19.1 Considerazioni preliminari
19.1Considerazioni preliminariL’ordinamento giuridico attribuisce a determinati soggetti pubblici una serie di potestà finalizzate al controllo e alla vigilanza, con scopo sia preventivo sia repressivo, rivolte ai soggetti la cui attività viene svolta entro l’ampia cornice delle norme ambientali.
L’analisi del contesto entro cui si sviluppa l’attività ispettiva e di vigilanza, nonché quella repressiva e sanzionatoria, in materia ambientale richiede una preventiva disamina del quadro normativo procedurale e una chiara definizione dei soggetti istituzionalmente preposti all’esercizio di tali potestà.
Solo dopo aver esaminato il profilo degli organi di vigilanza deputati ad effettuare le attività di controllo ambientale, e i poteri a essi ascritti è possibile soffermarsi, nel capitolo che segue, sulle modalità operative e procedurali, sulla loro necessità, sulla loro evoluzione e sulla loro efficacia ai fini di una effettiva forma di tutela ambientale, ponendo al centro dell’analisi il rapporto che si stabilisce tra l’organo controllore e il soggetto controllato.
19.2 Le funzioni di “polizia ambientale”
19.2Le funzioni di “polizia ambientale”I compiti di polizia ambientale non sono assegnati a un corpo specifico, bensì attribuiti ai diversi soggetti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria e a coloro che svolgono compiti amministrativi di vigilanza e controllo.
L’analisi delle funzioni di polizia ambientale non può, tuttavia, prescindere da una breve disamina delle diverse accezioni del termine “polizia”, anche al fine di meglio delineare le specifiche competenze ascritte ai soggetti pubblici a ciò deputati, che nel nostro ordinamento esprime due concetti:
-
per “polizia” si intende quella funzione amministrativa (svolta dallo Stato e anche da altri enti pubblici) diretta ad attuare tutte le misure necessarie, consistenti nella impostazione coattiva di particolari limitazioni per i singoli soggetti, allo scopo di assicurare la pacifica convivenza e l’ordinato svolgimento della vita dei cittadini nel rispetto della legge e di evitare gli eventuali danni e pericoli che potrebbero derivare allo Stato e alla collettività da un’attività svolta arbitrariamente dai singoli;
-
in altro senso, il termine “polizia” indica il complesso di organi dello Stato e di altri enti pubblici la cui attività è diretta a svolgere la funzione di cui sopra.
L’attività di polizia si distingue in:
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polizia giudiziaria: è quella polizia che svolge attività tendente all’accertamento ed alla repressione dei reati e alla ricerca dei colpevoli per assicurarli alla giustizia;
- polizia amministrativa: è quella polizia che svolge le attività volte all’applicazione delle misure amministrative,
preventive e repressive, affinché i privati:
-
rispettino le limitazioni che la legge impone al loro operato;
-
svolgano la loro attività senza procurare danni alla società.
-
Nota: nell’ambito della polizia amministrativa vengono, di norma, individuate: la polizia demaniale, sanitaria, urbanistica, tributaria, stradale, annonaria, metrica, ittica, venatoria, militare, marittima industriale e, soprattutto la polizia di sicurezza. La polizia di sicurezza è quella branca dell’attività di polizia esercitata dall’autorità di pubblica sicurezza volta a garantire la preservazione dell’ordine pubblico, la sicurezza personale dei cittadini, la loro incolumità nonché l’integrità dei diritti patrimoniali.
Nell’ordinamento italiano la polizia di sicurezza ha, quindi, la funzione di assicurare l’ordine pubblico e di prevenire la commissione di reati. Proprio perché tale attività di norma non dovrebbe comportare attività limitative di libertà costituzionalmente garantite, non dipende funzionalmente dall’Autorità giudiziaria bensì da autorità di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riguardo per il Ministero dell’Interno, a cui compete in generale la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e il coordinamento delle forze di polizia come previsto dal TULP (R.D. 18 giugno 1931, n. 773). Le attribuzioni dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza sono esercitate dal prefetto e dal questore.
19.2.1 La polizia giudiziaria
19.2.1La polizia giudiziariaLe funzioni di polizia giudiziaria sono disciplinate dal codice di procedura penale e sono strumentali alle funzioni dell’Autorità giudiziaria, che ne dispone direttamente.
Nota: come previsto dall’art. 109 Cost. “L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Si tratta dell’unica fra le funzioni di polizia che ha fondamento costituzionale.
L’attività di polizia giudiziaria è caratterizzata da un aspetto fondamentalmente repressivo, al contrario della finalità preventiva tipica della polizia amministrativa.
L’art. 57 del codice di procedura penale attribuisce la qualifica di agente di polizia giudiziaria (APG) e di ufficiale di polizia giudiziaria (UPG) ai soggetti espressamente indicati dalla norma stessa.
Articolo 57 c.p.p. (Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria)
1. Salve le disposizioni delle leggi speciali, sono ufficiali di polizia giudiziaria:
a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di custodia e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;
c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell’arma dei carabinieri o della guardia di finanza.
2. Sono agenti di polizia giudiziaria:
a) il personale della polizia di Stato al quale l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.
3. Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’articolo 55.
Nota: a livello operativo esterno c’è una differenza tra gli UPG e gli APG: i primi possono eseguire tutti gli atti di polizia giudiziaria in modo totale mentre gli APG possono compiere di loro iniziativa soltanto un numero limitato e prefissato di atti, espressamente indicati dal codice di procedura penale. In particolare, spettano agli UPG i seguenti atti: perquisizioni personali e locali, sommarie informazioni dall’indagato, acquisizione di plichi e di corrispondenza, accertamenti tecnici sui luoghi, sulle cose e sulle persone, ricezione di denunzie, querele, richieste e istanze. Va tuttavia sottolineato che, ai sensi dell’articolo 113 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (D.Lgs. n. 271/1998) “nei casi di particolare necessità ed urgenza” alcuni atti (perquisizioni ed alcuni sequestri) possono essere compiuti dagli APG.
Va posto in chiara evidenza che i reati riferiti alla normativa ambientale sono, al pari di tutti gli altri reati inerenti ogni altro settore, di competenza generica di tutta la polizia giudiziaria. In altre parole, non esiste alcuna competenza selettiva specifica che determini una esclusività operativa di un organo di polizia giudiziaria verso alcune fattispecie di reato. Parimenti è inesatto e fuorviante sostenere che solo alcuni organi di vigilanza possano intervenire in relazione a reati ambientali.
Indubbiamente esiste una specializzazione di fatto, che fa sì che alcuni organi siano istituzionalmente preposti e preparati verso determinate tipologie di illeciti ma questo non esime gli stessi organi dalla competenza verso altri reati e non li esime dal dovere/potere di intervento verso illeciti di diversa tipologia rispetto alla propria specializzazione.
GIURISPRUDENZA
Cfr. Cassazione penale, Sezione III - 27 settembre 1991, n. 1872 e Cassazione penale Sezione III - 22 dicembre 1992, n. 12075.
L’assunto trova fondamento nell’art. 55 c.p.p. il quale, specificando che “la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale” non distingue competenze selettive per genere di reati ma crea un connubio generale “polizia giudiziaria-reati”, senza esclusione di reati da considerarsi di competenza di una sola parte limitata di polizia giudiziaria.
Nota: Articolo 55 (Funzioni della polizia giudiziaria)
1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.
2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria.
3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria.
Va quindi precisato che anche le previsioni normative di principio che, a livello di leggi o regolamenti, prevedono che alcune attività di vigilanza o di investigazione vengano svolte da alcuni organi di polizia specificamente indicati, devono essere espressioni generali di indirizzo politico ovvero di direttiva organizzativa perché non esonerano, né potrebbero esonerare, nessuna forza di polizia ad operare in quel settore in seguito alla realizzazione di un reato.
Queste espressioni previsionali, che possono apparire fuorvianti perché foriere di dubbi o pretese di monocompetenze, non possono costituire deroga al principio base per il quale tutta la polizia giudiziaria è sempre e comunque competente per tutti i reati.
Il comma 3 dell’art. 57 c.p.p. sopra riportato individua, accanto alla polizia giudiziaria con competenza generale indicata ai commi 1 e 2, gli organi di polizia giudiziaria con competenza limitata laddove stabilisce che “Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’articolo 55”. La limitazione della competenza di detti organi opera, di norma, con riferimento alla limitazione dell’ambito territoriale entro cui sono legittimati a svolgere le funzioni e con riferimento alla materia entro cui tali funzioni si riferiscono.
Nel rispetto di tali limitazioni, che devono rinvenirsi chiaramente nelle norme che attribuiscono la funzione di polizia giudiziaria, gli UPG e gli APG individuati ai sensi dell’art. 57, comma 3, hanno nel loro campo d’azione le stesse possibilità procedurali e di azione operativa della polizia giudiziaria con competenza generale, senza preclusioni in ordine agli atti da adottare e alle procedure da compiere ai sensi dell’art. 55 c.p.p.
Nota: la Legge 28 giugno 2016, n. 132 “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale” ha previsto la possibilità di individuare, fra i dipendenti dell’ISPRA e le Agenzie ambientali, il personale al quale può essere conferita la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 57, comma 3, c.p.p.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al successivo par. 1.12.4 (Il sistema Nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA).
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dagli UPG e dagli APG alla dipendenza funzionale e sotto la direzione dell’Autorità Giudiziaria (art. 56 c.p.p.), ferma restando la dipendenza organica dell’amministrazione di appartenenza.
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte da soggetti appartenenti a diverse amministrazioni pubbliche (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpi forestali regionali e provinciali, polizia locale ed altri organi di vigilanza previsti dall’ordinamento), che sono sottoposti ad un duplice rapporto di dipendenza:
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di tipo gerarchico nei confronti dell’amministrazione di appartenenza, secondo le regole dei rispettivi ordinamenti;
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di tipo funzionale nei confronti dell’Autorità Giudiziaria, ai sensi dell’art. 109 Cost. e dell’art. 56 c.p.p. La subordinazione gerarchica comporta una piena dipendenza disciplinare, esecutiva ed amministrativa. Ne consegue che i soggetti che espletano funzioni di polizia giudiziaria dipendono burocraticamente e amministrativamente dai loro superiori gerarchici ed espletano l’attività istituzionale prevista dalle leggi e dai regolamenti dell’amministrazione di appartenenza.
L’attività investigativa può essere d’iniziativa, disposta o delegata dall’Autorità Giudiziaria. Nello specifico, l’art. 326 c.p.p. prevede che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgano, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. In tal senso, la polizia giudiziaria collabora con il pubblico ministero nelle indagini per l’accertamento dei reati e in ordine agli atti da adottare, oltre che alle procedure da compiere ai sensi dell’art. 55 c.p.p.
Nota: l’attività investigativa della polizia giudiziaria e del pubblico ministero è finalizzata all’acquisizione degli elementi che consentono a quest’ultimo di stabilire se deve richiedere al giudice di archiviare o di processare chi è accusato di aver commesso un determinato fatto-reato. Le funzioni di polizia giudiziaria consistono in attività investigative, informative, assicurative ed esecutive.
In concreto, ai sensi dell’art. 55 c.p.p., la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa:
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prendere notizia dei reati (art. 330 c.p.p.). È il presupposto per avviare ogni attività. Si tratta di un’attività investigativa svolta d’iniziativa oppure mediante la formale ricezione di notizie di reato presentate dalle persone (querela - denuncia - referto - istanza). Le notizie di reato possono essere acquisite anche informalmente (es. notizie giornalistiche, fonti confidenziali, esposti, denunce anonime, ecc.);
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impedire che i reati siano portati a ulteriori conseguenze. Tale funzione è svolta sia quando si interrompe l’attività criminosa nella fase del tentativo, sia quando il reato è già stato consumato e si deve evitare che si verifichino ulteriori conseguenze offensive. Da ciò consegue il dovere della P.G. di svolgere immediatamente indagini d’iniziativa, nonché di eseguire le indagini disposte dal pubblico ministero una volta assunta la direzione delle indagini (art. 348 c.p.p.). Nei reati ambientali l’esigenza di impedire la continuazione dell’attività illecita assume particolare rilievo per l’irreversibilità del danno pubblico che detta condotta può cagionare. Uno degli strumenti essenziali a disposizione della polizia giudiziaria è il sequestro di iniziativa in flagranza di reato;
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ricercare gli autori del reato, e quanto altro utile alla ricostruzione del fatto (art. 348, comma 1, c.p.p.). Tale dovere è strettamente connesso all’attività investigativa della polizia giudiziaria, svolta attraverso gli strumenti tipici previsti dal codice (perquisizioni, intercettazioni, sequestri, atti urgenti, ecc.), e quelli atipici, non disciplinati dal codice (attività di osservazione, controllo, pedinamento, appostamento, riprese video o fotografiche in luogo pubblico, localizzazione mediante sistema di rilevamento satellitare, ecc.);
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assicurare le fonti di prova (artt. 349, 351-354 c.p.p.). Si tratta di un’attività assicurativa: è nella fase delle indagini preliminari che occorre individuare e assicurare le fonti di prova da produrre in dibattimento. La polizia giudiziaria provvede a ricercare e individuare le persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, a ricercare il corpo del reato, le cose e le tracce pertinenti al reato e ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto;
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raccogliere quanto altro possa servire all’applicazione della legge e svolgere attività informativa all’Autorità Giudiziaria. Si tratta di un’attività finalizzata all’individuazione degli elementi che permettono di stabilire la gravità del reato e la pericolosità del reo, le sue condizioni materiali, morali e di vita e quanto altro utile per la determinazione della pena da irrogare all’imputato (art. 133 c.p.). La polizia giudiziaria ha, inoltre, un dovere di informazione nei confronti dell’Autorità Giudiziaria, posto che l’azione del Pubblico Ministero si basa essenzialmente sugli elementi che la polizia giudiziaria stessa è in grado di fornire.
➔ Gli ‘‘ausiliari’’ di Polizia Giudiziaria
La vasta gamma di casi che possono determinare l’intervento della polizia giudiziaria può generare difficoltà pratiche: può accadere, infatti, che gli organi di polizia giudiziaria si trovino di fronte a fattispecie e materie che non sono in grado di esaminare o di approfondire senza la collaborazione di un tecnico o di un esperto in materia, che non è sempre reperibile all’interno della forza di polizia operante.
In tali casi, l’ultimo comma dell’art. 348 c.p.p. prevede che, nello svolgimento della propria attività, tanto di iniziativa quanto delegata, la polizia giudiziaria possa avvalersi di “persone idonee” per competenza e capacità, comunemente denominati “ausiliari di polizia giudiziaria”, che non possono rifiutare la propria opera.
Questa figura appare di rilevante importanza nell’accertamento di reati commessi con violazione delle norme urbanistiche e antinquinamento, come nel caso in cui si renda necessario avvalersi dell’opera di un tecnico per il prelevamento di campioni di reflui o di rifiuti solidi da analizzare, ovvero quando occorra procedere ad un sopralluogo nel corso del quale deve provvedersi alla misurazione di un terreno o al calcolo della cubatura di un manufatto, oppure nel caso in cui debba calcolarsi il quantitativo di inerti abusivamente asportato dal greto di un fiume.
L’importanza della figura dell’ausiliario è data, soprattutto, dal fatto che, spesso, gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria avvalendosi di tale supporto sono classificabili come ‘‘atti irripetibili’’ (si pensi al prelevamento di un campione) e, pertanto idonei ad essere utilizzati dal giudice nella successiva fase dibattimentale del processo.
La legge non fornisce alcun criterio per la individuazione dell’ausiliario, richiedendo esclusivamente che le persone da nominare siano idonee allo svolgimento degli atti e delle operazioni nelle quali intervengono.
L’ausiliario opera sotto le direttive e il controllo dell’UPG e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto dello stesso UPG, la cui carenza tecnica è stata integrata dall’apporto del soggetto esterno. Il soggetto così nominato non può rifiutarsi di espletare l’incarico ricevuto. L’eventuale rifiuto, ingiustificato, di prestare la propria opera può integrare il reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen. (Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione).
GIURISPRUDENZA
La Corte di Cassazione penale, Sezione III - 27 settembre 1991, n. 1872, ha confermato, in relazione ai reati ambientali, che “naturalmente la P.G. può avvalersi di “persone idonee” nella qualità di ausiliari e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G.”
Nota: Articolo 357 c.p. - Nozione del pubblico ufficiale
1. Agli effetti della legge della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Articolo 358 c.p. - Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio
1. Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
2. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
È bene avere chiara la figura del pubblico ufficiale e quella dell’incaricato di pubblico servizio perché possono essere soggetti chiamati a svolgere determinate funzioni prevista dal codice di procedura penale, pur non essendo attività propriamente ascrivibili alla funzione di polizia giudiziaria
(Art. 331 c.p.p. - Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio)
19.2.2 La polizia amministrativa
19.2.2La polizia amministrativaLa polizia amministrativa è un complesso di poteri attribuiti alla pubblica amministrazione per garantire il regolare svolgimento della normale attività amministrativa. L’art. 159, comma 1, D.Lgs. n. 112/1998 la identifica nelle “misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.
La polizia amministrativa è quindi una “non funzione” perché è un particolare modo di esercitare l’attività amministrativa, preventiva e repressiva, a carattere accessorio e strumentale all’attività di amministrazione attiva, che si esplica attraverso la regolamentazione di determinate attività, il rilascio di permessi per lo svolgimento delle medesime, l’imposizione di sanzioni amministrative in caso di violazioni.
Per polizia amministrativa deve quindi intendersi quell’attività diretta a prevenire condotte in grado non solo di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica, ma anche lo svolgimento di qualsiasi attività, pubblica o privata, che in qualche modo riguardi la collettività.
L’attività di polizia amministrativa è molto ampia ed è affidata, oltre che alle forze di polizia, ad organismi diversi a seconda della concreta funzione da svolgere. In pratica, la polizia amministrativa è preposta alla difesa di tutto ciò che concerne l’attività della pubblica amministrazione: ad ogni settore dell’agire pubblico corrisponde un ramo di polizia amministrativa.
Anche in materia ambientale il nostro ordinamento attribuisce a taluni enti pubblici un insieme di potestà amministrative finalizzate al controllo e alla vigilanza dei diversi soggetti la cui attività economica sia suscettibile potenzialmente di cagionare danni al bene “ambiente”. L’attività di vigilanza è, quindi, un compito istituzionalmente riservato ad organi aventi natura pubblicistica e può essere svolta senza interferire con la sfera giuridica altrui. Ciò si verifica, ad esempio, quando l’attività conoscitiva è svolta utilizzando la tecnica del confronto di dati e documenti in possesso della pubblica amministrazione oppure ricevendo notizie liberamente fornite dai privati.
Se invece l’attività di cui sopra è caratterizzata dall’esercizio di determinate potestà (potestà di accesso, di chiedere informazioni con la minaccia dell’irrogazione di sanzioni in caso di rifiuto) si realizza la fattispecie dell’ispezione amministrativa.
