[1] Se al debitore vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.
[2] La casa della quale il debitore è proprietario o può godere in quanto titolare di altro diritto reale, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. I beni non compresi nella liquidazione giudiziale - II. Il sussidio alimentare e la conservazione del godimento dell’abitazione.
I. I beni non compresi nella liquidazione giudiziale
I.I beni non compresi nella liquidazione giudiziale1 Rispetto al debitore persona fisica, il codice della crisi si preoccupa di non privare completamente il debitore di mezzi di sussistenza; in questo contesto vanno letti congiuntamente gli artt. 146, c. 1, n. 2, e 147 CCII.
2 Fra i diritti non espropriabili (art. 146 CCII) - ed il catalogo dei beni sottratti alla massa concorsuale è tassativo - si possono includere: (i) il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale; (ii) i diritti ed obblighi discendenti dal contratto di locazione di immobile destinato esclusivamente all’abitazione del debitore e della sua famiglia; (iii) i diritti allo stato di cittadinanza e allo stato di famiglia; (iv) le azioni relative al diritto di famiglia, sia per la loro natura personalissima che per l’esclusione dei beni destinati a soddisfare diritti e obblighi di mantenimento alimentare, nonché le azioni di riconoscimento e disconoscimento di figli; le azioni relative alla separazione coniugale, all’annullamento del matrimonio; l’esercizio di potestà sui figli; le azioni concernenti gli alimenti; i redditi derivanti da beni costituiti in fondo patrimoniale; (v) le azioni a tutela del nome, dell’immagine, dell’onore e della reputazione della persona del debitore, nonché le azioni relative alla capacità di agire; (vi) il diritto d’autore per cui il debitore rimane unico legittimato a tutelarlo da violazioni, nonché a decidere se rendere pubblica la sua opera, o, qualora lo sia, di ritirarla. I proventi economici dell’esercizio del diritto d’autore, di converso, vengono acquisiti alla liquidazione giudiziale; (vii) il diritto di accettare o rifiutare una donazione e il diritto di revoca della donazione; (viii) i diritti di uso e abitazione.
3 Poiché lo spossessamento investe solo i rapporti compresi nella liquidazione giudiziale, il debitore non perde la capacità di agire e dunque può svolgere, durante la procedura, un’attività lavorativa. I proventi di questa attività non entrano a far parte della massa attiva del debitore se non in quella misura che esorbiti dai bisogni del debitore e della sua famiglia. Questo significa che i redditi che il debitore percepisce possono essere trattenuti nella misura stabilita dal giudice delegato con decreto, dovendosi tener conto delle esigenze di vita del debitore e della sua famiglia. Cfr. [F462] [F463] [F464].
4 L’eccedenza rispetto a questi bisogni è devoluta alla procedura in quanto il debitore risponde con tutto il suo patrimonio, anche quello futuro. A tal fine, il giudice delegato procede anche ad una valutazione comparativa tra la situazione del debitore (e della sua famiglia) e la tutela dei creditori. Il giudice delegato deve compiere una valutazione di adeguatezza del reddito da destinare al mantenimento del debitore e della sua famiglia, un reddito che non può essere ridotto per coprire le sole esigenze puramente alimentari, ma che neppure deve giungere a soddisfare il parametro di cui all’art. 36 Cost. del tenore di vita socialmente adeguato, tenuto conto della peculiare posizione del debitore, debitore verso una pluralità di creditori concorrenti. Il decreto del giudice delegato col quale vengono fissati i limiti - sentiti il curatore ed il comitato dei creditori - è reclamabile avanti al tribunale concorsuale ex art. 124 CCII e la decisione del tribunale concorsuale sul reclamo è a sua volta impugnabile con ricorso in cassazione ex art. 111 Cost.
II. Il sussidio alimentare e la conservazione del godimento dell’abitazione
II.Il sussidio alimentare e la conservazione del godimento dell’abitazione1 Per non privare il debitore delle risorse necessarie al suo sostentamento, la norma di cui all’art. 147 CCII consente al giudice delegato di riconoscere al debitore un sussidio alimentare al fine di contribuire al suo sostentamento. Poiché l’erogazione di un sussidio al debitore comporta la necessità di prelevare i fondi dall’attivo della procedura ed intacca così la massa sulla quale i creditori hanno diritto di soddisfarsi, prima di emanare il provvedimento il giudice delegato deve, previamente, sentire il curatore ed il comitato dei creditori, pur se il parere del comitato dei creditori non assume carattere vincolante. Il sussidio è destinato a fronteggiare esigenze meramente alimentari, intendendosi con ciò le spese necessarie alla sopravvivenza, incluse le spese mediche. Il sussidio può essere concesso sia sotto forma di assegno continuativo che una tantum.
