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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

1. Ambito di applicazione

[1] Il presente codice disciplina le situazioni di crisi o insolvenza del debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici.

[2] Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di:

a) amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Se la crisi o l’insolvenza di dette imprese non sono disciplinate in via esclusiva, restano applicabili anche le procedure ordinarie regolate dal presente codice;

b) liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’articolo 293.

[3] Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di crisi di impresa delle società pubbliche.

[4] Le disposizioni del presente codice in tema di liquidazione coatta amministrativa si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi Statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

A) Inquadramento funzionale:

A)Inquadramento funzionale:

I. La persistenza delle teorie “soggettivistiche” - II. L’imprenditore commerciale - III. Le esenzioni - IV. (Segue) A) l’impresa minore (rinvio agli artt. 2 e 121) - V. (Segue) B) gli altri imprenditori - VI. Le imprese e la liquidazione coatta amministrativa (rinvio agli artt. 293 ss.) - VII. Le grandi imprese e l’amministrazione straordinaria (cenni) - VIII. La liquidazione giudiziale dei soci (rinvio all’art. 256) - IX. L’attuazione della responsabilità patrimoniale nei confronti dei soggetti non imprenditori.

I. La persistenza delle teorie “soggettivistiche”

I.La persistenza delle teorie “soggettivistiche”

1 Il codice della crisi non ha voluto distaccarsi del tutto dalla concezione puramente soggettivistica che pone al centro dell’attenzione, e dunque del diritto positivo, l’imprenditore e non l’impresa. L’art. 1 CCII delinea il perimetro di applicazione del codice della crisi, disegnandolo in modo assai più ampio che in passato; infatti, sono inclusi tutti gli imprenditori, senza distinzione tipologica, così come i professionisti; non distingue tra persone giuridiche e persone fisiche, né si valorizza il profilo dello scopo di lucro. Restano esclusi gli imprenditori per i quali si applica l’amministrazione straordinaria, nonché quelli per i quali la procedura di elezione è una liquidazione coatta amministrativa speciale (ad esempio, banche e assicurazioni).

II. L’imprenditore commerciale

II.L’imprenditore commerciale

1 La nozione di impresa commerciale non si trova nella legge concorsuale, ma nel codice civile, ove si rinviene, più esattamente, sia la definizione di imprenditore (art. 2082 c.c.), sia l’elencazione delle tipologie di imprese commerciali (art. 2195 c.c.). La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata professionalmente che sia ricollegabile ad un dato obiettivo e cioè l’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi. Un’attività economica, dunque, non necessariamente rivolta al profitto (quanto all’equilibrio fra costi e ricavi) ma sicuramente rivolta all’esterno, al mercato.

2 Il richiamo all’effettività spiega perché siano assoggettabili a liquidazione giudiziale le imprese individuali, le imprese societarie - sia società di persone che di capitali, non escluse le cooperative - e tutte le organizzazioni associative che in concreto svolgano attività d’impresa, senza che rilevi in modo decisivo la circostanza formale che si tratti di associazioni non riconosciute, di fondazioni o altri enti.

3 Una volta stabilito che un soggetto, qualunque forma esso assuma - purché non si tratti di ente pubblico -, svolge attività d’impresa, occorrerà verificare se l’impresa ha natura commerciale, il che dà avvio all’indagine in base al palinsesto delle imprese commerciali (recte, soggette all’obbligo di iscrizione al registro delle imprese) descritto nell’art. 2195 c.c.; palinsesto che offre una definizione puramente descrittiva e non qualificatoria. Anzi sappiamo che il catalogo delle imprese di cui all’art. 2195 c.c. è elastico e può essere incrementato con tutte le altre attività che non possono - per esclusione - essere associate alle imprese agricole.

III. Le esenzioni

III.Le esenzioni

1 Data la regola, “sono soggetti alla liquidazione giudiziale gli imprenditori commerciali”, per esclusione si possono individuare varie forme di esenzione dalla liquidazione giudiziale. Queste possono riguardare l’imprenditore non commerciale, così come un imprenditore di piccole dimensioni, come l’imprenditore di dimensioni troppo grandi, per poi segnalare gli imprenditori commerciali per i quali la legge stabilisce una procedura concorsuale ad hoc, come quegli imprenditori (indubitabilmente commerciali) ai quali si applica la liquidazione coatta amministrativa. Cfr. [F001].

2 Le radici della liquidazione giudiziale nello jus mercatorum rappresentano verosimilmente, oggi, l’unica spiegazione del motivo per il quale le imprese agricole non sono assoggettabili a liquidazione giudiziale, tanto è vero che oggi lo statuto dell’impresa agricola in caso di crisi risulta meno differenziato rispetto al passato per tre concorrenti ragioni: (i) l’impresa agricola può accedere alla composizione negoziata e al concordato minore; (ii) l’impresa agricola può concludere con i creditori un accordo di ristrutturazione; (iii) la procedura di liquidazione controllata, attivabile anche dai creditori presenta molti punti di contatto con la liquidazione giudiziale. Cfr. [F002].