I pubblici ufficiali ai quali sono attribuiti compiti di polizia amministrativa in materia ambientale hanno la potestà di accedere direttamente presso i luoghi di pertinenza di altri soggetti, di ottenere notizie complete e veritiere, pena l’irrogazione di sanzioni amministrative o penali e di impartire ordini o diffide.
Sul punto ha efficacia generale l’art. 13 (Atti di accertamento) della Legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale” laddove si prevede che “Gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi, descrittivi e fotografici e ad ogni altra preparazione tecnica”.
Nota: si osservi che il comma 4, dell’art. 13 della Legge n. 689/1981 prevede che “all’attività di accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria …”.
Ne discende che gli organi addetti al controllo privi delle qualifiche di polizia giudiziaria devono limitare l’accertamento delle violazioni all’ambito delle materie di propria competenza, a differenza della polizia giudiziaria che può accertare tutte le violazioni amministrative in via generale senza limitazione di materia.
19.2.3 Vigilanza amministrativa per specifici settori ambientali
19.2.3Vigilanza amministrativa per specifici settori ambientaliLe principali norme di settore contemplano poteri ispettivi da parte del personale amministrativo con funzioni di vigilanza.
Nota: A titolo esemplificativo si richiamano:
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in materia di rifiuti, l’art. 197 del D.Lgs. n. 152/2006
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in materia di inquinamento idrico, gli artt. 101 e 129 del D.Lgs. n. 152/2006
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in materia di inquinamento acustico, l’art. 14 della Legge n. 447/1995
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in materia di inquinamento atmosferico, l’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006.
Oltre a prevedere un’attività di vigilanza generica, l’ordinamento contempla, altresì, talune ipotesi codificate di vigilanza rivolta a soggetti che svolgono attività in materia ambientale e per le quali è necessaria un’autorizzazione amministrativa.
Per tali soggetti questo controllo, maggiormente incisivo, risponde alla necessità di verificare non solo i requisiti di legittimità ma anche il rispetto delle prescrizioni cui l’autorizzazione ha subordinato lo svolgimento dell’attività.
Nota: il D.Lgs. n. 152/2006 “Norme in materia ambientale” ha introdotto la nozione di “ispezione ambientale”, codificandola all’art. 5, comma 1, lett. v-quinquies):
Ispezione ambientale: tutte le azioni, ivi compresi visite in loco, controllo delle emissioni e controlli delle relazioni interne e dei documenti di follow-up, verifica dell’autocontrollo, controllo delle tecniche utilizzate e adeguatezza della gestione ambientale dell’installazione, intraprese dall’autorità competente o per suo conto al fine di verificare e promuovere il rispetto delle condizioni di autorizzazione da parte delle installazioni, nonché, se del caso, monitorare l’impatto ambientale di queste ultime; …
Le discipline di settore riportano divere fattispecie di controlli così finalizzati.
Fra queste, le attività di controllo rivolte agli impianti per i quali è stata rilasciata l’Autorizzazione Integrata Ambientale, che sono sottoposte a regolari attività di controllo presidiate dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), per gli impianti di competenza statale, e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente negli altri casi (vedi par. 1.12.5).
Inoltre, ferme restando le misure di controllo, l’autorità competente, nell’ambito della disponibilità finanziaria del proprio bilancio destinato allo scopo può disporre ispezioni straordinarie su tali impianti, ai sensi dell’art. 29-decies del D.Lgs. n. 152/2006.
Nell’ambito dei controlli è infatti espressamente prevista un’attività ispettiva presso le installazioni, svolta con oneri a carico del gestore, che prevede l’esame degli effetti ambientali indotti dalle installazioni interessate nel loro complesso.
Le Regioni possono prevedere il coordinamento delle attività ispettive in materia di autorizzazione integrata ambientale con quelle previste in materia di valutazione di impatto ambientale e in materia di incidenti rilevanti nel rispetto delle relative normative dell’art. 29-sexies, comma 6-ter, del D.Lgs. n. 152/2006.
Va precisato che, in occasione del riesame l’autorità competente utilizza anche tutte le informazioni provenienti dai controlli o dalle ispezioni (art. 29-octies, comma 5, del D.Lgs. n. 152/2006). A tal fine, ogni organo che svolge attività di vigilanza, controllo, ispezione e monitoraggio su tali tipologie di impianti e che abbia acquisito informazioni in materia ambientale rilevante ai fini dell’applicazione del decreto comunica tali informazioni, ivi comprese le eventuali notizie di reato anche all’autorità competente (art. 29-decies, comma 7, del D.Lgs. n. 152/2006).
In materia di gestione dei rifiuti è previsto che gli addetti ad organismi pubblici con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, con i quali le Province abbiano stipulato apposite convenzioni, effettuino ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno degli stabilimenti impianti o imprese che producono rifiuti o che svolgono attività di gestione degli stessi (art. 197 del D.Lgs. n. 152/2006).
Sul punto si è chiarito che, in relazione all’attività di controllo prevista dall’art. 197 su imprese che svolgono attività di gestione rifiuti, sono da ritenersi legittime e pertanto utilizzabili le videoregistrazioni del luogo eseguite dalla polizia giudiziaria, non rappresentando esse un’indebita intrusione nell’altrui privata dimora né nell’altrui domicilio.
GIURISPRUDENZA
L’impiego della video camera è perciò equiparabile ad un’operazione eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa.
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Cassazione penale, Sezione III - 7 aprile 2009, n. 28474.
Per l’espletamento delle funzioni di vigilanza e controllo in materia di rifiuti il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale dell’ISPRA (art. 206-bis del D.Lgs. n. 152/2006). Analogo potere è attribuito al personale appartenente al Comando Carabinieri Tutela Ambientale (CCTA), il quale è autorizzato ad effettuare le ispezioni e le verifiche necessarie ai fini dell’espletamento delle funzioni di cui all’art. 8 della Legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Per quanto concerne la difesa della qualità dell’aria, l’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che: “L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare presso gli stabilimenti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per accertare il rispetto delle autorizzazioni. Il gestore fornisce a tale autorità la collaborazione necessaria per i controlli, anche svolti mediante attività di campionamento e analisi e raccolta di dati e informazioni, funzionali all’accertamento del rispetto delle disposizioni … Il gestore assicura in tutti i casi l’accesso, in condizioni di sicurezza, anche sulla base di norme tecniche di settore, ai punti di prelievo e di campionamento.”.
In materia di inquinamento idrico l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni ritenute necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. A quest’ultimo riguardo l’art. 101, comma 4, del D.Lgs. n. 152/2006 prevede espressamente che: “L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi”.
Tale principio è ribadito dall’art. 129, laddove si stabilisce che il soggetto incaricato del controllo è autorizzato ad effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. A tal fine, il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste a consentire l’accesso ai luoghi dai quali ha origine lo scarico.
GIURISPRUDENZA
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che, poiché l’art. 129 del D.Lgs. n. 152/2006 prevede che “l’autorità competente al controllo è autorizzata ad effettuare le ispezioni, i controlli ed i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione ed il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico”, è ben possibile che il gestore del servizio idrico integrato, ancorché società privata e non istituzione pubblica preposta al controllo ambientale (es. ARPA), sia legittimato ad effettuare controlli, con prelievi di campioni e analisi dei reflui.
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Tribunale di Vicenza - 15 marzo 2010, n. 2851.
Generalmente correlato al potere ispettivo vi è poi l’obbligo per il gestore dell’impianto di fornire all’organo di controllo tutta l’assistenza necessaria per lo svolgimento di qualsiasi verifica tecnica relativa all’impianto, per prelevare campioni o per raccogliere qualsiasi informazione necessaria ai fini del controllo (art. 29-decies del D.Lgs. n. 152/2006).
Ferme restando le competenze amministrative e le funzioni di controllo sulla qualità delle acque degli scarichi nei corpi idrici stabiliti dalla normativa vigente e quelle degli organismi tecnici preposti a tali funzioni, infine, per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e per il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, ciascun gestore di servizio deve dotarsi inoltre di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori, ovvero stipula apposita convenzione con altri soggetti gestori di servizi idrici ai sensi dell’art. 165 del D.Lgs. n. 152/2006.
Infine, da un lato con previsione specifica riguardante la disciplina degli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, il D.Lgs. n. 152/2006 prevede che i soggetti incaricati di controlli sono autorizzati ad accedere in ogni tempo presso gli impianti di incenerimento e coincenerimento per effettuare le ispezioni, i controlli, i prelievi ed i campionamenti necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione in atmosfera e in ambienti idrici, nonché del rispetto delle prescrizioni relative alla ricezione, allo stoccaggio dei rifiuti e dei residui, ai pretrattamenti e alla movimentazione dei rifiuti e delle altre prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori e regolamentari, nonché di tutte le altre prescrizioni fissate dalle norme di settore.
Dall’altro, per le installazioni e gli stabilimenti che producono biossido di titanio e solfati di calcio, si stabilisce che le autorità competenti per il controllo effettuano ispezioni e prelievi di campioni relativamente alle emissioni nelle acque, alle emissioni in atmosfera, agli stoccaggi e alle lavorazioni presso le installazioni e gli stabilimenti che li producono. Il controllo è effettuato conformemente alle norme CEN oppure, se non disponibili, conformemente a norme ISO, nazionali o internazionali, che assicurino dati equivalenti sotto il profilo della qualità scientifica (art. 298-bis del D.Lgs. n. 152/2006).
19.2.4 Gli organismi preposti alla vigilanza ambientale: il sistema Nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA)
19.2.4Gli organismi preposti alla vigilanza ambientale: il sistema Nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA)L’esito dei referendum abrogativi del 1993, in seguito ai quali sono state sottratte al Servizio Sanitario Nazionale le competenze in materia di protezione ambientale separandole da quelle sanitarie, ha determinato la nascita delle Agenzie per la protezione ambientale, ponendo le basi per un nuovo sistema di controllo e di prevenzione ambientale.
Nello specifico, con la Legge 21 gennaio 1994, n. 61, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente”, è stata istituita l’APAT - Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (oggi Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA) ed è stato dato mandato alle Regioni e alle Province Autonome di istituire Agenzie per la protezione dell’ambiente nei loro territori.
La nascita delle Agenzie regionali e provinciali (ARPA/APPA) per l’ambiente, avviata nel 1995, si è conclusa solo nel 2006 per effetto delle diverse condizioni politico-amministrative che ne hanno determinato anche una certa eterogeneità di funzioni, compiti e capacità operative (in termini di personale trasferito e di dotazioni finanziarie), che ancora oggi determina delle differenziazioni che non consentono di compiere valutazioni unitarie né di fornire indicazioni univoche.
La costituzione del sistema territoriale è stata caratterizzata da tre momenti: un momento inziale nel 1995, con l’istituzione di 7 Agenzie - le prime a partire sono state Piemonte, Toscana ed Emilia-Romagna - poi un periodo che va dal 1996 al 1999 con la costituzione di altre 12 Agenzie ed il periodo in cui si è completato il quadro nazionale, tra il 2001 e il 2006, con la costituzione di ARPA Sicilia e ARPA Sardegna.
Leggi regionali e provinciali istitutive delle ARPA e delle APPA (testi vigenti) |
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ABRUZZO - www.artaabruzzo.it Legge regionale 29 luglio 1998, n. 64 “Istituzione dell’agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente (A.R.T.A.)”. |
BASILICATA - www.arpab.it Legge Regionale 20 gennaio 2020, n. 1 “Riordino della disciplina dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata ARPAB”. |
BOLZANO - PROVINCIA AUTONOMA - https://ambiente.provincia.bz.it Legge provinciale 19 dicembre 1995, n. 26 “Agenzia provinciale per l’ambiente” Dal 1° gennaio 2019, con delibera della Giunta provinciale del 18 dicembre 2018, n. 1389, l’Agenzia ha modificato la propria denominazione diventando “Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima”. |
CALABRIA - www.arpacal.it Legge regionale 3 agosto 1999, n. 20 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria - A.R.P.A.C.A.L.”. Modificata dalla legge regionale 16 maggio 2013, n. 24 “Riordino enti, aziende regionali, fondazioni, agenzie regionali, società e consorzi comunque denominati, con esclusione del settore sanità”. |
CAMPANIA - www.arpacampania.it Legge regionale 29 luglio 1998, n. 10 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la protezione ambientale della Campania”. |
EMILIA-ROMAGNA - www.arpae.it Legge regionale 19 aprile 1995, n. 44 “Riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e l’Ambiente (ARPA) dell’Emilia-Romagna” Modificata dalla legge regionale 30 luglio 2015, n. 13 “Riforma del sistema di governo regionale e locale e disposizioni su Città metropolitana di Bologna, Province, Comuni e loro Unioni”. |
FRIULI VENEZIA GIULIA - www.arpa.fvg.it Legge regionale 3 marzo 1998, n. 6 “Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente - ARPA”. |
LAZIO - www.arpalazio.it Legge regionale 6 ottobre 1998, n. 45 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio (ARPA)”. |
LIGURIA - www.arpal.liguria.it Legge regionale 4 agosto 2006, n. 20 “Nuovo ordinamento dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure e riorganizzazione delle attività e degli organismi di pianificazione, programmazione, gestione e controllo in campo ambientale” Ha abrogato la precedente Legge regionale 27 aprile 1995, n. 39 “Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure”. |
LOMBARDIA - www.arpalombardia.it Legge regionale 14 agosto 1999, n. 16 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente - ARPA”. |
MARCHE - www.arpa.marche.it Legge regionale 2 settembre 1997, n. 60 “Istituzione dell’Agenzia per la protezione ambientale della Marche (ARPAM)”. |
MOLISE - www.arpamolise.it Legge regionale 13 dicembre 1999, n. 38 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Molise (ARPAM)”. |
PIEMONTE - www.arpa.piemonte.it Legge regionale 26 settembre 2016, n. 18 “Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte (ARPA)”. Ha abrogato la precedente Legge regionale 13 aprile 1995, n. 60 Legge regionale 13 aprile 1995, n. 60 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte (ARPA)” |
PUGLIA - www.arpa.puglia.it Legge regionale 22 gennaio 1999, n. 6 “Sistema regionale della prevenzione. Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA)”. Modificata dalla legge regionale 4 ottobre 2006, n. 27 “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 gennaio 1999, n. 6 (Sistema regionale della prevenzione. Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale - ARPA), già modificata dall’articolo 15 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20, dall’articolo 49 della legge regionale 7 gennaio 2004, n. 1 e dall’articolo 53 della legge regionale 4 agosto 2004, n. 14”. |
SARDEGNA - www.sardegnaambiente.it Legge regionale 18 maggio 2006, n. 6 “Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Sardegna (ARPAS)”. |
SICILIA - www.arpa.sicilia.it Legge regionale 3 maggio 2001, n. 6 “Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001”. Articolo 90 - Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. |
TOSCANA - www.arpat.toscana.it Legge regionale 22 giugno 2009, n. 30 “Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT)”. Ha abrogato la precedente legge regionale 18 aprile 1995, n. 66 “Istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana”. |
TRENTO - PROVINCIA AUTONOMA - www.appa.provincia.tn.it Legge provinciale 11 settembre 1995, n. 11 “Istituzione dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente”. |
UMBRIA - www.arpa.umbria.it Legge regionale 6 marzo 1998, n. 9 “Norme sulla istituzione e disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (A.R.P.A.)”. |
VALLE D’AOSTA - www.arpa.vda.it Legge regionale 29 marzo 2018, n. 7 “Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ARPA della Valle d’Aosta. Abrogazione della legge regionale 4 settembre 1995, n. 41 (Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) e creazione, nell’ambito dell’Unità sanitaria locale della Valle d’Aosta, del Dipartimento di prevenzione e dell’Unità operativa di microbiologia), e di altre disposizioni in materia.” |
VENETO - www.arpa.veneto.it Legge regionale 18 ottobre 1996, n. 32 “Norme per l’istituzione ed il funzionamento dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione dell’ambiente del Veneto”. |
Come sopra anticipato, le funzioni attribuite all’APAT - Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente sono oggi esercitate dall’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA, istituito con la Legge n. 133/2008 - di conversione, con modifiche, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 - che ha unificato in capo ad un unico soggetto il compito di svolgere le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici, dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e dell’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare.
L’ISPRA è ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile, sottoposto alla vigilanza del Ministro competente in materia di ambiente, il quale si avvale dell’Istituto nell’esercizio delle proprie attribuzioni, impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali.
Con l’istituzione dell’ISPRA era stata posta la base per la creazione di un sistema federativo, che coinvolgeva oltre all’ISPRA le 21 Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA), che coniugava la conoscenza diretta del territorio e dei problemi ambientali locali con le politiche nazionali di prevenzione e protezione dell’ambiente.
La costituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA) si è compiuta con l’approvazione della Legge 28 giugno 2016, n. 132 recante “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”. Il Sistema delineato dal legislatore non è più la semplice somma di 22 enti autonomi e indipendenti ma è un vero e proprio Sistema a rete che fonde in una nuova identità quelle che erano le singole componenti del preesistente Sistema.
Nota: la Legge n. 132/2016 attribuisce a questo nuovo soggetto compiti fondamentali quali:
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attività ispettive nell’ambito delle funzioni di controllo ambientale;
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monitoraggio dello stato dell’ambiente;
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controllo delle fonti e dei fattori di inquinamento;
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attività di ricerca finalizzata a sostegno delle proprie funzioni;
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supporto tecnico-scientifico alle attività degli enti statali, regionali e locali che hanno compiti di amministrazione attiva in campo ambientale;
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raccolta, organizzazione e diffusione dei dati ambientali che, unitamente alle informazioni statistiche derivanti dalle predette attività, costituiranno riferimento tecnico ufficiale da utilizzare ai fini delle attività di competenza della pubblica amministrazione.
Attraverso il Consiglio del SNPA, il Sistema esprime il proprio parere vincolante sui provvedimenti del Governo di natura tecnica in materia ambientale e segnala al Ministero competente in materia ambientale e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano l’opportunità di interventi, anche legislativi, ai fini del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, della riduzione del consumo di suolo, della salvaguardia e della promozione della qualità dell’ambiente e della tutela delle risorse naturali.
Per assicurare omogeneità ed efficacia all’esercizio dell’azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell’ambiente a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, sono istituiti i LEPTA, i Livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, che costituiscono il livello minimo omogeneo su tutto il territorio nazionale delle attività che il Sistema nazionale è tenuto a garantire, anche ai fini del perseguimento degli obiettivi di prevenzione collettiva previsti dai livelli essenziali di assistenza sanitaria. Il nuovo Sistema intende favorire la cooperazione, la collaborazione e lo sviluppo omogeneo dei temi di interesse comune dei ventidue soggetti che lo compongono, creando spazi di confronto, di discussione e di azione comune.
➔ Le funzioni di polizia ambientale del personale delle Agenzie ambientali
La questione relativa al conferimento delle qualifiche di polizia giudiziaria al personale delle Agenzie Ambientali è stata lungamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, assumendo in merito posizioni ondivaghe talvolta in contrasto tra loro.
La questione è stata chiarita con la Legge 28 giugno 2016, n. 132 “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale” ed in particolare dall’art. 14, comma 7, laddove si prevede espressamente che “i legali rappresentanti delle agenzie possono individuare e nominare, tra il personale di cui al presente articolo, i dipendenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, operano con la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria”.
