1. Il curatore, entro trenta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, presenta al giudice delegato un’informativa sugli accertamenti compiuti e sugli elementi informativi acquisiti relativi alle cause dell’insolvenza e alla responsabilità del debitore ovvero degli amministratori e degli organi di controllo della società.
2. Se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all’articolo 49, comma 3, lettera c), e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all’articolo 198, comma 2, il curatore informa senza indugio il pubblico ministero. In tal caso o quando le scritture contabili sono incomplete o comunque risultano inattendibili, il curatore, con riguardo alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla presentazione della domanda cui sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, oltre alle ricerche effettuate ai sensi dell’articolo 49, comma 3, lettera f), può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all’articolo 49 e specificamente indicate nell’istanza di autorizzazione.
3. Il giudice delegato può autorizzare il curatore a richiedere alle pubbliche amministrazioni le informazioni e i documenti in loro possesso.
4. Il curatore, entro sessanta giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, presenta al giudice delegato una relazione particolareggiata in ordine al tempo e alle cause dell’insorgere della crisi e del manifestarsi dell’insolvenza del debitore, sulla diligenza spiegata dal debitore nell’esercizio dell’impresa, sulla responsabilità del debitore o di altri e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale. Il curatore allega alla relazione il bilancio dell’ultimo esercizio formato ai sensi dell’articolo 198, comma 2, nonché il rendiconto di gestione di cui all’articolo 2487-bis del codice civile, evidenziando le rettifiche apportate.
5. Se il debitore insolvente è una società o altro ente, la relazione espone i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società. Se la società o l’ente fa parte di un gruppo, il curatore deve altresì riferire sulla natura dei rapporti con le altre società o enti e allegare le informazioni raccolte sulle rispettive responsabilità, avuto riguardo agli effetti dei rapporti economici e contrattuali con le altre imprese del gruppo.
6. Quando non si fa luogo all’accertamento del passivo ai sensi dell’articolo 209 la relazione di cui ai commi 4 e 5 è depositata entro il termine di centottanta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.
7. Le relazioni di cui ai commi 1, 4 e 5 sono trasmesse in copia integrale entro cinque giorni dal deposito al pubblico ministero.
8. Il giudice delegato dispone la secretazione delle parti relative alla responsabilità penale del debitore e di terzi ed alle azioni che il curatore intende proporre qualora possano comportare l’adozione di provvedimenti cautelari, nonché alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale del debitore.
9. Il curatore, inoltre, entro quattro mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e, successivamente, ogni sei mesi, presenta al giudice delegato un rapporto riepilogativo delle attività svolte e delle informazioni raccolte dopo le precedenti relazioni, accompagnato dal conto della sua gestione e dagli estratti del conto bancario o postale della procedura relativi agli stessi periodi. Copia del rapporto e dei documenti allegati è trasmessa al comitato dei creditori. Nel termine di quindici giorni, il comitato dei creditori o ciascuno dei suoi componenti possono formulare osservazioni scritte. Nei successivi quindici giorni copia del rapporto, assieme alle eventuali osservazioni, omesse le parti secretate, è trasmessa per mezzo della posta elettronica certificata al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni.
Sommario: I. Introduzione. - II. L’informativa di cui al 1° co. - III. La relazione «particolareggiata» del curatore. - IV. I rapporti riepilogativi. - V. Aspetti fiscali: il contributo unificato.
I. Introduzione.
1
L’art. in commento rispecchia il contenuto dell’art. 33 l. fall., ma con alcune significative novità (per i dettagli delle quali, v. infra) generalmente dirette a recepire prassi già affermatesi in vari tribunali (come sottolineato da Caprino, in Burroni, Sanzo, 201; v. anche Graziano, Nigro, Dal fall. al nuovo CCII dopo il d.lgs. 14/2019, 117, dove si evidenzia che «la norma di nuova istituzione [art. 130] attinge a piene mani dal vecchio e consolidato sistema informativo dell’art. 33 l. fall., ma prevede obblighi ulteriori ed anche più celeri»).
2
Le rationes fondamentali dell’art. in commento sono da ravvisarsi nella «esigenza di consentire un costante esercizio della vigilanza e del controllo da parte del g.d. e del c.d.c.» e in «ragioni di trasparenza e informazione dei creditori e di qualunque interessato» (relazione illustrativa al CCII, sub art. 130; v. anche Fauceglia, 109). Sono stati in quest’ottica previsti vari obblighi informativi a carico del curatore, articolati in una prima informativa (v. infra, sub II), in una relazione «particolareggiata» (v. infra, sub III) e in rapporti riepilogativi periodici (v. infra, sub IV).
