsi riferimento al momento dell’iscrizione, in cui la garanzia ipotecaria viene ad esistenza [C. I 21.2.2001, n. 2483, Fall 2002, 373]. Quando l’apertura di credito sia destinata a ridurre passività pregresse, invece che ad assicurare una ulteriore disponibilità per il cliente, la garanzia eventualmente costituita in quell’occasione deve intendersi riferita al debito preesistente e la sua revocabilità è conseguentemente regolata dal comma 1 anziché comma 2 dell’art. 67 l. fall. [C. I 9.5.2000, n. 5845, Fall 2001, 541; C. I 21.12.1998, n. 12740, ivi 1999, 1011]. La sostituzione di un precedente credito chirografario con altro credito ipotecariamente garantito, se attuata per un accordo tra le parti avente appunto tale scopo ed indipendentemente dalla forma esteriore che esso assuma, dà vita ad una situazione corrispondente a quella contemplata dall’art. 67, c. 1, n. 3 o n. 4, l. fall.: quindi, in caso di successivo fallimento del debitore, ove ricorrano anche le ulteriori condizioni al riguardo previste dalle citate norme, è suscettibile di determinare la revoca della garanzia ipotecaria [C. I 20.11.2003, n. 17597, Fall 2004, 911]. In tema di azione revocatoria fallimentare, qualora la garanzia sia stata costituita in parte con incidenza su di un debito preesistente ed in altra parte in funzione di un debito contestualmente venuto in essere, il regime presuntivo di cui al comma 1 dell’art. 67 l. fall. opera in ordine all’intero rapporto [C. I 30.1.1998, n. 969, GI 1998, I, 1641].
3 II patto di rotatività, con il quale si prevede, sin dall’origine la sostituzione totale o parziale dei beni oggetto della garanzia, considerati non nella loro individualità, ma per il relativo valore economico, dà luogo alla formazione di una fattispecie progressiva che trae origine dall’accordo delle parti e si perfeziona con la sostituzione dell’oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori pattuizioni e, quindi, nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno [C. I 1.7.2015, n. 13508; C. I 10.2.2008, n. 2456, Fall 2008, 764; C. I 11.11.2003, n. 16914, GD 2004, 64; C. I 27.9.1999, n. 10685, Fall 2000, 775; C. I 28.5.1998, n. 5264, CG 1998, 1320]. Con il patto di rotatività, le parti possono obbligarsi a sostituire l’oggetto della garanzia nella continuità del rapporto originario, senza necessità di ulteriori stipulazioni, con la conseguenza che, ove rimangano immutati natura e valore dell’oggetto costituito in pegno, ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria, la genesi del diritto reale di garanzia deve farsi risalire al momento della stipulazione originaria [C. I 27.5.1999, n. 10685, cit.]. Il pegno di saldo di conto corrente bancario costituito a favore della banca depositaria si configura come pegno irregolare solo quando sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre della relativa somma mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si rientra nella disciplina del pegno regolare, ragion per cui la banca garantita non acquisisce la somma portata dal saldo, né ha l’obbligo di restituire al debitore il “tantundem”, sicché, difettando i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 l. fall. ed è assoggettabile a revocatoria fallimentare [C. I 8.8.2016, n. 16618]. Il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell’art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito, e l’incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevuti in garanzia (salvo l’obbligo di restituire l’eccedenza, ex art. 1851 c.c.) resta sottratto alla revocatoria, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione [C. I 21.11.2014, n. 24865].
4 L’atto con il quale un imprenditore, dopo avere stipulato un contratto di fideiussione con riguardo ad un suo debito, costituisca una garanzia ipotecaria per l’eventuale credito in via di regresso del suo fideiussore, è soggetto a revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67 l. fall., atteso che detto credito, ancorché eventuale al momento della costituzione della garanzia, non può considerarsi futuro rispetto ad essa, trovando fondamento giuridico nel contratto di fideiussione in precedenza stipulato [C. I 6.4.1991, n. 3601, DF 1991, II, 734]. Ai fini della revocatoria ex art. 67, c. 1, l. fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire - attraverso l’erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante - una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile, tra i negozi posti in essere, un collegamento funzionale, che persegue il motivo illecito della costituzione di ipoteca per debiti chirografari preesistenti [C. I 25.7.2018, n. 19746; C. I 9.10.2012, n. 17200, Fall 2013, 898]. È revocabile, ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2, l. fall., e in ogni caso ex art. 67, c. 2, l. fall., la rimessa conseguente alla concessione di un mutuo garantito da ipoteca destinata a ripianare uno scoperto di conto, laddove il mutuo ipotecario e il successivo impiego di una somma siano inquadrabili in un’operazione unitaria posta in essere in funzione dell’azzeramento della preesistente esposizione debitoria del mutuatario. Ne consegue che il curatore, ricorrendone i presupposti, può impugnare l’intera operazione per farne dichiarare l’inefficacia in quanto diretta, per un verso, a estinguere con mezzi anormali le precedenti obbligazioni gravanti sul beneficiario delle somme mutuate, per altro verso, a costituire una garanzia per detti debiti preesistenti, dovendosi riconoscere l’utilità della banca non nella contrazione del mutuo fondiario in sé ma nel suo impiego come fattore ristrutturativo di un passivo almeno in parte e consistentemente diverso, essendo, tuttavia, il Tribunale tenuto ad accertare, a fronte di specifica deduzione della mutuante, se una parte del finanziamento potesse essere destinata ad una nuova sovvenzione invece che al consolidamento del passivo L’espressione, adoperata dall’art. 67, c. 2, l. fall., secondo cui sono revocabili, fra l’altro, gli atti “costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati”, si riferisce al caso in cui il diritto di prelazione sorga come effetto giuridico di un atto negoziale diretto a crearlo e, quindi, esclusivamente come effetto di una dichiarazione di volontà delle parti e non per diretta volontà della legge [C. I 3.7.2019, n. 17808; C. I 21.2.2018, n. 4202]. La c.d. ipoteca cautelare fiscale, prevista dall’art. 26, l. n. 4/1929, ha natura “legale” e non è parificabile all’ipoteca giudiziale, sicché essa resta espressamente sottratta alla revocatoria di cui all’art. 67, n. 4, l. fall. [C. I 9.4.1999, n. 3462, Fall 2000, 477]. L’iscrizione di ipoteca ai sensi dell’art. 77, d.P.R. 29.9.1973, n. 602 sugli immobili del debitore e dei coobbligati al pagamento dell’imposta, non è riconducibile all’ ipoteca legale prevista dall’art. 2817 c.c., né è ad essa assimilabile, mancando un preesistente atto negoziale, il cui adempimento il legislatore abbia inteso garantire; essa, peraltro, neppure può accostarsi all’ipoteca giudiziale, prevista dall’art. 2818 c.c. con lo scopo di rafforzare l’adempimento di una generica obbligazione pecuniaria ed avente titolo in un provvedimento del giudice, in quanto quella in esame si fonda su di un provvedimento amministrativo. Ne deriva che, non rientrando nel disposto dell’art. 67, c. 1, n. 4, l. fall., l’ipoteca in questione non è suscettibile di revocatoria fallimentare, limitata a quelle volontarie e giudiziali [C. I 5.5.2016, n. 9030; C. I 1.3.2012, n. 3232, Fis 2012, 2202].
X. Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio ordinario: (segue) A) il pagamento dei debiti liquidi ed esigibili
X.Le fattispecie di revocatoria con regime probatorio ordinario: (segue) A) il pagamento dei debiti liquidi ed esigibili1 Nella revocatoria fallimentare di debiti liquidi ed esigibili, prevista dall’art. 67, c. 2, l. fall., l’eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal fallito, con la conseguenza che sul curatore grava soltanto l’onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’accipiens, mentre la circostanza che il pagamento (come nella specie) sia stato effettuato per soddisfare un credito assistito da privilegio generale non esclude tale possibile lesione, né fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che può verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che potrebbero insinuarsi anche successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria [C. I 22.6.2018, n. 16565; C. I 17.12.2010, n. 25571, Fall 2011, 877; C. I 6.7.2010, n. 15980, ibidem, 244; C. I 8.3.2010, n. 5505, ivi 2010, 930; C. I 26.2.2010, n. 4785, ibidem, 931]. In tema di azione revocatoria fallimentare, il requisito temporale del compimento dell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, previsto dall’art. 67, c. 2, l. fall., va accertato, nel caso di pagamento eseguito in adempimento di cambiali, in riferimento non già all’emissione o alla girata del titolo, che in quanto promessa di pagamento non ha l’effetto di soddisfare immediatamente il prenditore, ma alla riscossione del credito, che comporta la lesione della par condicio creditorum [C. I 23.7.2007, n. 16213, Fall 2008, 21]. Ai fini della revocatoria di cui all’art. 67, c. 2, l. fall., i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (senza possibilità di distinguere tra pagamenti contestuali e pagamenti anteriori o successivi alla controprestazione) devono essere considerati atti giuridici distinti dal rapporto che ne costituisce la causa, rilevando nella loro obiettiva natura di atti estintivi delle obbligazioni del fallito e pregiudizievoli per la massa dei creditori, e sono, pertanto, suscettibili di revoca indipendentemente dalla revocabilità dei negozi in adempimento dei quali sono stati effettuati [C. I 22.4.2015, n. 8225; C. I 19.7.1994, n. 7458, Fall 1995, 285; C. 4.12.1990, n. 11608, ivi 1991, 554; C. I 30.1.1985, n. 586, FI 1985, I, 3175]. L’art. 67 l. fall., nel sottoporre a revocatoria speciale atti onerosi e, in particolare, i pagamenti effettati in frode ai creditori e in violazione della regola della par condicio creditorum, non opera distinzione alcuna all’interno della categoria di tali atti negoziali, neppure con riferimento alla fonte dell’obbligazione; nessuna rilevanza, quindi, in senso derogativo, ha il pagamento di una somma effettuato in restituzione di quanto ricevuto in conseguenza e in forza di un negozio nullo o annullato [C. 16.7.1975, n. 2795]. I pagamenti coattivi possono essere revocati dagli organi fallimentari perché oggetto dell’azione revocatoria non è il provvedimento di assegnazione del credito spettante, verso il terzo, al debitore, poi fallito, ma, ai sensi del comma 2 dell’art. 67 l. fall., è il successivo e distinto atto costituito dal pagamento dei crediti assegnati [C. I 17.11.2016, n. 23423; C. 30.1.1985, n. 586, cit.; T. Pistoia 1.10.2020; T. Vicenza 26.8.2020].