La norma definisce, quindi, due questioni controverse:
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è stata posta la base normativa che consente di conferire, senza dubbi, le funzioni di polizia giudiziaria al personale delle Agenzie Ambientali;
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tale conferimento può essere realizzato solo attraverso una norma statale essendo riferito a materie che sono di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l).
In merito alla competenza regionale si era espressa in senso negativo la Corte costituzionale, dichiarando illegittime le norme di alcune regioni.
GIURISPRUDENZA
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Cfr. Sentenze della Corte Costituzionale n. 313/2003, n. 167/2010, n. 35/2011 e n. 8/2017.
Con la Legge n. 132/2016 sono stati chiariti i presupposti e gli elementi che consentono di individuare nel personale delle Agenzie Ambientali i soggetti destinatari della qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, disciplinata dall’art. 57, comma 3, c.p.p.
Con l’Atto di indirizzo “Gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria nelle Agenzie Ambientali”, approvato il 12 dicembre 2018 dall’Assemblea di AssoARPA - Associazione tra le Agenzie Regionali e Provinciali per la Protezione dell’Ambiente, sono state fornite alle Agenzie indicazioni attuative e criteri applicativi uniformi.
È evidente la rilevanza di poter attribuire agli appartenenti al personale delle Agenzie ambientali la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria: nell’immediatezza dell’intervento su reati ambientali e in corso di indagine essi possono procedere - senza necessità di coinvolgere altri organi di vigilanza - al sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 3-bis, c.p.p., ad assunzione di sommarie informazioni ai sensi dell’art. 350 c.p.p., ad accertamenti e sequestri ai sensi dell’art. 354 c.p.p., allo svolgimento di attività delegate dal pubblico ministero, alla redazione di atti destinati alla piena utilizzabilità procedimentale e processuale; tutto ciò agendo con le competenze tecniche proprie della loro tipica funzione e dunque con significativa efficacia.
La sovrapposizione tra norme statali e norme regionali ha creato nel corso del tempo una situazione variegata, nella quale alcune Agenzie regionali hanno dipendenti investiti della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, altre no; a questa differenza tra territori diversi - difficilmente accettabile in una materia che incide su norme processuali penali - si associava il tentativo da parte di imputati di reati ambientali di vanificare le attività svolte dal personale dell’ARPA in fase di indagine, eccependo il difetto di ritualità degli atti, in genere chiedendone l’esclusione dal fascicolo.
Fino alla costituzione del nuovo Sistema, in assenza di un riferimento univoco a livello nazionale, le Agenzie regionali hanno adottato scelte fra loro molto differenti. Dai dati a disposizione emerge un’evidente disomogeneità, riferibile non soltanto alla scelta o meno di attribuire la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria ma anche sulla loro consistenza numerica all’interno delle Agenzie che hanno deciso di nominarli.
Nota: Può essere nominato “ausiliario di PG” un funzionario dell’ARPA?
Il funzionario dell’ARPA, al quale non sono state conferite le qualifiche di polizia giudiziaria (ad esempio, un tecnico specializzato nel prelievo di campioni) può essere legittimamente e correttamente nominato “ausiliario di PG” stante il fatto che proprio la sua specifica competenza scientifica può essere l’elemento di supporto della polizia giudiziaria procedente, che non dispone di quelle specifiche competenze.
Non può, viceversa, essere ammissibile la nomina di “ausiliario di PG” di un funzionario di ARPA che, all’interno della propria struttura, eserciti le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. Si tratterebbe, infatti, di una nomina che va ad investire un soggetto di pari grado istituzionale e procedurale il quale, da solo ed in via autonoma, ha già gli stessi poteri e doveri, oltre che le stesse funzioni procedimentali, del soggetto che lo nomina ausiliario. Va, quindi, ricordato che i funzionari tecnici ARPA che rivestono le funzioni di polizia giudiziaria hanno nel loro campo di azione operativa esattamente le stesse possibilità procedurali e di azione di un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente ad una forza di polizia statale o locale, essendo l’unica limitazione operante quella riferita all’ambito di materia.
19.2.5 Gli organismi preposti alla vigilanza ambientale: le competenze delle Province
19.2.5Gli organismi preposti alla vigilanza ambientale: le competenze delle ProvinceLe competenze in materia di vigilanza e controllo ambientale sono state delegate alle Province a seguito del referendum abrogativo del 1993 che, come già evidenziato in precedenza, aveva comportato la sottrazione al Servizio Sanitario Nazionale delle competenze in materia di protezione ambientale separandole da quelle sanitarie.
Attualmente lo svolgimento delle funzioni di vigilanza circa l’osservanza delle norme ambientali spetta, dunque, alle Province, alle quali la Legge n. 61/1994 aveva definitivamente attribuito le funzioni amministrative di autorizzazione e controllo in materia ambientale.
Nota: Legge 20 gennaio 1994, n. 61 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente”.
Articolo 2: Funzioni amministrative delle province
1. Le regioni nell’esercizio della potestà legislativa prevista dall’articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, all’organica ricomposizione in capo alle province delle funzioni amministrative in materia ambientale di cui all’articolo 14 della stessa legge.
2. Per l’espletamento delle funzioni di cui al comma l, le strutture tecniche provinciali dell’Agenzia regionale di cui all’art. 03, sono poste alle dipendenze funzionali delle province, secondo criteri stabiliti in base ad apposite convenzioni stipulate con le regioni.
3. In attesa delle leggi regionali di cui all’art. 03, le province esercitano le funzioni amministrative di autorizzazione e di controllo per la salvaguardia dell’igiene dell’ambiente, di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1993, n. 177, già di competenza delle unità sanitarie locali, avvalendosi dei presìdi multizonali di prevenzione e dei competenti servizi delle unità sanitarie locali.
Ferme restano le competenze ascritte all’ente provinciale dal D.Lgs. n. 267/2000, specifiche competenze sono attribuite alle Province anche dal D.Lgs. n. 152/2006. A titolo esemplificativo si richiamano le competenze indicate all’art. 197, riferite in linea generale alle funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale.
Nota: Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”
Capo II - Provincia
Articolo 19 - Funzioni
1. Spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei seguenti settori:
a) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità;
b) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
c) valorizzazione dei beni culturali;
d) viabilità e trasporti;
e) protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;
f) caccia e pesca nelle acque interne;
g) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
h) servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
i) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
l) raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.
Per ciò che attiene l’assetto istituzionale, deve guardarsi all’intervento attuato con la Legge 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. “legge Delrio”), che ha dettato un’ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l’istituzione e la disciplina delle Città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle Province. Nel fare ciò, la legge definisce “enti territoriali di area vasta” sia le Città metropolitane che le Province.
Le Città metropolitane sostituiscono le province in dieci aree urbane, i cui territori coincidono con quelli delle preesistenti province, nelle regioni a statuto ordinario: Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.
Nota: Sono organi della Città metropolitana:
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il Sindaco metropolitano, che è di diritto il Sindaco del Comune capoluogo;
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il Consiglio metropolitano, organo elettivo di secondo grado, per cui hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci ed i consiglieri comunali;
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la Conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci dei comuni della città metropolitana.
La legge definisce, altresì, il contenuto fondamentale dello statuto della Città metropolitana.
Per quanto riguarda il riordino delle Province, per esse è previsto un assetto ordinamentale analogo a quello della Città metropolitana.
Nota: Sono organi della Provincia:
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il Presidente della Provincia, organo elettivo di secondo grado eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Provincia;
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il Consiglio provinciale, composto dal Presidente della provincia e da un numero di Consiglieri variabile in base alla popolazione residente;
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l’Assemblea dei Sindaci, composta dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia.
La legge definisce altresì le funzioni fondamentali, rispettivamente, di Città metropolitane e Province, riconoscendo un contenuto più ampio alle prime, e delinea, con riferimento alle sole Province, la procedura per il trasferimento delle funzioni non fondamentali ai Comuni o alle Regioni.
GIURISPRUDENZA
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 50/2015, ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale promosse da alcune regioni nei confronti della riforma, relative, principalmente:
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alla lamentata carenza di competenza legislativa statale per quanto riguarda l’istituzione e la disciplina delle Città metropolitane;
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al mancato rispetto della procedura prevista dall’art. 133 Cost. ai fini del mutamento delle circoscrizioni provinciali e della perimetrazione delle Città metropolitane nell’ambito di una Regione;
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alla scelta di un modello di governo di secondo grado, caratterizzato totalmente da organi elettivi indiretti.
In particolare, la Corte ha riconosciuto che la Legge n. 56/2014 “ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, senza arrivare alla soppressione di quelli previsti in Costituzione”.
Al momento dell’approvazione della “Legge Delrio”, le novità erano, infatti, introdotte nell’ambito del prefigurato disegno finale di soppressione delle Province quali enti costitutivi della Repubblica, dotati di funzioni loro proprie, con fonte legislativa di rango costituzionale.
Tuttavia, con la mancata approvazione della riforma, all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, resta immutata la collocazione costituzionale delle Province, così come riordinate dalla Legge n. 56/2014 come enti di area vasta amministrativamente definiti.
Anche il modello di governo di secondo grado adottato dalla riforma per le neoistituite Città metropolitane e per le Province ha superato il vaglio di costituzionalità, avendo ribadito la Corte, sulla scorta di precedente giurisprudenza, la “piena compatibilità di un meccanismo elettivo di secondo grado con il principio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di secondo grado”.
Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, i princìpi della legge valgono come princìpi di grande riforma economica e sociale, in conformità ai rispettivi statuti, nelle Regioni Sardegna, Sicilia e Friuli Venezia-Giulia, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della Legge n. 56/2014. Le disposizioni di cui ai commi da 104 a 141 sono applicabili nelle regioni a statuto speciale Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione.
Nota: L’abolizione delle Province in Friuli Venezia-Giulia
Con la Legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1 è stato modificato lo Statuto di autonomia, disponendo la soppressione delle province a decorrere dalla data stabilita con legge regionale. Con la Legge regionale 9 dicembre 2016, n. 20 “Soppressione delle Province del Friuli Venezia-Giulia e modifiche alle leggi regionali 11/1988, 18/2005, 7/2008, 9/2009, 5/2012, 26/2014, 13/2015, 18/2015 e 10/2016”, si è chiuso il processo di riforma dando attuazione a quanto disposto con la Legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, con cui è stato cancellato dallo Statuto il riferimento alle Province e ne è stata esplicitamente prevista la soppressione. La Regione, esercitando la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, con la Legge regionale 12 dicembre 2014, n. 26 “Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia-Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative” aveva comunque già avviato un processo di riassetto istituzionale del territorio, trasferendo alla Regione le funzioni esercitate dalle Province. In particolare, le funzioni in materia ambientale, fra queste:
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il rilascio dei provvedimenti di autorizzazione alle emissioni in atmosfera derivanti da impianti nuovi e da impianti già esistenti e relative attività di controllo;
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le attività di vigilanza e controllo sulla regolare applicazione delle norme relative alle operazioni di smaltimento dei rifiuti ed alla gestione degli impianti;
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le funzioni in materia di recupero e smaltimento dei rifiuti;
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le funzioni provinciali in materia di rifiuti e di bonifica di siti contaminati;
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l’istruttoria e il rilascio delle autorizzazioni in relazione alle attività di utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura;
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le funzioni in materia di tutela dall’inquinamento acustico;
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la funzione sanzionatoria in materia di scarichi.
Il processo di riordino è proseguito con la Legge regionale 11 marzo 2016, n. 3, che ha trasferito alla Regione le funzioni di vigilanza ambientale esercitate dalle Province, trasferendo anche il personale della Polizia locale provinciale, inquadrato nel Corpo forestale regionale.
L’abolizione delle Province in Sicilia
Con l’art. 1, comma 1, della Legge della Regione Sicilia 27 marzo 2013, n. 7, si è disposto che “Entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con propria legge, in attuazione dell’articolo 15 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, disciplina l’istituzione dei liberi consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, in sostituzione delle province regionali”.
La riforma, peraltro rimessa in discussione in tempi recenti, non ha sostanzialmente modificato l’attribuzione delle competenze a livello provinciale, o comunque degli enti di area vasta, poiché le nove Province regionali soppresse sono state sostituite da altrettanti Liberi consorzi dei comuni (ente intermedio già previsto dalla Statuto della Regione Sicilia nella versione approvata con la Legge costituzionale n. 2/1948).
Con la riforma sono state, altresì, create le tre Aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina.
Restano in capo agli enti così definiti le competenze già assegnate alle Province con la Legge regionale 8 aprile 2010, n. 9 “Gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”, fra queste:
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il controllo e la verifica degli interventi di bonifica ed il monitoraggio ad essi conseguenti;
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il controllo periodico sulle attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni;
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la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l’applicazione delle procedure semplificate;
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l’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento;
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la tenuta del registro delle imprese e degli enti sottoposti alle procedure semplificate;
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la stipula di accordi interprovinciali per la gestione di determinate tipologie di rifiuti.
Sono state mantenute in capo alla Regione, fin dall’origine, le competenze in tema di rilascio di autorizzazioni, a differenza delle scelte operate in altre Regioni di delegare alle province anche tali procedimenti.
Alle Città metropolitane sono attribuite le funzioni fondamentali delle Province in materia ambientale, declinate in dettaglio come segue:
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autorizzazioni e controlli attribuiti alle Province dal D.Lgs. n. 152/2006;
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autorizzazione unica ambientale;
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funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale nonché la tutela e la valorizzazione delle risorse idriche e la disciplina degli scarichi nelle acque e delle emissioni atmosferiche;
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funzioni in materia faunistico-venatoria e ittica;
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sanzioni e funzioni di polizia ambientale.
19.2.6 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Polizia locale
19.2.6La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Polizia localeLa Legge 7 marzo 1986, n. 65, “Legge quadro sull’ordinamento della Polizia Municipale” stabilisce all’art. 1 che “i Comuni svolgono le funzioni di polizia locale. A tal fine, può essere appositamente organizzato un servizio di polizia municipale”.
L’art. 12 prevede, inoltre, che “Gli enti locali diversi dai comuni svolgono le funzioni di polizia locale di cui sono titolari, anche a mezzo di appositi servizi; a questi si applicano le disposizioni di cui agli articoli [...] della presente legge, sostituendo al comune ed ai suoi organi l’ente locale e gli organi corrispondenti”.
In applicazione di tale norma, che ha introdotto la possibilità per le Province di costituire corpi (o servizi) di polizia a livello provinciale, sono stati istituiti i comandi di polizia provinciale.
Nota: La Legge n. 65/1986 parla di ordinamento della “polizia municipale” ma tale termine non è più adeguato alla situazione attuale stante la diffusione dei corpi di polizia provinciale. La locuzione “polizia municipale” deve quindi intendersi sostituta con quella di “polizia locale”.
Ai sensi dell’art. 5 della citata Legge n. 65/1986, il personale della polizia locale (municipale e provinciale) esercita le funzioni di polizia giudiziaria e, come tale, è tenuto a svolgere compiti di vigilanza ambientale. Infatti, come più volte precisato dalla Corte di Cassazione, in questo ambito l’attività di accertamento rientra nella competenza generale di tutta la polizia giudiziaria senza distinzioni selettive, anche se in concreto esistono specializzazioni, inclusi tutti i soggetti che svolgono compiti amministrativi di vigilanza e controllo.
GIURISPRUDENZA
La giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato che, al di là delle competenze specifiche degli enti preposti al controllo, l’attività di accertamento degli illeciti in materia ambientale rientra nella competenza generale di tutta la polizia giudiziaria senza distinzioni selettive, anche se in concreto esistono specializzazioni.
In tal senso si è affermato che “gli accertamenti in materia di tutela delle acque sono di competenza della polizia giudiziaria, senza distinzioni settoriali e di specializzazione: Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo forestale, Polizia municipale possono procedere ad operazioni di campionamento delle acque, rimanendo riservate le operazioni di analisi agli organi tecnici competenti”.
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Cass. Sez. III, 27 settembre 1991, n. 10525.
I corpi di polizia locale provinciale, nati per effettuare prevalentemente servizi di vigilanza ittico-venatoria, hanno progressivamente ampliato le loro funzioni in tema di vigilanza ambientale, in attuazione delle competenze conferite nel tempo da leggi statali di settore - con particolare riferimento alle norme di vigilanza delle forze di polizia sui reati ambientali poste dal D.Lgs. n. 152/2006 - e dalle leggi regionali di ordinamento della polizia locale.
La polizia locale provinciale ha competenza a carattere generale sull’intero territorio della provincia di appartenenza sulle materie ascritte all’ente ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 267/2000 e su quelle materie che, a norma del D.Lgs. n. 112/1998, sono state delegate dallo Stato all’ente provinciale, fatte salve le specifiche competenze di altri organi.
19.2.7 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: l’Arma dei Carabinieri e il Corpo Forestale della Stato (accorpato)
19.2.7La vigilanza ambientale delle forze di polizia: l’Arma dei Carabinieri e il Corpo Forestale della Stato (accorpato)Il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (N.O.E.) è stato costituito il 1° dicembre 1986 con decreto dei Ministri dell’Ambiente e della Difesa ed è stato posto alla “dipendenza funzionale” del Ministro dell’Ambiente “per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente”.
Con la Legge 23 marzo 2001, n. 93, il N.O.E. ha assunto la nuova denominazione di Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e la struttura organizzativa del Reparto è stata potenziata e calibrata su base interprovinciale, in modo da garantire una presenza qualificata su tutto il territorio nazionale.
Il comparto è oggi strutturato su:
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un assetto centrale costituito da Comandante, Ufficio Comando, Reparto Operativo e Centro elaborazioni Dati;
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3 Gruppi Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente (Milano, Roma e Napoli);
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29 Nuclei Operativi Ecologici.
In particolare, il Reparto Operativo, con competenza su tutto il territorio nazionale, è deputato al coordinamento dei N.O.E. ed allo svolgimento delle indagini più complesse ed ha alle proprie dipendenze:
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una Sezione Operativa Centrale, che ha compiti essenzialmente investigativi in indagini di più ampio respiro riguardanti espressioni di criminalità ambientale particolarmente ampie o con risvolti internazionali;
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una Sezione Inquinamento da Sostanze Radioattive, orientata al contrasto di traffici illeciti di rifiuti e materiali radioattivi e dotata di complessi laboratori mobili di rilevamento;
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una Sezione Inquinamento Atmosferico, Industrie a rischio ed acqua rifiuti suoli, adibita al controllo di industrie sottoposte a speciale normativa;
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una Sezione Analisi, che ha compiti di gestione dei flussi informativi, di pianificazione e coordinamento dell’attività di controllo e di definizione delle linee strategiche.
In virtù delle competenze specifiche, il Reparto costituisce interlocutore specialistico per le Forze di Polizia a livello EUROPOL, sulla base delle direttive emanate dal Consiglio Generale per la Lotta alla Criminalità Organizzata (gennaio 1992), ed a livello INTERPOL, in una logica di collaborazione e di coordinamento che vede la sicurezza ambientale dimensionata sempre più chiaramente in un contesto sovranazionale.