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Le parole «e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all’articolo 198, comma 2,» sono state aggiunte dall’art. 19, co. 3, d.lgs. 26.10.2020, n. 147, alla disposizione del 2° co. quale introdotta con il d.lgs. 14/2019. In tal modo, è stata inserita, tra le informazioni che il curatore deve rendere al p.m., anche quella relativa all’inottemperanza, da parte del debitore, dell’obbligo di presentare il bilancio dell’ultimo esercizio entro trenta giorni dall’apertura della liquidazione giudiziale (v. sub art. 198 CCII).
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Il periodo «Il curatore allega alla relazione il bilancio dell’ultimo esercizio formato ai sensi dell’articolo 198, comma 2, nonché il rendiconto di gestione di cui all’articolo 2487-bis del codice civile, evidenziando le rettifiche apportate» è stato aggiunto con l’art. 19, co. 3, d.lgs. 26.10.2020, n. 147, alla disposizione del 4° co. quale introdotta con il d.lgs. 14/2019. Questa aggiunta è volta a stabilire che il bilancio dell’ultimo esercizio, formato ai sensi dell’art. 198, co. 2, CCII (v.), ed il rendiconto di gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato, di cui all’art. 2487 bis c.c., debbono essere allegati dal curatore alla propria relazione da presentare al giudice circa le cause della crisi, le responsabilità del debitore ed il manifestarsi dell’insolvenza.
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Anche l’art. 130 è entrato in vigore il 15.7.2022, ai sensi del 1° co. dell’art. 389 (al cui commento si rinvia per ulteriori precisazioni), come sostituito, da ultimo, dall’art. 42, co. 1, lett. a), d.l. 30.4.2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla l. 29.6.2022, n. 79 (la formulazione originaria prevedeva invece l’entrata in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della pubblicazione – avvenuta il 14.2.2019 – del d.lgs. 14/2019 nella Gazzetta Ufficiale).
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Da ultimo, l’art. 14, co. 1, lett. a), d.lgs. 10.10.2022, n. 149 ha aggiunto alla fine dell’ult. co. dell’art. 33 l. fall. (cui corrisponde l’attuale ult. co. dell’art. in commento, come illustrato infra, sub IV) il seguente periodo: «Il rapporto contiene i dati identificativi dello stimatore» [ai sensi dell’art. 35, co. 1, del medesimo d.lgs. – come sostituito dall’art. 1, co. 380, lett. a), l. 29.12.2022, n. 197 –, le sue disposizioni hanno effetto a decorrere dal 28.2.2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data].
II. L’informativa di cui al 1° co.
1
I co. 1, 2 e 3 dell’art. in commento sono (a differenza dei co. successivi, sui cui ci soffermeremo infra, sub III e IV) nuovi rispetto all’art. 33 l. fall. (nel cui 2° co., peraltro, si contemplava l’eventualità che il g.d. chiedesse al curatore una prima «relazione sommaria»; cfr. sul punto Razzini, in Giorgetti, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, 146).
2
L’informativa di cui al 1° co., che il curatore deve presentare entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (termine che appare particolarmente breve, in ispecie se lo si confronta con quello previsto nel 4° co. per la presentazione della relazione «particolareggiata») è la c.d. prima relazione (v. Fauceglia, 109). L’obbligo di redigerla è stato introdotto affinché il curatore, senza pretesa di esaustività (cfr. Nardecchia, Il nuovo CCII, 68s., il quale parla di una relazione «in forma sintetica», cioè di «una sorta di prerelazione» rispetto alla relazione «particolareggiata»), dia conto dei suoi primi adempimenti e delle prime informazioni acquisite con particolare riguardo alle cause dell’insolvenza e alle responsabilità degli organi sociali (cfr. Caprino, op. cit., 201s.).
3
Ai sensi del 7° co. dell’art. in commento, (non solo la relazione «particolareggiata», su cui v. infra, sub III, ma) anche l’informativa di cui al 1° co. va trasmessa in copia integrale al p.m., entro cinque giorni dal deposito (cfr. Caprino, op. cit., 202, dove si sottolinea come si miri in tal modo ad aprire e alimentare già in questa prima fase il canale informativo con il p.m.).