2 Nel caso in cui il creditore abbia ottenuto, nell’ambito di un procedimento di espropriazione forzata presso terzo, l’assegnazione di un credito spettante, verso il terzo, al debitore, poi fallito, tale assegnazione è opponibile al successivo fallimento, salva la eventuale revocabilità del pagamento a norma dell’art. 67, c. 2, l. fall. Essa rimane, invece, priva di effetti nel caso di crediti del debitore verso terzi che sorgano successivamente alla dichiarazione di fallimento, i quali vengono ex lege acquisiti all’attivo fallimentare [C. I 29.1.1999, n. 785, Fall 2000, 140; C. I 25.6.1998, n. 6291, ivi 1999, 837; C. I 22.4.1998, n. 4078, ivi 1999, 175]. Nella ipotesi di soddisfacimento delle ragioni dei creditori mediante procedure esecutive individuali gli atti soggetti a revocatoria ex art. 67 l. fall., in quanto compiuti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, non sono i provvedimenti del giudice dell’esecuzione bensì i soli, successivi (e distinti) atti di pagamento coattivo in tal modo ottenuti, con la conseguenza che, ai fini del computo del cd. periodo sospetto, occorre far riferimento alla data in cui il soddisfacimento sia stato concretamente conseguito [C. I 17.4.2020, n. 7901; C. I 19.7.2012, n. 12545, Fall 2013, 495; C. I 25.6.1998, n. 6291, cit.]. Non è revocabile ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., la vendita forzata degli oggetti pignorati in danno del debitore successivamente fallito, eseguita nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento [C. I 5.5.1992, n. 5299, DF 1994, II, 944]. In tema di revocatoria fallimentare di pagamenti, la circostanza che il credito soddisfatto sia privilegiato non rende la revocatoria inammissibile, ma rileva sotto il diverso profilo dell’interesse alla relativa azione, che sussiste qualora il curatore dimostri che l’attivo realizzato non è sufficiente ad assicurare il soddisfacimento dei crediti aventi grado superiore a quell’oggetto della revoca [C. I 16.3.2005, n. 5713; C. 18.1.1991, n. 495, Fall 1991, 594; C. 19.10.1976, n. 3608, FI 1977, I, 1987]. In materia di revocatoria fallimentare di pagamenti garantiti da ipoteca non più revocabile, il principio secondo cui l’azione è ammissibile solo qualora il curatore provi che, nonostante la garanzia, sussiste il pregiudizio per la massa - in quanto il credito soddisfatto non troverebbe comunque capienza totale o parziale per la concorrenza di crediti privilegiati poziori - non è applicabile allorquando il pagamento da revocare e che ha comportato l’estinzione dell’ipoteca è frutto di una più complessa operazione voluta dallo stesso creditore a suo vantaggio e nella quale il pagamento costituisce solo l’ultimo necessario atto non valutabile autonomamente [C. I 19.7.2000, n. 9479, Fall 2001, 660].
3 Le somme riscosse dal compratore, e rimesse dal mandatario fallito al mandante, in esecuzione di mandato ad alienare, integrano pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, come tali revocabili, nel concorso dei presupposti soggettivo e temporale di cui all’art. 67, c. 2, l. fall. [C. 7.12.1999, n. 13660, DF 2000, II, 1114]. La riscossione di somme da parte del mandatario per conto del mandante comporta l’obbligo, per il primo, di versare tali somme al preponente mediante un distinto atto di ritrasferimento, con la conseguenza che, intervenuto “medio tempore” il fallimento del mandatario, gli eventuali versamenti, da quest’ultimo compiuti in favore del mandante nel cosiddetto “periodo sospetto” di cui all’art. 67, c. 2, l.fall. integrano gli estremi del pagamento di debiti liquidi ed esigibili [C. VI 8.2.2018, n. 3047]. Il contratto di spedizione concreta un mandato senza rappresentanza, con il quale lo spedizioniere assume l’obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie, con la conseguenza che i rimborsi effettuati dal mandante in favore dello spedizioniere ex art. 1740 c.c., attesone il carattere indiscutibilmente solutorio, sono assoggettabili a revoca ex art. 67 l. fall. nella ipotesi di fallimento, medio tempore, del mandante stesso [C. I 10.12.1999, n. 13839, Fall 2000, 1381]. Non è soggetto a revocatoria fallimentare, a norma dell’art. 67, c. 2, l. fall., il pagamento del corrispettivo della cessione di un credito stipulata, nell’anno antecedente alla dichiarazione di insolvenza (o di fallimento), tra il creditore dell’insolvente ed un terzo - a sua volta debitore dell’insolvente - che abbia, per l’effetto, opposto in compensazione al fallimento il credito cedutogli, non potendosi legittimamente qualificare il predetto pagamento come “atto estintivo” del debito dell’insolvente [C. I 2.7.1998, n. 6474, Fall 1999, 847]. L’impresa legalmonopolista, che può rifiutare o sospendere la prestazione di fronte all’inadempimento di non lieve entità del somministrato, è soggetta ad azione revocatoria, giusta il comma 2 dell’art. 67 l. fall., per i pagamenti ricevuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del contraente [C. s.u. 23.1.2004, n. 1232, FI 2004, I, 709; in senso contrario C. I 29.11.2000, n. 15293, NGCC 2002, I, 53; C. I 16.11.1999, n. 12669, GI 2000, 978; C. s.u. 11.11.1998, n. 11350, GC 1998, I, 3019]. Nella revocatoria fallimentare di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili il danno della massa consiste nella pura e semplice lesione del criterio della “par condicio creditorum”; ne consegue che è ammissibile la revocatoria dei pagamenti riguardanti rate di prezzo relative a contratto di compravendita con riserva della proprietà [C. I 6.11.1999, n. 12358, Fall 2000, 1350]. Quando il curatore fallimentare agisce in revocatoria, ai sensi dell’art. 67 l. fall., impugnando l’atto con cui il fallito ha disposto dei beni in favore del creditore contestualmente spogliandosi del possesso, il terzo che invoca in proprio favore il patto di riservato dominio sui beni oggetto della predetta azione, deve provare che tale patto abbia data certa anteriore al fallimento, ai sensi dell’art. 1524 c.c., anche nel caso in cui ne sia venuto meno il possesso, da parte del fallito, anteriormente alla dichiarazione di fallimento; ciò perché, in virtù del carattere recuperatorio dell’attivo proprio dell’azione revocatoria, gli effetti della dichiarazione di fallimento sono anticipati al momento in cui l’atto revocato è stato compiuto, purché nei limiti del periodo sospetto [C. I 11.6.2009, n. 13568, Fall 2010, 438]. Il pagamento del compenso in favore del proprio difensore in precedente attività giudiziale, eseguito dal debitore, poi fallito, nell’anno anteriore alla dichiarazione del suo fallimento ed in concorso con il presupposto soggettivo della scientia decoctionis, è assoggettabile a revocatoria fallimentare ex art. 67, c. 2, l. fall. [C. I 21.12.2012, n. 23710, Fall 2013, 997].
XI. (Segue) B) revocatoria del pagamento del terzo
XI.(Segue) B) revocatoria del pagamento del terzo1 La revocatoria fallimentare del pagamento dei debiti del fallito effettuato da un terzo è ammissibile soltanto nel caso in cui il terzo abbia pagato con denaro del fallito o nel caso in cui egli, dopo aver pagato, si sia rivalso verso il fallito prima della dichiarazione del fallimento [C. I 30.6.2020, n. 13165; C. I 31.5.2012, n. 8783, Fall 2013, 369; C. I 17.4.2007, n. 9143, ivi 2008, 559; C. I 10.1.2003, n. 142, GI 2003, 944; C. 22.1.1999, n. 570, Fall 2000, 64]. Non è revocabile il pagamento fatto dal terzo, entro l’anno del fallimento del debitore principale, se il terzo ha adempiuto ad una propria obbligazione di garanzia nei confronti del fallito [C. I 13.3.1997, n. 2256, DF 1998, II, 341; C. I 29.11.1985, n. 5956, ivi 1986, 2, 227].
2 La revocatoria fallimentare del pagamento di debiti del fallito effettuato da un terzo è ammissibile qualora detto pagamento abbia comportato una lesione della par condicio creditorum in quanto eseguito con somma fornita dal fallito; la prova di tale circostanza può essere fornita dal curatore, sul quale incombe il relativo onere, attraverso presunzioni semplici, la cui valutazione è riservata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione logicamente e giuridicamente corretta [C. 21.10.1982, n. 5488, Fall 1983, 584]. In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, c. 2, quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma - senza utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento - ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l’obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice [C. I 30.7.2012, n. 13549, Fall 2013, 764; C. s.u. 12.8.2005, n. 16874, ivi 2005, 1233; C. I 11.9.1998, n. 9018, ivi 1999, 991; C. I 13.3.1997, n. 2256, cit.; C. I 29.11.1985, n. 5956, cit.]. Il pagamento effettuato dal terzo (salvo che questo non sia avvenuto con provvista del fallito ovvero che il terzo si sia rivalso verso il fallito) non è assoggettabile a revocatoria fallimentare, ammissibile ove la rimessa sia effettuata dal terzo, anche se obbligato personalmente nei confronti della banca quale garante, direttamente sul conto corrente del fallito [C. I 16.11.1998, n. 11520, cit.; in senso contrario C. I 22.1.1999, n. 570, cit.]. In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., quando risulti che il relativo pagamento non sia stato eseguito con danaro del fallito e che il terzo, utilizzatore di somme proprie, non abbia proposto azione di rivalsa verso l’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento, né che abbia così adempiuto un’obbligazione relativa ad un debito proprio, sicché il creditore convenuto in revocatoria è onerato della sola prova della provenienza del pagamento dal terzo, configurandosi la relativa allegazione come un’eccezione in senso proprio, mentre invece incombe sul curatore, una volta accertata l’avvenuta effettuazione di detto pagamento, la dimostrazione, anche mediante presunzioni semplici, che la corrispondente somma sia stata fornita dal fallito [C. I 7.12.2012, n. 22247, Fall 2013, 997; C. I 24.2.2011, n. 4553; C. I 14.2.2011, n. 3583, Fall 2011, 1004; C. I 12.8.2009, n. 18234, ivi 2010, 622; C. I 22.5.2008, n. 13092, ivi 2008, 1469; C. I 11.9.2007, n. 19088, ibidem, 95]. In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, la concessione di un nuovo finanziamento dopo la revoca del fido, non solo non è fatto sintomatico della inscientia decoctionis, ma può addirittura avere valore indiziario circa le speranze del creditore di potere aiutare il fallendo a superare la crisi economica, e, quindi, confermativo della scientia decoctionis [C. I 12.12.2005, n. 27390, I 2006, 484; C. I 22.9.2004, n. 18998, FI 2005, I, 1092]. Il pagamento del terzo pignorato, debitore del debitore, nell’esecuzione forzata è revocabile nel successivo fallimento del debitore, quando abbia inciso sul patrimonio del fallito, perché eseguito con denaro a questi dovuto, essendo il solvens obbligato verso il debitore assoggettato ad esecuzione forzata e successivamente dichiarato fallito, e valendo il suo pagamento ad estinguere entrambi i debiti, suo e del debitore ancora in bonis [C. I 20.12.2012, n. 23562, Fis 2013, 713]. Nell’ipotesi di fallimento dell’appaltatore, in caso di revocatoria fallimentare esercitata dal curatore per la declaratoria di inefficacia del pagamento eseguito dall’amministrazione committente, quale terzo pignorato, nei confronti del subappaltatore, nessun rilievo assume la circostanza che la stazione appaltante abbia o meno opposto, quale condizione di esigibilità, la prerogativa della sospensione di cui all’art. 118, c. 3, d.lgs. n. 163/2006, assumendo invece valore assorbente la circostanza che la stessa si sia dichiarata debitrice nei confronti dell’appaltatore e, in quella veste, abbia ottemperato all’ordinanza di assegnazione del giudice dell’esecuzione [C. I 5.8.2020, n. 1678].