I settori di intervento sono:
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inquinamento del suolo, idrico, atmosferico e acustico;
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salvaguardia del patrimonio naturale;
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impiego di sostanze pericolose ed attività a rischio di incidente rilevante;
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materiali strategici radioattivi ed altre sorgenti radioattive;
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protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici;
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situazioni di allarme per la diffusione incontrollata di organismi geneticamente modificati (OGM).
In questa sede deve farsi richiamo al processo di razionalizzazione delle funzioni di vigilanza ambientale, intervenuto con il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 177 “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, con il quale è stata disposta la soppressione del Corpo forestale dello Stato e l’assorbimento nell’Arma dei carabinieri.
GIURISPRUDENZA
Nel giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato è intervenuta la Corte Costituzionale, su ricorso promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all’art. 18, comma 5, del D.Lgs. n. 177/2016 che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica “delle notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”.
La Corte costituzionale ha innanzitutto eccepito l’eccesso di delega, non trovando adeguata copertura nella Legge di delega n. 124/2015 che, a parere della Corte, non sarebbe stata sufficiente a giustificare l’introduzione della disposizione oggetto del conflitto.
Impedendo che sia conosciuto il contenuto di un atto d’indagine, il segreto investigativo si appalesa strumentale al più efficace esercizio dell’azione penale, al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini, innanzitutto a causa di un’anticipata conoscenza delle stesse da parte della persona indagata.
La Corte censura il fatto che le notizie di reato sarebbero portate a conoscenza di «soggetti esterni al perimetro dell’indagine stessa, e non per determinazione autonoma del magistrato», come può accadere per le necessità organizzative o logistiche delle indagini.
Soggetti al vertice della scala gerarchica che, oltre a non rivestire la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e a non essere parte attiva nell’indagine, «vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni del potere esecutivo, potendo condizionarne l’iniziativa determinando un rafforzamento della sua dipendenza dal potere esecutivo», in quanto gli organi di polizia giudiziaria, nelle loro diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti dal Governo.
Le importanti esigenze di coordinamento informativo e di razionale organizzazione e dislocazione sul territorio delle Forze di polizia, in funzione di tutela della sicurezza, meritano una disciplina attenta alla protezione di tutti gli interessi potenzialmente confliggenti. Tuttavia, il coordinamento informativo e quello organizzativo non coincidono con quello investigativo. Si tratta di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale, dal quale si deduce che tali funzioni devono restar disciplinate secondo logiche e competenze distinte.
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Corte Costituzionale, Sentenza n. 229/2018.
Come previsto dall’art. 7 del citato decreto, il Corpo forestale dello Stato è stato assorbito nell’Arma dei Carabinieri, che ora esercita le funzioni già svolte dal citato Corpo previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, ad eccezione delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, attribuite al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle funzioni attribuite alla Polizia di Stato e al Corpo della guardia di finanza e delle attività cui provvede il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
Nota: Il Corpo forestale dello Stato
La storia del Corpo forestale dello Stato fonda le sue radici nell’Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi del Regno di Sardegna, istituita il 15 ottobre 1822 dal re Carlo Felice di Savoia con l’emanazione delle Regie patenti, allo scopo di superare le diverse legislazioni forestali in tema di sorveglianza e custodia dei boschi, gettando così le basi del moderno ordinamento
Il 15 dicembre 1833 il re Carlo Alberto di Savoia definì la riorganizzazione su base territoriale, suddividendo i Regi Stati di terraferma in ventuno circondari, suddivisi a loro volta in distretti e mandamenti.
A seguito della proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861 iniziò la progressiva riorganizzazione delle amministrazioni degli stati pre-unitari, che vennero assorbiti in un’unica amministrazione forestale.
Il principale impulso alla difesa del patrimonio forestale italiano fu ottenuto a partire dal 1910, quando con la Legge Luzzatti (Legge 2 giugno 1910, n. 277) venne istituito il Corpo reale delle foreste, con proprio organico nell’ambito del Ministero dell’agricoltura. Il risultato fu una profonda ristrutturazione di tutta l’Amministrazione forestale; questo comportò anche un mutamento nelle competenze e nella redazione degli atti amministrativi quali i piani economici e i progetti di rimboschimento.
Con la Legge Serperi del 30 dicembre 1923, n. 3267, venne attuata la riforma della legislazione forestale, stabilendo una distinzione tra la “Sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani”, a carico dello Stato, e il “Rimboschimento e rinsaldamento dei terreni vincolati” a discrezione delle Amministrazioni locali.
Con l’avvento del fascismo l’Amministrazione delle foreste venne sottoposta a radicali mutamenti che interessarono direttamente tutte le istituzioni forestali, in primis il Corpo reale delle foreste che venne soppresso nel 1926 a seguito della costituzione della Milizia nazionale forestale.
Nel secondo dopoguerra, con il D.Lgs. 12 marzo 1948, n. 804 “Norme di attuazione per il ripristino del Corpo forestale dello Stato”, l’ex Milizia nazionale forestale assunse l’attuale denominazione di Corpo forestale dello Stato.
La Legge 1° aprile 1981, n. 121 recante “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza” ha ricompreso il Corpo forestale dello Stato fra le cinque forze di polizia dello Stato.
Diverse successive norme hanno delineato le funzioni del Corpo forestale dello Stato in coerenza con tale qualificazione, fra queste, la Legge 8 luglio 1986, n. 349 “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”, che consente al Ministero dell’ambiente di avvalersi del Corpo forestale dello Stato per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente, con particolare riguardo alla tutela del patrimonio naturalistico;
Con la Legge 6 febbraio 2004, n. 36 “Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato” il Corpo venne dotato di un nuovo ordinamento, divenendo «forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema».
Infine, con il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 177 “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” è stata disposta la soppressione del Corpo forestale dello Stato e l’assorbimento nell’Arma dei carabinieri.
In attuazione della riforma avviata con il D.Lgs. n. 177/2016 è stato creato il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri, posto alle dipendenze funzionali del Ministero competente in materia di agricoltura e foreste, dal quale dipendono reparti dedicati all’espletamento di compiti particolari e di elevata specializzazione in materia di tutela dell’ambiente, del territorio e delle acque, nonché nel campo della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare.
Nello specifico, dal Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri dipendono:
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il Comando Carabinieri per la Tutela Forestale e Parchi;
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il Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità;
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il Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica;
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il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare.
Alla luce di quanto sopra, l’Arma dei Carabinieri esercita le seguenti funzioni:
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prevenzione e repressione delle frodi in danno della qualità delle produzioni agroalimentari;
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controlli derivanti dalla normativa comunitaria agroforestale e ambientale e concorso nelle attività volte al rispetto della normativa in materia di sicurezza alimentare del consumatore e di biosicurezza in genere;
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vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente, con specifico riferimento alla protezione del patrimonio faunistico e naturalistico nazionale e alla valutazione del danno ambientale, nonché collaborazione con il Ministero dell’Ambiente nell’esercizio delle funzioni a esso attribuite in materia di tutela dell’ambiente, del territorio e dell’ecosistema (ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. n. 300/1999);
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sorveglianza e accertamento degli illeciti commessi in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e del relativo danno ambientale;
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repressione del traffico e dello smaltimento illeciti dei rifiuti;
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concorso nella prevenzione e nella repressione delle violazioni compiute in danno degli animali;
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prevenzione e repressione delle violazioni compiute in materia di incendi boschivi;
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vigilanza e controllo dell’attuazione delle convenzioni internazionali in materia ambientale, con particolare riferimento alla tutela delle foreste e della biodiversità vegetale e animale;
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sorveglianza sui territori delle aree naturali protette di rilevanza nazionale e internazionale, nonché delle altre aree protette secondo le modalità previste dalla legislazione vigente, ad eccezione delle acque marine;
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tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute di importanza nazionale e internazionale, nonché degli altri beni destinati alla conservazione della biodiversità animale e vegetale;
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contrasto al commercio illegale nonché controllo del commercio internazionale e della detenzione di esemplari di fauna e di flora minacciati di estinzione, tutelati ai sensi della Convenzione CITES (resa esecutiva con Legge 19 dicembre 1975, n. 874) e della normativa connessa;
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concorso nel monitoraggio e nel controllo del territorio ai fini della prevenzione del dissesto idrogeologico e collaborazione nello svolgimento dell’attività straordinaria di polizia idraulica;
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controllo del manto nevoso e previsione del rischio valanghe;
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attività di studio con particolare riferimento alla rilevazione qualitativa e quantitativa delle risorse forestali, con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati, anche relativi alle aree percorse dal fuoco;
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attività di supporto al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nella rappresentanza e nella tutela degli interessi forestali nazionali in sede comunitaria e internazionale e raccordo con le politiche forestali regionali;
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educazione ambientale;
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tutela del paesaggio e dell’ecosistema;
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concorso nel controllo dell’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza negli sport invernali da discesa e da fondo.
19.2.8 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: i Corpi forestali delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome
19.2.8La vigilanza ambientale delle forze di polizia: i Corpi forestali delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonomeIl D.Lgs. n. 177/2016, nel disporre l’assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri, ha previsto che “nei territori delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme tutte le attribuzioni spettanti ai rispettivi Corpi forestali regionali e provinciali, anche con riferimento alle funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, secondo la disciplina vigente in materia e salve le diverse determinazioni organizzative, da assumere con norme di attuazione degli statuti speciali, che comunque garantiscano il coordinamento in sede nazionale delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, nonché la sicurezza e i controlli nel settore agroalimentare.”
➔ Corpo forestale della Regione Friuli Venezia-Giulia
In attuazione delle norme statutarie, che attribuiscono alla Regione Friuli Venezia-Giulia la competenza esclusiva in materia di corpo forestale, sono stati trasferiti all’amministrazione regionale gli uffici e il personale del Corpo forestale dello Stato presenti nel territorio regionale (D.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116) ad eccezione del comprensorio della Foresta di Tarvisio la cui gestione è rimasta affidata al Corpo forestale dello Stato.
Con la Legge regionale 10 novembre 1969, n. 36 “Stato giuridico e trattamento economico del personale delle carriere degli Ispettori, dei Sottufficiali e della Guardie del Corpo forestale regionale” è stata data completa attuazione al processo di trasferimento del Corpo forestale dello Stato nei ruoli dell’organico regionale.
I compiti istituzionali e le funzioni del Corpo forestale della Regione FVG si sono ricavati, fin da allora, attraverso il rinvio operato dal legislatore regionale all’ordinamento del Corpo forestale dello Stato, che qualifica il Corpo forestale quale forza di polizia ad ordinamento civile specializzata nella difesa del patrimonio agroforestale italiano e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema e concorre nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, nonché nel controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane. Il Corpo forestale svolge attività di polizia giudiziaria e vigila sul rispetto della normativa nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse agroambientali, forestali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico nazionale, nonché la sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo i reati connessi.
In forza del rinvio dinamico operato dal legislatore regionale con la propria Legge n. 36/1969, la legge di riforma del Corpo forestale dello Stato (Legge n. 36/2004 “Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato”) costituisce la base di riferimento per la definizione dell’organizzazione del sistema forestale regionale, come confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
GIURISPRUDENZA
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che nella Regione Friuli Venezia-Giulia il Corpo Forestale è solo quello regionale, ai sensi della Legge Costituzionale n. 1/1963 e del D.P.R. n. 1116/1965. Pertanto, gli operatori del Corpo forestale del Friuli Venezia-Giulia, ed in particolare quelli che rientrano nella previsione dell’art. 57 c.p.p., comma 1, lett. b), che annovera tra gli ufficiali di polizia giudiziaria i sottoufficiali ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità, sono ufficiali di polizia giudiziaria in quanto omologhi, sul territorio regionale, del Corpo forestale dello Stato.
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Cass. Sez. III, 29 aprile 2010, n. 21660
➔ Corpo forestale della Regione Sardegna
La Regione Sardegna ha istituito il Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione sarda con la Legge regionale 5 novembre 1985, n. 26, qualificandolo come corpo tecnico con funzioni di polizia deputato alla salvaguardia dell’ambiente naturale sia terrestre sia marittimo, con compiti di tutela del patrimonio forestale e silvo-pastorale dell’isola, di propaganda ambientale, di controllo dei semi e delle piante e con compiti di vigilanza, prevenzione e repressione nelle seguenti materie: caccia, pesca nelle acque interne e marittime, incendi nei boschi e, secondo i programmi regionali annuali di intervento, nelle aree extraurbane, polizia forestale, polizia fluviale e sulle pertinenze idrauliche, beni culturali.
Il Corpo è una Direzione generale dell’Assessorato della Difesa dell’ambiente e opera sul territorio regionale con più di 1400 persone, 3 servizi centrali, 7 servizi territoriali, 82 stazioni forestali e 10 basi navali.
GIURISPRUDENZA
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che i sottoufficiali del Corpo forestale regionale della Sardegna sono ufficiali di polizia giudiziaria, essendo le funzioni loro attribuite del tutto omologhe a quelle del corpo forestale dello Stato.
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Cass., Sez. III, 26 gennaio 2012, n. 3220
➔ Corpo forestale della Regione Sicilia
Il Corpo Forestale della Regione Siciliana è stato istituito nel 1972 per svolgere, nell’ambito del territorio regionale, le funzioni e i compiti attribuiti in campo nazionale al Corpo Forestale dello Stato. Nel tempo le competenze attribuite al Corpo forestale regionale si sono evolute con l’obiettivo di raggiungere un corretto equilibrio fra la protezione dell’ambiente naturale e lo sviluppo delle attività umane, attraverso la conoscenza, la sorveglianza, il controllo, la difesa e la valorizzazione del territorio forestale e montano, del suolo, dell’ambiente naturale e delle aree protette. Il Corpo forestale regionale è la struttura operativa di riferimento per la prevenzione e la lotta agli incendi boschivi.
Il Corpo è organizzato secondo un criterio gerarchico su base territoriale: al vertice il Comando del Corpo Forestale, il Servizio Antincendi Boschivi, 9 Ispettorati Ripartimentali delle Foreste su base provinciale, 85 Distaccamenti Forestali periferici, 9 Nuclei Operativi Provinciali ed un Nucleo Operativo Regionale.
Agli Ispettorati Ripartimentali delle Foreste sono affidati, in sede provinciale, la vigilanza sul territorio, l’attività di tutela e l’organizzazione complessiva del servizio antincendio che viene espletato attraverso l’attività di prevenzione e repressione effettuata a livello territoriale dai distaccamenti forestali, nonché dai nuclei operativi provinciali.
I distaccamenti forestali costituiscono le strutture territoriali di secondo livello; la loro attività viene espletata, di norma, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni territoriali che comprendono più comuni.
➔ Corpo forestale della Regione Valle d’Aosta
Il Corpo forestale Valdostano è stato istituito nel 1968 e posto alle dipendenze dell’Assessorato agricoltura e foreste, con l’attribuzione di compiti di tutela del patrimonio forestale, di protezione della flora spontanea e della fauna, di sorveglianza sulla caccia e sulla pesca e di supporto all’attività agricola.
In varie fasi successive alla data di costituzione sono state operate revisioni dell’ordinamento e del funzionamento del Corpo, con l’emanazione di provvedimenti legislativi finalizzati ad adattare le specifiche competenze alle nuove esigenze della società. Si cita in particolare l’intervento normativo del 1977, che affida al Corpo forestale, oltre alle tradizionali competenze in materia di gestione forestale, importanti funzioni di sostegno alla nascente Protezione civile e compiti di polizia volti alla sorveglianza e tutela dell’ambiente naturale.
La normativa di riferimento odierna sull’ordinamento, il funzionamento e lo stato giuridico-economico del Corpo forestale della Valle d’Aosta è la Legge regionale n. 12/2002, che sviluppa nuovi filoni operativi rispetto a quelli tradizionali, in particolare quello della tutela ambientale contro l’inquinamento del suolo, dell’aria e delle acque.
Per ciò che attiene l’articolazione della struttura organizzativa, il Corpo forestale Valdostano si compone di una sede centrale, suddivisa in strutture tecniche ed amministrative, e di stazioni forestali, costituenti unità operative periferiche, il cui numero, sede, circoscrizione territoriale ed organico sono determinati con deliberazione della Giunta regionale, sulla base delle indicazioni formulate dal Comandante del Corpo forestale, sentite le amministrazioni degli enti locali territorialmente interessati.
➔ Corpo forestale della Provincia Autonoma di Trento
L’ordinamento del Corpo forestale della Provincia Autonoma di Trento è stato revisionato nel 1997. Disciplinato come corpo tecnico con funzioni di polizia svolge, nelle materie di competenza della Provincia, le funzioni e i compiti attribuiti in ambito statale al Corpo forestale dello Stato. È la struttura deputata alla tutela dell’ambiente naturale, alla salvaguardia del territorio forestale e montano, dei corsi d’acqua e al supporto delle popolazioni.
Con la stessa norma è stato demandato alla Giunta provinciale il compito di definire, con regolamento di organizzazione, le funzioni, la composizione, le modalità di accesso al Corpo forestale, le uniformi, l’equipaggiamento e l’armamento del personale, nonché l’organizzazione delle Stazioni forestali.
Con il “Nuovo regolamento del Corpo forestale della Provincia Autonoma di Trento”, adottato con Decreto del Presidente della Provincia n. 27-134/Leg. e in vigore dal 17 settembre 2008, sono state attribuite al Corpo forestale provinciale le funzioni di: attività di prevenzione, vigilanza e controllo del territorio e dell’ambiente, concorso nell’attività di pubblica sicurezza e ordine pubblico, concorso nell’attività di protezione civile e pubblico soccorso, come struttura operativa del sistema integrato della protezione civile e dei servizi antincendi, rappresentanza, informazione, divulgazione e sensibilizzazione rispetto alle attività, alle funzioni e alle finalità perseguite dal Corpo, anche attraverso l’organizzazione e partecipazione a cerimonie e manifestazioni, gestione del contenzioso amministrativo nelle materie di competenza, polizia stradale, controlli e certificazioni sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, nonché eventuali controlli in materia di aiuti comunitari.
Il personale del Corpo provinciale svolge, inoltre, funzioni di sicurezza e manutenzione del territorio forestale e montano, prevenzione degli incendi boschivi, conservazione delle aree forestali e delle loro funzioni protettive, sociali ed economiche, tutela dei corsi d’acqua, anche attraverso gli specifici interventi di sistemazione idraulica e forestale, tutela, valorizzazione e concorso alla gestione dei beni silvo-pastorali, nonché consulenza, sostegno economico e assistenza tecnica ai proprietari e agli operatori economici del settore forestale, gestione tecnico-amministrativa ed economica delle foreste demaniali, conservazione e valorizzazione dell’ambiente e delle risorse naturali, pianificazione forestale e montana, monitoraggio territoriale e ambientale, informazione, sensibilizzazione e divulgazione in materia di risorse forestali e montane.