4
Già in questa prima fase, al curatore sono attribuiti poteri di indagine, che sono stati nei co. 2 e 3 dell’art. in commento meglio precisati (per non dire «notevolmente ampliati»: così Razzini, ibidem) rispetto al passato, anche per quanto concerne le fonti conoscitive (in questo senso, v. Nardecchia, op. cit., 69). Più precisamente, il 2° co. contempla l’eventualità che il debitore o gli amministratori non mettano a disposizione la documentazione contabile indicata nella sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (eventualità in cui scatta anche un obbligo per il curatore di informare senza indugio il p.m.), nonché l’eventualità che le scritture contabili consegnate siano incomplete o inattendibili, legittimando il curatore non solo ad effettuare le ricerche (alle quali è autorizzato già dalla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale) di cui all’art. 49, 3° co., lett. f) (v.), in ordine alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, ma anche a chiedere al g.d. di essere autorizzato ad acquisire informazioni da altre banche dati specificamente indicate nell’istanza di autorizzazione (sul 2° co., v. anche quanto già rilevato supra, sub I, 3).
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Il 3° co., integrando una sorta di norma di chiusura in merito ai poteri d’indagine del curatore, aggiunge che il curatore medesimo può essere autorizzato dal g.d. a richiedere alle pubbliche amministrazioni informazioni e documenti ulteriori rispetto a quelli di cui al co. precedente.
III. La relazione «particolareggiata» del curatore.
1
Aggiungendo alla relazione «particolareggiata» che era già prevista (sia pure con talune diversità di disciplina, su cui ci soffermeremo nel prosieguo) dall’art. 33 l. fall. la nuova c.d. prima relazione (esaminata supra, sub II), l’art. 130 CCII ha realizzato una scissione degli obblighi informativi iniziali del curatore, che si articolano ora prima nella «sorta di prerelazione» di cui al 1° co., da presentarsi entro trenta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, e poi nella relazione «particolareggiata», cioè (salvi ovviamente i rapporti riepilogativi che considereremo sub IV) «definitiva» (Nardecchia, op. cit., 69), di cui al 4° co., da presentarsi entro sessanta giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (cfr. Caprino, ibidem, dove si segnala come la nuova disciplina appaia «in coerenza con le prassi invalse nella maggior parte dei tribunali»).
2
Già la riforma del 2006 aveva portato il termine assegnato al curatore per presentare la propria relazione «particolareggiata» al g.d. da un mese a sessanta giorni (in considerazione del fatto che il termine previgente era assai di frequente risultato, in concreto, troppo breve: sul punto, v. Pajardi, Paluchowsky, 236, dove si sostiene che anche il nuovo termine sarebbe troppo breve; su una simile linea di pensiero, v. pure Coa, Comm. Ferro 2014, 475s.; Santangeli, Comm. Jorio, Sassani, I, 865) ed eliminato la previsione che imponeva al curatore di dare fra l’altro conto, nella sua relazione, anche del tenore di vita privata del fallito e della sua famiglia (scelta che si spiega considerando l’intenzione del legislatore della riforma di ridurre il più possibile le conseguenze personali del fallimento: v. Proto, Comm. Schiano di Pepe, 117; v. anche Abete, Comm. Jorio, I, 583s., dove si menziona pure l’esigenza di tutelare il diritto alla riservatezza del fallito e dei suoi familiari). Nel 4° co. dell’art. 130 CCII il citato termine è rimasto di sessanta giorni (salva l’ipotesi di cui al 6° co., su cui v. infra), ma se ne è mutata la decorrenza, ancorata non più (com’era ai sensi del 1° co. dell’art. 33 l. fall.) alla dichiarazione di fallimento, bensì al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Questa scelta è stata derivata dalla constatazione che sovente la verifica del passivo integra una importante fonte di informazioni per il curatore (in tal senso, v. Caprino, ibidem).
3
In merito al contenuto della relazione «particolareggiata», il 4° co. dell’art. 130 CCII è pressoché identico al 1° co. dell’art. 33 l. fall., salvo (in aggiunta allo scontato riferimento al debitore invece che al fallito, su cui v. l’art. 349 CCII) il riferimento «al tempo e alle cause dell’insolvenza» invece che alle «cause e circostanze del fallimento».
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Sul 4° co., v. anche quanto già rilevato supra, sub I, 4.
5
Già con la riforma del 2006, nel 3° co. dell’art. 33 l. fall. il precedente riferimento ai «sindaci» era stato sostituito con quello, più confacente al multiforme sistema dei controlli delle società di capitali a quel tempo e ancora oggi vigente, agli «organi di controllo» (v. Grossi, La riforma della legge fallimentare2, 292; Abete, op. cit., 585). Il medesimo riferimento si trova ora nel 5° co. dell’art. 130 CCII. Tale norma si colloca in linea di continuità con il 3° co. dell’art. 33 l. fall. anche per quanto concerne il suo ulteriore contenuto, salvo il riferimento non più solo alle società, ma anche ad altri enti, e salva l’innovativa parte finale concernente l’eventualità che la società o l’ente faccia parte di un gruppo.