XII. La revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario nel regime abrogato
XII.La revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario nel regime abrogato1 In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, l’indicazione del numero di conto corrente sul quale sono stati effettuati i versamenti, della loro natura di pagamenti e del periodo sospetto da prendersi in considerazione è idonea a rendere il convenuto in revocatoria edotto della pretesa azionata e ad escludere, pertanto, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto, non risultando necessaria, ai fini dell’individuazione del “petitum” e della “causa petendi”, anche la specificazione delle singole rimesse da prendere in considerazione, che la banca è in grado di individuare agevolmente, essendo in possesso di tutta la documentazione relativa alle operazioni effettuate dal correntista [C. VI 18.4.2018, n. 9610; C. I 28.1.2013, n. 1802]. Non è affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o della causa petendi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 163, c. 3, n. 3 e 4, e 164, c. 4, c.p.c. la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario, seppure manchi l’indicazione dei singoli versamenti solutori, qualora (come nella specie) siano specificamente indicati i conti correnti e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato periodo di tempo (ed indichi anche l’importo globale delle stesse), essendo sufficientemente specificati gli elementi (di cui al citato art. 163, c. 3, n. 3 e 4) idonei a consentire alla banca l’individuazione delle domande contro di essa proposte [C. I 30.5.2008, n. 14552]. L’atto di citazione per la revoca di rimesse in conto corrente bancario non è affetto da nullità per vizio del petitum se l’attore ha identificato una somma minima e ha chiesto la revoca di tutte le rimesse affluite, non essendo necessaria per l’individuazione della domanda l’indicazione di ciascuna singola rimessa revocabile [C. I 12.11.2003, n. 17023, FI 2004, I, 410]. L’esenzione da revocatoria fallimentare delle rimesse su conto corrente bancario ex art. 67, c. 3, lett. b), l. fall., come modificato dall’art. 2, c. 1, lett. a), d.l. n. 35/2005, conv. nella l. n. 80/2005, non si applica, ai sensi dell’art. 2, c. 2, d.l. n. 35 cit. alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto [C. I 8.6.2012, n. 9375, Fall 2013, 369]. I versamenti in conto corrente bancario hanno natura di pagamenti e sono, quindi, revocabili a norma dell’art. 67, c. 2, l. fall. soltanto nell’ipotesi di conto (quando cioè la banca abbia anticipato somme oltre i limiti del fido), mentre nell’ipotesi di conto corrente munito di provvista costituita da un’apertura di credito (c.d. conto) non è configurabile, durante lo svolgimento del conto, un credito esigibile della banca verso il correntista e i versamenti, consistendo in semplici operazioni contabili di accreditamento dirette a ripristinare la provvista, non hanno funzione solutoria e non sono, perciò, suscettibili di revocatoria, eccettuati i casi di specifica imputazione a titolo di pagamento e quelli in cui la banca abbia anticipatamente chiuso il conto in pareggio recuperando in proprio favore, con prelievo dalla provvista del correntista, una somma pari al fido utilizzato da quest’ultimo [C. 18.10.1982, n. 5413, Fall 1982, 1429]. In particolare, l’accredito su di un conto anticipi (derivante dal pagamento dei titoli) ha effetto solutorio del credito della banca derivante dall’anticipo sugli effetti o sulle fatture versate in precedenza dal cliente, solo laddove esso abbia la sua provvista nell’utilizzazione di danaro di quest’ultimo o, in mancanza, nel pagamento dei titoli da parte di un terzo [C. I 6.11.2012, n. 19108, Fall 2013, 996; C. I 20.6.2011, n. 13449, ivi 2011, 1299; per C. I 16.3.2018, n. 6575, le rimesse annotate sui conti anticipi non hanno natura solutoria e non sono revocabili, costituendo tali conti una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente, ove vengono annotati in “dare” le anticipazioni erogate al correntista ed in “avere” l’esito positivo della riscossione del credito, sottostante agli effetti commerciali presentati dal cliente; T. Fermo 27.11.2019; C. App. Palermo 16.1.2019]. La revocabilità, ex art. 67 l. fall., delle rimesse in conto corrente bancario eseguite dall’imprenditore poi fallito nel periodo sospetto è condizionata al carattere solutorio (e non meramente ripristinatorio delle disponibilità) dell’operazione, da individuarsi con riferimento alla situazione del conto al momento del versamento, e non anche ex post in relazione alla mancata riutilizzazione dell’apertura di credito. Il carattere reintegratorio o solutorio del singolo versamento è, di regola, determinato dalla soglia di disponibilità ragguagliata al limite del fido, pur non potendosi escludere, in linea di principio, che, in relazione a specifiche circostanze di fatto, il versamento o la rimessa possano essere qualificati, in base alla loro intrinseca natura, come atti solutori anche con riferimento ad una situazione in cui, formalmente, i versamenti siano affluiti in un conto passivo, anziché di scoperto di conto (pur non essendo sufficiente a fondare tale conclusione il mero rilievo del sostanziale congelamento del conto affidato in un certo arco di tempo) [C. I 3.7.2013, n. 16610; C. I 15.7.2010, n. 16608, Fall 2011, 244; C. I 7.3.2008, n. 6190, ivi 2008; C. I 6.11.2007, n. 23107, ibidem, 525; C. I 28.5.1998, n. 5269, Fall 1999, 383; C. I 11.9.1998 n. 9018, ibidem, 991; C. I 8.1.2004, n. 76, GI 2005, I, 278; T. Padova 7.10.2021]. In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse sul conto corrente bancario dell’imprenditore poi dichiarato fallito, è possibile che versamenti contenuti nei limiti del fido possano talvolta avere natura solutoria, come nel caso in cui la banca abbia chiuso anticipatamente il conto corrente recuperando parte del fido utilizzato dal correntista con il prelievo della provvista, ma in tal caso la revocabilità della rimessa è comunque subordinata ad un apprezzamento in fatto del giudice di merito circa la funzione sostanzialmente solutoria ad essa attribuibile [C. I 27.10.2005, n. 20935, I 2006, 700]. Per valutare il carattere solutorio o ripristinatorio della rimessa, occorre riferirsi al saldo disponibile nel momento della singola rimessa e ciò preclude la revocabilità delle rimesse che possano sembrare, con accertamento ex post, avere concretamente e definitivamente concorso a ridurre il debito verso la banca [C. I 9.12.2004, n. 23006, I 2005, 494].
XIII. (Segue) A) il criterio del «saldo disponibile»
XIII.(Segue) A) il criterio del «saldo disponibile»1 In relazione alle rimesse sul conto corrente assistito da apertura di credito, che sono suscettibili di essere revocate quando acquisiscono il carattere dell’atto solutorio, cioè estintivo o riduttivo dell’esposizione debitoria, nel caso del conto scoperto, ciò che rileva non è il momento in cui il debitore esegue l’operazione finalizzata alla estinzione, ma quello in cui si realizza il risultato satisfattivo per il creditore e cioè l’acquisizione delle risorse con le quali il credito è ridotto o estinto, che segna, appunto, il momento del pagamento. Tale criterio, c.d. “del saldo disponibile”, importa che non sia l’operazione contabile, né il meccanismo cui è legato il computo della c.d. “valuta”, che integrano i “pagamenti di debiti liquidi ed esigibili” di cui all’art. 67, cpv., l. fall., ma il realizzo che porta al depauperamento del patrimonio dell’imprenditore insolvente a vantaggio del creditore, in violazione del principio della par condicio creditorum, e trasforma la rimessa da mero atto contabile, di per sé neutro, in atto solutorio, cui è connessa l’esigenza di collettivizzare le perdite all’interno del ceto creditorio [C. I 10.2.2020, n. 3025; C. I 15.7.2010, n. 16608, cit.; C. I 29.12.2004, n. 24084; C. I 22.3.1994, n. 2744, DF 1995, II, 39; C. I 15.11.1994, n. 9591, Fall 1995, 724]. In tema di revocatoria fallimentare di rimesse del fallito in un conto corrente bancario assistito da apertura di credito - in relazione alla quale, per determinare il carattere solutorio e quindi la revocabilità di una rimessa ex art. 67, c. 2, l. fall., occorre stabilire se la rimessa stessa sia stata effettuata quando il saldo passivo del conto superava i limiti dell’affidamento -, l’effettiva disponibilità per il correntista degli assegni circolari, emessi da altre banche, versati sul conto si realizza, non alla data del versamento, ma soltanto nel momento in cui l’ammontare degli assegni entra in concreto sul conto [C. VI 28.9.2021, n. 26242], e quindi dopo che la banca emittente abbia effettivamente reso disponibile la somma relativa. Né - ad anticipare il computo ai fini del calcolo del saldo disponibile alla data del versamento - rileva la circostanza che la banca emittente abbia rilasciato il “bene-emissione”, vale a dire un attestato in ordine alla bontà dell’assegno circolare, dato che il “bene-emissione” costituisce una garanzia immediata in ordine all’affidabilità dell’assegno rilasciata, anche telefonicamente, da parte della banca emittente, ma non influisce sulla materiale disponibilità della somma portata dall’assegno, la quale richiede pur sempre che l’assegno venga presentato alla banca emittente per l’incasso, per il tramite della stanza di compensazione [C. I 6.12.2006, n. 26171, Fall 2007, 344].
