12.1 Considerazioni preliminari
12.1Considerazioni preliminariIl sistema climatico del pianeta Terra costituisce un insieme complesso, influenzato da variabili esterne ed interne e costituito da una serie di sottoinsiemi (atmosfera, idrosfera, biosfera e geosfera) in mutua interazione tra loro. I singoli sottoinsiemi, strettamente connessi gli uni agli altri, sono caratterizzati da continui interscambi di materia ed energia, che si possono tradurre in cambiamenti climatici, a cui si aggiungono numerosi meccanismi di c.d. feedback, positivi o negativi in grado di intensificare o ridurre i processi iniziali di innesco.
Nel corso delle varie ere geologiche, la Terra è stata oggetto di continue variazioni climatiche di diversa natura e origine a cui, nell’ultimo millennio, si sono gradualmente aggiunte le interazioni antropogeniche connesse da un lato alle emissioni di gas ozono-lesivi e dall’altro alle emissioni di gas ad effetto serra, principalmente riconducibili alle attività produttive dei vari settori economici.
Sul primo versante, alla fine degli anni ’70, a seguito della scoperta del buco dell’ozono, il problema delle sostanze ozono-lesive iniziò ad essere discusso a livello mondiale. Inizialmente tale scoperta non venne accolta con entusiasmo, a causa dei grossi interessi economici che gravitavano intorno all’utilizzo dei clorofluorocarburi (CFC), allora impiegati in svariati settori produttivi grazie alla loro notevole stabilità.
Nel 1985 la rivista scientifica “Nature” pubblicò uno degli articoli scientifici più influenti del secolo, che cambiò la visione sull’uso dei CFC nel panorama mondiale. Un gruppo di ricercatori, Joe Farman, Brian Gardiner e Jonathan Shanklin, scoprì una notevole diminuzione del livello di ozono nella stratosfera sopra l’Antartide, con la formazione di un ‘buco’ della grandezza di un continente. L’articolo, che imputava all’utilizzo dei clorofluorocarburi tale anomalia della fascia di ozono, ebbe quasi immediatamente una risonanza mondiale, dato il ruolo di tale strato nel filtrare le radiazioni ultraviolette più intense generate dal sole.
Nello stesso anno la Comunità internazionale varò un sistema normativo di riferimento: la Convenzione di Vienna. L’obiettivo condiviso dai paesi firmatari consisteva nel proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti dannosi risultati dall’attività antropica, principale causa dell’impoverimento dello strato d’ozono presente nella stratosfera. Nel 1987 la stesura del Protocollo di Montréal riprese e ampliò la Convenzione di Vienna definendo una serie di misure per una progressiva eliminazione dei clorofluorocarburi (principale causa del buco dell’ozono) con una loro definitiva messa al bando entro il 2030. Successivi passi avanti sono stati compiuti in modo piuttosto costante, anche grazie ad ulteriori pattuizioni più recenti (Emendamento di Kigali, 2016).
Sul secondo versante, parallelamente agli studi e monitoraggi nonché alla regolamentazione sulle sostanze ozono-lesive, la comunità internazionale iniziò ad occuparsi del fenomeno dell’effetto serra e dei conseguenti cambiamenti climatici. L’effetto serra è un fenomeno naturale, causato da particolari gas (‘gas serra’), che favorisce il riscaldamento dell’atmosfera terrestre fino ad una temperatura adatta alla vita. Senza l’effetto serra naturale, sarebbe impossibile vivere sulla Terra, poiché la temperatura media sarebbe di circa -18°C.
L’incremento delle emissioni di gas serra antropogeniche inizia ad intensificarsi in modo preponderante nel XIX secolo, dopo la prima rivoluzione industriale, a causa del massiccio utilizzo del carbone come combustibile nell’industria, nei trasporti e nel riscaldamento domestico. Nel XX secolo cresce esponenzialmente, in particolare con l’invenzione dell’automobile, l’utilizzo delle benzine e dei derivati del petrolio e la produzione di energia elettrica, a cui si aggiungono le attività di disboscamento massiccio operate in alcune aree continentali. L’industrializzazione e lo sviluppo energetico causano, come diretta conseguenza, un rapido incremento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, individuati come principale causa dell’aumento della temperatura atmosferica e dell’alterazione dell’equilibrio climatico.
Un traguardo importante nell’impegno della comunità internazionale sul tema è rappresentato dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Resolution A/RES/43/53, Protection of global climate for present and future generations of mankind, del 6 dicembre 1988), tramite la quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconobbe definitivamente la «necessità di ulteriori ricerche e studi scientifici su tutte le fonti e le cause del cambiamento climatico». La risposta a questa precisa istanza è diventata uno degli obiettivi principali dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e del Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), che hanno promosso la costituzione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), avente l’obiettivo di valutare le informazioni scientifiche relative ai cambiamenti climatici, comprese le cause e gli effetti, al fine di fornire una base scientifica per le negoziazioni internazionali sui cambiamenti climatici.
Con l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra ad un livello tale da prevenire e ridurre al minimo le interferenze antropogeniche pericolose per il sistema climatico, le Nazioni Unite richiesero agli stati membri di pianificare e adottare una serie di iniziative mirate alla salvaguardia ambientale e alla promozione dell’efficienza energetica. Gli obiettivi prefissati furono poi alla base della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), trattato firmato durante la Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, ed entrato in vigore il 21 marzo 1994. La Convenzione Quadro si proponeva come un accordo di impostazione, senza vincoli stringenti alle emissioni di gas climalteranti, in quanto non dettava alle singole nazioni limiti obbligatori per le emissioni di gas serra. Esso però includeva la possibilità che le parti firmatarie adottassero, attraverso un processo permanente di esame e di discussione, atti supplementari di aggiornamento, definiti protocolli addizionali, che avrebbero posto degli obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni, adattati all’evoluzione delle conoscenze scientifiche e della volontà politica.
Il primo esame di adeguamento degli impegni assunti si svolse a Berlino nel 1995. Nel corso dell’incontro le parti interessate convennero che, gli impegni assunti dalla Convenzione di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di gas serra dell’anno 2000 ai medesimi livelli del 1990, se pur virtuosi, non avrebbero però permesso il raggiungimento dell’obiettivo, a lungo termine, di limitare le interferenze antropiche pericolose per il sistema climatico. Gli Stati membri risposero adottando il ‘Mandato di Berlino’ ed aprendo un nuovo giro di consultazioni per rafforzare gli impegni dei paesi sviluppati, che si tradusse nella redazione del Protocollo di Kyoto, firmato appunto a Kyoto (Giappone), nel dicembre del 1997, ma entrato in vigore solo il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Infatti, affinché il trattato potesse entrare in vigore era necessario che venisse ratificato da non meno di 55 Nazioni, che complessivamente rappresentassero non meno del 55% delle emissioni serra globali. Si trattava appunto di un Protocollo addizionale alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Il Protocollo mirava alla riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
Gli impegni generali previsti dal Protocollo erano:
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il miglioramento dell’efficienza energetica;
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la correzione delle imperfezioni del mercato (con incentivi fiscali e sussidi);
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la promozione dell’agricoltura sostenibile;
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la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti;
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l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (c.d. “comunicazioni nazionali”).
La misura complessiva di riduzione doveva essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990.
Il protocollo di Kyoto non prevedeva vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I, ossia una lista di 39 paesi che includeva i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. La riduzione doveva essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990, entro il 2012.
Successivamente, esaurita la spinta originaria all’implementazione del Protocollo di Kyoto, al fine di contrastare il cambiamento climatico in maniera più efficace e globale si tennero altri incontri e negoziati internazionali sul clima, sfociati in particolare nell’accordo di Parigi del 2015, con il quale i Paesi firmatari si impegnarono, in modo vincolante, a ridurre drasticamente le proprie emissioni di gas serra per raggiungere, nel 2050, l’obiettivo ‘zero emissioni’.
L’accordo di Parigi, come si vedrà più avanti, contiene un articolato piano d’azione per limitare il riscaldamento globale. I suoi elementi principali sono:
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obiettivo generale a lungo termine - i paesi firmatari hanno convenuto di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e tentare di limitarlo a 1,5°C;
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contributi nazionali - prima e durante la conferenza di Parigi i paesi firmatari hanno presentato piani d’azione nazionali globali in materia di clima (chiamati contributi determinati a livello nazionale - NDC) al fine di ridurre le rispettive emissioni;
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ambizione - i paesi aderenti hanno convenuto di comunicare ogni cinque anni i rispettivi piani d’azione, prefissandosi di indicare all’interno degli stessi obiettivi più ambiziosi;
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trasparenza - i paesi aderenti hanno convenuto di comunicare tra loro e al pubblico i risultati raggiunti nell’attuazione dei rispettivi obiettivi al fine di garantire trasparenza e controllo;
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solidarietà - l’accordo prevede l’apporto di finanziamenti per il clima ai paesi vulnerabili per aiutarli sia a ridurre le emissioni sia a diventare più resilienti per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Nel frattempo, lungo tutto il trentennio di vita della UNFCCC, si è distinto l’impegno in materia climatica profuso dall’Unione Europea, in particolar modo con riferimento all’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale stabilisce la lotta al cambiamento climatico quale obiettivo dichiarato della politica ambientale dell’UE, finalizzata alla salvaguardia, alla tutela e al miglioramento della qualità dell’ambiente, nonché alla protezione della salute umana. L’Unione europea negli anni ha fatto propria la linea stabilita a livello internazionale, dando vita ad accordi e obiettivi specifici da raggiungere a livello comunitario.
Fra i più recenti negoziati internazionali sul clima si ricordano, a livello regionale, quelli che hanno condotto ad adottare il Green Deal europeo, siglato nel dicembre 2019, e, a livello globale, le decisioni adottate dalle COP 26-27-28, ovvero le ultime tre conferenze delle parti aderenti alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), di cui si dirà più in dettaglio nel prosieguo.
In particolare, la COP 26, tenutasi a Glasgow nel novembre 2021, si è conclusa con l’adozione del “Patto di Glasgow”, tramite il quale i governi si impegnano per il raggiungimento della decarbonizzazione entro il 2030, prevedendo il taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010, con il duplice proposito di arrivare a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo e di accelerare gli sforzi per ridurre gradualmente l’uso del carbone e i relativi sussidi alle fonti fossili.
A tale ultimo riguardo, l’Europa ambisce a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Nel 2021, per allineare l’UE alle sue ambizioni climatiche, la Commissione Europea ha pubblicato il pacchetto “Fit-for-55”, tredici proposte legislative trasversali comprensive di otto revisioni di regolamenti o direttive esistenti e cinque nuove proposte. Questo grande pacchetto è pensato per dare all’Unione gli strumenti e le regole utili ad abbattere le proprie emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e impostare il percorso verso la neutralità climatica entro il 2050. La ‘legge europea sul clima’ (Regolamento (UE) n. 2021/1119) ha reso vincolanti questi obiettivi, definiti urgenti anche nell’ambito della COP 26.
Nel presente capitolo verranno analizzati i principali negoziati ed accordi internazionali sui cambiamenti climatici e sui gas ad effetto serra nonché sulle sostanze ozono-lesive, ed a seguire la legislazione vigente sulle stesse materie, con particolare riferimento, per quanto concerne le sostanze ozono-lesive, alle loro modalità di controllo, stoccaggio, recupero e smaltimento nelle apparecchiature di refrigerazione fisse e mobili, negli impianti di climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e nei sistemi antincendio. Il testo illustra anche le recenti novelle in sede europea (Regolamenti n. 2024/573 e n. 2024/590, rispettivamente in materia di gas a effetto serra e sostanze lesive per l’ozono).
12.2 Normativa di riferimento
12.2Normativa di riferimentoDi seguito si riportano i principali riferimenti normativi relativi alla limitazione d’uso, al contenimento e alla regolamentazione dell’intero ciclo di vita dei gas ad effetto serra e refrigeranti ozono-lesivi.
Normativa comunitaria |
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A. GAS AD EFFETTO SERRA |
Direttiva CE n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la Direttiva n. 96/61/CE del Consiglio Normativa dell’Unione Europea |
Direttiva CE n. 2006/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, che modifica la Direttiva n. 70/156/CEE del Consiglio |
Regolamento CE n. 1497/2007 della Commissione, che stabilisce, conformemente al Regolamento CE n. 842/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti standard di controllo delle perdite per i sistemi di protezione antincendio fissi contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra |
Regolamento CE n. 1516/2007 della Commissione, che stabilisce, conformemente al Regolamento CE n. 842/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti standard di controllo delle perdite per le apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra |
Regolamento CE n. 304/2008 della Commissione, che stabilisce, in conformità al Regolamento CE n. 842/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti minimi e le condizioni per il riconoscimento reciproco della certificazione delle imprese e del personale per quanto concerne gli impianti fissi di protezione antincendio e gli estintori contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra |
Regolamento CE n. 306/2008 della Commissione, che stabilisce, in conformità al Regolamento CE n. 842/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti minimi e le condizioni per il riconoscimento reciproco della certificazione del personale addetto al recupero di taluni solventi a base di gas fluorurati ad effetto serra dalle apparecchiature |
Normativa comunitaria |
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Regolamento CE n. 307/2008 della Commissione, che stabilisce, in conformità al Regolamento CE n. 842/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti minimi per i programmi di formazione e le condizioni per il riconoscimento reciproco degli attestati di formazione del personale per quanto concerne gli impianti di condizionamento d’aria in determinati veicoli a motore contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra |
Direttiva CE n. 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva n. 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra e la Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 |
Regolamento UE n. 2013/389 della Commissione che istituisce un registro dell’Unione conformemente alla Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, alle Decisioni n. 280/2004/CE e n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga i Regolamenti UE n. 920/2010 e n. 1193/2011 della Commissione |
Regolamento UE n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, sui gas fluorurati a effetto serra e che abroga il Regolamento CE n. 842/2006 (abrogato dal Regolamento (UE) n. 2024/573 del Parlamento europeo e del Consiglio sui gas fluorurati a effetto serra, che modifica la Direttiva (UE) n. 2019/1937 e che abroga il regolamento (UE) n. 517/2014) |
Decisione UE n. 2015/1339 del Consiglio concernente la conclusione, a nome dell’Unione Europea, dell’emendamento di Doha del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni |
Decisione UE n. 2015/1814 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema dell’Unione per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e recante modifica della Direttiva n. 2003/87/CE |
Regolamento delegato n. UE 2015/1844 della Commissione che modifica il Regolamento UE n. 389/2013 per quanto riguarda l’attuazione tecnica del protocollo di Kyoto dopo il 2012 |
Regolamento di esecuzione UE n. 2015/2067 della Commissione, che stabilisce, in conformità al Regolamento UE n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, i requisiti minimi e le condizioni per il riconoscimento reciproco della certificazione delle persone fisiche per quanto concerne le apparecchiature fisse di refrigerazione e condizionamento d’aria, le pompe di calore fisse e le celle frigorifero di autocarri e rimorchi frigorifero contenenti gas fluorurati a effetto serra, nonché per la certificazione delle imprese per quanto concerne le apparecchiature fisse di refrigerazione e condizionamento d’aria e le pompe di calore fisse contenenti gas fluorurati ad effetto serra |
Regolamento di esecuzione UE n. 2015/2068 della Commissione, che stabilisce, a norma del Regolamento UE n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, il formato delle etichette per i prodotti e le apparecchiature che contengono gas fluorurati a effetto serra |
Decisione UE n. 2017/126 della Commissione che modifica la Decisione n. 2013/448/UE per quanto riguarda l’istituzione di un fattore di correzione transettoriale uniforme a norma dell’art. 10-bis della Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
Direttiva UE n. 2018/410 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la Direttiva n. 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio e la Decisione UE n. 2015/1814 |
Normativa comunitaria |
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Regolamento UE n. 2018/841 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura nel quadro 2030 per il clima e l’energia, e recante modifica del Regolamento UE n. 525/2013 e della Decisione n. 529/2013/UE |
Regolamento UE n. 2018/842 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi e recante modifica del Regolamento UE n. 525/2013 |
Regolamento UE n. 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica le Direttive CE n. 663/2009 e CE n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le Direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le Direttive del Consiglio n. 2009/119/CE e n. UE 2015/652 e che abroga il Regolamento UE n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio |
Regolamento delegato n. UE 2019/331 della Commissione, che stabilisce norme transitorie per l’insieme dell’Unione ai fini dell’armonizzazione delle procedure di assegnazione gratuita delle quote di emissioni ai sensi dell’art. 10-bis della Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
Regolamento di esecuzione UE n. 2019/661 della Commissione, che assicura il corretto funzionamento del registro elettronico delle quote per l’immissione in commercio di idrofluorocarburi |
Regolamento delegato UE n. 2019/1122 della Commissione, che integra la Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda il funzionamento del registro dell’Unione |
Regolamento delegato UE n. 2019/1124 della Commissione, che modifica il Regolamento delegato UE n. 2019/1122 per quanto riguarda il funzionamento del registro dell’Unione a norma del Regolamento UE n. 2018/842 del Parlamento europeo e del Consiglio |
Regolamento di esecuzione UE n. 2019/1842 della Commissione, recante disposizioni di applicazione della Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le ulteriori modalità di adeguamento dell’assegnazione gratuita di quote di emissioni in funzione delle variazioni del livello di attività |
Decisione UE n. 2020/1722 della Commissione, relativa al quantitativo unionale di quote da rilasciare nel 2021 nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissioni dell’UE |
Regolamento UE n. 2020/2085 della Commissione, che modifica e rettifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/2066 concernente il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
Decisione UE n. 2020/2126 della Commissione, che stabilisce le assegnazioni annuali di emissioni degli Stati membri per il periodo 2021-2030 a norma del Regolamento (UE) n. 2018/842 del Parlamento europeo e del Consiglio |
Decisione UE n. 2021/355 della Commissione, relativa alle misure nazionali di attuazione per l’assegnazione transitoria a titolo gratuito di quote di emissioni di gas a effetto serra ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, della Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
Decisione UE n. 2021/781 della Commissione, relativa alla pubblicazione di un elenco indicante determinati valori di emissione di CO2 per costruttore nonché le emissioni specifiche medie di CO2 di tutti i veicoli pesanti nuovi immatricolati nell’Unione e le emissioni di CO2 di riferimento a norma del Regolamento (UE) n. 2019/1242 del Parlamento europeo e del Consiglio per il periodo di riferimento dell’anno 2019 |
Normativa comunitaria |
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Regolamento UE n. 2021/980 della Commissione, che modifica il Regolamento di esecuzione UE n. (2019/661) per quanto riguarda gli obblighi di informazione per l’iscrizione nel registro elettronico delle quote per l’immissione in commercio di idrofluorocarburi |
Regolamento UE n. 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il Regolamento (CE) n. 401/2009 e il Regolamento (UE) 2018/1999 (“Normativa europea sul clima”) |
Decisione (UE) n. 2021/1876 della Commissione, sulle emissioni di gas a effetto serra disciplinate dalla decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per ciascuno Stato membro per l’anno 2019 |
Regolamento (UE) n. 2022/388 della Commissione, che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2018/2066 concernente il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio |
Decisione (UE) n. 2022/1660 del Consiglio, relativa alla posizione da adottare, a nome dell’Unione europea, in sede di comitato misto istituito dall’accordo tra l’Unione europea e la Confederazione svizzera concernente il collegamento dei rispettivi sistemi di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, riguardo alla modifica degli allegati III e IV dell’accordo |
Decisione (UE) n. 2022/1953 della Commissione, relativa alle emissioni di gas a effetto serra disciplinate dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per ciascuno Stato membro per l’anno 2020 |
Regolamento (UE) n. 2022/2299 della Commissione, recante modalità di applicazione del Regolamento (UE) n. 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la struttura, il formato, le specifiche tecniche e la procedura delle relazioni intermedie nazionali integrate sull’energia e il clima |
Regolamento (UE) n. 2023/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica il Regolamento (UE) n. 2019/631 per quanto riguarda il rafforzamento dei livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, in linea con la maggiore ambizione dell’Unione in materia di clima |
Regolamento (UE) n. 2023/857 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica il Regolamento (UE) n. 2018/842, relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli stati membri nel periodo 2021-2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi, nonché il regolamento (UE) n. 2018/1999 (c.d. Regolamento Effort Sharing - ESR) |
Regolamento (UE) n. 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere |
Regolamento (UE) n. 2023/1185 della Commissione, che integra la Direttiva (UE) n. 2018/2001, definendo la soglia minima di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dei carburanti derivanti da carbonio riciclato e precisando la metodologia di valutazione delle riduzioni di emissioni di gas a effetto serra da carburanti rinnovabili liquidi e gassosi di origine non biologica per il trasporto e da carburanti derivanti da carbonio riciclato |
Regolamento delegato (UE) n. 2023/2830 della Commissione, che integra la Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio stabilendo le norme relative ai tempi, alla gestione e ad altri aspetti della vendita all’asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra |
Regolamento (UE) n. 2024/573 del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 febbraio 2024 sui gas fluorurati a effetto serra, che modifica la Direttiva (UE) n. 2019/1937 e che abroga il Regolamento (UE) n. 517/2014 |
Normativa comunitaria |
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B. SOSTANZE LESIVE PER L’OZONO |
Regolamento (CE) n. 1005/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulle sostanze che riducono lo strato di ozono (abrogato da Regolamento (UE) n. 2024/590 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 febbraio 2024, sulle sostanze che riducono lo strato di ozono) |
Regolamento (UE) n. 744/2010 della Commissione del 18 agosto 2010, che modifica il Regolamento CE n. 1005/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, relativamente agli usi critici degli halon |
Regolamento (UE) n. 2024/590 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 febbraio 2024, sulle sostanze che riducono lo strato di ozono |
Normativa nazionale |
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A. GAS AD EFFETTO SERRA (sia fluorurati sia di altro tipo) |
Legge 1° giugno 2002, n. 120 “Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997” |
Decreto 25 settembre 2007 “Ministero dei Trasporti. Recepimento della direttiva 2006/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006, relativa alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio” |
D.Lgs. 7 marzo 2008, n. 51 “Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216, recante attuazione delle Direttive 2003/87/CE e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del protocollo di Kyoto” |
D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257 “Attuazione della Direttiva n. 2008/101/CE che modifica la Direttiva n. 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra” |
Delibera CIPE 8 marzo 2013, n. 17/2013 “Aggiornamento del piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas a effetto serra” |
D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30 “Attuazione della Direttiva n. 2009/29/CE che modifica la Direttiva n. 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra” |
D.Lgs. 2 luglio 2015, n. 111 “Disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, recante attuazione della Direttiva n. 2009/29/CE che modifica la Direttiva n. 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra” |
Legge 3 maggio 2016, n. 79 “Ratifica ed esecuzione dei seguenti accordi in materia ambientale: a) Emendamento di Doha al Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Doha l’8 dicembre 2012; b) Accordo tra l’U.E. e i suoi Stati membri, da una parte, e l’Islanda, dall’altra, per quanto concerne la partecipazione dell’Islanda all’adempimento congiunto degli impegni dell’U.E., dei suoi Stati membri e dell’Islanda per il secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Bruxelles il 1° aprile 2015; c) Protocollo relativo alla cooperazione in materia di prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi e, in caso di situazione critica, di lotta contro l’inquinamento del Mare Mediterraneo, fatto alla Valletta il 25 gennaio 2002; d) Decisione II/14 recante emendamento alla Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, |
Normativa nazionale |
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fatta ad Espoo il 25 febbraio 1991, adottata a Sofia il 27 febbraio 2001; e) Decisione III/7 recante il secondo emendamento alla Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, fatta ad Espoo il 25 febbraio 1991, adottata a Cavtat il 1°-4 giugno 2004; f) Protocollo sulla valutazione ambientale strategica alla Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, fatta ad Espoo il 25 febbraio 1991, fatto a Kiev il 21 maggio 2003” |
D.M. 25 luglio 2016 “Tariffe a carico degli operatori per le attività previste dal D.Lgs. n. 30/2013 per la gestione del sistema UEETS” |
Legge 4 novembre 2016, n. 204 “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi collegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015” |
D.P.R. 16 novembre 2018, n. 146 “Regolamento di esecuzione del Regolamento UE n. 517/2014 sui gas fluorurati a effetto serra e che abroga il Regolamento CE n. 842/2006” |
D.Lgs. 5 dicembre 2019, n. 163 “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento UE n. 517/2014 sui gas fluorurati a effetto serra e che abroga il Regolamento CE n. 842/2006” |
D.L. 17 marzo 2020, n. 18 “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19” |
D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47 “Attuazione della Direttiva (UE) 2018/410 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2018, che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio, nonché adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/2392 relativo alle attività di trasporto aereo e alla decisione (UE) 2015/1814 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 ottobre 2015 relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato” |
Legge 27 novembre 2020, n. 159, di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 “Applicazione dell’art. 103, comma 2, in materia di rinnovo delle certificazioni rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 146/2018 sui gas fluorurati a effetto serra” |
D.M. 12 novembre 2021 “Attuazione del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale - Compensazione costi indiretti CO2” |
D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 199, Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili |
D.M. 6 dicembre 2021 “Regime tariffario in EU ETS (European Emissions Trading System)” |
Legge 23 dicembre 2021, n. 238 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea - Legge europea 2019-2020” |
D.L. del 29 settembre 2023 n. 131, “Misure urgenti in materia di energia, interventi per sostenere il potere di acquisto e a tutela del risparmio” |
D.M. 17 gennaio 2024 “Abrogazione e sostituzione del decreto 30 luglio 2021, recante: «Modalità di funzionamento del comitato ETS e della segreteria tecnica»” |
B. SOSTANZE LESIVE PER L’OZONO |
Legge 28 dicembre 1993, n. 549 “Misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente” |
Legge 16 giugno 1997, n. 179 “Modifiche alla Legge 28 dicembre 1993, n. 549 recante misure a tutela dell’ozono stratosferico” |
D. M. Ambiente 10 marzo 1999 “Proroga dei termini per la dismissione di gas halons” |
Normativa nazionale |
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Legge 29 dicembre 2000, n. 409 “Erogazione del contributo obbligatorio dell’Italia al Fondo multilaterale per il Protocollo di Montréal per la protezione della fascia di ozono” |
D.M. 3 ottobre 2001 “Recupero, riciclo, rigenerazione e distribuzione degli halon” |
Legge n. 179 del 31 luglio 2002 “Disposizioni in materia ambientale” |
D.M. 20 settembre 2002 “Attuazione dell’art. 5 della Legge 28 dicembre 1993, n. 549, recante misure a tutela dell’ozono stratosferico” |
D.M. 20 dicembre 2005 “Modalità per il recupero degli HCFC dagli estintori e dai sistemi di protezione antincendio” |
D.P.R. 15 febbraio 2006, n. 147 “Regolamento concernente modalità per il controllo ed il recupero delle fughe di sostanze lesive della fascia di ozono stratosferico da apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria e pompe di calore, di cui al Regolamento (CE) n. 2037/2000” |
D.Lgs. 13 settembre 2013, n. 108 “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni derivanti dal Regolamento CE n. 1005/2009 sulle sostanze che riducono lo strato di ozono” |
D.L. 24 giugno 2014, n. 91 “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea” |
Nota: La denominazione del “Ministero dell’Ambiente” è stata modificata plurime volte nel corso del tempo. Da ultimo si sottolinea che con il D.L. 11 novembre 2022, n. 173, convertito con modificazioni dalla L. 16 dicembre 2022, n. 204, il “Ministero della transizione ecologica” assume la denominazione di “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”, abbreviato MASE.
12.3 Principali negoziati sui cambiamenti climatici
12.3Principali negoziati sui cambiamenti climaticiIl primo passo nel percorso di contrasto al cambiamento climatico venne mosso nel 1972 a Stoccolma, con la prima conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano (United Nations Conference on the Human Environment). In quella occasione, si riconobbe l’impatto negativo delle attività antropiche sull’equilibrio ecologico del pianeta, in particolare la deprivazione delle risorse naturali. Per la prima volta, la salvaguardia dell’ambiente venne riconosciuta come obiettivo comune, da perseguire a livello globale, attraverso la riduzione dei comportamenti dannosi per l’ecosistema. La dichiarazione, adottata a Stoccolma ed elaborata in comune accordo tra i Paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo, contiene una serie di principi per la protezione dell’ambiente e per lo sviluppo economico e sociale. La Dichiarazione di Stoccolma può essere considerata come una tappa fondamentale della politica internazionale, che in seguito troverà la sua caratterizzazione nel concetto di «Sviluppo sostenibile».
Nello stesso anno, il Club di Roma (associazione non governativa, non-profit) pubblicava il Rapporto sui limiti dello sviluppo, che riscosse una particolare attenzione da parte dell’opinione pubblica mondiale. Si tratta di uno studio che, sullo sfondo dello scenario della Conferenza di Stoccolma e della crisi petrolifera manifestatasi all’inizio degli anni Settanta, introduce l’idea come la crescita economica non possa continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.
A seguito della Conferenza e di quanto riportato nel succitato rapporto, nacque il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) con sede a Nairobi in Kenya. Fin dalla sua istituzione nel 1972, l’UNEP si afferma come la struttura istituzionale cui è affidato il compito di costruire un’agenda ambientale globale, promuovere lo sviluppo sostenibile all’interno del sistema delle Nazioni Unite, coordinare ed incentivare gli strumenti politici finalizzati alla tutela dell’ambiente e fornire assistenza tecnica ai paesi c.d. in via di sviluppo.
Nel 1979, ai fini della lotta contro le emissioni potenzialmente pericolose per l’uomo e l’ambiente, venne stipulata a Ginevra la Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza, poi entrata in vigore nel 1983, da cui sono promanati otto protocolli concernenti la riduzione di una serie di sostanze nocive (per approfondimenti si rimanda al cap. 9.3.5).
In tema di sostanze ozono-lesive, dopo la prova fornita negli anni Settanta del meccanismo di impoverimento dello strato di ozono indotto dai clorofluorocarburi (CFC) e la conferma della gravità di tale fenomeno dal punto di vista ambientale e della salute umana, nel decennio successivo, due trattati internazionali per la protezione dello strato di ozono sono stati firmati sotto la guida del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Si tratta della Convenzione di Vienna (1985) e del Protocollo di Montréal (1987). Ad oggi questi trattati sono stati ratificati da tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite.
Richiamando le disposizioni pertinenti della Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, e in particolare il principio 21, in cui si sancisce che, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi del diritto internazionale, «gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo la loro politica d’ambiente e hanno il dovere di fare in modo che le attività esercitate nei limiti della loro giurisdizione o sotto il loro controllo non causino danni all’ambiente in altri Stati o in regioni che non dipendono da nessuna giurisdizione nazionale», nel 1985, viene sottoscritta la Convenzione di Vienna. L’obiettivo della Convenzione è la protezione della salute umana e dell’ambiente dagli effetti nocivi dovuti all’impoverimento dello strato di ozono. La Convenzione promuove la ricerca, la cooperazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati aderenti e l’attività legislativa nazionale nei campi giuridico, scientifico, commerciale e tecnico, senza tuttavia prescrivere direttamente provvedimenti concreti di attuazione. Per questo motivo, nel 1987 la Convenzione viene integrata con il Protocollo di Montréal. L’obiettivo del Protocollo di Montréal è il ripristino dello strato di ozono ottenibile attraverso una progressiva riduzione e la successiva eliminazione della produzione e del consumo di prodotti e sostanze ozono-lesivi.
Figura 1 (parte 1) – La storia dei negoziati sul cambiamento climatico