3 La divaricazione, però, resta se si pensa agli effetti penali e si tratta di una divaricazione resa ulteriormente pesante per una interpretazione certo non selettiva dell’art. 2135 c.c., che continuare ad evocare la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizza o può utilizzare il fondo, rende perciò ancor più esteso il campo di applicazione delle regole di disciplina dell’impresa agricola, in netta controtendenza con il sistema di tutela del credito. Si aggiunga che l’estensione agricola alle attività connesse (si pensi alle attività agrituristiche) può comportare delle ulteriori distorsioni perché diviene ancor più sfuggente il canone del collegamento col fattore terra. Né va dimenticato che la costituzione nelle forme delle società di capitali di un’impresa che svolge attività agricola non genera un mutamento della tipologia dell’impresa che resta agricola e dunque esonerata dalla liquidazione giudiziale.

IV. (Segue) A) l’impresa minore (rinvio agli artt. 2 e 121).

IV.(Segue) A) l’impresa minore (rinvio agli artt. 2 e 121).

1 L’apertura della liquidazione giudiziale si giustifica solo in presenza di una insolvenza che riguardi una impresa “rilevante”. Gli artt. 2 e 121 CCII restringono l’area della assoggettabilità a liquidazione giudiziale mediante la formulazione di regole/parametri per l’individuazione dell’imprenditore marginale - escluso dall’accesso alle procedure concorsuali - e fondate sull’individuazione di parametri quantitativi concernenti (i) gli investimenti aziendali, (ii) i ricavi lordi e (iii) l’indebitamento.

2 L’attuale criterio selettivo delle imprese che, se insolventi, vanno sottoposte a liquidazione giudiziale si è semplificato perché ciò che rileva, ormai, è solo il superamento delle soglie meramente quantitative fissate nell’art. 2, lett. d), CCII. In questo senso, nel presente lavoro si utilizzerà l’espressione “imprese minori” o “imprese sotto-soglia” per indicare la categoria delle imprese alle quali non si applica, in caso di insolvenza, la liquidazione giudiziale (e di riflesso il concordato preventivo). Cfr. [F003].

V. (Segue) B) gli altri imprenditori

V.(Segue) B) gli altri imprenditori

1 I soggetti colpiti dalle procedure concorsuali (diverse da quelle di sovraindebitamento) non sono soltanto le imprese commerciali non minori, ma anche quelle imprese che svolgono un’attività commerciale e per le quali, pur tuttavia, non si applica la liquidazione giudiziale. Le imprese esonerate dalla liquidazione giudiziale ma al contempo assoggettate ad altra procedura concorsuale si distinguono da quelle descritte nell’art. 2, (i) per ragioni dimensionali o (ii) per la peculiare qualità dell’attività esercitata. Infatti, l’impresa commerciale che ha dimensioni particolarmente importanti deve essere sottoposta ad amministrazione straordinaria.

2 Viceversa, quando la legge valuta la qualità dell’attività d’impresa, a prescindere dalle sue dimensioni, l’alternativa alla liquidazione giudiziale è la liquidazione coatta amministrativa. In ambedue i casi si determina un’alternatività rispetto alla liquidazione giudiziale ma non rispetto al concordato preventivo la cui apertura può essere domandata anche da un’impresa che va sottoposta a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, talché le procedure di composizione concordata della crisi coprono tutta l’area dell’impresa commerciale, al netto delle banche e assicurazioni (ed imprese affini).

3 Nonostante l’evidente interesse pubblico, non sono sottoposte a l.c.a. ma alla liquidazione giudiziale le cc.dd. società pubbliche; imprese costituite nelle forme delle società di capitali, ma a totale (o prevalente) partecipazione pubblica. Il d.lgs. n. 175/2016 (art. 14) sancisce che la società a partecipazione pubblica è assoggettabile alla liquidazione giudiziale.

VI. Le imprese e la liquidazione coatta amministrativa (rinvio agli artt. 293 ss.).

VI.Le imprese e la liquidazione coatta amministrativa (rinvio agli artt. 293 ss.).

1 Le imprese che debbono essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa non appartengono ad un genus unitario, visto che la liquidazione coatta amministrativa serve per governare la crisi delle banche, come la crisi di una piccola impresa sociale. Per stabilire se un’impresa commerciale, in caso di insolvenza, deve essere assoggettata a liquidazione coatta non serve guardare alle sue caratteristiche tipologiche, ma è necessario verificare che la legga preveda come procedura di regolazione dell’insolvenza proprio la liquidazione coatta amministrativa.

2 Se non esiste una regola che ci consenta di incanalare un’impresa con determinate caratteristiche verso la liquidazione coatta amministrativa, tuttavia è lecito affermare che la legge applica la liquidazione coatta per quelle imprese insolventi che presentino profili di spiccato interesse pubblico, inteso qui non come interesse superindividuale, ma come interesse dell’intera comunità.

VII. Le grandi imprese e l’amministrazione straordinaria (cenni).

VII.Le grandi imprese e l’amministrazione straordinaria (cenni).