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Nuovo è pure il 6° co. dell’art. 130 CCII, dove si prevede che, qualora il tribunale abbia disposto non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo per previsione di insufficiente realizzo, il termine assegnato al curatore per presentare la propria relazione «particolareggiata» diviene di centottanta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.
7
Ai sensi del 7° co. dell’art. in commento (che si pone in linea di tendenziale continuità con l’ultima frase del 4° co. dell’art. 33 l. fall., secondo cui «copia della relazione, nel suo testo integrale, è trasmessa al p.m.»), non solo la c.d. prima relazione (sulla quale v. supra, sub II) ma anche la relazione «particolareggiata» deve essere trasmessa in copia integrale al p.m. entro cinque giorni dal deposito.
8
L’8° co. dell’art. 130 CCII, in merito alla secretazione delle parti della relazione ivi elencate, si pone in chiara linea di continuità con il 4° co. dell’art. 33 l. fall. (cfr. Caprino, ibidem, dove si sottolinea la finalità fondamentale – sulla quale ci soffermeremo più nel dettaglio infra – di preservare la fruttuosità di iniziative da assumersi in altre sedi).
9
In considerazione, innanzi tutto, del suo tenore letterale, può ripetersi, in relazione all’8° co. dell’art. 130 CCII, quanto si affermava già in relazione al 4° co. (introdotto con la riforma del 2006) dell’art. 33 l. fall., ovverosia che esso sembra vincolare, e non semplicemente facoltizzare il g.d. a disporre la secretazione (cioè la non allegazione al fascicolo della procedura) delle parti della relazione ivi elencate. Si tratta di una elencazione tassativa, in quanto derogatoria sia rispetto alla regola generale secondo cui tutti gli atti, i provvedimenti e i ricorsi attinenti al procedimento debbono essere inseriti nel fascicolo della procedura (art. 90, 1° co., l. fall. e ora art. 199, 1° co., CCII) sia rispetto alla regola secondo cui il c.d.c. e ciascun suo componente hanno diritto di prenderne visione (art. 90, 2° co., l. fall. e ora art. 199, 2° co., CCII, dove si menziona espressamente l’«eccezione» degli atti, documenti e provvedimenti di cui il g.d. ha ordinato la secretazione) (per tutte queste considerazioni, v., prima del CCII, Abete, op. cit., 586; Ruggiero, Comm. Ferro 2011, 403; Santangeli, op. cit., 866s.; v. inoltre Calvosa, Giannelli, Guerrera, Paciello, Rosapepe, Diritto fallimentare3, 209, secondo i quali può sostenersi, «in via interpretativa, che il potere di segretazione possa essere esercitato anche per quelle parti la cui conoscenza possa costituire fonte di pregiudizio per la procedura»).
10
La regola che impone di secretare le parti della relazione «relative alla responsabilità penale del debitore» risulta necessitata per esigenze di coordinamento con il 1° co. dell’art. 329 c.p.p. (ai sensi del quale gli atti d’indagine compiuti dal p.m. e dalla polizia giudiziaria, le richieste del p.m. di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari).
11
La secretazione delle parti della relazione relative «alle azioni che il curatore intende proporre qualora possano comportare l’adozione di provvedimenti cautelari» risponde all’esigenza di preservare l’utilità concreta di tali provvedimenti.
12
La secretazione delle parti della relazione relative «alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale del debitore» deve avvenire – lo si evince già dal tenore letterale della previsione in commento – soltanto qualora i presupposti appena citati sussistano contemporaneamente (v., prima del CCII, Abete, op. cit., 586s.).
13
Il decreto correttivo del 2007 si era limitato a sostituire, nel 1° co. dell’art. 33 l. fall., il precedente riferimento all’«istruttoria penale» con quello alle «indagini preliminari in sede penale», che appariva maggiormente in linea con la struttura del processo penale risultante dalla riforma del c.p.p. risalente al 1988 (in questo senso, v. Proto, Comm. Schiano di Pepe App., 26s.) e ad aggiungere, nella rubrica legis, il riferimento ai «rapporti riepilogativi» di cui al 5° co. del citato art. (e ora di cui al co. 9 dell’art. 130 CCII, su cui ci soffermeremo infra, sub IV). Entrambe le citate formulazioni sono state mantenute nel 4° co. e nella rubrica legis dell’art. 130 CCII.
