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COMMENTARIO BREVE AL CODICE CIVILE

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    Informazione

    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    GIORGIO CIAN, ALBERTO TRABUCCHI

    Editore:

    CEDAM

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    COMMENTARIO BREVE AL CODICE CIVILE

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    Nell'esecuzione dell'incarico l'agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede. In particolare, deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari . È nullo ogni patto contrario .

    Egli deve altresì osservare gli obblighi che incombono al commissionario ad eccezione di quelli di cui all'articolo 1736, in quanto non siano esclusi dalla natura del contratto di agenzia .

    È vietato il patto che ponga a carico dell'agente una responsabilità, anche solo parziale, per l'inadempimento del terzo. È però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell'agente, purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati; l'obbligo di garanzia assunto dall'agente non sia di ammontare più elevato della provvigione che per quell'affare l'agente medesimo avrebbe diritto a percepire; sia previsto per l'agente un apposito corrispettivo .

    I. Evoluzione legislativa. - II. Diligenza e non concorrenza («storno» di ag.). - III. Le istruzioni del preponente. - IV. Le informazioni dell’agente. - V. Gli obbl. incombenti al commissionario applicabili anche all’ag. - VI. Patto di «star del credere» ormai vietato.

    1

    Il 1° co. dell’art. 1746 è stato sostituito dall’art. 2, d.lgs. 15-2-1999, n. 65; il 2° co. è stato modificato dall’art. 28, 1° co., l. 21-12-1999, n. 526; il 3° co. è stato inserito dall’art. 28, 2° co., l. n. 526/1999.

    1

    In base all’art. 1746 (Cappai, in Corrias, L’agenzia 12, 165ss.; Trioni, Del contratto di agenzia, Comm. SB 06, 126; Baldassari, Il contratto di agenzia 03, 221) l’ag. ha innanzitutto l’obbligo di promuovere la conclusione dei contr. per conto del preponente usando la diligenza del buon padre di famiglia, da valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Dato che tale obbligo si concreta (Baldassari, 143) in una regolare, stabile e continua attività di visita e contatto con la clientela, l’ag. che non abbia svolto tale attività è inadempiente anche se abbia procurato saltuariamente la conclusione di contr. di notevole entità e perfino se abbia raggiunto il volume minimo di affari convenzionalmente stabilito, qualora il preponente provi la possibilità di affari maggiori (C.civ. 95/10130). Al di là di uno specifico patto di non concorrenza, l’ag. deve comunque astenersi da qualunque attività che possa nuocere il preponente, in particolare evitando di fornire alla concorrenza notizie riservate o passando uno o più affari; tuttavia, è stato ritenuto non illegittimo un «inizio di trattativa» consistente nel fornire alla concorrenza un preventivo (C.civ. 03/12555), mentre è stata ritenuta in violazione dell’obbligo di non concorrenza la costituzione di s.a.s. per affari in concorrenza del preponente (App. l’Aquila 4-11-2002, Ag. & r. 3/03, 31). Il mancato adempimento da parte dell’ag. degli obblighi ex art. 1746 comporta ex art. 1453 il diritto del preponente al risarcimento del danno (Trib. Livorno 31-3-1989, D. mar. 90, 366).

    2

    Il 1° co. dell’art. 1746 (ex art. 2, d.lgs. n. 65/1999), introducendo espressamente il principio, dichiarato inderogabile, per cui l’ag. deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede, conferma implicitamente anche l’obbligo di non concorrenza durante il rapp., disposto espressamente dall’art. 1743 (cui si rinvia), ed in generale il divieto di concorrenza sleale ex art. 2598. Tuttavia non è impedito all’ag., come al subag., di cercare soluzioni professionali alternative, anche se in concreto pregiudizievoli per il preponente, purché non impieghi mezzi e modalità che siano di per sé qualificabili come scorretti (C.civ. 06/10728).