1 Dal punto di vista del presupposto soggettivo, oggi l’amministrazione straordinaria è suddivisa in cinque diverse figure: i) l’amministrazione straordinaria “base”, disciplinata nel d.lgs. n. 270/1999; ii) l’amministrazione straordinaria “speciale”, di cui al d.l. n. 347/2003 e successive modificazioni; iii) l’amministrazione straordinaria “speciale” operante nei servizi pubblici, di cui al d.l. n. 134/2008; iv) l’amministrazione straordinaria delle imprese che esercitano servizi di riscossione delle imposte; v) l’amministrazione straordinaria delle imprese confiscate ai sensi della l. n. 575/1965.

2 Sub i) Sono ammesse all’amministrazione straordinaria “base” le imprese che impiegano un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno; il numero dei dipendenti va calibrato sulla singola impresa e non sul gruppo, diversamente da quanto previsto sub ii). Per individuare l’impresa che può essere sottoposta ad amministrazione straordinaria il legislatore richiama anche un criterio oggettivo sull’indebitamento, ma in quanto criterio relativo e non assoluto (v., art. 2, d.lgs. n. 270/1999), non è un criterio adeguato a provare la grandezza dell’impresa.

3 Sub ii) All’amministrazione straordinaria “speciale” sono ammesse le imprese che abbiano, singolarmente o, come gruppo costituito da almeno un anno, entrambi i seguenti requisiti: a) lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiori a cinquecento da almeno un anno; b) debiti, inclusi quelli derivanti da garanzie rilasciate, per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro. In questo caso al dato numerico dei dipendenti (cresciuto solo in apparenza perché il bacino è esteso alle società del gruppo), si aggiunge l’importo dell’indebitamento, verosimilmente da ricondurre alla voce dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.) addizionata dai conti d’ordine se lì sono appostate le garanzie.

4 Sub iii) I requisiti dimensionali per le grandi imprese che operano nei servizi pubblici mutano - indirettamente - rispetto a quelli sub ii) per effetto della previsione secondo cui per «imprese del gruppo» si intendono anche le imprese partecipate che intrattengono, in via sostanzialmente esclusiva, rapporti contrattuali con l’impresa sottoposta alle procedure previste dal presente decreto, per la fornitura di servizi necessari allo svolgimento dell’attività; infatti l’ampliamento della nozione di gruppo porta ad una estensione delle imprese che possono accedere all’amministrazione straordinaria. Si tratta di una fattispecie ulteriore rispetto agli altri casi di riconoscimento del gruppo di cui all’art. 80, d.lgs. n. 270/1999.

VIII. La liquidazione giudiziale dei soci (rinvio all’art. 256)

VIII.La liquidazione giudiziale dei soci (rinvio all’art. 256)

1 Esistono, poi, altre fattispecie di applicazione della legge concorsuale generale (diversa dalle procedure di sovraindebitamento) a soggetti che, almeno in apparenza, non sono imprenditori. Il caso decisamente più importante è quello della liquidazione giudiziale dei soci illimitatamente responsabili che, ai sensi dell’art. 256 CCII sono posti in liquidazione forzata per ripercussione della liquidazione giudiziale sociale, e la cui disamina avverrà in altra sede.

IX. L’attuazione della responsabilità patrimoniale nei confronti dei soggetti non imprenditori

IX.L’attuazione della responsabilità patrimoniale nei confronti dei soggetti non imprenditori

1 La logica di non aprire un procedimento concorsuale in presenza di insolvenze di soggetti ritenuti marginali è mutata con il codice della crisi, quando si è affermato che in funzione della tutela del credito l’iniziativa per l’apertura della liquidazione controllata è affidata, anche, ai creditori (art. 268 CCII). Ed allora, se la finalità prioritaria di questi percorsi è quella di riconoscere anche al debitore civile il beneficio della esdebitazione, ciò nondimeno viene rafforzata la tutela dei creditori che possono affiancare alla espropriazione individuale quella collettiva.

2 La nozione di debitore civile è assai ampia perché in essa vi rientrano, fra gli altri, le persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i professionisti e tutte quelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) che non svolgono attività d’impresa. Pertanto, nel nostro ordinamento tutti i debitori possono essere assoggettati a procedimenti concorsuali, pur se tali procedimenti presentano spesso non marginali differenze.

B) Frmule

B)Frmule
F001
DECRETO DI RIGETTO DEL RICORSO PER LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE PER ASSENZA DELLA QUALITÀ DI IMPRESA COMMERC

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione concorsuale

***

Riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

dott………. Presidente

dott………. Giudice

dott………. Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

Visto il ricorso per liquidazione giudiziale presentato dal creditore ………

nei confronti del debitore ………

rilevato che non risulta prodotto il certificato della Camera di Commercio;

rilevato che il credito si fonda su ………

circostanza questa che non consente di affermare con certezza che il debitore abbia mai svolto attività di impresa commerciale;

ritenuto pertanto che non sussiste la prova che il debitore sia imprenditore commerciale e come tale assoggettabile alla liquidazione giudiziale

P.Q.M.

letti gli artt. 1, 121 e 50 CCII, rigetta il ricorso.