2 Diversamente da quanto accade per i proventi conseguiti dal debitore dopo la liquidazione giudiziale, il debitore non vanta un diritto soggettivo al sussidio, con la conseguenza che i provvedimenti adottati dal giudice delegato e dal tribunale concorsuale (sul reclamo ex art. 124 CCII avverso il decreto di diniego del sussidio stesso) non incidono su una situazione soggettiva tutelata dall’ordinamento e non sono quindi impugnabili con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. Al contrario, il provvedimento di concessione del sussidio incide sui diritti soggettivi dei creditori e deve ritenersi quindi impugnabile in cassazione ex art. 111 Cost. Cfr. [F465] [F466].
3 Una sorta di sussidio “in forma specifica” è rappresentato dalla conservazione in capo al debitore del diritto di godimento dell’alloggio di sua proprietà (o nella sua disponibilità per altro diritto reale) destinato ad abitazione sua e della famiglia, nei limiti delle necessità abitative e sino al momento della vendita dell’alloggio stesso. Il diritto di godimento è limitato alle necessità abitative del debitore e della sua famiglia, per cui prima dell’alienazione dell’alloggio il curatore può alienare o locare le parti dell’immobile esorbitanti rispetto a tali necessità. Tale diritto viene meno al momento della vendita dell’immobile indipendentemente dall’esistenza di altri beni non ancora liquidati nella massa attiva; il curatore mantiene piena discrezionalità nel fissare il momento dell’alienazione dell’immobile medesimo. Cfr. [F467].
B) Frmule
B)FrmuleG.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
Del: ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
***
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
***
ISTANZA PER L’ORDINE DI PAGAMENTO DI PARTE DEL SALARIO DEL DEBITORE AL LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE EX ART. 146, N. 2, CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, Curatore nella Procedura della liquidazione giudiziale di cui in epigrafe
PREMESSO
- che il debitore Sig………. convive con il coniuge Sig.ra ……… e ……… figli minori, come da allegato stato di famiglia (doc. n. 1);
- che il debitore è attualmente impiegato dalla società ………, con sede in ………, e che per tale attività percepisce euro ……… mensili, come da allegato contratto di lavoro (doc. n. 2);
- che il coniuge del debitore Sig.ra ……… ha un reddito ammontante a euro ……… annuali che le deriva dal canone di locazione di un immobile, come da modello 740 del [………] (doc. n. 3);
- che il complessivo reddito mensile netto della famiglia del Sig………. ammonta quindi a euro ………;
- che si ritiene che un reddito complessivo pari a euro ……… sia più che sufficiente ad assicurare un adeguato mantenimento al debitore ed alla sua famiglia;
- che quindi si ritiene opportuno che ………/……… dello stipendio del debitore, pari a euro ………, esorbitando i limiti dell’art. 46, n. 2, CCII, venga attribuito alla massa concorsuale;
tutto ciò premesso ed esposto il sottoscritto curatore
FA ISTANZA
perché l’Ill.mo Sig. Giudice Delegato, voglia disporre che la società ……… sita in ……… versi ………/……… dello stipendio del debitore Sig………., pari a euro ………, a partire dal mese di ……… direttamente sul conto corrente della liquidazione giudiziale, lasciando quindi al debitore la somma di euro ……… mensili in forza dell’art. 146, n. 2, CCII, sino alla data del [………].
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
Allegati:
1) stato di famiglia;
2) contratto di lavoro;
3) modello 740 del ………
IL GIUDICE DELEGATO
Vista l’istanza con la quale il curatore chiede la determinazione della misura del reddito del debitore da destinare alla procedura;
visti i documenti allegati al ricorso;
ritenuto che al debitore debbono essere attribuiti redditi tali da assicurare a lui ed alla sua famiglia un tenore di vita dignitoso;
considerato che la disponibilità di reddito del debitore va quindi determinata in una misura intermedia tra il minimo alimentare ed il minimo socialmente adeguato in base al principio costituzionale della retribuzione sufficiente;
ritenuto che in relazione al reddito attuale della famiglia, appare equo attribuire al debitore la somma mensile di euro ………;
DISPONE
che il datore di lavoro del debitore versi direttamente ogni mese sul conto corrente della procedura la somma di euro ……… sino al [………], riservandosi una nuova valutazione all’esito di ulteriori informazioni.
