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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

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    Autore:

    Blasizza Erica, AA.VV.

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    AMBIENTE 2024

    Capitolo 9

    Inquinamento atmosferico

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    9.1 Considerazioni preliminari

    9.1Considerazioni preliminari

    Nell’accezione comune, l’inquinamento atmosferico può essere definito come l’accumulo nell’atmosfera di una o più sostanze, in concentrazioni tali da modificare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria.

    L’esigenza di occuparsi della buona qualità dell’aria per tutelare in qualche modo la popolazione dai rischi dell’inquinamento atmosferico inizia ad affermarsi già nel XVIII secolo, parallelamente all’avvio della Rivoluzione Industriale.

    Proprio intorno alla seconda metà del ’700 si accertato che l’aria era costituita da una miscela di gas di diversa natura e che questi, soprattutto nelle grandi città, risultavano già allora composti da agenti inquinanti dannosi per la respirazione umana.

    “La salubrità dell’aria è una condizione così assolutamente essenziale alla conservazione della nostra specie, che dovremo usarci la più scrupolosa cautela”. Termina così la “Dissertazione sull’educazione fisica de’ fanciulli”, edita nel 1762 dal medico francese Jacques Ballexserd (il primo a utilizzare il concetto di educazione fisica).

    Dal XVIII secolo ad oggi, le attività produttive, i trasporti e le stesse abitudini umane si sono via via modificati causando anche una repentina modifica della quantità e della tipologia degli inquinanti emessi in atmosfera.

    Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana, soprattutto in ambito urbano, divennero di pubblico interesse verso il 1950 in seguito all’enorme impatto sanitario di alcuni gravi episodi di avvelenamento. Emblematico fu il caso del ‘Grande smog’ che colpì Londra tra il 05 e il 09 dicembre 1952. In quei giorni la città fu ricoperta da una densa coltre di nebbia tossica, che causò almeno 4.000 morti e numerosi malati, provocata da una tragica convergenza di concause, fra cui un intenso inquinamento dell’aria (connesso alla massiccia combustione di carbon fossile) ed eccezionali condizioni atmosferiche. In seguito a questa calamità, il 5 luglio 1956 la regina Elisabetta II approvò il Clean Air Act, uno dei primi provvedimenti legislativi che riconoscevano l’importanza del problema dell’inquinamento dell’aria.

    La prima legge italiana sull’inquinamento atmosferico, che individua l’aria come un bene giuridico da proteggere, è la Legge del 13 luglio 1966, n. 615 “Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico”. In tale decreto, per la prima volta, veniva riportata anche la definizione di inquinamento atmosferico, indicato come “emissione in atmosfera di fumi, polveri, gas e odori di qualsiasi tipo atti ad alterare le condizioni di salubrità dell’aria e a costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e danno ai beni pubblici o privati”.

    Oggigiorno, ai sensi dell’art. 268 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) definisce l’inquinamento atmosferico: “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”.

    Nelle definizioni che si sono avvicendate, il legislatore non si è soffermato unicamente sul concetto di modificazione dell’aria atmosferica ma ne ha sempre più valutato la potenziale compromissione, che può essere misurata solo attraverso opportune analisi dello stato di qualità dell’aria.

    La legislazione in materia di qualità dell’aria si pone come obiettivo una progressiva riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici, per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini. Tale finalità è perseguita attraverso la fissazione di valori limite di concentrazione per una serie di inquinanti, che devono essere rispettati entro specifiche date; il rispetto deve essere assicurato tramite la pianificazione e l’adozione di misure ed interventi di risanamento.

    Al riguardo, rilevano i concetti di emissione ed immissione, che, come si vedrà, sono disciplinati da strumenti normativi e di controllo tra loro diversi.

    Per “emissione” si intende il rilascio nell’aria di effluenti gassosi e particelle da parte di una qualsiasi fonte (es. un camino o il tubo di scarico di un’automobile).

    Dal punto di vista normativo, ai sensi dell’art. 268 del D.Lgs. n. 152/2006, viene definita come “emissione in atmosfera” una qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico.

    L’“immissione” rappresenta invece l’effetto dell’emissione in atmosfera che ricade sul suolo e che può determinare delle alterazioni dello stato della qualità dell’aria respirata. Tale parametro è il risultato della dispersione atmosferica e può essere pertanto influenzato dalla morfologia del territorio, dalle condizioni meteo e dalla direzione dei venti.

    La relazione tra emissioni ed immissioni può essere verificata attraverso l’impiego di modelli analitici gaussiani, in grado di fornire simulazioni di ricaduta degli inquinanti su un determinato territorio e verificare come tali concentrazioni possano influire sullo stato di qualità dell’aria dello stesso.

    9.2 Normativa di riferimento

    9.2Normativa di riferimento
    Normativa comunitaria
    A. QUALITÀ DELL’ARIA
    Direttiva n. 2004/107/CE concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nichel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente

    Normativa comunitaria
    Direttiva n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.
    Direttiva n. UE 2015/1480 che modifica vari allegati delle Direttive nn. 2004/107/CE e 2008/50/CE nelle parti relative ai metodi di riferimento, alla convalida dei dati e all’ubicazione dei punti di campionamento per la valutazione della qualità dell’aria ambiente
    Direttiva UE n. 2016/2284 concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la Direttiva n. 2003/35/CE e abroga la Direttiva n. 2001/81/CE
    B. EMISSIONI IN ATMOSFERA (per le emissioni di gas serra e ozono-lesive si rinvia al cap. 12)
    Direttiva n. 78/176/CEE sui rifiuti dell’industria del biossido di titanio
    Direttiva n. 82/883/CEE relativa alle modalità di vigilanza e di controllo degli ambienti interessati dagli scarichi dell’industria del biossido di titanio
    Direttiva n. 92/112/CEE che fissa le modalità di armonizzazione dei programmi per la riduzione, al fine dell’eliminazione, dell’inquinamento provocato dai rifiuti dell’industria del biossido di carbonio
    Direttiva n. 1999/13/CE riduzione delle emissioni di composti organici volatili
    Direttiva n. 2001/80/CE concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione
    Decisione Commissione n. 2007/531/CE concernente il questionario relativo alle relazioni degli Stati membri in merito all’attuazione della Direttiva n. 1999/13/CE del Consiglio, sulla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti, nel periodo 2008-2010
    Direttiva n. 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva IPPC)
    Direttiva n. 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento)
    Direttiva n. 2015/2193 relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi
    Direttiva n. 2016/2284/UE concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE
    Decisione di esecuzione (UE) n. 2021/2326 che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT), a norma della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, per i grandi impianti di combustione
    Direttiva (UE) 2023/1791 sull’efficienza energetica e che modifica il regolamento (UE) 2023/955 (rifusione)
    Regolamento (UE) n. 2023/1805 sull’uso di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di carbonio nel trasporto marittimo, e che modifica la direttiva 2009/16/CE
    Regolamento (UE) n. 2023/2405 del 18 ottobre 2023, sulla garanzia di condizioni di parità per un trasporto aereo sostenibile
    Decisione (EU) n. 2023/2463, relativa alla pubblicazione della guida per l’utente che illustra le misure necessarie per aderire al sistema di ecogestione e audit (EMAS) dell’UE a norma del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio
    Regolamento di esecuzione (UE) n. 2023/2767 che stabilisce una procedura di approvazione e certificazione di tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri a norma del regolamento (UE) 2019/631 del Parlamento europeo e del Consiglio

    Normativa nazionale
    A. QUALITÀ DELL’ARIA
    D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155 “Attuazione della Direttiva n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”
    D.Lgs. 24 dicembre 2012, n. 250 “Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, recante attuazione della Direttiva n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”
    D.M. 5 maggio 2015 “Metodi di valutazione delle stazioni di misurazione della qualità dell’aria di cui all’art. 6 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155”
    D.M. 26 gennaio 2017 “Attuazione della Direttiva UE n. 2015/1480 del 28 agosto 2015, che modifica taluni allegati delle Direttive nn. 2004/107/CE e 2008/50/CE nelle parti relative ai metodi di riferimento, alla convalida dei dati e all’ubicazione dei punti di campionamento per la valutazione della qualità dell’aria ambiente”
    D.Lgs. 30 maggio 2018, n. 81 “Attuazione della Direttiva UE n. 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la Direttiva n. 2003/35/CE e abroga la Direttiva n. 2001/81/CE”
    D.L. 14 ottobre 2019, n. 111 “Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria e proroga del termine di cui all’articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229” (Decreto Clima)
    D.L. 13 giugno 2023, n. 69, “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”
    D.L. 12 settembre 2023, n. 121, “Misure urgenti in materia di pianificazione della qualità dell’aria e limitazioni della circolazione stradale”, convertito con modificazioni dalla L. 6 novembre 2023, n. 155
    B. EMISSIONI IN ATMOSFERA
    D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161 “Attuazione della Direttiva n. 2004/42/CE, per la limitazione delle emissioni di composti organici volatili conseguenti all’uso di solventi in talune pitture e vernici, nonché in prodotti per la carrozzeria”
    D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” (Parte V: Norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera)
    D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 “Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’art. 12 della Legge 18 giugno 2009, n. 69”
    D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46 “Attuazione della Direttiva n. 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento)”
    D.M. 7 novembre 2017, n. 186 “Regolamento recante la disciplina dei requisiti, delle procedure e delle competenze per il rilascio di una certificazione dei generatori di calore alimentati a biomasse combustibili solide”
    D.Lgs. 15 novembre 2017, n. 183 “Attuazione della Direttiva UE n. 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’art. 17 della Legge 12 agosto 2016, n. 170”
    D.Lgs. 30 luglio 2020, n. 102 “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, di attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’articolo 17 della legge 12 agosto 2016, n. 170”

    Normativa nazionale
    Decreto Direttoriale 28 giugno 2023, n. 309, Decreto direttoriale di approvazione degli indirizzi per l’applicazione dell’articolo 272 bis del D.Lgs. n. 152/2006 in materia di emissioni odorigene di impianti e attività elaborato dal “Coordinamento di emissioni”

    Nota: La denominazione del “Ministero dell’Ambiente” è stata modificata plurime volte nel corso del tempo. Da ultimo si sottolinea che con il D.L. 11 novembre 2022, n. 173, convertito con modificazioni dalla L. 16 dicembre 2022, n. 204, il “Ministero della transizione ecologica” assume la denominazione di “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”, abbreviato MASE.

    9.3 L’inquinamento atmosferico e transfrontaliero

    9.3L’inquinamento atmosferico e transfrontaliero

    9.3.1 L’atmosfera

    9.3.1L’atmosfera

    L’atmosfera è l’involucro gassoso che circonda la terra, trattenuto dalla forza di gravità, che può essere considerato come un sistema dinamico in mutua interazione con la litosfera, l’idrosfera e la biosfera.

    In base alla composizione chimica, l’attuale atmosfera può essere suddivisa in omosfera ed eterosfera.

    L’omosfera si estende fino a circa 80-100 km di altitudine ed indica la parte di atmosfera in cui la composizione chimica dei gas, grazie ai moti convettivi, resta sostanzialmente costante ed omogenea. Essa rappresenta più del 99,9% dell’atmosfera e contiene il 78% di azoto, il 21% di ossigeno, lo 0,94% di gas nobili (fra cui il principale è l’argon), lo 0,03% di anidride carbonica e tracce di altri gas.

    In quantità variabile possono essere presenti vapore acqueo, metano, ozono e pulviscolo atmosferico.

    L’eterosfera si estende da 80-100 km fino a 600 km e la composizione dei gas varia notevolmente con l’altezza, disponendosi in strati in base al peso molecolare e alla conseguente interazione con la forza di gravità. L’azoto essendo più pesante si colloca in basso, ovvero nella parte più prossimale alla superfice terrestre; segue l’ossigeno, che è prevalente su tutti gli altri gas e si trova soprattutto in forma atomica e non biatomica; successivamente si dispone l’elio e infine l’idrogeno.

    Al di là di una macro divisione effettuata sulla base della composizione chimica, la stratificazione dell’atmosfera è principalmente determinata dalla variazione di temperatura, definita come gradiente termico verticale.

    Sulla base di tale variazione si distinguono quattro strati:

    • troposfera;

    • stratosfera;

    • mesosfera;

    • ionosfera.

    Ogni strato è inoltre delimitato da una pausa, ovvero da brevi tratti a temperatura costante.

    Troposfera La troposfera ha un’altezza che va dai 16 km all’equatore agli 8-9 km ai poli, e una temperatura che diminuisce di circa 6 ºC per km. Essa, oltre ad ospitare gli organismi viventi, è la sede dei fenomeni climatici e meteorologici più importanti mantenuti dagli intensi movimenti dell’aria. Lo strato limite della troposfera è definita tropopausa.
    Stratosfera La stratosfera si estende al di sopra della tropopausa fino ad un’altezza di circa 50 km. A 30 km dalla superficie è presente una significativa percentuale di ozono che dà luogo alla formazione di una fascia detta ozonosfera. Quest’ultima riveste una funzione estremamente importante per l’esistenza della vita sulla Terra, in quanto assorbe i raggi ultravioletti evitando di conseguenza che l’elevata energia a essi associata possa arrecare danni agli organismi viventi. La temperatura della stratosfera è costante per circa 20 km (-56 ºC), in corrispondenza dello strato di ozono subisce un rapido aumento fino a raggiungere un valore massimo di circa +17 ºC intorno ai 50 km. In corrispondenza di tale massimo, è localizzata la stratopausa.
    Mesosfera La mesosfera si estende fino a 80 km circa. In tale zona la temperatura diminuisce nuovamente, fino a raggiungere un valore variabile tra –70 e –90 °C probabilmente a causa della progressiva rarefazione dell’ozono. In questo strato i movimenti della massa d’aria sono quasi nulli.
    Ionosfera È lo strato situato sopra 80 km di quota. In esso le molecole dei gas atmosferici vengono ionizzate, ma nel suo complesso lo strato è elettricamente neutro poiché le cariche di segno opposto si equivalgono. Nella ionosfera la temperatura ricomincia ad aumentare raggiungendo all’altezza di 500-600 km valori di 1.200-1.700 ºC.

    Figura 1 - Stratificazione dell’atmosfera

    (Fonte: Robert Carroll Meteo Weather)

    9.3.2 Cause dell’inquinamento atmosferico

    9.3.2Cause dell’inquinamento atmosferico

    Gli inquinanti, in base alla loro origine, sono di solito distinti in due gruppi principali: inquinanti di origine antropica ed inquinanti naturali.

    Inquinamento di origine naturale
    • il contributo dell’erosione da parte del vento dei materiali litoidi, con formazione di polveri aerodisperse che, a volte, possono provocare anche a lunghe distanze la ricaduta al suolo di pulviscolo;

    • l’attività respiratoria di tutte le specie viventi, con produzione di biossido di carbonio bilanciata, nelle ore diurne, dai processi fotosintetici;

    • la produzione di ozono per scarica elettrica in caso di temporali;

    • altri fenomeni di natura tettonica, tra cui alcune manifestazioni con emissioni continuative (geotermia) o sporadiche (eruzioni vulcaniche).

    Inquinamento di origine antropica È l’inquinamento più rilevante, generato da particolari processi industriali o da attività di trasformazione per soddisfare le esigenze della società.

    Nota: Peraltro la sostenibilità dello sviluppo economico è strettamente correlata all’entità delle emissioni antropogeniche, che sono influenzate dalla composizione del tessuto industriale, dalle modalità dei trasporti e dallo stile di vita degli abitanti. Tali ultimi fattori, fra vari altri, possono infatti modificare le emissioni in valore assoluto e/o nella loro composizione e provenienza.

    9.3.3 Tipologia di inquinanti

    9.3.3Tipologia di inquinanti

    Gli inquinanti atmosferici, in base alla loro derivazione, possono anche essere classificati in primari e secondari.

    Inquinanti primari Sono quelli che vengono immessi nell’ambiente direttamente da una sorgente. Gli inquinanti primari sono, ad esempio, il biossido di zolfo (SO2), gli ossidi di azoto (NOx), il monossido di carbonio (CO), il benzene (C6H6), parte del particolato sottile e frazioni degli IPA.
    Inquinanti secondari Si intendono quelle sostanze che si formano nell’atmosfera attraverso reazioni chimico-fisiche che coinvolgono gli inquinanti primari emessi dalle diverse fonti emissive. Alla categoria degli inquinanti secondari appartengono l’ozono (O3), gli acidi nitriloperacetici (PAN) e parte del particolato sottile.
    Biossido di zolfo (SO2)
    Biossido di zolfo (SO2)

    Il biossido di zolfo - o anidride solforosa - è un gas incolore, non infiammabile, molto solubile in acqua e di odore pungente.

    Il biossido di zolfo si forma nei processi di combustione per ossidazione dello zolfo presente, sotto varie forme, in tutti i combustibili fossili. Il macro settore più impattante per emissioni di SO2 è quello energetico e delle industrie estrattive e di trasformazione, mentre la combustione di tipo civile contribuisce in minima parte, grazie alla conversione degli impianti di riscaldamento ad uso domestico da olio combustibile/gasolio a gas metano. La quantità di biossido di zolfo prodotta in un processo di combustione dipende esclusivamente dalla percentuale di zolfo presente nei combustibili utilizzati. Invece è pressoché trascurabile l’apporto dal traffico veicolare, dal momento che i carburanti in uso sono raffinati e a basso tenore di zolfo.

    Il biossido di zolfo viene emesso nell’atmosfera anche attraverso fenomeni naturali quali le eruzioni vulcaniche. È significativa la circostanza che emissioni di fonte naturale e di fonte antropica risultino, all’incirca, dello stesso ordine di grandezza. L’SO2 e i suoi prodotti di ossidazione possono essere trasportati anche a lunghe distanze dal punto di emissione, costituendo così un elemento di inquinamento transfrontaliero. L’anidride solforosa, gas molto irritante per la gola, gli occhi e le vie respiratorie pur non presentando una propria tossicologia, è fattore predisponente all’acuirsi di malattie croniche nei soggetti più esposti quali anziani, in particolare asmatici, e bambini. In ragione della sua alta idrosolubilità, l’85% della SO2 viene trattenuta dal rinofaringe e solo in minime percentuali raggiunge organi più distanti quali bronchioli e alveoli.

    Il biossido di zolfo svolge anche un’azione indiretta nei confronti della fascia di ozono stratosferico combinandosi con il vapore acqueo e formando acido solforico: questo fenomeno contribuisce anche all’acidificazione delle precipitazioni (“piogge acide”) con effetti fitotossici e compromissione della vita acquatica e risulta corrosivo anche su materiali di costruzione, manufatti lapidei, vernici e metalli.

    Ossidi di azoto (NOx)
    Ossidi di azoto (NOx)

    Le emissioni naturali di NOx sono generate dai fulmini, dagli incendi e dalle eruzioni vulcaniche, per cui gli ossidi di azoto (monossido NO e biossido NO2) sono gas presenti, come fondo naturale, anche in aree disabitate. Le emissioni antropogeniche sono invece principalmente derivate da processi di combustione (veicoli, impianti di riscaldamento ad uso civile e produttivo) in quanto le elevate temperature e pressioni favoriscono la reazione tra l’ossigeno e l’azoto. Per tali composti il contributo del settore del trasporto stradale è predominante rispetto a quello da fonti fisse.

    Gli ossidi di azoto si formano in piccole quantità come sottoprodotti delle reazioni di combustione e derivano dalla combinazione dell’azoto e dell’ossigeno dell’aria. In fase di reazione si forma quasi esclusivamente il monossido (oltre il 95% in condizioni ottimali) che, in seguito, si converte in biossido. La reazione tra l’azoto molecolare, estremamente inerte, e l’ossigeno avviene con notevole difficoltà e richiede che venga fornita una elevata quantità di energia (energia di attivazione), sotto forma di calore. È per questo motivo che la formazione di ossidi di azoto è favorita nei casi in cui, durante la combustione, si raggiungono temperature estremamente elevate (anche solo in particolari zone di un bruciatore).

    In un’atmosfera urbana, in condizioni di traffico elevato e rilevante soleggiamento, si assiste ad un ciclo giornaliero di formazione di inquinanti secondari: il monossido di azoto viene ossidato tramite reazioni fotochimiche a biossido di azoto con formazione di una miscela NO-NO2 che raggiunge il picco di concentrazione nelle zone e nelle ore di traffico più intenso.