➔ Corpo forestale della Provincia Autonoma di Bolzano
Il Corpo forestale provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano” (in tedesco Landesforstkorps) è un corpo tecnico con funzioni di polizia, dipendente dall’assessorato del territorio e dell’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano, istituito nel 1979 per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti attribuiti in ambito statale al Corpo forestale dello Stato.
Il Corpo forestale provinciale, oltre ad esercitare funzioni di polizia e di vigilanza sull’osservanza e l’applicazione di leggi e di norme in materia forestale, ittico-venatoria, ambientale e paesaggistica, svolge anche funzioni tecnico-gestionali, di informazione, di consulenza e di divulgazione.
Provvede, in particolare, alla tutela e sorveglianza su qualunque attività suscettibile di nuocere all’integrità dell’ambiente naturale e dei suoi equilibri ecologici, all’applicazione del vincolo idrogeologico-forestale, alla sorveglianza, tutela e gestione tecnica dei beni silvo-pastorali, alla sorveglianza sui corsi d’acqua al fine di evitare erosioni, esondazioni e dissesti, alla prevenzione e al coordinamento dello spegnimento degli incendi boschivi, all’addestramento e alla formazione e l’aggiornamento del personale. Ha, inoltre, compiti di protezione civile e pubblico soccorso e servizi complementari di ordine pubblico.
Il Corpo forestale provinciale (circa 270 operatori) è composto per un quarto da personale amministrativo e per tre quarti da personale forestale, che si distingue da quello amministrativo per le funzioni di polizia, il porto dell’arma d’ordinanza e dell’uniforme.
19.2.9 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Polizia di Stato
19.2.9La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Polizia di StatoLa Polizia di Stato è una forza di polizia ad ordinamento civile, dipendente dal Ministero dell’Interno, con funzioni generali di polizia (giudiziaria, di sicurezza e amministrativa statale).
Nota: La Legge 1° aprile 1981, n. 121, “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza” individua i compiti istituzionali della Polizia di Stato all’art. 24, disponendo che: “La Polizia di Stato esercita le proprie funzioni al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini sollecitandone la collaborazione. Essa tutela l’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini; vigila sull’osservanza delle leggi, dei regolamenti e dei provvedimenti della pubblica autorità; tutela l’ordine e la sicurezza pubblica; provvede alla prevenzione e alla repressione dei reati; presta soccorso in caso di calamità ed infortuni.”.
Prima della riorganizzazione disposta dal D.Lgs. n. 177/2016, in materia di vigilanza ambientale assicurava la disponibilità di personale specializzato ed unità navali della Polizia di Stato per il controllo del mare territoriale, dei laghi e dei fiumi. Le Squadre nautiche garantivano in tal modo il controllo delle acque territoriali marine e di quelle interne e la vigilanza delle coste per prevenire e contrastare diversi reati, in particolare quelli legati all’immigrazione clandestina, contribuendo anche nell’attività di ricerca e di soccorso dei natanti e delle persone in difficoltà oltre che al controllo delle attività nautiche e della circolazione delle navi.
A seguito della richiamata riorganizzazione disposta dal D.Lgs. n. 177/2016 le funzioni di sicurezza del mare sono state attribuite in via esclusiva al Corpo della Guardia di Finanza (fatte salve le attribuzioni assegnate dalla legislazione vigente al Corpo della Capitanerie di Porto - Guardia costiera), con contestuale soppressione delle Squadre nautiche della Polizia di Stato e dei siti navali dell’Arma dei carabinieri.
Nel contempo sono state attribuite alla Polizia di Stato le funzioni svolte dal Corpo forestale dello Stato in materia di ordine e sicurezza pubblica e di prevenzione e contrasto alla criminalità, organizzata in ambito interforze.
19.2.10 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Guardia di Finanza
19.2.10La vigilanza ambientale delle forze di polizia: la Guardia di FinanzaIl Corpo della Guardia di finanza è forza di polizia ad ordinamento militare con competenza generale in materia economica e finanziaria, dipendente del Ministero competente in materia di economia e finanze.
Nota: I compiti della Guardia di Finanza già definiti dall’art. 1 della Legge 23 aprile 1959, n. 189 “Ordinamento del Corpo della guardia di finanza” sono stati integrati dal D.Lgs. 19 marzo 2001, n. 68 “Adeguamento dei compiti della Guardia di Finanza, a norma dell’art. 4 della legge 31 marzo 2000, n. 78”. Il Corpo della Guardia di finanza assolve le funzioni di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, degli enti locali e dell’Unione europea. A tal fine, al Corpo della Guardia di finanza sono demandati compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di: a) imposte dirette e indirette, tasse, contributi, monopoli fiscali e ogni altro tributo, di tipo erariale o locale; b) diritti doganali, di confine e altre risorse proprie nonché uscite del bilancio dell’Unione europea; c) ogni altra entrata tributaria, anche a carattere sanzionatorio o di diversa natura, di spettanza erariale o locale; d) attività di gestione svolte da soggetti privati in regime concessorio, ad espletamento di funzioni pubbliche inerenti la potestà amministrativa d’imposizione; e) risorse e mezzi finanziari pubblici impiegati a fronte di uscite del bilancio pubblico nonché di programmi pubblici di spesa; f) entrate ed uscite relative alle gestioni separate nel comparto della previdenza, assistenza e altre forme obbligatorie di sicurezza sociale pubblica; g) demanio e patrimonio dello Stato, ivi compreso il valore aziendale netto di unità produttive in via di privatizzazione o di dismissione; h) valute, titoli, valori e mezzi di pagamento nazionali, europei ed esteri, nonché movimentazioni finanziarie e di capitali; i) mercati finanziari e mobiliari, ivi compreso l’esercizio del credito e la sollecitazione del pubblico risparmio; l) diritti d’autore, know-how, brevetti, marchi ed altri diritti di privativa industriale, relativamente al loro esercizio e sfruttamento economico; m) ogni altro interesse economico-finanziario nazionale o dell’Unione europea.
La Guardia di Finanza - pur mantenendo il carattere specialistico in ambito economico e finanziario - collabora da sempre nell’attività di prevenzione e repressione dei reati contro l’ambiente ed il patrimonio culturale. In particolare, il Corpo, in virtù dei poteri ascritti in campo tributario e considerato che le attività illecite in questi ambiti sottendono anche reati di evasione fiscale, esplica la propria attività spaziando da controlli di carattere prettamente amministrativo fino a quelli più propriamente aderenti a compiti di tipo tributario.
Un ruolo importante per la tutela ambientale viene svolto dal Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, istituito il 3 marzo 1965 e composto da 26 Stazioni di soccorso.
Tra i compiti stabiliti dalle circolari del Comando Generale della Guardia di Finanza spiccano, per quanto di interesse, quelli di tutela ambientale consistenti in perlustrazioni in zone montane per la vigilanza, prevenzione e repressione degli illeciti in materia di danno ambientale.
I servizi di polizia economico-finanziaria con finalità ambientali concernono, in particolare, i controlli sulla gestione dei rifiuti e sul relativo traffico anche transfrontaliero.
Nella cornice della riorganizzazione disposta dal D.Lgs. n. 177/2016, il decreto del Ministero dell’Interno di data 15 agosto 2017 ha affidato al Corpo il comparto della “sicurezza del mare”, individuando la Guardia di Finanza quale unica Forza di Polizia deputata ad assicurare i servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica in ambito marino.
Per effetto della citata riorganizzazione alcune funzioni, svolte in precedenza dal soppresso Corpo forestale dello Stato, sono state attribuite alla Guardia di Finanza. Si tratta, in particolare, delle funzioni relative alla materia del soccorso in montagna, sorveglianza delle acque marine confinanti con le aree naturali protette e controllo doganale in materia di commercio illegale della flora e della fauna in via di estinzione (queste ultime, in relazione alle attività di cui al D.M. n. 176 dell’8 luglio 2005 - CITES - da esercitarsi anche tramite le unità specializzate dell’Arma dei carabinieri).
19.2.11 La vigilanza ambientale delle forze di polizia: Capitanerie di Porto - Guardia Costiera
19.2.11La vigilanza ambientale delle forze di polizia: Capitanerie di Porto - Guardia CostieraIl Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, inquadrato a livello ordinamentale nell’ambito della Marina Militare, svolge preminentemente attività collegate con l’uso del mare per i fini civili, operando alle dipendenze del Ministero competente in materia di trasporti nell’esercizio delle funzioni attinenti alla navigazione ed al traffico marittimo, quali: ricerca e soccorso in mare, polizia marittima, sicurezza della navigazione, vigilanza sul diporto nautico e, più in generale, amministrazione periferica di tutte le funzioni statali in campo marittimo.
Nota: La Legge 8 luglio 1986, n. 349 “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”, all’art. 8, comma 4, prevede che “Per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente, il Ministro dell’ambiente si avvale del nucleo operativo ecologico dell’Arma dei carabinieri, che viene posto alla dipendenza funzionale del Ministro dell’ambiente, nonché del Corpo forestale dello Stato, con particolare riguardo alla tutela del patrimonio naturalistico nazionale, degli appositi reparti della Guardia di finanza e delle forze di polizia, previa intesa con i Ministri competenti, e delle Capitanerie di porto, previa intesa con il Ministro della marina mercantile.”.
Con l’art. 3 della Legge 28 gennaio 1994, n. 84 “Riordino della legislazione in materia portuale” è stato costituito il Comando generale del Corpo delle capitanerie - Guardia costiera, prevedendo che “L’Ispettorato generale delle capitanerie di porto è costituito in Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera … dipende dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nei limiti di quanto dispone il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 72, e svolge le attribuzioni previste dalle disposizioni vigenti; esercita altresì le competenze in materia di sicurezza della navigazione attribuite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Le capitanerie di porto dipendono funzionalmente dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per le materie di rispettiva competenza.”.
Il D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 “Codice dell’ordinamento militare” all’art. 135, comma 1, stabilisce che “Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera dipende funzionalmente dal Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dell’articolo 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, esercitando funzioni di vigilanza e controllo in materia di tutela dell’ambiente marino e costiero.”.
Per quanto riguarda altri compiti istituzionali, quali il controllo della pesca marittima, la protezione del patrimonio archeologico subacqueo, il concorso nell’attività di controllo dei flussi migratori, le funzioni di carattere militare, il Corpo opera in dipendenza delle Amministrazioni competenti per materia.
In materia di protezione dell’ambiente marino il Corpo delle Capitanerie di Porto costituisce un vero e proprio braccio operativo del Ministero competente in materia di ambiente. L’autorità marittima, in caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque marine, è responsabile dell’adozione di tutte le misure necessarie a prevenire, eliminare o, quantomeno, a mitigare, le conseguenze dannose delle immissioni in mare di idrocarburi ed altre sostanze nocive. Nell’evenienza di inquinamenti marini, pertanto, le Capitanerie di Porto operano in attuazione delle direttive del Ministero competente, avvalendosi, se necessario, delle unità navali specializzate e delle attrezzature per gli interventi di risposta agli inquinamenti del mare.
La vigente normativa affida al Corpo delle Capitanerie - Guardia Costiera anche funzioni di vigilanza e controllo in materia di tutela dell’ambiente marino e costiero, con particolare riguardo alle aree marine protette e parchi sommersi.
Ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006 il Corpo provvede, inoltre, alla sorveglianza e all’accertamento degli illeciti ambientali quando dagli stessi possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero e provvede alla repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti nell’ambito delle giurisdizioni territoriali di competenza delle autorità marittime.
19.3 Modalità operative di controllo ambientale
19.3Modalità operative di controllo ambientale19.3.1 Il controllo amministrativo: il rapporto tra organo di controllo e soggetto controllato
19.3.1Il controllo amministrativo: il rapporto tra organo di controllo e soggetto controllatoBenché la normativa ambientale, soprattutto quella eurounitaria, abbia da tempo introdotto e dato rilevanza nel sistema di protezione ambientale a concetti quali: prevenzione, autocontrollo, gestione e responsabilità diretta da parte dei soggetti titolari di attività produttive, in particolar modo quelle a maggior impatto ambientale, non può non evidenziarsi come l’approccio tradizionale del “command and control” rimanga ancora il modello utilizzato nelle attività di verifica ed accertamento del rispetto della normativa ambientale.
Questo sistema, che può essere definito come una tecnica regolatoria, fonda sull’imposizione di obblighi e divieti da parte della pubblica Autorità competente, che si manifestano attraverso gli atti di natura autoritativa da questa adottati, ai quali si contrappongono diversi meccanismi sanzionatori con funzione inibitoria, quali ad esempio sanzioni di carattere amministrativo-pecuniario, sanzioni interdittive e, nei casi ritenuti di maggior lesività del bene “ambiente”, sanzioni di natura penale, volte ad indirizzare il comportamento degli operatori economici nei diversi settori di intervento.
Le due fasi di regolamentazione si distinguono nel “command”, quale prescrizione di obblighi e divieti imposti ai titolari di attività potenzialmente pericolose e/o dannose per l’ambiente e che può essere individuato nell’autorizzazione, e nel “control”, ovvero, nel riscontro da parte delle pubbliche amministrazioni di quanto contenuto nel “command” così come sopra definito.
Nonostante da più parti si invochi la necessità di un superamento di tale modello, in ragione dei limiti alla sua efficacia dimostrati dall’esperienza, resta il fatto che questo resta il fondamento degli strumenti di controllo utilizzati nei confronti delle realtà economico-produttive impattanti sull’ambiente, e non solo, da parte degli organi di controllo i molti organi di controllo, come illustrati nei capitoli precedenti.
Nota: La tendenza innovativa che la dottrina più recente incoraggia è quella che volge ad un modello di “adaptive management” in materia ambientale, cioè un sistema il più possibile adattativo che il soggetto pubblico dovrebbe adoperare per amministrare il diritto ambientale, assumendo una prospettiva quasi antitetica rispetto alle rigide prescrizioni di comando e controllo.
Ciò non significa che si debba effettuare una scelta tra l’uno e l’altro meccanismo di produzione normativa, anche perché il sistema di divieti e sanzioni non potrebbe mai essere eliminato dall’ordinamento.
Secondo i sostenitori del modello bisognerebbe, tuttavia, potenziare la tutela dell’ambiente anche in senso adattativo, non tanto negli atti autorizzativi puntuali quanto, soprattutto, in fase di programmazione e pianificazione.
A sostegno di tale orientamento c’è l’idea che gli strumenti tradizionali di comando e controllo, soprattutto nella forma di meri limiti tabellari all’inquinamento, possiedono il grave difetto di non rappresentare incentivi o dissuasori adeguati al fine di non inquinare. Le imprese, quindi, non sono motivate a migliorare le proprie prestazioni in termini di sostenibilità ed efficienza ambientale, in quanto sono chiamate solo a non inquinare al di sopra della soglia consentita dalla legge.
Sul piano ecologico, inoltre, i meccanismi di comando e controllo dimostrano la tendenza, ovviamente non solo italiana, a vedere nei fenomeni ambientali non la variabilità e l’imprevedibilità, bensì la stabilità.
La necessità di uscire dalla rigidità dei meccanismi tradizionali di comando e controllo ha portato gradualmente alla formazione di particolari istituti ben distinguibili all’interno del panorama del diritto amministrativo nazionale, ad esempio VIA e VAS, che pur nella rigidità delle norme, lasciano un margine di adattamento alla situazione concreta.
Entro tale cornice si affronteranno, nel prosieguo, gli aspetti relativi alle modalità operative di un’attività di controllo nel momento della sua realizzazione, tralasciando gli aspetti legati alla fase di programmazione dei controlli che non attengono a tale tema.
Si esamineranno, inoltre, i poteri e doveri degli organi di controllo nel contesto operativo, i rapporti tra questi ed i soggetti controllati, le fasi relative all’individuazione delle responsabilità per eventuali illeciti rilevati e alla loro contestazione.
Saranno, altresì, oggetto di approfondimenti alcuni aspetti legati all’applicazione di “misure prescrittive” in caso di illeciti ambientali di natura penale, introdotte con la Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, che ha inserito dopo la Parte VI del D.Lgs. n. 152/2006, la Parte VI-bis, rubricata “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”.
A questo fine, si rende necessario definire gli aspetti generali di un “controllo ambientale” e di una “ispezione ambientale”, rimarcandone le differenze, partendo dalle definizioni fornite dalle “Linee guida recanti indirizzi e prodotti per la promozione della trasparenza nell’attività di controllo delle imprese, Area di attività n. 3 - Controlli/tema AIA e AUA”, e precisamente:
Nota: Le Linee Guida recanti indirizzi e prodotti per la promozione della trasparenza nell’attività di controllo delle imprese, Area di Attività n. 3 - Controlli/Tema AIA e AUA”, sono state adottate dal Gruppo di lavoro nazionale ISPRA/ARPA/APPA in attuazione dell’art. 25 della L. n. 33/2013 per la semplificazione, razionalizzazione e trasparenza nei rapporti con le imprese e con i cittadini e dell’art. 14 della L. n. 35/2012, di conversione del D.L. n. 5/2012 (c.d. “Salva imprese”).
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Controllo ambientale: è il complesso delle attività finalizzato a determinare l’insieme dei valori, parametri e azioni che prevengono o causano l’impatto ambientale di una specifica attività, al fine di confrontarlo e verificarlo rispetto alle normative ambientali e/o alle autorizzazioni rilasciate (valori limite di emissione, prescrizioni, ecc.).
Il controllo è normalmente condotto dal gestore, che informa regolarmente l’Autorità competente e l’Autorità competente per il controllo sugli esiti (autocontrolli) e può comportare la partecipazione attiva dell’Organo di controllo (controlli ordinari e visite ispettive). Il controllo pertanto include gli autocontrolli del gestore e i controlli ordinari e straordinari degli Organi di controllo.
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Ispezione ambientale: comprende tutte le azioni, ivi comprese visite in loco, controllo delle emissioni e controlli delle relazioni interne e dei documenti di follow-up, verifica dell’autocontrollo, controllo delle tecniche utilizzate e adeguatezza della gestione ambientale dell’installazione, intraprese dall’Autorità competente, o per suo conto, al fine di verificare e promuovere il rispetto delle condizioni di autorizzazione da parte delle installazioni, nonché, se del caso, monitorare l’impatto ambientale di queste ultime” (dalla definizione di derivazione europea - Direttiva 2010/75/UE4) - contenuta all’art. 5, comma 1 lett. v-quinquies, del D.Lgs. n. 152/2006).
Dette attività vengono normalmente programmate in via ordinaria, tuttavia a queste possono affiancarsi o rendersi necessarie altre attività di controllo, attivate su impulso dell’Autorità giudiziaria, su segnalazioni di altri soggetti, in particolare in caso di eventi emergenziali, oppure su iniziativa dell’organo di controllo.
Gli organi di controllo non appartenenti al Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA), nello specifico le diverse Forze di polizia - di cui si è trattato in precedenza - operano in via prevalente su attività non programmate.