14
Né le modifiche apportate all’art. 33 con la riforma del 2006 né quelle compiute con il decreto correttivo del 2007 né quelle ora presenti nell’art. 130 CCII appaiono in grado di influenzare i termini del dibattito sviluppatosi in precedenza con riguardo all’efficacia da attribuire alla relazione del curatore (così, prima del CCII, Abete, op. cit., 590). Secondo un orientamento, la relazione di cui si tratta dovrebbe essere scomposta, sotto il profilo, appunto, dell’efficacia, in tre parti: a) degli accertamenti di fatto direttamente compiuti dal curatore essa farebbe prova fino a querela di falso; b) per quanto riguarda fatti venuti a conoscenza del curatore, e soltanto riferiti, avrebbe valore presuntivo, e sarebbe suscettibile di prova contraria; c) eventuali ragionamenti e opinioni, infine, si collocherebbero fuori dal campo delle prove (per questa prospettiva, cfr., prima del CCII, ma dopo la riforma del 2006, per esempio, Calvosa, Giannelli, Guerrera, Paciello, Rosapepe, ibidem; Fabiani 2011, 225; Tedeschi, 167, e, prima della riforma del 2006: Provinciali, I, 722-723; Provinciali, Ragusa Maggiore, Istituzioni, 195-196; Pajardi, Mon. trib. 67, 888; C.civ. 55/3471, C.civ. 57/3572, C.civ. 60/3091, C.civ. 67/201, C.civ. 72/1025, C.civ. 73/267, C.civ. 98/8704, Fall. 99, 988; nello stesso senso, v., inoltre, nella giurisprudenza di merito: Trib. Lucera 15.1.2002, D. fall. 02, II, 337; Trib. Perugia 23.2.2007, www.leggiditalia.it; Trib. Milano 18.1.2011, Pluris; nonché App. Ancona 20.1.2011, Pluris, dove, sulla stessa linea, si è affermato che l’efficacia probatoria di quanto riferito dal curatore fallimentare nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 l. fall. si sarebbe atteggiata diversamente a seconda che si trattasse: a) di fatti compiuti dal curatore o avvenuti in sua presenza; b) di fatti riferiti dal curatore, ma diversi da quelli indicati sub a); c) di semplici valutazioni od opinioni. Nel primo caso, alla relazione avrebbe dovuto essere riconosciuta efficacia di prova legale, in quanto atto formato da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, e quindi facente piena prova fino a querela di falso. Nel secondo caso, il giudice, in base al principio del libero convincimento, avrebbe avuto la possibilità di porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché venisse fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione e purché tali prove «atipiche» non venissero utilizzate per aggirare divieti o preclusioni di carattere sostanziale o processuale. Delle valutazioni od opinioni personali del curatore, sarebbe risultata evidente, infine, la irrilevanza ai fini probatori). Secondo altro orientamento, invece, nessuna parte della relazione del curatore potrebbe fare fede fino a querela di falso, e cioè potrebbe essere considerata atto pubblico ai sensi e per gli effetti degli artt. 2699ss. c.c. (Semiani Bignardi, Il curatore fallimentare pubblico ufficiale, 162ss.; Caselli, Comm. SB, sub art. 30, 146-147, e sub art. 33, 183, nonché Fall. (Organi), Enc. Treccani, 8; Ferrara, 273; Nigro, Vattermoli, 112). Di conseguenza, gli accertamenti di fatto direttamente compiuti dal curatore farebbero fede fino a prova contraria; gli altri elementi contenuti nella relazione relativi a fatti solo conosciuti dal curatore potrebbero avere efficacia di prova esclusivamente quando da essi, per univocità, gravità e concordanza, derivino giustificate presunzioni; mentre esulerebbero dall’ambito delle fonti di prova i giudizi espressi dal curatore (Azzolina, I, 427). Inoltre, la relazione del curatore non potrebbe mai costituire titolo esecutivo ex art. 474, n. 3, c.p.c., né potrebbe consentire l’esecuzione provvisoria (art. 642 c.p.c.), dato che queste norme, malgrado le differenze terminologiche, si riferirebbero ai medesimi atti di cui agli artt. 2699ss. c.c. (Caselli, Comm. SB, 183, e sub art. 30, 147-148; Semiani Bignardi, op. cit., 181ss.; nello stesso senso, in giurisprudenza, cfr. Trib. Catania 11.11.1957, D. fall. 57, II, 856; contra: Sapienza, D. fall. 57, II, 856ss.). Ulteriori prese di posizione sono emerse nella giurisprudenza di merito. Secondo App. Napoli, sez. III, 30.3.2005, www.leggiditalia.it, sarebbe stato da escludere che le affermazioni contenute nella relazione del curatore fallimentare potessero intendersi fare piena prova fino a querela di falso, qualora non fosse stato specificato il modo di accertamento, da parte del curatore, delle circostanze che ne costituivano oggetto, rappresentando, in questo caso, dette affermazioni, solo indizi liberamente valutabili, mentre secondo Trib. Milano 16.5.1988 (Fall. 89, 720, con nota di Tarzia) e Trib. Milano 22.6.1989 (Fall. 89, 1275), qualora fosse stata prodotta in un giudizio di cognizione promosso dal curatore, la relazione non avrebbe potuto costituire prova dei fatti in essa contemplati e posti a fondamento della domanda giudiziale. Sui problemi relativi al valore probatorio della relazione al g.d., v. anche Scagliola, La relazione al giudice delegato, 93ss.