    Il biossido d’azoto, che presenta una tossicità decisamente superiore al monossido, è un gas fortemente reattivo, ritenuto tra gli inquinanti atmosferici più pericolosi in quanto irritante per propria natura. Esplica questa azione a livello delle mucose delle vie respiratorie, sia a livello nasale che bronchiale ed è inoltre precursore, in presenza di forte irraggiamento solare, di una serie di reazioni secondarie che determinano la formazione di tutta quella serie di sostanze inquinanti note con il termine di “smog fotochimico”.

    Relativamente agli aspetti ambientali, gli ossidi di azoto intervengono nella formazione di piogge acide con conseguenti danni alla vegetazione a seguito di un impoverimento dei terreni di ioni calcio, magnesio, sodio e potassio e contemporanea liberazione di ioni metallici tossici per le piante.

    Monossido di carbonio (CO)
    Monossido di carbonio (CO)

    Il monossido di carbonio è un composto tossico, inodore, incolore e insapore; essendo più leggero dell’aria, diffonde rapidamente negli ambienti. A temperatura ambiente è gassoso, esso inoltre è caratterizzato da una scarsa reattività e una bassa solubilità in acqua.

    Come l’anidride carbonica (CO2), il monossido di carbonio deriva dall’ossidazione del carbonio in presenza di ossigeno; in particolare esso viene prodotto ogni volta che una sostanza contenente carbonio brucia in modo incompleto (carenza di ossigeno).

    La sua presenza è quindi legata ai processi di combustione. In ambito urbano la sorgente principale è rappresentata dal traffico veicolare per cui le concentrazioni più elevate si riscontrano nelle ore di punta. Il principale apporto di questo gas (fino al 90% della produzione complessiva) è determinato dagli scarichi dei veicoli a benzina in condizioni tipiche di traffico urbano rallentato (motore al minimo, fasi di decelerazione etc. che determinano situazioni di cattiva combustione): per questi motivi viene riconosciuto come tracciante di inquinamento veicolare. Tra i motori degli autoveicoli, quelli a ciclo Diesel ne emettono quantità minime, in quanto la combustione del gasolio avviene in eccesso di aria.

    Minore è il contributo delle emissioni delle centrali termoelettriche, degli impianti di riscaldamento domestico e degli inceneritori di rifiuti, dove la combustione (per ovvi motivi di efficienza e di economia) avviene in condizioni migliori con formazione prevalente di anidride carbonica. Altre sorgenti significative di CO sono le raffinerie di petrolio, gli impianti siderurgici e, più in generale, tutte le operazioni di saldatura.

    La formazione di monossido di carbonio può anche avvenire attraverso:

    • reazione a elevata temperatura tra CO2 e composti contenenti carbonio;

    • dissociazione a elevate temperature di CO2 in CO e ossigeno.

    Riassumendo, la principale fonte artificiale di monossido di carbonio è rappresentata dai mezzi di trasporto (90%). Le industrie (acciaio, raffinerie, legno, carta) contribuiscono per il 3%, mentre i processi di combustione in impianti fissi con carbone, olio combustibile, legno e gas rilasciano solo il 7% di CO.

    Il monossido di carbonio, una volta inalato, riesce a legarsi con l’emoglobina o la mioglobina causando effetti di ipossigenazione tissutale che interessano principalmente il sistema cardiaco e il sistema nervoso centrale. Tali patologie possono pertanto causare malattie cardiovascolari, mentre concentrazioni particolarmente elevate possono provocare anche coma e morte per asfissia (per approfondimenti, si rimanda a Ministero della Salute, Monossido di carbonio (CO), anno 2015, disponibile al seguente link: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_283_ulterioriallegati_ulterioreallegato_2_alleg.pdf).

    L’inquinamento atmosferico in Europa rimane ben al di sopra dei livelli raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), rappresentando uno dei principali problemi sanitari nel territorio dell’Unione Europea. Secondo le ultime stime dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), almeno 253.000 decessi nell’UE nel 2021 sono attribuibili all’esposizione all’inquinamento da PM2.5, presente in concentrazioni superiori a quella raccomandata di 5 µg/m3 delle Linee guida dell’OMS.

    L’inquinamento da biossido di azoto ha sua volta ha provocato 52.000 morti, mentre l’esposizione a breve termine all’ozono ha portato a 22.000 decessi attribuibili nell’UE. L’inquinamento atmosferico provoca anche problemi di salute e aggiunge costi significativi ai sistemi sanitari. Queste concentrazioni raccomandate dall’OMS sono stabilite in base al livello di inquinamento al di sopra del quale esiste una chiara evidenza degli effetti sanitari associati.

    Benzene (C6H6)
    Benzene (C6H6)

    Il benzene è un idrocarburo aromatico, liquido a temperatura ambiente, incolore e facilmente infiammabile.

    È presente in atmosfera principalmente nella fase di vapore.

    Tra i vari elementi presenti in atmosfera, questo idrocarburo rappresenta probabilmente uno di quelli a più elevato rischio sanitario. Esso viene infatti classificato come cancerogeno con indicazione di pericolo H350, secondo il Regolamento CE n. 1272/2008 (di categoria 1, R45, secondo la vecchia Dir. n. 67/548/CEE).

    Il benzene fa parte dei composti organici volatili non metanici (COVNM) ed è un composto naturale del petrolio e dei suoi derivati: si forma anche durante il ciclo di produzione delle benzine come sottoprodotto, ad opera di precursori a base aromatica e naftenica che sono presenti nel greggio. Il benzene è rilasciato in seguito al processo di combustione, nonché a seguito di processi evaporativi.

    In atmosfera, la sorgente più rilevante di benzene (oltre l’80%) è rappresentata dal traffico veicolare, principalmente dai gas di scarico dei veicoli alimentati a benzina dal momento che viene utilizzato (miscelato ad altri idrocarburi quali toluene, xilene etc.) come antidetonante in questo tipo di carburante. In parte proviene anche dalle emissioni che si verificano nei cicli di raffinazione, stoccaggio e distribuzione delle benzine.

    Il benzene, che è già presente nelle benzine di produzione nazionale fino ad un tenore massimo dell’1% in volume, si forma, in parte, anche durante la combustione, a partire da altri idrocarburi aromatici. È una molecola stabile e relativamente inerte e non ha un ruolo significativo nei processi di inquinamento secondario.

    La combustione incontrollata di piante e/o residui in agricoltura costituisce, invece, la sorgente naturale più significativa.

    Particolato atmosferico
    Particolato atmosferico

    Il particolato viene definito come una sospensione nell’aria circostante di particelle solide o liquide, di diversa dimensione e natura.

    Le polveri atmosferiche vengono comunemente definite con l’acronimo inglese PM (Particulate Matter) e in italiano come P.T.S. (Particolato Totale Sospeso). La dizione comprende un insieme eterogeneo di particelle solide volatili (organiche ed inorganiche) e di goccioline liquide sospese nell’aria con dimensioni comprese tra 0,005 e 100 micron che possono presentare caratteristiche e composizioni chimiche variabili e correlate alla fonte di provenienza. La loro presenza nell’ambiente è legata a fonti naturali (eruzioni vulcaniche, polverosità terrestre, pollini etc.) o può derivare da diverse attività antropiche quali emissioni da centrali termiche, da inceneritori, da processi industriali in genere, da traffico e svariate altre.

    In base al diametro aerodinamico il particolato viene suddiviso in:

    • PM10 con diametro aerodinamico inferiore a 10 µm, in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio;

    • PM2.5 con diametro aerodinamico inferiore a 2.5 µm, in grado di raggiungere i polmoni ed i bronchi secondari.

    Le particelle fini sono caratterizzate da lunghi tempi di permanenza in atmosfera e possono, quindi, essere trasportate anche a grande distanza dal punto di emissione. Il particolato fine può inoltre veicolare sulla sua superficie altri inquinanti come, ad esempio, metalli pesanti e idrocarburi.

    Le particelle direttamente emesse in atmosfera da una fonte sono dette primarie, mentre quelle che si formano in atmosfera per reazioni successive sono dette secondarie. Le principali sorgenti antropiche di particelle primarie sono le attività industriali, i processi di combustione domestica a biomassa e i veicoli con motore a combustione interna.

    Le particelle nell’intervallo di diametro tra 0,01 e 100 μm (“modo ultrafine”) sono quelle che rivestono un maggior interesse sanitario, data la possibilità di essere inalate. Tali particelle sono numericamente prevalenti, ma contribuiscono in modo poco significativo alla massa complessiva dei campioni di particolato rilevabili in aria.

    Le particelle comprese tra 0,1 e 2,5 μm sono note come “fini” (PM2,5). La loro formazione avviene per coagulo delle particelle ultrafini e attraverso i processi di reazione secondaria di radicali liberi presenti in forma gassosa. Queste, insieme al PM10, contribuiscono alla gran parte del particolato campionabile, sebbene rappresentino una quota minoritaria, rispetto alle particelle ultrafini.

    Le particelle nell’intervallo dimensionale 2,5-100 μm vengono dette “grossolane”. Queste sono prevalentemente prodotte da materiale biogenico e processi meccanici (macinazione, erosione, risospensione meccanica, traffico stradale connesso ad attriti ed usura).

    Il possibile danno per l’organismo umano può derivare sia dalla tipologia propria della particella di per sé tossica oppure, più frequentemente, a seguito di sostanze su di esse depositatesi: in altre parole il particolato sospeso risulta, di fatto, il tramite che consente la penetrazione, nell’apparato respiratorio dell’uomo, di sostanze potenzialmente nocive. Mentre le particelle con diametro aerodinamico medio maggiore di 10 micron vanno incontro a naturali fenomeni di sedimentazione e comunque sono trattenute dalle vie aeree superiori, quelle di diametro inferiore o uguale a 10 micron (note come frazione PM10 frazione che comprende anche un sottogruppo, pari al 60%, di polveri più sottili denominate PM2.5 e PM10 aventi rispettivamente diametri uguali od inferiori a 2.5 e 1 micron), rappresentano la frazione respirabile delle polveri e conseguentemente quella più pericolosa per la salute dell’uomo, in quanto possono determinare l’immissione all’interno del nostro organismo, fino a livello degli alveoli polmonari, di tutte le sostanze da esse veicolate.

    Nota: Il 17 maggio 2018 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’Ue per non aver rispettato i valori limite di qualità dell’aria per il PM10 e per il mancato utilizzo di misure di contenimento utili a ridurre al minimo i periodi di superamento, nonostante i numerosi solleciti. La decisione si riferisce alla procedura di infrazione aperta nel 2014 nei confronti del nostro Paese per la violazione degli obblighi previsti dalla Dir. 2008/50/CE, relativa alla qualità dell’aria. In particolare all’Italia è contestato il superamento dei valori limite giornalieri delle polveri sottili (PM10) – 50 μg/m3 da non superare per più di 35 giorni in un anno – in ampie aree nel territorio nazionale, 28 in tutto, che interessano le regioni Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio, dove i valori limite giornalieri sono stati costantemente superati, arrivando nel 2016 fino a 89 giorni (Fonte: Servizio studi del Senato, “Qualità dell’aria: l’Italia deferita alla Corte di giustizia dell’UÈ” – n. 2, giugno 2018).

    Metalli pesanti
    Metalli pesanti

    Con il termine di “metalli pesanti” s’intendono i metalli costituenti la litosfera e aventi una densità superiore a 4,6 g/cm3. I metalli pesanti possono essere presenti nel suolo per alterazione naturale delle rocce, o perché immessi sotto forma di inquinanti prodotti dalle attività antropiche. Possono essere prodotti dalle attività agricole, dagli insediamenti urbani ovvero dai processi industriali. È utile sottolineare che alcuni metalli pesanti sono costituenti fisiologici degli organismi viventi e indispensabili alla vita, come ad esempio, il ferro, il rame e lo zinco, mentre altri non si rinvengono negli esseri viventi neppure in minima quantità, come per esempio, il mercurio.

    I metalli pesanti vengono introdotti nell’organismo attraverso il cibo, l’acqua, il fumo di sigaretta, gli scarichi industriali e automobilistici.

    Un grave problema è rappresentato dal fatto che tali elementi vengono eliminati con estrema difficoltà e, conseguentemente, si depositano in alcuni organi (apparato digerente, polmoni, reni, fegato, cervello). Dal momento che l’organismo non è in grado di eliminare le suddette sostanze nocive, spesso se ne riscontrano dosi elevate anche dopo decenni dall’esposizione.

    Di seguito sono riportati i principali metalli pesanti, la loro origine minerale e le loro caratteristiche.

    Arsenico (As) è un metalloide che ha molte forme allotropiche. Il più stabile tra queste forme allotropiche è un solido cristallino grigio-argento che si ossida all’aria. Si trova come As2O3, può essere ritrovato come co-prodotto nelle miniere di ferro, piombo, zinco, oro ed argento. Si ritrova in una grande varietà di forme minerali, come l’arsenopirite (FeAsS4), che è il minerale di As più commercializzato nel mondo
    Cadmio (Cd) è un metallo molto duttile di colore bianco-bluette. Raramente si trova come composto puro, di solito si trova sotto forma di CdS e CdCO3. Molto ricche di Cd sono le miniere di piombo, zinco e ferro. Il Cd è possibile ritrovarlo come sottoprodotto della lavorazione dei precedenti minerali. Fonti di inquinamento sono gli inceneritori, i depositi di spazzature, il fumo di sigaretta
    Cromo (Cr) è un metallo grigio-argento. È uno dei metalli meno comuni sulla crosta terrestre e si trova solo come composto. Il più comune è il minerale cromite (FeCr2O4). Viene utilizzato come pigmento nelle vernici, nelle fotocopiatrici fotomeccaniche, come anticorrosivo nell’industria del petrolio
    Mercurio (Hg) è un metallo liquido, argenteo. La primaria risorsa di Hg è HgS. Esso è comunemente ottenuto come co-prodotto nel trattamento dei minerali che contengono miscele di ossidi, solfuri e cloruri. Hg nativo o metallico si trova in piccole quantità in miniera. È un elemento molto tossico; anche allo stato metallico deve essere maneggiato con cautela e sempre in ambienti ben aerati: a causa della sua relativamente elevata tensione di vapore passa allo stato gassoso abbastanza facilmente
    Piombo (Pb) è un metallo di colore bluette, grigio-verde, che si ossida molto velocemente quando è esposto all’aria. È molto morbido e malleabile, ha una alta densità (11,35 g/cm3) e basso punto di fusione (327,4 ºC). La concentrazione media del piombo sulla crosta terrestre è di 1,6 g per 100 Kg di suolo. Il più importante minerale del Pb è la galena (PbS). Le più comuni forme di minerali del Pb sono la cerussite (PbCO3), l’anglesite (PbSO4) e la crocoite (PbCrO4). Sorgenti di Pb sono le emissioni di gas di scarico di autoveicoli alimentati a benzina addizionata con Pb
    Ferro (Fe) è uno dei metalli più abbondanti nella crosta terrestre, viene prodotto in grandi quantità negli altiforni per riduzione dei suoi minerali (ossidi di ferro) con carbone
    Rame (Cu) in soluzione acquosa si trova, come ione idrato, solo lo ione rameico Cu++ di colore azzurro. I composti rameosi esistono solo come composti insolubili o, in soluzione acquosa, come complessi. Fonti di inquinamento sono i tubi per l’acqua, utensili da cucina di rame o ramati
    IPA (IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI)
    IPA (IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI)

    Sono idrocarburi aromatici a elevato peso molecolare, la cui molecola è formata da due o più anelli benzenici, saldati in modo da avere in comune due o più atomi di carbonio. Esistono dunque diversi isomeri all’interno di questa classe di composti.

    Alcune di queste sostanze (benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, dibenzo(a,h)antracene, benzo(b,j,k)fluorantene) vengono classificate, analogamente al benzene, come cancerogene con indicazione di pericolo H350 secondo il Regolamento CE n. 1272/2008 (di categoria 1, R45, secondo la vecchia Dir. N. 67/548/CEE) e nel Gruppo 1 (sostanze per le quali esiste una accertata evidenza in relazione all’induzione di tumori nell’uomo) dalla International Agency for Research on Cancer.

    Essi si formano durante la combustione di numerosi composti del carbonio, da idrocarburi alifatici, aromatici per combustione incompleta e per processi pirolitici. Sono contenuti nei combustibili fossili liquidi e solidi in quantità dell’ordine del mg/kg.

    Gli IPA sono:

    • scarsamente solubili in acqua;

    • nettamente lipofili, ovverosia solubili in solventi oleosi;

    • scarsamente volatili (tranne i componenti a più basso peso molecolare);

    • microinquinanti ambientali ampiamente diffusi in varie matrici a causa della loro bassa reattività.

    In atmosfera questi composti si trovano soprattutto nel materiale particellare: benché essi vengano emessi in fase di vapore, infatti, a causa della loro bassa tensione di vapore, condensano rapidamente e subiscono l’adsorbimento sulle particelle carboniose. L’adsorbimento (dal latino adsorbere, termine composto dalla preposizione ad, a, e dal verbo sorbere, assorbire lentamente, bere a centellini) può essere descritto come il fenomeno chimico-fisico che consiste nell’accumulo di una o più sostanze fluide, liquide o gassose, sulla superficie di un condensato (solido o liquido).

    Gli IPA nell’atmosfera sono di solito presenti nei fumi della combustione, soprattutto quando questa non è ben regolata, e in particolare sono adsorbiti dalle particelle sospese, sia inorganiche che carboniose (fuliggine) e dalle goccioline oleose; infatti il materiale particolato per la sua elevata superficie specifica, presenta alta capacità di adsorbimento per gli IPA.

    La più importante fonte di emissione degli IPA è quella dei motori a combustione interna, alimentati da benzina e da gasolio. Altre fonti sono:

    • centrali termoelettriche;

    • raffinerie;

    • impianti di bitumazione;

    • incenerimento dei rifiuti.

    Ozono (O3)
    Ozono (O3)

    L’ozono è un gas tossico, dotato di un caratteristico odore pungente, costituito da tre atomi di ossigeno (c.d. forma allotropica dell’ossigeno) e naturalmente presente nell’aria in concentrazioni dell’ordine di 20-80 µg/m3. L’ozono è un forte agente ossidante, caratterizzato da un’alta reattività data dalla sua instabilità molecolare.

    Esso è naturalmente presente in una fascia della stratosfera, compresa tra i 20 e 30 km di altezza denominata per l’appunto ozonosfera e la sua concentrazione viene mantenuta sostanzialmente costante mediante un equilibrio chimico tra le reazioni di formazione e quelle di fotolisi che avviene per assorbimento della radiazione solare. Grazie a questo fenomeno, l’ozono protegge la terra da più del 90% delle radiazioni UV dannose per la vita sul nostro pianeta. Alcuni gas alogenati, quali i clorofluorocarburi, utilizzati prevalentemente in passato nella refrigerazione o nelle bombolette spray, possono raggiungere gli alti strati dell’atmosfera dove interagiscono con l’ozono causandone una riduzione (per ulteriori approfondimenti sul ‘buco dell’ozono’ si rimanda al cap. 12 relativo ai gas ozono lesivi).

    A prescindere da questi effetti protettivi, a livello del suolo l’ozono si forma come inquinante secondario che si origina nell’aria dalla reazione tra inquinanti primari.

    L’accumulo di O3 nella troposfera dipende in modo complesso dal contemporaneo verificarsi di una serie di condizioni:

    • l’emissione di inquinanti primari in una data zona, in particolare l’emissione di specie chimiche particolarmente reattive quali il monossido di azoto (NO) e i composti organici volatili (COV);

    • il verificarsi delle condizioni per cui la maggior parte dell’NO emesso dalle fonti primarie sia stato ossidato a NO2 in presenza di COV incombusti;

    • l’esistenza delle condizioni necessarie per il trasporto e per la persistenza di tali sostanze in atmosfera per il tempo utile all’innesco delle reazioni chimiche che costituiscono il ciclo dell’ozono;

    • l’entità della radiazione solare.

    A differenza di quanto accade con gli inquinanti primari, per i quali ad una riduzione delle emissioni corrisponde, almeno a lungo termine, una riduzione certa delle concentrazioni rilevate, (pur nella variabilità dovuta alle diverse condizioni meteoclimatiche locali), non è possibile individuare una relazione di tipo lineare tra produzione dei precursori e concentrazione di ozono nella troposfera.