Nota: Le Linee Guida adottate dal Gruppo di lavoro nazionale ISPRA/ARPA/APPA, sopra richiamate, specificano che le ispezioni e i controlli possono essere di tipo integrato o non integrato:
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i primi (di tipo integrato) consistono in una verifica complessiva sul rispetto normativo di tutti gli impatti ambientali dell’azienda, o di quelli ritenuti prevalenti e più significativi, e sul rispetto delle connesse prescrizioni autorizzative in materia ambientale. Nel corso della visita l’Organo di controllo può procedere al campionamento di scarichi, acque superficiali, acque sotterranee, rifiuti, emissioni in atmosfera, suolo o indagini tecniche in materia di rumore e campi elettromagnetici;
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i secondi (di tipo non integrato) consistono in una verifica del rispetto normativo dell’impatto ambientale dell’azienda e del rispetto delle prescrizioni autorizzative riferito ad una singola matrice ambientale. Anche in questo caso l’Organo di controllo può procedere all’effettuazione di campionamenti.
Le regole, le modalità ed i comportamenti ai quali devono attenersi gli Organi di controllo sono stabiliti in dettaglio nei “Codici di comportamento” adottati dalle rispettive Amministrazioni.
Nota: Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, ha stabilito all’art. 54, comma 1, che: “Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico. Il codice … prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l’espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d’uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.”.
Con il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 è stato adottato il “Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” che definisce i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare, le cui previsioni devono essere integrate e specificate dai Codici di comportamento adottati dalle singole Amministrazioni.
Quale guida operativa per la materia trattata in questa sede, può essere preso a paradigma il “Codice di comportamento ad uso degli ispettori del lavoro” adottato con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 14 gennaio 2014 che, sebbene abbia ad oggetto l’attività di vigilanza in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, si presta in parte a fornire utili indicazioni operative sulle attività di controllo in materia ambientale.
Tali indicazioni possono essere integrate da quelle contenute nel precedente codice ad uso degli stessi ispettori, approvato con Decreto del Ministero del lavoro n. 340 del 20 aprile 2006 che, seppure datato, fornisce istruzioni operative tutt’ora efficacemente applicabili.
Di sicuro ausilio possono essere anche le “Linee guida per l’applicazione della disciplina end of waste di cui all’art. 184 ter comma 3 ter del D.Lgs. n. 152/2006. Revisione gennaio 2022”, approvate con delibera del Consiglio SNPA nella seduta del 23 febbraio 2022 (Doc. nr. 156/22).
In tal modo, pur non disponendo di un unico atto di indirizzo vincolante per tutti gli Organi di vigilanza, è comunque possibile tracciare uno schema di intervento uniforme corrispondente a quelle che sono le prassi operative comunemente applicate.
In ogni caso, tutti gli Organi di vigilanza che operano nell’ambito di un contro di tipo amministrativo, sono tenuti ad attenersi alle disposizioni che definiscono i poteri d’accertamento, come definiti dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale”, che costituisce norma generale di riferimento nei procedimenti sanzionatori amministrativi. Nel contempo, qualora l’intervento sia operato nell’ambito di un’attività di polizia giudiziaria, dovranno essere scrupolosamente rispettate le norme del Codice di procedura penale.
Quale regola deontologica di condotta generale, è bene rimarcare che durante l’attività ispettiva o di controllo, i rapporti tra l’organo operante ed i soggetti sottoposti al controllo devono essere improntati ai principi di collaborazione e rispetto reciproco.
Le attività dell’organo procedente dovranno essere sempre condotte in modo da arrecare il minor intralcio possibile allo svolgimento delle attività oggetto di controllo alle attività, seppure tenendo conto delle finalità e delle esigenze dell’accertamento.
19.3.2 Modalità operative del controllo ambientale amministrativo
19.3.2Modalità operative del controllo ambientale amministrativoAll’atto dell’accesso, il personale addetto al controllo (nel caso di pubblici ufficiali non appartenenti alle forze di polizia) dovrà esibire un documento di riconoscimento e qualificarsi al soggetto da ispezionare o ad un suo rappresentante. In mancanza delle procedure di qualificazione e di riconoscimento l’accesso può essere negato.
Si tenga presente che, qualora il controllo sia operato da un appartenente alle forze di polizia, questo non è tenuto a fornire le generalità né esibire alcun documento, essendo l’uniforme di servizio già elemento distintivo di riconoscimento.
Viceversa, qualora l’operatore intervenga in abiti borghesi, dovrà essere esibita la tessera distintiva del corpo o dell’arma di appartenenza.
Dopo essersi qualificato, il personale intervenuto deve procede all’identificazione delle persone presenti, richiedendo la presenza del datore di lavoro o di chi ne fa le veci, ovvero di un responsabile tecnico dell’impianto o di un delegato ambientale se nominato (sul cui ruolo, funzioni e responsabilità si approfondirà nel prosieguo).
Non devono esserci dubbi sul fatto che il soggetto sopposto al controllo ha l’obbligo di fornire le proprie generalità al pubblico ufficiale che lo richiede. L’eventuale rifiuto è penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 651 cod. pen., che testualmente cita: “Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206.”.
Dopo aver identificato il soggetto che affiancherà l’organo di vigilanza nel corso del controllo, lo stesso dovrà essere informato sui motivi che hanno generato il controllo medesimo, avendo altresì cura di metterlo al corrente delle conseguenze sanzionatorie, ammnistrative e/o penali a cui si espone qualora tenesse comportamenti omissivi o commissivi volti ad impedire l’esercizio dell’attività di vigilanza o altri comportamenti dai quali si manifestasse la volontà di ostacolare l’attività in essere.
Sul punto il legislatore è intervenuto individuando una specifica fattispecie di reato, introducendo con la Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (c.d. “ecoreati”) il delitto di “impedimento al controllo”.
Nota: Il novellato art. 452-septies cod. pen. prevede che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”.
Espletate tali formalità (sostanziali) in fase di avvio, potrà darsi corso all’attività ispettiva, con l’accesso a tutti i locali e /o impianti verso cui è rivolto il controllo, disponendo se del caso l’acquisizione di tutta la documentazione che si rendesse necessaria, che dovrà essere fornita senza indugio dal soggetto che accompagna il personale ispettivo.
Nel caso in cui dalla situazione accertata a seguito del controllo, comprese le verifiche documentali e gli elementi acquisiti attraverso le informazioni fornite dagli addetti, emerga la corrispondenza delle attività in essere con quelle oggetto di autorizzazione, e non vi sia quindi alcuna violazione da contestare, l’attività ispettiva si conclude con esito positivo.
In tal caso, è buona prassi rilasciare un verbale (comunemente denominato Verbale di operazioni compiute o anche Verbale di primo accesso), nel quale venga riportata la descrizione dell’attività svolta, con l’indicazione della data, dell’ora di inizio e di fine controllo, le indicazioni del personale intervenuto (sia ispettivo che di parte), il riferimento ad eventuali documenti acquisiti o verificati, ai luoghi sottoposti al controllo e all’eventuale rilievo video-fotografico.
Qualora, invece, si ravvisi la necessità di sospendere temporaneamente il controllo, in ragione della complessità dell’intervento o per esigenze di approfondimento non esperibili nel corso del controllo in essere, e la medesima attività di controllo dovesse proseguire in un successivo momento, è opportuno che l’organo di vigilanza rilasci un verbale (sempre denominato Verbale di operazioni compiute o Verbale di primo accesso), in cui si darà atto che l’attività ispettiva svolta in quella data, seppure conclusa in loco all’ora indicata, proseguirà con un ulteriore intervento di controllo stante necessità di ulteriore attività.
Anche nel caso in cui l’attività di controllo svolta in loco non risulti essere sufficiente ad escludere possibili violazioni e vi sia la necessità di operare ulteriori verifiche da esperire tramite attività d’ufficio, dovrà essere fatta espressa menzione verbale.
In ogni caso, il verbale va controfirmato dal soggetto che ha partecipato alla visita ispettiva, al quale deve essere rilasciata copia.
Diversamente, nel caso in cui in fase di controllo operativo si fosse accertata la violazione di norme, regolamenti o prescrizioni aventi quale misura afflittiva una sanzione amministrativa, il personale intervenuto dovrà procedere con la contestazione della violazione, redigendo apposito Processo Verbale di Accertamento (PVA), secondo quanto previsto dall’art. 14 della Legge n. 689/1981.
Nota: Legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale” all’art. 14 (Contestazione e notificazione) prevede che: “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.
Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento”.
Dall’attività ispettiva, potrebbero altresì emergere violazioni penali, accertate nel momento del controllo o in una fase successiva a seguito di ulteriori controlli d’ufficio.
In tal caso, gli operatori intervenuti in qualità di pubblici ufficiali (e quindi non appartenenti a forze di polizia con qualifiche di APG/UPG), hanno l’obbligo di farne denuncia per iscritto presentando o trasmettendo senza ritardo la denuncia stessa all’Autorità giudiziaria o a un ufficiale di polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia locale, Corpo forestale, Guardia di Finanza, ecc.).
Nota: Articolo 331 c.p.p. (Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio)
1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.
3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.
19.3.3. Impedimento delle attività di controllo
19.3.3.Impedimento delle attività di controlloLe attività di controllo costituiscono uno dei perni su cui ruota l’intero impianto del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, che fonda la sua ratio nella definizione del rapporto tra ambiente ed attività umana, attraverso l’analisi dell’impatto dell’una (l’attività umana) sull’altro (l’ambiente), rappresentando a tal fine la necessità che qualsiasi attività sia svolta in modo “conosciuto” dalla Pubblica Amministrazione, attraverso il rilascio di un’autorizzazione e la conseguente attività di controllo sul rispetto e l’osservanza del contenuto di questa.
Le attività di controllo diretto da parte della Pubblica Amministrazione, pur a fronte delle verifiche di autocontrollo da parte delle imprese, rimangono tutt’ora lo strumento necessario ed irrinunciabile, e nello stesso tempo quello più valido ed efficace, per contrastare fenomeni di illeceità nel complesso mondo che interessa le attività di impatto ambientale; fra queste le attività di gestione di rifiuti, di gestione delle acque, di emissioni in atmosfera e di tutte quelle attività incidenti, direttamente o indirettamente, sull’ambiente.
Appare, quindi, del tutto evidente che senza un’organizzazione efficace del controllo non si può ottenere un valido e soddisfacente presidio del territorio. Né, tantomeno, tale presidio può realizzarsi se il controllo di vigilanza ambientale viene ostacolato, eluso o, in qualsivoglia forma, impedito.
Come evidenziato in precedenza, con la Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (c.d. “ecoreati”) il legislatore ha inteso presidiare con maggior forza l’importante funzione del controllo, introducendo il delitto d’impedimento al controllo, come definito all’art. 452-septies cod. pen.
Nota: Si osservi che, in precedenza, le attività di controllo erano presidiate dagli artt. 336 e 337 del c.p.
Art. 336 c.p. (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) - Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Art. 337. (Resistenza a un pubblico ufficiale) Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Accanto a queste “sanzioni generiche” c’erano comunque norme del D.Lgs. n. 152/2006 che prevedevano fattispecie di reato specifiche, come, ad esempio quella prevista all’art. 137, comma 8, laddove si prevede che: “Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’articolo 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.”.
Con l’introduzione dell’art. 452-septies è stata superata la genericità della tutela precedente (ed anche il limite del reato specifico rivolto solo alla materia “scarichi”), prevedendo una fattispecie di reato che punisce tutte le condotte destinate a ostacolare o impedire il normale svolgimento delle attività di controllo in materia ambientale, che si manifestino in maniera attiva, omissiva oppure fraudolenta.
Il tenore letterale della norma “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni” evidenzia tre condotte penalmente rilevanti e tra loro alternative:
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l’opposizione all’accesso;
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la predisposizione di ostacoli;
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il mutamento artificioso dello stato dei luoghi interessati dal controllo.
Relativamente alla prima fattispecie, riferita all’ opposizione all’accesso, la dottrina ha rilevato differenti significati, tra questi la materiale impossibilità all’accesso anche attraverso una condotta omissiva (ad es. la chiusura di un cancello d’accesso o la sua mancata apertura).
La stessa dottrina rileva che la predisposizione di ostacoli può concretizzarsi anche con la realizzazione di opere e strutture che rendono non agevole il controllo, nascondendone ad esempio condutture abusive o il pozzetto di prelievo o camini di emissione.
Il mutamento artificioso dello stato dei luoghi configura la terza condotta a rilevo penale: questa può manifestarsi, in ipotesi, attraverso il sotterramento di rifiuti o anche la rimozione di condutture abusive o di punti di emissione non autorizzati.
Oltre agli esempi sopra richiamati, in dottrina sono state tipizzate altre condotte facilmente realizzabili e potenzialmente rilevanti penalmente, tra queste:
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il diniego di accesso ai luoghi ove deve essere effettuato il controllo;
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la predisposizione di bypass degli scarichi;
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la sottrazione alla vista di una massiccia diluizione degli stessi;
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la mirata riduzione dell’attività di un impianto;
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l’occultamento di specifiche attività incidenti sul carico inquinante di un determinato processo produttivo;
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il rifiuto della necessaria collaborazione che determini le conseguenze descritte dalla fattispecie in esame;
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l’occultamento della documentazione esistente presso l’azienda.
Individuati sinteticamente i contorni delle condotte penalmente rilevanti, va posta l’attenzione sul profilo del soggetto sottoposto al controllo, ai fini dell’individuazione della responsabilità penale riferita alle condotte sopra nominate.
Essendo tale fattispecie criminosa riconducibile alla qualificazione di “reato comune”, va da sé che è applicabile a chiunque, non solo al titolare di un’autorizzazione ma anche a qualsiasi altro soggetto, ancorché privo di titoli autorizzativi, che tenga una delle condotte previste dall’art. 452-septies.
È chiaro l’intento del legislatore che, estendendo la platea dei destinatari, ha voluto rafforzare il presidio e la tutela delle attività di controllo.
19.3.4 La procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali.
19.3.4La procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali.Affrontando il tema dei controlli, e nello specifico quelli da cui derivano violazioni di naturale penale, è necessario soffermarsi sulle rilevanti ricadute “di favore” nei confronti dei soggetti responsabili di dette violazioni, introdotte con Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, con cui il legislatore ha novellato il Codice penale, introducendo il Titolo VI-bis rubricato “Dei delitti contro l’ambiente”, al fine di contrastare gli illeciti di maggior gravità in materia ambientale.
Nota: Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”
Titolo VI-bis del Codice penale “Dei delitti contro l’ambiente”
art. 452-bis. (Inquinamento ambientale)
art. 452-ter. (Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale)
art. 452-quater. (Disastro ambientale)
art. 452-quinquies. (Delitti colposi contro l’ambiente)
art. 452-sexies. (Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività)
art. 452-septies. (Impedimento del controllo)
art. 452-octies. (Circostanze aggravanti)
art. 452-novies. (Aggravante ambientale)
art. 452-decies. (Ravvedimento operoso)
art. 452-undecies. (Confisca)
art. 452-duodecies. (Ripristino dello stato dei luoghi)
art. 452-terdecies. (Omessa bonifica).
Con la stessa legge è stato, altresì, modificato il D.Lgs. n. 152/2006 inserendo la Parte titolata VI-bis, che reca la “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”.
Le norme così introdotte consentono di “annullare” alcune violazioni penali contenute nel decreto - nello specifico le sole forme contravvenzionali - mediante lo svolgimento di alcune procedure, strutturate sulla falsariga del modello di regolarizzazione dettato per gli illeciti previsti in materia di tutela della salute dei lavoratori.
Nota: Trattasi del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro” e del successivo D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Tale procedura, volta ad “annullare la contravvenzione”, si realizza attraverso l’imposizione di un obbligo di facere nei tempi e nei modi contenuti nella prescrizione stessa. Una volta accertato l’adempimento di quanto prescritto, tale modalità “di favore” consente al contravventore di estinguere l’illecito mediante il pagamento di una somma pari ad un quarto dell’ammenda prevista per quella fattispecie di reato.
Stante l’importante ricaduta “positiva” di tale innovazione sui soggetti responsabili di violazioni contravvenzionali di cui al D.Lgs. n. 152/2006 e l’innegabile effetto “deflattivo” del contenzioso giudiziario, tale norma è di frequente applicazione.
Non possono, tuttavia, essere ignorate le difficoltà operative che incontra il personale della polizia giudiziaria nell’applicazione concreta di questa norma né possono essere sottaciuti i profili di criticità della norma stessa, che talvolta limitano la sua puntuale ed efficace applicazione.
19.3.5 La Parte VI-bis del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Criticità applicative
19.3.5La Parte VI-bis del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Criticità applicativeCome già ricordato, l’ambito di applicazione dei precetti contenuti nella novellata Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006, è costituito dalle “ipotesi contravvenzionali in materia ambientale” contenute nello stesso decreto.
Nota: D.Lgs. n. 152/2006, n. 152
Parte sesta-bis. - Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale.
318-bis. Ambito di applicazione
1. Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.
Nota: Gli elementi di novità contenuti nella Parte VI-bis costituiscono, allo stesso tempo, anche elementi di criticità. Come detto, la disciplina è stata mutuata dal D.Lgs. n. 758/1994 in materia di sicurezza sul lavoro, ambito in cui le funzioni di controllo sono svolte da un ben definito “organo di vigilanza” individuato nel servizio SPRESAL (Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro) delle Aziende Sanitarie, il cui personale pur avendo qualifiche di polizia giudiziaria, dispone di adeguate competenze tecniche.
Tale modello è stato trasferito in ambito ambientale, prevedendo che la polizia giudiziaria possa impartire prescrizioni di carattere tecnico. Tuttavia, a differenza degli ispettori del lavoro, la polizia giudiziaria non dispone delle competenze tecniche specialistiche che la complessità delle norme ambientali richiede.
In tal modo il legislatore ha inteso applicare, con un semplicistico “copia e incolla” le medesime procedure a due discipline fortemente eterogenee, utilizzando una norma nata e voluta per le esigenze del mondo del lavoro, applicata da soggetti tecnicamente adeguati, per dare una risposta “deflattiva” alla complessa materia ambientale, caratterizzata tuttavia da un quadro ordinamentale molto più articolato e complesso.
Al fine di meglio comprendere le potenzialità della norma e le sue criticità operative, è utile analizzare in dettaglio ogni singolo articolo, cercando di cogliere e di mettere in evidenza le difficoltà di interpretazione, oltre che le difficoltà operative, che l’operatore di polizia giudiziaria incontra nell’applicazione.