15
Si ritiene tradizionalmente che il curatore possa interrogare il debitore e i terzi verbalizzandone le dichiarazioni (Provinciali, I, 722; Semiani Bignardi, op. cit., 180; Tedeschi, 168; cfr. anche Trib. Milano 31.12.1971, D. fall. 72, II, 330).
16
Può essere tenuto fermo, sembrerebbe anche dopo il CCII, l’orientamento (v. Abete, op. cit., 591), emerso prima della riforma del 2006, secondo cui le dichiarazioni contenute nella relazione del curatore non potrebbero essere inquadrate come confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. (Caselli, op. cit., 184; Trib. Roma 13.10.1962, T. rom. 63, 32). Tali dichiarazioni non possono neppure essere acquisite in causa con valore di testimonianza (App. Firenze 6.2.1963, G. tosc. 63, 773; Trib. Vicenza 13.9.2012, cit. da Coa, op. cit., 478; in questo senso, v. anche Tedeschi, 168).
17
L’espresso riconoscimento di un debito contenuto nella relazione del curatore è stato ritenuto potere costituire atto idoneo ad interrompere la prescrizione dell’obbligazione, ex art. 2944 c.c., anche nell’ipotesi in cui il riconoscimento medesimo si riferisca a un debito della procedura verso altra procedura affidata allo stesso g.d. e alla stessa curatela (C.civ. 66/2592; v. anche, dopo la riforma del 2006, Abete, ibidem).
18
Secondo una giurisprudenza risalente nel tempo, i documenti allegati alla relazione non sarebbero soggetti all’obbligo di registrazione, né potrebbero essere trattati come documenti inseriti in un atto di cancelleria (C.civ. 63/2117).
19
In considerazione della circostanza che (il 4° co. dell’art. 33 l. fall. e ora) il 7° co. dell’art. 130 CCII dispone che copia della relazione, nel suo testo integrale, deve essere trasmessa al p.m., sembra doversi riconoscere che la stessa possa senz’altro valere quale atto d’indagine di rilevanza penale (in questo senso, v., con riguardo al 4° co. dell’art. 33 l. fall., Abete, op. cit., 586s.; in argomento, cfr. poi, anche per numerose esemplificazioni, Grossi, op. cit., 296s.; per riferimenti al dibattito sviluppatosi sul punto prima della riforma del 2006, v. Zaccaria, Comm. l. fall. Maffei Alberti 2000, 137), anche se non si può in essa identificare un vero e proprio atto di istruzione probatoria, neppure preliminare (così Caiafa, 273, dove si precisa pure come il curatore che venga a conoscenza di un fatto costituente reato, essendo un pubblico ufficiale, sia tenuto a denunciarlo ai sensi degli artt. 331, 1° co. e 332 c.p.p.; in giurisprudenza, su questi temi, cfr., da ultimo, C.civ. 18/14353).
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In giurisprudenza, è stata in particolare ritenuta utilizzabile quale prova a carico dell’imputato la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 della l. fall. (v., tra le altre, da ultimo, C.civ. 17/24781, C.civ. 17/13060).