    La complessità dei meccanismi di formazione e il ruolo dei fattori climatici rende pertanto arduo apprezzare e monitorare gli effetti delle misure intraprese per limitare le emissioni dei precursori (NOx e COV), sui livelli di ozono misurati al suolo. Appare in ogni caso evidente che, al fine di ridurre gli effetti sulla salute e sull’ecosistema determinati da elevati livelli di ozono troposferico, sia necessario agire direttamente sulle fonti di emissione dei precursori stessi (trasporto su strada, consumo di solventi organici e combustione termica).

    L’ozono è tossico per molti organismi viventi, tra i quali anche l’uomo, se la sua concentrazione supera determinate soglie. Gli effetti negativi dell’ozono troposferico (che risultano maggiori laddove ci sia un elevato tempo di esposizione della popolazione in outdoor), sono conosciuti già da molti anni: se era noto che nella stratosfera l’ozono andasse tutelato, per la sua capacità di intercettare l’eccesso di radiazione ultravioletta, ben si sapeva che nella troposfera, alte concentrazioni di O3 potevano provocare effetti acuti sul sistema polmonare e cardiovascolare, causare danni alle colture (riducendo la resa agricola), alle foreste (riducendo l’attività fotosintetica) ed ai materiali (aggredendo plastiche, vernici, fibre tessili).

    9.3.4 L’approccio comunitario

    9.3.4L’approccio comunitario

    La politica dell’Unione Europea in materia ambientale trova piena legittimazione e inizia ad espandersi a partire dall’Atto unico europeo del 1986, il quale ha introdotto nel Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea un nuovo Titolo, denominato appunto «Ambiente». Questo Titolo ha costituito la prima base giuridica per una politica ambientale comune finalizzata a salvaguardare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana e garantire un uso razionale delle risorse naturali.

    Le successive revisioni dei trattati hanno rafforzato l’impegno della Comunità a favore della tutela ambientale.

    Difatti, il Trattato di Maastricht (1993) ha fatto dell’ambiente un settore ufficiale della politica dell’UE, introducendo la procedura di codecisione e stabilendo come regola generale il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Il Trattato di Amsterdam (1999) ha stabilito l’obbligo di integrare la tutela ambientale in tutte le politiche settoriali dell’Unione al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Il Trattato di Lisbona (2009), ha introdotto, fra i suoi obiettivi, la lotta al cambiamento climatico, insieme al perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

    Il Trattato di Lisbona modifica il Trattato sull’Unione europea (TUE) - che mantiene il suo titolo attuale - e il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), che viene ridenominato Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).

    Quest’ultimo risulta di estrema importanza per la politica ambientale dell’Unione europea, la quale si fonda sull’art. 191 del TFUE e si pone come obiettivo la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, nonché la protezione della salute umana.

    Dunque, i numerosi interventi normativi susseguitesi negli anni, i quali hanno contribuito al rafforzamento della politica ambientale a livello comunitario, dimostrano come l’approccio dell’Unione Europea per migliorare la qualità dell’aria nasca dalla consapevolezza che la materia ambientale e, dunque, la lotta contro il cambiamento climatico e la salvaguardia delle matrici ambientali, rivestono una vitale importanza per i singoli Stati membri.

    Tale approccio poggia su tre pilastri fondamentali. Il primo pilastro comprende le norme in materia di qualità dell’aria disciplinate da specifiche direttive e mirate al contenimento, nell’aria ambiente, delle concentrazioni di ozono troposferico, particolato, ossidi di azoto, metalli pesanti pericolosi e una serie di altre sostanze inquinanti. Se i valori limite stabiliti sono superati, gli Stati membri sono tenuti ad adottare piani per la qualità dell’aria contenenti misure atte a ridurre al minimo i periodi di superamento.

    Il secondo pilastro comprende gli obblighi nazionali di riduzione delle emissioni stabiliti nella direttiva sui limiti nazionali di emissione (direttiva NEC) per i principali inquinanti atmosferici transfrontalieri: biossidi di zolfo, ossidi di azoto, ammoniaca, composti organici volatili non metanici e particolato. Entro il 2019 gli Stati membri hanno dovuto sviluppare programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico presentando le misure che adotteranno per rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni entro i termini e i tempi stabiliti dalla direttiva.

    Il terzo pilastro comprende le norme in materia di emissioni per le principali fonti di inquinamento, da quelle prodotte dai veicoli e dalle navi a quelle dei settori dell’energia, dell’industria e del settore civile. Queste norme sono stabilite a livello dell’UE nella legislazione dedicata.

    9.3.5 L’inquinamento transfrontaliero

    9.3.5L’inquinamento transfrontaliero

    Il fenomeno dell’inquinamento atmosferico ha assunto, ormai da diversi decenni, un carattere internazionale in quanto rappresenta una “pressione” ambientale che non conosce confini e che coinvolge in maniera globale tutti i Paesi del mondo. Un agente inquinante, una volta emesso in atmosfera, può essere trasportato anche per lunghe distanze, rispetto al luogo di produzione.

    L’inquinamento transfrontaliero può essere definito come l’inquinamento che interessa ambiti territoriali di Stati diversi da quelli che lo hanno originato. In tal senso, il rilascio diretto o indiretto di inquinanti, connessi all’attività antropica in un determinato territorio, potrebbe comportare la diffusione di sostanze nocive per la salute umana o per l’ambiente in un paese diverso da quello di produzione, dove il contributo delle varie fonti non può essere distinto.

    Il primo accordo internazionale che si è occupato della tematica è stato la Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza (Long Range Transboundary Air Pollution - LRTAP), firmata nel 1979 a Ginevra e promossa dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE). Tale Convenzione è finalizzata alla riduzione delle emissioni degli inquinanti atmosferici pericolosi per la salute umana e gli ecosistemi.

    Tra i principali e macroscopici effetti prodotti da questo fenomeno si possono trovare:

    • l’acidificazione dell’acqua e del suolo che, alterando gli equilibri degli ecosistemi provoca conseguenze nocive sui pesci (ambiti territoriali più colpiti sono le Alpi, la Scozia e la Scandinavia);

    • l’eutrofizzazione, ossia l’eccessivo apporto di azoto, che indebolisce gli ecosistemi sensibili, riduce la resistenza della vegetazione e inquina le acque sotterranee;

    • la formazione di ozono a bassa quota (ozono troposferico) che può avere effetti nocivi sulla salute (irritazioni agli occhi e alla gola, difficoltà di respirazione) e riduce la crescita delle piante.

    Tali fenomeni possono essere provocati da alcuni inquinanti, sia singolarmente che in combinazione tra loro, come lo zolfo, gli ossidi d’azoto, l’ammoniaca e i composti organici volatili (solventi e idrocarburi).

    Attualmente la Convenzione riunisce 51 Parti (Stati aderenti), compresa la Comunità Europea, la cui adesione venne approvata il 13 giugno 2003 con la decisione del Consiglio n. 2003/507/CE.

    L’impegno assunto, su base volontaria, dai Paesi firmatari ha contribuito a ridurre in modo consistente le emissioni degli inquinanti atmosferici oggetto di otto diversi Protocolli addizionali, illustrati nella tabella sottostante, i quali hanno integrato e completato quanto sancito dalla Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza.

    In particolare, la Convenzione ha favorito lo scambio di conoscenze scientifiche e ha contribuito a dare un impulso alle legislazioni nazionali di settore che, in alcuni casi, come nei Paesi dell’Unione Europea, hanno introdotto come vincolanti gli impegni volontari assunti con la ratifica dei Protocolli LRTAP.

    Successivamente alla Convenzione di Ginevra, entrata in vigore il 16 marzo 1983, sono stati emanati i seguenti protocolli attuativi: Protocollo EMEP (Environmental Monitoring European Program), programma concertato di sorveglianza continua e di valutazione del trasporto a lunga distanza degli inquinanti atmosferici in Europa (Ginevra 1984); tale programma prevede anche l’installazione di una rete di stazioni per la raccolta di campioni aerodispersi e di precipitazioni sui quali rilevare la presenza di particolari inquinanti atmosferici, ratificato dall’Italia con Legge 27 ottobre 1988, n. 488.
    Protocollo sulla riduzione delle emissioni di zolfo (Helsinki 1985), ratificato dall’Italia con Legge 27 ottobre 1988, n. 487.
    Protocollo sulla stabilizzazione delle emissioni di ossidi d’azoto (Sofia 1988), ratificato dall’Italia con Legge 7 gennaio 1992, n. 39.
    Protocollo sulla riduzione delle emissioni di composti organici volatili (Ginevra 1991), ratificato dall’Italia con Legge 12 aprile 1995, n. 146.
    Protocollo relativo a un’ulteriore riduzione delle emissioni di zolfo (Oslo 1994), ratificato dall’Italia con Legge 18 giugno 1998, n. 207.
    Protocollo relativo agli inquinanti organici persistenti (Aarhus 1998).
    Protocollo relativo ai metalli pesanti (Aarhus 1998).
    Protocollo per l’abbattimento dell’acidificazione, dell’eutrofizzazione e dell’ozono al suolo (Göteborg, 01 dicembre 1999), poi emendato nel 2012.

    In particolare, il Protocollo di Göteborg è uno degli otto protocolli che afferiscono alla Convenzione LRTAP. Con il Protocollo di Göteborg, adottato per la prima volta nel 1999 per ridurre l’acidificazione, l’eutrofizzazione e l’ozono troposferico, venivano fissati i limiti emissivi di: zolfo, ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili (COV) e ammoniaca. Tali limiti erano individuati per ogni Paese che aveva sottoscritto la Convenzione, sulla base della loro diversa intensità emissiva.

    In particolare, all’Italia erano stati attribuiti gli obiettivi indicati nella seguente tabella (Tabella 1).

    Tabella 1

    Il Protocollo stabilisce inoltre valori limite per specifiche fonti di emissione (ad esempio impianti di combustione, produzione di elettricità, pulitura a secco, automobili e camion) e richiede che siano utilizzate le BAT (‘Best available techniques’) per controllare e mitigare le emissioni inquinanti, attraverso un miglioramento continuo. Il Protocollo prevede, quindi, un impegno collettivo per adottare tutte le misure disponibili al fine di ridurre le emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti e le sue prescrizioni sono divenute cogenti per i Paesi dell’Unione Europea, che lo ha ratificato nella sua versione originaria il 23 giugno 2003 e nella sua versione emendata il 30 agosto 2017.

    Diretta conseguenza della versione originaria del Protocollo di Göteborg è stata l’emanazione della Direttiva 2001/81/CE, la prima direttiva National Emission Ceiling UE (“NEC”), relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici, che ha introdotto valori emissivi massimi, i cosiddetti “tetti”, da non superare entro il 2010. A seguito dell’attuazione delle politiche di riduzione delle emissioni elaborate dall’Unione Europea, incluse quelle previste dalla direttiva NEC, tra il 1990 e il 2010 le emissioni di biossido di zolfo sono diminuite dell’82%, le emissioni di ossidi di azoto del 47%, le emissioni dei composti organici volatili non metanici del 56% e le emissioni di ammoniaca del 28%.

    Nel 2012, le Parti della Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero raggiunsero un nuovo accordo internazionale per aggiornare ed integrare il protocollo di Göteborg del 1999 (“Protocollo di Göteborg rivisto”), approvando nuovi impegni di riduzione dei principali inquinanti atmosferici. La modifica, adottata poi nel 2017 (Decisione (UE) 2017/1757 del Consiglio), stabilisce nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni, più rigorosi per i quattro principali inquinanti atmosferici: ossidi di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili (VOC) non metanici e ammoniaca. Per la prima volta viene contemplato un quinto inquinante, il particolato sottile (PM2,5). I nuovi limiti di emissione sono fissati in modo diverso per ciascun inquinante e per ogni Paese aderente e si applicano a decorrere dal 2020. La modifica compie un passo avanti includendo, tra i componenti del particolato, anche il nerofumo (“Carbon Black”), prodotto principalmente dalla combustione incompleta di prodotti petroliferi pesanti. Queste particelle di breve durata contribuiscono notevolmente al riscaldamento globale a causa della loro elevata capacità di ritenzione del calore, maggiore rispetto a quello della CO2.

    Prendendo come anno di riferimento il 2015, secondo il protocollo di Göteborg rivisto, entro il 2020 l’UE doveva ridurre le sue emissioni complessive del 59% per gli ossidi di zolfo, del 42% per gli ossidi di azoto (SO2), del 6% per l’ammoniaca, del 28% per i composti organici volatili e del 22% per il particolato sottile.

    Nel 2021, 13 Stati membri hanno rispettato i rispettivi impegni nazionali di riduzione delle emissioni 2020-2029 per ciascuno dei 5 principali inquinanti ora menzionati.

    Altrettanti 13 Stati membri hanno fallito l’obiettivo per almeno 1 dei 5 (e 1 Stato membro non ha comunicato dati per quell’anno). In particolare, la riduzione delle emissioni di ammoniaca continua a rappresentare una sfida significativa per oltre un terzo degli Stati membri, con continui e maggiori sforzi necessari per abbassare i valori.

    Attualmente, i principali strumenti utilizzati dall’UE per attuare il protocollo di Göteborg sono la Direttiva relativa ai limiti nazionali di emissione (NEC) e la Direttiva sugli impianti di combustione medi.

    La Direttiva “NEC” n. 2016/2284, che modifica la Dir. n. 2003/35/CE e abroga la Dir. n. 2001/81/CE è lo strumento legislativo principale per conseguire gli obiettivi del programma “Aria pulita per l’Europa” fissati per il 2030. Questa direttiva stabilisce impegni nazionali di riduzione delle emissioni per ogni Stato membro dell’UE per il periodo 2020-2029 e ne fissa di più ambiziosi a partire dal 2030. Gli obiettivi delle emissioni dell’UE comportano una riduzione, rispetto al 2005, del 79% per gli ossidi di zolfo (SO2), del 63% per gli ossidi di azoto, del 19% per l’ammoniaca, del 40% per i composti organici volatili non metanici (COVNM) e del 49% per il particolato sottile.

    La Direttiva, inoltre, impone l’elaborazione, l’adozione e l’attuazione di programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico (NAPCP) e il monitoraggio e la comunicazione delle informazioni sull’inventario annuale delle emissioni di suddetti inquinanti e degli altri inquinanti indicati all’Allegato I. Le informazioni contenute nell’inventario faranno riferimento ai dati dal 1990 fino ai due anni precedenti a quello in corso.

    9.3.6 La regolazione delle emissioni inquinanti in Italia

    9.3.6La regolazione delle emissioni inquinanti in Italia

    La normativa in materia di pianificazione e gestione della qualità dell’aria si è sviluppata sulla scia delle due Direttive di seguito indicate, fermo restando che la stessa si configura come una pianificazione di tipo strategico, ossia impostata per obiettivi collettivi, e pertanto non va confusa con la normativa in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, di cui alla Parte V del TUA, la quale si basa su un regime autorizzatorio puntuale/individuale, come sarà illustrato in seguito nel paragrafo 9.4.

    La prima direttiva in materia di limiti nazionali delle emissioni, la direttiva 2001/81/CE, sopra citata, era stata recepita in Italia dal D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 171. Tale decreto prevedeva il rispetto, per il 2010 e per gli anni successivi, di limiti nazionali di emissione in relazione a ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili non metanici ed ammoniaca, da ottenere mediante l’attuazione di un programma nazionale di riduzione delle emissioni.

    La nuova direttiva NEC, la 2016/2284/UE, è stata recepita nell’ordinamento nazionale dal D.Lgs. 30 maggio 2018, n. 81 che abroga la normativa precedente e assume, come finalità generale, il miglioramento della qualità dell’aria e la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente, mirando a fornire un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, recante attuazione della Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.

    Ai fini di limitare l’inquinamento transfrontaliero, le emissioni antropogeniche di ossidi di zolfo (SO2), di ossidi di azoto (NOx) e di ammoniaca (NH3), in quanto sostanze acidificanti, sono state ricomprese nel Protocollo di Göteborg (Gothenburg Protocol to Abate Acidification, Eutrophication and Ground-level Ozone, 1999), poi rivisto negli anni attraverso l’applicazione di nuovi piani di intervento.

    Fino al recepimento della Direttiva NEC n. 2016/2284 e al decreto di recepimento (81/2018, citato), i limiti nazionali di emissione imposti dal D.Lgs. n. 171/2004 in riferimento all’anno 2010 e successivi erano i seguenti:

    • SOx: 475 kt;

    • NOx: 990 kt;

    • NH3: 419 kt.

    Il decreto n. 81/2018 ha appunto fissato nuovi, più stringenti impegni di riduzione delle emissioni di anidride solforosa (SO2), degli ossidi di azoto (NOx), dei composti organici volatili non metanici (COVNM), delle emissioni di ammoniaca (NH3) e del particolato fine (PM2,5). Tali impegni si applicano su due orizzonti temporali, a partire dall’anno 2020, ovvero 1) periodo 2020-2029 e 2) periodo dal 2030 in poi, assumendo come riferimento l’anno 2005 (Tabella 2). Per il trasporto su strada, i piani di riduzione si applicano alle emissioni calcolate in base ai combustibili venduti.

    Tabella 2

    La situazione italiana rilevata per l’anno 2020 (Fonte ISPRA - Annuario dei dati ambientali 2022), con riferimento alle emissioni nazionali di sostanze acidificanti in termini di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx) e di ammoniaca (NH3), viene di seguito riportata:

    • SOx: 105,01 kt/a;

    • NOx: 626,68 kt/a;

    • NH3: 354,72 kt/a.

    Nel 2020, rispetto al 2019, le emissioni specifiche di tutte le sostanze considerate, ad eccezione dei COVNM, sono in diminuzione. In particolare, le emissioni degli SOX (322,47 g/t) sono diminuite del 16,7%, degli NOX (493,92 g/t) dell’11,2%, del PM10 (193,95 g/t) del 5,5% e della CO2 (346,25 kg/t) dell’8,3%. Le emissioni di COVNM (166,65 g/t) sono aumentate del 4,5%.

    Figura 2 - Emissioni nazionali complessive di sostanze acidificanti in equivalente acido

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022)

    Complessivamente le emissioni delle tre sostanze acidificanti espresse in equivalenti acidi sono complessivamente in diminuzione dal 1990 al 2020 (-72%). Nel 2020 risultano così distribuite;

    • gli ossidi di zolfo hanno un peso pari al 7,0%, in forte riduzione rispetto al 1990 (-95,4%). Le emissioni provengono principalmente dai processi energetici e, in particolare, dall’uso dei combustibili fossili. La diminuzione delle emissioni rilevata nel corso degli anni, è connessa sostanzialmente al graduale inserimento nel mercato di combustibili e carburanti a basso tenore di zolfo e alla realizzazione di sistemi di abbattimento delle emissioni che, finora, hanno garantito il rispetto dei protocolli internazionali in materia di acidificazione;

    Figura 3 - Emissioni di anidride solforosa complessive e da processi energetici

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022)

    • le emissioni di ossidi di azoto e ammoniaca sono pari rispettivamente al 34,2% e al 58,8%, ambedue in diminuzione (-73,1%, -22,7%) ma con un peso relativo in aumento rispetto al 1990. Gli ossidi di azoto (NOx) sono da ricondurre ai processi di combustione che avvengono ad alta temperatura e le fonti sono principalmente i trasporti, gli impianti di riscaldamento, la combustione industriale, l’agricoltura, la produzione di elettricità e calore, mentre il settore dell’agricoltura permane come il principale responsabile delle emissioni di ammoniaca.

    Figura 4 - Emissioni di ossidi di azoto suddivise per i principali settori

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2021)

    Figura 5 - Andamento delle Emissioni nazionali di ammoniaca

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022)

    In riferimento agli impegni di riduzione imposti dalla normativa, l’anidride solforosa, con una diminuzione del 41,3% rispetto al 2005, e l’ammoniaca, con un decremento del 6,9% rispetto al 2005, raggiunge la percentuale di riduzione imposta per il 2020; mentre gli ossidi di azoto raggiungono già nel 2014 la percentuale di riduzione imposta per il 2020, con una riduzione del 41,6%.

    Tra il 1990 e il 2020 le emissioni dei precursori dell’ozono troposferico registrano una marcata riduzione (-73,1% per NOx e -55,6% per COVNM), legata soprattutto alla forte diminuzione delle emissioni inerenti i due settori dei trasporti (sorgenti mobili da trasporto stradale e sorgenti mobili da altri mezzi di trasporto) e all’uso dei solventi (in particolare per COVNM). La situazione italiana rilevata per l’anno 2020 è pari a:

    • COVNM: 885,4 kt/a;

    • NOx: 570,6 kt/a.