Luogo, data ………
Il Giudice delegato ………
Spett.le Sig………. [generalità del debitore]
………
………
Le indagini svolte dallo scrivente hanno evidenziato come la S.V. abbia percepito, o sia in procinto di percepire, da ……… la somma di euro ……… a titolo di ……… [pensione di invalidità, trattamento di fine rapporto, stipendi, salari o pensioni dovute dallo Stato o altri Enti pubblici, pensioni erogate dall’Inps].
Nel ricordarLe che tali redditi rientrano tra quelli acquisibili alla massa concorsuale, salvo che per una quota determinabile, con provvedimento del Giudice Delegato, nei limiti di quanto occorre per il mantenimento Suo e della Sua famiglia, La invito a versare mediante assegni circolari intestati alla procedura concorsuale l’importo in questione immediatamente, o non appena pervenga nella Sua disponibilità.
La violazione di tale dovere è sanzionabile penalmente.
Distinti saluti
Luogo, data ………
Il Curatore ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
Del: ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
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LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
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ISTANZA PER LA CONCESSIONE AL DEBITORE DEL SUSSIDIO EX ART 147 CCII
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, Curatore nella Procedura della liquidazione giudiziale di cui in epigrafe
PREMESSO
- che il debitore Sig………. convive con il coniuge Sig.ra ……… e ……… figli minori, come da allegato stato di famiglia (doc. n. 1);
- che il debitore Sig………. e il suo coniuge Sig.ra ……… non stanno svolgendo alcuna attività lavorativa, come da allegata dichiarazione da loro sottoscritta (doc. n. 2);
- che la Sig.ra ……… non risulta avere alcun reddito;
- che il debitore Sig………. ha richiesto allo scrivente curatore che gli venisse concesso un sussidio per il mantenimento suo e della sua famiglia (doc. n. 3);
- che la liquidazione giudiziale ha sino ad ora incassato euro ……… mediante la vendita del magazzino della ditta individuale, che la massa passiva ammonta a euro ………, e che sussiste la ragionevole possibilità di realizzare ancora attività per circa euro ………;
- che si ritiene quindi sussistano le condizioni per la concessione al debitore di un sussidio a carico della liquidazione giudiziale
tutto ciò premesso ed esposto il sottoscritto curatore
FA ISTANZA
perché l’Ill.mo Sig. Giudice Delegato, sentito il comitato dei creditori, voglia autorizzare il curatore a versare al debitore la somma di euro ……… mensili quale assegno per il mantenimento suo e della sua famiglia sino alla data del [………], o alla cessazione dello stato di bisogno o al momento in cui il debitore dovesse trovare un impiego se precedenti a tale data.
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
Allegati:
1) stato di famiglia;
2) dichiarazione dei Sigg.ri ………;
3) racc. a.r. del [………]
PARERE DEL COMITATO DEI CREDITORI
Parere
………
Parere
………
Parere
………
IL GIUDICE DELEGATO
vista l’istanza che precede,
visto il parere del Curatore e del comitato dei creditori,
visto l’art. 147 CCII;
considerato l’attivo disponibile ed effettuata la comparazione fra il bisogno del debitore e l’interesse della massa dei creditori
CONCEDE
al debitore sig………. un sussidio mensile di euro ……… per la durata di mesi ………, salva eventuale proroga alla luce di un aggiornamento delle informazioni.
Luogo, data ………
Il Giudice delegato ………
G.D.: dr……….
Curatore: ………
Sent. n.: ………
Del: ………
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………
Sezione ………
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LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………
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ISTANZA DI AUTORIZZAZIONE AL TRASFERIMENTO DEL DEBITORE IN ALTRO ALLOGGIO DI SUA PROPRIETÀ
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
il sottoscritto ………, Curatore nella Procedura della liquidazione giudiziale di cui in epigrafe
PREMESSO
- che il debitore Sig………. attualmente risiede con la propria famiglia nell’immobile di sua proprietà sito in ……… come da allegato certificato di residenza (doc. n. 1);
- che il sopra indicato immobile verrà venduto ……… in data [………] come da allegata copia del decreto del G.D. (doc. n. 2);
- che il debitore Sig………. possiede un altro immobile in ……… come da visura allegata (doc. n. 3), del quale non è stata fissata ancora la data di vendita;
- che può ragionevolmente prevedersi che non si perverrà alla vendita di questo secondo immobile se non tra oltre ……… da questa data, stante il contenzioso in essere che ne pregiudica la vendita;
- che il debitore Sig………. è impiegato dalla società ……… con sede in ……… e che per tale attività percepisce euro ……… mensili, come da allegato contratto di lavoro (doc. n. 4);
- che di conseguenza si ritiene non abbia i mezzi per procurarsi autonomamente un alloggio;
- visto l’art. 147, c. 2, CCII
FA ISTANZA
perché l’Ill.mo Sig. Giudice Delegato Voglia autorizzare il debitore Sig………. a trasferirsi nell’alloggio di ……… sino alla vendita del suddetto secondo immobile.