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Con riguardo all’ipotesi in cui la complessità del fall. renda impossibile il rispetto del termine (non perentorio, perché non sembra accettabile la conclusione cui porterebbe l’opposta tesi, vale a dire che la mancata predisposizione della relazione entro il termine precluderebbe una consegna successiva: così Carbonara, Comm. Cavallini, 738; v. anche Santangeli, op. cit., 865) fissato dalla norma per la presentazione della relazione, la dottrina espressasi precedentemente al CCII tendeva a ritenere preferibile la prassi concretizzantesi nella presentazione di più relazioni, attraverso il meccanismo della fissazione di riserve e del successivo scioglimento delle medesime, alla prassi di ammettere la proroga del termine medesimo (in questo senso, v., prima della riforma del 2006: Bernoni, Pajardi, Bocchiola, Gocini, Il curatore del fall., 36; cfr. anche Prosdocimi, D. fall. 86, I, 624ss., q.v. pure per una dettagliata analisi del contenuto della relazione del curatore; nel medesimo senso, v. anche, dopo la riforma del 2006, Pajardi, Paluchowsky, 236s.; sembrano invece preferire la prassi della proroga, Grossi, op. cit., 293 e 298, e Craveia, Comm. Ambrosini 2008, 67; in argomento, cfr. anche Ruggiero, Tr. Ghia, Piccininni, Severini 2010, 3, 120s.).
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Circa la possibilità che, ricorrendone tutti i presupposti, si configuri a carico del curatore il reato di rifiuto di atti di ufficio, v. C.civ. 12/10051 (fattispecie relativa a un curatore che, dopo avere omesso di depositare la relazione e di compiere atti della procedura per oltre quindici anni, dapprima, ricevuta dal g.d. una diffida a relazionare, si era limitato a presentare una richiesta di proroga motivata in termini generici, e, poi, una volta rigettata questa istanza, non aveva dato alcun riscontro a successivi solleciti e richieste di informazioni fino alla sua sostituzione).
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Sulla possibilità che un ingiustificato ritardo nella presentazione della relazione precluda l’approvazione del rendiconto reso dal curatore, v. sub art. 136.
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Sui caratteri generali della relazione al g.d., v., inoltre, Bronzini, D. fall. 90, I, 92ss.
IV. I rapporti riepilogativi.
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L’ult. co. dell’art. 130 CCII si pone in linea di continuità con l’ult. co. dell’art. 36 l. fall. (cfr. Caprino, op. cit., 203, dove si parla di «analogia» tra le due previsioni), riformato nel 2006 proprio prevedendo la redazione, da parte del curatore, di rapporti riepilogativi semestrali, mentre in precedenza l’ult. co. dell’art. 36 l. fall. imponeva al curatore la presentazione al g.d. di sommarie esposizioni mensili della sua amministrazione (esposizioni sulle quali v. Zaccaria, op. cit., 138, nonché Coa, op. cit., 479s., e Pajardi, Paluchowsky, 237, dove si pone in rilievo la loro inutilità, dimostrata anche dalla circostanza che ad esse, in pratica, il curatore il più delle volte non faceva luogo).
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A differenza dell’ult. co. dell’art. 36 l. fall. (dove si prevedeva che il primo rapporto riepilogativo fosse presentato decorsi sei mesi dalla presentazione della relazione «particolareggiata»), l’ult. co. dell’art. 130 CCII prevede che il primo rapporto riepilogativo sia presentato entro quattro mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, restando come in passato semestrali quelli successivi (v. Razzini, op. cit., 147, dove si sottolinea l’importanza delle novità concernenti le tempistiche).
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Nonostante che l’ult. co. dell’art. 36 l. fall. non lo specificasse, era comunque chiaro che anche i rapporti riepilogativi, alla pari della relazione particolareggiata, dovevano essere indirizzati al g.d. (Abete, op. cit., 588; Scarafoni, Tr. Caiafa, I, 285s.; Carbonara, op. cit., 744). L’ult. co. dell’art. 130 CCII, con la nuova espressione «presenta al giudice delegato», lo ha comunque reso esplicito.
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La norma in commento, in continuità con l’ult. co. dell’art. 36 l. fall., richiede che il curatore alleghi ai rapporti riepilogativi il conto della sua gestione, e cioè, considerato quanto previsto nel 1° co. dell’art. 116 l. fall., e ora nel 1° dell’art. 231 CCII (v.), non solo un prospetto contabile di spese ed entrate, ma anche una descrizione della gestione della procedura, così da rendere possibile un controllo, oltre che sotto il profilo della regolarità contabile, anche sotto quello del merito della gestione medesima (v., in termini analoghi, prima del CCII, Abete, ibidem; cfr. anche Grossi, op. cit., 300).
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La trasmissione in copia dei rapporti riepilogativi al c.d.c. era stata prevista allo scopo di consentire a detto organo l’esercizio del potere di vigilanza di cui al 1° co. dell’art. 31 l. fall. (v. Abete, op. cit., 588s.), e ora di cui al 1° co. dell’art. 128 CCII.