    Figura 6 - Emissioni nazionali di precursori dell’ozono in equivalente di formazione dell’ozono troposferico IMMAGINE AGGIORNATA SULLA BASE DELL’Annuario dei dati ambientali 2022, ISPRA.

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022)

    Per quanto riguarda le emissioni delle polveri, soprattutto nelle loro frazioni dimensionali minori (PM2,5), che hanno una notevole rilevanza sanitaria per l’alta capacità di penetrazione nelle vie respiratorie, per l’anno 2020 I livelli di emissione del PM2,5 sono pari a 133 kt, al di sotto dell’obiettivo fissato per il 2020 (159 kt).

    Le emissioni nazionali di PM2,5 si riducono nel periodo 1990-2020 del 42,2%.

    Nonostante il trend complessivo sia in decrescita, dall’analisi di dettaglio settoriale, si evidenziano degli incrementi, in particolare nelle emissioni provenienti dalla combustione non industriale che crescono del 32,7% tra il 1990 e il 2020, a causa dell’aumento registrato nella combustione di biomasse legnose negli impianti di riscaldamento residenziali che, nel 2020, rappresenta il settore più importante, con il 54,2% di peso sulle emissioni totali.

    Va notato che, il settore del trasporto stradale, che ha contribuito tra il 1990 e il 1999, in media per più dell’80% al totale delle emissioni di piombo, nel periodo 2002-2020 vede il suo peso decrescere a un valore medio pari a circa il 5%. (Fonte dati: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022).

    Figura 7 - Emissioni nazionali di PM2,5 per settore

    (Fonte: ISPRA, Annuario Dati Ambientali 2022)

    Nota: Per ulteriori approfondimenti anche su inquinanti diversi da quelli citati nel presente capitolo, si rimanda all’Annuario dei dati ambientali pubblicato da ISPRA, consultabile sul sito web dell’Istituto.

    9.3.7 Monitoraggio dell’inquinamento atmosferico

    9.3.7Monitoraggio dell’inquinamento atmosferico

    Il monitoraggio degli inquinanti avviene sia in fase di emissione, cioè al camino ovvero nel punto dove gli stessi fuoriescono in atmosfera, e in tal caso si parta di controllo delle emissioni inquinanti in atmosfera, sia nell’ambiente esterno ad una data distanza dalla sorgente inquinante (in pratica, presso i ricettori) e in tal caso si parla quindi di monitoraggio della qualità dell’aria (o delle immissioni).

    Come già specificato, in materia di miglioramento della qualità dell’aria e la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente, di rilevanza fondamentale risulta la direttiva “NEC” n. 2016/2284/UE che abroga la prima direttiva “NEC” 2001/81/CE, mirando a fornire un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, recante attuazione della Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.

    Ai fini della tutela della qualità dell’aria, la legislazione vigente agisce disciplinando il controllo delle emissioni prodotte dalle fonti inquinanti, attraverso l’applicazione di limiti di emissione. Parallelamente le Autorità competenti fissano e verificano anche gli obiettivi di qualità dell’aria operando il monitoraggio degli inquinanti immessi nel territorio e predisponendo piani comuni per la protezione della salute umana e dell’ambiente.

    Generalmente, il gestore di uno stabilimento ha l’obbligo effettuare un monitoraggio a periodicità programmata delle emissioni prodotte dagli impianti durante l’esercizio dell’attività ed è comunque sottoposto a verifiche e controlli da parte delle Autorità competenti. Il controllo periodico delle emissioni convogliate, viene effettuato da laboratori qualificati sulla base di precise norme tecniche, ed è necessario sia per verificare il rispetto dei valori limite di emissione, sia per fornire all’azienda indicazioni tecniche sullo stato di esercizio degli impianti.

    Sulla base della tipologia dell’attività, degli impianti o in base alla natura e alla concentrazione degli inquinanti, l’Autorità competente può anche prescrivere l’obbligo di installazione di sistemi fissi di monitoraggio in continuo delle emissioni.

    Nella realizzazione e nell’esercizio di tali sistemi di rilevamento devono essere perseguiti, per la misura di ogni singolo parametro, elevati livelli di accuratezza e di disponibilità dei dati elementari. Il sistema di rilevamento deve essere realizzato in conformità alle norme tecniche di settore, con una configurazione idonea al funzionamento in continuo non presidiato e con la possibilità di registrazione e conservazione del dato, laddove disposto.

    Il gestore è tenuto a garantire la qualità dei dati mediante l’adozione di procedure che documentino le modalità e l’avvenuta esecuzione degli interventi manutentivi (programmati e straordinari) e delle operazioni di calibrazione e taratura della strumentazione di misura.

    Il monitoraggio della qualità dell’aria è, ovviamente, prerogativa delle Autorità competenti.

    Anche monitorare il livello degli inquinanti in atmosfera presso i ricettori è un’operazione molto complessa a causa dell’estrema variabilità, nello spazio e nel tempo, delle concentrazioni degli inquinanti e per il fatto che, una corretta mappatura dell’inquinamento, implica analisi statistiche di dati rilevati su tutto il territorio di competenza, con osservazione per lunghi periodi.

    Altre difficoltà sono dovute essenzialmente a:

    • alti costi di installazione delle centraline di rilevamento, che limitano il numero dei punti di campionamento;

    • strumentazione che permette di rilevare solo un numero esiguo di sostanze potenzialmente inquinanti.

    La realizzazione di una rete di monitoraggio della qualità dell’aria deve essere preceduta da uno studio sviluppato sull’area da monitorare che fornisca notizie certe sulle fonti di inquinamento presenti, sulle caratteristiche meteoclimatiche e geomorfologiche dell’area, nonché sulla densità e sulla distribuzione della popolazione.

    Questi elementi consentono di ipotizzare la dispersione degli inquinanti al suolo e di adottare le scelte opportune sul dimensionamento della rete, sulla localizzazione delle stazioni, sul tipo di analizzatori da dislocare in ciascuna stazione.

    Sulla base della natura delle principali sorgenti emissive vengono monitorati, quindi, gli inquinanti primari e quelli secondari.

    Le azioni di monitoraggio si rivelano particolarmente opportune, ma anche particolarmente complesse per la singolarità di tempi e di situazioni, durante episodi di emissioni inquinanti puntuali, quali ad esempio incendi di impianti o di depositi di materiali che generano emissioni ad elevata concentrazione di inquinanti. Eclatante, in tal senso, è la proliferazione registrata in questi anni degli incendi di impianti di trattamento di rifiuti urbani e persino speciali.

    9.4 Disciplina della tutela dell’aria e della riduzione delle emissioni in atmosfera

    9.4Disciplina della tutela dell’aria e della riduzione delle emissioni in atmosfera

    9.4.1 Le direttive sulle emissioni industriali

    9.4.1Le direttive sulle emissioni industriali

    Le emissioni industriali sono da tempo normate all’interno della legislazione europea. Sin dagli anni ’70, sono state elaborate varie direttive che hanno portato all’adozione dei seguenti e principali testi legislativi:

    • la Direttiva n. 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC), che definisce i principi di base per la concessione delle autorizzazioni e per il controllo degli impianti sulla base di un approccio integrato e l’applicazione delle migliori tecniche disponibili (BAT), cioè le tecniche più efficaci a disposizione per il raggiungimento di un elevato livello di tutela ambientale (poi abrogata dalla Direttiva n. 2008/1/CE);

    • le cosiddette direttive settoriali, che istituiscono disposizioni specifiche per alcuni settori.

    Nel 2010 con l’emissione della Direttiva n. 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 (Direttiva IED), relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), le varie direttive settoriali esistenti sono state unificate in un unico atto.

    La Commissione Europea ha utilizzato la tecnica della rifusione, la quale si sostanzia nell’adozione di un nuovo atto normativo, che al tempo stesso raggruppa più atti normativi precedenti e apporta modifiche al testo di quegli atti: il risultato è un unico atto giuridicamente vincolante, che incorpora l’atto giuridico iniziale e qualsiasi modifica ad esso apportata.

    Nota: Le Direttive unificate sono le seguenti:

    • Direttiva n. 78/176/CEE del 20 febbraio 1978 sui rifiuti dell’industria del biossido di titanio, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 100 del 27 gennaio 1992;

    • Direttiva n. 82/883/CEE relativa alla sorveglianza e al monitoraggio dei rifiuti di biossido di titanio, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 100 del 27 gennaio 1992;

    • Direttiva n. 92/112/CEE sulla riduzione dei rifiuti industriali di biossido di titanio;

    • Direttiva n. 1999/13/CE sulla riduzione delle emissioni di composti organici volatili, recepita in Italia con Decreto n. 44 del 16 gennaio 2004;

    • Direttiva n. 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti (direttiva sull’incenerimento dei rifiuti), recepita in Italia con il D.Lgs. n. 133 del 11 maggio 2005;

    • Direttiva n. 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva IPPC). Abrogata dalla Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (rifusione), la quale è stata poi recepita in Italia con il D.Lgs. n. 46 del 4 marzo 2014;

    • Direttiva n. 2001/80/CE relativa alla limitazione delle emissioni di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione (direttiva LCP), recepita dal D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006.

    Gli obiettivi della direttiva sulle emissioni industriali (IED) consistevano principalmente nel:

    • ridurre e, per quanto possibile, eliminare l’inquinamento derivante dalle attività industriali;

    • aumentare l’efficacia della legislazione sostenendo gli Stati membri nell’attuazione costante e mirata del sistema di autorizzazione basato sulle BAT, la cui applicazione risultava insufficiente;

    • rafforzare i requisiti minimi esistenti, con particolare attenzione ad alcuni settori (come i grandi impianti di combustione, l’incenerimento dei rifiuti o l’utilizzo di solventi organici);

    • aumentare ulteriormente l’efficacia della legislazione rafforzando le disposizioni in materia di miglioramento ambientale e stimolando al contempo l’innovazione;

    • ridurre gli oneri amministrativi e semplificare la legislazione vigente.

    Nonostante i molteplici interventi normativi, l’inquinamento atmosferico ha continuato a causare significativi impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana, così come rilevato dalla Commissione europea nella comunicazione del 18 dicembre 2013 intitolata “Aria pulita per l’Europa”. Da ciò è nata la proposta di un nuovo pacchetto di misure in tema di qualità dell’aria che ha portato all’adozione di due ulteriori direttive:

    • Direttiva 2015/2193/UE del 25 novembre 2015 relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, recepita dall’Italia con il D.Lgs. n. 183/2017;

    • Direttiva 2016/2284/UE del 14 dicembre 2016 concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE.

    La successiva valutazione effettuata nel 2020 dalla Commissione europea ha evidenziato che la direttiva IED ha sostanzialmente ridotto le emissioni di inquinanti nell’aria. Sebbene i suoi impatti sull’efficienza delle risorse, sull’economia circolare e sull’innovazione siano più difficili da valutare, la direttiva sembra aver dato un contributo positivo anche in tale ambito, anche se in misura più limitata. Tuttavia, la valutazione ha anche individuato diverse aree di miglioramento.

    Sulla base di tali considerazioni, nel corso del 2022, la Commissione ha presentato una serie di proposte volte ad aggiornare e modernizzare la direttiva sulle emissioni industriali, per trasformare l’Europa in un’economia a inquinamento zero, competitiva e climaticamente neutra entro il 2050.

    La revisione della IED mira, in via generale, a stimolare una profonda trasformazione agro-industriale verso ‘l’inquinamento zero’ attraverso l’uso di tecnologie innovative, contribuendo così agli obiettivi del Green Deal di raggiungere la neutralità carbonica, una maggiore efficienza energetica, un ambiente non tossico e un’economia circolare. Mira inoltre a continuare a sostenere la creazione di condizioni che garantiscano un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente.

    Nello specifico, la revisione della direttiva sarà finalizzata a:

    • garantire il sostegno all’adozione di tecniche emergenti. Un centro di innovazione per la trasformazione e le emissioni industriali (INCITE) aiuterà l’industria a individuare soluzioni per ridurre l’inquinamento;

    • migliorare gli effetti della direttiva attraverso l’emissione di autorizzazioni più efficaci: il sistema di autorizzazione dovrà valutare la fattibilità del raggiungimento delle migliori prestazioni;

    • promuovere sinergicamente l’adozione di tecniche e i relativi investimenti, che prevengano/riducano congiuntamente l’inquinamento e le emissioni di carbonio;

    • sostenere la transizione verso l’uso di sostanze chimiche più sicure;

    • affrontare gli effetti nocivi sulla salute e sull’ambiente derivanti dalle attività agroindustriali attualmente non disciplinate dalla direttiva emissioni industriali. Nuove attività entreranno nell’ambito di applicazione della direttiva, principalmente l’allevamento intensivo di bovini e alcune attività estrattive;

    • migliorare l’accesso dei privati e della società civile alle informazioni.

    Il 01 febbraio 2023 la Commissione europea ha presentato il Piano industriale del Green Deal (‘A green deal industrial plan for the net zero-age’) per spingere verso un’industria a zero emissioni e sostenere la transizione verso la neutralità climatica. Il piano integra gli sforzi già intrapresi dall’Europa attraverso il Green Deal e il REPowerEU (finalizzato a porre fine alla dipendenza dell’UE dai combustibili fossili provenienti dalla Russia) e punta a creare un contesto autorizzativo più snello e semplificato, un accesso più facile ai finanziamenti per la produzione di tecnologie pulite, un accrescimento delle qualifiche della forza lavoro nelle tecnologie richieste dalla transazione verde e un commercio aperto per catene di approvvigionamento resilienti.

    9.4.2 Il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (Testo Unico Ambientale)

    9.4.2Il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (Testo Unico Ambientale)

    La normativa di riferimento in materia di emissioni inquinanti in atmosfera si rinviene alla Parte V del Testo Unico Ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) “Norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera”.

    Come si vedrà nei paragrafi a seguire, la Parte V, più volte modificata e integrata, detta principi e disposizioni di carattere generale utili alla prevenzione e alla limitazione dell’inquinamento atmosferico, regolamentando, al contempo, anche specifiche categorie di impianti e di sostanze inquinanti. In particolare, le norme disciplinano gli stabilimenti e le attività che producono emissioni in atmosfera, introducendo precise disposizioni in tema di valori limite di emissione, prescrizioni, metodi di campionamento e di analisi delle emissioni, e stabilendo i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite.

    La Parte V è suddivisa in tre Titoli e corredata di dieci allegati. Più precisamente, i tre titoli dettano specifiche disposizioni in merito a:

    • Titolo I ‘prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività’: contiene indicazioni di carattere generale, disposizioni in merito alle autorizzazioni, ai valori limite e alle prescrizioni per gli impianti e le attività, alla regolamentazione connessa a specifiche categorie di impianti, alle emissioni odorigene e ai composti organici volatili, nonché al sistema sanzionatorio;

    • Titolo II ‘impianti termici civili’: disciplina gli impianti termici civili e i medi impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW e detta alcune disposizioni di carattere sanzionatorio per tali impianti;

    • Titolo III ‘combustibili’: individua le caratteristiche merceologiche dei combustibili consentiti, detta precise prescrizioni in merito al rendimento di combustione degli impianti e al sistema sanzionatorio.

    Gli allegati, riguardano invece: ‘Valori di emissione e prescrizioni’ (I), ‘Grandi impianti di combustione’ (II), ‘Emissioni di composti organici volatili’ (III), ‘Impianti e attività in deroga’ (IV), ‘Polveri e sostanze organiche liquide’ (V), ‘Criteri per i controlli e per il monitoraggio delle emissioni’ (VI), ‘Operazioni di deposito della benzina e sua distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione’ (VII), ‘Impianti di distribuzione benzina’ (VIII), ‘Impianti termici civili’ (IX), ‘Disciplina dei combustibili’ (X).

    Nota: Per effetto del recepimento italiano della Direttiva IED con il D.Lgs. n. 46/2014, alle disposizioni sopra richiamate, si aggiunge la Parte V-bis, composta da un unico titolo e destinata a disciplinare le attività di produzione di biossido di titanio e solfati di calcio.

    Si tratteranno ora le emissioni regolamentate dalla Parte V del Decreto. Lo Schema 1, di seguito, fornisce una panoramica delle assoggettabilità previste dal D.Lgs. n. 152/2006 per le emissioni in atmosfera di determinate categorie di impianti/attività, fornendo un esempio dell’iter autorizzativo utile all’ottenimento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera emessa in via ordinaria, secondo quanto prescritto dall’art. 269 del decreto.

    Schema 1

    La modifica più importante introdotta alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 è rappresentata dalla distinzione tra la nozione di impianto e la nozione di stabilimento (art. 268, comma 1). Al riguardo, l’art. 268, comma 1, lett. l), definisce “impianto”: “il dispositivo o il sistema o l’insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo più ampio”, mentre, ai sensi della lett. h), si definisce “stabilimento”: “il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività”.

    L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera viene rilasciata, si noti, non all’impianto bensì allo stabilimento nel suo insieme, verificando che tutte le emissioni dello stabilimento siano conformi a quanto disposto dalla Parte V per la specifica attività e seguano un iter autorizzativo comune. Ciò comporta che sarà sufficiente la presenza di un solo punto di emissione da autorizzare con procedimento ordinario (vedasi infra) per far sì che tutti gli altri punti di emissione dello stabilimento seguano lo stesso iter.

    Successivamente, il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46, che ha recepito la Dir. n. 2010/75/UE sulle emissioni industriali ha aggiornato nuovamente il D.Lgs. n. 152/2006 anche per la parte relativa al Titolo III-bis sull’AIA. Per maggiori dettagli, in tema di AIA, si veda il cap. 4 dell’opera. Per gli impianti sottoposti ad Autorizzazione Integrata Ambientale, l’AIA ricomprende l’autorizzazione alle emissioni prevista dal Titolo I, Parte V del D.Lgs. n. 152/2006.

    In seguito, il D.Lgs. 15 novembre 2017, n. 183, di recepimento della Dir. n. 2015/2193/UE relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, ha ulteriormente modificato ed integrato la Parte V del Testo Unico Ambientale, inserendone la disciplina dei medi impianti di combustione (di potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW). Ma il D.Lgs. n. 183/2017 ha anche riordinato il quadro normativo generale degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, tant’è che nella novellata Parte III dell’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 sono presenti anche i limiti per gli impianti di combustione di potenza inferiore ad 1 MW e, nella novellata Parte IV-bis, le prescrizioni per i medi impianti termici civili (impianto termico civile di potenza pari o superiore a 1 MW).

    Infine, il D.Lgs. n. 102/2020 ha introdotto una serie di disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. n. 183/2017, in particolare per quanto concerne il rendimento di combustione e dettato prescrizioni più restrittive in merito all’utilizzo delle sostanze classificate come cancerogene, tossiche o mutagene per la salute umana.

    A1) L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera
    A1) L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera

    L’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che ogni attività o stabilimento produttivo che produce emissioni inquinanti in atmosfera debba preventivamente dotarsi di un’autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Tale atto, rilasciato dall’Autorità competente sulla base della specifica attività svolta, potrà essere inglobato in un’autorizzazione a carattere più ampio (rif. Autorizzazione Unica Ambientale, si veda il cap. 5 dell’opera) all’interno della quale potranno essere normati ulteriori titoli abilitativi in materia ambientale. Infatti, in tema di semplificazione delle procedure amministrative, con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 59/2013 le attività non soggette a procedimenti di AIA o di VIA, che abbiano la necessità di ottenere un’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell’art. 269, dovranno obbligatoriamente presentare una domanda di Autorizzazione Unica Ambientale (AUA).

    Ad eccezione di alcuni casi di esclusione (vedasi tabella sotto riportata), l’autorizzazione alle emissioni può essere richiesta in via ordinaria (autorizzazione esplicita rilasciata ai sensi dell’art. 269) o laddove ne sussistano i requisiti, attraverso l’adesione ad autorizzazioni di carattere generale (art. 272 del D.Lgs. n. 152/2006), adottate per specifiche categorie di stabilimenti, impianti ed attività elencati nella parte II dell’Allegato IV.