Con osservanza
Luogo, data ………
Il curatore ………
Allegati:
1) certificato di residenza;
2) decreto del [………];
3) visura catastale;
4) contratto di lavoro.
C) Giurisprudenza:
C)Giurisprudenza:I. I beni sottratti all’espropriazione collettiva - II. (Segue) A) gli assegni avente carattere alimentare, gli stipendi, le pensioni ed i salari - III. (Segue) B) il vecchio numero 3 - IV. Il decreto del giudice delegato - V. L’assegno alimentare per il sostentamento del fallito - VI. La conservazione della casa di abitazione.
I. I beni sottratti all’espropriazione collettiva
I.I beni sottratti all’espropriazione collettiva1 Le somme spettanti o liquidate a persona fisica, successivamente fallita, a risarcimento del danno biologico o del danno morale, attesa la natura strettamente personale, sin dall’origine, del relativo diritto, rientrano nella previsione dell’art. 46, c. 1, l. fall., e non possono essere quindi attribuite al fallimento [C. VI 15.10.2018, n. 25618; in senso conforme C. III 20.6.1997, n. 5539, Fall 1998, 363].
2 II fallito è legittimato ad agire e resistere nelle controversie concernenti la validità del contratto di locazione avente ad oggetto immobile destinato esclusivamente ad abitazione per sé e per la propria famiglia, atteso che, in tal caso, la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell’art. 43 l. fall., bensì un rapporto di natura strettamente personale ai sensi dell’art. 46 l. fall., in quanto rivolto al soddisfacimento di un’esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente per il curatore [C. III 29.9.2009, n. 20804; C. 15.10.1982, n. 5397, GI 1983, 1, 1; T. Ancona 12.7.2019, n. 1305, DeJure]. In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la dichiarazione di fallimento non osta all’adempimento dell’obbligo alimentare da parte del fallito: ai sensi dell’art. 46, c. 1, n. 2 e c. 2, r.d. 16.3.1942, n. 267 (l. fall.), infatti, gli assegni alimentari ed in genere tutto ciò che il fallito guadagni con la propria attività non sono compresi nel fallimento, entro i limiti, fissati dal giudice, di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia, mentre, ai sensi del successivo art. 47, il giudice delegato può addirittura porre a carico della massa fallimentare un sussidio a titolo di alimenti per il fallito e la sua famiglia. Non sussiste pertanto l’impossibilità giuridica di fornire ai propri familiari i mezzi di sussistenza loro dovuti [C. pen. 25.1.2021, n. 13089; C. pen. 21.9.1994, n. 11465, CP 1996, 830].
3 Il curatore fallimentare non è legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale per il reato di cui all’art. 171, l. 22.4.1941, n. 633 (violazione del diritto d’autore), atteso che il diritto d’autore, essendo di natura strettamente personale, quale espressione diretta della personalità di un soggetto, non rientra nella massa attiva fallimentare a norma dell’art. 46 l. fall. e, quindi, può essere tutelato in sede processuale solo dal suo titolare o, in caso di decesso, dai soggetti indicati dall’art. 23, l. 22.4.1941, n. 633, senza che ad essi possa surrogarsi la curatela fallimentare [C. pen. 12.3.1991, Gucci, CP 1991, 1, 1596].
4 Il diritto al risarcimento dei danni subiti dal fallito che (fuori dell’ipotesi dell’azione di responsabilità processuale aggravata prevista dall’art. 21 l. fall. contro il creditore istante in caso di revoca della dichiarazione di fallimento) sia fondato sul comportamento illecito, contrattuale o extracontrattuale, di un soggetto che si assume aver cagionato la situazione di dissesto determinativa del fallimento, è un ordinario credito risarcitorio da illecito che, atteso il suo contenuto patrimoniale, non rientra tra i beni ed i diritti di natura strettamente personale esclusi dall’esecuzione concorsuale ai sensi dell’art. 46, n. 1, l. fall., ed è anch’esso acquisito alla massa attiva del fallimento; tale diritto, pertanto, salvo il caso di totale inerzia o disinteresse da parte degli organi preposti al fallimento, non può essere fatto valere direttamente e personalmente dal fallito, né in via autonoma, né mediante intervento nel giudizio che a tal fine sia stato instaurato dal curatore, e proseguito, dopo la chiusura del fallimento per concordato, dall’assuntore del concordato fallimentare [C. I 1.6.2010, n. 13413; C. 20.5.1982, n. 3115, DFSC 1982, 2, 901; C. App. Firenze 1.6.2022, n. 1120, DeJure].