(Fonte: Nazioni Unite, Commissione Europea)
Figura 1 (parte 2) – La storia dei negoziati sul cambiamento climatico

(Fonte: Nazioni Unite, Commissione Europea)
Figura 1 (parte 3) – La storia dei negoziati sul cambiamento climatico

(Fonte: Nazioni Unite, Commissione Europea)
Figura 1 (parte 4) – La storia dei negoziati sul cambiamento climatico

(Fonte: Nazioni Unite, Commissione Europea)
12.3.1 Protocollo di Montréal
12.3.1Protocollo di MontréalIl Protocollo di Montréal è lo strumento operativo per l’attuazione della Convenzione di Vienna volta alla salvaguardia della fascia di ozono stratosferico. Entrato in vigore nel gennaio 1989, ad oggi, è stato ratificato da 197 Paesi, tra i quali l’Italia, e viene ampiamente riconosciuto come uno degli accordi ambientali multilaterali di maggior successo. La sua implementazione ha portato a una riduzione del carico atmosferico di sostanze ozono-lesive nella bassa atmosfera e nella stratosfera (per informazioni aggiuntive sull’ozono si veda anche il capitolo 9.3.3).
Il Protocollo stabilisce i termini di scadenza entro cui le Parti firmatarie si impegnano a contenere i livelli di produzione e di consumo delle sostanze ozono-lesive (halon, tetracloruro di carbonio, clorofluorocarburi, idroclorofluorocarburi, tricloroetano, metilcloroformio, bromuro di metile, bromoclorometano) disciplinando, inoltre, gli scambi commerciali, la comunicazione dei dati di monitoraggio, l’attività di ricerca, lo scambio di informazioni e l’assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo.
Nel 1990, il Protocollo di Montréal istituì il Fondo Multilaterale Ozono per aiutare i c.d. paesi in via di Sviluppo a raggiungere i loro impegni di eliminazione della produzione e del consumo di sostanze ozono-lesive. Il Fondo finanzia progetti di investimento, assistenza tecnica, formazione, trasferimento tecnologico e riconversione industriale in 147 paesi in Via di Sviluppo.
L’Italia ha aderito agli accordi per la cessazione dell’impiego delle sostanze ozono-lesive, nonché alla regolamentazione delle fasi di raccolta, riciclo e smaltimento con la Legge n. 549/1993 e s.m.i. e ha stabilito la partecipazione al Fondo multilaterale per il Protocollo di Montréal con la Legge n. 409/2000.
Poiché molte sostanze sostitutive (in particolare gli idrofluorocarburi, HFC) si rivelarono dei potenti gas serra, nell’ottobre 2016 le Parti contraenti del Protocollo di Montréal decisero a Kigali (Ruanda) di introdurre anche un emendamento che disciplinasse gli HFC al fine di ridurne la produzione e il consumo di oltre l’80% nel medio termine. Fino all’emendamento di Kigali, il Protocollo di Montréal si occupava solo del controllo di sostanze dannose per lo strato di ozono. Con l’emendamento, invece, viene ampliato il suo raggio di azione anche agli HFC, concausa del cambiamento climatico.
L’uso di gas HFC fu introdotto, a seguito dell’adozione del protocollo di Montréal nel 1987, in sostituzione dei clorofluorocarburi, principali responsabili dell’impoverimento dello strato di ozono. Successivamente è stato tuttavia constatato che gli HFC, pur non essendo sostanze ozono-lesive, sono potenti gas serra che possono avere un impatto sul cambiamento climatico migliaia di volte maggiore rispetto all’anidride carbonica. L’emendamento di Kigali dovrebbe impedire il rilascio in atmosfera di emissioni equivalenti a oltre 80 miliardi di tonnellate metriche di anidride carbonica entro il 2050, continuando comunque a proteggere lo strato di ozono.
L’emendamento divide i Paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale devono inibire e iniziare a ridurre l’uso di HFC. La riduzione nell’uso di HFC è iniziata ufficialmente il 1° gennaio 2019 per i Paesi industrializzati; gran parte dei paesi in via di sviluppo, tra cui vengono ancora annoverati Cina, Brasile e Sud Africa, dovranno congelare i consumi dal 2024; infine un terzo gruppo di paesi, tra cui l’India e i Paesi del Golfo, dovrà iniziare dal 2028. In questo modo il Protocollo di Montréal contribuirà alla lotta al cambiamento climatico aggiungendo un importante tassello all’Accordo di Parigi del 2015, relativo alla limitazione delle emissioni di gas serra.
L’attuazione dei due trattati ha consentito di ridurre, tra il 1986 e il 2019, del 98% la produzione e il consumo mondiali delle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono (Fig. 2). Dopo uno stallo dovuto alla pandemia da CoViD-19, nel luglio del 2022 gli Stati parte del Fondo hanno deciso di rifinanziarli per il triennio 2021-2023.
Figura 2 - Consumo di sostanze che riducono lo strato di ozono controllato (ODS) (UE-27 + Regno Unito e livello mondiale)

(Fonte: Europea Environment Agency 2023)
L’UE continua a eliminare gradualmente le sostanze che riducono lo strato di ozono (ODS), in linea con l’impegno assunto nell’ambito del protocollo di Montreal. Nel 2022, la produzione e l’utilizzo di queste sostanze da parte degli Stati membri dell’UE sono stati inferiori alle quantità distrutte ed esportate. Grazie a questi progressi, l’UE continua a contribuire efficacemente al ripristino dello strato di ozono. Nel 2022, il consumo di sostanze controllate è stato infatti pari a -3.623 tonnellate, in calo rispetto alle 1.176 tonnellate del 2021. Va anche tenuto conto che il consumo in tonnellate nel 2021 era stato il risultato di uno stoccaggio significativo di quantità di “Materie prime al di fuori dell’UE” che non si erano quindi riflesse in esportazioni totali mentre, per quanto riguarda il 2022, il consumo negativo è dovuto alla distruzione superiore alle importazioni, poiché la produzione e le esportazioni si annullano in gran parte. Il consumo di sostanze controllate, espresso in tonnellate, è stato in gran parte determinato dal consumo di CTC. Espresso in tonnellate ODP, il consumo nel 2022 è stato pari a -3.900 tonnellate ODP, in calo rispetto alle 1.627 tonnellate ODP del 2021.
12.3.2 Dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi
12.3.2Dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di ParigiNel 1988, al fine di fornire ai governi mondiali una chiara visione scientifica dello stato delle conoscenze sul cambiamento climatico e sui suoi potenziali impatti ambientali e socio-economici e per valutare le potenziali strategie di risposta e gli elementi da includere in una possibile futura convenzione internazionale sul clima, la World Meteorological Organization (WMO) e lo United Nations Environment Programme (UNEP) istituirono l’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico), sostenuto dall’endorsement della Assemblea Generale ONU, sopra menzionato.
Dal 1988, l’IPCC ha prodotto sei rapporti di valutazione (Assessment Reports – AR) completi sui cambiamenti climatici e una serie di relazioni metodologiche e documenti tecnici, in risposta alle richieste di informazioni su specifiche questioni scientifiche e tecniche da parte della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), dei governi e delle organizzazioni internazionali. Il secondo rapporto (AR2) dell’IPCC, emesso nel 1995, ha fornito un contributo chiave per l’adozione del Protocollo di Kyoto (1997) che dava una prima attuazione vincolante alla Convenzione Quadro. Ma anche i successivi hanno tutti rivestito un ruolo di impulso molto rilevante.
La UNFCCC rappresenta uno snodo fondamentale nei negoziati internazionali sul clima. Approvata nel giugno del 1992, al termine dell’Earth Summit di Rio de Janeiro, la Convenzione Quadro ha come obiettivo chiave la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di gas a effetto serra, al fine di evitare pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico.
La portata di questa convenzione si comprende meglio se si allarga lo sguardo all’intero contesto della Conferenza di Rio. La fondamentale necessità di individuare un percorso universale per costruire uno sviluppo sostenibile aveva condotto infatti la comunità mondiale a indire la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development, UNCED) dal 3 al 14 giugno del 1992, a Rio de Janeiro. I Paesi partecipanti riconobbero che le problematiche ambientali devono essere affrontate in maniera universale e che le soluzioni devono coinvolgere tutti gli Stati.
In occasione della suddetta Conferenza, vennero sottoscritte ben 3 convenzioni e 3 dichiarazioni di principi:
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la Convenzione quadro sulla biodiversità, con l’obiettivo di tutelare le specie nei loro habitat naturali e riabilitare quelle in via di estinzione (UNCBD);
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la Convenzione sulla lotta alla desertificazione (UNCCD);
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la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC);
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la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo, definisce in 27 principi diritti e responsabilità delle nazioni nei riguardi dello sviluppo sostenibile;
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l’Agenda 21, la quale pone lo sviluppo sostenibile come una prospettiva da perseguire per tutti i popoli del mondo;
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la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste sancisce il diritto degli Stati di utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza ledere i principi di conservazione e sviluppo delle stesse.
L’UNFCCC, entrata ufficialmente in vigore nel 1994, è stata nel tempo sottoscritta da 196 stati. Nel dicembre del 1997, al termine della terza riunione degli stati che avevano sottoscritto la Convenzione (COP 3), fu approvato il primo trattato internazionale riguardante l’imposizione di limiti vincolanti alle emissioni, definito Protocollo di Kyoto e destinato a regolamentare le emissioni di gas ad effetto serra per il periodo 2008-2012.
Nota: La Conferenza delle parti (COP, Conference Of the Parties) è il principale organo decisionale della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Tutti gli Stati che sono Parti della Convenzione sono rappresentati presso la COP, che si riunisce annualmente, con lo scopo di riesaminare l’attuazione della Convenzione e di qualsiasi altro strumento giuridico adottato dalla COP, nonché per adottare le decisioni necessarie per promuovere l’efficace attuazione della Convenzione, compresi gli accordi istituzionali e amministrativi.
Gli Stati Uniti, che rappresentavano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati, uscirono dal Protocollo di Kyoto, che poté entrare in vigore solo a partire dal 16 febbraio 2005, a seguito della ratifica da parte di Canada e Russia. Tali sottoscrizioni permisero il raggiungimento della soglia minima di ratifiche richieste di almeno 55 Nazioni per una quota non inferiore al 55% delle emissioni serra globali (art. 24 del Protocollo). Il Protocollo definiva un quadro di impegni asimmetrico, che interessava sostanzialmente i soli paesi industrializzati, compresi nell’Annex I, in attuazione del ‘principio di responsabilità comune ma differenziata’ secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si sarebbero dovuti far carico di maggiori responsabilità rispetto ai paesi in via di sviluppo, in considerazione delle loro necessità di crescita.
Ai fini di garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e diminuire i costi gravanti sui sistemi economici dei paesi che avevano aderito al vincolo, furono introdotti dei meccanismi flessibili di mercato come lo scambio di emissioni (Emissions Trading), il meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism) e quello dell’attuazione congiunta (Joint Implementation). Le sostanze ozono-lesive non erano contemplate dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dal Protocollo di Kyoto, in quanto si assumeva che la loro eliminazione fosse già chiaramente disciplinata dal Protocollo di Montréal.
Nota: Di seguito si precisano succintamente le modalità di funzionamento dei tre meccanismi attuativi.
Emission trading (commercio dei diritti di emissione): meccanismo in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescono ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” le loro quote di surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - presentano difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi assegnati (per maggiori informazioni si veda il paragrafo 12.5).
Joint implementation (attuazione congiunta degli obblighi individuali): gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purché venga rispettato l’obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire o acquistare da ogni altro Paese “emission reduction units” (ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni.
Clean Development Mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito): le nazioni industrializzate con vincoli alle emissioni possono eseguire progetti di riduzione dei gas ad effetto serra nei paesi in via di sviluppo. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo, grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target e che possono essere usati o scambiati per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione.
In ottemperanza a questi meccanismi, il Protocollo riconobbe all’UE la possibilità di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi da essa imposti, a condizione che il risultato finale restasse invariato. L’UE aderì al Protocollo in data 31 maggio 2002, impegnandosi a ridurre le proprie emissioni dell’8% rispetto ai livelli del 1990, dividendo gli oneri tra i vari Stati secondo le quote precisate nella Tabella 1:
Tabella 1 - Percentuali di riduzione delle emissioni di gas serra per gli Stati membri dell’UE
Austria | -13% | Italia | -6,5% |
Belgio | -7,5% | Lussemburgo | -28% |
Danimarca | -21% | Paesi Bassi | -6% |
Finlandia | 0% | Portogallo | +27% |
Francia | 0% | Regno Unito | -12,5% |
Germania | -21% | Spagna | +15% |
Grecia | +25% | Svezia | +4 |
Irlanda | +13% |
In tale contesto l’Italia recepì l’accordo attraverso la Legge n. 120/2002 con l’impegno di ridurre le proprie emissioni del 6,5% rispetto al 1990.
Il protocollo di Kyoto si articolava inizialmente in due fasi, la prima della durata di quattro anni, dal 2008 al 2012, la seconda, iniziata dopo la ratifica della Russia, dal 2012 al 2020.
Dopo il termine della prima fase, nel 2013 gli Stati aderenti al Protocollo di Kyoto risultavano essere 192, anche se non tutti ratificheranno poi la propria adesione: in particolare, gli Stati Uniti, che aderirono nel 1998 ma non ratificarono, e il Canada, che pur avendo ratificato l’accordo, fu poi il primo paese ad uscirne nel 2012.
Poiché, a causa di tali ripensamenti, il Protocollo di Kyoto poté regolamentare efficacemente le emissioni di gas serra solo per il periodo dal 2008 al 2012, a livello internazionale emerse la necessità di avviare un ulteriore negoziato, utile all’adozione di un piano di riduzione vincolante per un secondo periodo di impegno, successivo al 2012.
A livello europeo, frattanto, gli obiettivi di riduzione delle emissioni per l’UE furono inseriti nel ‘Pacchetto clima-energia 20-20-20’, entrato in vigore nel giugno 2009, con validità da gennaio 2013 al 2020.
Il pacchetto definiva tre obiettivi principali:
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il taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 1990;
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la copertura del 20% del fabbisogno energetico attraverso il ricorso a fonti rinnovabili;
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un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.
Alla fine del 2017 l’UE aveva ridotto le sue emissioni del 22% rispetto ai livelli del 1990, raggiungendo il suo obiettivo di riduzione delle emissioni con tre anni di anticipo rispetto al calendario previsto. L’impegno europeo dettato nel ‘Pacchetto clima-energia 20-20-20’ intendeva anche proporsi come esempio e stimolo per i negoziati internazionali ma purtroppo la COP 15 di Copenaghen, sempre nel 2009, si risolse in un clamoroso fallimento, demandando le negoziazioni alle successive COP.
Nel dicembre 2011, a Durban (Sud Africa), gli esiti della COP 17 abbracciarono una vasta gamma di temi, tra i quali l’accordo relativo alla creazione di un secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto, dal 2013 al 2020, e un accordo sulle modalità per rendere operativo il Green Climate Fund (GCF), istituito nella precedente COP 16 di Cancun del 2010. Le Parti convennero anche di demandare ad uno specifico gruppo di lavoro (‘Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action’), il compito di sviluppare un protocollo o un altro strumento avente forza giuridica, da applicare a tutte le Parti a partire dal 2020 ossia, alla scadenza del Protocollo di Kyoto.
Nel corso della COP 18 di Doha, conclusasi l’8 dicembre 2012, venne approvato l’Emendamento di Doha al protocollo di Kyoto. L’emendamento, siglato da parte di un gruppo ristretto di paesi, oltre all’UE, stabiliva di proseguire con le misure previste dal protocollo per un secondo periodo di azione dal 2012 al 2020. L’obiettivo consisteva nell’evitare il superamento della soglia di aumento delle temperature medie globali di 2°C rispetto al periodo pre-industriale (1850-1900), prevedendo anche la possibilità di fissare un limite più basso di 1,5°C. Solo UE, Australia, Svizzera e Norvegia, responsabili insieme solo del 15-20% delle emissioni globali di gas serra, approvarono il Kyoto bis. Gli Stati Uniti furono nuovamente i grandi assenti, insieme a Nuova Zelanda, Giappone, Canada e Russia, quest’ultima sfilatasi dall’accordo all’ultimo minuto nel timore di danneggiare il proprio mercato energetico.
I tempi erano però maturi perché la lotta ai cambiamenti climatici diventasse parte integrante degli obiettivi di sviluppo sostenibile di cui all’Agenda 2030, adottata dalle Nazioni Unite nel settembre 2015: più precisamente, veniva inserita come SDG 13.
A novembre 2015, durante la COP 21 di Parigi, veniva raggiunto l’Accordo di Parigi grazie al quale si tracciarono le prime linee per la definizione di un nuovo accordo globale sul clima, operativo dal 2020, a conclusione dell’estensione del Protocollo di Kyoto. L’Accordo di Parigi, a differenza del precedente Protocollo di Kyoto che richiese ben 8 anni di trattative, entrò in vigore il 4 novembre 2016, dopo aver raggiunto la soglia di 175 paesi firmatari, che rappresentavano circa il 66% delle emissioni globali.
Firmato il 12 dicembre 2015, a conclusione della COP 21, l’Accordo di Parigi è entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016 ed è stato inizialmente adottato da 194 parti (193 Paesi più l’Unione europea). A fine 2023, le parti dell’Accordo sono 195 (194 Paesi e l’Unione europea).
L’accordo estende il campo di intervento, fissando nuovi obiettivi di:
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Mitigazione (art. 4): mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale entro il 2100 ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine, e puntare a limitare l’aumento a non oltre 1,5°C;
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Adattamento (art. 7): rafforzare la capacità delle società di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e fornire ai paesi in via di sviluppo sostegno continuo;
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Assistenza (artt. 9, 10, 11 e 12): sostenere sul piano finanziario, tecnologico e dell’educazione l’azione per il clima volta alla riduzione delle emissioni e rafforzare la resilienza dei paesi in via di sviluppo;
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Perdite e danni (art. 8): scongiurare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici;
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Trasparenza e verifica periodica della situazione (artt. 13 e 14): una riunione ogni cinque anni per stabilire obiettivi più ambiziosi in termini di mitigazione, adattamento e supporto finanziario, a cominciare dal 2023 (c.d. Global Stocktake GST).
Nell’ambito dell’Accordo di Parigi, ognuna della Parti aveva l’onere di predisporre e comunicare il proprio contributo con l’obbligo di adottare misure idonee al raggiungimento dello stesso (per approfondimenti si veda la piattaforma Non-State Actor Zone for Climate Action - http://climateaction.unfccc.int).
Nel mentre, a livello europeo il processo verso la neutralità climatica stava muovendo ulteriori passi con l’approvazione, il 24 ottobre 2014, da parte del Consiglio Europeo del ‘Quadro Clima-Energia 2030’, che fissava tre principali obiettivi:
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una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas serra rispetto ai valori del 1990;
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la copertura del 27% dei consumi finali lordi di energia con le fonti rinnovabili;
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un miglioramento almeno del 27% dell’efficienza energetica.
Nota: l’Italia ha ratificato l’accordo europeo del 2014 con la Legge n. 204/2016. In base a quanto chiarito con il Comunicato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, pubblicato nella G.U. 6 dicembre 2016, l’Accordo è entrato in vigore per l’Italia l’11 dicembre 2016.
Figura 3 - Sintesi: Accordo di Parigi e impegni dell’UE verso la neutralità climatica


(Fonte: Unione Europea 2023 - Consiglio dell’Unione europea
https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/paris-agreement-eu/)
A fine ottobre 2019, gli Stati Uniti d’America confermarono la precedente volontà del 2017 di ritirare il paese dal Paris Agreement. Giuridicamente l’iter si perfezionò il 4 novembre 2020, ovvero il giorno dopo le elezioni presidenziali che segnarono la sconfitta del presidente che tanto aveva voluto tale ritiro, e da tale data gli USA passarono allo status di osservatore senza potere decisionale sui negoziati. Tuttavia, nel 2021, il nuovo presidente ha firmato il provvedimento per il rientro del paese nell’Accordo di Parigi; si tratta comprensibilmente di un passo importante, se si considera che gli USA sono il secondo paese al mondo per emissioni di anidride carbonica.
Dopo la COP 25 di Madrid, che non aveva segnato avanzamenti significativi rispetto al trattato di Parigi, rimandando qualsiasi decisione al 2020, importanti passi avanti sono stati invece sanciti dalla COP 26 di Glasgow, nel novembre 2021. Tra le decisioni più importanti adottate, si annoverano:
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l’aumento degli impegni finalizzati a fornire finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per contrastare i cambiamenti climatici;
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la messa a punto operativa dell’Accordo di Parigi, anche relativamente ai mercati del carbonio e alla trasparenza dei dati su obiettivi ed emissioni;
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l’adozione di un impegno globale per la riduzione delle emissioni di metano e per la decarbonizzazione, con un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 2010, da attuarsi entro il 2030, e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo;
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l’impegno a contenere l’aumento delle temperature medie ben al di sotto della soglia critica dei 2 gradi e il più vicino possibile a quella dei 1,5 gradi.
I vari obiettivi identificati nel corso della conferenza sono stati inseriti in un documento finale, il Patto di Glasgow, che costituisce l’esito delle decisioni e dei negoziati messi in campo dai vari Paesi partecipanti secondo i pilastri dell’azione collettiva per il clima dettati dall’Accordo di Parigi: mitigazione (limitazione del riscaldamento globale), adattamento (adattarsi per proteggere le comunità e gli habitat naturali), collaborazione (cooperazione tra i governi, le imprese e la società civile) e finanza (istituzione di fondi).
Il Patto di Glasgow rappresenta il programma di riferimento per le future politiche nazionali e internazionali sul clima, a protezione del pianeta e degli ecosistemi.
Il risultato meno soddisfacente della COP 26, fortemente voluto dall’India e dai paesi a maggior consumo di carbone, è stata l’eliminazione dal documento finale dell’impegno connesso alla dismissione dei combustibili fossili che, nel Patto sottoscritto, è stato sostituito da un impegno comune rivolto ad una graduale riduzione dell’uso del carbone e dei finanziamenti per i combustibili fossili.
Un accordo che imponesse l’eliminazione graduale al ricorso ai combustibili fossili non è stato raggiunto neppure nella successiva COP 27 di Sharm el-Sheikh (Egitto) nel novembre 2022. Tuttavia alcuni risultati sono degni di nota. Per quanto riguarda la mitigazione, le Parti hanno convenuto che, per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C, servono delle riduzioni immediate, decisive e durature delle emissioni globali di gas a effetto serra, con un taglio dell’ordine del 43% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019. Le parti hanno riconosciuto che per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria un’azione accelerata nel corso di questo decennio e hanno ribadito l’appello, precedentemente anticipato nel patto di Glasgow, ad aggiornare i contributi stabiliti a livello nazionale, per allinearsi, quanto prima, all’accordo di Parigi. Per quanto riguarda le perdite e i danni, le parti si sono accordate per istituire nuovi meccanismi di finanziamento finalizzati ad aiutare i paesi in via di sviluppo a far fronte agli effetti negativi dei cambiamenti climatici: in particolare, la creazione di un nuovo fondo (fondo ‘Loss and Damage’) destinato a compensare le perdite e i danni, che sarà istituito da un comitato di transizione, incaricato di individuare anche nuove fonti di finanziamento. I paesi sviluppati si sono impegnati a spingere verso il raggiungimento dell’obiettivo di stanziare 100 miliardi di dollari all’anno, dal 2020 al 2025, in finanziamenti internazionali per il clima, ed a definire un nuovo obiettivo di finanziamento dopo il 2025, in favore dei paesi più vulnerabili. L’UE è il donatore principale, con un contributo in costante aumento pari a circa un quarto dell’obiettivo.
Infine, importanti negoziati si sono svolti durante la COP 28, di Dubai (Emirati Arabi Uniti) a dicembre 2023. I principali temi della COP 28 sono stati i seguenti:
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bilancio globale (Global Stocktake GST);
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mitigazione;
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adattamento;
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finanziamenti per il clima, tra cui il fondo per le perdite e i danni.
La COP 28 si è chiusa con l’adozione di una decisione che segna “l’inizio della fine” dell’era dei combustibili fossili, gettando le basi per una transizione rapida, contraddistinta da profondi tagli alle emissioni e da maggiori finanziamenti.
Il bilancio globale è considerato il risultato centrale della COP 28, poiché contiene tutti gli elementi che erano in fase di negoziazione e che ora possono essere utilizzati dai paesi per sviluppare piani d’azione per il clima più incisivi, previsti entro il 2025.
A tale scopo, è necessario che le emissioni globali di gas serra vengano ridotte del 43% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C.
Il bilancio stimola le parti ad intraprendere azioni per triplicare, su scala globale, la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare i miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2030.
I negoziati della COP 28 sono stati decisivi nel processo verso l’istituzione del nuovo obiettivo di finanza climatica post-2025, che avverrà in occasione della COP 29 programmata per novembre 2024. È interessante notare il Paese ospitante: Azerbaijan, fra i maggiori produttori di gas naturale e petrolio, che prevede di raddoppiare l’export verso l’Europa nei prossimi tre anni: gas e petrolio contano per il 92,5% delle esportazioni azere e per il 60% del Pil.
Figura 4 - Il contributo dell’UE ai finanziamenti per il clima (in miliardi di EUR)