    Casi esclusi
    – impianti sottoposti ad Autorizzazione Integrata Ambientale ricomprendente anche le emissioni in atmosfera, in quanto disciplinati dal Titolo III-bis alla Parte Seconda del D.Lgs. n. 152/2006 (art. 267, comma 3);
    – impianti ed attività ad inquinamento atmosferico scarsamente rilevante di cui al comma 1 dell’art. 272 (Impianti ed attività in deroga) del D.Lgs. n. 152/2006, elencati in Allegato IV, Parte I alla Parte Quinta del D.Lgs. n. 152/2006;
    – gli impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per contenere le emissioni diffuse ed a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime finalità, con apposito provvedimento dall’autorità competente (art. 269, comma 10);
    – impianti di incenerimento, coincenerimento ed altri impianti di trattamento termico dei rifiuti che, rientrando nell’ambito della gestione dei rifiuti, sono disciplinati dal Titolo III-bis “Incenerimento e coincenerimento dei rifiuti” della Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006. Ai sensi dell’art. 237-quinques, tali impianti, se non soggetti ad AIA (e quindi alle disposizioni del Titolo III-bis della Parte II), sono soggetti ex art. 208 ad una autorizzazione unica. In entrambi i casi, le autorizzazioni rilasciate ricomprendono quelle per le emissioni in atmosfera (art. 267, comma 2);
    – stabilimenti destinati alla difesa nazionale (in cui non sono ubicati medi impianti di combustione);
    – emissioni provenienti da sfiati e ricambi d’aria esclusivamente adibiti alla protezione ed alla sicurezza degli ambienti di lavoro (art. 272, commi 5 e 5-bis).

    Così come prescritto dall’art. 269, comma 1, salvo quanto stabilito dall’art. 267, commi 2 e 3, dall’art. 269, comma 10 e dall’art. 272, commi 1 e 5, l’autorizzazione viene richiesta e rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.

    GIURISPRUDENZA

    Fra le numerose altre pronunce, si segnalano le seguenti.

    Autorizzazione: onere del gestore dello stabilimento

    L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera deve essere effettivamente richiesta dal “gestore che intende installare uno stabilimento nuovo o trasferire un impianto da un luogo ad un altro” (art. 269, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006). Il reato di cui all’art. 279, D.Lgs. n. 152/2006, è reato proprio del “gestore”. “Gestore” è, per definizione, “la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dello stabilimento e che è responsabile dell’applicazione dei limiti e delle prescrizioni disciplinate” dal D.Lgs. n. 152, cit. (art. 268, comma 1, lett. n). “Gestore”, nel caso di specie, è la società di capitali (persona giuridica) e, dunque, chi ne ha la legale rappresentanza:

    • Cass., sez. III, n. 35752/2017

    Emissioni in atmosfera in assenza di autorizzazione e natura del reato

    Il reato di cui agli artt. 269, comma 1, e 279, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 è un reato permanente, formale e di pericolo, che non richiede neppure che l’attività inquinante abbia avuto effettivo inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione della stessa al controllo preventivo degli organi di vigilanza; tale contravvenzione prescinde, dunque, dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, in quanto non costituisce un reato di danno ma, per l’appunto, di mera condotta, la cui ratio si ravvisa nella necessità che la Pubblica amministrazione possa esercitare un controllo preventivo su attività potenzialmente dannose per l’ambiente: ne consegue che per la sua configurabilità è sufficiente la produzione di emissioni in atmosfera in assenza della prescritta autorizzazione, essendo sanzionata la realizzazione della attività sottraendola ai controlli preventivi stabiliti dall’ordinamento a tutela dell’ambiente, a prescindere dalla effettiva produzione di emissioni nocive o superiori ai limiti fissati:

    • Cass., sez. III, 50632/2017

    • Cass., sez. III, n. 28764/2015

    • Cass., sez. III, n. 24334/2014

    Il reato di cui all’art. 279, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che ha sostituito con continuità normativa l’art. 24 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203), che punisce, per quanto qui rileva, chi “inizia ad installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione” ha natura di reato permanente, la cui consumazione perdura fino al rilascio della prescritta autorizzazione. La norma è, infatti, finalizzata alla tutela della qualità dell’aria e l’autorizzazione costituisce il mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, per cui il reato permane fino a che il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo:

    • Cass., sez. III, n. 3566/2021

    Irrilevanza degli strumenti di emissione

    Non è necessario, peraltro, che le operazioni che producono emissioni in atmosfera avvengano con strumenti particolari (un forno, la pistola ad aria, la cabina di verniciatura), poiché il campo di applicazione della disciplina in esame (art. 279, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006) riguarda tanto gli “impianti” (nel significato di cui all’art. 268, lett. i), quanto le “attività”, atteso che la nozione di “stabilimento” considera anche attività di emissione compiute con dispositivi mobili od operazioni manuali e che rilevano pure le emissioni diffuse di composti organici volatili contenuti nei prodotti impiegati:

    • Cass., sez. III, n. 38182/2021

    Diffusione di polveri in atmosfera: “versamento di cose”

    La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di “versamento di cose” ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non in quella di “emissione di fumo” contemplata dalla seconda ipotesi, in relazione alla quale soltanto è richiesto il superamento dei limiti di legge, poiché, se il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione:

    • Cass., sez. III, n. 4633/2020

    L’iter procedurale di autorizzazione
    L’iter procedurale di autorizzazione

    Ai sensi dell’art. 269, comma 2 del D.Lgs. n. 152/2006, il gestore che intende installare un nuovo stabilimento o trasferire un impianto da un luogo ad un altro, presenta all’autorità competente una domanda di autorizzazione. Per “gestore”, così come definito dall’art. 268, comma 1, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006, si intende la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dello stabilimento e che è responsabile dell’applicazione dei limiti e delle prescrizioni disciplinate dal T.U.

    Nota: Nel caso di grandi impianti di combustione (art. 273 del D.Lgs. n. 152/2006) e per le attività connesse alle emissioni di composti organici volatili (art. 275), si applica la definizione di gestore prevista all’art. 5, comma 1, lett. r-bis del D.Lgs. n. 152/2006: ‘qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce, nella sua totalità o in parte, l’installazione o l’impianto oppure che dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dei medesimi’.

    La domanda di autorizzazione alle emissioni va trasmessa per mezzo dello Sportello Unico delle Attive Produttive (SUAP) all’autorità competente, coincidente con la Regione o la Provincia autonoma o con la diversa autorità indicata dalla Legge Regionale. La trasmissione della domanda potrà essere fatta dal gestore o da un suo delegato munito di idonea procura (es. consulente ambientale) e dovrà essere accompagnata da:

    • il progetto dello stabilimento in cui sono descritti gli impianti e le attività, le tecniche adottate per limitare le emissioni, la quantità e la qualità di tali emissioni, le modalità di esercizio, la quota dei punti di emissione individuata in modo da garantire l’adeguata dispersione degli inquinanti, i parametri che caratterizzano l’esercizio e la quantità, il tipo e le caratteristiche merceologiche dei combustibili utilizzabili, nonché, per gli impianti soggetti a tale condizione, il minimo tecnico definito tramite i parametri di impianto che lo caratterizzano;

    • una relazione tecnica che descrive il ciclo produttivo in cui si inserisce l’attività e a cui l’impianto è destinato e indica il periodo intercorrente fra messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto.

    Nella domanda di autorizzazione relativa a stabilimenti in cui sono presenti medi impianti di combustione, devono essere indicati, oltre a quanto sopra, anche i dati previsti dall’Allegato I, Parte IV-bis, Parte Quinta, D.Lgs. n. 152/2006, utili all’iscrizione degli impianti nel registro dei medi impianti di combustione.

    Nota: L’autorizzazione riguarda sia i nuovi stabilimenti, sia il trasferimento di stabilimenti da un luogo ad un altro, sia modifiche sostanziali agli stabilimenti esistenti.

    Ai sensi dell’art. 269, comma 1-bis, alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 in caso di stabilimenti soggetti ad autorizzazione unica ambientale si applicano, in sostituzione delle procedure di seguito indicate, le procedure previste dal decreto di attuazione dell’art. 23, comma 1, D.L. n. 5/2012, convertito, con modificazioni, in L. n. 35/2012. Per ulteriori approfondimenti circa il procedimento di AUA si rimanda al cap. 5 dell’opera.

    Per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione di stabilimenti nuovi, entro 30 giorni dalla richiesta di autorizzazione, l’Autorità Competente convoca la Conferenza dei Servizi nel corso della quale si procede ad un contestuale esame degli interessi coinvolti. In sede di conferenza di servizi o di autonomo procedimento, l’Autorità Competente può richiedere all’azienda eventuali integrazioni alla domanda. La documentazione integrativa deve essere inoltrata mezzo SUAP entro 30 giorni dalla relativa richiesta. L’Autorità Competente esprime il suo parere in un termine pari a 120 giorni dalla ricezione della domanda. I giorni diventano 150 in caso di trasmissione di documentazione integrativa. Se, nei termini previsti, l’Autorità Competente non si pronuncia, allora il gestore entro i successivi 60 giorni può richiedere al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio di provvedere, notificando tale richiesta anche all’Autorità Competente.

    Durata e contenuti dell’autorizzazione
    Durata e contenuti dell’autorizzazione

    L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ha una durata di 15 anni e la domanda di rinnovo deve essere presentata almeno un anno prima della scadenza (art. 269, comma 7).

    Il rinnovo dell’autorizzazione comporta il decorso di un nuovo periodo di quindici anni.

    L’autorizzazione stabilisce: le modalità di captazione e convogliamento per le emissioni che risultano tecnicamente convogliabili;
    per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione e le sostanze a cui si applicano, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore, la quota dei punti di emissione, il minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione e le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell’esercizio, eventuali valori limite espressi per ciascun inquinante come flussi di massa annuali riferiti al complesso delle emissioni;
    per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento;
    il periodo che deve intercorrere tra la messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto; la messa in esercizio deve essere comunicata all’Autorità Competente con un anticipo di almeno 15 giorni;
    la data entro cui devono essere comunicati all’Autorità Competente i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo rappresentativo delle condizioni di esercizio dell’impianto decorrente dalla messa a regime, la durata di tale periodo e il numero di campionamenti da realizzare.

    Nota: L’Autorità Competente effettua il primo accertamento circa il rispetto dell’autorizzazione entro 6 mesi dalla data di messa a regime dell’impianto o dall’avvio di una o più attività dello stabilimento autorizzato. L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare presso gli stabilimenti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per accertare il rispetto dell’autorizzazione. Il gestore deve fornire a tale autorità la collaborazione necessaria ai controlli e assicurare che l’accesso ai punti di prelievo e di campionamento avvenga in condizioni di sicurezza.

    Ai fini di quanto disposto dall’art. 268, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, si intende per:

    • emissione convogliata: emissione di un effluente gassoso effettuata attraverso uno o più appositi punti;

    • emissione diffusa: emissione diversa da quella sopra indicata; per le lavorazioni connesse alle emissioni di composti organici volatili, le emissioni diffuse includono anche i COV contenuti negli scarichi idrici, nei rifiuti e nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella parte III dell’Allegato III;

    • emissione tecnicamente convogliabile: emissione diffusa che deve essere convogliata sulla base delle migliori tecniche disponibili o in presenza di situazioni o di zone che richiedono una particolare tutela.

    Utilizzo di sostanze pericolose per la salute umana
    Utilizzo di sostanze pericolose per la salute umana

    Ai fini di limitare l’utilizzo di sostanze pericolose per la salute, il D.Lgs. n. 102/2020 ha introdotto, all’art. 271, il comma 7-bis, connesso alle emissioni di sostanze classificate come cancerogene o tossiche per la riproduzione o mutagene (H340, H350, H360) e di sostanze a tossicità e cumulabilità particolarmente elevata.

    Il novellato comma prescrive che l’utilizzo di tali sostanze all’interno dei cicli produttivi debba essere quanto più possibile limitato, favorendone la sostituzione non appena tecnicamente ed economicamente possibile (tale disposizione viene estesa anche alle sostanze classificate come estremamente preoccupanti dal Regolamento n. 1907/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006). In particolare, viene richiesto che, in caso di utilizzo di suddette sostanze, ogni cinque anni, a decorrere dalla data di rilascio o di rinnovo dell’autorizzazione, il gestore dello stabilimento produca e trasmetta all’autorità competente una relazione tecnica nella quale sia analizzata la disponibilità sul mercato di sostanze alternative a basso rischio e compatibili con la produzione, considerandone la fattibilità tecnica ed economica di utilizzo. Per gli stabilimenti e le installazioni in esercizio alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 102/2020, in cui siano utilizzate le sostanze o le miscele previste dall’art. 271, comma 7-bis, la prima relazione doveva essere trasmessa entro un anno dall’entrata in vigore del decreto (ovvero entro il 28 agosto 2021). In caso di stabilimenti o di installazioni dove, a seguito di una modifica della classificazione delle sostanze o miscele utilizzate nei cicli produttivi da cui originano le emissioni, le stesse ricadano all’interno del presente comma, il gestore presenta, entro tre anni dalla riclassificazione, una domanda di autorizzazione volta all’adeguamento alle nuove disposizioni.

    I gestori degli stabilimenti o delle installazioni in esercizio alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 102/2020 (quali ad esempio gli impianti o le attività ricompresi in autorizzazioni generali), in cui sono utilizzate sostanze o miscele previste da tale norma, presentano una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269, entro il 1° gennaio 2025 o entro una data precedente individuata dall’autorità competente. L’adeguamento, anche su richiesta dell’autorità competente, può essere altresì previsto nelle domande di aggiornamento dell’autorizzazione o nelle istanze di modifica sostanziale presentate prima del 1° gennaio 2025. Il termine di adeguamento non può essere superiore a quattro anni dal rilascio dell’autorizzazione. La domanda autorizzativa può essere inoltre presentata nell’ambito delle procedure previste dall’art. 273-bis, commi 6 e 7, D.Lgs. n. 152/2006 relative all’adeguamento dei medi impianti di combustione esistenti.

    Aggiornamento dell’autorizzazione
    Aggiornamento dell’autorizzazione

    Le modifiche impiantistiche che interessano uno stabilimento produttivo possono essere di natura sostanziale o non sostanziale e, in entrambi i casi, devono essere preventivamente comunicate all’autorità competente, secondo iter tra loro diversi.

    Ai sensi dell’art. 269, comma 8 del D.Lgs. n. 152/2006, se la modifica per cui è stata data comunicazione è di tipo sostanziale, l’autorità competente ordina al gestore di presentare una nuova domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269, a seguito della quale si provvederà a:

    • aggiornare l’autorizzazione con un’istruttoria limitata agli impianti e alle attività interessate dalla modifica;

    • rinnovare il decreto autorizzativo esistente attraverso un’istruttoria estesa a tutto lo stabilimento (scelta attuata nel caso in cui ci sia un’evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili). Il rinnovo dell’autorizzazione comporta, a differenza dell’aggiornamento, il decorso di un nuovo periodo di quindici anni.

    Nota: L’art. 268, comma 1, lett. m-bis, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.ei. definisce “modifica sostanziale” ogni modifica che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse e che possa produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente. Per le attività di cui all’art. 275 (si veda il par. 8.4.7 “Emissioni di composti organici volatili”) costituisce modifica sostanziale:

    • per le attività di ridotte dimensioni (art. 275, comma 22), una modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporta un aumento delle emissioni di composti organici volatili superiore al venticinque per cento;

    • per tutte le altre attività, una modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporta un aumento delle emissioni di composti organici volatili superiore al dieci per cento;

    • qualsiasi modifica che, a giudizio dell’autorità competente, potrebbe avere effetti negativi significativi sulla salute umana o sull’ambiente;

    • qualsiasi modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporti la variazione dei valori limite applicabili.

    Le Regioni e le Province autonome possono definire ulteriori criteri per la qualificazione delle modifiche sostanziali e indicare modifiche non sostanziali per le quali non vi è l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 269, comma 8.

    Se la modifica non è sostanziale allora il gestore deve solo comunicare all’autorità competente la variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica o nell’autorizzazione rilasciata.

    In tal caso l’autorità competente provvede, dove necessario, ad aggiornare l’autorizzazione e se non si esprime entro 60 giorni, il gestore può procedere all’esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, salvo il potere della pubblica amministrazione ‘di provvedere successivamente’.

    Il trasferimento di uno stabilimento da un luogo ad un altro equivale all’installazione di uno stabilimento nuovo (art. 269, comma 11), per il quale andrà richiesta una nuova domanda di autorizzazione.

    In caso di trasferimento di una parte di stabilimento il gestore cessionario richiede il rilascio dell’autorizzazione per la parte trasferita. L’autorità procede altresì all’aggiornamento dell’autorizzazione della parte di stabile che rimane sotto la gestione del gestore cedente, sulla base di un’apposita comunicazione di modifica non sostanziale da parte di quest’ultimo.

    In caso di cessione dell’attività, la variazione del gestore dello stabilimento è comunicata dal nuovo gestore all’autorità Competente entro dieci giorni dalla data in cui essa acquista efficacia, risultante dal contratto o dall’atto che la produce.

    L’aggiornamento dell’autorizzazione ha effetto dalla suddetta data.

    La presente procedura non si applica se, congiuntamente alla variazione del gestore, è effettuata una modifica sostanziale di stabilimento: in tal caso dovrà essere emessa specifica domanda di autorizzazione.

    A2) Deroghe al regime di autorizzazione
    A2) Deroghe al regime di autorizzazione

    ➔ Impianti ex art. 272, comma 1: attività ad inquinamento atmosferico scarsamente rilevante

    Il comma 1 dell’art. 272 (Impianti ed attività in deroga) del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce, in particolare, che gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento (elencati nella Parte I dell’Allegato IV degli Allegati alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006) non sono sottoposti ad autorizzazione. Al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali indicate nella parte I dell’Allegato IV alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 si deve considerare l’insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria presente nell’elenco (es. somma di tutte le potenze termiche nominali degli impianti di combustione alimentati dalla stessa tipologia di combustibile).

    Per tali impianti o attività scarsamente inquinanti, l’autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori comunichino alla stessa o ad un’altra autorità da questa delegata, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività.

    Laddove previsto, a tali impianti o attività si applicano esclusivamente i valori limite di emissione e le prescrizioni specificatamente individuati dai piani e programmi di qualità dell’aria o dalla normativa regionale o provinciale. Ai sensi dell’art. 271, comma 3, per tutti gli impianti e le attività previsti dall’art. 272, comma 1, la Regione o la Provincia autonoma può stabilire, anche con legge o provvedimento generale, sulla base delle migliori tecniche disponibili, appositi valori di emissione e prescrizioni, anche inerenti alle condizioni di costruzione e di esercizio e ai combustibili utilizzati. Sulla base di tali disposizioni, per gli impianti soggetti a valori limite di emissione, la legislazione regionale, individua i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni da utilizzare nei controlli e può imporre obblighi di monitoraggio di competenza del gestore.

    L’autorità competente per il controllo può decidere di non effettuare o di limitare i controlli sulle emissioni se il gestore dispone di una dichiarazione di conformità dell’impianto rilasciata dal costruttore che ne attesti la conformità delle emissioni ai valori limite. Tale decisione è ammessa solo se la dichiarazione riporta le istruzioni tecniche per l’esercizio e la manutenzione dell’impianto e le altre informazioni necessarie a rispettare i valori limite (quali le configurazioni impiantistiche e le modalità di gestione idonee, il regime di esercizio ottimale, le caratteristiche del combustibile ed i sistemi di regolazione).

    Se in uno stabilimento sono presenti sia impianti ad emissioni scarsamente rilevanti, sia impianti o attività non compresi nell’elenco di cui alla parte I dell’Allegato IV, la domanda di autorizzazione dovrà essere emessa solo per quest’ultimi impianti o attività.

    La Parte I, dell’Allegato IV alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006, riporta le attività considerate ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento.