    3

    La concorrenza sleale può essere realizzata, attraverso la pubblicità, sia con affermazioni false, sia con divulgazione di circostanze o notizie vere ma effettuata in maniera subdola o tendenziosa, in modo da implicare discredito e pregiudizio (C.civ. 82/2020), oppure fornendo informazioni o documenti indebitamente in possesso (C.civ. 78/1548). Può costituire concorrenza sleale ex art. 2598 l’invio, a clienti ed ag. del concorrente, di lettera circolare contenente un estratto del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza che dichiara ingannevole la pubblicità del preponente (Trib. Napoli 4-1-1999, GADI 00, 827). L’ex ag. commette concorrenza sleale per confusione se s’appropri di pregi e comunque usi siti Internet dichiarandosi ancora ag., se utilizzi sigla della concorrente, se riproduca la lista clienti dell’ex preponente (Trib. Napoli 8-8-1997, Giust. civ. 98, 259). È concorrenza sleale sottrarre liste clienti (App. Torino 20-10-1995, G. it. 97, I, 2, 122; tuttavia Trib. Bologna 4-7-2017, ivi 18, 1245; Andolina, ivi). Potrebbe costituire concorrenza sleale anche «indurre alle dimissioni» gli ag. (App. Torino 20-10-1995, G. it. 97, I, 2, 122). In base all’art. 2598, n. 3, c.c., che fissa una nozione di concorrenza sleale più ampia di quella portata nei precedenti numeri della stessa norma, l’idoneità a danneggiare l’altrui azienda può derivare anche da sviamento meramente potenziale (C.civ. 12/2060).

    4

    Sussiste concorrenza sleale quando si compia «storno d’ag.» di concorrente (C.civ. 96/6079, C.civ. 96/5718) tenendo un comportamento obiettivamente idoneo a danneggiare l’altrui azienda in misura eccedente il normale pregiudizio da semplice perdita di collaboratori per loro scelta di lavorare presso l’altra impresa; sono elementi idonei, a denotare l’abnormità del reclutamento, in particolare il numero dei collaboratori contattati, il numero dei collaboratori effettivamente stornati, le loro particolari qualità professionali, la sussistenza di patto di non concorrenza inserito nei contr. anche per il periodo successivo allo scioglimento del contr., la rilevanza degli effetti pregiudizievoli subiti dall’impresa aggredita (App. Cagliari 12-1-2000, R. d. ind. 01, II, 44; Trib. Cagliari 21-9-1998, R. g. sar. 99, 491). Per individuare il danno subito dallo «storno» occorre aver riguardo non tanto al numero, quanto alle qualità professionali ed al ruolo rivestito nell’organizzazione, dato che il pregiudizio sarà equivalente all’incidenza sui ricavi dell’impresa di provenienza dell’attività espletata da ciascuno degli ag. stornati, misurata alla mole di clientela acquisita e alle commissioni generate sugli affari (App. Milano 27-11-1998, RDCo 00, II, 1). Lo storno può assumere rilevanza diversa, se gli ag. assumano nell’impresa stornante una collaborazione solo quali procacciatori di affari (App. Cagliari 12-1-2000, R. d. ind. 01, II, 44). Sussiste concorrenza sleale nella forma di “storno di dipendenti” quale danno potenziale a carico di chi ha subito lo storno per infliggere un danno grave all’organizzazione e struttura produttiva altrui (Lascialfari, Corr. giur. 21, 2051).

    5

    Per il periodo dopo la cessazione, può essere stipulato specifico patto di non concorrenza ex art. 1751 bis (cui si rinvia).

    1

    Le istruzioni vengono impartite dal preponente mediante dichiarazioni recettizie. Si riteneva (Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia 08, 160; Mirabelli, I singoli contratti, Comm. Utet, 624ss.) che la formulazione del 1° co. («l’ag. deve adempiere in conformità delle istruzioni») fosse frutto dell’antico inquadramento dell’ag. nella figura del mandato, per cui però le istruzioni non sarebbero state vincolanti data l’autonomia dell’ag.; s’osservava anzi che l’ag. ha il dovere di non seguirle se d’ostacolo al raggiungimento del risultato, per cui è altrimenti responsabile; comunque l’ag. si libera dalla responsabilità facendo presente al preponente l’incongruità delle istruzioni.

    2

    Le istruzioni che il preponente dà all’ag. sono vincolanti, senza che in tal modo si «snaturi» il contr. d’ag. (C.civ. 90/2680, C.civ. 83/5849, C.civ. 82/7072, C.civ. 79/5061, C.civ. 69/2355), e la loro inosservanza costituisce inadempienza grave (C.civ. 71/1127). Ma, ormai, vi è sostanziale identità fra potere di dare «istruzioni» ex art. 1746 nell’ag. e potere di dare «disposizioni» ex art. 2104 nel lav. subord. (C.civ. 83/873) (art. 1742, VIII).

    3

    Il rapp. d’ag. non è incompatibile, in relazione alla natura dell’attività ed all’interesse del preponente, né con la soggezione a direttive e istruzioni nonché controlli più o meno penetranti, amministrativi e tecnici, né con l’obbligo dell’ag. di riferire quotidianamente al preponente, né con l’obbligo di visitare ed istruire altri collaboratori; il rapp. di ag. non è neppure incompatibile con l’obbligo del preponente di rimborsare talune spese dell’ag. (C.civ. 01/11264, C.civ. 90/2680) (art. 1742, VIII).