XIV. (Segue) B) la teoria del «massimo scoperto»
XIV.(Segue) B) la teoria del «massimo scoperto»1 Le rimesse effettuate sul conto corrente dell’imprenditore successivamente fallito, quando il conto sia scoperto (per il superamento del fido), sono revocabili singolarmente ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., senza che la revocabilità debba essere contenuta nei limiti del divario fra il massimo scoperto ed il saldo finale. Infatti la presenza di frequenti oscillazioni nell’ambito dello scoperto ed anche di sconfinamenti seguiti da eventuali rientri nei limiti del fido non consentono di individuare nelle rimesse operate sul conto scoperto una forma di ricostituzione della provvista disponibile in futuro per il cliente [C. I 17.7.1997, n. 6558, Fall 1998, 50]. In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse su conto corrente bancario, non è applicabile in via retroattiva il criterio del c.d. massimo scoperto, introdotto nel comma 3 dell’art. 70 l. fall. dall’art. 2, d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. nella l. 14.5.2005, n. 80: ne deriva che, nel regime anteriore alla nuova disciplina, le rimesse devono essere revocate, ricorrendone le condizioni, nella loro sommatoria [C. I 3.9.2010, n. 19043, Fall 2011, 374; C. I 15.7.2010, n. 16608, cit.; C. I 5.3.2008, n. 5962, ivi 2008, 716]. Al fine di circoscrivere la somma accoglibile in una revocatoria fallimentare esperita sulle rimesse su conti correnti i limiti posti dall’art. 67 e dall’art. 70 l. fall. devono necessariamente procedere in parallelo e pertanto è necessario prima individuare le rimesse revocabili e quindi accertare se la loro somma superi il valore del massimo scoperto [T. Padova 9.10.2020]. La limitazione di cui all’art. 70, c. 3, l. fall., è stata stabilita nell’interesse della Banca convenuta in revocatoria, dunque, per tale ragione, e in ossequio al canone della vicinanza della prova, spetta alla Banca allegare e dimostrare l’esatto ammontare della differenza tra la massima esposizione debitoria della correntista nei suoi confronti e l’ammontare residuo alla data del fallimento. In applicazione del principio secondo cui il terzo creditore è tenuto a restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto delle sue pretese nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso (art. 70, c. 3, l. fall.), si dovrà operare una deduzione tra la somma massima del debito a partire dall’inizio del periodo sospetto e la somma alla data della dichiarazione di fallimento. Il riferimento contenuto nella norma in esame all’ammontare massimo delle pretese dell’istituto di credito (piuttosto che del saldo passivo del conto) impone una ricostruzione unitaria e non atomistica dei rapporti intercorsi tra la Banca e il cliente, sicché il primo termine di paragone deve essere necessariamente individuato attraverso la sommatoria delle passività derivanti da ciascun rapporto [T. Como 16.6.2016] .
XV. (Segue) C) i saldi giornalieri
XV.(Segue) C) i saldi giornalieri1 Nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le singole rimesse effettuate sul conto dell’imprenditore poi fallito, nel periodo di cui all’art. 67, c. 2, l. fall., quando il conto sia “scoperto” (per il superamento del fido), sono revocabili per la parte relativa alla differenza tra lo scoperto ed il limite del fido - senza che la revocabilità debba essere contenuta nel limite del divario tra il massimo scoperto extra-fido ed il saldo a chiusura conto - atteso che lo scoperto di conto costituisce per la banca un credito esigibile e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere solutorio. Nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scoperto di conto, l’onere probatorio del fallimento di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti (non essendo idonei al fine né l’ordine dell’estratto conto della banca né le indicazioni delle schede contabili) può essere adempiuto anche con prova logica (il fallimento, avvalendosi dell’ipotesi più favorevole alla banca, può computare prioritariamente tutte le rimesse) [C. I 9.1.2019, n. 277; C. I 17.12.1994, n. 10869, Fall 1995, 817].
2 In tema di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario effettuate da un imprenditore poi dichiarato fallito, nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scoperto di conto, il fallimento che chieda la revoca di rimesse aventi carattere solutorio in relazione al saldo infragiornaliero e non al saldo della giornata, ha l’onere di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti [C. I 24.5.2018, n. 12972; C. I 29.3.2016, n. 6042], cronologia che non può essere desunta dall’ordine delle operazioni risultante dall’estratto conto ovvero dalla scheda di registrazione contabile, in quanto tale ordine non corrisponde necessariamente alla realtà e sconta i diversi momenti in cui, secondo le tipologie delle operazioni, vengono effettuate le registrazioni sul conto; di conseguenza, è onere del curatore provare la cronologia dei singoli movimenti, quale circostanza che incide sulla prova dell’esistenza di uno degli elementi costitutivi della domanda, vale a dire l’esistenza di un atto avente carattere solutorio, con la conseguenza che in mancanza di prova devono intendersi effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti [C. I 6.9.2006, n. 26171, FI 2007, I, 1138].
XVI. (Segue) D) la revocabilità dell’anticipazione di effetti Ri.Ba.
XVI.(Segue) D) la revocabilità dell’anticipazione di effetti Ri.Ba.1 Le rimesse effettuate sul conto corrente scoperto del fallito, nel periodo in cui questi era in bonis, da parte di terzi debitori del medesimo sono revocabili anche qualora siano inerenti ad anticipazioni su fatture esibite dal fallito in quanto, in mancanza della cessione di detti crediti alla banca e dell’assunzione da parte del terzo di obbligazioni nei confronti della medesima, le rimesse hanno funzione satisfattoria, in quanto riducono l’esposizione debitoria del cliente nei confronti della banca [C. I 5.4.2005, n. 7074, DPS 2005, 87; C. I 20.5.1997, n. 4473, FI 1997, I, 2089]. In ipotesi di anticipazioni bancarie disposte in favore di società poi fallita ed assistite da contestuali cessioni di crediti da parte di quest’ultima, sono suscettibili di revocatoria, ex art. 67, c. 2, l. fall., ove eseguiti nel periodo sospetto e ricorrendo la “scientia decoctionis” dell’“accipiens”, gli accrediti sui conti correnti della cedente di somme costituite dai pagamenti effettuati alla banca dai debitori ceduti nella misura in cui eccedano le anticipazioni a fronte delle quali le cessioni erano state stipulate, essendo indubitabile che tali eccedenze siano state utilizzate dalla banca per ridurre l’esposizione debitoria della menzionata società nei suoi confronti [C. I 12.7.2013, n. 17268] .
XVII. (Segue) E) le operazioni bilanciate
XVII.(Segue) E) le operazioni bilanciate1 I versamenti in conto corrente di corrispondenza che il correntista abbia effettuato allo specifico scopo di consentire alla banca di adempiere un ordine di pagamento a terzi contestualmente conferito, non sono soggette a revocatoria fallimentare anche quando il conto sul quale avviene l’accredito sia scoperto [C. I 26.1.1999, n. 686, Fall 1999, 1323; in senso relativamente contrario C. I 29.12.2004, n. 24084, cit.].
XVIII. (Segue) F) la compensabilità dei saldi di più rapporti di conto corrente
XVIII.(Segue) F) la compensabilità dei saldi di più rapporti di conto corrente1 La compensazione tra i saldi di più conti ex art. 1853 c.c. opera ex lege anche in presenza di conti correnti con convenzione di assegno e pertanto si sottrae alla revocatoria fallimentare ex art. 56 l. fall. [C. I 23.5.1986, n. 3447, GI 1987, I, 886; C. I 17.7.1997, n. 6558, cit.]. Qualora, tramite un’operazione di giroconto, la somma erogata in via di anticipazione da una banca su un conto corrente di corrispondenza, a fronte della rimessa di effetti salvo buon fine da parte del cliente, venga riaccreditata su altro conto corrente scoperto del medesimo cliente, l’operazione non assume natura puramente contabile, ma funzione satisfattoria, venendo l’accreditamento utilizzato ad estinzione dello scoperto, con la conseguenza che la rimessa è soggetta a revocatoria fallimentare, senza che possa sostenersi, in senso contrario, che l’estinzione del pregresso debito è frutto di lecita compensazione tra i saldi attivi e passivi di più conti - sottratta come tale alla revocatoria - non essendosi al cospetto di una compensazione in senso tecnico giuridico, ma di mera operazione di conguaglio, e non potendo comunque la compensazione avvenire tramite utilizzazione di introiti da anticipazioni bancarie concesse al medesimo debitore, ossia costituendo corrispondente passività su altro conto [C. 17.10.2005, n. 20101, Fall 2006, 1299].
XIX. (Segue) G) la non cumulabilità delle diverse linee di affidamento
XIX.(Segue) G) la non cumulabilità delle diverse linee di affidamento1 L’esistenza di un fido - concesso dalla banca - per lo sconto di titoli di credito non può far ritenere coperto un conto corrente bancario, né può far escludere, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, il carattere solutorio delle rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, se nel corso del rapporto il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito, attesa la diversità strutturale tra il contratto di apertura di credito ed il cosiddetto castello di sconto [C. I 7.3.2003, n. 3396, C 2003, 709; C. I 20.3.1999, n. 2589, Fall 2000, 161]. In tema di revocatoria fallimentare, la necessità di considerare sussistente la cosiddetta copertura di un conto corrente bancario non si dà nel caso di “castelletto di sconto” o fido per smobilizzo crediti, i quali non attribuiscono al cliente della banca, a differenza del contratto di apertura di credito, la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono esclusivamente fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presenterà; ne deriva che l’esistenza di un fido per lo sconto di cambiali non può far ritenere coperto un conto corrente bancario, né può far escludere, ai fini dell’esercizio dell’azione predetta, il carattere solutorio delle rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, se nel corso del rapporto il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito, e tale distinzione non viene meno se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto, nel senso che i ricavi conseguiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corrente di corrispondenza che riflette l’apertura di credito, trattandosi di meccanismo interno di alimentazione di quel conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti, alla stregua di qualunque altra rimessa di diversa provenienza [C. I 11.5.2016, n. 9621; C. I 20.3.2008, n. 7451, Fall 2008, 843].