    Attività considerate ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento
    a) lavorazioni meccaniche dei metalli, con esclusione di attività di verniciatura e trattamento superficiale e smerigliature con consumo complessivo di olio (come tale o come frazione oleosa delle emulsioni) inferiore a 500 kg/anno;
    b) laboratori orafi in cui non è effettuata la fusione di metalli, laboratori odontotecnici, esercizi in cui viene svolta attività estetica, sanitaria e di servizio e cura della persona, officine ed altri laboratori annessi a scuole;
    c) decorazione di piastrelle ceramiche senza procedimento di cottura;
    d) le seguenti lavorazioni tessili:
    - preparazione, filatura, tessitura della trama, della catena o della maglia di fibre naturali, artificiali o sintetiche, con eccezione dell’opera-zione di testurizzazione delle fibre sintetiche e del bruciapelo;
    - nobilitazione di fibre, di filati, di tessuti limitatamente alle fasi di purga, lavaggio, candeggio (ad eccezione dei candeggi effettuati con sostanze in grado di liberare cloro e/o suoi composti), tintura e finissaggio a condizione che tutte le citate fasi della nobilitazione siano effettuate nel rispetto delle seguenti condizioni:

    Attività considerate ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento
    1) le operazioni in bagno acquoso devono essere condotte a temperatura inferiore alla temperatura di ebollizione del bagno, oppure, nel caso in cui siano condotte alla temperatura di ebollizione del bagno, ciò deve avvenire senza utilizzazione di acidi, di alcali o di prodotti volatili, organici o inorganici, o, in alternativa, all’interno di macchinari chiusi;
    2) le operazioni di asciugamento o essiccazione e i trattamenti con vapore espanso o a bassa pressione devono essere effettuate a temperatura inferiore a 150º e nell’ultimo bagno acquoso applicato alla merce non devono essere stati utilizzati acidi, alcali o prodotti volatili, organici od inorganici;
    e) cucine, esercizi di ristorazione collettiva, mense, rosticcerie e friggitorie;
    f) panetterie, pasticcerie ed affini con un utilizzo complessivo giornaliero di farina non superiore a 300 kg;
    g) stabulari acclusi a laboratori di ricerca e di analisi;
    h) serre;
    i) stirerie;
    j) laboratori fotografici;
    k) autorimesse e officine meccaniche di riparazioni veicoli, escluse quelle in cui si effettuano operazioni di verniciatura;
    l) autolavaggi;
    m) silos per materiali da costruzione ad esclusione di quelli asserviti ad altri impianti nonché silos per i materiali vegetali;
    n) macchine per eliografia;
    o) stoccaggio e movimentazione di prodotti petrolchimici ed idrocarburi naturali estratti da giacimento, stoccati e movimentati a ciclo chiuso o protetti da gas inerte;
    p) impianti di trattamento acque escluse le linee di trattamento fanghi, fatto salvo quanto previsto dalla lett. p-bis);
    p-bis) Linee di trattamento dei fanghi che operano nell’ambito di impianti di trattamento delle acque reflue con potenzialità inferiore a 10.000 abitanti equivalenti per trattamenti di tipo biologico e inferiore a 10 m³/h di acque trattate per trattamenti di tipo chimico/fisico; in caso di impianti che prevedono sia un trattamento biologico, sia un trattamento chimico/fisico, devono essere rispettati entrambi i requisiti;
    q) macchinari a ciclo chiuso di concerie e pelliccerie;
    r) attività di seconde lavorazioni del vetro, successive alle fasi iniziali di fusione, formatura e tempera, ad esclusione di quelle comportanti operazioni di acidatura e satinatura;
    s) forni elettrici a volta fredda destinati alla produzione di vetro;
    t) trasformazione e conservazione, esclusa la surgelazione, di frutta, ortaggi, funghi con produzione giornaliera massima non superiore a 350 kg;
    u) trasformazione e conservazione, esclusa la surgelazione, di carne con produzione giornaliera massima non superiore a 350 kg;
    v) molitura di cereali con produzione giornaliera massima non superiore a 500 kg;
    v-bis) impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse con potenza termica nominale uguale o inferiore a 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione con biodiesel, e uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano o a gpl o a biogas;

    Attività considerate ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento
    w) lavorazione e conservazione, esclusa surgelazione, di pesce ed altri prodotti alimentari marini con produzione giornaliera massima non superiore a 350 kg;
    x) lavorazioni manifatturiere alimentari con utilizzo giornaliero di materie prime non superiore a 350 kg;
    y) trasformazioni lattiero-casearie con produzione giornaliera massima non superiore a 350 kg;
    z) allevamenti effettuati in ambienti confinati in cui il numero di capi potenzialmente presenti è inferiore a quello indicato, per le diverse categorie di animali, nella seguente tabella. Per allevamento effettuato in ambiente confinato si intende l’allevamento il cui ciclo produttivo prevede il sistematico utilizzo di una struttura coperta per la stabulazione degli animali:
    aa) allevamenti effettuati in ambienti non confinati;
    bb) impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni e i gruppi elettrogeni di cogenerazione, di potenza termica nominale inferiore a 1 MW, alimentati a biomasse di cui all’Allegato X alla Parte V del presente Decreto, e di potenza termica inferiore a 1 MW, alimentati a gasolio, come tale o in emulsione, o a biodiesel;
    cc) impianti di combustione alimentati ad olio combustibile, come tale o in emulsione, di potenza termica nominale inferiore a 0,3 MW;
    dd) impianti di combustione alimentati a metano o a GPL, di potenza termica nominale inferiore a 1 MW;

    Attività considerate ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento
    ee) impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni e i gruppi elettrogeni di cogenerazione, ubicati all’interno di impianti di smaltimento dei rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, di potenza termica nominale non superiore a 3 MW, se l’attività di recupero è soggetta alle procedure autorizzative semplificate previste dalla Parte IV del presente Decreto e tali procedure sono state espletate;
    ff) impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni e i gruppi elettrogeni di cogenerazione, alimentati a biogas di cui all’Allegato X alla Parte V del presente Decreto, di potenza termica nominale inferiore o uguale a 1 MW;
    gg) gruppi elettrogeni e gruppi elettrogeni di cogenerazione alimentati a metano o a GPL, di potenza termica nominale inferiore a 1 MW;
    hh) gruppi elettrogeni e gruppi elettrogeni di cogenerazione alimentati a benzina di potenza termica nominale inferiore a 1 MW;
    ii) impianti di combustione connessi alle attività di stoccaggio dei prodotti petroliferi funzionanti per meno di 2200 ore annue, di potenza termica nominale inferiore a 1 MW se alimentati a metano o GPL ed inferiore a 1 MW se alimentati a gasolio;
    jj) laboratori di analisi e ricerca, impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazione di prototipi;
    kk) dispostivi mobili utilizzati all’interno di uno stabilimento da un gestore diverso da quello dello stabilimento o non utilizzati all’interno di uno stabilimento;
    kk-bis) cantine che trasformano fino a 600 tonnellate l’anno di uva nonché stabilimenti di produzione di aceto o altre bevande fermentate, con una produzione annua di 250 ettolitri per i distillati e di 1.000 ettolitri per gli altri prodotti. Nelle cantine e negli stabilimenti che superano tali soglie sono comunque sempre escluse, indipendentemente dalla produzione annua, le fasi di fermentazione, movimentazione, travaso, addizione, trattamento meccanico, miscelazione, confezionamento e stoccaggio delle materie prime e dei residui effettuate negli stabilimenti di cui alla presente lettera;
    kk-ter) frantoi di materiali vegetali;
    kk-quater) attività di stampa “3d” e stampa “ink jet”;
    kk-quinques) attività di taglio, incisione e marcatura laser su carta o tessuti;
    kk-sexies) turbine a gas e motori a gas esclusivamente usati su piattaforme off-shore, inclusi i gruppi elettrogeni e gruppi elettrogeni di cogenerazione, di potenza termica nominale inferiore a 3MW se alimentati a metano o a GPL, inferiore o uguale a 3 MW se alimentati a biogas.

    ➔ Impianti ex art. 272, comma 2: attività “a ridotto inquinamento atmosferico”

    Il comma 2 dell’art. 272 (Impianti ed attività in deroga) del D.Lgs. n. 152/2006 detta le disposizioni in materia di attività che si possono definire “a ridotto inquinamento atmosferico”. Si stabilisce ivi che l’Autorità Competente può adottare autorizzazioni di carattere generale riferite a stabilimenti oppure a categorie di impianti e attività a basso inquinamento, nelle quali sono stabiliti i consumi di materie prime, i valori limite di emissione, le prescrizioni tecniche, i combustibili utilizzati, i tempi di adeguamento, i metodi di campionamento e di analisi e la periodicità dei controlli. Inoltre, la stessa autorità può stabilire apposite prescrizioni finalizzate a definire i casi e le condizioni in cui il gestore è tenuto a captare e convogliare le emissioni ai sensi dell’art. 270. Al di fuori di tali casi e condizioni, l’art. 270 non si applica agli impianti degli stabilimenti soggetti ad autorizzazione generale.

    Le autorizzazioni generali non sono rilasciate in via esplicita, ma presuppongono che il gestore trasmetta una domanda di adesione ad un provvedimento di carattere generale emanato dall’autorità competente per specifiche categorie di attività o impianti. Le autorizzazioni generali stabiliscono i requisiti utili alla domanda di adesione e possono prevedere appositi modelli semplificati, nei quali le quantità e la qualità delle emissioni possono essere dedotte dalle quantità di materie prime e ausiliarie utilizzate. Come per le attività ad emissione scarsamente rilevante, anche in questo caso, al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali indicate nella parte II dell’Allegato IV alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 si deve considerare l’insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria presente nell’elenco. Le autorizzazioni generali hanno una durata pari a 15 anni e sono adottate con priorità per gli stabilimenti in cui sono presenti le tipologie di impianti e di attività elencate alla Parte II dell’Allegato IV alla Parte Quinta.

    Nota: L’art. 272, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 dispone che le norme relative agli impianti/attività a ridotto inquinamento atmosferico non si applicano nel caso in cui siano utilizzate, nell’impianto o nell’attività, le sostanze o le miscele con indicazioni di pericolo H350, H340, H350i, H360D, H360F, H360FD, H360Df e H360Fd (cancerogene, mutagene, nocive alla fertilità e/o al feto) ai sensi della normativa europea vigente in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (Regolamento CLP).

    Nel caso in cui uno o più impianti o attività ricompresi in autorizzazioni generali risultino soggetti al divieto previsto all’art. 272, comma 4, per effetto del presente decreto, il gestore presenta, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006. In caso di mancata presentazione, lo stabilimento si considera in esercizio senza autorizzazione. In tal senso si veda anche quanto riportato al capitolo 8.4.1 relativamente alla ‘durata e contenuti dell’autorizzazione’ con particolare riferimento alle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 102/2020.

    Anche per le autorizzazioni generali, così come per quelle a carattere ordinario, nei casi in cui sia contemporaneamente necessario ottenere l’autorizzazione ad altri titoli abilitativi di carattere ambientale tra quelli previsti dal D.P.R. n. 59/2013 (es. autorizzazione allo scarico), può essere richiesta l’adesione al regime semplificato dell’Autorizzazione Unica Ambientale (si veda il par. 9.8 e il cap. 5 dell’opera).

    L’art. 7, D.P.R. n. 59/2013 stabilisce che, laddove ne sussistano i requisiti, è fatta salva la facoltà del gestore di aderire per il tramite del SUAP, all’autorizzazione di carattere generale ai sensi dell’art. 272, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

    Il SUAP trasmette, per via telematica, l’adesione all’autorità competente.

    All’Allegato I del D.P.R. n. 59/2013 sono riportate tutte le autorizzazioni generali emesse per le specifiche tipologie di attività in deroga richiamate dalla Parte II, Allegato IV, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006 e valide per il territorio nazionale.

    Compatibilmente con le disposizioni nazionali, anche in base ai dati emersi dai Piani di Monitoraggio della qualità dell’aria e alle specifiche attività presenti in zona, le autorità competenti per il territorio possono adottare proprie autorizzazioni di carattere generale.

    Così come disposto dall’art. 7 del succitato D.P.R. n. 59/2013 le autorizzazioni generali adottate dalle autorità competenti secondo il comma 2 dell’art. 272, sostituiscono, per il territorio interessato, quelle riportate nell’Allegato I.

    Uno stabilimento nel quale sono presenti esclusivamente impianti che ricadono in tali provvedimenti generali può essere autorizzato mediante una domanda di adesione indirizzata all’autorità compente, ricompresa o meno in una domanda di AUA, in base all’eventuale presenza di ulteriori titoli abilitativi.

    In caso contrario, se nello stabilimento è presente anche un solo impianto soggetto ad autorizzazione ordinaria, tutto lo stabilimento sarà autorizzato in via ordinaria ai sensi dell’art. 269, inclusi gli impianti che di per sé potrebbero usufruire del procedimento di carattere generale.

    Il comma 3 dell’art. 272 definisce la procedura di adesione.

    Almeno quarantacinque giorni prima dell’installazione il gestore invia all’autorità competente una domanda di adesione all’autorizzazione generale corredata dai documenti ivi prescritti.

    La domanda di adesione individua specificamente gli impianti e le attività a cui fare riferimento nell’ambito delle autorizzazioni generali vigenti.

    L’autorità può, con proprio provvedimento, negare l’adesione nel caso in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’autorizzazione generale o i requisiti previsti dai piani e dai programmi o dalla legislazione regionale di cui all’art. 271, commi 3 e 4, o in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale.

    Nello schema a seguire (Schema 2) è riportato il procedimento di adesione all’autorizzazione generale per le attività a ridotto inquinamento atmosferico.

    Schema 2

    Alla domanda di adesione può essere allegata la comunicazione relativa alla messa in esercizio prevista all’art. 269, comma 6, che può avvenire dopo un periodo di quarantacinque giorni dalla domanda stessa.

    La procedura prevista per la domanda di adesione si applica anche nel caso di modifica dello stabilimento (se continua a essere conforme ai requisiti previsti dall’autorizzazione generale).

    L’autorizzazione generale resta in vigore per un periodo pari ai quindici anni successivi all’adesione. Non hanno effetto su tale termine le domande di adesione relative alle modifiche dello stabilimento. Almeno 45 giorni prima della scadenza di tale periodo il gestore presenta una domanda di adesione all’autorizzazione generale vigente (almeno ogni 15 anni l’autorità competente deve procedere al rinnovo delle autorizzazioni generali adottate).

    Qualora l’impresa ritenga che i propri impianti o l’attività debbano essere autorizzati con modalità e contenuti diversi da quelli previsti nell’autorizzazione generale, essa può richiedere che l’autorità competente rilasci un’autorizzazione ordinaria secondo le procedure e gli obblighi previsti per l’autorizzazione dall’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006.

    Nota: Le attività in deroga ex art. 272, comma 2, possono ricomprendere anche i medi impianti di combustione di cui al punto gg-bis) del comma 1 dell’art. 268 (potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50MW). A tal riguardo, il comma 3-bis dell’art. 272 prevede che le autorizzazioni di carattere generale adottate per gli stabilimenti in cui sono presenti medi impianti di combustione, anche insieme ad altri impianti e attività, devono disciplinare anche le voci previste all’Allegato I, Parte IV-bis, alla Parte Quinta, escluse quelle riportate alle lett. a), g) e h), mentre le relative domande di adesione devono contenere tutti i dati previsti all’Allegato I, Parte IV-bis, alla Parte Quinta.

    Le seguenti attività (Parte II dell’Allegato IV degli allegati alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 128/2010 e dal D.Lgs. n. 46/2014) sono considerate “a ridotto inquinamento atmosferico”:

    Attività considerate “a ridotto inquinamento atmosferico”
    a) riparazione e verniciatura di carrozzerie di autoveicoli, mezzi e macchine agricole con utilizzo di impianti a ciclo aperto e utilizzo di prodotti vernicianti pronti all’uso giornaliero massimo complessivo non superiore a 20 kg;
    b) tipografia, litografia, serigrafia, con utilizzo di prodotti per la stampa (inchiostri, vernici e similari) giornaliero massimo complessivo non superiore a 30 kg;
    c) produzione di prodotti in vetroresina con utilizzo giornaliero massimo complessivo di resina pronta all’uso non superiore a 200 kg;
    d) produzione di articoli in gomma e prodotti delle materie plastiche con utilizzo giornaliero massimo complessivo di materie prime non superiore a 500 kg;
    e) produzione di mobili, oggetti, imballaggi, prodotti semifiniti in materiale a base di legno con utilizzo giornaliero massimo complessivo di materie prime non superiore a 2.000 kg;
    f) verniciatura, laccatura, doratura di mobili ed altri oggetti in legno con utilizzo complessivo di prodotti vernicianti pronti all’uso non superiore a 50 kg/g;
    g) verniciatura di oggetti vari in metalli o vetro con utilizzo complessivo di prodotti vernicianti pronti all’uso non superiore a 50 kg/g;
    h) panificazione, pasticceria e affini con consumo di farina non superiore a 1.500 kg/g;
    i) torrefazione di caffè ed altri prodotti tostati con produzione non superiore a 450 kg/g;
    l) produzione di mastici, pitture, vernici, cere, inchiostri e affini con produzione complessiva non superiore a 500 kg/h;
    m) sgrassaggio superficiale dei metalli con consumo complessivo di solventi non superiore a 10 kg/g;
    n) laboratori orafi con fusione di metalli con meno di venticinque addetti;
    o) anodizzazione, galvanotecnica, fosfatazione di superfici metalliche con consumo di prodotti chimici non superiore a 10 kg/g;
    p) utilizzazione di mastici e colle con consumo complessivo di sostanze collanti non superiore a 100 kg/g;
    q) produzione di sapone e detergenti sintetici prodotti per l’igiene e la profumeria con utilizzo di materie prime non superiori a 200 kg/g;
    r) tempra di metalli con consumo di olio non superiore a 10 kg/g;
    s) produzione di oggetti artistici in ceramica, terracotta o vetro in forni in muffola discontinua con utilizzo nel ciclo produttivo di smalti, colori e affini non superiore a 50 kg/g;
    t) trasformazione e conservazione, escluda la surgelazione, di frutta, ortaggi, funghi esclusa la surgelazione con produzione non superiore a 1.000 kg/g;

    Attività considerate “a ridotto inquinamento atmosferico”
    u) trasformazione e conservazione carne, esclusa la surgelazione, con produzione non superiore a 1.000 kg/g;
    v) molitura cereali con produzione non superiore a 1.500 kg/g;
    v-bis) impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati o a servizio di imprese agricole non ricompresi nella Parte I del presente allegato;
    z) lavorazione e conservazione, esclusa la surgelazione, di pesce ed altri prodotti alimentari marini esclusa surgelazione con produzione non superiore a 1.000 kg/g;
    aa) prodotti in calcestruzzo e gesso in quantità non superiore a 1.500 kg/g;
    bb) pressofusione con utilizzo di metalli e leghe in quantità non superiore a 100 kg/g;
    cc) lavorazioni manifatturiere alimentari con utilizzo di materie prime non superiori a 1.000 kg/g;
    dd) lavorazioni conciarie con utilizzo di prodotti vernicianti pronti all’uso giornaliero massimo non superiore a 50 kg;
    ee) fonderie di metalli con produzione di oggetti metallici giornaliero massimo non superiore a 100 kg;
    ff) produzione di ceramiche artistiche esclusa decoratura con utilizzo di materia prima giornaliero massimo non superiore a 3.000 kg;
    gg) produzione di carta, cartone e similari con utilizzo di materie prime giornaliero massimo non superiore a 4.000 kg;
    hh) saldature di oggetti e superfici metalliche;
    ii) trasformazioni lattiero-casearie con produzione giornaliera non superiore a 1.000 kg;
    ll) impianti termici civili aventi potenza termica nominale non inferiore a 3 MW e inferiore a 10 MW;
    mm) impianti a ciclo chiuso per la pulizia a secco di tessuti e di pellami, escluse le pellicce, e delle pulitintolavanderie a ciclo chiuso;
    nn) allevamenti effettuati in ambienti confinati in cui il numero di capi potenzialmente presenti è compreso nell’intervallo indicato, per le diverse categorie di animali, nella seguente tabella. Per allevamento effettuato in ambiente confinato si intende l’allevamento il cui ciclo produttivo prevede il sistematico utilizzo di una struttura coperta per la stabulazione degli animali:

    Attività considerate “a ridotto inquinamento atmosferico”
    oo) lavorazioni meccaniche dei metalli con consumo complessivo di olio (come tale o come frazione oleosa delle emulsioni) uguale o superiore a 500 kg/anno;
    oo-bis) stabilimenti di produzione di vino, aceto o altre bevande fermentate non ricompresi nella Parte I del presente allegato.
    Valori limite di emissione e prescrizioni
    Valori limite di emissione e prescrizioni

    Per ciascuno degli stabilimenti per cui viene presentata domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269, l’autorizzazione stabilisce anche i valori limite di emissione e le prescrizioni sulla base di quanto fissato dall’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria.