Luogo, data ………

Il Presidente ………

F002
DECRETO DI RIGETTO DEL RICORSO PER LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DELL’IMPRESA AGRICOLA

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione concorsuale

***

Riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

dott………. Presidente

dott………. Giudice

dott………. Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

Visto il ricorso per liquidazione giudiziale presentato dal creditore ……… nei confronti del debitore ………

rilevato che il debitore è un imprenditore;

rilevato che l’attività svolta in concreto può essere qualificata alla luce dell’art. 2135 c.c. in quanto ha ad oggetto la coltivazione ………; infatti ciò che rileva ai fini della qualificazione della natura dell’impresa è che l’attività di coltivazione sia “condizionata” dalla presenza di un ciclo biologico;

ritenuto pertanto che non sussiste la prova che il debitore sia imprenditore assoggettabile alla liquidazione giudiziale

P.Q.M.

letti gli artt. 2135 c.c. e 1, 50 e 121 CCII rigetta il ricorso.

Luogo, data ………

Il Presidente ………

F003
DECRETO DI RIGETTO DEL RICORSO PER LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DELL’IMPRENDITORE SOTTO SOGLIA

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione concorsuale

***

Riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

dott………. Presidente

dott………. Giudice

dott………. Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

Visto il ricorso per liquidazione giudiziale presentato dal creditore ……… nei confronti del debitore ………

rilevato che l’art. 2, c. 1, lett. d) stabilisce che è soggetto alla liquidazione giudiziale l’imprenditore commerciale il cui attivo patrimoniale sia superiore a euro 300.000,00 o abbia realizzato ricavi lordi superiori a euro 200.000,00 o, infine, abbia debiti complessivi per oltre euro 500.000,00;

ritenuto che non sia sufficiente il mancato superamento di uno soltanto dei suddetti parametri e che nel caso in esame nessuna delle soglie è oltrepassata;

rilevato che l’attivo lordo risultante dalla situazione patrimoniale aggiornata prodotta dal debitore risulta pari a euro ……… e che nei tre esercizi precedenti ………;

rilevato che in nessuno degli ultimi tre esercizi il volume dei ricavi ha mai superato euro ………;

rilevato che dai documenti prodotti si ricava che l’indebitamento complessivo ammonta ad euro ………;

ritenuto pertanto che il debitore non sia imprenditore assoggettabile alla liquidazione giudiziale;

P.Q.M.

letti gli artt. 1, 2 lett. d), 50 e 121 CCII, rigetta il ricorso.

Luogo, data ………

Il Presidente ………

C) Giurisprudenza:

C)Giurisprudenza:

I. L’imprenditore commerciale. - II. Le esenzioni. - III. (Segue) A) l’imprenditore “sotto-soglia”. - IV. (Segue) B) gli altri imprenditori.