XX. (Segue) H) l’onere della prova dell’elemento oggettivo
XX.(Segue) H) l’onere della prova dell’elemento oggettivo1 Le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore poi fallito sono suscettibili di revocatoria fallimentare soltanto nell’ipotesi in cui il conto, all’atto della rimessa, risulti scoperto (intendendosi tale sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia il conto scoperto a seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato al correntista). In siffatta situazione, secondo la distribuzione dell’onere probatorio prefigurata dall’art. 67 l. fall., alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo “sospetto” e della scientia decoctionis del correntista, da parte della banca; mentre questa ha l’onere di provare, per escludere la natura solutoria del versamento, sia l’esistenza, alla data di questo, di un contratto di apertura di credito, sia l’esatto ammontare dell’affidamento accordato al correntista alla medesima data, non essendo sufficiente, a tali ultimi fini, la produzione della “scheda degli affidamenti” e dell’estratto notarile del “libro fidi” della banca, qualora il contenuto di detti documenti sia contestato dalla curatela e, comunque, gli stessi non abbiano un significato congruo rispetto al fatto da dimostrare [C. I 20.6.2011, n. 13445, Fall 2012, 353; C. I 23.6.1994, n. 6031, ivi 1995, 61; C. I 26.1.1999, n. 686, ivi 1999, 1323; C. I 26.2.1999, n. 1672, BBTC 2000, II, 264]. In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario affluite su un conto scoperto, per potersene escludere la dichiarazione di inefficacia, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il solvens e l’accipiens, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stesso, in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego; la prova dell’esistenza dei predetti accordi, che giovino a caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, ove non derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da facta concludentia, purché la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale [C. I 26.1.2011, n. 1834, GComm 2012, II, 640; C. I 9.11.2007, n. 23393, FI 2008, I, 1946]. In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente, proposta ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., l’elemento psicologico dell’accipiens va riferito alle date delle singole rimesse effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ed implica la prova, posta a carico della curatela, della sopravvenuta conoscenza di un mutamento in peius delle condizioni economiche dell’imprenditore, ridondante in vera e propria insolvenza [C. I 23.4.2008, n. 10573, Fall 2008, 973]. In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, incombe al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova della natura solutoria del versamento, nonché del presupposto della stessa, costituito dall’esistenza di uno scoperto del conto: la contestazione da parte della banca della natura solutoria della rimessa non integra infatti gli estremi dell’eccezione in senso sostanziale, in quanto tende a negare l’esistenza dei presupposti per la revocatoria del versamento, e si traduce quindi nella contestazione del titolo posto a fondamento della domanda, con la conseguenza che l’onere probatorio rimane fermo a carico dell’attore [C. I 28.2.2007, n. 4762, cit.]. L’art. 117, d.lgs. n. 385/1993 (c.d. t.u.b.), nel prevedere, a pena di nullità, l’obbligo di stipulare per iscritto i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari e bancari, ha tuttavia rimesso al CICR la facoltà di prevedere, per particolari contratti, la stipulazione in altra forma. Detta facoltà - come quella, precedentemente accordata, dall’art. 3, l. n. 154/1992 - ha trovato attuazione dapprima con il d.m. 24.4.1992 del Tesoro e con la Circolare della Banca d’Italia 24.5.1992, e poi con la Del.CICR 4.3.2003 e con le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, le quali hanno previsto che l’adozione della forma scritta non è obbligatoria - tra gli altri casi - per le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto. Queste previsioni completano ed integrano la norma di legge, in virtù di una facoltà espressamente prevista dalla legge stessa, e vanno pertanto considerate come atti a contenuto ed efficacia normativi, idonei ad integrare e - nei limiti consentiti dalla legge - a derogare al precetto normativo, e debbono essere conosciuti d’ufficio dal giudice. Non può pertanto ritenersi nullo per carenza del requisito della forma scritta il contratto di apertura di credito concluso con un’impresa correntista, allorquando l’originario contratto di conto corrente - regolarmente stipulato per iscritto - abbia già compiutamente disciplinato il contratto di apertura di credito. Deve tuttavia escludersi che - promossa dal curatore dell’impresa azione revocatoria basata sull’asserita natura solutoria delle rimesse - la prova della stipulazione del contratto di apertura di credito possa essere fornita con la mera produzione della deliberazione interna relativa alla concessione del fido, registrata sul libro fidi, oppure possa essere desunta dalla tolleranza di fatto all’uso dell’affidamento, soprattutto quando dette circostanze non consentano neppure di determinare l’ammontare del fido asseritamente accordato [C. I 9.7.2005, n. 14470, CG 2006, 357]. Al di fuori delle ipotesi in cui fanno prova contro l’imprenditore o nei rapporti tra questo ed altri imprenditori, le scritture ed i libri contabili, possono fornire, in concorso con ulteriori elementi, una valida prova per presunzioni anche a favore dell’imprenditore, soltanto nell’ipotesi in cui il loro contenuto non sia contestato e, comunque, abbiano un significato congruo rispetto al fatto da dimostrare [C. I 23.6.1994, n. 6031, cit.].
XXI. Gli atti a titolo oneroso e le garanzie per debiti contestualmente creati
XXI.Gli atti a titolo oneroso e le garanzie per debiti contestualmente creati1 Se l’atto definitivo di vendita sia stato preceduto da un preliminare, agli effetti della scientia decotionis del debitore deve farsi riferimento al momento della vendita e non a quello anteriore dell’eventuale contratto preliminare; il contratto definitivo è infatti revocabile di per sé pur se non è più revocabile il preliminare, perché anteriore all’anno dal fallimento [C. I 25.5.2022, n. 16914; C. I 29.3.2016, n. 6040; C. VI 21.10.2011, n. 21927, Fall 2012, n. 956; C. I 29.1.2008, n. 2005, NT 2009, 382; C. I 18.5.1982, n. 3072, DF 1982, II, 905]. La speciale causa di esenzione prevista dall’art. 10, d.lgs. n. 122/2005 per gli immobili «da costruire» (per tali dovendo intendersi, ex art. 1, lett. d), d.lgs. cit., gli «immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità») implica che il manufatto non sia stato oggetto di completamento e sia ancora da ultimare, irrilevante essendo la mera mancanza del certificato di agibilità, giacché essa non rileva in sé, ma quale sintomo, in negativo, dell’impossibilità che il bene stesso possa considerarsi definito nei suoi aspetti identificativi perché necessitante di ulteriori e non compiuti interventi edilizi [C. VI 10.8.2021, n. 22603]. Rispetto alla domanda di revoca della cessione del preliminare di compravendita, proposta, ai sensi dell’art. 67 l. fall., dal curatore del fallimento dei promissari acquirenti, che hanno concluso l’atto di cessione, il contraente ceduto è contraddittore necessario, in quanto la eventuale pronunzia di accoglimento si riflette sulla posizione del medesimo, i cui diritti e obblighi derivanti dal preliminare vengono ad assumere una diversa direzione soggettiva con tutte le implicazioni connesse allo stato di fallimento dell’originaria controparte [C. III 12.6.2020, n. 11287; C. 12.4.1979, n. 2160]. Gli atti a titolo oneroso che possono costituire oggetto di revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, c. 2, sono tutti quelli che incidono sul patrimonio del fallito e sono idonei a recare pregiudizio alla massa dei creditori, anche se non determinano l’immediato trasferimento di un bene di proprietà del fallito e, quindi, è revocabile il contratto preliminare di compravendita di un immobile, in quanto la norma che attribuisce al curatore fallimentare la facoltà di sciogliersi dal medesimo opera su un diverso piano e prescinde dall’esistenza delle condizioni stabilite per l’esercizio dell’azione revocatoria, sicché, nel caso di accoglimento della domanda, il contraente in bonis è tenuto a restituire le somme eventualmente ricevute, indipendentemente dalla data in cui sono stati effettuati i pagamenti, in quanto la revoca del contratto determina il venire meno della causa dell’attribuzione patrimoniale [C. I 9.12.2004, n. 23016]. La restituzione della cosa al venditore entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del compratore, per effetto della risoluzione consensuale del contratto, determinata dall’impossibilità dell’acquirente di pagare il prezzo, costituisce atto a titolo oneroso, come tale soggetto a revocazione, ai sensi dell’art. 67, c. 2, l. fall., ove sia provata la conoscenza, da parte del venditore stesso, dello stato di insolvenza del debitore [C. 21.7.1962, n. 2030, DF 1962, II, 791]. La domanda di risoluzione del contratto e di restituzione delle cose in base ad esso consegnate, proposta a norma dell’art. 1453 c.c., non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto, tenuto conto che il recupero dei beni non interferisce sulla par condicio creditorum, in considerazione della retroattività fra le parti della risoluzione per inadempimento, e che inoltre il disposto dell’art. 67 l. fall. riguarda la revocatoria di atti o negozi di diritto sostanziale, non di atti processuali, sicché non può essere invocato dal curatore a sostegno di un’eccezione di revocabilità della domanda stessa, a prescindere dall’eventuale conoscenza dello stato d’insolvenza del convenuto al momento della sua proposizione [C. 13.6.1983, n. 4045, Fall 1983, 1391]. Il contratto di affitto di un fondo rustico può costituire oggetto di azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, c. 1, l. fall. e la relativa domanda non può essere rigettata per il solo fatto che le parti abbiano stabilito - ex art. 45, l. n. 203/1982 e nell’osservanza delle condizioni stabilite da detta norma - un canone superiore a quello legale, occorrendo in detta ipotesi accertare la congruità del canone convenzionale rispetto al valore di mercato [C. I 12.7.2011, n. 15246, Fall 2012, 621; C. I 13.10.2005, n. 19875, ivi 2006, 474] Il contratto di affitto di azienda, incidendo negativamente sul valore del bene cui inerisce, rientra nel novero degli atti idonei, di per sé, ad alterare in peius la garanzia patrimoniale del debitore, ed è, pertanto, soggetto all’azione revocatoria, in caso di successivo fallimento del locatore, qualora sussistano le altre condizioni richieste dall’art. 67 l. fall. [C. I 17.1.2001, n. 571, Fall 2001, 1320]. Il curatore del fallimento non ha facoltà di sciogliersi da un contratto di locazione in corso alla data del fallimento stesso - subentrando, per converso, nella posizione del fallito nel rapporto contrattuale pendente -, ma ha facoltà di esercitare l’azione revocatoria di cui all’art. 67 l. fall., ove ne sussistano le condizioni previste da tale norma per far dichiarare inopponibile alla massa il contratto stipulato in epoca anteriore al fallimento, nel qual caso, peraltro, egli sarà tenuto al rispetto degli obblighi contrattuali fin quando essi non vengano paralizzati dalla sentenza che accoglie la domanda di revoca [C. 11.11.2003, n. 16905, Fall 2004, 901]. Non possono essere revocati i pagamenti dei canoni di locazione effettuati nel periodo sospetto se il curatore è subentrato nel contratto [C. I 27.2.2004, n. 3983, FI 2004, I, 2126]. È ammissibile l’azione revocatoria di una scissione di società, in quanto con la scissione non si realizza un semplice riassetto organizzativo di utilità imprenditoriale, ma si ha un vero e proprio mutamento qualitativo dell’assetto patrimoniale societario, determinando un’alterazione patrimoniale che potrebbe rendere difficoltoso per i creditori della società scissa soddisfare il loro pregresso credito [T. Messina 10.4.2020; T. Roma 12.06.2018; T. Roma 16.8.2016; contra C. App. Catania 19.9.2017 secondo cui la scissione societaria, e nel caso di specie la scissione parziale, di cui all’art. 2506, c. 1, c.c., costituisce operazione di mera riorganizzazione formale attraverso cui la società assume una diversa articolazione ed il cui effetto primario consiste nella costituzione di un nuovo ente. L’altro effetto, ovvero la assegnazione di un patrimonio alla società risultante dalla scissione, rappresenta unicamente la necessaria conseguenza della modificazione strutturale, senza tuttavia comportare alcun fenomeno di natura traslativa/successoria, ma solo una diversa distribuzione del patrimonio societario. Ne consegue che non vi può essere spazio per l’azione revocatoria, nella specie, fallimentare, di cui all’art. 67, c. 1, l. fall., mancando (tanto più nella scissione parziale) il carattere di atto dispositivo patrimoniale del debitore. La soluzione è confortata dall’esame comparativo dei sistemi di tutela offerti ai creditori, da cui emerge l’incompatibilità tra rimedio oppositivo e revocatorio. Una volta decorsi i termini per esperire l’opposizione (art. 2503 c.c.) gli effetti della scissione non possono essere rimessi in discussione, rimanendo salvo, in ogni caso, il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante (ai soci, o) ai terzi danneggiati dalla scissione (art. 2504-quater, u.c.). Il dato che l’art. 2504-quater, c. 1, si riferisca unicamente all’invalidità dell’operazione, non consente però di far distinzione tra il piano dell’invalidità - preclusa dall’art. 2504-quater - e quello dell’inefficacia, da cui si potrebbe astrattamente prospettare un’apertura all’azione revocatoria, in quanto la ratio legis è indiscutibilmente quella di assicurare la stabilità dell’operazione negoziale, una volta perfezionata. Discende che non può darsi azione revocatoria verso l’atto di scissione societaria].