    Così come disposto dal D.Lgs. n. 102/2020 i valori limite di emissione sono identificati solo per le sostanze e i parametri valutati pertinenti in relazione al ciclo produttivo e sono riportati nell’autorizzazione unitamente al metodo di monitoraggio di cui all’art. 271, comma 18.

    Ai sensi del comma 4 dell’art. 271 del D.Lgs. n. 152/2006, i piani e i programmi di qualità dell’aria previsti dal D.Lgs. n. 155/2010 possono stabilire appositi valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli Allegati I, II e III e V alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006, anche inerenti alle condizioni di costruzione o di esercizio, purché ciò sia necessario al perseguimento e al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell’aria.

    L’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce:

    • nella Parte I, una serie di disposizioni di carattere generale;

    • nella Parte II, i valori di emissione per le sostanze inquinanti;

    • nella Parte III, i valori di emissione per le sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti e le relative prescrizioni.

    Per gli impianti compresi nella Parte III dell’Allegato I, i valori di emissione ivi stabiliti per le varie tipologie di inquinanti (ad eccezione delle sostanze non normate in tale sezione e per le quali l’Autorità intende dettare specifiche limitazioni) si applicano in luogo di quelli stabiliti per le stesse sostanze nella Parte II dell’allegato stesso.

    Per gli impianti disciplinati dall’Autorizzazione Integrata Ambientale, per i quali sono state emanate apposite BAT-AEL (livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili), i valori limite previsti nelle BAT-AEL si applicano in luogo di quelli previsti, per le stesse sostanze, alle Parti II e III dell’Allegato I.

    In caso di inquinanti per i quali non sono stati fissati appositi valori di emissione, l’autorizzazione stabilisce valori limite utilizzando come riferimento quelli previsti per sostanze analoghe (sotto il profilo chimico e tossicologico).

    Per il monitoraggio delle emissioni di competenza del gestore, l’autorizzazione dispone l’esecuzione di misure periodiche basate su metodi discontinui o l’utilizzo di sistemi di monitoraggio basati su metodi in continuo. I dati relativi ai controlli analitici discontinui devono essere riportati dal gestore su appositi registri, ai quali devono essere allegati i certificati analitici. L’allegato VI alla Parte Quinta stabilisce i criteri per i controlli da parte dell’autorità e per il monitoraggio delle emissioni da parte del gestore. In sede di rilascio, rinnovo e riesame delle autorizzazioni l’autorità competente individua i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni da utilizzare nel monitoraggio di competenza del gestore sulla base delle pertinenti norme tecniche CEN o, ove queste non siano disponibili, sulla base delle pertinenti norme tecniche nazionali, oppure, ove anche queste ultime non siano disponibili, sulla base delle pertinenti norme tecniche ISO o di altre norme internazionali o delle norme nazionali previgenti.

    In caso di emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, ciascun impianto deve avere un solo punto di emissione. Salvo quanto diversamente previsto da altre disposizioni del Titolo I, i valori limite di emissione si applicano a ciascun punto di emissione. Ove non sia tecnicamente possibile, anche per ragioni di sicurezza, dotare ciascun impianto di un unico punto di emissione, l’autorità competente può consentire che un impianto sia dotato di più punti di emissione. In tal caso, salvo particolari prescrizioni, i valori limite di emissione espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono riferiti al complesso delle emissioni dell’impianto e quelli espressi come concentrazione sono riferiti alle emissioni dei singoli punti.

    Nota: L’art. 271, comma 4 stabilisce che, se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso stabilimento sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l’autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto disponendo il convogliamento ad un solo punto di emissione. Ove non sia tecnicamente possibile, anche per ragioni di sicurezza, avere un unico punto di emissione, l’autorità competente deve, in qualsiasi caso, considerare tali impianti come un unico impianto ai fini della determinazione dei valori limite di emissione (es. se in uno stabilimento sono presenti più impianti di combustione, alimentati con la stessa tipologia di combustibile e dotati ciascuno di un proprio camino, ai fini della determinazione dei valori limite di emissione applicabili dall’Allegato I, si dovrà sommare la potenza termica nominale di ciascun impianto).

    Salvo diverse disposizioni, i valori limite di emissione si applicano ai periodi di normale funzionamento dell’impianto, intesi come i periodi in cui l’impianto è in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di arresto e dei periodi in cui si verificano anomalie o guasti, tali da non permettere il rispetto dei valori stessi.

    In quest’ultimo caso (es. avaria all’impianto di abbattimento degli inquinanti), l’autorità competente deve essere informata entro le otto ore successive al guasto e può disporre la riduzione o la cessazione delle attività o altre prescrizioni relative alle condizioni di esercizio dell’impianto, fermo restando l’obbligo del gestore di procedere, nel più breve tempo possibile, al ripristino funzionale dell’impianto. La continuazione dell’esercizio non è tuttavia concessa laddove la non conformità dei valori misurati ai valori limite prescritti possa determinare un pericolo per la salute umana o un significativo peggioramento della qualità dell’aria a livello locale. Ogni interruzione del normale funzionamento degli impianti di abbattimento (manutenzione, guasto, arresto delle linee produttive collegate) deve essere annotata su un apposito registro.

    Si verifica un superamento dei valori limite di emissione, ai fini del reato di cui all’art. 279, comma 2, soltanto se i controlli effettuati dall’autorità o dagli organi competenti accertano una difformità tra i valori misurati e i valori limite prescritti.

    Le difformità accertate nel monitoraggio di competenza del gestore devono essere da costui specificamente comunicate all’autorità competente entro 24 ore dall’accertamento. L’autorizzazione stabilisce i casi in cui devono essere comunicate anche le difformità relative ai singoli valori che concorrono alla valutazione dei valori limite su base media o percentuale.

    Di seguito si riportano alcune indicazioni sulla caratterizzazione e sulla normalizzazione delle emissioni:

    Le emissioni possono essere caratterizzate:

    a) per concentrazione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e volume dell’effluente gassoso (es. mg/Nm3);

    b) per flusso di massa: massa di sostanza inquinante emessa per unità di tempo (es. g/h);

    c) per fattore di emissione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e unità di misura specifica di prodotto elaborato o fabbricato (es. Kg/t; g/m).

    I valori limite di emissione espressi in concentrazione e il tenore volumetrico di ossigeno di riferimento si riferiscono al volume di effluente gassoso rapportato alle condizioni fisiche normali – ovvero 0 °C e 1013 Mpa (1 Megapascal = 10 bar) previa detrazione, ove non indicato espressamente negli allegati, del tenore di vapore acqueo.

    Se non indicato diversamente negli allegati alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006, il tenore di ossigeno dell’effluente gassoso è quello derivante dal processo.

    Se nell’effluente gassoso il tenore volumetrico di ossigeno è diverso da quello indicato come grandezza di riferimento, le concentrazioni delle emissioni devono essere calcolate mediante la seguente formula:

    dove:

    Em = concentrazione misurata;

    E = concentrazione;

    Om = tenore di ossigeno misurato;

    O2 = tenore di ossigeno di riferimento.

    I valori limite di emissione espressi in concentrazione si riferiscono alla quantità di effluente gassoso non diluito più di quanto sia inevitabile dal punto di vista tecnico e dell’esercizio.

    In caso di ulteriore diluizione dell’effluente gassoso, le concentrazioni delle emissioni devono essere calcolate mediante la seguente formula:

    dove:

    Pm = portata misurata;

    Em = concentrazione misurata;

    P = portata di effluente gassoso non diluito più di quanto sia inevitabile dal punto di vista tecnico e dell’esercizio;

    E = concentrazione riferita alla portata P.

    GIURISPRUDENZA

    Fra le numerose altre pronunce, si segnalano le seguenti:

    Autorizzazioni alle emissioni: procedimento da applicare

    L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera va acquisita all’interno del procedimento di autorizzazione unica provvisoria governato dalla Regione (ancor più nel caso in cui si tratti di impianto di (omissis) qualificato in termini di ‘stabilimento nuovo’ ex art. 268, comma 1, lettere i, i-bis, i-ter, D.Lgs. n. 152/2006, in quanto non munito di autorizzazione alle emissioni in atmosfera ex d.P.R. n. 203/1998, circostanza anch’essa valorizzabile nel senso della ritenuta applicabilità del modulo procedimentale della Conferenza di Servizi obbligatoria).

    • T.A.R. Roma, sez. II, n. 7406/2023

    Autorizzazioni alle emissioni: casi di esclusione

    L’attività di autofficina meccanica, che non comprenda lo svolgimento di operazioni di verniciatura, non necessita dell’autorizzazione per le emissioni in atmosfera essendo inclusa tra quelle ad emissione scarsamente rilevante.

    • Cass., sez. III, n. 33432/2023

    Inquinamento atmosferico: sussistenza dell’illecito anche nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni

    Ai fini dell’applicabilità dell’art. 674 cod. pen. per le attività produttive occorre distinguere l’ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità”, mentre laddove l’attività è esercitata secondo l’autorizzazione e senza superamento dei limiti di questa, si deve fare riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone quale si ricava dal contenuto dell’art. 844 cod. civ. Qualora sia riscontrata l’autorizzazione e il rispetto dei limiti di questa, una responsabilità potrà comunque sussistere qualora l’azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l’impatto sulla realtà esterna:

    • Cass., sez. III, n. 13324/2020

    Posto che all’inciso “nei casi non consentiti dalla legge”, contenuto nella disposizione incriminatrice di cui all’art. 674 cod. pen. e riferibile solo alle emissioni che possono essere specificamente autorizzate, deve riconoscersi un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penale, da un lato, e dell’illecito civile, dall’altro, poiché il reato di getto pericoloso di cose non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali, e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento:

    • Cass., sez. III, n. 38021/2019

    L’evento del reato di cui all’art. 674 cod. pen. consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità; qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti:

    • Cass., sez. III, n. 57958/2017

    Superamento dei limiti di emissione: è reato di pericolo e istantaneo

    È legittimo dedurre dalla realizzazione di nuovi punti di immissione in atmosfera e di nuovi silos un aumento delle emissioni e dunque un danno, o comunque un pericolo concreto, alle matrici ambientali. La Cassazione ha respinto il ricorso dei legali rappresentanti di una S.R.L. condannati per reati ambientali, confermando la decisione del Tribunale che nel 2021 li aveva dichiarati colpevoli del reato ex artt. 110 cod. pen., 279, comma 1 (in relazione all’art. 269, comma 8), del D.Lgs. n. 152/2006, condannandoli alla pena di 3.000,00 euro di ammenda ciascuno.

    • Cass., sez. III, n. 5576/2022

    La contravvenzione di cui all’art. 279, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 ha natura di reato istantaneo, perché si perfeziona nel luogo e nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, potendosi tuttavia configurare anche quale reato a consumazione prolungata o condotta frazionata, caratterizzato dalla ripetizione di singole condotte lesive dell’interesse protetto dalla norma che determinano il superamento dei limiti soglia nel tempo, sebbene con soluzione di continuità (evidente conseguenza delle modalità operative degli insediamenti produttivi), così differenziandosi dal reato necessariamente o eventualmente permanente, rispetto al quale la fattispecie tipica esige o ammette una protrazione nel tempo senza soluzione di continuità:

    • Cass., sez. III, n. 16042/2019

    Medi impianti di combustione
    Medi impianti di combustione

    La disciplina relativa ai medi impianti è stata introdotta dal D.Lgs. n. 183/2017 che ha recepito la Direttiva (UE) 2015/2193 relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi.

    Ai sensi dell’art. 268, comma 1, lettera gg-bis), del D.Lgs. n. 152/2006, nella formulazione attualmente vigente, si definisce medio impianto di combustione un impianto di combustione di potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW, inclusi i motori e le turbine a gas, alimentato con i combustibili previsti all’Allegato X alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 o con le biomasse rifiuto previste all’Allegato II alla Parte V. Un medio impianto di combustione è classificato come esistente o nuovo.

    Impianto esistente impianto messo in esercizio prima del 20 dicembre 2018 nel rispetto della normativa all’epoca vigente o previsto in una autorizzazione alle emissioni o in una autorizzazione unica ambientale o in una autorizzazione integrata ambientale che il gestore ha ottenuto o alla quale ha aderito prima del 19 dicembre 2017 a condizione che sia messo in esercizio entro il 20 dicembre 2018.
    Impianto nuovo il medio impianto di combustione che non rientra nella definizione di cui al punto precedente.

    La disciplina sui medi impianti di combustione ricade sotto l’art. 273-bis del D.Lgs. n. 152/2006.

    Il comma 1 dell’art. 273-bis, stabilisce che gli stabilimenti in cui sono ubicati medi impianti di combustione sono soggetti ad autorizzazione alle emissioni ai sensi dell’art. 269 e, in caso di installazioni di cui alla Parte II, all’AIA. Gli stabilimenti in cui sono presenti medi impianti di combustione alimentati con le biomasse rifiuto previste all’Allegato II alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 sono autorizzati ai sensi degli artt. 208 o 214.

    Secondo quanto disposto dal comma 5 dell’art. 273-bis, a partire dal 1° gennaio 2025 e, in caso di impianti di potenza termica nominale pari o inferiore a 5 MW, a partire dal 1° gennaio 2030, i medi impianti di combustione esistenti sono soggetti ai valori limite di emissione individuati attraverso l’istruttoria autorizzativa prevista al comma 3 (cioè, ex art. 272, comma 2: adesione ad autorizzazioni di carattere generale) e al comma 4 (cioè, ex art. 271, comma 5: a seguito di un’istruttoria ordinaria che si basa anche sulle migliori tecniche disponibili) del medesimo articolo.

    Ai fini dell’adeguamento ai nuovi limiti di emissione, il gestore di stabilimenti dotati di un’autorizzazione prevista all’art. 269, in cui sono ubicati medi impianti di combustione esistenti, presenta una domanda autorizzativa almeno due anni prima delle date sopra riportate.

    Potenza termica nominale medio impianto (Pn) Data applicazione nuovi limiti emissione Data ultima per presentazione domanda
    Pn ≤ 5 MW 1° gennaio 2030 31 dicembre 2027
    Pn > 5 MW 1° gennaio 2025 31 dicembre 2022

    Fermo restando i termini di legge sopra riportati, l’autorità competente può stabilire appositi calendari e criteri temporali per la presentazione delle domande e delle comunicazioni.

    Nota: Si considerano come un unico impianto, ai fini della determinazione della potenza termica nominale in base alla quale stabilire i valori limite di emissione, i medi impianti di combustione che sono localizzati nello stesso stabilimento e le cui emissioni risultano convogliate o convogliabili, sulla base di una valutazione delle condizioni tecniche svolta dalle autorità competenti, ad un solo punto di emissione. La valutazione relativa alla convogliabilità tiene conto dei criteri previsti all’art. 270. Non sono considerati, a tali fini, gli impianti di riserva che funzionano in sostituzione di altri impianti quando questi ultimi sono disattivati (es. impianti di backup). Se le emissioni di più medi impianti di combustione sono convogliate ad uno o più punti di emissione comuni, il medio impianto di combustione che risulta da tale aggregazione è soggetto ai valori limite che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all’impianto più recente.

    Agli impianti che, prima del 19 dicembre 2017, erano soggetti al regime di deroga previsto dall’art. 272, comma 1 (ad esempio, i medi impianti di combustione alimentati a metano o a GPL di potenza termica nominale compresa tra 1 MW e 3 MW) e che, per effetto del D.Lgs. n. 183/2017, sono esclusi da tale regime, si applicano le tempistiche di adeguamento e le procedure di rilascio, rinnovo o riesame dell’autorizzazione del relativo stabilimento previsti per i medi impianti di combustione di potenza termica nominale pari o inferiore a 5MW (parte introdotta dal D.Lgs. n. 102/2020).

    Fino a tali date devono essere rispettati i valori limite previsti dalle vigenti autorizzazioni e, per i medi impianti di combustione che prima del 19 dicembre 2017 erano elencati all’Allegato IV, Parte I, Parte Quinta, gli eventuali valori limite applicabili ai sensi dell’art. 272, comma 1 (impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico).

    Gli stabilimenti in cui sono ubicati medi impianti di combustione, anche insieme ad altri impianti o attività, possono essere oggetto di adesione alle autorizzazioni di carattere generale adottate in conformità all’art. 272, comma 3-bis.

    In entrambi i casi di procedura ordinaria ex art. 269 o di adesione alle autorizzazioni di carattere generale, l’istruttoria autorizzativa individua valori limite di emissione e prescrizioni di esercizio non meno restrittivi rispetto ai pertinenti valori e prescrizioni previsti agli allegati I e V alla Parte V e dalle normative e dai piani regionali di cui all’art. 271, commi 3 e 4.

    Così come modificato dal D.Lgs. n. 102/2020 non costituiscono medi impianti di combustione, gli impianti e i dispositivi elencati al comma 10 dell’art. 273-bis, ossia:

    • impianti in cui i gas della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l’essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali;

    • impianti di postcombustione, ossia qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione dell’effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione;

    • qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile;

    • turbine a gas e motori a gas e diesel usati su piattaforme off-shore;

    • impianti di combustione utilizzati per il riscaldamento a gas diretto degli spazi interni di uno stabilimento ai fini del miglioramento delle condizioni degli ambienti di lavoro;

    • dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di cracking catalitico;

    • dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo;

    • reattori utilizzati nell’industria chimica;

    • batterie di forni per il coke;

    • cowpers degli altiforni;

    • impianti di cremazione;

    • medi impianti di combustione alimentati da combustibili di raffineria, anche unitamente ad altri combustibili, per la produzione di energia nelle raffinerie di petrolio e gas;

    • caldaie di recupero nelle installazioni di produzione della pasta di legno;

    • impianti di combustione disciplinati dalle norme europee in materia di motori o combustione interna destinati all’installazione su macchine mobili non stradali;

    • impianti di incenerimento o coincenerimento previsti al titolo III-bis alla Parte Quarta;

    • impianti di combustione aventi potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW per effetto delle norme di aggregazione previste dall’art. 270 o dall’art. 272, comma 1, salvo i casi in cui sia previsto l’effettivo convogliamento a punti di emissione comune.

    Secondo quanto disposto dal comma 10-bis, del succitato art. 273-bis, agli impianti previsti dal comma 10, lett. q-bis (impianti aggregati), si applicano i valori limite di emissione specificatamente previsti dal D.Lgs. n. 152/2006 per gli impianti aventi potenza termica nominale inferiore a 1 MW e le norme sui controlli previste dall’art. 272, comma 1-bis.

    Nota: Per gli impianti aggregati l’autorità competente per il controllo può decidere di non effettuare o di limitare i controlli sulle emissioni se il gestore dispone di una dichiarazione di conformità dell’impianto rilasciata dal costruttore che attesta la conformità delle emissioni ai valori limite e se, sulla base di un controllo documentale, risultano regolarmente applicate le apposite istruzioni tecniche per l’esercizio e per la manutenzione previste dalla dichiarazione, quali le configurazioni impiantistiche e le modalità di gestione idonee, il regime di esercizio ottimale, le caratteristiche del combustibile ed i sistemi di regolazione).

    Nella novellata Parte III dell’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 (operata dal D.Lgs. n. 183/2017) sono riportati i valori limiti di emissione dei medi impianti di combustione nuovi ed esistenti. Poiché il D.Lgs. n. 183/2017 ha anche riordinato il quadro normativo generale degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, nella richiamata Parte III sono presenti anche i limiti per gli impianti di combustione di potenza inferiore ad 1 MW.

    Nella tabella seguente si riportano, i principali limiti alle emissioni per i nuovi medi impianti di combustione e per taluni impianti di combustione di potenza inferiore a 1 MW alimentati a biomasse solide e liquide, a biogas o gas di sintesi da gassificazione di biomasse (si noti il netto abbassamento dei limiti per i combustibili liquidi quali l’olio combustibile che, di fatto, in caso di modifiche sostanziali comporterà una sua sostituzione con combustibili a minor impatto ambientale come il metano o GPL).

    ➔ Medi impianti di combustione ed impianti di potenza inferiore a 1 MW - Valori limite di emissione espressi in mg/Nm3

    [*] Valore guida per i provvedimenti di attuazione dell’art. 271, commi 3, 4 e 5, in caso di stabilimenti localizzati in zone dove sono stati registrati superamenti di un valore limite di qualità dell’aria previsto dal D.Lgs. n. 155/2010 in almeno uno degli ultimi tre anni civili.