(Fonte: Consiglio europeo 2022)
Per quanto concerne i negoziati a livello continentale europeo, va ricordato che, nel frattempo, in linea con l’Accordo di Parigi, il 28 novembre 2018, la Commissione Europea aveva presentato la strategia per il raggiungimento della neutralità climatica con la Comunicazione “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra” (COM(2018) 773 final), con la quale ha ribadito l’impegno dell’Unione europea ad assumere un ruolo di leadership a livello internazionale nell’azione per il clima e a raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di gas ad effetto serra entro metà secolo.
Nel dicembre 2019 la Commissione ha poi presentato la comunicazione strategica sul Green Deal europeo per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Il Consiglio europeo, con le conclusioni del 12 dicembre 2019, ha stabilito che tutte le politiche e normative dell’Unione devono essere coerenti con tale traguardo.
Quest’ultimo è stato successivamente sancito dalla normativa europea sul clima (Regolamento (UE) n. 2021/1119), che ha introdotto un ulteriore obiettivo da conseguire entro il 2030 consistente in una riduzione delle emissioni di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Si tratta di un incremento sostanzioso rispetto al precedente obiettivo indicato nel ‘Quadro Clima-Energia 2030’ del 2014, che prevedeva una riduzione delle emissioni pari al 40% (Fig. 3). L’accordo è stato approvato a giugno 2021, con il fine ultimo di far raggiungere all’UE la neutralità climatica appunto entro il 2050, conseguendolo attraverso una riduzione dei gas serra ed una compensazione delle emissioni rimanenti.
Il 14 luglio 2021, la Commissione Europea ha quindi presentato un pacchetto di proposte legislative, denominato ‘Fit for 55%’, volte a rivedere la normativa dell’UE in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, energia e trasporti, per consentire il raggiungimento del nuovo più ambizioso obiettivo al 2030. In particolare, sono comprese proposte legislative di revisione:
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della direttiva che disciplina il sistema di scambio di quote di emissioni (EU ETS) nei settori della produzione di energia, nel trasporto aereo e nell’industria ad alta intensità energetica (si veda cap. 9);
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del regolamento sulla “condivisione degli sforzi”, che assegna agli Stati membri obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni nei settori non compresi nel sistema ETS;
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del regolamento sulle emissioni derivanti dall’uso del suolo, dal cambiamento dell’uso del suolo e dalla silvicoltura (c.d. LULUCF);
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della direttiva per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e della direttiva per l’incremento dell’efficienza energetica;
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del regolamento che stabilisce i limiti di emissione di CO2 per le autovetture e i veicoli commerciali leggeri di nuova immatricolazione;
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della direttiva sulla tassazione dell’energia.
Nel corso del 2022, la Commissione Europea ha inoltre presentato una proposta di adozione di due nuovi regolamenti finalizzati a controllare in modo più rigoroso i gas fluorurati a effetto serra (gas fluorurati) e le sostanze che riducono lo strato di ozono (ODS). L’adozione di tali regolamenti sarà un passo avanti per contenere l’aumento della temperatura globale in linea con l’accordo di Parigi. La proposta sui gas fluorurati contribuirà inoltre a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 e a rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050. Insieme, le due proposte potrebbero comportare una riduzione totale delle emissioni di gas a effetto serra nell’UE di 490 milioni di tonnellate (CO2 equivalente) entro il 2050.
Come si vedrà in dettaglio nel paragrafo seguente, ad aprile 2023, il Consiglio Europeo ha adottato cinque atti legislativi che consentiranno all’UE di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei principali settori dell’economia, garantendo, nel contempo, che i cittadini e le microimprese più vulnerabili, nonché i settori esposti al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ricevano un sostegno efficace nella transizione climatica.
APPROFONDIMENTI
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Consiglio Europeo, Consiglio dell’Unione europea – Cambiamenti climatici: il contributo dell’UE – Consilium (europa.eu)
12.4 Emissioni di gas serra: percorso normativo europeo
12.4Emissioni di gas serra: percorso normativo europeoAlla straordinaria complessità dei negoziati e dei contenuti degli accordi di volta in volta raggiunti nel contesto mondiale ed europea, corrisponde un altrettanto articolato percorso di attuazione, mediante l’adozione di strumenti normativi e pianificatori, oltre che economico finanziari.
Ognuna delle parti aderenti all’UNFCCC e in particolare all’accordo di Parigi ha intrapreso un proprio iter più o meno convinto. Nel presente paragrafo, è opportuno concentrarsi su quello sviluppato dall’Unione Europea e dall’Italia.
12.4.1 Direttiva n. 2003/87/CE sul mercato delle emissioni (ETS)
12.4.1Direttiva n. 2003/87/CE sul mercato delle emissioni (ETS)Un primo strumento attuativo di cui si è dotata l’Unione Europea è basato sul noto meccanismo del cap and trade: si fissano limiti alle emissioni complessive ed individuali di fas serra in ferma di quote di emissione annuali e si consente di negoziarne lo scambio fra soggetti virtuosi, che emettono meno del consentito, e soggetti deficitari, che emettono più del consentito.
Il 13 ottobre 2003 la Commissione Europea pubblicò la Direttiva n. 2003/87/CE sul mercato delle emissioni, meglio conosciuto come Emission Trading System (EU ETS).
La Direttiva stabiliva che:
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dal 1° gennaio 2005 nessun impianto che ricadeva nel campo di applicazione della stessa, poteva emettere CO2 e poteva continuare ad operare, in assenza di apposita autorizzazione alle emissioni di gas serra;
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i gestori degli impianti che ricadevano nel campo di applicazione della Direttiva dovevano restituire annualmente all’Autorità Nazionale Competente quote di emissione CO2 in numero pari alle emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera;
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le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera erano monitorate secondo le disposizioni impartite dall’Autorità Nazionale Competente, comunicate all’Autorità Nazionale Competente e certificate da un verificatore accreditato dall’Autorità Nazionale Competente.
L’EU ETS è un sistema di “Cap and Trade” delle emissioni dirette. Viene fissato un tetto (cap) che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti che rientrano nel sistema. Entro questo limite, le imprese possono acquistare o vendere quote in base alle loro esigenze. Le quote rappresentano la valuta centrale del sistema; una quota dà al suo titolare il diritto ad emettere una tonnellata di CO2eq. Ogni anno i partecipanti devono restituire un numero di quote pari alle loro emissioni annuali verificate (una quota di emissione per ogni tonnellata di CO2eq emessa). Un numero di quote di emissione viene assegnato ad alcune imprese a titolo gratuito sulla base di regole armonizzate di assegnazione applicate in tutta Europa. Le imprese che non ricevono quote gratuite di emissione o in cui le quote ricevute a titolo gratuito non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte, devono acquistare le quote di emissione all’asta o da altre imprese e dovranno adottare idonee misure tecniche di abbattimento delle proprie emissioni inquinanti. Infatti, chi ha quote di emissioni in eccesso rispetto alle emissioni prodotte, può venderle (Fig. 5). Il deficit di quote sarà sanzionato, mentre il surplus di quote potrà essere venduto o accantonato per gli anni successivi.
Il sistema prevede che, almeno la metà di quanto incassato con le aste, debba essere reinvestita dagli Stati in attività che abbiano l’obiettivo di contrastare il cambiamento climatico, ponendo di fatto un tetto alle emissioni delle industrie europee che inquinano di più.
Figura 5 - Schema esemplificativo dello scambio di quote EU ETS

(Fonte: ISPRA)
Il sistema nasceva per limitare le emissioni prodotte da oltre 10.000 impianti nel settore dell’energia elettrica e nell’industria manifatturiera, nonché dalle compagnie aeree che operano tra i Paesi che lo adottano (allegati I e II della Direttiva CE n. 2003/87). Nello specifico, i settori interessati sono quelli che producono anidride carbonica derivante da produzione di energia elettrica e di calore, i settori industriali ad alta intensità energetica, comprese le raffinerie di petrolio, le acciaierie e gli impianti per la produzione di ferro, metalli, alluminio, cemento, calce, vetro, ceramica, pasta di legno, carta, cartone, acidi e prodotti chimici organici su larga scala, e l’aviazione civile. Rientrano nell’ETS anche le società che emettono ossido di azoto derivante dalla produzione di acido nitrico, adipico e gliossilico e gliossale, e quelle che emettono perfluorocarburi (PFC) derivanti dalla produzione di alluminio.
Il sistema EU ETS dalla sua introduzione ha subito numerosi cambiamenti ed è stato strutturato in distinti periodi di trading, noti come “fasi” (Fig. 11).
La prima fase (2005-2007) dell’ETS dell’UE si è svolta in un periodo pilota di tre anni per preparare la seconda fase applicativa (2008-2012). La seconda fase applicativa (2008-2012) è coincisa con la prima fase d’impegno del Protocollo di Kyoto, il periodo quinquennale nel corso del quale gli Stati UE dovevano ridurre le proprie emissioni in base ai valori-obiettivo fissati per ciascuna nazione nell’ambito del Protocollo di Kyoto.
La prima e la seconda fase erano caratterizzate da limiti nazionali alle emissioni (assegnati attraverso un Piano Nazionale di Allocazione), da periodi di trading su scala triennale e quinquennale, da allocazioni a titolo gratuito delle quote anche per i produttori di energia elettrica, e dall’assenza di variazioni al quantitativo da allocare a titolo gratuito a seguito di calo nella produzione.
Figura 6 - Fasi del sistema EU ETS