2 Agli effetti della revocatoria di cui all’art. 67 l. fall., al fine di stabilire se la prestazione di garanzia sia stata o meno contestuale alla erogazione del credito, il concetto di contestualità deve essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso sostanziale e causale, sicché la eventuale riferibilità della garanzia ad un credito preesistente va accertata in concreto, avendo riguardo alla specifica genesi del contratto [C. I 24.2.2004, n. 3615, DF 2005, II, 966; C. I 21.3.2003, n. 4126, FI 2003, I, 1402; C. I 5.12.1992, n. 12948, ivi 1994, 1, 1126]. Gli atti costitutivi di titoli di prelazione per debiti preesistenti, non scaduti, sono inefficaci, ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 3, l. fall., anche in presenza di altri debiti preesistenti e già scaduti ovvero contestualmente creati nei confronti del titolare della garanzia, restando l’atto pregiudizievole comunque inopponibile alla massa dei creditori per l’intera esposizione debitoria garantita [C. I 22.11.2017, n. 27830]. Con riguardo ad un pegno costituito dal fallito a garanzia del debito di un terzo, il principio stabilito per l’azione revocatoria ordinaria dall’art. 2901, c. 2, c.c., secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito, è applicabile anche al sistema revocatorio fallimentare, con conseguente inapplicabilità dell’art. 64 l. fall., mentre nel caso della mancanza di contestualità la gratuità non si presume dovendo essere accertata in concreto avendo come riferimento anche la posizione del creditore garantito [C. I 15.12.2006, n. 26933, FI 2007, I, 1137; C. I 2.9.1996, n. 7997, Fall 1997, 679]. In tema di azione revocatoria fallimentare, qualora la garanzia sia stata costituita in parte con incidenza su di un debito preesistente ed in altra parte in funzione di un debito contestualmente venuto in essere, il regime presuntivo di cui al comma 1 dell’art. 67 l. fall. opera in ordine all’intero rapporto [C. I 30.1.1998, n. 969, FI 1998, I, 1641].
3 Ai fini dell’azione revocatoria di cui all’art. 67, c. 1, n. 3, l. fall. l’ipoteca volontaria si ha per costituita con l’iscrizione nei registri immobiliari e non invece con l’atto di concessione, il quale ha efficacia solo inter partes e non fa sorgere la prelazione. Al momento dell’iscrizione ipotecaria deve pure farsi riferimento per l’accertamento della scientia decoctionis nonché dalla preesistenza e scadenza del credito [C. I 17.12.1994, n. 10684, Fall 1995, 735]. Il privilegio legale che compete al venditore di macchine, nel caso di fallimento dell’acquirente, non è assoggettabile ad azione revocatoria fallimentare ancorché l’atto sia stato trascritto in data non contestuale al negozio di compravendita [C. I 28.5.2003, n. 8544, Fall 2004, 537].
XXII. L’azione revocatoria nei confronti dei terzi subacquirenti
XXII.L’azione revocatoria nei confronti dei terzi subacquirenti1 Per il combinato disposto degli artt. 66, c. 2, e 67 l. fall. e 2901, c. 4, c.c., nel fallimento l’azione revocatoria è esperibile dal curatore non solo nei confronti del primo acquirente dal fallito, ma anche nei confronti degli aventi causa da quest’ultimo, quando siano acquirenti in mala fede [C. I 21.3.1996, n. 2423, Fall 1997, 368]. Nell’azione revocatoria fallimentare rivolta contro i terzi subacquirenti, la curatela deve fornire la prova della consapevolezza da parte del successivo compratore dell’inefficacia dell’atto fra il fallito e il proprio dante causa e non può avvalersi delle presunzioni di cui all’art. 67, c. 1, l. fall. [C. I 28.5.2013, n. 13182; C. I 3.9.1999, n. 9271, FI 2000, I, 550].
2 L’azione revocatoria esperibile nella procedura fallimentare dal curatore contro i terzi subacquirenti in una catena di trasferimenti a titolo oneroso a partire da quello posto in essere dal fallito nei confronti del primo acquirente ha per fondamento non l’art. 67 l. fall., bensì l’ultimo comma dell’art. 2901 c.c. Condizioni dell’azione (che è revocatoria ordinaria) sono la revocabilità del primo trasferimento, disciplinata dall’art. 67 cit. e la consapevolezza, con onere della prova a carico del curatore attore, di ciascun avente causa successivo al primo delle condizioni di revocabilità sia del negozio originario compiuto dal fallito che dei successivi atti negoziali [C. I 20.12.2021, n. 40872; C. VI 9.8.2017, n. 19918; C. I 21.3.1996, n. 2423, cit.]. Nella revocatoria fallimentare proposta nei confronti del sub-acquirente, il curatore deve dimostrare la malafede del terzo che si sostanzia nella conoscenza della revocabilità del primo atto dispositivo [C. III 6.8.2010, n. 18370, Fall 2010, 1140; C. I 23.12.2009, n. 27230, ibidem, 870; C. I 10.12.2008, n. 28988, ivi 2009, 272; C. I 11.6.2004, n. 11083, FI 2004, I, 2711; C. I 3.9.1999, n. 9271, cit.].
XXIII. Le esenzioni dalla revocatoria - comma 3
XXIII.Le esenzioni dalla revocatoria - comma 31 Le esenzioni di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., vanno individuate avendo esclusivo riguardo al loro profilo oggettivo e debbono quindi ritenersi operanti anche quando il beneficiario dell’atto compiuto abbia la consapevolezza dell’insolvenza del dante causa [T. Torino 4.4.2010, GI 2011, I, 123]. Le esenzioni dalla revocatoria fallimentare previste dal terzo comma dell’art. 67 l. fall., come modificato dall’art. 2, c. 1, d.l. 14.3.2005, n. 35 (conv., con modif., nella l. 14.5.2005, n. 80), non si applicano, ai sensi del comma 2 dell’art. 2 d.l. cit. alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto, e ciò manifestamente non contrasta con il principio costituzionale di uguaglianza, trattandosi di scelta legislativa che incide in modo identico per tutti i rapporti sorti dopo la riforma, quale voluta dal legislatore alla stregua di una diversa valutazione pur sempre consentita dalla Costituzione [C. I 8.3.2007, n. 5346, Fall 2007, 968]. Le esenzioni di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., vanno individuate avendo esclusivo riguardo al loro profilo oggettivo e debbono quindi ritenersi operanti anche quando il beneficiario dell’atto compiuto abbia la consapevolezza dell’insolvenza del dante causa [T. Torino 4.5.2010, GI 2011, 123]. Le esenzioni da revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, c. 3, l. fall., costituendo altrettanti fatti impeditivi del diritto dedotto in giudizio dal curatore, integrano eccezioni in senso stretto, che vanno tempestivamente sollevate dalla parte processuale e non sono rilevabili d’ufficio [T. Reggio Emilia 15.3.2021; C. App. Venezia 11.4.2019; contra C. App. Milano 28.2.2020 secondo cui le esenzioni attengono alla negazione dei fatti costitutivi]. Le fattispecie di esenzione dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l. fall. hanno carattere eccezionale, sicché ne è esclusa l’estensione al di fuori delle ipotesi ivi specificamente contemplate [C. I 20.2.2020, n. 4340]. L’art. 67, c. 3, l. fall. nel prevedere la esclusione dall’assoggettamento alla azione revocatoria degli atti, dei pagamenti lvi indicati (alle lettere da a) a g)) ha riguardo alla sola azione revocatoria fallimentare e non anche a quella ordinaria che, in base a quanto stabilito dell’art. 66 della stessa legge fallimentare, è disciplinata integralmente secondo le norme del codice civile [C. III 24.2.2020, n. 4796; C. I 8.2.2019, n. 3778].