I. L’imprenditore commerciale

I.L’imprenditore commerciale

1 Il legislatore della riforma non ha mutato l’approccio selettivo di natura soggettiva, sì che il fallimento riguarda l’imprenditore e non l’impresa con la conseguenza che un imprenditore individuale fallisce pur quando i debiti siano di natura personale [C. I 4.6.2012, n. 8930]. Ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore al fallimento [C. VI 21.12.2021, n. 41090; C. I 14.6.2019, n. 16118; C. I 18.1.2019, n. 1466; C. I 12.6.2018, n. 15285; C. VI 26.7.2017, n. 18538] . Le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili al fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest’ultimo è identificato dall’esercizio effettivo dell’attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l’assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l’impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale [C. I 10.2.2020, n. 3026; C. I 26.9.2018, n. 23157; C. I 22.2.2019, n. 5342]. In tema di accertamento dei requisiti soggettivi per la sottoposizione al fallimento, ai sensi dell’art. 1 l. fall. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 5/2006), i criteri di distinzione fra piccolo, medio e grande imprenditore poggiavano sulla nozione di cui all’art. 2083 c.c., mentre non è necessario verificare se l’impresa abbia, o meno, i requisiti per essere iscritta nell’albo delle imprese artigiane previsto dalla l. 8.8.1985, n. 443, essendo anche l’artigiano un normale imprenditore commerciale se organizza la sua attività in forma di intermediazione speculativa; ne consegue che per i criteri di identificazione della fallibilità bisogna tener conto dell’attività svolta, dell’organizzazione dei mezzi impiegati, dell’entità dell’impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale [C. I 1.2.2008, n. 2455, Fall 2008, 463]. Ai fini della assoggettabilità o meno a fallimento, era stato considerato illogico e irrazionale far dipendere la qualità di “piccolo imprenditore commerciale” dal limite massimo di lire 900.000 investito come capitale nell’impresa, sia perché tale criterio era contraddetto da altre norme legislative, sia perché - per effetto dell’intervenuta svalutazione monetaria - imprese molto modeste incorrevano, in tal modo, nel fallimento. Era pertanto costituzionalmente illegittimo - per violazione dell’art. 3 Cost. - l’art. 1, c. 2, r.d. 16.3.1942, n. 267, come modificato dall’articolo unico della l. 20.10.1952, n. 1375, nella parte in cui prevedeva che “quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un’attività commerciale nella cui azienda risulta investito un capitale non superiore a lire novecentomila” [C. Cost. 22.12.1989, n. 570, Fall 1990, 260]. Nel verificare la sussistenza del requisito di assoggettabilità a fallimento posto dall’art. 1, c. 2, lett. c) è, infatti, indubbiamente prioritario il dato ricavabile dalle scritture contabili dell’impresa. Nondimeno, ove da altri elementi riferiti all’esame del giudice risulti l’esistenza di debiti ulteriori, è evidente che anche di essi si dovrà tener conto. Neppure la circostanza che si tratti di debiti in tutto o in parte contestati ne impedisce, di per sé sola, l’inclusione nel computo dell’indebitamento complessivo, rilevante quale dato dimensionale dell’impresa per stabilire se l’imprenditore sia o meno assoggettabile a fallimento, trattandosi di un dato oggettivo che non può dipendere dall’atteggiamento e dall’opinione soggettiva del debitore al riguardo. Al pari di qualsiasi altro presupposto della dichiarazione di apertura del fallimento, anche questo non si sottrae alla valutazione del giudice chiamato a decidere sull’apertura della procedura concorsuale, anche se la conseguente pronuncia, ovviamente, è destinata a produrre effetti unicamente ai fini dell’assoggettabilità del debitore a fallimento e non pregiudica l’esito della controversia specificamente volta all’accertamento di quel debito [C. I 14.6.2019, n. 16118]. Nel verificare la sussistenza del requisito della fallibilità posto dall’art. 1, c. 2, lett. c), l. fall., è prioritario il dato ricavabile dalle scritture contabili; tuttavia, devono tenersi in considerazione pure altri elementi dai quali risulti l’esistenza di debiti ulteriori, anche qualora essi siano in parte contestati, essendo comunque rilevanti quale dato dimensionale dell’impresa; la contestazione, infatti, non ne impedisce l’inclusione nel computo dell’indebitamento complessivo e non si sottrae alla valutazione del giudice chiamato a decidere sull’apertura della procedura concorsuale, anche se la relativa pronuncia non pregiudica l’esito della controversia volta all’accertamento di quel debito [C. I 2.12.2011, n. 25870, FI 2012, 1, 59]. Era stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, r.d. 16.3.1942, n. 267, nella parte in cui, escludendo che fra i piccoli imprenditori possano essere comprese le società commerciali, non esonera dal fallimento le piccole società commerciali, in riferimento all’art. 3 Cost. [C. Cost. 14.11.2005, n. 421, FI 2006, 1, 651].

II. Le esenzioni

II.Le esenzioni

1 La nozione di imprenditore agricolo si concretizza nel concetto di cura e di sviluppo del ciclo biologico o di una parte necessaria di esso: l’attuale configurazione dell’art. 2135 c.c. relega però l’utilizzo del fondo ad elemento accessorio ed eventuale, individuando quale centrale nella nozione di imprenditore agricolo la circostanza che l’attività di impresa ruoti attorno al “fattore terra” (con la conseguenza, ad esempio, che è stata ritenuta estranea all’attività agricola l’attività di realizzazione e gestione di villaggi turistici, la gestione, locazione e vendita d’appartamenti, bungalows, alberghi e sale di convegni, poiché si trattava di attività non riconducibile a quella di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale prevista dall’art. 2135 c.c. [C. I 28.4.2005, n. 8849, Fall 2005, 1373; T. Palermo 4.2.2015, n. 625, DeJure]. A norma dell’art. 2135 c.c. - nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore alla novella di cui al d.lgs. 18.5.2001, n. 228 - nell’attività dell’impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, ove sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l’attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all’integrazione od al completamento dell’utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo; deve invece escludersi questo vincolo di strumentante o complementarità funzionale quando l’attività dell’imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa [C. I 24.3.2011, n. 6853, Fall 2011, 1365; C. III 10.4.2015, n. 7238; in senso conforme C. I 23.10.1998, n. 10527, Fall 1999, 625]. In tema di presupposti soggettivi della fallibilità, la nozione d’imprenditore agricolo, contenuta nell’art. 2135 c.c., nel testo conseguente la modifica introdotta con il d.lgs. n. 228/2001, ha determinato un notevole ampliamento delle ipotesi rientranti nello statuto agrario, avendo introdotto mediante il richiamo alle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, anche attività che non richiedono una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, essendo sufficiente a tale scopo il semplice collegamento potenziale o strumentale con il terreno invece che reale come richiesto nella nozione giuridica ante vigente [C. I 10.12.2010, n. 24995, Fall 2011, 876]. Ne consegue che ai fini d dell’assoggettamento a procedura concorsuale, l’accertamento della qualità d’impresa commerciale non può essere desunto esclusivamente da parametri di natura quantitativa, non più compatibili con la nuova formulazione della norma [C. I 10.12.2010, n. 24995, Fall 2011, 876; C. I 15.6.2017, n. 14885; T. Forlì 10.4.2019, Ilfallimentarista.it 2019]. La sottrazione dell’impresa agricola, nella definizione che ne dà l’art. 2135 c.c., al fallimento, dunque, non può essere intesa nel senso che lo svolgimento di un’attività agricola porrebbe al riparo dal fallimento l’impresa che svolgesse, parallelamente, un’attività di carattere commerciale [C. I 17.7.2012, n. 12215; C. I 22.2.2019, n. 5342].