(Fonte: ISPRA, https://www.isprambiente.gov.it/it/servizi/registro-italiano-emission-trading/aspetti-generali/emission-trading-europeo-1)
Mentre nel periodo 2008-2012 tutti i settori hanno beneficiato di assegnazioni delle quote a titolo gratuito, a partire dal 2013 (fase 3 dell’EU ETS), salvo deroghe, gli impianti di produzione di energia elettrica e gli impianti che svolgono attività di cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio (CCS) devono approvvigionarsi all’asta di quote per l’intero proprio fabbisogno (assegnazione a titolo oneroso disciplinata dal Reg. UE n. 1031/2010/UE di cui ultima modifica Reg. UE n. 2019/1868). Il numero delle quote che ogni Stato colloca attraverso queste aste viene calcolato partendo dalle emissioni storiche degli impianti che emettono CO2 che sono presenti nel singolo Paese. Al contrario, secondo l’ETS, gli impianti afferenti ai settori manifatturieri hanno diritto all’assegnazione a titolo gratuito, sulla base del loro livello di attività e di standard di riferimento (benchmark) elaborati dalla Commissione Europea. Le assegnazioni gratuite sono calcolate prendendo come riferimento le emissioni degli impianti più ‘virtuosi’. Il quantitativo complessivo di quote disponibili per gli operatori (cap) diminuisce nel tempo imponendo, di fatto, una riduzione delle emissioni di gas serra nei settori ETS.
Nella terza fase (2013-2020) il periodo di trading viene quindi esteso a otto anni, le allocazioni a titolo gratuito sono basate su benchmark prestabiliti a livello europeo e produzione storica e il sistema dei piani nazionali di assegnazione (o di allocazione, PNA) viene abbandonato e alle emissioni si applica un tetto per tutta l’UE (la vendita all’asta è il metodo comune di assegnazione delle quote, mentre alle quote ancora assegnate gratuitamente si applicano norme armonizzate).
La fase 4 è iniziata il 1° gennaio 2021. Per aumentare il ritmo dei tagli alle emissioni, il numero complessivo delle quote di emissioni diminuirà a un tasso annuo del 2,2% dal 2021 in poi, rispetto all’1,74% attuale. Nella fase 4 l’elenco delle aziende che continueranno a ricevere le quote a titolo gratuito al 100% è stato ridotto a circa 60 settori (da circa 180 settori nel periodo 2015-2020) e le allocazioni saranno basate su benchmark aggiornati a livello europeo per tener conto dei progressi tecnologici e degli ultimi anni di produzione (2014-2018 per il primo periodo di assegnazione e 2019-2023 per il secondo periodo).
12.4.2 Recepimento in Italia della Direttiva n. 2003/87 (D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216 e successivi provvedimenti)
12.4.2Recepimento in Italia della Direttiva n. 2003/87 (D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216 e successivi provvedimenti)L’evoluzione della normativa italiana in materia di lotta ai cambiamenti climatici ha conosciuto vari avvicendamenti normativi, di seguito illustrati brevemente.
Il D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216 (poi abrogato dal D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30), che ha recepito la Dir. n. 2003/87/CE, ha ribadito che i gestori degli impianti, soggetti alle disposizioni del Decreto stesso e della Direttiva, si vedranno assegnare le quote di emissioni di CO2 da parte del Comitato nazionale per la gestione della Dir. n. 2003/87/CE e per il supporto delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto (istituito dall’art. 3-bis del Decreto) in base ad una “Decisione di assegnazione”, da elaborarsi per ciascuno dei periodi di riferimento previsti dallo stesso Decreto legislativo (il primo periodo di riferimento riguardava il triennio 2005-2007, il secondo il quinquennio 2008-2012).
Il 18 dicembre 2006 il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e il Ministero dello Sviluppo economico con Decreto DEC/RAS/1448/2006 hanno approvato il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012.
Il D.Lgs. 7 marzo 2008, n. 51 (che aveva modificato ed integrato il D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216) ha introdotto l’Istituzione del Sistema nazionale per la realizzazione dell’Inventario nazionale dei gas serra (art. 14-bis), in conformità a quanto stabilito all’art. 4, par. 4, della Decisione n. 2004/280/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 febbraio 2004, all’art. 5.1 del Protocollo di Kyoto e dalla Decisione n. 19/CMP.1 della Convenzione-quadro sui cambiamenti climatici. La gestione del Sistema è stata suddivisa tra l’ISPRA e il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
12.4.3 Direttiva n. 2009/29/CE e “Piano 20 20 20”
12.4.3Direttiva n. 2009/29/CE e “Piano 20 20 20”Nel 2009, l’UE ha emanato la Dir. n. 2009/29/CE, che ha modificato la Dir. n. 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, introducendo il “Piano 20 20 20”.
In sintesi, si tratta dell’insieme delle misure pensate dalla UE per il periodo successivo al termine del Protocollo di Kyoto, il trattato realizzato per il contrasto al cambiamento climatico che trovava la sua naturale scadenza al termine del 2012.
Come si è descritto, nel primo periodo (2005-2007) e nel secondo periodo (2008-2012) i permessi di emissione ammissibili venivano assegnati a ciascuna nazione attraverso un Piano Nazionale di Allocazione (PNA). La Dir. n. 2009/29/CE istituisce:
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un unico tetto per le emissioni a livello europeo, in sostituzione dei limiti nazionali fissati dalla precedente normativa;
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un sistema di aste per l’allocazione delle emissioni;
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obblighi per un numero maggiore di settori e sostanze.
Il “pacchetto”, contenuto nella Dir. n. 2009/29/CE, è entrato in vigore nel giugno 2009 con validità dal 2013 fino al 2020.
Il “Piano 20 20 20” prevedeva di ridurre le emissioni di gas serra del 20%, di alzare al 20% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e di portare al 20% il risparmio energetico, il tutto entro il 2020 con l’obiettivo di contrastare i cambiamenti climatici promuovendo l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili tramite obiettivi vincolanti per i Paesi membri.
Nella tabella seguente sono riportate schematicamente le misure contenute nel pacchetto clima-energia impostato nel Piano.
1) revisione del Sistema EU-ETS (European Union Emission Trading Scheme) cioè il sistema che prevede lo scambio delle quote delle emissioni di gas serra, con un’estensione dello scambio di quote di emissione in modo tale da ridurre le emissioni stesse. Nel 2013 è stato introdotto un sistema comunitario di aste (auctioning) per l’acquisizione delle quote di emissione; |
2) promozione del sistema “Effort sharing extra EU-ETS”, cioè la ripartizione degli sforzi per ridurre le emissioni: è un sistema pensato per i settori che non rientrano nel sistema di scambio delle quote (come edilizia, agricoltura, trasporti eccetto quello aereo) per cui ai singoli stati membri viene assegnato un obiettivo di riduzione di emissioni (per l’Italia il 13%); |
3) promozione del meccanismo del Carbon Capture and Storage - CCS (Cattura e stoccaggio geologico del carbonio): una delle possibili modalità della riduzione della CO2 in atmosfera è il suo stoccaggio in serbatoi geologici. Tale modalità rientra nel mix di strategie disponibili tramite l’istituzione di uno specifico quadro giuridico; |
4) energia da fonti rinnovabili: l’obiettivo è quello che tramite queste fonti si produca il 20% di energia nella copertura dei consumi finali (usi elettrici, termici e per il trasporto). Per raggiungere questa quota, sono definiti obiettivi nazionali vincolanti (17% per l’Italia): nel settore trasporti in particolare almeno il 10% dell’energia utilizzata dovrà provenire da fonti rinnovabili; |
5) nuovi limiti di emissione di CO2 per le auto: già dal 2011 il limite di emissioni per le auto nuove viene stabilito in 130 g CO2/km, mentre entro il 2020 il livello medio delle emissioni per il nuovo parco macchine dovrà essere di 95 gr. CO2/km; |
6) miglioramento dei combustibili: verranno introdotte nuove restrizioni (legate a salute e ambiente) sui gas serra prodotti dai combustibili. Durante l’intero ciclo di vita della loro produzione i gas serra dovranno essere ridotti del 6%. |
12.4.4 Intervento della Corte di Giustizia europea
12.4.4Intervento della Corte di Giustizia europeaCon la sentenza 28 aprile 2016 (cause riunite C_191/14, C_192/14, C_295/14, C_389/14, C_391/14, C_392/14, C_393/14, Borealis Polyolefine) la Corte di Giustizia ha dichiarato l’invalidità del quantitativo massimo annuo di quote gratuite di emissioni di gas a effetto serra stabilito dalla Commissione per il periodo dal 2013 al 2020. L’esecutivo europeo aveva a sua disposizione dieci mesi per stabilire un nuovo quantitativo. Di conseguenza, il 24 gennaio 2017 la Commissione ha modificato i valori stabiliti in detta Decisione con la pubblicazione della nuova Decisione della Commissione 2017/126/UE, in maniera da renderli conformi alla sentenza della Corte di Giustizia.
12.4.5 Recepimento in Italia della Direttiva n. 2009/29 (D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30 e provvedimenti seguenti)
12.4.5Recepimento in Italia della Direttiva n. 2009/29 (D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30 e provvedimenti seguenti)L’Italia ha recepito la Dir. n. 2009/29/CE mediante il D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30 e successivamente con il D.Lgs. 2 luglio 2015, n. 111, emanato in ulteriore attuazione della Dir. n. 2009/29/CE, modificando il D.Lgs. n. 30/2013, che è stato infine abrogato, ad eccezione dell’art. 27, dal D.Lgs. n. 47/2020.
Dal 2013 il collocamento a titolo oneroso tramite asta è il meccanismo cardine (default method) per l’assegnazione delle quote di emissione, denominate European Union Allowances (EUA) ed European Union Aviation Allowances (EUAA), quest’ultime dedicate ai soli vettori aerei, che hanno comunque accesso anche alle EUA. Tale meccanismo è dunque la regola, salvo particolari eccezioni legate alla tutela della competitività. Pertanto, per mettere all’asta le proprie quote, gli Stati membri devono nominare un “Responsabile nazionale del Collocamento” (Auctioneer). Il GSE (Gestore dei Sistemi Energetici) è il Responsabile del Collocamento delle quote di emissione italiane.
In base al precedente Regolamento delegato che disciplinava il sistema delle aste (1031/2010), i produttori di energia elettrica e gli impianti che si occupano della cattura, del trasporto e dello stoccaggio della CO2 (CCS) devono approvvigionarsi sul mercato del carbonio delle quote necessarie per coprire il proprio fabbisogno di emissioni. I settori manifatturieri e quello dell’aviazione ricevono, invece, parte delle quote a titolo gratuito e ricorrono alle aste per la parte rimanente. I soggetti finanziari invece (banche, società di investimento e intermediari finanziari) partecipano alle aste contribuendo ad aumentare la liquidità del mercato primario e secondario. Rispetto all’assegnazione gratuita, le aste garantiscono maggiore efficienza nella formazione di un prezzo di riferimento per la CO2 in Europa e costituiscono uno stimolo più forte all’internalizzazione dei costi ambientali derivanti dalle emissioni di gas serra, incentivando investimenti in efficienza energetica e tecnologie pulite. I quantitativi esatti delle quote da collocare sono pubblicati annualmente dalla Commissione Europea.
Il 21 dicembre 2023 è entrato in vigore il nuovo Regolamento delegato (UE) n. 2830/2023/Ue del 17 ottobre 2023, che abroga il Regolamento n. 1031/2010 e introduce nuove regole sulla vendita all’asta delle quote di emissione dei gas a effetto serra, modificando anche in parte la Direttiva 2003/87/Ce.
Sarà ora necessario attendere la normativa di adeguamento all’ordinamento italiano per avere un quadro completo degli aggiornamenti normativi, tuttavia le modifiche introdotte dal nuovo Regolamento rispetto al precedente non risultano particolarmente eclatanti.
In estrema sintesi, si segnala che il Regolamento delegato n. 2830/2023/Ue, all’art. 10 tratta dei volumi annui di quote messe all’asta in relazione ad attività di trasporto marittimo e impianti fissi, riferimento mancante all’interno del Regolamento 1031/2010 e lo stesso dicasi per l’art. 11 del nuovo Regolamento, riguardante i volumi annui di quote messe all’asta per il trasporto aereo, anch’esso non presente nel Regolamento n. 1031/2010.
Il nuovo Regolamento non contiene più, inoltre, un esplicito riferimento ai contratti a termine ordinari (futures) o assistiti (forwards).
Il nuovo Regolamento introduce anche un nuovo sistema per lo scambio di quote di emissioni separato per l’edilizia, il trasporto stradale e i settori industriali non rientranti nell’attuale sistema per lo scambio di quote di emissioni ex allegato I della direttiva n. 2003/87/Ce.
Quanto agli strumenti di supporto per lo svolgimento delle aste, occorre tenere presente che, come ricordato anche dal sito della Commissione Europea, la Borsa europea dell’energia (EEX) di Lipsia è la piattaforma comune scelta dalla grande maggioranza dei paesi che partecipano all’EU ETS per gestire le assegnazioni dei crediti. Germania e Polonia al momento hanno optato per gestire separatamente le assegnazioni dei propri crediti. EEX funge anche da piattaforma d’asta per la Germania, ma in virtù di accordo ad hoc. La Polonia potrebbe designare una sua piattaforma d’asta, ma per il momento utilizza la piattaforma d’asta comune. Anche le quote per l’Irlanda del Nord vengono messe all’asta su EEX, mentre il Regno Unito si avvale di ICE.
Per avere una idea di come funzionano le piattaforme, si consultino i siti web di European Energy Exchange - EEX o Intercontinental Exchange - ICE.
Tutti i soggetti che devono sottostare all’EU ETS possono approvvigionarsi delle quote di cui necessitano su tutte le piattaforme a prescindere della propria nazionalità.
Il D.M. 25 luglio 2016 (“Tariffe a carico degli operatori per le attività previste dal D.Lgs. n. 30/2013”) aveva aggiornato, come previsto dalla normativa, le tariffe a carico degli operatori (gestori del trasporto aereo e di impianti fissi) per le attività previste dal D.Lgs. n. 30/2013 per la gestione del sistema UE-ETS.
Con il D.Lgs. n. 47/2020 vengono aggiornate anche le tariffe relative alle attività di cui all’art. 46, comma 2 del medesimo decreto ministeriale e pertanto il D.M. 25 luglio 2016 viene abrogato e sostituito dal D.M. 6 dicembre 2021.
Le tariffe sono predeterminate e pubbliche e sono aggiornate almeno ogni tre anni.
12.4.6 Recepimento del c.d. “emendamento di Doha” e introduzione della “riserva stabilizzatrice” delle quote di emissione
12.4.6Recepimento del c.d. “emendamento di Doha” e introduzione della “riserva stabilizzatrice” delle quote di emissioneIn tema di ETS si segnalano le pubblicazioni delle decisioni e dei Regolamenti UE di recepimento del c.d. “emendamento di Doha” e di introduzione della “riserva stabilizzatrice” delle quote di emissione.
Si ricorda, che nella conferenza della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC) COP 18, tenutasi a Doha (Qatar) nel dicembre 2012, era stato adottato un emendamento che sanciva la continuazione del Protocollo di Kyoto per la fase che va dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2020. Nella sostanza, circa 200 Paesi avevano acconsentito all’estensione del Protocollo di Kyoto fino al 2020 (ma senza l’appoggio di grandi emettitori di CO2 come Stati Uniti, Russia, Giappone e Canada il secondo periodo interessa solo il 14% delle emissioni globali). L’emendamento di Doha indicava gli impegni di riduzione delle emissioni al 2020 dei vari Paesi firmatari. Per la UE l’impegno era il 20% (che sarebbe dovuto salire al 30% qualora si fosse raggiunto un accordo globale alla successiva COP 21 di Parigi, descritta al paragrafo seguente), per l’Australia il 5-25% (anche qui a seconda dello scenario internazionale), per la Norvegia il 30-40% e per la Svizzera il 20-30%.
L’Unione Europea ha ratificato l’emendamento emerso nella Conferenza di Doha con la Decisione UE n. 2015/1339. Ciò ha comportato l’emissione del nuovo Regolamento Europeo n. 2015/1844 (che modifica il Regolamento 389/2013, istitutivo del Registro della UE) di attuazione del richiamato emendamento, istituendo un sistema elettronico che tiene traccia della proprietà delle quote gestito e tenuto dall’amministratore centrale. Quest’ultimo deve anche a mantenere un catalogo indipendente delle operazioni che registri il rilascio, il trasferimento e la cancellazione delle quote di emissioni, nonché eseguire un controllo automatizzato sulle singole operazioni per verificare che non vi siano vizi di irregolarità. Il registro della UE è accessibile al pubblico e contiene una contabilità separata per registrare le quote di emissioni possedute da ciascuna persona giuridica alla quale siano state rilasciate o dalla quale siano state trasferite quote di emissione.
Per quanto riguarda l’introduzione del nuovo meccanismo della “riserva stabilizzatrice” (operativa dal 2019) del sistema ETS destinata a far fronte all’eccesso di offerta di quote di emissione dei gas a effetto serra (o alla loro scarsità), il 9 ottobre 2015 è stata pubblicata la Decisione UE n. 2015/1814. La Commissione Europea, già all’inizio del 2014, aveva presentato o una proposta legislativa volta ad introdurre una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema EU ETS, per evitare l’eccesso di offerta o la scarsità di quote. L’iniziativa prendeva le mosse dalla considerevole eccedenza di quote registrata nel 2013, con possibilità di ulteriori aumenti negli anni successivi. In sintesi, la nuova “riserva” mira a correggere gli squilibri strutturali tra domanda e offerta nell’EU ETS. La riserva funziona attivando la regolazione dei volumi annuali di quote da mettere all’asta. In pratica, in base al nuovo meccanismo:
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nel caso in cui in un dato anno il numero totale di quote di emissione superi una determinata soglia, una percentuale di quote verrà ritirata automaticamente dal mercato ed integrata nella riserva;
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nel caso contrario, le quote contenute nella riserva sono reimmesse sul mercato.
La riserva stabilizzatrice del mercato è divenuta operativa nel 2019.
Occorre ricordare, infine, che con la Legge 3 maggio 2016, n. 79, l’Italia aveva ratificato e ha dato attuazione a sei importanti accordi internazionali ambientali, fra i quali, per quanto di interesse in questa trattazione, l’emendamento di Doha al Protocollo di Kyoto e l’accordo UE-Islanda.
Il primo accordo ratificato con la Legge n. 79/2016 è il già descritto “Emendamento di Doha” al Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici (UNFCCC), approvato dalla COP 18 nel 2012. In tale ambito, l’art. 4 della Legge n. 79/2016 consente di attuare in ambito nazionale le disposizioni dettate dall’art. 4 del Regolamento UE n. 525/2013, che prevede che ogni Stato membro elabori la propria Strategia nazionale di sviluppo a basse emissioni di carbonio, prevedendone l’adozione da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), su proposta del Ministro dell’Ambiente. La Strategia nazionale deve essere adottata, previo svolgimento di un’ampia consultazione pubblica, attraverso il sito web istituzionale del MATTM e del MISE e deve conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra assunti negli accordi internazionali a cui l’Italia aderisce siglati nell’ambito della Convenzione ONU per il clima (UNFCCC), secondo un piano di scadenze temporali degli obiettivi di riduzione delle emissioni (comma 3). La nuova Strategia include quanto previsto dal Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento (cfr. Delibera CIPE 8 marzo 2013, n. 17).
La seconda ratifica riguardava l’Accordo congiunto degli impegni per il secondo periodo del Protocollo di Kyoto, fatto a Bruxelles il 1° aprile 2015.
12.4.7 Attuazione dell’accordo di Parigi e degli impegni per il 2030-2050
12.4.7Attuazione dell’accordo di Parigi e degli impegni per il 2030-2050Come già ricordato, in occasione della COP 21 dell’UNFCCC, a novembre 2015, è stata raggiunta l’intesa per un accordo volto a regolare il periodo post-2020, denominata accordo di Parigi.
Il 22 aprile 2016, in occasione della Giornata della Terra, si è tenuta a New York, presso il quartier generale delle Nazioni Unite, una cerimonia che ha visto la partecipazione di capi di stato e di governo di tutto il mondo e nel corso della quale l’accordo di Parigi è stato firmato da più di centosettanta Paesi, compresa l’Italia e l’Unione Europea, ed è stato avviato il processo di ratifica. La quota di ratifiche necessarie per l’entrata in vigore dell’Accordo (55 Paesi, rappresentanti almeno il 55% delle emissioni globali di gas-serra) è stata infine raggiunta il 5 ottobre 2016, data in cui l’Unione Europea ha provveduto alla ratifica con la Decisione UE n. 2016/1841. L’accordo di Parigi è quindi entrato in vigore il 4 novembre 2016.
Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica e l’esecuzione dell’Accordo di Parigi è avvenuta con la Legge 4 novembre 2016, n. 204. In base a quanto chiarito con il Comunicato del Ministero degli affari esteri pubblicato nella G.U. del 6 dicembre 2016, l’Accordo è entrato in vigore per l’Italia il giorno 11 dicembre 2016.
L’accordo contiene impegni di implementazione che esigono l’adozione di misure e impegni diretti da parte dei singoli stati aderenti e su questa linea si è snodato il percorso attuativo sia dell’Unione Europea sia dell’Italia. Nell’accordo, infatti:
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è stato confermato l’obiettivo a lungo termine (già concordato nelle precedenti Conferenze delle Parti) di limitare l’incremento della temperatura entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e, inoltre, è stato convenuto di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura di 1,5 °C;
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è stato previsto che ogni Paese, al momento dell’adesione, comunichi il proprio “contributo determinato a livello nazionale” (INDC - Intended Nationally Determined Contribution) con l’obbligo di perseguire misure interne per la sua attuazione. Ogni successivo contributo nazionale (da comunicare ogni cinque anni) dovrà costituire un avanzamento rispetto allo sforzo precedentemente rappresentato con il primo contributo;
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è stata riconosciuta la necessità di una differenziazione degli obblighi dei Paesi sulla base delle differenti realtà nazionali;
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è stato garantito il supporto finanziario a favore dei Paesi in via di sviluppo per le azioni di riduzione dei gas climalteranti (c.d. “finanza per il clima”). I paesi industrializzati hanno confermato e rinnovato i propri impegni a favore dei paesi in via di sviluppo, per garantire, dal 2020, un fondo annuale di 100 miliardi di dollari.
12.4.8 Impegni al 2030 per i settori ETS e non ETS
12.4.8Impegni al 2030 per i settori ETS e non ETSDopo la presentazione della Comunicazione sul “Quadro Clima-Energia 2030”, il Consiglio europeo del 23-24 ottobre 2014 aveva approvato le Conclusioni che contengono i nuovi obiettivi per il periodo 2021-2030, che costituirono la base del contributo dell’UE al sopra menzionato accordo globale sui cambiamenti climatici del 2015.
L’elemento centrale del nuovo Quadro Clima-Energia 2030 è l’obiettivo di riduzione dei gas serra del 40% a livello europeo rispetto all’anno 1990.
Le citate Conclusioni prevedono, inoltre, obiettivi vincolanti a livello europeo per i consumi finali di energia da fonti rinnovabili ed un target indicativo di efficienza energetica e stabiliscono che l’obiettivo relativo ai gas-serra sia ripartito tra i settori ETS e non-ETS, rispettivamente, in misura pari al 43% e al 30% rispetto al 2005.
Si ricorda che i settori non ETS sono quelli dell’edilizia, agricoltura, gestione dei rifiuti, piccola industria e trasporti.
Al fine di raggiungere tali obiettivi sono stati approvati numerosi provvedimenti legislativi; si ricordano in particolare la revisione della Direttiva ETS (Dir. n. 2018/410/UE), il nuovo Regolamento per i settori non-ETS (Reg. n. 2018/842/UE, c.d. Effort Sharing), nonché il Reg. n. 2018/841/UE relativo all’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas-serra risultanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura (c.d. Regolamento LULUCF: Land Use, Land-Use Change and Forestry).
La citata riduzione di almeno il 40% a livello europeo rispetto all’anno 1990 è articolata nelle seguenti riduzioni, calcolate rispetto all’anno 2005:
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una riduzione del 43% per il settore ETS;
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una riduzione del 30% per i settori non-ETS.
Nell’Allegato “Kyoto” al DEF (Documento di Economia e Finanza) 2018 era sottolineato che mentre per i settori ETS l’obiettivo veniva applicato a livello europeo, essendo il sistema applicato a tutti gli Stati Membri in maniera armonizzata e centralizzata, l’obiettivo di riduzione di gas a effetto serra relativo ai settori non-ETS veniva suddiviso tra i vari Stati Membri. Per l’Italia, l’obiettivo di riduzione al 2030, stabilito sulla base del Regolamento Effort Sharing rivisto, era pari al -33%.
Veniva altresì ricordato, dallo stesso allegato, che l’attuazione degli obiettivi previsti nella Strategia energetica nazionale (SEN) 2017 (adottata con il Decreto interministeriale 10 novembre 2017) avrebbero dovuto consentire di raggiungere il citato obiettivo relativo alle emissioni fissato per il 2030.
12.4.9 Direttiva n. 2018/410 e Regolamento delegato n. 2019/331
12.4.9Direttiva n. 2018/410 e Regolamento delegato n. 2019/331La Direttiva ETS - UE n. 2018/410, in vigore dall’8 aprile 2018, provvede a modificare:
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la Dir. n. 2003/87/CE allo scopo di sostenere la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra più efficace sotto il profilo dei costi e a promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio;
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la Decisione UE n. 2015/1814, relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato, nel sistema dell’Unione, per lo scambio di quote di emissione.
Le nuove disposizioni vanno a coprire l’intervallo relativo all’implementazione della quarta fase dell’EU ETS (2021-2030).
Le principali novità introdotte dalla Dir. n. 2018/410/UE possono essere così sintetizzate:
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incremento del tasso di riduzione annuale del tetto massimo di quote di emissione (il “fattore di riduzione lineare”) che passa dall’attuale 1,74% al 2,2%;
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aggiornamento delle modalità di assegnazione gratuita delle quote;
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modifiche al funzionamento della “riserva stabilizzatrice”;
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aggiornamento delle regole per i “nuovi entranti” e per la concessione di finanziamenti da parte dell’UE.
Gli Stati membri, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva, dovevano recepirne le disposizioni entro il 9 ottobre 2019. L’Italia ha recepito la Direttiva attraverso il D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47, che opera una completa riscrittura dello scambio di quote di emissione di gas a effetto serra dettate dal D.Lgs. n. 30/2013, introducendo una serie di modifiche e novità (tra queste si sottolinea, per esempio, il cambiamento della definizione di “nuovo entrante”).
Nota: la delega per il recepimento della Direttiva 2018/410/UE è stata attribuita al Governo a seguito dell’inserimento di tale Direttiva nell’allegato A della Legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Legge di delegazione europea 2018). Non essendo stato rispettato dall’Italia il termine per il recepimento della Direttiva 2018/410/UE nei tempi stabiliti, in data 22 novembre 2019, la Commissione Europea ha aperto verso il nostro Paese la procedura di infrazione n. 2019/0329.
Per quanto riguarda, invece, le quote di emissioni gratuite, l’art. 10-bis, par. 1, della Dir. n. 2003/87/CE, stabilisce che le misure transitorie per la loro assegnazione devono, per quanto possibile, definire parametri di riferimento ex ante per garantire che tale assegnazione avvenga in modo da incentivare riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra e tecniche efficienti sotto il profilo energetico.
Il Regolamento delegato UE 2019/331 stabilisce le modalità di assegnazione gratuita di quote di emissioni per il periodo 2021-2030 a norma del capo III (impianti fissi) della Dir. n. 2003/87/CE a partire dal 2021, ad eccezione dell’assegnazione gratuita di quote di emissioni per un periodo transitorio ai fini della modernizzazione della produzione di energia elettrica, ai sensi dell’art. 10-quater della stessa Direttiva.
In questo contesto, il Regolamento di esecuzione UE n. 2019/1842 stabilisce gli obblighi annuali di comunicazione dei gestori di impianti che hanno ricevuto un’assegnazione gratuita conformemente all’art. 10-bis della Dir. n. 2003/87/CE per il periodo di scambio dal 2021 al 2030. Nel 2021 la comunicazione doveva includere i dati relativi ai due anni precedenti la sua presentazione.
Si segnala, quindi, il Regolamento delegato UE n. 2019/1868 (recante modifica del Regolamento UE n. 1031/2010 per allineare la vendita all’asta delle quote alle norme dell’EU ETS per il periodo 2021-2030 e al riconoscimento delle quote quali strumenti finanziari ai sensi della Dir. n. 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio) che apporta modifiche al sistema vigente di monitoraggio e segnalazione delle aste per prevedere: la possibilità di cancellazione volontaria di quote da parte dello Stato membro (ad esempio in caso di chiusura di capacità di generazione elettrica); la reintroduzione nell’EU ETS di installazioni che rilasciano meno di 2.500 tonnellate di CO2; il ricorso alla flessibilità stabilita dall’art. 6, Reg. UE n. 2018/842 tra i settori ETS e non ETS per favorire il conseguimento degli obiettivi nazionali di riduzione nei settori esclusi dall’ETS; l’allineamento della vendita all’asta delle quote al nuovo regime che regola i mercati finanziari (dal 2018 le quote sono infatti considerate strumenti finanziari ai sensi della Dir. n. 2014/65/UE).
12.4.10 Recepimento in Italia della Direttiva n. 2018/410 (D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47)
12.4.10Recepimento in Italia della Direttiva n. 2018/410 (D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47)Il D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47, che rappresenta il recepimento in ambito nazionale della Direttiva 2018/410/UE, si inserisce nell’assetto normativo esistente:
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abrogando il precedente D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30,
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imponendo nuovi obblighi ai gestori degli impianti (es. l’obbligo di comunicazione annuale della Relazione sui dati di riferimento entro il 31 marzo di ogni anno, corredata della relazione di un verificatore accreditato per l’aggiornamento dell’assegnazione gratuita),
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modificando definizioni esistenti e introducendone di nuove.
Rispetto alla normativa precedente, cambia la definizione di “nuovo entrante” che, in particolare, non fa più riferimento a coloro che hanno ottenuto un’autorizzazione ad emettere gas serra, per la prima volta, dopo il 30 giugno 2011. In tale categoria rientrano invece coloro che ottengono un’autorizzazione per la prima volta nel periodo che inizia da tre mesi prima della data di trasmissione da parte del Comitato alla Commissione Europea dell’elenco quinquennale di impianti disciplinati dal provvedimento e termina tre mesi prima della data di trasmissione del successivo elenco quinquennale (art. 3, comma 1, lett. dd). Sono, inoltre, previste ulteriori integrazioni alla definizione di nuovo entrante.
Le principali modifiche riguardano anche la variazione dell’assetto organizzativo che dovrebbe consentire al Comitato di operare in modo efficace e senza soluzione di continuità, anche attraverso la garanzia di un adeguato supporto specialistico. L’art. 4, disciplina il Comitato nazionale ETS, già previsto dal D.Lgs. n. 30/2013, come Autorità nazionale competente per l’attuazione delle disposizioni della Direttiva 2003/87/CE e dei relativi atti utili alla gestione delle attività connesse al Protocollo di Kyoto. I membri del Comitato durano in carica cinque anni, al termine dei quali il mandato potrà essere rinnovato un’unica volta. Diversamente da quanto previsto dal precedente D.Lgs. n. 30/2013, il supporto alle attività del Comitato viene demandato a una segreteria tecnica, ridotta nel numero di membri e che sarà costituita da funzionari di ruolo appartenenti alla Direzione generale per il clima, l’energia e l’aria del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, competente per materia, rafforzandone pertanto il raccordo con le competenti strutture ministeriali.
In merito alle adempienze del Comitato, l’art. 25 ha disposto la trasmissione da parte dello stesso alla Commissione Europea di un elenco di impianti disciplinati dal D.Lgs. n. 47/2020, valido per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2021 e poi aggiornato con cadenza quinquennale. Tale elenco è inerente agli impianti di produzione di energia elettrica, agli impianti di dimensioni ridotte che possono essere esclusi dall’EU ETS, nonché agli impianti inclusi unilateralmente in tale sistema. Inoltre è compito del Comitato determinare e proporre alla Commissione Europea l’assegnazione di quote gratuite agli impianti compresi nella lista dei settori e sottosettori esposti ad un rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio individuati con decisione delegata (UE) 2019/708. All’art. 33 sono state indicate anche le attività ispettive che il Comitato può svolgere, (sia da remoto che mediante visite sul posto), con costi a carico dei soggetti ispezionati, in linea con quanto previsto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 234; in questo modo vengono recepite anche le esigenze segnalate dalla Corte dei Conti europea e dalle linee guida della Commissione Europea.
Ulteriori modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 47/2020, rispetto alla precedente legislazione, si segnalano all’art. 10, in cui sono state puntualmente ridefinite le attività relative ai Piani di monitoraggio delle emissioni e la loro comunicazione a cura e competenza del Comitato ETS.
L’art. 15 stabilisce, ai commi 1-2, in analogia a quanto precedentemente disposto dal D.Lgs. n. 30/2013, che gli impianti che sono compresi nel regime EU-ETS devono acquisire la necessaria autorizzazione rilasciata dall’Autorità nazionale competente e che ciò vale anche per gli impianti inclusi unilateralmente. Il comma 3, avente carattere innovativo, precisa che l’obbligo di autorizzazione non vige per gli impianti di dimensioni ridotte (disciplinati dagli artt. 32 e 33 del Decreto in esame), ai quali è rilasciata un’autorizzazione semplificata.
Per quanto riguarda gli impianti fissi, si evidenzia l’art. 19 che prevede che la revoca dell’autorizzazione, oltre al caso di cessazione dell’attività come già previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 30/2013, avvenga anche in caso di revoca dell’autorizzazione integrata ambientale.
Con riferimento all’art. 23, viene mantenuta la disciplina vigente in merito alle modalità di assegnazione onerosa delle quote di CO2 equivalente attraverso la vendita all’asta delle stesse, nonché le modalità di ripartizione dei proventi tra i vari Ministeri e le relative finalità di spesa. In proposito viene confermato quanto previsto dal precedente testo normativo, ossia l’attribuzione del 50% dei proventi ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico e del restante 50% al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato (il 70%, viene assegnato al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il restante 30%, al Ministero dello sviluppo economico).
L’art. 26 disciplina i casi di cessazione di attività di un impianto, nonché di interruzione ed eventuale ripresa dell’attività medesima.
Gli artt. 31 e 32 recano disposizioni finalizzate a disciplinare l’esclusione, su richiesta del gestore interessato, di impianti di dimensioni ridotte e l’esclusione facoltativa degli impianti con un livello di emissioni inferiore a 2.500 tonnellate di CO2 equivalente o con funzionamento inferiore a 300 ore annue.
L’art. 40 detta disposizioni in merito alla validità delle quote stabilendo che quelle rilasciate dal 1° gennaio 2013 siano valide a tempo indeterminato, mentre le quote rilasciate dal 1° gennaio 2021 dovranno riportare un’indicazione che dichiari in quale periodo di dieci anni siano state rilasciate.
Da ultimo, il quadro sanzionatorio del Decreto è puntualmente definito nell’art. 42, il quale, in caso di esercizio delle attività di cui all’allegato I senza l’autorizzazione di cui all’art. 15 del medesimo decreto, prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria:
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da 10.000 euro a 100.000 euro, aumentata di 100 euro per ciascuna tonnellata di biossido di carbonio equivalente emessa in mancanza di autorizzazione;
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da 5.000 euro a 50.000 euro, aumentata di 100 euro per ciascuna tonnellata di biossido di carbonio equivalente emessa in mancanza di autorizzazione in caso di dichiarazione spontanea al Comitato da parte del trasgressore, recante espressa indicazione della data a decorrere dalla quale l’autorizzazione avrebbe dovuto essere richiesta.
Il medesimo articolo, al comma 3, specifica anche che “il gestore che abbia esercitato una delle attività di cui all’allegato I, ad eccezione delle attività di trasporto aereo, in mancanza dell’autorizzazione di cui all’articolo 15, è tenuto a restituire un numero di quote di emissioni pari a:
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la differenza tra le emissioni rilasciate in atmosfera in assenza di autorizzazione e la quantità di quote che sarebbe stata rilasciata a titolo gratuito, nei casi di impianti beneficiari di assegnazione di quote a titolo gratuito. Il numero di quote che sarebbero state rilasciate all’impianto beneficiario di assegnazione gratuita è quantificato dal Comitato che a tal fine acquisisce ogni necessario elemento informativo anche dal trasgressore.
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le emissioni rilasciate in atmosfera in assenza di autorizzazione, nei casi di impianti non beneficiari di assegnazione di quote a titolo gratuito”.
Con il D.M. 17 gennaio 2024 (che ha sostituito il D.M. 30 luglio 2021), emanato in attuazione dell’art. 4, comma 11, del D.Lgs. n. 47/2020, sono state disciplinate le modalità di funzionamento del Comitato ETS (che rappresenta l’autorità nazionale competente per l’attuazione delle disposizioni della Direttiva 2003/87/CE) e della relativa segreteria tecnica. In attuazione dell’art. 46, comma 2, del medesimo decreto legislativo è stato emanato il D.M. 6 dicembre 2021 recante il regime tariffario in EU ETS per la copertura dei costi delle attività svolte a favore dei gestori o degli operatori aerei assoggettati al sistema EU ETS e a carico degli stessi. In attuazione dell’art. 29 è invece stato emanato il D.M. 12 novembre 2021, recante “Attuazione del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale - Compensazione costi indiretti CO2”.
12.4.11 Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC)
12.4.11Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC)Diversi strumenti di pianificazione e programmazione di settore su scala nazionale si occupano di come tradurre in azioni concrete le grandi strategie di lotta ai cambiamenti climatici. Uno di questi strumenti è il Piano nazionale integrato energia e clima 2030 (PNIEC), il principale atto di programmazione del sistema energetico italiano per cambiare la politica energetica e ambientale verso la decarbonizzazione. Il PNIEC è articolato in cinque parti (decarbonizzazione, efficienza, sicurezza energetica, sviluppo del mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività) e fissa obiettivi al 2030 con proposte e misure volte a contribuire al miglioramento della qualità dell’aria. Va peraltro ricordato che il PNIEC, pur avendo come obiettivo primario il contrasto al cambiamento climatico, è ben integrato con il Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico (PNCIA). Gli scenari energetico-ambientali previsti dal PNIEC, infatti, sono gli stessi del PNCIA, previsti dal D.Lgs. n. 81/2018.
In attuazione del Regolamento UE n. 2018/1999 dell’11 dicembre 2018 sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima, l’Italia ha inviato alla Commissione Europea, in data 8 gennaio 2019, la propria proposta di PNIEC per il periodo 2021-2030. L’art. 9 del Regolamento prevede infatti che entro il 31 dicembre 2018, poi entro il 1° gennaio 2028 e successivamente ogni dieci anni, ogni Stato membro elabora e trasmette alla Commissione la proposta del piano nazionale integrato per l’energia e il clima. A seguito della pronuncia della Commissione Europea sul testo definitivo del PNIEC italiano, il Piano è stato pubblicato il 21 gennaio 2020.
Con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento.
Come sottolineato nel comunicato del MISE dell’8 gennaio 2019, i principali obiettivi del Piano sono:
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una percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia pari al 30%, in linea con gli obiettivi previsti per il nostro Paese dall’UE;
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una quota di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia nei trasporti del 21,6% a fronte del 14% previsto dalla UE;
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una riduzione dei consumi di energia primaria rispetto allo scenario di riferimento (PRIMES 2007) del 43% a fronte di un obiettivo UE del 32,5%;
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la riduzione dei “gas serra”, rispetto al 2005, per tutti i settori non ETS del 33%, obiettivo superiore del 3% rispetto a quello previsto dall’UE.
Al fine di raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas effetto serra nel periodo 2021-2030, pari al -33% rispetto al 2005, come previsto dal Regolamento (UE) 2018/842, l’Italia intende potenziare diverse misure già in vigore, nonché avvalersi di nuove politiche che saranno introdotte e che interesseranno tra i vari ambiti: economia circolare e rifiuti (con particolare attenzione all’economia circolare), produzione elettrica, agricoltura e LULUCF.
Nella “Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra” allegata al Documento di Economia e Finanza 2020, approvato dal Consiglio dei Ministri italiano del 24 aprile viene fornita una stima delle emissioni di gas serra (riferite sia ai settori ETS che non-ETS) fino al 2030. Tale analisi evidenzia, per l’Italia, che l’implementazione delle misure previste dal Piano nazionale per l’energia e il clima (PNIEC) dovrebbe consentire il raggiungimento sia degli obiettivi per i settori ETS, che di quelli per i settori non-ETS.
Nella relazione viene però sottolineato che tale analisi fa riferimento ad uno scenario ormai superato, in quanto il Consiglio UE del dicembre 2020 ha stabilito un nuovo obiettivo vincolante di riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 (elevando il precedente obiettivo del 40%), per mettere l’Unione in linea con il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Sulla base di quanto sopra esposto si evidenzia come il quadro regolamentare europeo in materia di energia e clima sia in evoluzione. Il nuovo livello di ambizione definito in ambito europeo fornisce l’inquadramento strategico per l’evoluzione del sistema, sul piano normativo e programmatorio, europeo e nazionale. Il Piano nazionale italiano di ripresa e resilienza (PNRR), profila infatti un futuro aggiornamento del PNIEC e della Strategia di lungo termine per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, per riflettere i recenti mutamenti intervenuti in sede europea.
A tal proposito, nel luglio del 2023, il MASE ha inviato alla Commissione Europea la proposta di aggiornamento del PNIEC dove vengono fissati gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento.
È dunque iniziato l’iter di aggiornamento del Piano che condurrà alla approvazione definitiva del nuovo testo, prevista entro giugno del 2024.
12.4.12 Regolamento n. 2021/1119 e Pacchetto ‘Fit for 55’
12.4.12Regolamento n. 2021/1119 e Pacchetto ‘Fit for 55’Sulla base dell’evoluzione degli accordi sul clima, nella comunicazione dell’11 dicembre 2019 intitolata ‘Green Deal Europeo’ la Commissione Europea ha illustrato un pacchetto di proposte mirate a trasformare l’Unione in una società dotata di un’economia moderna, efficiente e competitiva, che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse. Il Green Deal europeo mira inoltre a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Unione e a tutelare la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze. Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 15 gennaio 2020 sul Green Deal europeo, ha chiesto che la transizione verso una società climaticamente neutra avvenga entro il 2050 al più tardi e ha invitato l’Unione a fissare un traguardo in materia di clima al fine di rendere le politiche dell’UE in materia di ambiente, energia, uso del suolo, trasporti con fiscalità idonee a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.
Tale obiettivo è previsto dal Regolamento n. 2021/1119 (che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il Regolamento (CE) n. 401/2009 e il Regolamento (UE) 2018/1999). Il sistema EU ETS rappresenta una pietra angolare della politica climatica dell’Unione e ne costituisce lo strumento fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra in modo efficiente in termini di costi.
L’azzeramento del contributo dell’area europea al surriscaldamento climatico entro il 2050 si inserisce all’interno di un disegno più ampio, definito dall’accordo di Parigi ed esplicitamente richiamato all’art. 1 del Regolamento 2021/1119/UE, ossia mantenere “l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2° C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l’azione volta a limitare tale aumento a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali”.
Il regolamento, pubblicato in data 30 giugno 2021, definisce le seguenti misure intermedie dell’Unione:
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ridurre di almeno il 55% delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990 (art. 4);
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fissare un traguardo in materia di clima a livello dell’Unione per il 2040 elaborando una proposta legislativa. Tale proposta dovrà essere accompagnata da una relazione contenente il bilancio di previsione indicativo di gas a effetto serra dell’Unione per il periodo 2030-2050 (art. 4);
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richiedere alla Commissione di presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, entro sei mesi da ogni bilancio globale nell’ambito dell’accordo di Parigi, contenente i contributi agli obiettivi a lungo termine e i progressi compiuti dall’Unione e dagli Stati membri per soddisfare gli obiettivi del regolamento (art. 11);
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adottare, entro il 30 luglio 2022, orientamenti che stabiliscano i principi e le pratiche comuni per l’identificazione, la classificazione e la gestione prudenziale dei rischi climatici nella pianificazione, nello sviluppo, nell’esecuzione e nel monitoraggio di progetti e programmi (art. 5).
Il 14 luglio 2021, la Commissione Europea aveva poi adottato una serie di proposte legislative (pacchetto “Fit for 55%”) che definiscono come si intende raggiungere la neutralità climatica nell’UE entro il 2050, compreso l’obiettivo intermedio di riduzione netta di almeno il 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.
Nel campo relativo allo scambio di quote, la Commissione proponeva un’ampia serie di modifiche al vigente sistema ETS che dovrebbe portare a una riduzione complessiva delle emissioni nei settori interessati pari al 62% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.
In merito all’ambito ETS, il Consiglio e il Parlamento europeo:
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hanno convenuto di accrescere l’ambizione generale portando al 62% la riduzione delle emissioni entro il 2030 nei settori coperti dal sistema EU ETS;
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per quanto riguarda il massimale globale di emissioni, hanno convenuto una modifica della base del massimale nell’arco di due anni, rispettivamente di 90 e 27 milioni di quote, e l’aumento del tasso di riduzione annuale del 4,3% all’anno dal 2024 al 2027 e del 4,4% dal 2028 al 2030;
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hanno approvato la proposta di rafforzare la riserva stabilizzatrice del mercato mantenendo anche dopo il 2023 il tasso di immissione annuale delle quote più elevato (24%) e definendo una soglia di 400 milioni di quote oltre la quale quelle integrate nella riserva non sono più valide;
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per quanto riguarda i settori coperti dal meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), hanno approvato la proposta di porre fine progressivamente alle quote a titolo gratuito per i settori interessati dal CBAM nell’arco di dieci anni, tra il 2026 e il 2034;
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per quanto riguarda il Fondo per la modernizzazione, il Consiglio ha mantenuto l’aumento del volume attraverso la vendita all’asta di un ulteriore 2,5% del massimale, il 90% del quale deve essere utilizzato per sostenere gli investimenti prioritari.
Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno inoltre:
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rafforzato talune disposizioni del Fondo per l’innovazione;
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convenuto di inserire le emissioni del trasporto marittimo nell’ambito di applicazione del sistema EU ETS;
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approvato di creare un nuovo sistema di scambio di quote di emissione distinto per i settori degli edifici e del trasporto stradale, che sarà applicato ai distributori che forniscono combustibili nei settori degli edifici e del trasporto stradale;
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convenuto di eliminare gradualmente, entro il 2027, l’assegnazione gratuita delle quote di emissione per il settore del trasporto aereo;
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convenuto di istituire un Fondo sociale per il clima a sostegno di famiglie, microimprese e utenti dei trasporti. Il Fondo sarebbe istituito per il periodo 2027-2032, con ammissibilità delle spese a partire dal 1° gennaio 2026.
12.4.13 Registro dell’Unione e Regolamenti delegati nn. 2019/1122 - 2019/1124
12.4.13Registro dell’Unione e Regolamenti delegati nn. 2019/1122 - 2019/1124Va ricordato che il registro dell’Unione di cui all’art. 20, par. 1, della Direttiva n. 2003/87/CE (ETS) è una banca dati elettronica contenente elementi di dati comuni che consentono di controllare, se del caso, il rilascio, il possesso, il trasferimento e la cancellazione delle quote di emissioni, nonché di assicurare l’accesso al pubblico e la riservatezza, ove necessario.
In questo contesto, si inseriscono due importanti Regolamenti Delegati:
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il Regolamento delegato UE n. 2019/1122 (che integra la Direttiva n. 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda il funzionamento del registro dell’Unione) che adegua le norme che disciplinano il registro dell’Unione allo scopo di allinearle, nella misura necessaria, alla normativa in materia di mercati finanziari. Sono altresì ridefiniti i compiti principali dell’amministratore centrale nella gestione e tenuta del registro dell’Unione e del catalogo delle operazioni dell’Unione Europea (EUTL), nella gestione dei conti centrali e nelle operazioni che competono al livello centrale. Gli amministratori nazionali fungono, invece, da punto di contatto per i rispettivi titolari di conti iscritti nel registro dell’Unione e svolgono tutte le operazioni che implicano un contatto diretto con essi, tra cui l’apertura e la chiusura dei conti, nonché l’eventuale sospensione dell’accesso agli stessi.
Inoltre, il Regolamento delegato UE n. 2019/1122, abroga il Regolamento UE n. 389/2013 con effetto dal 1° gennaio 2021. Tuttavia, il Regolamento UE n. 389/2013 continua ad applicarsi fino al 1° gennaio 2026 a tutte le transazioni necessarie in relazione al periodo di scambio compreso tra il 2013 e il 2020, al secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto (2013-2020) e al periodo di adempimento di cui all’art. 3, punto 30, di tale Regolamento (il periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2020, durante il quale gli Stati membri limitano le loro emissioni di gas a effetto serra a norma dell’art. 3 della Decisione n. 406/2009/CE);
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il Regolamento delegato UE n. 2019/1124 (che modifica il Regolamento delegato UE n. 2019/1122 per quanto riguarda il funzionamento del registro dell’Unione a norma del Regolamento UE n. 2018/842 del Parlamento europeo e del Consiglio) aggiorna il Regolamento n. 2019/1122 per tener conto dei disposti del Regolamento UE n. 2018/842 (relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi e recante modifica del Regolamento UE n. 525/2013), ovvero il c.d. Effort Sharing Regulation - ESR, sulla condivisione degli sforzi per i settori non regolamentati dal sistema ETS, quali i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura e i rifiuti.
In tema di settori non regolamentati dal sistema ETS, il Regolamento delegato UE n. 2019/1124, a dispetto del titolo, apporta modifiche al Regolamento n. 2019/1122 anche per tener conto del Regolamento n. 2018/841/UE, relativo all’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra risultanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF, Land Use, Land-Use Change and Forestry). Nella sostanza, le modifiche apportate dal Regolamento delegato UE n. 2019/1124 al Regolamento delegato UE n. 2019/1122 riguardano l’inserimento di norme armonizzate per la contabilizzazione delle unità di assegnazione annuale di emissioni (AEA) detenute nei conti di adempimento ESR del registro dell’Unione, relative alle operazioni di cui ai Regolamenti nn. 2018/842 e 2018/841.
12.4.14 Ulteriori strumenti attuativi del 2023 - Meccanismo CBAM
12.4.14Ulteriori strumenti attuativi del 2023 - Meccanismo CBAMIl 25 aprile 2023, il Consiglio Europeo ha adottato cinque atti legislativi che fanno parte del pacchetto “Pronti per il 55%”, il quale, come già sopra accennato, definisce le politiche dell’UE in linea con l’impegno di ridurre le sue emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030:
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revisione della direttiva ETS; a tal proposito, si precisa che le nuove norme prevedono di portare al 62% l’ambizione generale di riduzione delle emissioni entro il 2030 nei settori coperti dall’EU ETS, rispetto ai livelli del 2005;
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modifica del regolamento MRV sui trasporti marittimi; in tal caso, per la prima volta le emissioni prodotte dal trasporto marittimo saranno incluse nell’ambito di applicazione dell’EU ETS; l’obbligo per le società di navigazione di restituire quote di emissione sarà introdotto gradualmente e sarà pari al 40% per le emissioni verificate dal 2024, al 70% dal 2025 e al 100% dal 2026; le emissioni diverse da quelle di CO2 (metano e N2O) saranno incluse nel regolamento MRV a partire dal 2024 e nell’EU ETS a partire dal 2026;
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revisione della direttiva ETS relativa al trasporto aereo; le quote di emissione a titolo gratuito per il settore del trasporto aereo saranno eliminate gradualmente e, a partire dal 2026, sarà attuata la messa all’asta integrale; fino al 31 dicembre 2030 saranno riservate 20 milioni di quote per incentivare la transizione degli operatori aerei dall’uso dei combustibili fossili;
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regolamento che istituisce un Fondo sociale per il clima; il Fondo sociale per il clima sarà a disposizione degli Stati membri per finanziare misure e investimenti a sostegno delle famiglie, delle microimprese e degli utenti dei trasporti che sono vulnerabili, per far fronte alle ripercussioni sui prezzi dovute al sistema di scambio di quote di emissione per i settori degli edifici e del trasporto stradale e per altri settori; il fondo sarà finanziato principalmente dalle entrate generate dal nuovo sistema di scambio di quote di emissione fino a un importo massimo di 65 miliardi di EUR, da integrare con contributi nazionali; è istituito temporaneamente per il periodo 2026-2032;
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regolamento che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM, vedasi infra) che riguarda le importazioni di prodotti nelle industrie ad alta intensità di carbonio; il CBAM sarà introdotto progressivamente, in parallelo con l’eliminazione graduale delle quote gratuite, una volta che questa inizierà nell’ambito dell’EU ETS riveduto per i settori interessati.
Tali atti consentiranno all’UE di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei principali settori dell’economia, garantendo, nel contempo, che i cittadini e le microimprese più vulnerabili, nonché i settori esposti al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ricevano un sostegno efficace nella transizione climatica.
Merita accennare più in dettaglio ai Regolamenti del Parlamento Europeo e del Consiglio rispettivamente n. 2023/857 (aggiornamento del c.d. Regolamento Effort Sharing ESR) e n. 2023/956 (istitutivo del Carbon Border Adjustment Mechanism CBAM).
Per quanto concerne il primo, va ricordato che - mentre per le emissioni soggette ad ETS l’obiettivo è a livello europeo, essendo il sistema applicato a tutti gli Stati membri in maniera armonizzata e centralizzata - per le altre emissioni (trasporti, residenziale, terziario, industria non ricadente nel settore ETS, agricoltura e rifiuti) l’obiettivo di riduzione di gas a effetto serra viene suddiviso tra i vari Stati membri. Quest’ultime tipologie di emissioni sono appunto ora disciplinate dal Regolamento n. 2023/857 (c.d. Regolamento Effort Sharing - ESR), relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030, il quale fissa per l’Italia un obiettivo ancor più ambizioso del precedente, prefigurando una riduzione entro il 2030 del 43,7% rispetto ai livelli del 2005. Tale obiettivo dovrà essere raggiunto secondo una traiettoria di riduzione che determinerà ogni anno un limite generale alle emissioni, denominato AEA (allocazione di emissione annuale).
Il Regolamento n. 2023/956 è invece del tutto innovativo, introducendo il Carbon Border Adjustment Mechanism - CBAM (meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere). Come sopra accennato, il meccanismo riguarda le importazioni di prodotti nelle industrie ad alta intensità di carbonio ed è stato adottato con l’obiettivo di perseguire ancora più efficacemente la neutralità climatica all’interno dell’Unione entro il 2050. Nei settori coperti dal CBAM - cemento, alluminio, concimi, produzione di energia elettrica, idrogeno, ferro e acciaio, nonché alcuni precursori e un numero limitato di prodotti a valle - le quote a titolo gratuito saranno eliminate gradualmente, nell’arco di nove anni tra il 2026 e il 2034.
Il Regolamento prevede due fasi per la propria implementazione:
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la fase “transitoria”, che ha inizio con la data di entrata in vigore del Regolamento (1° ottobre 2023) e terminerà il 31 dicembre 2025. In tale periodo transitorio il tributo non sarà applicato alle merci importate, ma saranno solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata soggetti al CBAM, compresa la valutazione delle emissioni incorporate. In tale fase inizierà l’attività di autorizzazione dei soggetti obbligati da parte delle autorità competenti nazionali (in Italia ha sede presso il MASE);
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la fase “definitiva”, dal 1° gennaio 2026, quando il meccanismo entrerà in funzione in maniera definitiva. In base a quanto previsto dal Regolamento, la prima dichiarazione CBAM, relativa alle merci importate nell’anno civile 2026, dovrebbe essere presentata entro il 31 maggio 2027.
In data 22 dicembre 2023, la Commissione europea ha pubblicato i valori di default (“Default values for the transitional period of the cbam between 1 october 2023 and 31 december 2025”), che potranno essere utilizzati fino al 31 luglio 2024, in sede di compilazione delle Relazioni trimestrali CBAM, per determinare le emissioni incorporate nei beni soggetti a CBAM importati all’interno dell’UE durante il periodo transitorio che durerà fino alla fine del 2025. Infatti, fino alla data indicata, gli importatori dell’Unione potranno fare ricorso ai valori di default, nel caso in cui non dispongano di tutte le informazioni relative alle emissioni generate nella produzione dei beni importati che è necessario indicare.
12.5 Gas fluorurati ad effetto serra
12.5Gas fluorurati ad effetto serraNel paragrafo antecedente sono stati esaminati i principali interventi normativi in materia di emissioni di gas a effetto serra.
Nel paragrafo in oggetto risulta utile fare riferimento, nello specifico, ai gas fluorurati ad effetto serra. A tal proposito, merita rammentare che il termine “gas a effetto serra” è un concetto più ampio che include vari gas naturali, mentre con la nozione di “gas fluorurati a effetto serra” si fa riferimento a una categoria specifica di gas sintetici contenenti fluoruri, con un impatto climatico significativo dovuto al loro elevato potenziale di riscaldamento globale.
La graduale eliminazione delle sostanze ozono-lesive, a livello globale, ha contribuito positivamente alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Nel tempo, gli indirizzi dettati dal Protocollo di Montréal e mirati alla conservazione dello strato di ozono, si sono dovuti scontrare con gli impatti climatici derivanti dall’incremento nell’uso di gas sostitutivi (F-Gas) che, seppur non lesivi per lo strato di ozono, hanno dimostrato un elevato potenziale di riscaldamento globale (GWP). Contrariamente alle emissioni della maggior parte dei gas ad effetto serra, disciplinati dal Protocollo di Kyoto, le emissioni di gas fluorurati sono aumentate in modo esponenziale dal 1990. La figura 7 illustra l’incremento della domanda di HFC dal 1994 al 2014, schematizzata sia in forma globale sia suddivisa per gruppi di paesi: i Paesi industrializzati (non-art. 5 secondo il Protocollo di Montréal), per i quali la domanda è aumentata del 10-12% dal 2001 al 2011 e i paesi in via di sviluppo (Paesi art. 5) dove la domanda è aumentata del 30% dal 2006 al 2011, continuando comunque a crescere per entrambe le realtà anche dopo il 2011.
Si prevede che il mercato globale HFC Refrigerante aumenterà a un ritmo considerevole durante il periodo di previsione, tra il 2023 e il 2030. Nel 2023, il mercato è cresciuto a un ritmo costante e, con la crescente adozione di strategie da parte dei principali attori, il mercato è previsto elevarsi oltre l’orizzonte proiettato.
Figura 7 - Domanda di HFC nel mondo (Global), nei paesi in via di sviluppo (A5) e nei paesi sviluppati (Non-A5) nel periodo 1994-2014