XXIV. (Segue) A) i pagamenti nei termini d’uso
XXIV.(Segue) A) i pagamenti nei termini d’uso1 La ratio dell’esenzione di cui alla lett. a) del comma 3 dell’art. 67 l. fall., è quella di tutelare l’interesse alla prosecuzione dell’attività d’impresa, garantendo il consolidamento di pagamenti ricevuti nello svolgimento dell’attività imprenditoriale e nei termini d’uso, in quanto pagamenti oggettivamente tali da non far sorgere sospetto sulla solvibilità del debitore; pertanto, non possono essere considerati nei termini d’uso i pagamenti effettuati in ritardo rispetto alle scadenze convenute dalle parti all’inizio del rapporto negoziale [T. Monza 24.4.2012, Fall 2012, 2004]. La locuzione “termini d’uso” di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., si riferisce ai pagamenti, e non all’ordinaria attività imprenditoriale [T. Torino 4.5.2010, GI 2011, 123]. In tema di azione revocatoria fallimentare, l’esenzione prevista dall’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso non può essere applicata ai pagamenti effettuati con prassi patologiche o con forme anomale non concordate fra le parti al momento della stipula del rapporto negoziale e con una tempistica difforme da quella normalmente praticata tra le parti stesse [C. VI 28.9.2021, n. 26241; C. I 7.7.2021, n. 19373; T. Bergamo 26.4.2013, Fall 2013, 901]. Il rinvio della norma di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., ai «termini d’uso», ai fini dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, attiene «alle modalità di pagamento proprie del rapporto tra le parti», e non alle prassi del settore economico di riferimento [C. I 19.2.2021, n. 4482; C. I 7.12.2016, n. 25162]. L’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall. va interpretato nel senso che non sono revocabili quei pagamenti che siano stati eseguiti ed accettati in termini diversi rispetto a quelli contrattualmente previsti, quando l’accipiens dimostri che, anche mediante comportamenti di fatto, i plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche non possono più considerarsi eseguiti «in ritardo» essendo ormai divenuti esatti adempimenti [C. I 7.12.2020, n. 27939]. In tema di azione revocatoria fallimentare, sono esenti ai sensi della lett. a) del comma 3 dell’art. 67 l. fall., solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti alla vita ordinaria e corrente dell’impresa, a condizione che siano eseguiti “nei termini d’uso”; ne restano esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie o estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario esercizio dell’azienda e quindi non vi rientra l’incarico conferito al consulente finanziario per la ristrutturazione dei debiti e l’attivazione di una procedura concorsuale [T. Bergamo 14.12.2013, Fall 2013, 371]. I pagamenti per forniture di beni o servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa sono esenti dalla revocatoria ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall. solo se eseguiti al tempo debito e con le modalità utilizzate abitualmente dai contraenti [T. Torino 23.4.2009, Fall 2010, 368]. Il pagamento di spese legali effettuato a seguito di pignoramento presso terzi non rientra nell’ipotesi di esenzione dalla revocatoria, di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., in quanto anormale [T. Napoli 24.2.2012, Fall 2013, 469]. Non si applica l’esenzione da revocatoria ai pagamenti delle rate di finanziamento alla banca, in quanto si tratta soltanto di pagamenti di debiti, non di debiti per acquisto di beni o servizi; la volontà della legge è di escludere dalla esenzione tutti gli altri pagamenti di natura finanziaria [T. Ferrara 14.5.2012, DF 2012, II, 644]. Sono soggetti a revocatoria fallimentare, se ricorrono i presupposti dell’art. 67, c. 2, l. fall., i pagamenti dei compensi che il liquidatore di una società ha eseguito a suo favore, non ricorrendo in tal caso né l’eccezione di cui all’art. 67, c. 3, lett. a), l. fall., che si riferisce ai pagamenti delle forniture di beni e servizi che hanno consentito all’imprenditore, poi fallito, di esercitare l’attività oggetto della sua impresa; né l’eccezione di cui all’art. 67, c. 3, lett. f), l. fall., che si riferisce ai pagamenti eseguiti a favore dei soggetti costituenti la forza lavoro dell’impresa, non a quelli che il liquidatore si auto attribuisce preferendo se stesso agli altri creditori della società, in violazione della par condicio creditorum [C. VI 28.9.2021, n. 25244].
XXV. (Segue) B) le rimesse sul conto corrente bancario
XXV.(Segue) B) le rimesse sul conto corrente bancario1 L’eccezione di cui al comma 3, lett. b), art. 67 l. fall. riguarda le rimesse che non abbiano avuto l’effetto di ridurre l’esposizione del debitore nei confronti della banca, con ciò riferendosi ad un debito effettivo ed attuale, quale non è lo «scoperto del conto» che rimane nell’ambito dell’affidamento concesso, fino a che questo non venga revocato [T. Udine 16.4.2012, Fall 2012, 963]. Affinché le rimesse di conto corrente bancario siano revocabili devono essere intervenute nei sei mesi antecedenti la declaratoria di fallimento, devono aver ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca (requisito questo in cui si sostanzia, attraverso una valutazione da compiersi necessariamente ex post, la natura solutoria delle rimesse) e devono essere accompagnate dalla scientia decoctionis da parte dell’accipiens [T. Udine 24.9.2010, GComm 2012, II, 847]. Le rimesse in conto corrente bancario sono revocabili se sono intervenute nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento ed abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca con la scientia decoctionis dell’accipiens, senza che possa più assumere rilevanza la distinzione tra conto passivo e conto scoperto elaborata nell’interpretazione giurisprudenziale emersa nella trascorsa disciplina per individuare le rimesse aventi natura solutoria; ai fini della valutazione della «consistenza» e della «durevolezza» della riduzione dell’esposizione debitoria del correntista per la revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario ex art. 67, c. 3, lett. b), l. fall., la movimentazione successiva del conto corrente che abbia esteso o ricreato il saldo debitore non esclude la revocabilità delle rimesse anteriori qualora non si sia trattato di operazioni di riutilizzo del conto da parte del cliente, ma di addebiti di posizioni creditorie della stessa banca [T. Udine 24.2.2011, Fall 2011, 688]. In tema di fallimento, con riferimento alla revocatoria di rimesse bancarie instaurate secondo la nuova formulazione dell’art 67, c. 3, l. fall., non assume più rilievo la distinzione tra conto scoperto e conto passivo e tra rimessa con funzione ripristinatoria o solutoria, ma ciò che rileva è se il rientro sia o meno finalizzato a ridurre l’esposizione debitoria della banca in modo stabile ed apprezzabile avuto riguardo al debito complessivo. Sotto il profilo dell’onere probatorio spetta alla curatela provare la conoscenza da parte dell’istituto di credito dello stato di insolvenza della società e sotto il profilo oggettivo la consistenza e durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria, mentre la banca è tenuta ad eccepire tempestivamente il limite differenziale di cui all’art 70 l. fall. [T. Modena 23.5.2017; T. Reggio Emilia 12.5.2017; C. App. Torino 5.5.2017]. La natura solutoria delle rimesse in conto corrente bancario rileva anche nell’ambito della nuova disciplina dettata dalla riforma della legge fallimentare (artt. 67 e 70); ai fini della loro revocabilità, dovranno essere prese in considerazione soltanto quelle rimesse intervenute su conto scoperto; pertanto, il requisito della «consistenza» della riduzione dell’esposizione debitoria è condizionato dall’entità massima dell’esposizione, dall’entità media dei versamenti in entrata e delle voci in uscita nonché dall’ammontare del debito nel momento in cui la rimessa è effettuata; allo scopo di valutare la consistenza e la durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria determinata dalla rimessa ai sensi e per gli effetti di cui alla lett. b) dell’art. 67, c. 3, l. fall., si potrà avere riguardo sia al conto corrente sia al conto anticipi qualora l’unicità del rapporto intercorso tra le parti evidenzi tra i conti medesimi un intenso collegamento funzionale, tale da consentire all’istituto di credito di avere sempre a disposizione i dati necessari al fine di valutare la solvibilità del cliente ed il suo progressivo indebitamento [T. Milano 21.7.2009, DF 2010, II, 360]. Agli effetti della revoca delle rimesse in conto corrente, è dato dal fatto che le stesse abbiano ridotto “in maniera consistente e durevole” l’esposizione debitoria del fallito rispetto alla banca. La rimessa può ritenersi “consistente” se la stessa è di importo pari al 10% della differenza tra massimo scoperto del conto nel periodo sospetto e quello sussistente al tempo della procedura fallimentare [T. Modena 9.4.2019]. Al fine della valutazione della determinazione della durevolezza della riduzione dell’esposizione è corretta l’individuazione di un lasso temporale tra le rimesse e operazioni di segno contrario pari alla media tra la frequenza delle operazioni di importo almeno uguale a quello rilevante ai fini del requisito della consistenza con riferimento al massimo scoperto e la frequenza delle operazioni di importo non inferiore a quello assunto come consistente [T. Padova 9.10.2020]. La riduzione in modo consistente e durevole della esposizione debitoria si può realizzare in concreto principalmente quando la banca imponga dei rientri o privi, di fatto, il cliente della disponibilità di prelevare dal conto. Ciò fa sì che tutte le rimesse oggetto di revocatoria siano in realtà durevoli [T. Milano 5.3.2018]. Compete al curatore che agisce in revocatoria documentare l’esistenza ed il quantum dell’esposizione complessiva del correntista, giacché il requisito del c.d. «rientro» posto dalla norma è «limite oggettivo» alla domanda di revocatoria fallimentare, e idoneo ad assumere carattere di elemento costitutivo della domanda, con la conseguenza che integra un fatto principale che è onere attoreo dimostrare [T. Padova 9.10.2020].
2 L’art. 70, c. 3, l. fall. introduce un criterio per limitare l’oggetto della restituzione a seguito della revocatoria fallimentare e segna il limite quantitativo entro il quale il convenuto risponde; esso integra pertanto una condizione impeditiva che va eccepita tempestivamente dal convenuto cui incombe l’onere della prova, allegando e dimostrando quale fosse l’esatto ammontare della differenza fra la massima esposizione debitoria raggiunta dal fallimento nel periodo c.d. «sospetto» ed il saldo finale, tenendo conto di tutte le linee di credito accordate, a prescindere dal fatto che al momento della rimessa fossero già state formalmente contabilizzate sul conto [T. Udine 24.2.2011, cit.]. L’art. 70 l. fall. nel caso di revocatoria delle rimesse bancarie si applica solo a procedure dichiarata dall’1.1.2008, trattandosi di norma novativa entrata in vigore con tale data [T. Ferrara 14.5.2012, cit.] .