II. (Segue) A) gli assegni avente carattere alimentare, gli stipendi, le pensioni ed i salari
II.(Segue) A) gli assegni avente carattere alimentare, gli stipendi, le pensioni ed i salari1 Il giudice delegato, nel determinare la quota di reddito da lavoro dipendente disponibile per il fallito e quella da destinare alla soddisfazione dei creditori, deve considerare, da un lato, che il mantenimento del fallito e della sua famiglia non può essere limitato a coprire le esigenze puramente alimentari, dovendo invece essere ragguagliato ad una misura che possa costituire anche premio ed incentivo per l’attività produttiva e reddituale svolta, e dall’altro, che tale quota non può essere elevata fino a raggiungere il limite del minimo tenore di vita socialmente adeguato (ex art. 36 Cost.), in quanto deve sempre considerarsi che nella condizione sociale del fallito ha un peso rilevante la sua condizione di debitore verso una collettività di debitori concorrenti [C. VI 11.6.2020, n. 11185; C. I 4.12.2002, n. 17235, Fall 2003, 852]. In tema di effetti del fallimento, l’art. 46 l. fall. delimita il perimetro dei beni del fallito non compresi nel fallimento in relazione alla necessità del mantenimento del fallito stesso e della sua famiglia, non potendo, pertanto, essere acquisita alla massa l’integralità delle somme che il primo percepisce a seguito dello svolgimento della sua attività lavorativa, essendone la concreta determinazione affidata alla discrezionalità del giudice delegato in forza della semplice richiesta del curatore fallimentare, non essendo necessaria apposita istanza del fallito medesimo. (Nella specie, la S.C. ha cassato il decreto impugnato che aveva disposto l’acquisizione alla massa dell’intero corrispettivo spettante al fallito per l’attività lavorativa svolta presso terzi sul presupposto della mancata proposizione di un’apposita istanza da parte del fallito e, comunque, della mancata dimostrazione dei redditi degli altri familiari conviventi) [C. VI 19.12.2016, n. 26201, GCM 2017]. Ai fini dell’art. 46 l. fall., il quale esclude dal fallimento assegni alimentari, pensioni … “entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento” del fallito e della sua famiglia, la misura del mantenimento in questione non può essere ridotta e ragguagliata al livello delle esigenze puramente alimentari tenuto presente dal successivo art. 47 [C. I 26.11.1999, n. 13171, Fall 2000, 1361; in senso conforme C. I 15.12.1994, n. 10736, GC 1995, 1, 920]. Il riconoscimento delle esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia, per le finalità dell’art. 46, c. 1, n. 2, l. fall., non richiede la contemporaneità tra la necessità addotta e la disponibilità delle somme atte a soddisfarla; la situazione indicata dalla legge può essere integrata anche nel caso in cui il fallito abbia soddisfatto dette esigenze vitali facendo ricorso al credito, con relativi obblighi di restituzione, salva naturalmente la prova in fatto delle predette situazioni [C. I 3.9.2014, n. 18598; C. I 2.9.1995, n. 9268, Fall 1996, 343]. Il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato, a norma dell’art. 46 l. fall., determina la quantità del salario percepito dal fallito da destinare alle esigenze di questo e della sua famiglia, incidendo sui diritti del fallito e su quelli dei creditori e presentando i caratteri della decisorietà e della definitività, è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. [C. I 7.2.2008, n. 2939; C. I 26.11.1999, n. 13171]. L’art. 46 l. fall. consente di escludere dall’attivo fallimentare gli stipendi del fallito nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia. Tuttavia, ove risulti accertata la non sussistenza delle esigenze di tutela descritte (perché ad esempio il fallito e la sua famiglia, come emerso, dispongono comunque di altre risorse sufficienti), è possibile l’acquisizione integrale degli stipendi stessi all’attivo fallimentare [C. VI 11.6.2020, n. 11185, D&G 2020].