(Fonte: Studio sulle alternative agli HFC in Italia –ISPRA, Rapporti 286/2018)
Gli HFC sono composti sintetici formati da atomi di carbonio, fluoro e idrogeno. Il legame tra carbonio e fluoro conferisce a queste sostanze proprietà particolari (inerzia termica e chimica), tali da renderle particolarmente adatte ad essere utilizzate, come sostanze pure o miscele, in diversi ambiti, come per esempio nella refrigerazione, nella climatizzazione o nei sistemi fissi di protezione antincendio.
Negli anni gli HFC, grazie alle peculiari proprietà di non infiammabilità e bassa tossicità, sono divenuti la migliore alternativa ai CFC sia per i nuovi impianti sia per gli impianti esistenti. Secondo stime del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), in assenza di un’azione globale, gli HFC potrebbero rappresentare dal 9 al 19% (capire questa percentuale) delle emissioni globali di gas serra entro il 2050 (Fonte: Rapporto ISPRA 286/2018, Studio sulle alternative agli idrofluorocarburi (HFC) in Italia). Pertanto, è diventato sempre più urgente il ricorso a HFC con basso GWP o ad alternative non climalteranti.
Nota: gli HFC rientrano tra i gas controllati sia dal Protocollo di Kyoto che dal Protocollo di Montréal. Infatti, come già citato, con l’Emendamento di Kigali al Protocollo di Montréal, adottato nell’ottobre del 2016 in Ruanda ed entrato in vigore il 1° gennaio 2019, venne esteso l’ambito di applicazione del Protocollo anche ai HFC, che pertanto entrarono nella lista delle sostanze controllate, contribuendo in misura significativa al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi sul clima.
Nota:
Il GWP (Global Warming Potential), o potenziale di riscaldamento globale, esprime il contributo all’effetto serra di un gas climalterante, comparato con il contributo della CO2, il cui GWP è convenzionalmente fissato con valore pari a 1 e funge appunto da riferimento. Il GWP viene calcolato per intervalli temporali specifici (usualmente 20, 100 o 500 anni). Quanto più è alto il valore dell’indice GWP, tanto maggiore sarà l’incidenza di un gas sul riscaldamento globale. Ad esempio, il gas R-407C ha un GWP pari a 1.774 e contribuisce pertanto al riscaldamento globale come 1.774 kg di anidride carbonica, quantità che un autoveicolo medio diesel emette percorrendo oltre 14.000 chilometri.
Le IdroFluoroOlefine (HFO) sono composti organici insaturi, formati da idrogeno, fluoro e carbonio. Esse non sono infiammabili, non hanno proprietà ozono-lesive e hanno un GWP molto basso, offrendo un’alternativa più ecologica agli HFC. Rientrano tra i refrigeranti di “quarta generazione”, con lo 0,1% del GWP degli HFC.
Tonnellata di CO2 equivalente: la quantità di gas a effetto serra espressa come il prodotto del peso dei gas a effetto serra in tonnellate metriche e del loro potenziale di riscaldamento globale. Ė un’unità di misura che permette di pesare insieme emissioni di gas serra diversi con differenti effetti climalteranti.
Tonnellate equivalenti di CO2: quantità in peso di gas x GWP.
Il computo delle quote basato sulle tCO2 e non sui kg di sostanza refrigerante, ha come effetto quello di incentivare la migrazione verso HFC a GWP più ridotto. Vedere riepilogo sottostante.

12.5.1 Normativa internazionale ed europea
12.5.1Normativa internazionale ed europeaA livello globale, la normativa di riferimento in materia è costituita dalla Convenzione di Vienna e dal Protocollo di Montréal, come ricordato sopra. Mentre a livello regionale, si distingue la normativa dell’Unione Europea, e in particolar modo, il Regolamento CE n. 842/2006, costituente il primo Regolamento europeo sui gas fluorurati, approvato il 17 maggio 2006, che aveva come obiettivo la riduzione delle emissioni dei tre gruppi di gas fluorurati ad effetto serra ad alto potenziale di riscaldamento globale, contemplati dal Protocollo di Kyoto: gli Idrofluorocarburi (HFC), i Perfluorocarburi (PFC) e l’Esafluoruro di Zolfo (SF6), utilizzati in alcune tipologie di apparecchiature e applicazioni industriali. Tra diverse altre disposizioni, si segnalava l’art. 9, par. 1, secondo le modalità e le tempistiche dettate dall’Allegato II, che vietava l’immissione in commercio di prodotti e apparecchiature contenenti i gas fluorurati ad effetto serra elencati nello stesso Allegato II.

Sempre nel maggio 2006, per ridurre le emissioni di gas fluorurati ad effetto serra provenienti dai sistemi mobili di condizionamento dell’aria (MAC), veniva introdotta anche la Direttiva n. 2006/40/CE relativa alle ‘Emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore’, che modificava la Direttiva n. 70/156/CEE del Consiglio e introduceva un graduale divieto di questi gas sulle autovetture (veicoli della categoria M1) e sui veicoli commerciali leggeri. I gas fluorurati a effetto serra con un potenziale di riscaldamento globale (GPW) superiore a 150 non avrebbero potuto essere più utilizzati più utilizzati nei sistemi MAC.
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Fase 1: dal 21 giugno 2008 i costruttori di automobili non potevano ottenere l’omologazione per un nuovo tipo di veicolo se muniti di MAC contenenti gas con GWP superiore a 150, a meno che il tasso di perdita di tale impianto non superi i 40 grammi di gas fluorurato ad effetto serra l’anno per un sistema ad evaporatore unico o i 60 grammi di gas fluorurati ad effetto serra all’anno per un sistema a doppio evaporatore;
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Fase 2: a decorrere dal 1° gennaio 2011 gli Stati membri non avrebbero più dovuto rilasciare omologazioni CE o omologazioni nazionali per tipi di veicoli muniti di impianti di condizionamento d’aria destinati a contenere gas fluorurati ad effetto serra con un potenziale di riscaldamento globale superiore a 150;
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Fase 3: dal 1° gennaio 2017 è stato totalmente vietato l’uso di gas fluorurati a effetto serra con un GWP superiore a 150 in tutti i nuovi veicoli immessi sul mercato dell’UE. I nuovi veicoli con sistemi MAC che utilizzano questi gas non saranno immatricolati, venduti o in grado di entrare in servizio nell’UE.
Nota: Nel dicembre 2015 la Commissione Europea ha deciso di deferire la Germania alla Corte di giustizia dell’UE per la mancata applicazione della direttiva 2006/40/CE. Le autorità nazionali di omologazione hanno l’obbligo di certificare che un veicolo soddisfi tutti i requisiti dell’UE in materia di sicurezza, ambiente e produzione, compresi quelli relativi ai sistemi mobili di condizionamento d’aria, prima di autorizzarne l’immissione sul mercato dell’UE. La Commissione sostiene che la Germania ha violato il diritto dell’UE consentendo al costruttore automobilistico Daimler AG di immettere sul mercato dell’UE veicoli automobilistici non conformi alla direttiva MAC e non adottando misure correttive. Deferendo la Germania alla Corte di giustizia, la Commissione mirava a garantire che gli obiettivi climatici della direttiva MAC siano soddisfatti e che il diritto dell’UE sia applicato uniformemente in tutta l’UE in modo da garantire condizioni di concorrenza eque per tutti gli operatori economici.
Secondo il Report EEA (European Environment Agency) n. 15/2020, tra il 1990 e il 2014, le emissioni di gas fluorurati nell’UE sono aumentate complessivamente di circa il 70% e hanno rappresentato circa il 3% di tutte le emissioni di gas a effetto serra, complice la graduale sostituzione degli HCFC con gli HFC nel settore della refrigerazione e del condizionamento dell’aria e alla crescita di questo settore nel suo complesso.
Successivamente è stato emanato il già menzionato Regolamento UE n. 517/2014 (c.d. Regolamento F-Gas) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sui gas fluorurati a effetto serra, che è entrato in vigore il 9 giugno 2014 e si applica a decorrere dal 1° gennaio 2015. Tale Regolamento abroga il precedente Regolamento CE n. 842/2006 rispetto al quale mantiene l’obiettivo di protezione dell’ambiente. Esso rafforza e introduce specifiche disposizioni volte alla riduzione delle emissioni dei gas fluorurati a effetto serra (F-Gas), in conformità agli obiettivi della UNFCCC di riduzione dei gas serra da parte dei paesi sviluppati dell’80%-95% entro il 2050, rispetto ai livelli misurati nel 1990.
Per raggiungere questo obiettivo, la Commissione aveva adottato una tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050, che era stata approvata dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 15 marzo 2012. Le emissioni diverse dalla CO2, ad esclusione di quelle provenienti dall’agricoltura e compresi i gas fluorurati a effetto serra, dovrebbero essere ridotte del 72-73% entro il 2030 e del 70-78% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Se si prende come anno di riferimento il 2005, è necessaria una riduzione delle emissioni diverse dal CO2, escluse quelle agricole, del 60-61% entro il 2030.
Figura 8 - Step di riduzione (phase down) degli HFC ai sensi dell’Allegato V del Regolamento F-Gas

(Fonte: Studio sulle alternative agli HFC in Italia - ISPRA, Rapporti 286/2018)
Le disposizioni di cui al Regolamento UE n. 517/2014 erano finalizzate al contenimento delle perdite dei refrigeranti e al recupero degli stessi andando a rafforzare quanto già previsto dal precedente Regolamento n. 842/2006. In particolare, si dettava una serie di specifiche:
-
sulle misure di contenimento delle perdite degli F-Gas (artt. 3, 4, 5);
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sulle modalità di etichettatura e informazioni sui prodotti e sulle apparecchiature (art. 12);
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sulle modalità di smaltimento e recupero dei refrigeranti e delle apparecchiature (art. 8);
-
sui requisiti di certificazione/formazione del personale (art. 10).
La frequenza dei controlli delle perdite, a dispetto del precedente Regolamento n. 842/2006 e diversamente da quanto previsto dal Regolamento CE n. 1005/2009 sulle sostanze ozono-lesive, non era più basata sulla quantità di sostanza contenuta nelle apparecchiature, bensì sulle tonnellate di CO2 equivalente emesse.
In ottemperanza all’art. 17 del Regolamento, è stato istituito il Registro HFC, cioè un registro elettronico delle quote necessarie per poter immettere in commercio degli HFC. L’iscrizione nel Registro HFC è appunto obbligatoria per le imprese che vogliono ricevere una quota a tal fine. Per attuare la riduzione graduale delle quantità di idrofluorocarburi immesse in commercio nell’Unione, la Commissione assegna ai singoli produttori e importatori quote per l’immissione in commercio di idrofluorocarburi, affinché non sia superato il limite quantitativo complessivo per l’immissione degli idrofluorocarburi sul mercato. Il Regolamento (UE) n. 517/2014 prevedeva appunto, come si è visto in precedenza, un phase-down degli HFC, secondo cui l’immissione in commercio di tali sostanze, da parte delle singole imprese, è soggetta a limiti quantitativi: tutti i produttori ed importatori che, nell’anno civile considerato, immettono in commercio almeno 100 tonnellate di CO2 equivalenti di HFC devono ottenere una quota.
Occorre però tenere presente che il Regolamento n. 517/2014 è stato abrogato dal Regolamento n. 2024/573. L’entrata in vigore di quest’ultimo è stata stabilita all’11 marzo 2024, con la vacatio legis ordinaria (laddove sarebbe stato opportuno concedere agli stati un tempo di adeguamento di almeno un semestre) salvo alcune eccezioni precisate all’art. 37 del nuovo Regolamento. Analiticamente:
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l’art. 12 del Regolamento 517/2014 applicabile il 10 marzo 2024 continua ad applicarsi fino al 31 dicembre 2024;
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l’art. 14, par. 2, comma 2, e l’art. 19 del Regolamento 517/2014 applicabile il 10 marzo 2024 continua ad applicarsi per quanto riguarda il periodo di dichiarazione dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023;
-
la quota assegnata a norma dell’art. 16, par. 5, del Regolamento 517/2014 rimane valida ai fini del rispetto del presente Regolamento. L’esenzione degli idrofluorocarburi di cui all’art. 15, par. 2, comma 2, lettera f), del regolamento (UE) n. 517/2014 si applica fino al 31 dicembre 2024;
-
l’art. 12 e l’art. 17, par. 5, del Regolamento n. 2024/573 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2025;
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l’art. 20, parr. 2 e 3, e l’art. 23, par. 5, di quest’ultimo Regolamento si applicano a decorrere dal 3 marzo 2025 per l’immissione in libera pratica di cui all’art. 201 del Regolamento 952/2013 nonché per tutti gli altri regimi di importazione e per l’esportazione.
Peraltro, i riferimenti al Regolamento abrogato si intendono fatti al nuovo Regolamento e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all’Allegato X.
Il Regolamento n. 2024/573 è intervenuto anche sulla procedura di assegnazione delle quote.
Inizialmente i calcoli dei valori di riferimento e dell’assegnazione delle quote ai singoli produttori e importatori si basavano sulle quantità di HFC che quegli stessi produttori e importatori avevano dichiarato di aver immesso sul mercato nel periodo di riferimento dal 2009 al 2012.
Ai sensi dell’art. 17 del Regolamento n. 2024/573, l’assegnazione delle quote è subordinata al pagamento dell’importo dovuto, pari a tre euro per tonnellata di CO2 equivalente di quota da assegnare. I produttori e gli importatori sono informati tramite il portale F-Gas dell’importo totale dovuto per la loro assegnazione massima di quote calcolata per l’anno civile successivo e del termine per il completamento del pagamento. La Commissione può, mediante atti di esecuzione, stabilire le procedure di pagamento dell’importo dovuto. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’art. 34, par. 2, del Regolamento in oggetto.
I produttori e gli importatori possono pagare soltanto per parte della rispettiva assegnazione massima di quote calcolata che è offerta loro. In tal caso, a tali importatori e produttori è assegnata la quota corrispondente al pagamento effettuato entro il termine di cui al comma 1. Fino al 31 dicembre 2027 la Commissione ridistribuisce gratuitamente la quota per la quale il pagamento non è stato effettuato entro il termine stabilito soltanto ai produttori e agli importatori che hanno pagato l’importo totale dovuto per la rispettiva assegnazione massima di quote calcolata di cui al comma 1 e che hanno presentato la dichiarazione di cui al par. 3 dell’art. 17. La redistribuzione è effettuata in base alla percentuale spettante a ciascun produttore o importatore della somma di tutte le quote massime calcolate offerte loro e da loro pagate integralmente. A decorrere dal 10 gennaio 2028 la quota per la quale non è stato effettuato un pagamento entro il termine stabilito è cancellata.
L’art. 35 del Regolamento indica tempistiche e modalità di comunicazione dei dati da parte delle imprese.
È opportuno ricordare che, con la Decisione della Commissione UE n. 774/2014 del 31 ottobre 2014 erano stati assegnati i valori di riferimento per gli Incumbents per il periodo 2015-2017. Con la successiva Decisione di Esecuzione (UE) n. 1604/2020 della Commissione del 23 ottobre 2020 stati assegnati i nuovi valori di riferimento per il periodo 2021-2023 per ciascun produttore o importatore che ha legalmente immesso in commercio idrofluorocarburi nell’Unione a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Gli sforzi intrapresi a livello dell’UE e degli Stati membri per ridurre le perdite di HFC dalle apparecchiature di refrigerazione e condizionamento dell’aria, per incoraggiare il recupero dei gas alla fine del ciclo di vita delle apparecchiature, per promuovere l’uso di refrigeranti non HFC e vietare l’uso di HFC per alcune applicazioni, ha avuto un impatto sulle emissioni di gas fluorurati, che dal 2014 sono diminuite di circa l’1-3% all’anno, con un decremento del 13% nel 2019 rispetto ai valori del 2014 (Fonte: European Environment Agency).
La riduzione degli HFC, ai sensi del regolamento F-Gas, viene perseguita imponendo limiti quantitativi annuali (quote) all’immissione di HFC sul mercato dell’UE da parte di produttori e importatori. La quantità massima di HFC a livello dell’UE sta subendo un decremento a partire dal 2015 (Fig. 9), con un aumento della fornitura pari al 7%, evidenziato nel 2020 e legato principalmente al loro largo utilizzo nel mondo della refrigerazione e del condizionamento d’aria. Nonostante tale incremento, il consumo di HFC dell’Unione europea nel 2020 è comunque stato del 52% inferiore rispetto al valore massimo imposto dal protocollo di Montréal.
Si tenga conto che, più in generale, secondo le stime dell’ultima relazione «Tendenze e proiezioni» dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) pubblicata il 22 dicembre 2023, le emissioni di gas a effetto serra (nel 2022) sono diminuite del 2% in tutta l’Unione europea, rispetto ai livelli del 2021, e tuttavia, nonostante i progressi compiuti in termini di riduzione delle emissioni, energie rinnovabili ed efficienza energetica, la relazione avverte che è urgente intensificare le azioni per raggiungere gli ambiziosi obiettivi dell’UE in materia di clima ed energia.
Figura 9 - Progressi dell’UE nella riduzione graduale degli HFC nell’ambito del Regolamento UE sui gas fluorurati e del protocollo di Montréal

(Fonte: European Environment Agency - Eliminazione graduale degli idrofluorocarburi in Europa, 2023)
Il Regolamento n. 2024/573 delinea una serie di punti chiave. In particolare:
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prevede l’eliminazione graduale entro il 2050 delle quote di HFC di cui all’allegato VII, in particolare tenendo conto degli sviluppi tecnologici, della disponibilità di alternative agli idrofluorocarburi per le applicazioni pertinenti e degli obiettivi climatici dell’Unione. Se del caso, tale riesame è accompagnato dalla presentazione di una proposta legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio;
-
ridurre gli HFC immessi in commercio nell’UE del 95% rispetto ai livelli del 2015;
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stabilisce disposizioni in materia di contenimento, uso, recupero, riciclaggio, rigenerazione e distruzione dei gas fluorurati a effetto serra e le misure accessorie connesse, quali la certificazione e la formazione, che comprende l’uso sicuro di gas fluorurati a effetto serra e di sostanze alternative che non sono fluorurate;
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impone condizioni per la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato, la successiva fornitura e l’uso di gas fluorurati a effetto serra e di specifici prodotti e apparecchiature che contengono gas fluorurati a effetto serra o il cui funzionamento dipende da tali gas;
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impone condizioni per particolari usi dei gas fluorurati a effetto serra;
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stabilisce limiti quantitativi per l’immissione in commercio di idrofluorocarburi;
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stabilisce norme in materia di comunicazione;
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invita i fabbricanti di prodotti che tradizionalmente utilizzano gas fluorurati a orientare i loro investimenti verso alternative rispettose del clima, ove possibile.
Le nuove norme facilitano le autorità doganali e di vigilanza a controllare le importazioni e le esportazioni e a reprimere il commercio illegale di gas e delle relative attrezzature.
12.5.2 Normativa italiana
12.5.2Normativa italianaIn attuazione alle disposizioni della UNFCCC e del relativo Protocollo di Kyoto, l’Italia redige annualmente l’inventario delle emissioni di gas serra, che include anche le emissioni di gas fluorurati. Secondo l’Italian greenhouse gas inventory 1990-2021 National Inventory Report 2023 (Inventario Nazionale delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti) curato dall’Ispra e pubblicato il 18 aprile 2023, tra il 1990 e il 2021 si è verificata una diminuzione di emissioni del 20% rispetto al 1990, dovuta alla crescita tra l’altro della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e dell’efficienza energetica. Specificamente, nel 2021 le emissioni di gas serra in Italia, dopo la battuta d’arresto dovuta essenzialmente al periodo pandemico, mostrano, in un solo anno (2020-2021) un deciso aumento (+8.5%).
Giova riepilogare brevemente l’evoluzione della normativa italiana in materia:
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Decreto del Ministero dei Trasporti 25 settembre 2007, con il quale veniva recepita la Direttiva CE n. 2006/40 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006, relativa alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, che modifica la Direttiva 70/156/CEE del Consiglio;
-
D.P.R. 27 gennaio 2012, n. 43, che dava attuazione al Regolamento CE n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra (G.U. 20 aprile 2012, n. 93, il D.P.R. n. 43/2012, entrato in vigore il 5 maggio 2012); disciplinava, tra le altre cose, le procedure per la designazione degli organismi di certificazione/attestazione e per il conseguimento della certificazione/attestazione prevista dal Regolamento stesso;
-
D.P.R. 16 novembre 2018, n. 146, che dà attuazione al Regolamento CE n. 517/2014 sui gas fluorurati ad effetto serra; entrato in vigore il 24 gennaio 2019, abroga e sostituisce il precedente D.P.R. n. 43/2012, adeguando al Regolamento n. 517/2014 il sistema di certificazione delle persone e delle imprese istituito con il precedente Decreto e dettando nuove regole per la comunicazione delle informazioni riguardanti le quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati (la comunicazione ISPRA viene sostituita dalla Banca Dati gas fluorurati gestita dalle Camere di Commercio); non contemplava ancora un regime sanzionatorio; considerando la recente entrata in vigore del nuovo Regolamento n. 2024/573, l’Italia, come tutti gli altri Stati membri, presumibilmente varerà nuove norme di attuazione del nuovo Regolamento per adeguare il nostro ordinamento;
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D.Lgs. 5 dicembre 2019, n. 163, che reca la disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi, di cui al Regolamento UE n. 517/2014, e dei relativi regolamenti di esecuzione della Commissione Europea, attuati con D.P.R. n. 146/2018; entrato in vigore il 17 gennaio 2020, abroga anche il precedente D.Lgs. n. 26/2013 (anche per questa disciplina verranno presumibilmente varate norme di adeguamento al nuovo Regolamento, come sopra, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 31).
12.5.3 Principali gas fluorurati ad effetto serra
12.5.3Principali gas fluorurati ad effetto serraIl termine ‘gas fluorurati’ si riferisce alle sostanze ad effetto serra contenenti fluoro, originariamente elencate nell’Allegato I del Regolamento UE n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio e riportate nella Tabella 2, o a miscele contenenti una qualsiasi di tali sostanze:
Tabella 2 - Sostanze controllate disciplinate dall’Allegato I, Regolamento UE n. 517/2014
Gruppo | Abbreviazione | Descrizione |
---|---|---|
Sezione 1 | HFC | Idrofluorocarburi |
Sezione 2 | PFC | Perfluorocarburi |
Sezione 3 | SF6 | Esafluoruro di zolfo |
L’Allegato II del Regolamento elenca anche “altri gas fluorurati ad effetto serra”. Questi comprendono idro (cloro) fluorocarburi insaturi, eteri e alcoli fluorurati e altri composti perfluorurati.
Ora, invece, in seguito all’entrata in vigore del Regolamento n. 2024/573, i gas fluorurati sono riportati negli Allegati I, II e III del suddetto Regolamento. All’Allegato I vengono elencati gli idrofluorocarburi, perfluorocarburi e altri composti fluorurati. Mentre, all’Allegato II sono riportati i gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a) che ricomprendono idro(cloro) fluorocarburi insaturi, sostanze fluorurate utilizzate come anestetici per inalazione e altre sostanze fluorurate. Infine, all’Allegato III sono indicati i gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a) eteri, che ricomprendono chetoni e alcoli fluorurati e altri composti fluorurati.
Figura 10 (parte 1) – Allegato I del Reg. (UE) n. 2024/573 (gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a)(1) - idrofluorocarburi, perfluorocarburi e altri composti fluorurati)

Figura 10 (parte 2) – Allegato I del Reg. (UE) n. 2024/573 (gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a)(1) - idrofluorocarburi, perfluorocarburi e altri composti fluorurati)

Figura 11 – Allegato II del Reg. (UE) n. 2024/573 (gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a)(1) - idro(cloro) fluorocarburi insaturi, sostanze fluorurate utilizzate come anestetici per inalazione e altre sostanze fluorurate)

Figura 12 (parte 1) – Allegato III del Reg. (UE) n. 2024/573 (gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a)(1) eteri, chetoni e alcoli fluorurati e altri composti fluorurati)

Figura 12 (parte 2) – Allegato III del Reg. (UE) n. 2024/573 (gas fluorurati a effetto serra di cui all’articolo 2, lettera a)(1) eteri, chetoni e alcoli fluorurati e altri composti fluorurati)

Nota: con il termine “miscela” si intende un composto costituito da più gas refrigeranti puri, presenti in diversa percentuale, ad esempio R404A è una miscela di R125, R143a e R134a, che sono tutti HFC.
Nell’ottica della riduzione della produzione, del consumo e dell’uso di tali sostanze ad effetto serra (phase-down), l’art. 13, Capo III, del Regolamento n. 2024/573 detta i principali divieti e le limitazioni circa l’uso di esafluoruro di zolfo e di gas fluorurati a effetto serra con alto potenziale di riscaldamento.
In particolare, al par. 3 si riporta che, a decorrere dal 10 gennaio 2025, è vietato l’uso dei gas fluorurati a effetto serra con potenziale di riscaldamento globale pari o superiore a 2500 per la manutenzione o l’assistenza delle apparecchiature fisse di refrigerazione. Nel medesimo articolo si indicano anche gli ambiti di esenzione.
Per quanto concerne le restrizioni all’immissione in commercio, all’art. 11, del medesimo Regolamento si stabilisce che, salvo eventuali deroghe, l’immissione sul mercato di prodotti e apparecchiature, comprese le loro parti, elencati nell’Allegato IV, a eccezione del materiale militare, è vietata a decorrere dalla data indicata in detto Allegato, con eventuali distinzioni, ove del caso, in funzione del tipo di gas che contengono o del potenziale di riscaldamento globale di tale gas.
€ SANZIONI
Art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: Chiunque immette in commercio i prodotti e le apparecchiature elencati all’Allegato III del Regolamento UE n. 517/2014 con data di fabbricazione successiva a quella indicata nel medesimo allegato, è punito con l’arresto da tre mesi a nove mesi o con l’ammenda da 50.000 a 150.000 euro.
12.5.4 Principali impieghi dei gas fluorurati ad effetto serra
12.5.4Principali impieghi dei gas fluorurati ad effetto serraGli HFC sono stati introdotti nel mercato mondiale alla fine degli anni ’80, come sostituti dei CFC e soprattutto dei HCFC, diventando sempre più utilizzati in diverse tipologie di applicazioni e impianti, dalla refrigerazione all’antincendio. In particolare, per quanto concerne le sostanze indicate nell’Allegato I, si possono riassumere i seguenti e principali ambiti di utilizzo:
-
gli idrofluorocarburi (HFC) sono utilizzati come refrigeranti nelle apparecchiature di refrigerazione, condizionamento dell’aria e pompe di calore, come agenti espandenti per schiume, come solventi e in estintori e aerosol;
-
i perfluorocarburi (PFC) in genere sono utilizzati nel settore elettronico, nonché nell’industria cosmetica e farmaceutica. In passato i PFC erano utilizzati anche negli estintori e si possono ancora trovare nei vecchi sistemi di protezione antincendio;
-
l’esafluoruro di zolfo (SF6) viene utilizzato principalmente come gas isolante, nei quadri ad alta tensione e nella produzione di magnesio e alluminio.
La guida predisposta dalla Commissione Europea “Information for importers of equipment containing fluorinated greenhouse gases on their obligations under the EU F-Gas Regulation”, ediz. Dicembre 2021, fornisce inoltre un’accurata lista di utilizzi e applicazioni tipiche per le sostanze dell’Allegato I.
✔ ESEMPIO
Esempio tratto dalla tabella presente nella guida predisposta dalla Commissione Europea dove per ogni sostanza vengono indicati i rispettivi ambiti di utilizzo.