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In dottrina, si è posto in rilievo come le osservazioni scritte che possono essere formulate dal c.d.c. o da ciascuno dei suoi componenti possano avere per oggetto non solo contestazioni e addebiti al curatore (eventualmente propedeutici a una richiesta di revoca e sostituzione del medesimo: così Pajardi, Paluchowsky, 238), ma anche considerazioni dirette a evidenziare l’inopportunità di proseguire un determinato indirizzo di gestione (v. Abete, op. cit., 589, dove si afferma anche che ciascun componente del c.d.c. potrebbe pertanto partecipare, sia pure solo in via mediata, all’amministrazione del patrimonio fallimentare; in argomento, cfr. anche Ruggiero, op. cit., 260).
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L’ult. co. dell’art. 36 l. fall. non fissava né il dies a quo né un termine per la presentazione delle osservazioni scritte del c.d.c. o di ciascuno dei suoi componenti. Secondo un orientamento, a ciò avrebbe dovuto provvedere il g.d. (Proto, Comm. Schiano di Pepe, 118; Tedeschi, 169); altro orientamento, rilevando che il giudice – ai sensi del 1° co. dell’art. 152 c.p.c. – può stabilire termini di decadenza per il compimento di atti processuali solo se la legge lo permette espressamente, immaginava invece che la trasmissione della copia del rapporto riepilogativo al c.d.c. dovesse avvenire «in via preventiva e con congruo anticipo» rispetto alla scadenza del termine semestrale fissato per la presentazione del rapporto riepilogativo, così che il c.d.c. e ciascuno dei suoi componenti venissero a trovarsi nella condizione di potere, e dovere inviare direttamente le loro osservazioni scritte al curatore, il quale avrebbe dovuto poi lui, entro il termine semestrale summenzionato, depositarle in cancelleria assieme al rapporto riepilogativo e al conto della gestione (Abete, op. cit., 589s.). La questione è ora risolta dall’ult. co. dell’art. 130 CCII (come sottolineato per es. da Nardecchia, op. cit., 70), dove si è indicato il termine di quindici giorni, la cui decorrenza, per rendere effettivo il potere di formulare osservazioni, sembra dovere coincidere con la ricezione – anche solo ai sensi dell’art. 1335 c.c. – del rapporto riepilogativo e della relativa documentazione di accompagnamento.
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Con una previsione che non è stata riprodotta nell’ult. co. dell’art. 130 CCII (cfr. al riguardo la posizione critica di Graziano, Nigro, op. cit., 118, che hanno lamentato una irragionevole compressione del diritto di informativa dei creditori), l’ult. co. dell’art. 39 l. fall. prevedeva che copia del rapporto riepilogativo fosse trasmessa, assieme alle eventuali osservazioni del c.d.c. o di ciascuno dei suoi componenti, «per via telematica all’ufficio del registro delle imprese, nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito delle osservazioni nella cancelleria del tribunale». A tale riguardo, si precisava in dottrina che l’ufficio del registro delle imprese avrebbe dovuto poi provvedere a pubblicizzare il rapporto e le eventuali osservazioni tramite iscrizione nella sezione ordinaria del registro a semplici fini di pubblicità - notizia (così Abete, op. cit., 590; in argomento, cfr. altresì Pajardi, Paluchowsky, 238).
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Detta pubblicità non era stata evidentemente ritenuta sufficiente nel momento in cui, con il d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 221/2012, era stata aggiunta, all’ult. co. dell’art. 39 l. fall., una ultima parte tesa ad assicurare, tramite trasmissione per posta elettronica certificata, l’effettiva conoscenza del rapporto riepilogativo e delle eventuali osservazioni da parte dei maggiori interessati alla procedura, vale a dire i creditori e i titolari di diritti sui beni. Tale parte si trova ora riprodotta in chiusura dell’ult. co. dell’art. 130 l. fall., con l’aggiunta, tra i destinatari della citata trasmissione, del debitore.
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Circa la possibilità di attribuire efficacia probatoria di atto d’indagine ai rapporti riepilogativi, sembra poter essere ripetuto quanto sopra detto sub III in ordine alla relazione «particolareggiata» del curatore (in argomento, cfr. Ruggiero, Comm. Ferro App. 2008, 107, dove si pone in rilievo la particolare similitudine della disciplina dedicata, dopo la riforma del 2006, alle due specie di comunicazioni).
V. Aspetti fiscali: il contributo unificato.
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Si ritiene che la relazione del curatore, in quanto atto interno dell’esecuzione collettiva, non sia soggetta al contributo unificato previsto dal d.p.r. 115/2002, né all’imposta di bollo e ai diritti di cancelleria, in quanto tributi assorbiti dal contributo pagato per l’intera procedura di liq. giud.