    1

    Per l’art. 1746 l’ag. ha l’obbligo di fornire al preponente informazioni sulle condizioni di mercato nella zona assegnata nonché ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari, che si traduce nell’obbligo d’informare in generale sullo sviluppo della concorrenza e sulle reali prospettive di penetrazione nel mercato. Tale obbligo, pur avendo carattere secondario e strumentale rispetto a quello principale di promuovere la conclusione degli affari, può assumere in concreto una rilevanza tale da giustificare, in caso di violazione, la risoluzione del rapp. per colpa dell’ag., come quando le omissioni o inesattezze nelle informazioni possano causare gravi conseguenze negative sull’andamento commerciale del preponente (C.civ. 96/7644; Formiggini, Ag., Nov. D., 400ss.; Mirabelli, ibidem; Trioni, 132).

    2

    È ammissibile anche un obbl. di riferire al preponente quotidianamente (C.civ. 01/11264, C.civ. 90/2680, C.civ. 86/5364, C.civ. 85/3673; C.civ. 84/182) o ogni settimana (C.civ. 80/3601, C.civ. 80/34). V. art. 1742, VIII.

    3

    Per i principi di lealtà e buona fede, e nei loro limiti, l’ag. deve accertare se le informazioni raccolte e trasmesse al preponente rispondano al vero (contra l’obbligo sarebbe escluso in linea di principio: Saracini-Toffoletto, Il contratto d’agenzia, Comm. Schlesinger3 02, 254).

    1

    Gli obbl., cui il 2° co. rinvia, vengono identificati in quelli previsti dagli artt. 1735, 2° co., 1710-1714, 1717, 1718 (Trioni, 140; Saracini-Toffoletto, 259; Baldi-Venezia, 163 e 164; Ghezzi, Del contratto d’agenzia, Comm. SB 70; Formiggini, Il contr. d’ag., Tr. Vassalli, 65ss.).

    1

    Prima del divieto disposto dall’art. 28, l. n. 529/1999, con il contr. di ag. poteva essere stipulato un patto di «star del credere» (C.civ. 63/3513), non disciplinato dal c.c. ma regolato come istituto eventuale e pattizio dagli AEC (C.civ. 15/4461). Con lo «star del credere» l’ag., in relazione agli affari non andati a buon fine, non solo non avrebbe percepito alcuna provvigione, com’è ovvio, ma avrebbe partecipato al rischio sopportando in parte le perdite del preponente, come conseguenza dell’inadempimento dei clienti da lui procurati. Il patto tendeva, più che a punire, ad indurre l’ag. a particolare cautela nel promuovere contr. affidabili, che il preponente non sarebbe stato in grado di valutare. Nella disciplina anteriore alla l. n. 529/1999, il patto svolgeva funzione di garanzia, sia pur in senso improprio (C.civ. 16/21994). La garanzia dello «star del credere» era automatica, a prescindere da qualsiasi negligenza, colpa o dolo altrimenti difficilmente accertabili, sicché l’ag. non poteva sottrarsi provando un comportamento diligente nella scelta del cliente e d’aver informato il preponente su eventuali dubbi d’insolvenza: tuttavia il preponente non avrebbe potuto imporre all’ag. di curare o concludere affari che egli reputasse dannosi, se non esonerandolo dalla garanzia (C.civ. 99/5441). La responsabilità per «star del credere» scattava in ogni caso di inadempimento anche parziale del cliente, senza richiedere un vero e proprio stato d’insolvenza (C.civ. 94/2356) e neppure la preventiva escussione del cliente moroso (C.civ. 76/2943).

    2

    L’art. 7, Aec 20-6-1956, reso erga omnes con d.p.r. n. 145/1961, oltre a disporre che il patto di «star del credere» doveva essere convenuto espressamente, prevedeva che la garanzia non potesse superare il 20% della perdita subita dal preponente (a meno che le provvigioni dell’ag. non fossero fissate oltre il 12%) e comunque non poteva superare in un anno la metà dell’ammontare delle provvigioni maturate dall’ag. nell’anno. Il tetto è stato portato dagli Aec 18-12-1974 e 9-6-1988 di «diritto comune» al triplo delle provvigioni, ma comunque non oltre il 15% delle perdite; in caso di perdita superiore, il preponente aveva però diritto di recesso senza preavviso; il patto che avesse fissato un tetto superiore era giudicato nullo (C.civ. 75/816) o meglio parzialmente nullo (C.civ. 93/1359, C.civ. 87/3466, C.civ. 85/6476) con permanenza in vigore delle parti del contr. non affette da vizi ex artt. 1339 e 1419 e con apprezzamento di fatto non suscettibile d’esame di legittimità circa la potenziale volontà delle parti in relazione all’ipotesi che nel contr. non fosse stata inserita la clausola nulla (C.civ. 99/5441, C.civ. 99/3902). La nullità poteva essere rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità (C.civ. 87/3466). Tuttavia, è stata ritenuta valida ex art. 1322 l’autonoma e spontanea assunzione da parte dell’ag. di percentuale eccedente i limiti dell’Aec per la stipulazione di contratto ritenuto non solvibile dal preponente, da questi prima rifiutato e poi accettato per la sola garanzia così prestata (C.civ. 16/21994).