La disponibilità di alternative ai gas fluorurati rispettose del clima è stata accuratamente valutata in studi condotti per la Commissione e altri organismi e sarà oggetto di particolare attenzione nei prossimi anni.
12.5.5 Gas fluorurati ad effetto serra alla luce delle ultime novità normative
12.5.5Gas fluorurati ad effetto serra alla luce delle ultime novità normativeNella legislazione italiana, le regole stabilite per imprese, manutentori e responsabili degli impianti contenenti gas fluorurati a effetto serra, sono dettate dal D.P.R. n. 146/2018, che ha adeguato il nostro ordinamento al vecchio Regolamento (UE) n. 517/2014 (c.d. F-Gas). Come sopra già rammentato, essendo entrato in vigore il nuovo Regolamento (UE) n. 2024/573, che abroga e sostituisce il precedente, anche questa normativa sarà suscettibile di modifiche.
Il D.P.R. n. 146/2018, ai fini dell’adeguamento al Regolamento europeo, si occupano principalmente:
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dell’accreditamento delle persone fisiche e delle imprese;
-
dell’ampliamento delle attività per le quali va richiesta l’abilitazione delle persone e delle imprese;
- dei nuovi obblighi previsti nei confronti delle imprese che:
-
effettuano la fornitura dei gas fluorurati a effetto serra;
-
forniscono apparecchiature agli utilizzatori finali;
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effettuano interventi di installazione, manutenzione, controllo delle perdite, di riparazione, smantellamento e installazione di apparecchiature contenenti gas fluorurati ad effetto serra.
-
➔ Apparecchiature e impianti soggetti agli obblighi
Rientravano nel campo di applicazione del Regolamento n. 517/2014, così come recepito dal D.P.R. n. 146/2018, le seguenti apparecchiature, mezzi o sistemi contenenti gas fluorurati ad effetto serra, ovunque installati:
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le apparecchiature fisse di refrigerazione;
-
le apparecchiature fisse di condizionamento d’aria;
-
le pompe di calore fisse;
-
le apparecchiature fisse di protezione antincendio;
-
i commutatori elettrici;
-
i cicli Rankine a fluido organico;
-
le celle frigorifero di autocarri e rimorchi, compresi i circuiti e gli impianti fissi di protezione antincendio;
-
le celle frigorifero di rimorchi frigorifero contenenti gas fluorurati a effetto serra;
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gli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, specificatamente ai veicoli destinati al trasporto di persone aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente ed ai veicoli destinati al trasporto di merci (autocarri frigo) aventi massa massima non superiore a 3,5 t.
Nota: Un’apparecchiatura fissa è definita come un’apparecchiatura che di norma non è in transito durante il suo funzionamento e comprende i sistemi movibili di climatizzazione. Di conseguenza, non rientrano nel campo di applicazione del Regolamento UE n. 517/2014, le apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria usate in tutte le modalità di trasporto, ad eccezione delle celle frigorifere di autocarri e rimorchi frigorifero. I cicli Rankine a fluido organico sono cicli contenenti sostanze condensabili che convertono calore da una sorgente di calore in potenza per la generazione di energia elettrica o meccanica (definizione desunta dal nuovo Regolamento n. 2024/573).
➔ Abilitazione delle persone fisiche e delle imprese
L’art. 10 del citato Regolamento F-Gas stabiliva che gli Stati membri assicurano la disponibilità di programmi di formazione e certificazione per le persone fisiche e le società che effettuano interventi di installazione, assistenza, manutenzione, riparazione, recupero o smantellamento di apparecchiature F-Gas o di controllo delle perdite di apparecchiature contenenti gas fluorurati a effetto serra in quantità pari o superiore a 5 t CO2 eq (i commutatori elettrici e i cicli Rankine a fluido organico non rientrano in tale ambito). L’art. 10 del nuovo Regolamento n. 2024/573 contiene previsioni analoghe.
Il D.P.R. n. 146/2018 prevede un sistema di certificazione delle persone e delle imprese basato su Organismi accreditati dall’Organismo nazionale italiano di accreditamento “ACCREDIA”, sulla base di schemi approvati dal Ministero dell’Ambiente (art. 6).
Con il Decreto Direttoriale n. 9 del 29 gennaio 2019 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dell’Ambiente ha approvato i seguenti schemi di accreditamento:
-
Schema di accreditamento persone: “Schema di accreditamento degli Organismi di valutazione della conformità per il rilascio delle certificazioni alle persone fisiche addette alle attività di cui ai Regolamenti CE n. 304/2008 e n. 306/2008, nonché ai Regolamenti di Esecuzione UE 2015/2067 e 2015/2066 e predisposto ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.P.R. 16 novembre 2018, n. 146”;
-
Schema di accreditamento imprese: “Schema di accreditamento degli Organismi di valutazione della conformità per il rilascio delle certificazioni alle imprese che svolgono le attività di cui al Regolamento CE n. 304/2008 e al Regolamento di esecuzione UE 2015/2067 e predisposto ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.P.R. 16 novembre 2018, n. 146”.
Ai fini della designazione degli Organismi di certificazione da parte del Ministero dell’Ambiente, è necessario il possesso del pertinente certificato di accreditamento rilasciato da ACCREDIA e dell’approvazione da parte del Ministero dell’Ambiente del tariffario che si intende applicare per il rilascio dei certificati.
Una volta completato l’iter di accreditamento e, ove previsto, l’iter di designazione sopra illustrati, le persone fisiche e le imprese potranno rivolgersi agli Organismi di certificazione/attestazione per ottenere i pertinenti certificati/attestati.
Le imprese e i dipendenti che operano su impianti contenenti F-Gas devono essere iscritti obbligatoriamente al Registro Telematico Nazionale, gestito dalla Camera di Commercio competente per territorio. La richiesta di iscrizione al Registro avviene tramite la compilazione online delle pratiche necessarie e l’inserimento della firma digitale, accedendo al sito ufficiale del Registro, gestito dal MASE (scrivania.fgas.it).
Fatto salvo quanto stabilito dagli artt. 11 e 12, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.P.R. n. 146/2018, l’obbligo di certificazione e iscrizione al Registro è previsto per le persone fisiche che svolgono le seguenti attività su apparecchiature contenenti gas fluorurati ad effetto serra:
- interventi su celle frigorifero di autocarri e rimorchi frigorifero, apparecchiature
fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore fisse, nonché su
apparecchiature di protezione antincendio che comprendono:
-
controllo delle perdite dalle apparecchiature contenenti gas fluorurati a effetto serra in quantità pari o superiori a 5 t di CO2 eq. a meno che le apparecchiature siano ermeticamente sigillate, etichettate come tali e contenenti gas fluorurati a effetto serra in quantità inferiori a 10 t di CO2 eq.;
-
recupero di gas fluorurati a effetto serra;
-
installazione;
-
riparazione, manutenzione o assistenza;
-
smantellamento;
-
- attività su commutatori elettrici, quali:
-
installazione;
-
riparazione, manutenzione o assistenza;
-
smantellamento;
-
recupero;
-
-
recupero di solventi a base di gas fluorurati a effetto serra dalle apparecchiature fisse che li contengono.
La persona fisica che dal 24 gennaio 2019 non è iscritta nel Registro telematico nazionale, per poter svolgere le attività in questione, deve:
-
presentare, per via telematica, apposita domanda d’iscrizione al citato registro, secondo le modalità previste;
-
presentare apposita richiesta di certificazione ad uno degli organismi di certificazione accreditati e designati dal Ministero dell’ambiente, corredata dalla richiesta d’iscrizione al registro telematico;
-
sostenere uno specifico esame teorico e pratico sulle competenze e sulle conoscenze minime indicate negli allegati dei rispettivi Regolamenti di esecuzione della Commissione Europea (Regolamenti di esecuzione UE nn. 2015/2066 e 2015/2067, Regolamenti CE nn. 304/2008 e 306/2008), entro otto mesi dalla data di iscrizione nel registro telematico nazionale.
Ai sensi dell’art. 21, comma 7 del D.P.R. 146/2018, le persone fisiche e le imprese che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, risultano già iscritte al Registro telematico nazionale, devono conseguire i pertinenti certificati o attestati di cui agli artt. 7, 8 e 9 del medesimo Decreto entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il mancato rispetto di tale termine comporta, previa notifica all’interessato, la cancellazione dal Registro telematico nazionale.
Il certificato di cui al comma 1 dell’art. 7 ha una validità di 10 anni e deve essere rinnovato, su istanza dell’interessato e previo superamento di un esame, entro i 60 giorni antecedenti alla scadenza.
Annualmente rispetto alla data di rilascio, sarà in ogni caso richiesta la revisione delle abilitazioni del personale utili al mantenimento del certificato. In tale sede, entro 60 giorni dalla scadenza del certificato, la persona fisica certificata dovrà presentare all’organismo di certificazione, direttamente o attraverso il proprio datore di lavoro:
-
un documento emesso dalla Banca dati delle apparecchiature, nel quale dovrà dimostrare di aver svolto, dalla precedente sorveglianza, almeno un intervento su un impianto;
-
una dichiarazione con i riferimenti relativi all’anagrafica, in cui si attesta anche di non aver subito reclami da parte di clienti;
-
il versamento di una quota annuale.
L’organismo di certificazione, al ricevimento della documentazione, effettua la relativa verifica documentale e in caso di esito negativo, sospende la validità del certificato per i successivi 10 giorni lavorativi, in attesa che la persona fisica provveda all’adeguamento della pratica. Se, decorsi 180 giorni successivi alla scadenza annuale del certificato, la persona fisica non trasmette la documentazione prevista, l’organismo procederà con la revoca del certificato. In caso di controllo documentale con esito positivo, invece, l’organismo comunicherà alla persona fisica e al Registro il mantenimento della certificazione.
Per contro, fatto salvo quanto stabilito all’art. 12, le persone fisiche che svolgono l’attività di recupero di gas fluorurati a effetto serra dagli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, rientranti nel campo d’applicazione della Direttiva 2006/40/CE, devono essere in possesso di un attestato rilasciato da un organismo di attestazione della formazione. In conformità al Regolamento CE n. 307/2008, il rilascio di tale attestato viene effettuato dagli organismi che attestano la formazione delle persone fisiche, al completamento di un corso di formazione.
Per quanto concerne le imprese che operano in ambito F-Gas, l’obbligo di certificazione e iscrizione al Registro telematico nazionale è previsto per le attività disciplinate ai sensi dell’art. 8, comma 1, D.P.R. n. 146/2018:
-
attività di installazione, riparazione, manutenzione, assistenza o smantellamento di apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore fisse contenenti gas fluorurati ad effetto serra;
-
attività di installazione, riparazione, manutenzione, assistenza o smantellamento di apparecchiature di protezione antincendio contenenti gas fluorurati ad effetto serra.
Tali soggetti dovranno rivolgersi a Organismi di Certificazione abilitati al rilascio del certificato alle imprese. La certificazione sarà rilasciata previo il superamento di una verifica ispettiva utile a rilevare il rispetto e la conformità ai seguenti requisiti: impiego di persone fisiche certificate in numero sufficiente da coprire il volume di attività previsto; disponibilità di strumenti e procedure necessari a svolgere le attività per cui è richiesta la certificazione (Regolamenti di esecuzione UE n. 2015/2067 e CE n. 304/2008).
Nota: Volume di attività previsto: fatturato specifico che non comprende quello generato dall’eventuale acquisto, vendita e utilizzo di apparecchiature e materiali. Ogni 200.000 euro di fatturato specifico l’impresa operante in ambito F-Gas deve avere una persona certificata.
Nota: Nel caso di imprese individuali, se il titolare dell’impresa è anche la persona che svolge le attività per le quali è richiesta la certificazione, sia l’impresa che la persona dovranno certificarsi. Infatti, i due certificati vengono rilasciati a fronte del possesso di requisiti distinti: per le persone il certificato viene rilasciato a fronte del superamento di un esame teorico e pratico volto alla verifica del possesso di capacità e conoscenze, mentre per le imprese il certificato viene rilasciato se quest’ultima impiega personale certificato in numero sufficiente da coprire il volume di attività previsto e se dispone di strumenti e procedure adeguate.
Al fine del rilascio della certificazione delle imprese individuali, è previsto un apposito iter all’interno dello schema di accreditamento imprese.
Il certificato ha una validità di 5 anni dalla data di emissione. Per i quattro anni successivi l’organismo procederà con le opportune verifiche documentali mentre, il quinto anno, si procederà con la verifica esterna, svolta con le medesime modalità di controllo previste per il rilascio e utile al rinnovo del certificato.
Per quanto concerne le verifiche documentali, in analogia a quanto disposto per il mantenimento della certificazione delle persone fisiche, l’azienda certificata, ogni anno ed entro 60 giorni dalla scadenza del certificato dovrà presentare all’organismo di certificazione:
-
un documento emesso dalla Banca dati delle apparecchiature nel quale dovrà dimostrare di aver svolto, a far data dalla precedente sorveglianza, almeno un intervento su un impianto;
-
una dichiarazione relativa al fatturato dell’azienda connesso all’ultima annualità e riferito alle attività coperte dalla certificazione;
-
un elenco delle persone fisiche certificate impiegate dall’impresa o eventuali variazioni, corredato dai relativi riferimenti al certificato e all’iscrizione al registro telematico nazionale;
-
un elenco della strumentazione utilizzata per le attività svolte nell’ultimo anno completa dei relativi certificati di taratura;
-
la segnalazione della eventuale presenza e gestione di reclami della clientela nonché la segnalazione di eventuali non conformità.
Al ricevimento della documentazione l’organismo di certificazione effettuerà la relativa verifica documentale e in caso di esito negativo, sospenderà la validità del certificato per i successivi 10 giorni lavorativi, in attesa che l’azienda provveda ai dovuti adeguamenti. Qualora, l’azienda non trasmetta la documentazione prevista, decorsi 180 giorni successivi alla scadenza annuale del certificato, l’organismo procederà con la revoca dello stesso. In caso di esito positivo l’organismo comunicherà all’azienda e al registro la sussistenza della certificazione utile al mantenimento dell’iscrizione.
Nella tabella seguente (Tab. 3) viene riportato, in modo schematico, l’elenco delle apparecchiature e delle attività per le quali è necessaria la certificazione (C), l’iscrizione al Registro nazionale delle Persone e delle imprese certificate (I) o l’attestazione (A).
Nota: L’installazione, la manutenzione, la riparazione, il recupero del gas e lo smantellamento di apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore, contenenti almeno 5 t di CO2 eq. (o 10 t di CO2 eq. per impianti sigillati ermeticamente) deve essere affidata esclusivamente a:
- imprese: iscritte alla Camera di commercio (abilitazione ai sensi del D.M. n. 37/2008) per: impianti di riscaldamento, climatizzazione, condizionamento e refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese opere di evacuazione dei prodotti della combustione e condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali (lettera “c” D.M. n. 37/2008); impianti per distribuzione e utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e di ventilazione ed aerazione dei locali (lettera “e” D.M. n. 37/2008). Iscritte al Registro Nazionale Gas Fluorurati (Registro F-Gas) e dotate di certificato in corso di validità;
- persone: iscritte al Registro F-Gas ed in possesso di certificato valido.
Tabella 3 - Elenco delle apparecchiature e delle attività per le quali è necessaria la certificazione (C), l’iscrizione al Registro Telematico Nazionale delle Persone e delle Imprese certificate (I) o l’attestazione (A)