2 Le somme che pervengono al fallito in relazione all’attività di lavoro in precedenza espletata sono sottratte al fallimento nella misura in cui il G.D. ne ritiene l’occorrenza per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, trovando applicazione anche rispetto a tali beni il principio di cui all’art. 42 l. fall. [C. I 12.2.2003, n. 2072, Fall 2003, 850]. Tra le pensioni alle quali fa riferimento la disposizione dell’art. 46, c. 1, n. 2, l. fall. nel prevedere i beni e i diritti esclusi dal fallimento nei limiti fissati dal giudice delegato entro quanto occorre per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, vanno annoverate anche quelle di invalidità, che assolvono una funzione reintegratrice della permanente capacità di guadagno del lavoratore in occupazioni confacenti alla sua attitudine; in effetti, il tenore letterale dell’art. 46, c. 1, n. 2, l. fall. fa espresso riferimento alla voce pensioni, né si vede ragione per distinguere, al riguardo, tra pensioni di anzianità e pensione di invalidità, posto che quest’ultima - possiede funzione di reintegra della diminuita capacità lavorativa, quale danno causato al soggetto dalla sopravvenuta invalidità: nel tempo presente, come pure destinato a continuare a svolgersi in quello futuro [C. VI 11.10.2019, n. 25629, D&G 2019; in senso conforme C. I 4.2.1992, n. 1210, Fall 1992, 861]. Avuto riguardo alla natura assistenziale e previdenziale del trattamento di fine rapporto, deve ritenersi che esso sia soggetto allo speciale regime previsto dall’art. 46 l. fall., che esclude dall’attivo fallimentare, nei limiti di quanto occorre per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, le somme al fallito stesso spettanti a titolo di stipendio, pensione o salario [C. I 30.7.2009, n. 17751; C. I 25.7.1986, n. 4758, DFSC 1987, 2, 9]. La somma che l’Enasarco corrisponda all’agente di commercio dichiarato fallito, nel corso della procedura fallimentare, in conseguenza della cessazione della sua attività a causa del fallimento, ed in applicazione dell’art. 9 del contratto collettivo nazionale n. l. del 18.12.1974 integra l’indennità di fine rapporto per lo scioglimento del contratto di agenzia e costituisce un emolumento differito di prestazioni lavorative, maturato prima della dichiarazione di fallimento, il quale, come ogni altro provento e collegato ad un precedente rapporto di lavoro, va acquisito alla massa attiva, ai sensi dell’art. 42, c. 2, fino a quando il giudice delegato, a norma dell’art. 46, n. 2 del cit. decreto, non ne riscontri l’occorrenza al mantenimento del fallito e della sua famiglia, fissando i relativi limiti [C. 10.11.1979, n. 5787].
3 Nel termine “pensione”, adottato dall’art. 46 l. fall. per sancirne la non acquisibilità al fallimento “entro i limiti di quanto occorra per il mantenimento del fallito e della sua famiglia”, devono intendersi ricompresi anche i ratei arretrati che, a tale titolo, risultino corrisposti al fallito dall’Inps. Ne consegue la legittimità della decisione del giudice di merito che abbia disposto l’acquisizione al fallimento di parte di tali arretrati (relativi, nella specie, ad un pensione sociale) corrisposti al fallito, basando tale decisione sull’accertamento dei bisogni del fallito stesso e della sua famiglia secondo una implicita valutazione di fatto operata ex post, e ritenendo che, con riferimento al periodo precedente la corresponsione di tali arretrati, non ricorressero le condizioni di legge per l’attribuzione integrale degli stessi al fallito [C. I 1.4.1998, n. 3373, Fall 1999, 65]. I limiti di pignorabilità delle pensioni erogate dall’Inps, posti dall’art. 128, r.d.l. 4.10.1935, n. 1827 e ribaditi dall’art. 69, l. 30.4.1969, n. 153 [quali risultano dalla sentenza della C. Cost. 30.11.1988, n. 1041] non sono estensibili all’esecuzione concorsuale, nella quale trova applicazione - per quanto riguarda la determinazione della quota del trattamento pensionistico occorrente per il mantenimento del fallito e della sua famiglia - la specifica normativa dell’art. 46, c. 1, n. 2 ed ultima parte, l. fall.; pertanto, la determinazione della detta quota, non acquisibile all’attivo del fallimento, resta affidata al prudente e discrezionale apprezzamento degli organi fallimentari (giudice delegato ed eventualmente tribunale fallimentare) [C. I 24.4.1993, n. 48490, Fall 1993, 1120].