Nota: Prima di passare ad un’analisi puntuale delle procedure applicative, può essere di ausilio nella comprensione mettere in evidenza alcuni aspetti di criticità, che fanno riferimento non tanto al merito della norma stessa, quanto alla “tecnica legislativa” utilizzata (c.d. “drafting formale”), ovvero ai criteri redazionali dell’atto e alle espressioni linguistiche che, se correttamente utilizzati dovrebbero facilitare la comprensione del testo ma che, in alcuni casi, lungi dall’assolvere tale fine, generano criticità interpretative. Alcuni esempi:
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il titolo: Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale; la norma non disciplina affatto gli illeciti amministrativi che restano assoggettati alla Legge n. 689/1981 (Legge di depenalizzazione);
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la terminologia utilizzata: nell’art. 318-ter, comma 1, laddove viene indicato il soggetto che impartisce le prescrizioni, si fa riferimento letteralmente ad un “organo di vigilanza nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale ovvero la polizia giudiziaria…”. Sarebbe stata necessaria una maggiore chiarezza poiché l’ambiguità dell’avverbio “ovvero” così inserito non permette di comprendere se questo debba esser inteso in senso disgiuntivo, valendo quale oppure, o se debba esser inteso in senso esplicativo con valore di cioè, vale a dire. È probabile, ed anche logico, supporre che questo debba essere inteso con valore di esplicazione, consentendo ed obbligando così tutti quei soggetti diversi dalle forze di polizia, per legge agenti ed ufficiali di PG (ad esempio il personale delle ARPA o altri funzionari pubblici con qualifica di PG) a dare applicazione alla disciplina;
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ancora relativamente alla terminologia: mentre all’art. 318-ter, comma 1, viene fatto riferimento all’organo di vigilanza, questo, improvvisamente, ai commi 3 e 4 dello stesso articolo, si trasforma in “organo accertatore”, così come viene altresì citato anche all’art. 318-quater, commi 1, 2 e 3, per ritornare nuovamente alla definizione di “organo di vigilanza” agli artt. 318-quinquies, commi 1 e 2 e 318-septies, commi 1 e 2. È interessante notare, in via comparativa, che nel D.Lgs. n. 758/1994 dal quale la disciplina è mutuata, si fa sempre e solo riferimento in tutto l’articolato all’“organo di vigilanza nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale”, consentendo maggior chiarezza nell’individuazione del soggetto con il potere-dovere di emettere le prescrizioni.
Tali aspetti, che potrebbero apparire di minimo interesse, sono di rilevante importanza per l’operatore di polizia giudiziaria che si trova a dover dar applicazione alla norma in un ambito - quello penale - in cui in cui vi è necessità di chiarezza semantica e di intelligibilità del precetto, oltre che di una precisa definizione della cornice di poteri entro cui la polizia giudiziaria è chiamata ad operare.
L’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha elaborato in data 29 novembre 2016 gli “Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006”, ai quali sono seguiti alcuni interventi di aggiornamento, cui si farà riferimento nel prosieguo. In tale documento sono stati presi in esame diversi pareri sull’argomento, espressi da Procure della Repubblica, Regioni e ARPA.
➔ Le ipotesi contravvenzionali
L’art. 318-bis, laddove definisce l’ambito di applicazione della norma, prevede espressamente che: “Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto…”.
L’esatta individuazione delle fattispecie contravvenzionali contenute nel D.Lgs. n. 152/2006 per le quali è ammessa la procedura estintiva qui oggetto d’attenzione, è particolarmente discussa, stante il tenore letterale molto generico.
Il contrasto interpretativo si manifesta tra chi ritiene che la norma sia applicabile a tutte le contravvenzioni punite con la sola ammenda, oppure in alternativa o concorrente all’arresto,
Nota: Ipotesi riferita alle fattispecie di cui:
Parte II del D.Lgs. n. 152/2006: art. 29-quattuordecies, commi 1, 3 e 5;
Parte III del D.Lgs. n. 152/2006: art. 137, commi 1, 2, 5, 6, 7, 9, 10, 12, e 14;
Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006: art. 256, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; art. 257, comma 1 e 2; art. 259, comma 1;
Parte V del D.Lgs. n. 152/2006: art. 279, commi 1, 2, 3, 4 e 6.
e chi ritiene applicabile la procedura solo alle prime due,
Nota: Ipotesi riferita alle fattispecie di cui alla Parte III del D.Lgs. n. 152/2006: art. 137, commi 3, 8, 11 e 13.
escludendo, insieme alle contravvenzioni punite con il solo arresto, anche quelle con pena congiunta.
Nota: Ipotesi riferita alle fattispecie di cui alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006: art. 279, comma 5.
L’interpretazione maggioritaria fornita dalle Procure fa riferimento alla prima tesi, ovvero quella secondo cui l’estinzione si applica alle contravvenzioni la cui pena è la sola ammenda o questa in alternativa all’arresto, escludendo tutte le altre.
Il personale con qualifica di polizia giudiziaria dovrà attenersi alle direttive emesse dalla Procura territorialmente competente.
In tal modo, tuttavia, si rischia di creare sul territorio nazionale delle diseguaglianze di fatto, determinando situazioni in cui casi uguali vengono trattati in maniera diversa, attraverso direttive applicative differenti a seconda delle Procure di riferimento.
➔ Danno e pericolo concreto ed attuale di danno - Ruolo della PG
Dopo aver limitato l’ambito di applicazione ai soli reati di natura contravvenzionale, l’art. 318-bis, limita ulteriormente l’applicabilità della norma alle sole fattispecie “… che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”.
Per poter dare avvio alla procedura estintiva, dovrà quindi essere preliminarmente accertata l’assenza di danno o pericolo concreto ed attuale di danno in relazione alla risorsa a carico della quale tale danno o pericolo si manifesta.
La definizione giuridica di danno ambientale è quella riportata all’art. 300, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006.
Nota: D.Lgs. n. 152/2006 - Articolo 300 (Danno ambientale)
1. È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata dal quest’ultima.
2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché’ della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione; b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo su: 1) lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, fatta eccezione per gli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva, oppure; 2) lo stato ambientale delle acque marine interessate, quale definito nella direttiva 2008/56/CE, nella misura in cui aspetti particolari dello stato ecologico dell’ambiente marino non siano già affrontati nella direttiva 2000/60/CE; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali; d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.
Secondo il dettato della norma deve trattarsi di un danno “pesantemente” incidente sullo stato dell’ambiente e comunque circoscritto ai limiti giuridici di cui alla definizione.
Recente giurisprudenza ha, tuttavia, stabilito che “in tema di reati ambientali, il danno previsto dall’art. 318-bis del D.Lgs. n. 152/2006, ostativo all’estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale, non si identifica con il “danno ambientale” di cui all’art. 300 del medesimo decreto, che ha natura ben più ampia e consistente, potendo invece il danno ex art. 318-bis avere dimensioni e consistenza minori e riguardare, oltre le risorse naturali, anche quelle urbanistiche o paesaggistiche protette”.
GIURISPRUDENZA
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Cass. Sez. III, 16 ottobre 2023, n. 41889
Deve altresì farsi richiamo all’art. 452-bis cod. pen. che nel definire “l’inquinamento ambientale”, fa riferimento alla “compromissione ed il deterioramento significativi e misurabili dello stato del suolo, sottosuolo, acque, aria, ecosistema, biodiversità, compresa quella agraria, flora e fauna selvatica”.
Anche in questo caso le posizioni espresse dalle Autorità Giudiziarie e dagli altri soggetti chiamati a fornire indirizzi interpretativi non sono omogenee. Prevalente è la posizione che ritiene la procedura applicabile sia alle contravvenzioni formali sia a quelle sostanziali, anche se non manca chi considera applicabile la norma alle sole contravvenzioni formali, di pericolo astratto, come l’assenza di un titolo autorizzativo.
Tenuto conto della complessità delle valutazioni che devono essere operate per accertare la presenza o meno di danno o pericolo concreto e attuale di danno, chi è il soggetto che deve stabilire la sussistenza di questa condizione dirimente per l’applicazione della disciplina? Ai sensi della dell’art. 318-ter tale competenza è, senza dubbi interpretativi, chiaramente ascritta alla polizia giudiziaria.
Infatti, la prima parte dell’articolo recita: “Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione …”.
La portata della norma è dirompente: viene posta in capo a tali soggetti, che hanno di norma una competenza generalista in materia di procedura penale ma non sempre una competenza tecnica qualificata in materia ambientale, la responsabilità di accertare la presenza o meno di un danno al fine di permettere o non permettere al responsabile di poter essere ammesso alla procedura estintiva.
Ci si chiede, sul punto, se un agente della Polizia locale, un agente della Polizia di Stato, un Carabiniere, un operatore della Guardia di Finanza possa disporre di quel bagaglio di conoscenze specialistiche necessarie per avvalorare tale accertamento.
È verosimile quindi, che la polizia giudiziaria procedente abbia necessità di avvalersi di altri soggetti, nominando un “ausiliario” di polizia giudiziaria.
Nota: Figura prevista al comma 4 dell’art. 348 c.p.p. (Assicurazione delle fonti di prova)
La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.
Va, in questa sede, richiamata l’attenzione sull’ampio margine di discrezionalità di cui dispone la polizia giudiziaria procedente. È inevitabile, quindi, che gli stessi accadimenti e le medesime situazioni possano essere valutate in maniera diversa a seconda del soggetto chiamato ad intervenire che, come già detto, potrebbe non disporre di adeguate competenze tecnico-scientifiche.
A complicare ulteriormente questo quadro è la giurisprudenza della Cassazione penale, che si è occupata delle procedure estintive qui in argomento. Gli “ermellini” affermano che “gli artt. 318-bis e seguenti del D.Lgs. n. 152/2006, non contemplano l’ipotesi che la polizia giudiziaria impartisca obbligatoriamente una prescrizione per consentire alla parte l’estinzione del reato”. Tale giudizio si trova in linea con quanti ritengono che non si rinvenga in nessuno degli articoli “prescrittivi” una espressa obbligatorietà.
GIURISPRUDENZA
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Cass. Sez. III, 22 agosto 2018, n. 38787
In tema di responsabilità ambientale, gli artt. 318-bis ss. del D.Lgs. n. 152/2006 non contemplano l’ipotesi che la polizia giudiziaria impartisca obbligatoriamente una prescrizione per consentire alla parte l’estinzione del reato. In materia d’infortuni sul lavoro, il cui meccanismo è stato riprodotto nel citato decreto n. 152/2006, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non rende l’azione penale improcedibile: la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata.
A tale proposito va però ricordato che il tenore letterale dell’art. 318-ter non sembra lasciare dubbi in merito, avendo il legislatore utilizzato il verbo “impartire” coniugandolo nella terza persona singolare dell’indicativo presente: alla formulazione “impartisce” non può, invero, essere attribuito alcun margine di discrezionalità perché, se questa fosse stata l’intenzione, il legislatore avrebbe utilizzato l’espressione “può impartire”.
A parere di chi scrive, l’operatore non dovrebbe discostarsi dal significato letterale della norma anche perché la discrezionalità nell’agire - facoltà che, come detto, non pare rinvenibile nel testo della norma - rischierebbe di tradursi in una disparità di trattamento qualora, in ipotesi, a fronte di due fatti contravvenzionali equivalenti a carico di soggetti diversi, nei confronti dell’uno si applicasse la procedura estintiva impartendo le “prescrizioni”, mentre nei confronti dell’altro si avviasse il procedimento ordinario senza concedere il favor introdotto dalla norma in esame.
➔ La prescrizione asseverata
Dopo aver accertato e stabilito la “non presenza” di danno o di pericolo concreto di danno, l’operatore di polizia giudiziaria deve, secondo la previsione normativa, impartire “al contravventore un’apposita prescrizione …”.
Qui l’aspetto della competenza tecnico-scientifica dell’operatore procedente emerge in tutta in evidenza: rilevato un fatto-reato, accertata l’assenza di un danno o di un pericolo concreto ed attuale di danno all’ambiente ma rilevati gli effetti negativi su questo, l’operatore di polizia giudiziaria è chiamato a trovare le soluzioni tecniche idonee a rimuovere quegli aspetti dannosi, al fine di ripristinare lo stato dei luoghi.
Emerge, in questa fase, uno degli aspetti di criticità della norma: l’operatore di polizia giudiziaria deve redigere un “atto di prescrizioni” di contenuto tecnico, nel quale deve essere dato conto della situazione in essere ovvero degli effetti negativi di un determinato comportamento e nel quale deve essere, altresì, evidenziata la mancanza di danno o di un pericolo concreto ed attuale di danno all’ambiente. Nello stesso tempo, il medesimo operatore deve imporre interventi strutturali, provvedimenti tecnici, formalità amministrative e tempi di realizzo, ovvero tutte le misure ritenute idonee per la “regolarizzazione” della condizione di illiceità accertata.
A fronte di tale evidente complessità, nella consapevolezza che l’operatore di polizia giudiziaria potrebbe non disporre delle competenze tecnico- scientifiche necessarie, il legislatore ha posto una sorta di “correttivo”, prevedendo l’intervento di una procedura di “asseverazione” tecnica da parte dell’ente che ha la competenza in materia.
Recita, a tal proposito, la norma: “la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario”.
Nota: si osservi che nella disciplina relativa alla sicurezza del lavoro, dettata dal D.Lgs. n. 758/1994 e dalla quale la procedura in esame è stata mutuata, non esiste alcuna previsione di asseverazione, poiché il personale che si occupa di quella materia, prima di essere un operatore di PG è un tecnico specializzato nella materia stessa. Di talché la prescrizione imposta al contravventore, redatta sulla base di specifiche conoscenze tecniche, non necessita del vaglio di nessun altro soggetto, a tutto vantaggio della celerità e dell’efficacia dell’intervento.
Nella materia che qui interessa, il coinvolgimento di due distinti soggetti determina inevitabilmente un allungamento dei tempi di procedura ed il rischio di divergenze interpretative tra organi di diversa natura: cosa succede se l’organo tecnico non è d’accordo con le prescrizioni impartite dalla polizia giudiziaria intervenuta? Che margine di intervento ha l’organo tecnico di impartire proprie ulteriori prescrizioni? Che natura ha l’atto di asseverazione dell’organo tecnico?
Non vi sono risposte codificate a quesiti di questo genere: quale “buona prassi” è utile impostare i rapporti tra polizia giudiziaria e organi tecnici in una logica di stretta e leale collaborazione, individuando percorsi di confronto e di condivisione sui contenuti dei provvedimenti da adottare in modo da prevenire, e se del caso chiarire in via preliminare, eventuali divergenze interpretative.
Va altresì evidenziato che in tema di obbligatorietà del rilascio dell’asseverazione si riscontrano posizioni disomogenee.
Come evidenziato nel documento ISPRA già richiamato, emergono posizioni che ritengono non necessaria l’asseverazione in presenza di determinate circostanze (è il caso di prescrizioni impartite da un organo tecnico, prescrizioni meramente formali o prescrizioni che non comportino valutazioni e conoscenze tecniche di una certa complessità, quantomeno non superiori a quelle normalmente possedute da un operatore di PG).
Di contro, esistono posizioni formalmente più rigorose, che ritengono l’asseverazione quale elemento indispensabile per la legittimità delle prescrizioni impartite.
Nel prosieguo, l’art. 318-ter pone ulteriori incombenze in capo all’organo di polizia giudiziaria, disponendo che “in presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella regolarizzazione, il termine può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero”.
In questo caso, spetta all’operatore di polizia giudiziaria valutare se sussistano o meno circostanze indicate nella norma, emettendo un provvedimento motivato che a sua volta dovrà essere comunicato al Pubblico Ministero.
In questi casi, ci si chiede se la richiesta di proroga debba essere valutata nuovamente dall’organo tecnico che ha asseverato le prescrizioni.
La risposta in questo caso non può che essere negativa: alla luce del dettato normativo, la valutazione sulle motivazioni addotte dal contravventore è carico dell’operatore di polizia giudiziaria, senza che vi sia necessità di sottoporre le sue determinazioni al vaglio dell’organo tecnico.
Inoltre, poiché l’atto di assenso alla proroga viene concesso prima che lo stesso sia comunicato al Pubblico Ministero, cosa succede se questo dissente sulla determinazione assunta dalla polizia giudiziaria a seguito della valutazione delle motivazioni addotte dal contravventore? In tal caso è opportuno, per “buona prassi”, che l’operatore di polizia giudiziaria informi il magistrato sulla richiesta di proroga, anticipando se del caso le sue determinazioni, la fine di consentire al Pubblico Ministero di esprimere la sua eventuale contrarietà.
➔ La notizia al Pubblico Ministero
Il comma 4 dell’art. 318-ter, recita: “Resta fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale”.
La norma richiama l’obbligo di riferire la notizia di reato al Pubblico Ministero, che l’operatore di polizia giudiziaria avrà cura di comunicare nei tempi e nei modi dettati dal citato articolo del codice di procedura penale.
Nota: Art. 347 c.p.p.: Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.
Nel comunicare la notizia di reato l’operatore dovrà evidenziare se sarà applicata o meno la procedura estintiva, perché va da sé che in caso di applicazione della procedura estintiva le tempistiche saranno più dilatate.
In questa fase l’operatore deve prestare attenzione all’obbligo di motivare la “non applicazione della disciplina”, qualora ritenga di orientarsi verso questa ipotesi.
Dai documenti elaborati da ISPRA (Paragrafo 9: Tabelle sinottiche tratte dal documento ISPRA - Tabella sinottica degli indirizzi a livello nazionale) emerge in modo chiaro la linea di indirizzo espressa dalle Procure, che sono uniformemente orientate verso l’obbligatorietà della motivazione.
Nota: A titolo esemplificativo si riporta la direttiva della Procura Distrettale Antimafia presso il Tribunale di Trieste - prot. nr. 385/2016 - Oggetto: Linee guida in tema di prescrizioni ed estinzione delle contravvenzioni ambientali ai sensi degli artt. 318-bis-318-octies del D.Lgs. n. 152/2006.
“D’altra parte l’organo accertatore, per giustificare la non attivazione della nuova disciplina - senz’altro di favore per il reo - deve esplicitare le ragioni che hanno impedito di procedere ad impartire prescrizioni a fini di regolarizzazione: il che significa che deve illustrare l’esistenza in punto di diritto e in fatto dell’impossibilità di rimuovere la condizione di irregolarità per essersi già irrimediabilmente realizzato quel danno o quel pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”.
La ratio di tale obbligatorietà fonda sul fatto che l’eventuale esclusione dal favor nei confronti del contravventore, essendo particolarmente penalizzante per il trasgressore, deve essere assunta previa approfondita valutazione, della quale l’operatore deve dare conto con adeguata e puntuale motivazione.
➔ La verifica dell’adempimento e l’ammissione al pagamento
Il comma 1 dell’art. 318-quater prevede che: “Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione ai sensi dell’articolo 318-ter, l’organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione”.
La norma concede un termine temporale molto ampio per la verifica da parte dell’organo dell’avvenuta esecuzione di quanto imposto con le prescrizioni.
È, tuttavia, opportuno che l’operatore di polizia giudiziaria non attenda lo scadere del termine per effettuare il controllo: è “buona prassi” interloquire con il contravventore durante la fase operativa, verificando lo stato di avanzamento degli interventi prescritti.
Al termine dell’esecuzione l’operatore di polizia giudiziaria deve accertare l’adempimento della prescrizione, in modo da poter ammettere il contravventore a pagare, in “sede amministrativa”, in un termine massimo di trenta giorni, una somma del valore pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Il tenore letterale della norma, che ammette il pagamento in “sede ammnistrativa”, non deve trarre in inganno inducendo a considerare tale verbale un atto tipico di natura ammnistrativa.
Si osservi, infatti, che il trasgressore viene ammesso a pagare “un quarto del massimo dell’ammenda”, e l’ammenda è una delle sanzioni che caratterizza l’illecito penale.