(Fonte: Ministero dell’Ambiente)
€ SANZIONI
Art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: Le persone fisiche che svolgono le attività di cui all’art. 10, parr. 1, lettere a), b), c) e 2, del Regolamento UE n. 517/2014, senza essere in possesso del pertinente certificato o attestato di cui agli artt. 7 e 9 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero di quello di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
Art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 163/2019: Le imprese che svolgono le attività di cui all’art. 10, par. 6, del Regolamento UE n. 517/2014, senza essere in possesso del pertinente certificato rilasciato ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero di quello di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
Art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 163/2019: L’impresa che affida le attività di installazione, riparazione, manutenzione, assistenza o smantellamento di apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria fisse, pompe di calore fisse e apparecchiature di protezione antincendio, ad un’impresa che non è in possesso del pertinente certificato rilasciato ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero di quello di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
Art. 8, comma 4, D.Lgs. n. 163/2019: Gli organismi di certificazione di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 146/2018, nonché gli organismi di valutazione della conformità di organismi di attestazione di formazione di cui all’art. 6 dello stesso Decreto, che non trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, entro il 31 marzo di ogni anno, la relazione sulle attività da loro svolte nel corso dell’anno precedente, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro.
Art. 8, comma 5, D.Lgs. n. 163/2019: Gli organismi di certificazione di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 146/2018, che non si iscrivono al registro di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 146/2018, entro il termine di 10 giorni dalla data di ricevimento della designazione degli stessi, 6 sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.000 euro.
Art. 8, comma 6, D.Lgs. n. 163/2019: Gli organismi di attestazione di formazione di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 146/2018, che non trasmettono all’organismo di valutazione della conformità che li ha certificati i nominativi delle persone fisiche che hanno ottenuto l’attestato, entro il termine di 10 giorni dalla data di rilascio dello stesso, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.000 euro.
Art. 8, comma 7, D.Lgs. n. 163/2019: Il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 5, comma 4, e dall’art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 146/2018, da parte degli Organismi di certificazione designati e degli Organismi di valutazione della conformità di organismi di attestazione è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.000 euro.
Art. 8, comma 8, D.Lgs. n. 163/2019: I soggetti obbligati di cui agli artt. 6, 7, 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 146/2018, che non effettuano l’iscrizione al Registro telematico nazionale di cui all’art. 15 dello stesso Decreto, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.000 euro.
➔ Registro Telematico Nazionale
Il Registro Telematico Nazionale delle persone e delle imprese certificate, così come la Banca dati dei gas fluorurati ad effetto serra, sono istituiti presso il Ministero dell’ambiente ai sensi dell’art. 14, D.P.R. n. 146/2018. Il Registro è gestito dalle Camere di commercio competenti e accessibile dal sito web: www.fgas.it.
Conformemente a quanto disposto dal D.P.R., il Registro è costituito dalle seguenti sezioni:
-
Sezione degli organismi di certificazione, degli organismi di valutazione della conformità e degli organismi di attestazione;
-
Sezione delle persone fisiche e delle imprese non soggette all’obbligo di certificazione;
-
Sezione delle persone fisiche e delle imprese certificate;
-
Sezione delle persone fisiche che hanno ottenuto l’attestato;
-
Sezione delle persone fisiche con deroghe transitorie o esenzioni all’obbligo di certificazione;
-
Sezione delle persone fisiche e delle imprese certificate in un altro Stato membro che hanno trasmesso copia del proprio certificato.
Attraverso il Registro sarà pertanto possibile consultare:
-
l’elenco degli Organismi di Certificazione e di Attestazione della formazione ai quali le persone e le imprese possono rivolgersi per ottenere i pertinenti certificati/attestati;
-
l’elenco delle persone fisiche e delle imprese alle quali gli operatori/proprietari di apparecchiature contenenti F-Gas possono rivolgersi.
➔ Obbligo della tenuta dei registri e la Banca Dati
Pur ribadendo che al momento la disciplina contenuta nel D.P.R. n. 146/2018 non è ancora stata adeguata al Regolamento n. 2024/573, è opportuno rammentare quanto stabilito dall’art. 7 di quest’ultimo: gli operatori di apparecchiature per cui sono necessari controlli per la presenza di eventuali perdite (apparecchiature contenenti quantità pari o superiori a 5 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’Allegato I o quantità pari o superiori a 1 chilogrammo di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’Allegato II, sezione 1, non contenuti in schiume) istituiscono e tengono, per ciascuna di tali apparecchiature, registri in cui sono contenute le seguenti informazioni:
-
la quantità e il tipo di gas contenuti nelle apparecchiature, indicando separatamente, se del caso, la quantità aggiunta durante l’installazione;
-
le quantità di gas aggiunti durante la manutenzione o l’assistenza o a seguito di perdite, compresa la data di tale aggiunta;
-
la quantità di gas recuperati;
-
se i gas sono stati aggiunti, le quantità e i tipi di tali gas e se siano state riciclate o rigenerate, nonché il nome e l’indirizzo nell’Unione dell’impianto di riciclaggio o rigenerazione e, ove del caso, il numero di certificato;
-
l’identità dell’impresa che ha provveduto all’installazione, all’assistenza, alla manutenzione e, ove del caso, al recupero, alla riparazione, ai controlli per la verifica di eventuali perdite, o allo smantellamento delle apparecchiature, compreso, ove del caso, il relativo numero di certificato e, qualora l’impresa responsabile di tali operazioni sia una persona giuridica, i dati identificativi sia dell’impresa che della persona fisica che esegue le operazioni;
-
le date e i risultati dei controlli effettuati ai sensi dell’art. 5, par. 1, e le date e i risultati delle eventuali riparazioni di perdite;
-
se l’apparecchiatura è stata smantellata, le misure adottate per recuperare e smaltire i gas.
Il D.P.R. 146/2018 stabilisce che non è necessario tenere registri per le apparecchiature mobili di condizionamento d’aria o i veicoli frigorifero diversi da autocarri o rimorchi.
Gli operatori dovranno conservare i registri delle apparecchiature per un tempo pari a 5 anni e, su richiesta, metterli a disposizione dell’Autorità nazionale competente o della Commissione Europea. In caso di apparecchiature etichettate come “apparecchiature ermeticamente sigillate”, i registri sono necessari solo se il carico di refrigerazione è superiore a 10 t di CO2 eq.
Si tenga presente, peraltro, quanto stabilito nel Regolamento n. 2024/573. Ai fini dell’art. 11, par. 6 (restrizioni all’immissione sul mercato e alla vendita), le imprese che forniscono gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o nell’allegato II, sezione 1, istituiscono registri contenenti le informazioni d’interesse relative a detti gas, che comprendono: a) i numeri di certificato di ciascun acquirente; b) le rispettive quantità di gas acquistate. Le imprese che forniscono i gas conservano i registri per almeno cinque anni e li mettono a disposizione dell’autorità competente dello Stato membro interessato o della Commissione su richiesta. Inoltre, ai fini dell’art. 11, par. 7, le imprese che vendono apparecchiature non ermeticamente sigillate caricate con gas fluorurati a effetto serra elencati nell’Allegato I e nell’Allegato II, sezione 1, tengono un registro delle apparecchiature vendute e delle imprese certificate che effettueranno l’installazione. Le imprese che vendono le attrezzature di cui all’art. 11, par. 7, conservano i registri per un periodo di almeno 5 anni e su richiesta li mettono a disposizione dell’autorità competente dello Stato membro interessato.
Il D.P.R. n. 146/2018, all’art. 16, prevede che, a decorrere dall’ottavo mese successivo all’entrata in vigore del medesimo Decreto (quindi dal primo giorno dell’ottavo mese dalla data di entrata in vigore, ossia il 25 agosto 2019), l’impresa certificata o, nel caso di imprese non soggette all’obbligo di certificazione, la persona certificata, comunichi per via telematica alla Banca dati gas fluorurati a effetto serra (istituita secondo l’art. 14 del citato D.P.R. n. 146/2018 (https://bancadati.fgas.it)), entro 30 giorni dalla data di installazione delle apparecchiature, dallo smantellamento delle apparecchiature o dal primo intervento di controllo delle perdite, di manutenzione, di assistenza o di riparazione di apparecchiature già installate e per ogni intervento successivo al primo, le informazioni previste dall’art. 6 del Regolamento n. 517/2014 per gli specifici ambiti di intervento.
A tal proposito si fa presente che la soglia di 5 t di CO2 eq. è utilizzata esclusivamente per determinare gli obblighi e la frequenza dei controlli delle perdite. Pertanto, nella Banca dati dovranno essere comunicati gli interventi svolti sul circuito refrigerante per tutte le apparecchiature, a prescindere dal contenuto di F-Gas.
Sulla base di quanto sopra indicato, a partire dal 25 agosto 2019, l’obbligo di tenuta dei registri si ritiene rispettato mediante la comunicazione alla Banca dati. Da quest’ultima, in qualsiasi momento e previa registrazione, l’operatore potrà visionare e scaricare un attestato contenente tutte le informazioni relative alle proprie apparecchiature, indicando il codice intervento e il codice univoco di identificazione dell’apparecchiatura così come forniti dall’impresa certificata che ha svolto l’intervento.
Le persone fisiche o le imprese dovranno effettuare le comunicazioni accedendo all’apposita Area riservata. Nell’area informativa della Banca Dati sono disponibili il manuale e un video che illustrano le procedure per la richiesta di abilitazione utile alla comunicazione degli interventi.
Nel caso di impresa certificata l’abilitazione viene richiesta dal legale rappresentante o da un suo delegato, che allegherà la delega firmata dal legale rappresentante e il documento di identità di quest’ultimo.
Nel caso di persona certificata che svolge attività su commutatori o celle frigorifere di autocarri e rimorchi refrigerati, per le quali l’impresa non è soggetta a certificazione, l’abilitazione viene richiesta dal legale rappresentante dell’impresa iscritta al Registro Telematico Nazionale delle persone e delle imprese certificate, per conto della quale la persona svolge l’attività, o da un suo delegato.
Nel caso di persona certificata che svolge attività per enti ed imprese che si configurano come operatori e si avvalgono di personale interno per le attività, ma non sono tenuti ad essere iscritti al Registro, né ad avere il certificato, la richiesta viene presentata dal legale rappresentante dell’impresa/ente per conto del/la quale la persona svolge l’attività o suo delegato.
L’impresa o la persona certificata, al fine di consentire la gestione della tenuta della Banca dati, deve versare entro il mese di novembre di ogni anno, alla Camera di commercio del capoluogo di Regione, i diritti di segreteria.
In occasione dell’iscrizione dell’apparecchiatura alla Banca dati, sarà generato un codice univoco di identificazione dell’apparecchiatura, diverso e specifico per ogni impianto, che lo accompagnerà lungo tutto il ciclo di vita.
Nota: Chi è l’operatore e come si identifica? Il Regolamento n. 2024/573 definisce “operatore”: l’impresa che esercita un effettivo controllo sul funzionamento tecnico dei prodotti, delle apparecchiature o degli impianti oggetto del presente regolamento o il proprietario, laddove lo Stato membro lo consideri responsabile degli obblighi dell’operatore in circostanze specifiche.
ISPRA specifica inoltre che: l’“effettivo controllo sul funzionamento tecnico” di un’apparecchiatura o di un impianto comprende i seguenti elementi che devono sussistere contemporaneamente: libero accesso all’impianto, controllo sul funzionamento e la gestione ordinari (ad esempio, accensione e spegnimento), il potere di decidere (compreso il potere finanziario) in merito a modifiche tecniche, all’esecuzione di controlli (ad esempio, controlli delle perdite) o di riparazioni.
L’art. 7 del Regolamento n. 2024/573 prevede inoltre che tutte le imprese che vendono gas fluorurati a effetto serra istituiscano registri contenenti informazioni relative agli acquirenti di gas comprensive dei seguenti dettagli: numero del certificato dell’acquirente; quantità di gas acquistati.
Le imprese che forniscono gas fluorurati a effetto serra conservano tali registri per almeno 5 anni e, su richiesta, li mettono a disposizione dell’Autorità competente dello Stato membro interessato o della Commissione.
L’art. 16 del D.P.R. n. 146/2018 dispone che, a decorrere dal sesto mese successivo all’entrata in vigore del D.P.R. n. 146/2018, anche le informazioni relative alle vendite di F-Gas e di apparecchiature non ermeticamente sigillate contenenti tali gas sono comunicate, per via telematica, alla Banca dati.
Pertanto, a partire dal 25 giugno 2019, l’obbligo di tenuta dei registri è rispettato mediante la comunicazione alla Banca dati, delle vendite di F-Gas e di apparecchiature contenenti tali gas, comprensiva delle informazioni richieste dall’art. 6, commi 2 e 3, D.P.R. n. 146/2018.
L’impresa che fornisce apparecchiature o gas fluorurati a effetto serra ad imprese o persone abilitate ad effettuare l’installazione, l’assistenza, la manutenzione o la riparazione delle apparecchiature che contengono gas fluorurati a effetto serra o il cui funzionamento dipende da tali gas, indipendentemente dalle modalità di vendita utilizzata, dovrà curare l’iscrizione, per via telematica, nel Registro telematico nazionale come ‘venditore’, secondo le modalità e le procedure previste.
All’interno della Banca dati, fornendo gli estremi relativi al codice fiscale sarà possibile verificare se l’impresa o la persona sono in possesso di un certificato o di un attestato valido per l’acquisto di gas fluorurati ad effetto serra.
Secondo quanto disposto dalla Banca dati, l’impresa di impiantistica che è abilitata ad effettuare le operazioni di installazione delle apparecchiature, controllo delle perdite, manutenzione o riparazione, smantellamento delle apparecchiature, per potere effettuare le comunicazioni delle sole vendite delle apparecchiature, deve provvedere ad estendere, in qualità di venditore, l’iscrizione effettuata nel registro nazionale F-Gas. Invece, nel caso in cui l’impresa si trovi a svolgere un servizio di vendita con installazione dovrà comunicare i dati relativi agli interventi di installazione, indicando che la vendita è stata effettuata dallo stesso installatore e non dovrà iscriversi come venditore.
€ SANZIONI
Art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: Le imprese certificate di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero quelle di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, o, nel caso di imprese non soggette all’obbligo di certificazione, le persone fisiche certificate di cui all’art. 7 dello stesso Decreto, ovvero quelle di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, che non inseriscono nella Banca Dati di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 146/2018 le informazioni di cui all’art. 16, commi 4, 5 e 7 del medesimo Decreto, entro trenta giorni dalla data dell’intervento, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 15.000 euro.
Art. 9, comma 3, D.Lgs. n. 163/2019: Le imprese che forniscono gas fluorurati a effetto serra a persone fisiche o imprese che non sono in possesso del pertinente certificato o attestato rilasciato ai sensi degli artt. 7, 8, 9 e 13 del D.P.R., n. 146/2018, per le attività di cui all’art. 11, par. 4, del Regolamento UE n. 517/2014, indipendentemente dalle modalità di vendita utilizzata, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 50.000 euro.
Art. 9, comma 4, D.Lgs. n. 163/2019: Le persone fisiche o imprese che acquistano gas fluorurati a effetto serra per le attività di cui all’art. 11, par. 4, del Regolamento UE n. 517/2014, indipendentemente dalle modalità di vendita utilizzata, senza essere in possesso del pertinente certificato o attestato rilasciato ai sensi degli artt. 7, 8, 9 e 13 del D.P.R. n. 146/2018, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 50.000 euro.
Art. 9, comma 6, D.Lgs. n. 163/2019: Le imprese che forniscono gas fluorurati a effetto serra per le attività di cui all’art. 11, par. 4, del Regolamento UE n. 517/2014, indipendentemente dalle modalità di vendita utilizzata, che non inseriscono nella Banca Dati di cui all’art. 16, del D.P.R. n. 146/2018 le informazioni ivi previste al comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 5.000 euro.
➔ Onere (superato) della dichiarazione ISPRA
Prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 146/2018, l’art. 16, comma 1, del D.P.R. n. 43/2012 imponeva la comunicazione ad ISPRA, entro il 31 maggio di ogni anno, delle informazioni riguardanti le quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati. In sostituzione di tale onere a carico dell’operatore, è stata appunto istituita la Banca dati (art. 16, D.P.R. n. 146/2018) in materia di raccolta e conservazione delle informazioni relative alle attività di controllo delle perdite nonché le attività di installazione, assistenza, manutenzione, riparazione, smantellamento delle apparecchiature contenenti gas fluorurati a effetto serra.
➔ Periodicità dei controlli
Il nuovo Regolamento n. 2024/573 stabilisce (art. 5, par. 1) che gli operatori e i fabbricanti di apparecchiature contenenti quantità pari o superiori a 5 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o quantità pari o superiori a 1 chilogrammo di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato II, sezione 1, non contenuti in schiume, provvedono affinché le apparecchiature siano controllate per verificare la presenza di eventuali perdite. Eccezioni sono previste per le apparecchiature ermeticamente sigillate e per i commutatori elettrici, alle condizioni di cui al citato par 1, commi 2-3 e rispettivamente 4.
Il par. 1 si applica agli operatori e ai produttori delle apparecchiature fisse contenenti gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o nell’allegato II, sezione 1, seguenti:
-
apparecchiature di refrigerazione;
-
apparecchiature di condizionamento d’aria;
-
pompe di calore;
-
apparecchiature di protezione antincendio;
-
cicli Rankine a fluido organico;
-
commutatori elettrici.
Il par. 1 si applica agli operatori e ai produttori delle apparecchiature mobili contenenti gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o nell’allegato II, sezione 1, seguenti:
-
unità di refrigerazione di autocarri frigorifero e rimorchi frigorifero;
-
unità di refrigerazione di veicoli leggeri frigorifero, container intermodali, compresi i reefer, e vagoni ferroviari;
-
apparecchiature di condizionamento d’aria e pompe di calore in veicoli pesanti, furgoni, macchine mobili non stradali utilizzate in agricoltura, nelle miniere e nell’edilizia, treni, metropolitane, tram e aeromobili.
Le frequenze dei controlli sono ora dettate dall’art. 5, par. 6, del più volte citato Regolamento n. 2024/573 e si possono riassumere nello schema seguente
TIPOLOGIA DI APPARECCHIATURA | FREQUENZA DEI CONTROLLI |
---|---|
apparecchiature contenenti meno di 50 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o meno di 10 chilogrammi di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato II, sezione 1 | almeno ogni 12 mesi o, se in dette apparecchiature è installato un sistema di rilevamento delle perdite, almeno ogni 24 mesi |
apparecchiature contenenti quantità pari o superiori a 50 tonnellate di CO2 equivalente ma meno di 500 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o 10 chilogrammi o più, ma meno di 100 chilogrammi di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato II, sezione 1 | almeno ogni sei mesi o, se in dette apparecchiature è installato un sistema di rilevamento delle perdite, almeno ogni 12 mesi |
TIPOLOGIA DI APPARECCHIATURA | FREQUENZA DEI CONTROLLI |
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apparecchiature contenenti quantità pari o superiori a 500 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I o 100 chilogrammi o più di gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato II, sezione 1 | almeno ogni tre mesi o, se in dette apparecchiature è installato un sistema di rilevamento
delle perdite, almeno ogni sei mesi. Si noti che gli operatori delle apparecchiature fisse elencate nell’articolo 5, paragrafo 2, lettere da a) a d), sempre, nonché lettere e) ed f), qualora installate a decorrere dal 1° gennaio 2017, che contengono gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I in quantità pari o superiori a 500 tonnellate di CO2 equivalente o 100 chilogrammi o più di gas elencati nell’allegato II, sezione 1, provvedono a che l’apparecchiatura abbia un sistema di rilevamento delle perdite che avverte l’operatore o l’impresa di manutenzione in caso di perdita; il sistema va controllato ogni 12 mesi, ogni 6 anni per le apparecchiature di cui alla lettera f) citata. |
Gli obblighi previsti al par. 1 per le apparecchiature di protezione antincendio sopra menzionate sono considerati soddisfatti se sussistono le condizioni seguenti:
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il regime di ispezione vigente è conforme alle norme ISO 14520 o EN 15004, e
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l’apparecchiatura di protezione antincendio è ispezionata con la frequenza stabilita al par. 6.
Gli obblighi previsti al par. 1 per le apparecchiature mobili di condizionamento d’aria e le pompe di calore sopra elencate sono considerati soddisfatti se le apparecchiature mobili di condizionamento d’aria e le pompe di calore sono soggette a un regime di ispezione regolare che comprende controlli delle perdite.
Se, nonostante i controlli o a seguito degli stessi, è rilevata una perdita di gas fluorurati a effetto serra, l’operatore e il fabbricante di apparecchiature e l’operatore di impianti in cui sono utilizzati gas fluorurati a effetto serra, come anche l’impresa in possesso di tale apparecchiatura durante il trasporto o lo stoccaggio provvedono a che l’apparecchiatura o l’impianto in cui sono utilizzati gas fluorurati a effetto serra siano riparati senza indebito ritardo. Se l’apparecchiatura è soggetta a controlli delle perdite a norma dell’art. 5, par. 1, ed è stata riparata una perdita nell’apparecchiatura, l’operatore dell’apparecchiatura provvede a che essa sia controllata da una persona fisica certificata conformemente all’art. 10 non prima che sia trascorso un tempo di funzionamento di 24 ore, ma comunque entro un mese dalla riparazione per verificare che quest’ultima sia stata efficace. Per le apparecchiature mobili di cui all’art. 5, par. 3, lettere a), b) e c), un controllo delle perdite può essere effettuato direttamente dopo una riparazione (art. 4, par. 5).
€ SANZIONI
Art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: Chiunque rilascia in modo intenzionale nell’atmosfera gas fluorurati a effetto serra se il rilascio non è necessaria conseguenza tecnica dell’uso consentito, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 a 100.000 euro.
Art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 163/2019: L’operatore che rilascia in modo accidentale gas fluorurati a effetto serra e che, in caso di rilevamento di perdite di gas fluorurati a effetto serra, non effettua la relativa riparazione, senza indebito ritardo e comunque non oltre 5 giorni dall’accertamento della perdita stessa, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 25.000 euro.
Art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 163/2019: L’operatore che, entro un mese dall’avvenuta riparazione dell’apparecchiatura soggetta ai controlli delle perdite di cui all’art. 4, par. 1, del Regolamento UE n. 517/2014, non effettua, avvalendosi di persone fisiche in possesso del certificato di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, la verifica dell’efficacia della riparazione eseguita è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 15.000 euro.
Art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: L’operatore che non ottempera agli obblighi di controllo delle perdite secondo le scadenze e le modalità di cui all’art. 4 del Regolamento UE n. 517/2014, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 15.000 euro.
➔ Attività di recupero
Per recupero si intende “la raccolta e lo stoccaggio di gas fluorurati a effetto serra provenienti da contenitori, prodotti e apparecchiature, effettuati nel corso delle operazioni di manutenzione o assistenza o prima dello smaltimento dei contenitori, dei prodotti o delle apparecchiature” (art. 2, n. 11) Regolamento n. 2024/573). Gli operatori di apparecchiature contenenti gas fluorurati a effetto serra, non contenuti in schiume, provvedono a che tali sostanze siano recuperate e, dopo lo smantellamento delle apparecchiature, siano riciclate, rigenerate o distrutte (art. 8, par. 1).
Tale ultimo obbligo si applica agli operatori delle apparecchiature fisse seguenti:
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circuiti di raffrescamento di apparecchiature di refrigerazione, di apparecchiature di condizionamento d’aria e di pompe di calore;
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apparecchiature contenenti solventi a base di gas fluorurati a effetto serra;
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apparecchiature di protezione antincendio;
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commutatori elettrici (par. 2).
Il medesimo obbligo si applica agli operatori delle apparecchiature mobili seguenti:
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circuiti di raffrescamento di unità di refrigerazione di autocarri frigorifero e rimorchi frigorifero;
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circuiti di raffrescamento di unità di refrigerazione di veicoli leggeri frigorifero, container intermodali, compresi i reefer, e vagoni ferroviari;
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circuiti di raffrescamento di apparecchiature di condizionamento d’aria e pompe di calore in veicoli pesanti, furgoni, macchine mobili non stradali utilizzate in agricoltura, nelle miniere e nell’edilizia, treni, metropolitane, tram e aeromobili (par. 3; per le apparecchiature di cui alle lettere b) e c) l’obbligo decorre dal 12 marzo 2027).
I gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I e nell’allegato II, sezione 1, recuperati non sono usati per caricare o ricaricare le apparecchiature a meno che il gas sia stato riciclato o rigenerato (par. 6).
L’impresa che usa un contenitore con gas fluorurati a effetto serra elencati nell’allegato I e nell’allegato II, sezione 1, immediatamente prima di smaltirlo provvede al recupero dei gas residui per garantirne il riciclo, la rigenerazione o la distruzione (par. 7).
Norme specifiche sono prescritte per prodotti o installazioni contenuti negli edifici e per apparecchiature non elencate nel resto dell’art. 8.
€ SANZIONI
Art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: L’operatore di apparecchiature fisse di refrigerazione, di condizionamento d’aria fisso, di pompe di calore fisse, di unità di refrigerazione di autocarri e rimorchi frigorifero, di apparecchiature fisse contenenti solventi a base di gas fluorurati a effetto serra, di apparecchiature fisse di protezione antincendio e di commutatori elettrici fissi, che si avvale di persone fisiche non in possesso del certificato di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 146/2018, ovvero, nei casi applicabili, di quello di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, nell’attività di recupero di gas fluorurati dalle predette apparecchiature, durante la loro riparazione e manutenzione, al fine di assicurarne il riciclaggio, la rigenerazione o la distruzione, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
Art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 163/2019: Le imprese che svolgono attività di recupero dei gas fluorurati dagli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 2006/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006, con esclusione dell’attività di ricarica che non comporta preventivo o successivo recupero dei gas fluorurati dagli impianti stessi, avvalendosi di personale non in possesso dell’attestato di cui all’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 146/2018, ovvero di quello di cui all’art. 13 dello stesso Decreto, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 7.000 a 100.000 euro.
Art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 163/2019: Sono fatte salve le sanzioni previste per il corretto smaltimento di prodotti e apparecchiature come disciplinato dalla normativa in materia di rifiuti di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
➔ Etichettatura e informazioni sui prodotti e sulle apparecchiature
Ai sensi dell’art. 12, par. 1, del Regolamento n. 2024/573 i prodotti e le apparecchiature che contengono, o il cui funzionamento dipende dai gas fluorurati a effetto serra, sono immessi sul mercato, forniti successivamente o messi a disposizione di qualsiasi altra persona solo se etichettati.
Tale obbligo di etichettatura si applica a:
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apparecchiature di refrigerazione;
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apparecchiature di condizionamento;
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pompe di calore;
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apparecchiature di protezione antincendio;
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commutatori elettrici;
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generatori di aerosol contenenti gas fluorurati a effetto serra, compresi gli inalatori predosati;
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tutti i contenitori per gas fluorurati a effetto serra;
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solventi a base di gas fluorurati a effetto serra; oppure
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cicli Rankine a fluido organico.
Ai sensi dell’art. 12, par. 3, del citato Regolamento l’etichetta deve riportare le seguenti indicazioni:
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l’indicazione che il prodotto o l’apparecchiatura contiene gas fluorurati a effetto serra o che il suo funzionamento dipende da tali gas;
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la denominazione industriale accettata per il gas fluorurato a effetto serra o, in mancanza, la denominazione chimica;
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a decorrere dal 1° gennaio 2017, la quantità espressa in peso e in CO2 equivalente di gas fluorurati a effetto serra contenuta nel prodotto o nell’apparecchiatura o la quantità di gas fluorurati a effetto serra per la quale è progettata l’apparecchiatura e il potenziale di riscaldamento globale di tali gas.
L’etichetta deve essere chiaramente leggibile e indelebile e deve essere posta:
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vicino ai punti di accesso per la ricarica o il recupero dei gas fluorurati a effetto serra;
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sulla parte del prodotto o dell’apparecchiatura in cui tali gas sono contenuti.
€ SANZIONI
Art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 163/2019: Chiunque immette in commercio i prodotti e le apparecchiature di cui all’art. 12, parr. 1, 2 e 5 del Regolamento UE n. 517/2014, nonché i gas fluorurati a effetto serra di cui all’art. 12, parr. da 6 a 12, non etichettati secondo le prescrizioni e le modalità del medesimo articolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
Art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 163/2019: La medesima sanzione si applica nel caso in cui l’etichetta non sia conforme al formato di cui al Regolamento di esecuzione UE n. 2015/2068 e a quanto previsto all’art. 19 del D.P.R. n. 146/2018.
APPROFONDIMENTI
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https://www.minambiente.it/pagina/clima
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https://bancadati.fgas.it
12.6 Alternative agli idrofluorocarburi
12.6Alternative agli idrofluorocarburiDopo avere trattato, nel paragrafo precedente, dei gas fluorurati a effetto serra (HFC) e della loro azione ad elevata lesività, è opportuno dedicare almeno alcuni cenni alle possibili alternative previste per contrastare l’utilizzo degli HFC.
L’impiego degli HFC è, a livello planetario, il risultato della valutazione e della combinazione di diversi fattori, alcuni legati alla natura della sostanza, altri alla combinazione sostanza/sistema, altri ad aspetti tecnico-economici utili a garantire adeguati livelli di efficienza energetica del sistema. Altri fattori non trascurabili che condizionano la scelta, sono la loro disponibilità commerciale, il costo del prodotto e della tecnologia ad esso associata. Se alcuni HFC possono essere sostituiti da altri senza alcun intervento (operazione di drop-in), altri richiedono modifiche delle apparecchiature di grado variabile, che possono andare dai più semplici interventi sul sistema o su parti di esso, al cambiamento radicale della tipologia di sistema e quindi alla sua sostituzione completa.
12.6.1 Phase-Down degli HFC
12.6.1Phase-Down degli HFCLa situazione italiana evidenzia che, per il breve-medio periodo, si sta già assistendo alla graduale sostituzione degli HFC con GWP più elevato, con altri a GWP inferiore, quindi meno dannosi per l’ambiente. Nel lungo periodo gli HFC tenderanno invece a essere sostituiti dai refrigeranti naturali, tra cui anidride carbonica, ammoniaca e idrocarburi e/o da refrigeranti sintetici di ultima generazione, le IdroFluoroOlefine (HFO), alternative caratterizzate da un basso GWP, e da un bassissimo o nullo effetto serra.
Tuttavia, i refrigeranti naturali a differenza dei fluidi sintetici tradizionali, presentano problemi di sicurezza legati a pressioni di lavoro molto elevate (es. CO2), alla tossicità (es. ammoniaca), all’infiammabilità (es. HC e HFO) o alla corrosività (incompatibilità con plastiche ed alcune leghe, tra cui il rame). La sostituzione di un refrigerante con una nuova sostanza può determinare dunque cali di efficienza energetica delle macchine, che mal si accordano con un quadro normativo sempre più severo in materia di eco design.
La riduzione scaglionata nel tempo delle quantità di HFC immesse in commercio sta subendo delle accelerazioni rispetto alla tempistica dettata dalle prescrizioni previste dal Regolamento UE n. 517/2014, non solo per effetto della normativa, ma anche per dinamiche di mercato esterne. Queste comprendono le strategie di paesi produttori di materie prime che incidono sulla disponibilità di tali sostanze, nonché i rincari dei prezzi degli HFC a GWP più elevato, che insieme stanno mettendo in crisi l’approvvigionamento di HFC per interi settori e di fatto accelerando la transizione ai refrigeranti naturali e/o alle HFO.
12.6.2 Alternative agli HFC nei vari macrosettori
12.6.2Alternative agli HFC nei vari macrosettoriDi seguito si sintetizzano le principali alternative agli HFC ad alto GWP per il settore della refrigerazione e della climatizzazione.
➔ Refrigerazione domestica
L’HFC maggiormente utilizzato nel settore della refrigerazione è rappresentato dall’HFC-134a, caratterizzato da un GWP pari a 1.430. Ad oggi, un’alternativa utilizzata in molte realtà è rappresentata dal Butano (HC-600), un idrocarburo con un GWP pari a 3. Tuttavia, poiché l’HC-600 presenta problemi di infiammabilità, i refrigeratori domestici che utilizzano tale sostanza, devono essere progettati in modo appropriato al fine di rispettare gli standard di sicurezza. Sono in fase di sperimentazione le HFO, una famiglia di refrigeranti derivati dal propano, con basso GWP.
➔ Refrigerazione commerciale
Il Regolamento F-Gas, citato, prevede una serie di divieti alla vendita di apparecchiature di refrigerazione commerciale ed industriale la cui decorrenza varia in funzione del tipo di apparecchiatura e del gas refrigerante utilizzato, come stabilito dall’Allegato IV riguardante i divieti di immissione in commercio ai sensi dell’art. 11, par. 1 del Regolamento n. 2024/573; in particolare a partire dal primo gennaio 2020 è vietata l’immissione in commercio di impianti nuovi fissi di refrigerazione nonché di frigoriferi e congelatori commerciali (apparecchiature autonome) contenenti F-Gas con GWP ≥2.500,con GWP≥150 a partire dal primo gennaio 2022 e contenenti altri gas fluorurati a effetto serra con GWP ≥ 150 a partire dal primo gennaio 2025.
Nelle unità sigillate stand-alone, in quelle a condensazione o centralizzate, gli HFC attualmente più utilizzati sono l’HFC-134a (GWP pari a 1.430) e la miscela denominata R-404A (GWP 3.922). Nelle nuove apparecchiature centralizzate o in alcune unità stand-alone la CO2 rappresenta l’alternativa più utilizzata a livello mondiale, soprattutto in Europa. L’alternativa al momento disponibile per le apparecchiature ermeticamente sigillate è il propano (HC-290), già ampiamente utilizzato. Come nel caso della refrigerazione domestica, tale sostanza, pur essendo caratterizzata da un basso GWP (pari a 3), risulta classificata come altamente infiammabile in quanto idrocarburo.
Nelle unità a condensazione, come alternativa all’HFC-134a esistono diverse miscele non infiammabili con GWP intorno a 600, come l’R-450A e l’R-513A; anche le miscele a base di HFC/HFO e l’R-32 rappresentano possibili alternative ancora in fase di studio.
➔ Refrigerazione industriale
Nel settore industriale la refrigerazione è utilizzata per diversi scopi come lo stoccaggio e la preparazione di cibi e bevande o la produzione di sostanze chimiche, petrolchimiche e parafarmaceutiche. In generale le temperature di lavoro delle applicazioni industriali sono simili a quelle della refrigerazione commerciale anche se, in alcune applicazioni, è necessario raggiungere temperature ancora più basse.
L’R-404A (GWP pari a 3.922) è il refrigerante dominante nei sistemi di piccole e medie dimensioni. Per questa tipologia di apparecchiature l’uso di alternative naturali risulta ancora limitato a causa dell’alto potenziale infiammabile delle stesse, pertanto nel mercato si tende ancora ad utilizzare alternative non infiammabili con GWP abbastanza elevato.
Nelle grandi apparecchiature è invece più diffuso l’uso dell’ammoniaca. Inoltre, limitatamente ad alcune applicazioni viene utilizzata CO2, mantenendo un apprezzabile grado di efficienza energetica. Per i chillers industriali vi sono diverse opzioni a basso costo: oltre all’ammoniaca, ampiamente disponibile, anche gli idrocarburi costituiscono, almeno finché non verranno totalmente abbandonati, una possibile alternativa.
➔ Apparecchi di climatizzazione
L’HFC maggiormente in uso nel mondo della climatizzazione è l’R-410A, che nel tempo ha sostituito l’R407C, utilizzato per molti anni in tale settore. Negli ultimi anni anche il gas refrigerante R32 sta trovando una diffusione massiccia, soprattutto tra i condizionatori. La sua diffusione è dovuta anche al suo valore ODP (Potenziale di Eliminazione dell’Ozono) pari a zero ed a una efficienza energetica maggiore rispetto all’R410A.
Nei piccoli climatizzatori il propano (HC-290) rappresenta la principale alternativa già ampiamente utilizzata in Europa e presente anche in Italia. Questo idrocarburo è in grado di garantire buone efficienze paragonabili a quelle dei tradizionali refrigeranti sintetici. Nei grandi impianti di condizionamento, tra le possibili alternative con caratteristiche simili all’R410A si segnalano l’R446A (GWP 460) e l’R447A (GWP 582) adatti per i sistemi multi-split, i sistemi VFR e i sistemi canalizzati.
➔ Refrigerazione nei trasporti
Il settore dei trasporti comprende i sistemi di refrigerazione nei veicoli stradali, nei container intermodali e nelle navi.
I refrigeranti ampiamente utilizzati nel settore sono R-404A (GWP 3922) e HFC-134a (GWP 1430). Con riferimento alle alternative, è in fase di sviluppo la refrigerazione con CO2, soprattutto per i veicoli su strada di grandi dimensioni e per i container. L’utilizzo di tale sostanza richiede, infatti, notevoli modifiche di tipo impiantistico e lo sviluppo di nuovi componenti che implicano costi di investimento elevati. Soluzioni alternative, al momento disponibili, sono rappresentate dall’HFC-32 (GWP 675) e degli idrocarburi (in particolare propano (HC-290) e propilene (HC-1270), caratterizzati da un GWP rispettivamente di 3 e 2). Anche in questo caso devono essere però ulteriormente vagliati gli aspetti legati alla sicurezza e alla loro infiammabilità.
Per quanto riguarda le navi, sono disponibili soluzioni analoghe a quelle viste per la refrigerazione industriale.
APPROFONDIMENTI
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Studio sulle alternative agli idrofluorocarburi (HFC) in Italia - ISPRA, ed. n. 286/2018
12.7 Sostanze ozono-lesive
12.7Sostanze ozono-lesiveLe sostanze ozono-lesive (Ozone Depleting Substances - ODS) sono le principali responsabili dell’indebolimento dello strato di ozono presente a livello della stratosfera.
La sequenza di reazioni chimiche che coinvolgono la formazione e la distruzione dell’ozono fu studiata per la prima volta da Gordon M. Dobson nei primi anni del ’900 (da cui deriva l’Unità Dobson – DU) e da Sydney Chapman che, nel 1930, pubblicò la teoria della formazione e distruzione dell’ozono (meccanismo di Chapman). Le reazioni proposte dai due studiosi, connesse alla fotolisi, si sono rivelate corrette ma le concentrazioni effettive di ozono sono tuttavia collegate anche ad altre molecole generate da processi naturali ed antropici. La ricerca scientifica, condotta a partire dal 1970, ha infatti dimostrato che anche il protossido di azoto e i radicali di alogeni come Cloro e Bromo sono coinvolti nella distruzione dell’ozono, agendo da catalizzatori.
Fino agli anni ’60 la concentrazione di tali catalizzatori era determinata pressoché per intero da sorgenti naturali quali gli oceani, i vulcani o i cicli biologici. A partire da tali anni però, agli apporti naturali si è aggiunta una derivazione antropica, connessa principalmente all’utilizzo dei clorofluorocarburi (CFC). I CFC fecero la loro prima comparsa sul mercato della refrigerazione a partire dagli anni ’30 e grazie alla loro bassa infiammabilità, alla bassa tossicità e alle loro proprietà termodinamiche e di stabilità, in breve tempo soppiantarono i refrigeranti naturali trovando largo utilizzo anche in altri ambiti. Si tratta di sostanze derivate da idrocarburi, quali il metano e l’etano, mediante sostituzione di tutti o di una parte dei loro atomi di idrogeno con atomi di cloro e fluoro.
Essendo dei composti altamente stabili, la reattività dei CFC nella troposfera è relativamente molto bassa: ne consegue un loro accumulo nella stratosfera dove, attraverso una serie di reazioni fotochimiche, vengono trasformati in una riserva di alogeni attivi.
Considerato che il tempo di vita dei CFC nella stratosfera può variare dalle decine alle centinaia di anni e data la loro partecipazione attiva nella formazione del ‘buco nell’ozono’, nel 1987 venne siglato, come già illustrato in precedenza, il Protocollo di Montréal, la cui finalità era quella di contenerne l’utilizzo, favorendone una progressiva eliminazione.
Nota: Lo strato di ozono si misura in unità Dobson (DU). 1 DU equivale ad uno strato dello spessore di 0,01 mm alla pressione di 1 atm ed alla temperatura di 0˚ C. La quantità media di ozono nella stratosfera è intorno a 350 DU. Questo vuol dire che, se tutta questa quantità di ozono venisse portata al livello del suolo, esso formerebbe uno strato di 3,5 mm.
Figura 13 - Serie temporali di estensione media, massima e minima del buco dell’ozono

(Fonte: Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) 2023)
Nota: L’ozono è un componente minoritario dell’atmosfera, concentrato nella stratosfera, tra 15 e 30 km di altezza, che esercita un’azione filtrante nei confronti delle radiazioni solari ultraviolette, considerate potenzialmente pericolose per la salute umana. Il buco dell’ozono è un’ampia area di ozono eccezionalmente esaurita nella stratosfera, osservata principalmente sopra l’Antartico, a causa della quale una maggiore intensità di radiazione ultravioletta giunge sulla superficie terrestre aumentando i rischi sanitari connessi ad un’eccessiva esposizione, soprattutto per le popolazioni che vivono alle medie e alte latitudini Il processo di distruzione dell’ozono ai poli è osservabile durante la primavera australe (agosto-ottobre) e avviene attraverso una serie di stadi successivi in cui giocano un ruolo importante le bassissime temperature invernali, la circolazione dei venti, la formazione di nubi stratosferiche e la variabilità delle radiazioni solari. Durante la primavera australe il buco dell’ozono sopra l’Antartide aumenta di dimensioni, raggiungendo un picco di massima espansione tra settembre e ottobre (Fig. 14). Verso la fine della primavera, con l’aumento delle temperature nella stratosfera, l’esaurimento dell’ozono rallenta, il vortice polare si indebolisce e infine si rompe, e alla fine di dicembre i livelli di ozono ritornano alla normalità.
Figura 14 - Estensione del buco dell’ozono sopra l’Antartide durante la primavera australe