III. (Segue) B) il vecchio numero 3
III.(Segue) B) il vecchio numero 31 I beni del fondo patrimoniale non sono compresi nel fallimento, in quanto, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori. Pertanto, rispetto ad essi rimane integra la legittimazione del debitore, anche nei confronti della domanda proposta dal curatore fallimentare il quale, in contraddittorio con tutti i soggetti che hanno costituito il fondo stesso, agisca con azione revocatoria per acquisire i relativi beni al fallimento (senza che sia necessaria la nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 c.p.c.) [C. III 9.5.2019, n. 12264; C. I 20.6.2000, n. 8379, GC 2000, 1, 2584].
2 La disposizione di cui all’art. 1923, c. 1, c.c. - secondo la quale in tema di assicurazione sulla vita le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte a azione esecutiva o cautelare e, quindi, per il disposto di cui all’art. 46, n. 5, l. fall., neppure a esecuzione concorsuale - si applica alla assicurazione contro gli infortuni solo in caso di indennità dovuta per un infortunio mortale. In difetto la disposizione non trova applicazione e l’indennità dovuta dall’assicuratore all’infortunato dichiarato fallito spetta al fallimento, per essere sottoposta a esecuzione concorsuale [C. I 14.6.2016, n. 12261; in senso conforme C. I 26.6.2000, n. 8676, Fall 2001, 64]. Le somme versate a titolo di indennità di assicurazione sulla vita sono acquisite all’attivo del fallimento dell’accipiens in quanto l’art. 1923 c.c. sancisce l’impignorabilità delle somme dovute dall’assicuratore, ma non di quelle, sicché tale disposizione - indipendentemente dall’inclusione delle somme dovute dall’assicuratore tra i beni non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 46, n. 5, r.d. 16.3.1942, n. 267 - non può giustificare una separazione di quanto il beneficiato abbia percepito e confuso nel suo patrimonio, esaurendo la funzione previdenziale del contratto di assicurazione; tale principio non è derogato dal fatto che l’accipiens sia minore ed erede del contraente della polizza in quanto l’indennità assicurativa predetta è percepita iure proprio e non in forza di successione ereditaria [C. s.u. 31.3.2008, n. 8271; C. I 3.12.1988, n. 6548, Fall 1989, 371]. Le somme versate dalla compagnia assicuratrice all’assicurato fallito a titolo di riscatto della polizza vita sono sottratte all’azione di inefficacia di cui all’art. 44 l. fall. in virtù del combinato disposto degli artt. 1923 c.c. e 46, c. 1, n. 5, l. fall., riguardando l’esonero dalla disciplina del fallimento tutte le possibili finalità dell’assicurazione sulla vita e, dunque, non solo la funzione previdenziale ma anche quella di risparmio [C. I 14.6.2016, n. 12261, GCM 2016]. Qualora la compagnia assicuratrice abbia versato al fallito, dopo la dichiarazione di fallimento, gli importi dovuti a titolo di riscatto in relazione al contratto di assicurazione sulla vita stipulato dallo stesso in bonis, il pagamento così effettuato non assume funzione previdenziale e non rientra, pertanto, tra i crediti impignorabili ex art. 1923, c. 1, c.c., non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 46, c. 1, n. 5, l. fall., ma soggiace alla sanzione di inefficacia di cui all’art. 44, c. 2, l. fall. [C. I 6.2.2015, n. 2256, GCM 2015].
IV. Il decreto del giudice delegato
IV.Il decreto del giudice delegato1 Il decreto che, ex art. 46, c. 2, r.d. 16.3.1942, n. 267, fissi i limiti entro cui i proventi dell’attività lavorativa del fallito, in quanto necessari al mantenimento suo e della sua famiglia, non sono compresi nel fallimento, ha natura dichiarativa ed efficacia retroattiva, sicché può pronunciarsi l’inefficacia, ai sensi dell’art. 44, c. 2, r.d. n. 267/1942, dei pagamenti a lui direttamente effettuati dal debitore soltanto per gli importi eccedenti quei limiti, fermo restando che spetta al curatore l’onere di richiedere preventivamente al giudice delegato l’emissione del decreto al fine di documentare in causa l’eventuale eccedenza dei pagamenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, invece, aveva limitato l’efficacia del decreto solo agli assegni pensionistici corrisposti al fallito successivamente alla sua emissione) [C. I 3.9.2014, n. 18598, GCM 2014]. Il decreto che il giudice delegato emette ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 46 l. fall. ha natura dichiarativa, in quanto destinato ad individuare i limiti quantitativi di un diritto che ad esso preesiste [C. I 29.1.2015, n. 1724, Ilfallimentarista.it, 2015].