III. (Segue) A) l’imprenditore “sotto-soglia”

III.(Segue) A) l’imprenditore “sotto-soglia”

1 Ai fini della dichiarazione di fallimento è necessario che l’impresa si trovi in uno stato di insolvenza, non essendo sufficiente una mera situazione di crisi di liquidità, soprattutto se risulta che è oggettivamente destinata a risolversi [T. Torino 30.5.2000, GIUS 2000, 2768]. In tema di procedimento per la dichiarazione fallimento, il potere del tribunale di eseguire accertamenti d’ufficio - fondato sulle previsioni dell’art. 1, c. 2, lett. b), l. fall., che consente di utilizzare il dato dei ricavi lordi “in qualunque modo risulti”, nonché sugli artt. 15, c. 4 e 18, c. 1, l. fall., laddove consentono la richiesta di uniformazioni e l’assunzione d’ufficio dei mezzi di prova necessari - è finalizzato a colmare lacune probatorie dell’interessato, dovendo, pertanto, essere limitato ai fatti dallo stesso dedotti quali allegazioni difensive. Ne consegue che, trattandosi di un potere di supplenza, esso non può essere esercitato, allorché il curatore fallimentare non sia stato in grado di fornire elementi utili alla ricostruzione dei ricavi lordi per carenza di documentazione [C. I 30.5.2013, n. 13643]. In tema di dichiarazione di fallimento, per dimostrare i requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, c. 2, l. fall. i bilanci degli ultimi tre esercizi depositati ai sensi dell’art. 15, c. 4, l. fall. non assurgono a prova legale, potendo il debitore assolvere l’onere che gli incombe con strumenti probatori alternativi, segnatamente avvalendosi delle scritture contabili dell’impresa, come di qualunque altro documento, anche formato da terzi, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa [C. VI 27.5.2022, n. 17317; C. VI 21.12.2021, n. 4110; C. I 9.11.2021, n. 32659; C. VI 20.12.2018, n. 33091; C. I 31.5.2017, n. 13746, D&G 2017]. In tema di istruttoria prefallimentare, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare (ai sensi dell’art. 1 l. fall.) costituiscono uno strumento di prova privilegiato, in quanto idonei a spiegare la situazione in cui versa l’impresa. Tale onere grava anche sui soggetti non obbligati al deposito dei bilanci e quindi si applica anche all’imprenditore che si avvale di un regime di contabilità semplificata [C. App. Salerno 6.4.2022, n. 429, DeJure 2022]. L’obbligo dell’imprenditore di consegnare al curatore le scritture contabili sorge, a norma dell’art. 86 l. fall., solo dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, sicché l’omessa produzione di tali scritture nell’ambito del procedimento prefallimentare, nel corso del quale il debitore è tenuto solo a depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi ed una situazione patrimoniale aggiornata, non è un fatto dal quale possa di per sé ricavarsi il mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine al possesso dei requisiti dimensionali, né, tantomeno, una presunzione di falsità delle risultanze dei bilanci [C. I 28.4.2021, n. 11218, GCM 2021]. In tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito, da parte dell’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione dell’art. 15, c. 4, l. fall., come sostituito dal d.lgs. n. 169/2007, si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che è onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento [C. VI 21.5.2019, n. 13703; C. VI 9.5.2019, n. 12390; C. App. Palermo 16.3.2021, n. 385, DeJure 2021]. Se è vero che i bilanci di esercizio dei tre anni anteriori alla sentenza dichiarativa rappresentano uno strumento di prova “privilegiato”, è altrettanto vero che non danno vita ad alcuna forma di onere esclusivo, essendo ammissibili strumenti probatori alternativi [C. I 26.11.2018, 30541]. In tema di presupposti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità del debitore, nel computo dei ricavi, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, il triennio cui si richiama il legislatore nell’art. 1, c. 2, lett. b), l. fall. (nel testo modificato dal d.lgs. n. 5/2006, applicabile ratione temporis) va riferito agli ultimi tre esercizi, in cui la gestione economica è scadenzata, e non agli anni solari [C. App. L’Aquila 22.3.2017, n. 437; C. App. L’Aquila 26.1.2017, n. 71; C. App. L’Aquila 3.11.2016, n. 26] e con decorrenza a ritroso rispetto al ricorso per fallimento [C. I 15.5.2009, n. 11309, FI 2009, I, 2577]. In tema di fallimento, tanto il Cassetto Fiscale, quanto il Registro Iva non sono idonei a fornire una ricostruzione della complessiva situazione patrimoniale dell’imprenditore adeguata ai fini dell’accertamento del superamento delle soglie ex art. 1, c. 2, l. fall., in quanto il primo è esclusivamente teso a ricostruire i dati fiscali del soggetto, mentre il secondo non ha alcun valore di prova dei rapporti di debito e di credito registrati, svolgendo solo una funzione di documentazione ai fini del debito fiscale, diretto, com’è, da un lato, a consentire al contribuente l’esatto calcolo e l’esatto pagamento dell’imposta dovuta, operate le detrazioni ammesse dalla legge, e, dall’altro, a permettere il controllo, da parte degli uffici all’uopo preposti, di tutte le operazioni che, presso ciascun soggetto, hanno condotto al calcolo del tributo [C. App. Torino 18.11.2021, n. 1254, DeJure 2022]. In tema di presupposti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, nella valutazione del capitale investito, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, trovano applicazione i principi contabili, cui si richiama il legislatore nell’art. 1, c. 1, lett. a), l. fall. (nel testo modificato dal d.lgs. n. 5/2006, applicabile ratione temporis, ed anche successivamente in quello sostituito dal d.lgs. n. 169/2007) [C. I 12.1.2017, n. 611; C. App. Milano 5.11.2019, n. 4381, DeJure 2020] e di cui è espressione l’art. 2424 c.c., con la conseguenza che, con riferimento agli immobili iscritti tra le poste attive dello stato patrimoniale, opera, al pari di ogni altra immobilizzazione materiale, il criterio di apprezzamento del loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante dal bilancio di esercizio, ai sensi dell’art. 2426 c.c., non dovendosi invece considerare il criterio del valore di mercato al momento del giudizio [C. I 29.10.2010, n. 22146, Fall 2011, 438; C. I 3.7.2017, n. 16324], e fra i beni che compongono l’attivo andrebbero considerati anche quelli acquisiti in leasing [T. Terni 4.7.2011, Fall 2011, 1427]. Ai fini dell’accertamento del requisito di assoggettabilità a fallimento di cui all’art. 1, c. 2, lett. c), l. fall., occorre procedere a valutazione dell’esposizione complessiva dell’imprenditore, anche con riguardo ai debiti non scaduti [C. I 4.5.2011, n. 9760; C. App. Venezia 20.7.2017, n. 1546, DeJure].