    3

    Allo «star del credere», proprio in quanto disciplinato in modo specifico dalla contrattazione collettiva resa erga omnes e di diritto comune (v. art. 1742, I), non poteva applicarsi per analogia l’art. 1736 sulla commissione (C.civ. 15/4461, C.civ. 97/6647), salvo casi speciali (C.civ. 86/7002) ed in particolare quando le parti avessero richiamato tale disciplina con espresso rinvio all’art. 1746, 2° co. (C.civ. 91/6741) o quando fosse inapplicabile la contrattazione collettiva ad es. per il fatto di esplicarsi al di fuori del territorio nazionale (C.civ. 96/2749).

    4

    Lo «star del credere» era non più dovuto (o se trattenuto doveva essere rimborsato) quando in qualsiasi modo il preponente avesse recuperato le somme perdute o ottenuto il risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante (C.civ. 93/1434).

    5

    Si riteneva che nel contr. d’ag. lo «star del credere» costituisse non una vera e propria fideiussione (così invece Trioni, 126; Saracini-Toffoletto, 263), ma una penale (Baldi-Venezia, 167); tuttavia, le norme sulla fideiussione potevano trovare applicazione in via analogica (es. regresso ex art. 1950) (Ghezzi, ibidem).

    6

    Lo «star del credere» finiva per essere ad esclusivo vantaggio del preponente, in quanto si riteneva che inoltre fosse possibile per il preponente esercitare le normali azioni per inademp. ex art. 1218 dell’ag. (C.civ. 87/2390, C.civ. 85/6476).

    7

    È soggetta a prescrizione decennale la domanda dell’ag. di ripetizione di somme trattenute illegittimamente dal preponente per «star del credere».

    8

    Lo «star del credere» è stato vietato, però, dall’art. 28, 1° co., l. n. 526/1999, in apparente ma negata attuazione della normativa comunitaria che nulla prevede in materia (Baldi-Venezia, 169; Toffoletto, Il contratto d’agenzia, Tr. CM, 08, 175; Trioni, 143; Saracini-Toffoletto, 262; Alessandri, Lav. 00, 213; De Nova, Contr. 00, 545; Franceschelli, D.g. 00, 36). La l. n. 526/1999 ha «vietato il patto che ponga a carico dell’ag. una responsabilità, anche solo parziale, per l’inadempimento del terzo», consentendo però eccezionalmente «di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell’ag., purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati», con apposito corrispettivo e purché l’obbligo di garanzia assunto dall’ag. sia di ammontare non più elevato delle provvigioni che, per quell’affare, l’ag. avrebbe diritto a percepire. La deroga è quindi limitata.

    9

    La deduzione d’esclusione dello “star del credere” ha natura non di eccezione in senso stretto ma esclusivamente di argomentazione difensiva, essendo diretta ad escludere che un fatto specifico, tempestivamente allegato, possa dare origine al diritto dedotto in giudizio; pertanto, la deduzione può essere formulata in qualsiasi fase dei giudizi di 1° e 2° grado, anche oltre i termini perentori ex art. 183 c.p.c. ed anche in comparsa conclusionale, senza incorrere nei limiti di cui all’art. 345 c.p.c. (C.civ. 11/25607).

    10

    L’art. 1746, come modificato dalla l. n. 526/1999, pone il «divieto» ma non precisa le conseguenze in caso di violazione; tuttavia, con la specifica esclusione d’applicazione dell’art. 1736, dovrebbe rendere più chiara l’intenzione di prevedere la nullità di eventuale «star del credere»; la nullità comporta il venir meno anche del compenso specificamente previsto.

    11

    Caduto il patto dello «star del credere», l’ag. resta esposto, come (C.civ. 87/2390, C.civ. 85/6476) e forse più di prima, alle normali azioni contr. per inademp. ex art. 1218 per affari non andati a buon fine, ma senza automatismo e con prove difficili.

    Fine capitolo
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