Diversamente, se si fosse voluto ritenere tale pagamento un adempimento di natura amministrativa, sarebbe stata utilizzata correttamente l’espressione di “sanzione amministrativa pecuniaria”.
Ne consegue che i verbali di contestazione non dovranno essere redatti sui modelli utilizzati per contestare le violazioni a precetti di natura amministrativa, ai sensi della Legge n. 689/1981, ma dovranno essere strutturati secondo lo schema degli atti giudiziari.
Anche le eventuali doglianze da parte del contravventore non potranno essere espresse con “memorie e scritti difensivi” - modalità che caratterizza la partecipazione e il diritto di difesa nel procedimento sanzionatorio amministrativo - ma dovranno essere fatte valere davanti all’Autorità Giudiziaria.
La polizia giudiziaria dovrà comunicare al Pubblico Ministero, entro il termine di centoventi giorni dal pagamento, l’adempimento della prescrizione e, qualora effettuato dal trasgressore, l’avvenuto pagamento della somma.
Nota: La sospensione del procedimento penale
Dopo la comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria, il procedimento verrà iscritto nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. ma rimarrà sospeso fino al momento in cui l’operatore di polizia giudiziaria comunicherà al Pubblico Ministero l’esito che potrebbe configurare:
-
l’avvenuto adempimento della prescrizione;
-
l’avvenuto pagamento di un quarto del massimo dell’ammenda;
-
il mancato adempimento delle prescrizioni;
-
il mancato pagamento;
-
il ritardato pagamento.
Si osservi che la norma non indica l’ente al quale devono essere versate le somme né a quali capitoli tali somme debbano essere imputate. Nel silenzio del legislatore, la posizione comune espressa dalle Procure è quella di assimilare il pagamento al regime dell’oblazione processuale, quindi mediante versamento con modello F23 da compilare e versare alle Poste italiane, per l’accreditamento alla competente tesoreria.
Sul tema va, comunque, segnalato un recente intervento del MASE che, rispondendo ad un quesito posto dalla Città di Venaria Reale - Città Metropolitana di Torino circa l’applicazione della normativa in oggetto, ha risposto affermando che “gli importi pagati per l’estinzione della contravvenzione sono destinati all’entrata in bilancio dello Stato, così come previsto dall’art. 318-quater, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006. Pertanto, si comunica che è stato istituito il nuovo capitolo di entrata 2596 avente la seguente denominazione: “Entrate di pertinenza del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per versamento delle sanzioni amministrative deflattive di reati ambientali, ai sensi dell’art. 318-quater comma 2 del D.Lgs. n. 152/2006”:
Capitolo 2596 art 01 - SOMME RISCOSSE IN VIA ORDINARIA
Capitolo 2596 art 02 - SOMME RISCOSSE A MEZZO RUOLI.”
Nota: Notizie di reato non pervenute dall’organo accertatore
L’art. 318-quinquies prevede che, qualora il Pubblico Ministero prenda notizia di una contravvenzione di propria iniziativa o la riceva da altri soggetti - in ipotesi, privati o pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio - informi l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria affinché provveda agli adempimenti di cui agli artt. 318-ter e 318-quater, che a sua volta informerà, senza ritardo, il Pubblico Ministero sulle attività svolta. Dal tenore letterale della norma si desume che debba essere rimessa alla polizia giudiziaria ogni valutazione sull’applicazione della disciplina, anche se la notizia è arrivata dall’Autorità giudiziaria. Quindi sarà l’operatore di polizia giudiziaria a fare tutte le valutazioni del caso, ed in particolar modo accertare l’assenza di danno o di pericolo concreto e attuale di danno, al fine di dar corso alla procedura estintiva.
Non deve, erroneamente, ritenersi che la delega del Pubblico Ministero sia, di fatto, già una valutazione sull’applicabilità della disciplina che, come detto, spetta solo alla polizia giudiziaria.
➔ L’estinzione del reato
Ai sensi dell’art. 318-septies, la contravvenzione si “annulla” con la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero, che interviene quando il contravventore esegue la prescrizione impartita dalla polizia giudiziaria entro il termine fissato e provvede al pagamento previsto dall’art. 318-quater, comma 2.
Potrebbero, tuttavia, verificarsi le seguenti condizioni:
-
l’adempimento, seppure congruo rispetto alla finalità, si concretizza in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione
-
l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione fossero attuate con modalità diverse da quelle indicate nella prescrizione.
In tali circostanze, l’intervento effettivamente realizzato, seppure difforme rispetto a quanto prescritto, sarà valutato ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis c.p.
Nota: Articolo 162-bis del codice penale: Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative.
1. Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa oltre le spese del procedimento.
2. …
Resta da definire a chi spetta valutare la congruità delle attività poste in essere, se sia la polizia giudiziaria operante o il Pubblico Ministero.
In questi casi la polizia giudiziaria dovrà annotare scrupolosamente e dettagliatamente i lavori posti in essere qualora difformi da quelli prescritti, per consentire al Pubblico Ministero di svolgere una puntuale ed approfondita valutazione della situazione in essere al fine di valutare l’applicabilità della norma di cui sopra.
19.3.6 Distonie applicative derivanti dall’applicazione della Legge n. 68/2015
19.3.6Distonie applicative derivanti dall’applicazione della Legge n. 68/2015➔ Oblazione ambientale e Ordinanza sindacale: rapporto tra le norme della Legge n. 68/2015 e l’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006
Una delle più evidenti distonie che si manifesta nell’applicazione della Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006, è il rapporto con alcuni provvedimenti contenuti nello stesso decreto, in particolar modo con quelli dettati dall’art. 192 e dall’art. 208, comma 13, fonte di “contraddizione interpretativa” per il soggetto gravato dall’applicazione delle misure ivi previste.
Nota: D.Lgs. n. 152/2006 - Articolo 192 (Divieto di abbandono)
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.
L’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 detta un principio cardine della normativa sui rifiuti, ovvero il divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti, sul suolo, nel sottosuolo e l’immissione nelle acque superficiali e sotterranee di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido.
La norma prevede che chiunque violi i divieti individuati dalla norma ha l’obbligo di provvedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. Tale obbligo si impone in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, nel caso in cui tale violazione possa essere a loro imputabile a titolo di dolo o colpa.
Tale responsabilità in concorso deve essere, tuttavia, dimostrata sulla base degli accertamenti effettuati dall’organo di vigilanza che ha accertato l’abbandono, in contraddittorio con i soggetti interessati.
Una volta accertata la responsabilità dell’autore materiale dell’illecito e, qualora ne ricorrano le condizioni, del proprietario e dei titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, il Sindaco territorialmente competente dispone, con ordinanza emessa nei confronti dei soggetti come sopra individuati, le operazioni necessarie per rimuovere ed avviare a recupero o smaltimento i rifiuti abbandonati disponendo altresì di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi.
Nel provvedimento sindacale deve essere indicato il termine entro cui provvedere, decorso il quale l’Amministrazione comunale procederà ad effettuare le operazioni previste e contenute nell’ordinanza, in via sostitutoria con diritto di rivalsa in danno dei soggetti obbligati, disponendo il successivo recupero delle somme anticipate.
Pertanto, come stabilito all’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006, gli autori dell’illecito sono assoggettati all’ordinanza sindacale ed in capo agli stessi incombe l’obbligo della rimozione, dell’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti nonché il ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area.
In caso di inottemperanza, a carico di tali soggetti si concretizzerebbe una violazione di natura penale, per l’inosservanza all’ordinanza, così come previsto dall’art. 255, comma 3 del Decreto Legislativo 152/2006.
Nota: D.Lgs. n. 152/2006 - Articolo 255 (Abbandono di rifiuti)
…
3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.
In base alla citata normativa, qualora un organo di controllo rilevi un abbandono di rifiuti, dovrà preliminarmente accertare e dimostrare, in contraddittorio, la responsabilità del soggetto trasgressore e dell’eventuale responsabilità solidale del proprietario e dei titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area.
Successivamente, dopo avere inviato la Comunicazione di notizia di reato alla Procura competente per territorio, dovrà dare informazione di quanto accertato al Sindaco del Comune ove insiste il territorio oggetto dell’abbandono, affinché lo stesso provveda all’emissione dell’ordinanza con cui imporre la rimozione e l’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi.
L’organo di controllo con funzioni di polizia giudiziaria, all’atto dell’accertamento di un abbandono di rifiuti, dopo aver svolto le valutazioni necessarie a stabilire se la fattispecie rientra tra quelle a cui è applicabile la disciplina dettata dalla Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006, dovrà imporre al contravventore specifiche “prescrizioni” - da asseverare a cura dell’organo tecnico competente, come illustrato in precedenza - al fine di porre rimedio agli effetti del reato, consentendo all’autore del fatto di avvalersi del favor normativo che permette di estinguere il reato previo pagamento della prevista quota di ammenda.
Deve però essere chiaro che questa procedura non fa venir meno quanto previsto dall’art. 192 sopra riportato, perché è comunque dovuta la comunicazione al Sindaco del Comune ove insiste il territorio oggetto dell’abbandono, il quale dovrà avviare il procedimento preordinato all’adozione della prescritta ordinanza.
Ciò che emerge dall’analisi delle procedure è una sorta di “duplicazione”: le prescrizioni impartite ai sensi dell’art. 318-ter del D.Lgs. n. 152/2006 e l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 fondano sulla medesima ratio. Dalla lettura sistematica delle norme non emerge in alcun modo la prevalenza di una misura sull’altra e quindi entrambe le procedure dovranno essere adottate.
Emerge, in tutta evidenza, una necessità di un raccordo stretto tra gli organi procedenti affinché i provvedimenti adottati siano condivisi e coordinati in modo da risultare fra loro coerenti. Diversamente, il soggetto destinatario di provvedimenti tra loro difformi nei modi e nei termini di realizzazione, potrebbe trovarsi in condizioni tali da dover violare l’uno o l’altro provvedimento.
Analogo rischio di “duplicazione di provvedimenti” si presenta anche nell’applicazione dell’art. 208, comma 13, del D.Lgs. n. 152/2006.
Come già evidenziato, trattasi della norma che disciplina le inosservanze alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni rilasciate per le attività di gestione di rifiuti, quali recupero e smaltimento (da non confondersi con le “prescrizioni” previste dall’art. 318-ter).
Nota: D.Lgs. n. 152/2006 - Articolo 208 (Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti)
13. Ferma restando l’applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo VI della parte quarta del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione l’autorità competente procede, secondo la gravità dell’infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente; c) alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente.
Analogamente a quanto sopra illustrato, anche in questo caso si ripropone un rischio di “duplicazione”: da un lato l’emissione di un atto di “prescrizioni” da parte della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 318-ter del D.Lgs. n. 152/2006, dall’altro il provvedimento con le “prescrizioni” emesse dall’ente che ha rilasciato l’autorizzazione (Regioni o Province), avente le stesse finalità.
Anche in questo caso le norme non consentono di individuare la prevalenza delle une sulle altre, e quindi dovranno essere eseguite entrambe le procedure.
E come già detto, si impone la necessità di uno stretto raccordo tra gli organi procedenti affinché i provvedimenti adottati siano fra loro coordinati.
➔ Oblazione ambientale e responsabilità amministrativa degli enti: rapporto tra le norme del D.Lgs. n. 152/2006 ed il D.Lgs. n. 231/2001
Analogamente a quanto emerso nella parte che precede, l’oblazione amministrativa introdotta dall’art. 318-bis presenta difficoltà di raccordo anche con il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.
Con il D.Lgs. n. 231/2001 il legislatore ha inteso superare l’anacronistico principio societas delinquere non potest, introducendo una responsabilità penale per gli enti collettivi, che vengono chiamati a rispondere degli illeciti commessi, nell’interesse o comunque a vantaggio dell’ente, da soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da soggetti che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente medesimo o che sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati.
La disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 231/2001 contempla, altresì, la responsabilità dell’ente qualora la commissione del reato sia stata resa possibile dall’inosservanza di obblighi di direzione o vigilanza. Tale responsabilità è tuttavia esclusa se, prima della commissione del reato, l’ente ha adottato ed attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Nota: D.Lgs. n. 231/2001 - Articolo 7 (Soggetti sottoposti all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente)
1. Nel caso previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché’ al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L’efficace attuazione del modello richiede: a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Per l’illecito amministrativo dipendente da reato viene contesta una sanzione pecuniaria, che viene commisurata in “quote” dal valore minimo di Euro 258,00 al valore massimo Euro 1.549,00. Il numero di “quote” non può essere inferiore a 100 (cento) né superiore a 1000 (mille), senza possibilità di estinzione mediante pagamento in misura ridotta.
Nota: D.Lgs. n. 231/2001 - Articolo 10 (Sanzione amministrativa pecuniaria)
1. Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.
2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.
3. L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.
4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.
Deve, altresì, evidenziarsi che le conseguenze sanzionatorie in termini di responsabilità degli enti si configurano solo in presenza dei c.d. “reati presupposto”. Fra questi sono compresi anche alcuni reati ambientali, elencati all’art. 25-undecies del decreto.
Nota: D.Lgs. n. 231/2001 - Articolo 25-undecies (Reati ambientali)
1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;
c) per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;
e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell’articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
f) per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
g) per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a).
2. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i reati di cui all’articolo 137:
1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
b) per i reati di cui all’articolo 256:
1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;
c) per i reati di cui all’articolo 257:
1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
d) per la violazione dell’articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
e) per la violazione dell’articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
f) per il delitto di cui all’articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;
g) per la violazione dell’articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;
h) per la violazione dell’articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.
3. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per la violazione dell’articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge n. 150 del 1992, rispettivamente:
1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall’articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il reato di cui all’articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per il reato di cui all’articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
6. Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall’articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
7. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a sei mesi.
8. Se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.
Resta da chiarire quale rapporto intercorra tra l’applicazione delle misure prescrittive della Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006 e l’applicazione delle misure sanzionatorie del D.Lgs. n. 231/2001.
Poiché non si desumono indicazioni interpretative in ordine al coordinamento tra le due norme, è doveroso chiedersi quali siano gli effetti per l’ente nel caso in cui la persona fisica, destinataria di contestazioni per violazioni ambientali di cui all’art. 25-undecies, scelga di ricorrere alla misura estintiva.
Parte della dottrina ritiene che la condotta riparatoria esercitata dal soggetto contravventore riverberi i propri effetti anche verso l’ente, che verrebbe così sollevato dalle relative responsabilità.
Ma dal tenore letterale dell’art. 8 del D.Lgs. n. 231/2001, tale posizione non pare sostenibile, posto che la norma testualmente recita “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando … il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”. Ne consegue che, anche a seguito dell’oblazione prevista dalla Parte VI-bis del D.Lgs. n. 152/2006, pur rimuovendo gli effetti del fatto-reato non è consentito all’ente di avvantaggiarsi del medesimo istituto.
APPROFONDIMENTI
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“Modelli organizzativi e sistemi di gestione ambientale, alla luce dell’estensione del D.Lgs. 231/2001 ai reati contro l’ambiente” - Guida per l’applicazione nel settore della gestione dei rifiuti adottata da FISE - Assoambiente - Edizione 2020.
19.3.7 Delega ambientale, conferimento di incarico e responsabilità
19.3.7Delega ambientale, conferimento di incarico e responsabilitàIn tema di responsabilità in campo ambientale, deve farsi richiamo alla delega di funzioni stante la sua rilevanza ai fini dell’imputabilità personale, con possibili conseguenze penali di particolare rilievo nei confronti del titolare e/o legale rappresentante di un’impresa.
La delega di funzioni, pur non essendo individuabile come istituto giuridico in senso stretto, essendo frutto dell’elaborazione giurisprudenziale delle sezioni penali della Suprema Corte, deve ritenersi oggi una pratica lecita ed ammissibile in presenza di determinate condizioni, oggettive e soggettive.
GIURISPRUDENZA
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Cassazione penale, Sez. III, 27 maggio 2020, n. 15941
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Cassazione penale, Sez. III, 6 settembre 2021, n. 32861.
In assenza di specifica normativa di disciplina della delega di funzioni in campo ambientale, soccorrono gli interventi giurisprudenziali della Corte di Cassazione, che ha elaborato il sistema della delega di funzioni sul presupposto di uno dei principi cardine del sistema penale, sancito dall’art. 27 Cost., secondo cui la responsabilità penale è esclusivamente personale.
La delega di funzioni si concretizza in un atto attraverso il quale il soggetto, sia esso titolare o rappresentante legale di un’impresa, trasferisce ad altro soggetto l’obbligo giuridico degli adempimenti di carattere ambientale legati ad una determinata attività, conferendo al delegato anche la relativa responsabilità.
È uno strumento che può assumere anche una valenza organizzativa, consentendo di conferire compiti e poteri a chi effettivamente gestisce l’attività d’impresa dal punto di vista operativo (ad esempio, il direttore di uno stabilimento) garantendo così una gestione più efficace.
Affinché possa attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti che di seguito si riportano, al cui verificarsi è subordinata l’efficacia liberatoria della stessa:
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la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
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il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli;
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il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa;
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la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa;
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l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
In relazione alla condizione di cui alla lett. e), va da sé che l’esistenza della delega ambientale deve essere resa conoscibile ed opponibile a terzi, anche mediante iscrizione in albi o pubblici registri.
Definita la cornice giuridica della delega ambientale, è utile mettere in luce le differenze di questo istituto con il generico conferimento di incarico, ovvero l’affidamento di determinate mansioni all’interno dell’organizzazione d’impresa, finalizzate ad una migliore gestione aziendale ma posto in essere con atti di gestione che non comportano trasferimento di responsabilità, come chiarito dalla giurisprudenza.
GIURISPRUDENZA
In tema di attività di gestione e smaltimento dei rifiuti, il conferimento di specifici incarichi a soggetti terzi non determina in alcun modo la cessazione o l’esautoramento dei poteri demandati all’amministratore di una società che gli impongono, secondo quanto sancito dall’art. 2392 cod. civ., di conservare il patrimonio sociale, impedire che si verifichino danni per la persona giuridica ed assolvere con la necessaria diligenza i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto, i quali si traducono, ove ad altri venga demandata la gestione di determinate attività, nell’esercizio di un puntuale dovere di vigilanza volto ad impedire lo svolgimento di attività illecite o comunque di verificare il corretto adempimento delle incombenze assegnate agli eventuali incaricati o collaboratori. A differenza della delega che comporta il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l’obbligo di vigilanza sul corretto esercizio della delega, il conferimento dell’incarico mantiene, invece, inalterati i poteri così come gli obblighi gravanti sul titolare della posizione di garanzia che risponde in prima persona dell’inosservanza degli obblighi connessi alla carica, comunque derivanti dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo delle attività demandate ai terzi. Pertanto, l’amministratore di diritto di una società risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti anche nel caso in cui la gestione societaria sia, di fatto, svolta da terzi, gravando sul primo, quale legale rappresentante, i doveri positivi di vigilanza e di controllo sulla corretta gestione della medesima società in virtù della carica ricoperta.
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Cassazione penale, Sez. III, 25 novembre 2019, Sentenza n. 47822.