2 In sede di ricorso di fallimento, dedotta la natura commerciale dell’impresa, spetta a chi intende avvalersene dimostrare il carattere artigianale dell’attività esercitata [C. VI 31.5.2011, n. 12023; C. I 4.4.2003, n. 5249, Fall 2004, 505]. Il profilo della artigianalità è però superato dall’unitarietà della nozione di imprenditore sotto-soglia e ciò a prescindere dal tipo di attività.

IV. (Segue) B) gli altri imprenditori

IV.(Segue) B) gli altri imprenditori

1 Ai fini dell’assoggettamento alla procedura fallimentare, lo “status” di imprenditore commerciale deve essere attribuito anche agli enti di tipo associativo che in concreto svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale, a nulla rilevando in contrario l’art. 111 del t.u. delle imposte dirette, d.P.R. n. 917/1986, che “considera” non commerciale le attività delle associazioni in esso indicate, attività che, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come ricomprese tra i redditi diversi, con una disposizione la cui portata è limitata alla previsione di esenzioni fiscali, ed alla quale non può attribuirsi, avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che la ispirano, una valenza generale nell’ambito civilistico [C. I 20.6.2000, n. 8374, DPS 2000, 20]. In tal senso si è affermata l’assoggettabilità alle procedure concorsuali delle fondazioni che esercitino attività d’impresa [T. Milano 28.10.2011, FI 2012, I, 136]. In tema di fallimento della società di capitali, neppure la confisca disposta ai sensi della l. n. 575/1965, art. 2-ter interferisce con la dichiarazione di fallimento, dovendo la detta confisca intendersi riferita alle quote di partecipazione dell’indiziato di mafia e non al patrimonio sociale [C. I 24.5.2012, n. 8238, Fall 2012, 1427; C. I 23.11.2018, n. 30505].