XXVI. (Segue) C) il piano attestato
XXVI.(Segue) C) il piano attestato1 La situazione di insussistenza dei presupposti per redigere il bilancio in continuità può essere rimossa attraverso operazioni asseverate da un piano idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria ex art. 67, c. 3, lett. d), l. fall., o per effetto di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale ex art. 182-bis l. fall. [T. Milano 7.5.2012, S 2012, 839]. Non può essere concesso - al creditore di una società che intenda esperire azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. nei confronti di un trust istituito, sulla totalità dei beni aziendali, da detta società allorché si trovava in uno stato di crisi finanziaria e allo scopo di superare detta crisi mediante la predisposizione di un piano attestato ex art. 67, c. 3, lett. d), l. fall. - prevedente, in particolare, il soddisfacimento dei creditori sociali - il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. su detti beni aziendali: ciò sia per l’insussistenza del pregiudizio per l’istante (essendo il trust stato istituito anche in suo favore), sia in considerazione del fatto che, avendo il trust in questione una causa solutoria (e quindi la natura di atto oneroso), l’istante non ha fornito la prova dell’esistenza del consilium fraudis in capo al terzo avente causa dalla società debitrice [T. Alessandria 24.11.2009, Cmerito 2010, 389]. La nomina del professionista chiamato ad attestare, ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. d) la ragionevolezza del piano di risanamento dell’esposizione debitoria predisposto da una società per azioni compete alla società stessa [T. Treviso 20.4.2009, DF 2010, II, 128; T. Milano 16.7.2008, Fall 2009, 47; T. Brescia 3.8.2007, DF 2009, II, 359]. Il ricorso per la nomina di un professionista chiamato ad attestare la fattibilità di un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. d), l. fall., stante il ruolo fidefaciente dell’esperto, che impone modalità di designazione che ne garantiscano la terzietà, va proposto al tribunale ai sensi degli artt. 28 e 29, d.lgs. n. 5/2003 [T. Bari 14.8.2008, Fall 2009, 467]. Ora però la legge prevede espressamente che la nomina competa solo al debitore. Il giudice, investito dell’azione revocatoria dell’atto attuativo del piano di risanamento - predisposto unilateralmente dal debitore e non soggetto ad omologa, né ad alcuna forma di pubblicità - deve effettuare, oltre ad una verifica mirata al rispetto dei requisiti legali del piano e dell’attestazione, una valutazione, necessariamente ex ante, circa l’idoneità del piano, del quale l’atto impugnato costituisce strumento attuativo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, attraverso un’attività di c.d. prognosi postuma. L’efficacia “protettiva” del Piano di Risanamento potrebbe dunque venire meno solo nei casi in cui fosse dimostrata - sulla base di un giudizio ex ante del piano stesso - la sua assoluta inidoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati [T. Piacenza, 18.9.2020]. Sono esenti da revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento a norma dell’art. 67, c. 3, lett. d), l. fall. (nel testo vigente anteriormente alla modifica introdotta con d.l. n. 83/2012, conv., con modif., in l. n. 134/2012) a condizione che il piano appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria della impresa con una valutazione da effettuarsi dal giudice “ex ante” [C. I 10.2.2020, n. 3018; C. VI 5.7.2016, n. 13719].
XXVII. (Segue) D) i pagamenti effettuati per prestazioni lavorative
XXVII.(Segue) D) i pagamenti effettuati per prestazioni lavorative1 Il pagamento di spese legali effettuato a seguito di pignoramento presso terzi non rientra nelle ipotesi di esenzione dalla revocatoria, di cui all’art. 67, c. 3, lett. f), l. fall., in quanto il legale non può essere considerato un “collaboratore”, ancorché non subordinato, dell’imprenditore fallito [T. Napoli 24.2.2012, Fall 2013, 469]. In tema di azione revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti dal lavoratore dipendente a titolo di corrispettivo per le prestazioni svolte nei confronti del datore di lavoro, non può essere invocato, quale causa di esenzione, l’obbligo di effettuare la prestazione senza possibilità di sollevare l’eccezione di cui all’art. 1461 c.c., (che prevede la facoltà di sospendere l’adempimento quando sussista un evidente pericolo di non ricevere il corrispettivo in ragione delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente) [C. I 24.7.2007, n. 16831, Fall 2007, 1481]. Si applica l’esenzione di cui all’art. 67, c. 3, lett. f), al pagamento per le prestazioni di lavoro indispensabili per permettere la continuazione dell’attività d’impresa, anche quando si profilano gli estremi dell’insolvenza, allo scopo di non precludere all’imprenditore in crisi la possibilità di vedere sollevate le sorti dell’impresa mediante la conservazione dell’attività; ipotesi non sussistente nel caso di specie essendo la dedotta attività di «direttore tecnico», invece, consistita in un’ingerenza fattuale nella gestione della società da parte del socio [T. S.M. Capua Vetere 25.11.2010, BBTC 2012, II, 215].
XXVIII. (Segue) E) le esenzioni per prestazioni in relazione al concordato preventivo
XXVIII.(Segue) E) le esenzioni per prestazioni in relazione al concordato preventivo1 In tema di procedure concorsuali, ove vi sia stata ammissione al concordato preventivo seguita da revoca e dichiarazione di fallimento, rientrano nell’esenzione dalla revocatoria di cui all’art. 67, c. 3, lett. g), l. fall. anche i pagamenti di crediti liquidi ed esigibili eseguiti “dopo la scadenza” per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura concordataria, poiché l’espressione “alla scadenza”, contenuta nella norma, deve intendersi come un semplice rafforzativo del presupposto della liquidità ed esigibilità di tali crediti [C. I 28.4.2022, n. 13367]. Il pagamento effettuato in favore del consulente della società anteriormente alla dichiarazione di fallimento non rientra nell’esenzione dalla revocatoria di cui all’art. 67, c. 3, lett. g), l. fall., qualora il servizio reso dal consulente si sia risolto in un mero esame preliminare di fattibilità per l’impresa della soluzione concordataria, senza estrinsecarsi nell’atto a rilevanza esterna della presentazione della domanda di accesso al concordato [C. I 20.2.2020, n. 4340; C. App. Ancona 21.10.2019].
XXIX. Le esenzioni dalla revocatoria - comma 4
XXIX.Le esenzioni dalla revocatoria - comma 41 L’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare di cui all’ultimo comma dell’art. 67 l. fall. si applica non a tutti gli istituti di credito che compiano operazioni di credito su pegno, ma solo a quelli debitamente autorizzati [C. I 18.11.1998, n. 11606, Fall 1999, 1096; C. I 25.1.1993, n. 851, ivi 1993, 617; C. I 16.10.1987, n. 7649, FI 1988, I, 823]. Il comma 3 dell’art. 67 l. fall. è da intendersi, alla stregua della sua formulazione letterale e della sua finalità di tutela esclusiva delle attività di prestito esercitate da enti per esse specificamente predisposti e autorizzati, come riferito soltanto alle banche espressamente autorizzate a concedere prestiti (anche di modico valore) su pegno e svolgenti tali attività in modo istituzionale e con apposita organizzazione, senza che abbia rilievo la circostanza che, di fatto, altre aziende bancarie possano concedere anticipazioni o aperture di credito garantite da pegno [C. I 18.11.1998, n. 11606, cit.].
2 Sia per il difetto di una specifica norma, sia per la tassatività delle previsioni di cui all’art. 67, u.c., l. fall., a norma dell’art. 40, l. 25.7.1952, n. 949, nel testo modificato dall’art. 4, l. 24.12.1974, n. 713, l’inapplicabilità dell’azione revocatoria fallimentare - che attiene alla concessione dei mutui che gli istituti di credito elargiscono a tasso agevolato alle imprese artigiane allo scopo di sviluppare l’economia nazionale e incrementare l’occupazione - può estendersi ai privilegi nonché all’ipoteca sugli immobili, ma non alle operazioni di rimborso del finanziamento, cioè agli atti estintivi della obbligazione [C. I 27.10.1992, n. 10652, GC 2001, I, 108]. L’art. 20, l. 30.7.1959, n. 623, il quale esclude l’applicabilità dell’art. 67 l. fall. agli istituti di credito autorizzati, che abbiano erogato finanziamenti destinati ad incentivare la piccola e media industria e l’artigianato, purché gli atti assoggettati a revocatoria siano stati compiuti almeno dieci giorni prima la dichiarazione di fallimento, è norma eccezionale, in quanto deroga al principio generale della par condicio creditorum; conseguentemente non ne è consentita l’interpretazione estensiva [C. I 13.8.1999, n. 8634, Fall 2000, 429]. L’art. 20, l. 30.7.1959, n. 623 (incentivi a favore della media e piccola industria e dell’artigianato) il quale, in deroga all’art. 67 l. fall., esclude l’esperibilità dell’azione revocatoria dopo il decorso di dieci giorni dalla stipulazione dei relativi contratti, con riguardo ai mutui concessi dagli istituti di credito a medio termine (ovvero dagli istituti di credito in genere ove utilizzino fondi statali o si avvalgano della garanzia dello Stato), contiene una disposizione di carattere eccezionale, operante con esclusivo riferimento ai finanziamenti riconducibili alle specifiche finalità enunciate dall’art. 1 della stessa l. 30.7.1959, n. 623 e, dunque, non suscettibile di estensione con riguardo ai mutui non finalizzati alla costruzione o ristrutturazione di impianti industriali, ancorché erogati da istituti autorizzati all’esercizio del credito a medio termine [C. I 25.8.2004, n. 16866]. La cessione di un credito fondiario vantato nei confronti di un imprenditore poi fallito, operata dal Banco di Napoli in favore di una società finanziaria appartenente al proprio gruppo, comporta l’automatico trasferimento alla cessionaria dei privilegi e delle garanzie esistenti in capo al cedente, ivi compresa l’esenzione dalla revocatoria fallimentare [C. I 20.4.2016, n. 7960]. L’esenzione dall’azione revocatoria ex art. 67, c. 2, l. fall. prevista, per i pagamenti compiuti dal debitore ceduto al cessionario, dall’art. 6, l. n. 52/1991, recante la disciplina della cessione dei crediti d’impresa, non opera con riguardo ai pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, compiuti nel periodo sospetto in data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6 citato [C. I 12.11.1999, n. 12539, Fall 2000, 1015]. Poiché la l. 29.2.1988, n. 48, nel convertire il d.l. 30.12.1987, n. 536, ha, all’art. 1, comma 2, fatto salvi, ai sensi dell’art. 77, u.c., Cost. non solo gli atti, i provvedimenti e i rapporti sorti sulla base dei d.l. 28.4.1987, n. 156, d.l. 27.6.1987, n. 244, d.l. 28.8.1987, n. 358 e d.l. 30.10.1987, n. 442, non convertiti, ma anche gli effetti prodotti dai medesimi decreti, devono ritenersi non assoggettabili all’azione revocatoria di cui all’art. 67 l. fall. i pagamenti effettuati per contributi sociali a favore degli enti gestori effettuati nella vigenza dei decreti legge non convertiti, che detta previsione contenevano [C. I 4.8.2004, n. 14964; C. I 6.5.1998, n. 4550, GC 1998, I, 2560; C. I 14.7.1994, n. 6609, Fall 1995, 258]. Nel regime anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. 28.1.1988, n. 43 - attuativo della delega di cui alla l. 4.10.1986, n. 657 e contenente l’innovativa disposizione di estensione anche alla riscossione dell’IVA della disciplina dettata dal d.P.R. n. 602/1973 - l’amministrazione finanziaria, che inizi e porti a termine l’esecuzione individuale per il recupero del proprio credito concernente la menzionata imposta, nei confronti del debitore del quale le sia noto lo stato di insolvenza, è soggetta all’applicazione della disciplina dettata dall’art. 67 l. fall., in tema di revocabilità dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, trattandosi di regola generale che consente soltanto le eccezioni espressamente previste dalla legge e dovendosi escludere che, già prima delle summenzionate innovazioni intese ad estendere anche al detto credito il disposto dell’art. 51, d.P.R. n. 602/1973, potesse di tale norma farsi applicazione [C. s.u. 30.3.1994, n. 3131, Fall 1994, 1026].