(Fonte: Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) 2023)
Nel complesso, a partire dall’anno 2000, grazie alla graduale eliminazione delle sostanze ozono-lesive, il buco dell’ozono sta mostrando segni di riduzione. La sua estensione stagionale è fortemente guidata anche dalla temperatura stratosferica, con temperature più calde che portano a valori minimi, come nel 2019, fino ad arrivare ai valori del 2021, anno nel quale si è registrato uno dei buchi più grandi e longevi degli ultimi anni. Nel 2019 la formazione del buco dell’ozono è stata per lo più guidata da condizioni meteorologiche anomale. In particolare, tra agosto e settembre 2019 sono state misurate temperature eccezionalmente elevate ad altitudini comprese tra i 20 e i 30 km dal suolo dell’Antartico, che hanno bloccato la formazione delle nubi stratosferiche polari costituite anche da cristalli di ghiaccio in grado di intrappolare molecole potenzialmente reattive che, durante la primavera australe, con l’innesco delle reazioni da parte della luce solare, avviano la distruzione dell’ozono. Viceversa, i valori di massima espansione del buco, misurati nel 2020 e nel 2021, non sono un segno che il Protocollo di Montréal non stia funzionando, ma sono invece collegati a due anni segnati da temperature molto rigide nella stratosfera (imputabili anche alle emissioni di gas serra) e da un vortice polare molto stabile. Nel corso dell’anno 2023 l’estensione del buco dell’ozono ha subito un anomalo aumento nella seconda metà di ottobre (sfiorando i 20 milioni di km2), per poi mantenersi intorno ai 15 milioni di km2 fino a fine novembre.
12.7.1 Normativa europea
12.7.1Normativa europeaIn attuazione del Protocollo di Montréal, la Comunità Europea adottò nel giugno del 1994 il Regolamento CE n. 3093/94 per il controllo delle sostanze dannose per la fascia di ozono. Tale Regolamento prevedeva progressive tappe di riduzione fino alla definitiva cessazione della produzione e dei consumi delle principali sostanze dannose per la fascia di ozono (clorofluorocarburi, halon, tetracloruro di carbonio. 1,1,1-tricloetano, idrobromofluorocaburi), mentre dettava le prime misure contenitive relativamente alla produzione di bromuro di metile e all’uso degli idroclorofuorocarburi.
La necessità di ridurre le emissioni di alogeni generò, in alcuni ambiti, una loro progressiva sostituzione con gli idrocarburi fluorurati o con gli idrofluoroclorocarburi (HCFC). Il vantaggio dell’uso dei HCFC non risiedeva nel loro comportamento a livello della stratosfera (analogo ai CFC), ma nel fatto che, la sostituzione parziale di molecole di cloro con l’idrogeno, creava dei composti maggiormente instabili che reagivano già parzialmente a livello della troposfera, diminuendo la percentuale di passaggio nella stratosfera.
Il 29 giugno 2000 il Parlamento europeo adottò il Regolamento CE n. 2037/2000, partendo dal presupposto che la riduzione dello strato di ozono nell’emisfero meridionale nel 1998 raggiunse livelli mai toccati in precedenza e considerata la necessità di applicare misure più severe di quelle previste dal Regolamento CE n. 3093/94. Attraverso il nuovo Regolamento si andavano a dettare precise misure finalizzate ad eliminare la produzione e l’immissione sul mercato degli idroclorofluorocarburi entro il 31 dicembre 2025 e del bromuro di metile entro il 31 dicembre 2004.
Dal 1° gennaio 2010 l’uso di HCFC è stato vietato nelle attività di manutenzione e assistenza delle apparecchiature di refrigerazione e condizionamento d’aria, limitandone l’utilizzo ai soli HCFC rigenerati o riciclati.
Il successivo Regolamento (CE) n. 1005/2009 anticipava la data di cessazione della produzione di HCFC al 2020, come conseguenza del rapido aumento della produzione e del consumo di tali sostanze nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, sebbene vi siano prove evidenti che le ODS sono presenti in minore concentrazione nell’atmosfera e siano stati osservati i primi segni che l’ozono stratosferico sta iniziando a ripristinarsi si prevede che il ripristino dello strato di ozono alle concentrazioni esistenti prima del 1980 potrà avvenire solo a partire dalla seconda metà del XXI secolo.
Una nuova pagina della legislazione in materia è segnata dal Regolamento (UE) n. 2024/590 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, entrato in vigore l’11 marzo 2024, salvo alcune eccezioni (l’art. 16, par. 1, 2 e da 4 a 15, l’art. 17, par. 5, e l’Allegato VII, punto 2, che si applicano a decorrere dal 3 marzo 2025 per l’immissione in libera pratica di cui all’art. 201 del Regolamento (UE) n. 952/2013, nonché per tutti gli altri regimi di importazione e per l’esportazione).
Il nuovo testo abroga il Regolamento (CE) n. 1005/2009, con alcune eccezioni: l’art. 18 applicabile il 10 marzo 2024 continua ad applicarsi fino al 2 marzo 2025; l’art. 27 applicabile il 10 marzo 2024 continua ad applicarsi per quanto riguarda il periodo di riferimento dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023.
I riferimenti al Regolamento abrogato si intendono fatti al nuovo Regolamento e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all’Allegato VIII.
Ai sensi del Regolamento n. 2024/590 sono vietati la produzione, l’immissione sul mercato, qualsiasi successiva fornitura o messa a disposizione di terzi nell’Unione, nonché l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I del Regolamento stesso.
Sono, inoltre, vietati l’immissione sul mercato e qualsiasi successiva fornitura o messa a disposizione di terzi nell’Unione di prodotti e apparecchiature contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I o il cui funzionamento dipende da tali sostanze.
Sono previste specifiche esenzioni ai divieti summenzionati, per quanto concerne le sostanze che riducono lo strato di ozono, le quali possono essere prodotte, immesse sul mercato e successivamente fornite o messe a disposizione di terzi nell’Unione per essere usate come agenti di fabbricazione nei processi di cui all’allegato III o per usi nei laboratori e per la protezione antincendio in applicazioni speciali, come indicato dall’art. 8 del Regolamento.
La Commissione Europea ha calcolato che le misure previste dal Regolamento in parola porteranno a risparmiare 180 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e 32.000 tonnellate di emissioni di sostanze potenzialmente ozono-lesive entro il 2050.
APPROFONDIMENTI
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https://climate.ec.europa.eu/eu-action/fluorinated-greenhouse-gases/climate-friendly-alternatives-hfcs_en)
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https://www.eea.europa.eu/publications/fluorinated-greenhouse-gases-2021
12.7.2 Normativa in materia di sostanze ozono-lesive controllate
12.7.2Normativa in materia di sostanze ozono-lesive controllateIl nuovo Regolamento stabilisce le norme in materia di produzione, importazione, esportazione, immissione sul mercato, stoccaggio e successiva fornitura di sostanze che riducono lo strato di ozono, nonché le norme sul loro uso, recupero, riciclo, rigenerazione e distruzione.
La normativa si applica alle sostanze che riducono lo strato di ozono da sole o contenute in miscele, nonché ai prodotti e alle apparecchiature, e loro parti, contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono o il cui funzionamento dipende da tali sostanze.
L’art. 2, lett. a), del Regolamento fa riferimento alle sostanze ritenute responsabili della riduzione dello strato di ozono di cui agli Allegati I e II. Nello specifico, l’Allegato I fa riferimento alle sostanze che riducono lo strato di ozono, mentre l’Allegato II alle sostanze che riducono lo strato di ozono non controllate nell’ambito del Protocollo.
L’art. 4 del Regolamento n. 2024/590 prevede che “sono vietati la produzione, l’immissione sul mercato, qualsiasi successiva fornitura o messa a disposizione di terzi nell’Unione, contro pagamento o gratuitamente, nonché l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I. 2”. Inoltre, sono vietate l’importazione o l’esportazione di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I del Regolamento in esame.
Mentre, l’art. 4 del previgente Regolamento CE n. 1005/2009 stabiliva che fosse vietata la produzione di sostanze controllate.
L’art. 5, par. 1, del Regolamento n. 2024/590 aggiunge che sono vietati l’immissione sul mercato e qualsiasi successiva fornitura o messa a disposizione di prodotti e apparecchiature contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono.
Salvo specifiche deroghe, il divieto di produzione, immissione sul mercato e uso per proprio conto, da parte di produttori e importatori, delle sostanze contenute all’interno di ciascun gruppo dell’Allegato I, è stato disciplinato da vari Regolamenti di esecuzione, emessi dal 1994 al 2000, secondo la seguente cronologia:
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halon: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 1993;
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tetracloruro di carbonio: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 1994;
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clorofluorocarburi: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 1994 (eventuali deroghe al 31 dicembre 1995);
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1,1,1-tricloetano: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 1995;
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idrobromofluorocarburi: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 1995;
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bromoclorometano: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dal 01 ottobre 2000;
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bromuro di metile: cessazione della produzione, di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 2004, (fino al 18 marzo 2010 per applicazioni di quarantena e per trattamenti anteriori al trasporto di merci destinate all’esportazione);
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idroclorofluorocarburi: divieto di immissione sul mercato e uso dopo il 31 dicembre 2009, salvo eventuali deroghe quali l’utilizzo, fino al 31 dicembre 2014, di HCFC rigenerati per attività di assistenza e manutenzione e l’immissione sul mercato per riconfezionamento ed esportazione fino al 31 dicembre 2019. Cessazione della produzione dal 31 dicembre 2019.
12.7.3 Normativa italiana
12.7.3Normativa italianaDi seguito si riporta una panoramica della evoluzione della legislazione italiana di recepimento delle norme europee succedutesi nel tempo.
L’Italia, anticipando il Regolamento CE n. 3093/94, adottava la L. 28 dicembre 1993, n. 549, “Misure a tutela dell’ozono stratosferico”, che stabiliva i termini di cessazione dell’impiego di sostanze ozono-lesive e ne disciplinava la produzione, il commercio, l’utilizzo e il ciclo di vita.
In seguito, con il D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 56 ed il conseguente D.M. 10 marzo 1999, venivano disciplinati: l’eliminazione degli halon utilizzati per gli usi non critici del settore antincendio e le loro sostanze sostitutive; la produzione e il consumo di bromuro di metile; il consumo degli idroclorofluorocarburi. Veniva poi emanata la L. 16 giugno 1997, n. 179, che modificava in più punti la L. n. 549/1993 citata e faceva anche salve le norme di vari decreti legge decaduti per mancata conversione nei termini di legge (fra cui il D.L. n. 56/1996 citato).
Con l’entrata in vigore del D.M. 3 ottobre 2001 e del D.M. 20 dicembre 2005, venivano poi abrogati i precedenti decreti e delineati nuovi obblighi per l’uso degli halon e dei clorofluorocarburi. Si stabilivano inoltre i requisiti per i centri di raccolta autorizzati di halon e CFC e le modalità di recupero degli HCFC dagli estintori e dai sistemi di protezione antincendio.
Con la L. 31 luglio 2002, n. 179, “Disposizioni in materia ambientale”, veniva tuttavia abrogata la disposizione della L. n. 549/1993 citata (art. 3, comma 3) che fissava al 31 dicembre 2008 il tempo limite per produzione, utilizzazione, commercializzazione, importazione, esportazione di CFC, Halons, HCFC e HBFC (tabelle A e B allegate alla L. n. 549/1993).
Con il D.M. 20 settembre 2002 ed il successivo D.P.R. n. 147/2006 venivano anche prescritte le norme tecniche e le modalità per il controllo ed il recupero delle sostanze ozono-lesive dalle apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria e dalle pompe di calore.
Infine, dopo l’entrata in vigore del Regolamento n. 1005/2009, veniva emanato il D.Lgs. 13 settembre 2013, n. 108 (poi solo leggermente modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91) recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni derivanti dal Regolamento.
Dopo l’entrata in vigore del Regolamento n. 2024/590, l’Italia, come tutti gli altri Stati membri, presumibilmente varerà nuove norme di adeguamento al nuovo Regolamento.
€ SANZIONI
Art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque immette sul mercato, ad eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 9 del Regolamento, produce, utilizza, importa o esporta sostanze controllate, di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda fino a 120.000 euro.
Art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque immette sul mercato sostanze controllate, di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento, in contenitori non riutilizzabili è punito con l’arresto fino a tre anni e con l’ammenda fino a 150.000 euro.
Art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque immette sul mercato, ad eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 9 del Regolamento, importa o esporta, ad esclusione degli effetti personali, prodotti e apparecchiature che contengono o dipendono da sostanze controllate di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda fino a 120.000 euro.
12.7.4 Principali impieghi delle sostanze ozono-lesive
12.7.4Principali impieghi delle sostanze ozono-lesiveIn passato le sostanze ozono-lesive sono state per lungo tempo utilizzate in vari settori produttivi e per gli usi più disparati. Di seguito si riporta una breve rassegna.
Fino alla prima metà degli anni ’90, i CFC furono massicciamente impiegati nel settore della refrigerazione (frigoriferi, condizionatori d’aria sia degli edifici che delle vetture, etc.), in quello delle schiume poliuretaniche come agenti espandenti (pannelli isolanti, schiume spray, etc.) e come propellenti per qualsiasi prodotto spray (bombolette, inalatori per asmatici, etc.) finanche come agenti pulenti (settore aeronautico, spaziale, informatico, etc.).
Sebbene siano oramai banditi a livello mondiale, la maggior parte dei CFC messi allora in circolazione si trova ancora adesso all’interno di apparecchi e impianti isolanti di vecchia generazione il cui deterioramento ne comporta un lento rilascio.
Attualmente i CFC, al pari di altre sostanze controllate, possono essere prodotti, immessi sul mercato e utilizzati come agenti di fabbricazione o per gli usi essenziali di laboratorio e a fini di analisi, solo previa approvazione e decisione dal segretariato del Protocollo di Montréal.
Gli idrocarburi alogenati (Halon) hanno avuto un momento di successo tra il 1970 e il 1990. Grazie alle loro caratteristiche di grande efficacia di spegnimento e assenza di residui, furono in larga parte utilizzati come agenti estinguenti nei sistemi antincendio. Oggi, ai sensi dell’art. 9 del Regolamento n. 2024/590, nell’Unione Europea gli halon possono essere immessi sul mercato e impiegati per usi critici conformemente all’Allegato V. Gli halon possono essere immessi in commercio e successivamente forniti o messi a disposizione di terzi nell’Unione, contro pagamento o gratuitamente, soltanto dalle imprese autorizzate dall’autorità competente dello Stato membro interessato per lo stoccaggio degli halon per usi critici.
Il citato Regolamento n. 1005/2009, prevedeva, invece, che gli halon potessero essere immessi sul mercato e impiegati solo per gli usi critici definiti nell’Allegato VI del suddetto Regolamento, così come modificato dal Regolamento UE 744/2010, connessi all’aviazione, all’ambito militare, navale e delle forze dell’ordine.
Il bromuro di metile era utilizzato in agricoltura e per la sterilizzazione delle derrate alimentari o del legname.
Ai sensi dell’art. 10 del Regolamento n. 2024/590, viene previsto che in caso di emergenza, se necessario a seguito della diffusione imprevista di particolari parassiti o malattie, la Commissione, su richiesta dell’autorità competente di uno Stato membro, può, mediante atti di esecuzione e previa notifica al segretariato per l’ozono in conformità della decisione IX/7 delle parti del protocollo, autorizzare temporaneamente la produzione, l’immissione sul mercato e l’uso di bromuro di metile, a condizione che l’immissione sul mercato e l’uso del bromuro di metile siano ammessi rispettivamente dai Regolamenti (CE) n. 1107/2009 e (UE) n. 528/2012. Eventuali quantità inutilizzate di bromuro di metile sono distrutte.
Gli HCFC si usano in tutti campi sopra descritti sia per i CFC che per gli Halon. In ambito di refrigerazione e climatizzazione degli ambienti tali gas possono essere ancora presenti in apparecchi di vecchia generazione, a servizio di utenze sia domestiche che industriali (si ricordano per esempio le numerose attrezzature ancora funzionanti con gas refrigerante R22).
Tutte le altre sostanze erano o sono utilizzate come materia prima da parte delle industrie chimiche.
12.7.5 Sostanze ozono-lesive alla luce della normativa più recente
12.7.5Sostanze ozono-lesive alla luce della normativa più recenteIl Regolamento CE n. 1005/2009 per molti aspetti andava oltre il protocollo di Montréal, accelerando la graduale eliminazione degli idroclorofluorocarburi (HCFC) dal 2020 (come richiesto dal Protocollo di Montréal) e introducendo un nuovo divieto per la manutenzione e l’assistenza di HCFC dal 2015. Questo divieto era legato all’immissione sul mercato e all’uso di HCFC non vergini, destinati alla manutenzione o all’assistenza di apparecchiature esistenti di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore.
Il nuovo Regolamento n. 2024/590 segna un passo avanti verso gli obiettivi climatici dell’UE per il 2030 e per la neutralità climatica entro il 2050 e prevede l’eliminazione di ulteriori 500 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalente entro il 2050.
Per quanto concerne il controllo delle fughe e il recupero di sostanze ozono-lesive da apparecchiature di refrigerazione, di condizionamento o da pompe di calore, il Regolamento CE n. 1005/2009 dettava condizioni più restrittive del precedente Regolamento CE n. 2037/2000, andando a rettificare anche quanto era disposto, nell’ordinamento italiano, dal D.P.R. n. 147/2006.
Per quanto concerne il recupero di sostanze ozono lesive, il Regolamento n. 2024/590 (art. 20) specifica che le sostanze che riducono lo strato di ozono contenute in apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria e pompe di calore, apparecchiature contenenti solventi o sistemi di protezione antincendio ed estintori sono recuperate, nel corso delle operazioni di manutenzione o assistenza delle apparecchiature o prima che tali apparecchiature siano smantellate o eliminate, per essere distrutte oppure per essere riciclate o rigenerate, salvo laddove tale recupero sia regolamentato da altri atti giuridici dell’Unione.
Inoltre, alla Commissione europea è conferito il potere di adottare atti delegati al fine di integrare il Regolamento con un elenco dei prodotti e delle apparecchiature per i quali il recupero di sostanze che riducono lo strato di ozono o la distruzione di prodotti ed apparecchiature senza previo recupero di sostanze che riducono lo strato di ozono sono considerati tecnicamente ed economicamente praticabili, specificando, se opportuno, le tecnologie da applicare.
Ad oggi, si noti, è vietata la ricarica, in apparecchiature nuove ed esistenti, di ODS anche in forma riciclata o rigenerata. Allo stato attuale, tutte le nuove apparecchiature immesse sul mercato contengono gas fluorurati ad effetto serra (HFC). Inoltre, in virtù dei divieti sopra esposti, le attività di manutenzione e controllo fughe sulle apparecchiature e sugli impianti contenenti gas lesivi per l’ozono, permangono quasi unicamente per i gas HCFC, tra i quali si ricorda l’R22, ancora presente in realtà più datate. In caso di perdite, l’apparecchiatura contenente R22 dovrà essere sostituita oppure svuotata e convertita con gas fluorurato sostitutivo, compatibilmente con il mantenimento delle prestazioni e dello stato di conservazione della macchina.
Ai sensi del Regolamento n. 2024/590, le imprese che immettono sul mercato contenitori ricaricabili per sostanze che riducono lo strato di ozono presentano una dichiarazione di conformità comprensiva di prove che confermano l’esistenza di disposizioni vincolanti per la restituzione di tali contenitori ai fini della ricarica, in particolare identificando gli attori pertinenti, i loro impegni obbligatori e le pertinenti disposizioni logistiche. Tali disposizioni sono rese vincolanti per i distributori di contenitori ricaricabili per sostanze che riducono lo strato di ozono agli utilizzatori finali.
➔ Apparecchiature e impianti soggetti agli obblighi di recupero delle sostanze ozono-lesive
Il nuovo Regolamento all’art. 20 stabilisce che le sostanze che riducono lo strato di ozono contenute in apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria e pompe di calore, apparecchiature contenenti solventi o sistemi di protezione antincendio ed estintori sono recuperate, nel corso delle operazioni di manutenzione o assistenza delle apparecchiature o prima che tali apparecchiature siano smantellate o eliminate, per essere distrutte oppure per essere riciclate o rigenerate, salvo laddove tale recupero sia regolamentato da altri atti giuridici dell’Unione.
➔ Abilitazione delle persone fisiche e delle imprese
Ai sensi dell’art. 21 del medesimo Regolamento, gli Stati membri stabiliscono i requisiti professionali minimi del personale che svolge le attività di cui ai paragrafi 3 e 4 del medesimo art. 21, ovverosia per gli operatori di apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria o pompe di calore o sistemi di protezione antincendio inclusi i circuiti, contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono, nonché per gli operatori che usano apparecchiature o sistemi contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono e garantiscono che qualsiasi perdita rilevata sia riparata senza indebito ritardo. Nell’ambito della legislazione italiana, il D.P.R. n. 147/2006, all’art. 5, comma 1, stabilisce che il personale che svolge le attività di cui agli artt. 1, 3 e 4 deve essere in possesso dei requisiti minimi stabiliti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Di fatto, ad oggi, non sono state emesse specifiche tecniche da parte della Conferenza permanente; pertanto, fino all’emanazione dei requisiti minimi, gli interventi di controllo e di riparazione devono essere effettuati da imprese abilitate, ai sensi delle disposizioni in materia di attività d’installazione, trasformazione e ampliamento degli impianti presenti all’interno degli edifici (D.M. 22 gennaio 2008, n. 37).
Nota: Per la verifica dell’abilitazione dell’impresa nella visura camerale dovrà essere riportato il riferimento dell’art. 1, comma 2, lett. c), del D.M. n. 37/2008, relativo alle ‘attività d’installazione, trasformazione e ampliamento degli impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura e specie’ e se del caso, anche il riferimento alla lettera e) ‘impianti per la distribuzione e l’utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e ventilazione ed aerazione dei locali’. In sede di appalto di tali attività a ditte esterne è necessario verificare preventivamente il rispetto dei requisiti sopra indicati. Laddove tali requisiti non fossero rispettati l’appalto non può essere assegnato.
➔ Obbligo della tenuta dei registri
Come previsto dall’art. 21 del Regolamento n. 2024/590, gli operatori che usano apparecchiature o sistemi contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono conservano un registro in cui riportano la quantità e il tipo di halon aggiunti e di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’Allegato I recuperate durante le attività di manutenzione o di assistenza e di smaltimento definitivo delle apparecchiature o dei sistemi di cui a tale paragrafo. Esse conservano inoltre registri di altre informazioni pertinenti, inclusi i dati dell’impresa che ha eseguito verifiche della presenza di perdite, la manutenzione o l’assistenza nonché le date e i risultati delle verifiche effettuate della presenza di perdite.
Il D.P.R. n. 147/2006, all’art. 3, comma 2, stabilisce che il gestore deve custodire un libretto di impianto conforme al modello di cui all’Allegato I, in cui dovranno essere registrate le operazioni di recupero e riciclo delle sostanze controllate.
Pertanto, in occasione dei controlli periodici delle fughe e di qualsiasi attività svolta sul circuito frigorifero, il gestore dovrà verificare che il manutentore indichi sul libretto di impianto (il libretto nazionale equivale al registro europeo):
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gli estremi del gestore dell’apparecchiatura o impianto;
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le caratteristiche dell’apparecchiatura o impianto (tipologia, sede di installazione, tipo di refrigerante e carica);
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gli estremi del manutentore (nome, qualifica e azienda);
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il recupero delle sostanze controllate (tipologia della sostanza recuperata e sostitutiva, quantità, data);
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gli estremi relativi al controllo delle fughe (data, tipo e sensibilità del cercafughe);
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il risultato dei controlli (positivo o negativo, riparazione, data, firme del gestore e del manutentore, numero di iscrizione all’albo professionale presso le camere di commercio).
Diversamente da quanto previsto per i gas fluorurati ad effetto serra (per i quali non viene più previsto il mantenimento del registro cartaceo di impianto, poiché sostituito dalla comunicazione alla Banca dati nazionale), il libretto di impianto per i gas ozono-lesivi, dovrà continuare ad essere mantenuto per tutto il ciclo di vita dell’apparecchiatura. I gas ozono-lesivi, di fatto, non rientravano nell’ambito di applicazione del Regolamento UE n. 517/2014 né ora rientrano nel campo applicativo del Regolamento n. 2024/573 e pertanto restano esclusi dalle disposizioni relative al Registro nazionale delle persone fisiche e delle imprese e dalla Banca dati nazionale.
Nota: le apparecchiature e gli impianti in cui sono presenti gas ozono-lesivi non rientravano all’interno degli ambiti contemplati dalla dichiarazione annuale ISPRA, peraltro ad oggi decaduta poiché sostituita dalla Banca dati nazionale. Si noti che tali gas nemmeno rientrano tra quelli assoggettati alle comunicazioni alla Banca dati, salvo una loro sostituzione con F-Gas.
€ SANZIONI
Art. 14, comma 3, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca reato, l’impresa che gestisce apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria o pompe di calore o sistemi di protezione antincendio contenenti sostanze controllate, di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento e che non tiene il registro ovvero riporta informazioni inesatte, incomplete e comunque non conformi a quanto previsto all’art. 23, par. 3, del Regolamento, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 18.000 euro.
➔ Periodicità dei controlli
Ai sensi del Regolamento n. 2024/590 il rilascio intenzionale nell’atmosfera di sostanze che riducono lo strato di ozono, anche se contenute in prodotti e apparecchiature, è vietato se non è tecnicamente necessario per gli usi previsti consentiti dal presente regolamento (art. 21, par. 1).
Le imprese adottano tutte le precauzioni necessarie per prevenire e ridurre al minimo qualsiasi rilascio involontario delle sostanze che riducono lo strato di ozono durante la produzione, anche se il rilascio è risultato inavvertitamente durante la produzione di altre sostanze chimiche, il processo di fabbricazione di apparecchiature, l’uso, lo stoccaggio e il trasferimento da un contenitore o un sistema a un altro o il trasporto (art. 21, par 2).
Le imprese che gestiscono apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria o pompe di calore o sistemi di protezione antincendio inclusi i circuiti, contenenti sostanze controllate, provvedono a che le apparecchiature o i sistemi fissi:
TIPOLOGIA DI APPARECCHIATURA | FREQUENZA DELLA VERIFICA DELLE PERDITE |
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carica di fluido pari o superiore a 3 kg, ma inferiore a 30 kg, di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I | almeno ogni 12 mesi, ad eccezione delle apparecchiature con sistemi ermeticamente sigillati etichettati come tali e contenenti meno di 6 kg di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I |
carica di fluido pari o superiore a 30 kg, ma inferiore a 300 kg, di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I | almeno ogni sei mesi |
carica di fluido pari o superiore a 300 kg di sostanze che riducono lo strato di ozono elencate nell’allegato I | almeno ogni tre mesi |
Restano esclusi da tali controlli periodici le apparecchiature e gli impianti contenenti meno di 3 kg di gas e quelli con sistemi ermeticamente sigillati, contenenti meno di 6 kg di sostanze controllate.
Gli operatori che usano apparecchiature o sistemi contenenti sostanze che riducono lo strato di ozono garantiscono che qualsiasi perdita rilevata sia riparata senza indebito ritardo, fatto salvo il divieto di usare tali sostanze che riducono lo strato di ozono, salvo laddove tale recupero sia regolamentato da altri atti giuridici dell’Unione (art. 21, par. 4).
€ SANZIONI
Art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca reato, l’impresa che non adotta le tecnologie disponibili e le migliori pratiche per ridurre al minimo le fughe o le emissioni di sostanze controllate o altre misure adottate ai sensi dell’art. 23, par. 1, del Regolamento, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
Art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 108/2013: Salvo che il fatto costituisca reato, l’impresa che gestisce apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria o pompe di calore o sistemi di protezione antincendio contenenti sostanze controllate, di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento, senza adempiere agli obblighi di cui all’art. 23, par. 2, del Regolamento, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro.
➔ Attività di recupero
Per recupero, ai sensi del Regolamento n. 2024/590 (art. 3, n. 8), si intende “la raccolta e lo stoccaggio di sostanze che riducono lo strato di ozono provenienti da contenitori, prodotti e apparecchiature, effettuati nel corso delle operazioni di manutenzione o assistenza o prima dello smaltimento dei contenitori, dei prodotti o delle apparecchiature”.
L’art. 20 del Regolamento stabilisce che le sostanze che riducono lo strato di ozono contenute in apparecchiature di refrigerazione e di condizionamento d’aria e pompe di calore, apparecchiature contenenti solventi o sistemi di protezione antincendio ed estintori sono recuperate, nel corso delle operazioni di manutenzione o assistenza delle apparecchiature o prima che tali apparecchiature siano smantellate o eliminate, per essere distrutte oppure per essere riciclate o rigenerate, salvo laddove tale recupero sia regolamentato da altri atti giuridici dell’Unione.
€ SANZIONI
Art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 108/2013 Salvo che il fatto costituisca reato, l’impresa che non recupera le sostanze controllate, di cui all’art. 3, punto 4), del Regolamento, durante le operazioni di manutenzione, assistenza o smantellamento di prodotti ed apparecchiature di cui all’art. 22, par. 1, del Regolamento, nonché di quelli stabiliti dalla Commissione Europea ai sensi del par. 4, commi 2 e 3, dello stesso articolo del Regolamento, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 150.000 euro.
➔ Attività di smantellamento
In caso di smantellamento di un’apparecchiatura contenente ODS, è necessario recuperare il gas prima dello svuotamento dell’impianto. Le operazioni di recupero sono effettuate con dispositivi conformi alle caratteristiche e nel rispetto della norma tecnica ISO 11650. È vietato recuperare gas per il riutilizzo poiché l’uso di ODS recuperati / riciclati / rigenerati non è più ammesso e pertanto il gas andrà smaltito come rifiuto pericoloso e avviato alla distruzione, caratterizzandolo con EER 140601*. Le apparecchiature dismesse dovranno essere avviate a recupero/smaltimento presso ditte terze autorizzate.