2 A norma dell’art. 2135 c.c., l’attività di allevamento del bestiame può considerarsi agricola anziché commerciale, quando si presenta in collegamento funzionale con il fondo, nel senso che essa trae occasione e forza dallo sfruttamento del fondo stesso. Conseguentemente, per quanto riguarda l’impresa avicola, astrattamente riconducibile all’attività di allevamento del bestiame, ai fini della qualificazione dell’avicoltore quale imprenditore agricolo non assoggettabile a fallimento, mentre resta irrilevante la previsione contenuta a fini assicurativi nell’art. 206, d.P.R. 30.6.1965, n. 1124, come modificato dalla l. 20.11.1986, n. 778, occorre che egli svolga la sua attività in collegamento funzionale con il fondo agricolo [T. Sulmona 3.3.2021, n. 21, DeJure]. È da ritenersi infondato il dubbio di inconciliabilità con i principi costituzionali dell’esenzione dell’imprenditore agricolo dalle procedure concorsuali per la mutata realtà economica degli operatori del settore a seguito delle modifiche introdotte dal nuovo art. 2125 c.c., poiché tale sottrazione, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, risponde a ragioni di politica economica e giudiziaria, cioè a quelle stesse ragioni che consentono di non ritenere in contrasto con l’art. 3 Cost. la soggezione alle procedure concorsuali delle piccole società commerciali rispetto alla esenzione, da esse, delle società artigiane [C. Cost. 20.4.2012, n. 104, Fall 2012, 1174]. È imprenditore commerciale, assoggettabile quindi a fallimento in caso di insolvenza, la società cooperativa che, oltre a svolgere attività commerciale, abbia fini di lucro accanto ai fini mutualistici [C. I 24.3.2014, n. 6835]. È assoggettabile a fallimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2545 terdecies e 2082 c.c. e art. 1 l. fall., una società cooperativa sociale che svolga attività commerciale secondo criteri di economicità (cd. lucro oggettivo), senza che rilevi l’eventuale assunzione della qualifica di Onlus ai sensi del d.lgs. n. 460/1997, art. 10, trattandosi di norma speciale di carattere fiscale che non integra la diversa previsione di legge contemplata dall’art. 2545-terdecies, c. 2, c.c. [C. I 20.10.2021, n. 29245, D&G 2021]. Soltanto il titolare dell’impresa familiare è soggetto alla dichiarazione di Soltanto il titolare dell’impresa familiare è soggetto alla dichiarazione [C. I 16.6.2010, n. 14580, Fall 2010, 1146], mentre in tema di estensione del fallimento agli altri componenti della famiglia, l’esistenza del contratto sociale può essere desunta, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti (“affectio societatis”, costituzione di un fondo comune, partecipazione agli utili ed alle perdite), anche da manifestazioni esteriori che, pur giustificabili alla luce del rapporto di coniugio o di parentela, siano rivelatrici, per il loro carattere di sistematicità e concludenza, delle componenti del rapporto societario, tra le quali particolare significatività può riconoscersi ai rapporti di finanziamento e di garanzia che siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa per il raggiungimento degli scopi sociali [C. I 16.6.2010, n. 14580, Fall 2010, 1146; T. Venezia 10.8.2020, n. 201, DeJure]. Di recente si sta affermando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche le società pubbliche possono essere dichiarate fallite [C. I 2.7.2018, n. 17279; C. I 30.6.2020, n. 13160]. È assoggettabile a fallimento anche un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che eserciti professionalmente assistenza ospedaliera, ove la sua attività sia organizzata in modo da essere resa previo compenso adeguato al costo del servizio [C. App. Roma 6.11.2020, n. 5503, DeJure; T. Paola 3.12.2009, Fall 2010, 979]. L’ente associativo dedito esclusivamente all’attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione, dalla quale riceva contributi per la copertura integrale dei costi di organizzazione, non è assoggettabile a Soltanto il titolare dell’impresa familiare è soggetto alla dichiarazione, atteso che la gratuità di una simile attività, concretamente assicurata con l’erogazione dei predetti contributi, esclude che l’ente operi in modo che siano remunerati, anche solo in parte, i fattori di produzione con i propri ricavi. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la corte di appello, respingendo il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di un ente di formazione, aveva ricollegato il carattere imprenditoriale della sua attività, al solo dato oggettivo dell’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, considerando irrilevante la gratuità del servizio reso agli allievi) [C. I 21.10.2020, n. 22955, GCM 2020].

3 In ipotesi di holding di tipo personale, cioè di persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, e che svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società medesime (non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio), la configurabilità di un’autonoma impresa, come tale assoggettabile a fallimento, postula che la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero pure di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, quindi fonte di responsabilità diretta del loro autore, e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti, causalmente ricollegabili all’attività medesima [C. I 25.7.2016, n. 15346]. Le prestazioni di garanzia fideiussoria, sia pure operate con continuità, da parte del socio a favore di una società di capitali, così come, in genere, l’attività di finanziamento svolta con continuità, comportano l’assunzione della qualità di imprenditore commerciale solo allorché sia ravvisabile nel socio un fine speculativo proprio ed autonomo rispetto alla società garantita o finanziata e non quando egli agisca nell’esclusivo interesse della società senza alcuno scopo di lucro personale. In tale secondo caso, infatti, il profitto dell’uno si identifica con quello dell’altra e viene così a mancare quella autonomia funzionale che giustifica la configurabilità di una nuova impresa nell’attività del socio e la sua assoggettabilità fallimento [C. I 10.4.1999, n. 3515].

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