V. L’assegno alimentare per il sostentamento del fallito
V.L’assegno alimentare per il sostentamento del fallito1 Ai fini dell’art. 46 l. fall., il quale esclude dal fallimento assegni alimentari, pensioni … “entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento” del fallito e della sua famiglia, la misura del mantenimento in questione non può essere ridotta e ragguagliata al livello delle esigenze puramente alimentari tenuto presente dal successivo art. 47 [C. I 26.11.1999, n. 13171, Fall 2000, 1361].
2 L’art. 47 l. fall., il quale prevede la possibilità di riconoscere al fallito ed alla sua famiglia un sussidio a titolo alimentare, mira ad assicurare l’esigenza prima della sopravvivenza materiale e, pertanto, non può essere invocato per assicurare al fallito medesimo il diritto di difesa nel giudizio di opposizione avverso la dichiarazione di fallimento; tale interpretazione del cit. art., manifestamente non lo pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., atteso che quel diritto di difesa, ove il fallito sia privo di mezzi, resta adeguatamente tutelato dalle norme sul gratuito patrocinio [C. 10.11.1979, n. 578].
3 È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale il tribunale rigetta la domanda del fallito diretta a ottenere un sussidio alimentare, ai sensi dell’art. 47 [C. I 25.2.2002, n. 2755, DFSC 2002, 2, 199; in senso conforme C. 14.3.2001, n. 3664, Fall 2002, 141; C. I 14.8.1996, n. 7564, ivi, 1997, 67; in senso contrario C. I 10.4.1999, n. 3518, ivi, 2000, 403].
4 L’ex coniuge, beneficiario dell’assegno di divorzio, in caso di fallimento dell’obbligato, non può pretendere l’adempimento del credito, neppure in moneta fallimentare, per il tempo successivo all’apertura del procedimento concorsuale; deve escludersi, per l’effetto, e l’ammissione, al passivo fallimentare, di tale credito, con il sistema della capitalizzazione previsto dall’art. 60 l. fall., e l’insinuazione, al passivo, dei ratei scaduti dopo la sentenza di fallimento [C. 16.1.1982, n. 268, Fall 1982, 555].
VI. La conservazione della casa di abitazione
VI.La conservazione della casa di abitazione1 II diritto del fallito di conservare, a norma dell’art. 47 l. fall., l’alloggio di sua proprietà destinato ad abitazione per sé e la sua famiglia fino al momento della vendita, non ha rilevanza esterna, ma soltanto nell’ambito del fallimento e presuppone che tale alloggio sia già di proprietà del fallito e come tale acquisito alla massa attiva, con la conseguenza che il diritto di proprietà su tale bene non può essere fatto valere dal fallito con azione diretta nei confronti del terzo estraneo al fallimento [C. III 15.11.2013, n. 25763; C. I 30.5.2000, n. 7142, NGCC 2001, 1, 698]. In tema di alienazione della casa del fallito, l’art. 47, c. 2, l. fall. riferendosi alla liquidazione delle attività come limite temporale per la distrazione dall’uso abitativo dell’immobile, non comporta che la vendita della casa sia l’ultimo atto della fase di liquidazione. L’immobile può infatti essere liquidato nel momento in cui si realizzano le condizioni per il miglior soddisfacimento dei creditori e, a tal fine, il curatore può presentare istanza al G.D. per ottenere il rilascio dell’immobile laddove il fallito e la sua famiglia adottino un comportamento ostruzionistico che di fatto impedisca la definizione dall’acquisto da parte di terzi interessati [T. Pescara 3.6.2016, Ilfallimentarista.it 2016]. L’art. 47, c. 2, l. fall., nel vietare che la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria per l’abitazione di lui e della sua famiglia, possa essere distratta dal suo uso prima della liquidazione delle altre attività, si pone su di un piano diverso dalla domanda diretta a fare valere l’inefficacia dell’atto con cui il medesimo fallito abbia disposto del suo diritto all’abitazione, ex art. 1022 c.c., sicché l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare è sempre ammessa [C. I 29.3.2019, n. 8973, GCM 2019].
2 Gli alloggi acquistati secondo le leggi sull’edilizia popolare ed economica, compresi quella del 27.4.1962, n. 231 e il d.P.R. 17.1.1959, n. 2 sono soggetti ai procedimenti esecutivi, tra i quali quello fallimentare, entro i limiti di cui all’art. 60 t.u. approvato con r.d. 28.4.1938, n. 1165 [C. III 15.10.2015, n. 20885; C. 17.12.1980, n. 6517, Fall 1981, 272].