    [1] 105 mg/Nm3 per gli impianti di potenza termica nominale compresa tra 0,035 MW e 0,15 MW.

    [2] In caso di utilizzo di pollina si applicano, indipendentemente dalla potenza termica, valori pari a 10 mg/Nm3 per le polveri, 200 mg/Nm3 per gli ossidi di azoto e 50 mg/Nm3 per gli ossidi di zolfo.

    [3] 50 mg/Nm3 per gli impianti di potenza pari o superiore a 1 MW e pari o inferiore a 3 MW.

    [4] Si applica nel caso siano adottati impianti di abbattimento per gli ossidi di azoto con urea o ammoniaca.

    [5] Se è utilizzato un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni il valore si applica come media giornaliera. Se non è utilizzato un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni il valore si applica come media oraria.

    [6] Il valore limite si considera rispettato in caso di impianti alimentati esclusivamente a legna.

    [7] Escluso il metano, salvo il caso in cui i provvedimenti di cui all’art. 271, comma 3 o le autorizzazioni di cui all’art. 271, comma 5, ne prevedano l’inclusione.

    Grandi impianti di combustione
    Grandi impianti di combustione

    Il comma 1, lett. gg, art. 268, D.Lgs. n. 152/2006, con le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 46/2014, ha ridefinito la classificazione dei grandi impianti di combustione (impianti con potenza termica nominale non inferiore a 50 MW), esistenti (anteriori a una certa data) o nuovi.

    Anteriore al 2013: il grande impianto di combustione che ha ottenuto un’autorizzazione prima del 7 gennaio 2013 o per cui è stata presentata una domanda completa di autorizzazione entro tale data, a condizione che sia messo in servizio entro il 7 gennaio 2014. Ai grandi impianti di combustione anteriori al 2013 i pertinenti valori limite di emissione si applicano a partire dal 1° gennaio 2017 (e non dal 1° gennaio 2016, come da modifiche introdotte dal D.L. 30 dicembre 2015, n. 210);
    Anteriore al 2002: il grande impianto di combustione che ha ottenuto un’autorizzazione prima del 27 novembre 2002 o per cui è stata presentata una domanda completa di autorizzazione prima di tale data, a condizione che sia stato messo in esercizio entro il 27 novembre 2003;
    Nuovo: il grande impianto di combustione che non ricade nella definizione di cui ai punti precedenti.

    Per i grandi impianti di combustione, inclusi quelli multicombustibili, l’Allegato II alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 (come modificato dal D.Lgs. n. 46/2014 alle sezioni 1, 2, 3, 4 e 5) stabilisce i valori limite di emissione, le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni, i criteri per la verifica della conformità ai valori limite e le ipotesi di anomalo funzionamento o di guasto degli impianti.

    Le disposizioni dell’art. 273 alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 si applicano agli impianti di combustione destinati alla produzione di energia, ad esclusione di quelli che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione. Ai sensi del comma 15, sono esclusi in particolare:

    • gli impianti in cui i prodotti della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l’essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali, come i forni di riscaldo o i forni di trattamento termico;

    • gli impianti di postcombustione, cioè qualsiasi dispositivo tecnico perla depurazione dell’effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione;

    • i dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di craking catalitico;

    • i dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo;

    • i reattori utilizzati nell’industria chimica;

    • le batterie di forni per il coke;

    • i cowpers degli altiforni;

    • qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile;

    • le turbine a gas e motori a gas usati su piattaforme off-shore e sugli impianti di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore;

    m-bis) gli impianti che utilizzano come combustibile qualsiasi rifiuto solido o liquido non ricadente nella definizione di biomassa di cui all’Allegato II alla Parte Quinta.

    Nelle tabelle seguenti si riportano i principali limiti alle emissioni per i grandi impianti di combustione.

    ➔ Grandi impianti di combustione nuovi – Valori limite di emissione espressi in mg/Nm3

    ➔ Grandi impianti di combustione anteriori al 2013 – Valori limite di emissione in mg/Nm3

    Per i valori limite applicabili gli impianti anteriori al 2002 si rimanda alle note alle tabelle di cui alle sezioni 1, 2, 3, 4 e 5 dell’Allegato II, Parte II, alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 (come modificato dal D.Lgs. n. 46/2014).

    Nota: Analogamente a quanto previsto per i medi impianti di combustione, si considerano come un unico grande impianto di combustione, ai fini della determinazione della potenza termica nominale in base alla quale stabilire i valori limite di emissione, più impianti di combustione di potenza termica pari o superiore a 15 MW e la somma delle cui potenze è pari o superiore a 50 MW che sono localizzati nello stesso stabilimento e le cui emissioni risultano convogliate o convogliabili, sulla base di una valutazione delle condizioni tecniche svolta dalle autorità competenti, ad un solo punto di emissione. La valutazione relativa alla convogliabilità tiene conto dei criteri previsti all’art. 270. Non sono considerati, a tali fini, gli impianti di riserva che funzionano in sostituzione di altri impianti quando questi ultimi sono disattivati. L’autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può altresì disporre il convogliamento delle emissioni di tali impianti ad un solo punto di emissione ed applicare i valori limite che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all’impianto più recente.

    Nella tabella sottostante sono riportati i valori limite di emissione di metalli e loro composti (tenore di O2 di riferimento: 6% per i combustibili solidi e 3% per i combustibili liquidi e gassosi) che devono essere applicati a tutti i grandi impianti di combustione, esclusi gli impianti che utilizzano esclusivamente combustibili gassosi oppure biomasse.

    ➔ Grandi impianti di combustione: valori limite di emissione di alcuni specifici inquinanti, espressi in mg/Nm3

    Di seguito vengono riportati i valori limite di alcuni specifici inquinanti (tenore di O2 di riferimento: 6% per i combustibili solidi e 3% per i combustibili liquidi e gassosi).

    Impianti di potenza termica nominale pari o superiore a 50 MW

    Inquinante Valore limite di emissione (mg/Nm3)
    CO 250 (*)
    Sostanze organiche volatili, espresse come carbonio totale 300
    Cloro 5
    Idrogeno solforato 5
    Bromo e suoi composti espressi come acido bromidrico 5
    Fluoro e suoi composti espressi come acido fluoridrico 5
    Ammoniaca e composti a base di cloro espressi come acido cloridrico 100
    (*) L’autorità competente può fissare, per particolari situazioni impiantistiche, un valore limite di emissione maggiore del valore di emissione sopra indicato. Restano in ogni caso fermi i valori limite di CO indicati nelle sezioni 4, lett. a-bis e b-bis dell’Allegato II alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.ei.

    I valori di emissione per le sostanze cancerogene tossiche per la riproduzione e mutagene e quelle di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate sono quelli riportati nell’Allegato I (Valori di emissione e prescrizioni), Parte II, punti 1.1 e 1.2 del D.Lgs. n. 152/2006.

    Fatto salvo quanto previsto nella Sezione 6 dell’Allegato II, Parte II, alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.ei. (Valori limite di emissione per alcuni metalli e loro composti), i valori di emissione per le sostanze inorganiche che si presentano prevalentemente sotto forma di polvere, riportate nell’Allegato I, Parte II del D.Lgs. n. 152/2006, sono i seguenti:

    – sostanze appartenenti alla classe I: 0,2 mg/Nm3;

    – sostanze appartenenti alla classe II: 2 mg/Nm3;

    – sostanze appartenenti alla classe III: 10 mg/Nm3.

    I valori di emissione di cui ai punti 1, 2 e 3 costituiscono valori di emissione minimi e massimi coincidenti.

    Raccolta e trasmissione dati sulle emissioni dei medi e grandi impianti di combustione
    Raccolta e trasmissione dati sulle emissioni dei medi e grandi impianti di combustione

    La raccolta e trasmissione dei dati sulle emissioni dei medi e dei grandi impianti di combustione, a cura dei rispettivi emissori, e successivamente la elaborazione di apposite distinte reportistiche periodiche da parte del Ministero dell’Ambiente, è regolata dall’art. 274 del D.Lgs. n. 152/2006.

    Ogni tre anni, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione Europea una relazione inerente alle emissioni di SO2, NOx e polveri di tutti i grandi impianti di combustione.

    A tale scopo, il D.Lgs. n. 152/2006, prevede al comma 4 dell’art. 274 che entro il 31 maggio di ogni anno, a partire dal 2006, i gestori dei grandi impianti di combustione comunichino all’Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale (ISPRA), con le modalità previste dalla Parte III dell’Allegato II alla Parte V del Decreto, le emissioni totali, relative all’anno precedente, di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri, determinate conformemente alle prescrizioni della Parte IV dell’Allegato II alla Parte V del Decreto stesso, nonché la quantità annua totale di energia prodotta rispettivamente dalle biomasse, dagli altri combustibili solidi, dai combustibili liquidi, dal gas naturale e dagli altri gas, riferita al potere calorifico netto, e la caratterizzazione dei sistemi di abbattimento delle emissioni.

    Le modalità per l’effettuazione della comunicazione sono pubblicate sul sito dell’ISPRA.

    Ulteriori prescrizioni sono dettate una tantum (almeno al momento). In particolare il MASE:

    • entro il 1° gennaio 2021 doveva trasmette alla Commissione Europea una relazione contenente una stima delle emissioni totali annue di monossido di carbonio dei medi impianti di combustione e dei medi impianti termici civili e le informazioni relative alle concentrazioni di monossido di carbonio nelle emissioni di tali impianti, raggruppate per tipo di combustibile e classe di capacità;

    • entro il 1° ottobre 2026 ed entro il 1° ottobre 2031, deve trasmettere sempre alla Commissione Europea una relazione contenente le informazioni qualitative e quantitative relative all’applicazione delle norme vigenti in materia di medi impianti di combustione e medi impianti termici civili, incluse le attività finalizzate a verificare la conformità degli impianti.

    Ai sensi dell’art. 274, comma 8-ter, del D.Lgs. n. 152/2006, un apposito Decreto del Ministero dell’ambiente deve definire i dati, i metodi di stima, i tempi e le modalità delle comunicazioni che i gestori dei medi impianti di combustione (e le autorità competenti in materia) effettueranno all’ISPRA ed al Ministero stesso, ai fini della predisposizione delle previste relazioni.

    Emissioni odorigene
    Emissioni odorigene

    Con le modifiche operate dal D.Lgs. n. 183/2017, viene introdotto nel D.Lgs. n. 152/2006 un nuovo articolo – l’art. 272-bis – che consente alla normativa regionale o alla singola autorizzazione di prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti.

    Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, il potere di stabilire nelle singole autorizzazioni valori limite più severi, secondo le modalità previste all’art. 271. In generale, si possono stabilire:

    • valori limite di emissione espressi in concentrazione (mg/Nm³) per le sostanze odorigene;

    • prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;

    • procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;

    • criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetrica europea (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento;

    • specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

    Nota: L’unità odorimetrica (ouE/m³) rappresenta la quantità di odorante che, diluita in 1 m3 di aria esente da odore, corrisponde a uno stimolo appena percettibile per l’olfatto umano. Ad esempio, se la concentrazione di odore di un campione di aria prelevata è risultata essere di 500 ouE/m3, significa che si è dovuto diluire 500 volte con aria inodore il campione per renderne appena percettibile lo stimolo olfattivo. Lo stimolo olfattivo di riferimento corrisponde alla massa di odorante di riferimento europea pari a 123 microgrammi di n-butanolo evaporati in un metro cubo di gas neutro.

    Il Coordinamento previsto dall’art. 20 del D.Lgs. n. 155/2010 (c.d. Testo Unico della qualità dell’aria, in seguito descritto), può elaborare indirizzi in relazione alle misure previste dall’art. 272-bis del D.Lgs. n. 152/2006. Attraverso l’integrazione dell’Allegato I alla Parte Quinta, con le modalità previste dall’art. 281, comma 6, possono essere previsti, anche sulla base dei lavori del Coordinamento, valori limite e prescrizioni per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti, inclusa la definizione di metodi di monitoraggio e di determinazione degli impatti.

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO 5/2022: “Idee per il rinnovo dell’art. 272-bis del D.Lgs. n. 152/2006 sulle “Emissioni odorigene”” di Alberto Muratori

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2023: “Impatto olfattivo: evoluzione della normativa di riferimento” di Alberto Muratori

    GIURISPRUDENZA

    Fra le numerose altre pronunce, si segnalano le seguenti.

    Emissioni odorigene e inquinamento atmosferico

    Nel concetto ampio di inquinamento atmosferico possono ricomprendersi anche le emissioni odorigene moleste, ma per dette emissioni in base alla normativa nazionale vigente non è prevista la fissazione di limiti di emissione né di metodi o di parametri idonei a misurarne la portata; pertanto l’Amministrazione deve comprovare la presenza di concreti possibili pericoli per la salute umana o per la qualità dell’ambiente.

    T.A.R. Bologna, sez. I, n. 247/2023

    Violazioni in materia di emissioni odorigene: quali fattispecie e quali sanzioni

    In caso di emissioni odorigene, la violazione delle misure imposte ai sensi dell’art. 272-bis, D.Lgs. n. 152/2006 per attività che producono emissioni in atmosfera configura la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 se riferita a valori limite di emissione (mentre negli altri casi saranno applicabili le sanzioni amministrative di cui al comma 2-bis del medesimo articolo). Per la violazione delle prescrizioni relative alle emissioni odorigene imposte con l’AIA alle attività ad essa soggette si applicano, invece, le sanzioni di cui all’art. 29-quaterdecies, D.Lgs. n. 152/2006. È inoltre possibile il concorso con il reato di cui all’art. 674 cod. pen., stante la diversità delle condotte sanzionate e l’oggetto della tutela, pur dovendosi distinguere, al fine di definire il concetto di “molestia” che integra la contravvenzione, tra attività produttiva svolta in assenza dell’autorizzazione dell’autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità” e quella esercitata in conformità all’autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone, che si ricava dall’art. 844 cod. civ. e che ricorre sempre che l’azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l’impatto delle emissioni:

    • Cass., sez. III, n. 20204/2021

    L’autorizzazione non esclude il reato di getto pericoloso di cose

    Anche nel caso in cui un impianto sia munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, in caso di produzione di “molestie olfattive” il reato di getto pericoloso di cose è, comunque, configurabile, non esistendo una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori. Ne consegue che non può riconoscersi automatica valenza scriminante alla produzione di emissioni odorigene pur realizzata nell’ambito dell’ordinario ciclo produttivo dell’impresa, ancorché regolarmente autorizzato. Né può condividersi l’assunto difensivo secondo cui l’unicità e la coerenza dell’ordinamento non potrebbero consentire che da un lato sia permesso e, dall’altro, sia punito uno stesso identico comportamento, atteso che l’attività autorizzata potrebbe essere in ogni caso realizzata con modalità tali da garantire, grazie all’adozione di puntuali accorgimenti tecnici, il mancato prodursi di emissioni moleste o fastidiose:

    • Cass., sez. III, n. 2240/2017

    Molestie olfattive: il parametro della “stretta tollerabilità”

    In tema di getto pericolo di cose, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori si ha non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche nel caso di superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la ratio della norma incriminatrice; in caso di “molestie olfattive”, poi, quando non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, la Corte di cassazione ha individuato il criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”, previsto dall’art. 844 cod. civ.:

    • Cass., sez. III, n. 33817/2020

    Emissioni di composti organici volatili (COV)
    Emissioni di composti organici volatili (COV)

    Le emissioni di composti organici volatili (COV) sono state oggetto di specifiche disposizioni normative, sia a livello unionale che a livello nazionale, tanto da essere ricomprese in una serie di articoli del T.U. ambientale appositi.

    L’art. 268, comma 1, lettera ll), definisce i COV: “qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso”. Ai fini della Parte V del T.U. ambientale, è considerata come COV la frazione di creosoto che, alla temperatura di 293,15 K, ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa.

    Alle emissioni di composti organici volatili sono dedicati gli artt. 275, 276 e 277 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come dettagliato nella tabella seguente.

    Art. 275 Disciplina, in aderenza alla Dir. N. 1999/13/CE, le emissioni di composti organici volatili provenienti da impianti, da macchinari e sistemi non fissi o da operazioni manuali, ove tali attività, svolte nello stesso luogo, superino le soglie di consumo di solvente fissate nell’Allegato III, Parte V, dello stesso Decreto.
    Lo stesso articolo introduce l’obbligo da parte del gestore della redazione del “Piano di gestione dei solventi”, secondo quanto riportato alla Parte V dell’Allegato III alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006.
    Art. 276 Disciplina le emissioni di composti organici volatili derivanti dal deposito e dal caricamento della benzina nei terminali e presso gli impianti di distribuzione dei carburanti, in aderenza alla Dir. 20 dicembre 1994, n. 94/63/CE.
    Art. 277 Disciplina il recupero di solventi organici volatili prodotti nelle operazioni di rifornimento dei veicoli presso gli impianti di distribuzione dei carburanti.

    In materia di limiti alle emissioni di COV, il citato art. 275 rimanda alla Parte I, Allegato III, nella quale si stabiliscono:

    • apposite prescrizioni e valori limite con riferimento alle sostanze caratterizzate da particolari rischi per la salute e l’ambiente;

    • le attività e le relative soglie di consumo di solvente;

    • i valori limite di emissione totale, convogliata e diffusa, dettati per ciascuna attività sopra soglia in base al consumo annuo stimato;

    • le tempistiche e le modalità di controllo delle emissioni da parte del gestore;

    • la verifica della conformità dello stabilimento ai valori limite e alle prescrizioni dettate dall’Autorità competente (per esempio attraverso la trasmissione periodica da parte del gestore di un Piano di Gestione dei Solventi, redatto in conformità a quanto riportato alla Parte V dell’Allegato III).

    Lo stesso articolo prevede che alle attività elencate nella Parte II, Allegato III alla Parte V, D.Lgs. n. 152/2006, che superano le soglie di consumo solvente ivi stabilite, si applicano:

    • i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui alla Parte III del medesimo Allegato; oppure

    • i valori limite di emissione totale (somma delle emissioni diffuse e delle emissioni convogliate) indicati nelle Parti III e IV dell’Allegato III.

    Nota: Tale disposizione si applica anche ad eventuali attività secondarie che possono influire sulle emissioni di COV, qualora presenti e tecnicamente connesse alle principali.

    Al fine di una corretta interpretazione dei valori limite, si evidenzia che quelli per le emissioni convogliate sono riferiti a ciascun impianto che produce emissioni di COV. I valori limite per le emissioni diffuse sono invece riferiti alla somma delle emissioni non convogliate di tutti gli impianti, di tutti i macchinari e sistemi non fissi e di tutte le operazioni che vengono condotte nello stabilimento e che sono connesse all’uso di solventi. Per le lavorazioni di cui all’art. 275, le emissioni diffuse includono anche i COV contenuti negli scarichi idrici, nei rifiuti e nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella Parte III dell’Allegato III alla Parte V del presente decreto.

    Il gestore deve presentare all’autorità competente una domanda di autorizzazione conforme a quanto previsto nella Parte I del succitato allegato, nei casi in cui:

    • intenda effettuare delle attività individuate alla Parte II dell’Allegato III, che superano singolarmente le soglie di consumo solvente ivi indicate;

    • debba effettuare un intervento che comporti una modifica sostanziale del consumo massimo teorico di solvente autorizzato o tale da far rientrare l’attività tra quelle individuate nella Parte II dell’Allegato III.

    Sono altresì stabilite le situazioni nelle quali le autorità competenti possono ammettere deroghe ai limiti emissivi. Esse fanno riferimento:

    • alla dimostrazione da parte del gestore dell’impossibilità di rispettare i valori limite pur utilizzando la migliore tecnica disponibile;

    • alla dimostrazione che tali deroghe non comportino rischi per la salute umana o per l’ambiente.

    Ai fini del controllo dell’effettiva entità delle emissioni è previsto che il gestore fornisca all’autorità competente, con frequenza almeno annuale, un Piano di Gestione dei Solventi redatto in conformità a quanto disposto alla Parte V dell’Allegato III, riportante i dati utili a dimostrare la conformità dell’impianto per quanto attiene il rispetto:

    • dei valori limite di emissione convogliata e diffusa;

    • dei quantitativi annui di prodotti contenenti COV consumati;

    • delle disposizioni relative alle migliori tecniche disponibili.

    Con frequenza triennale, le autorità competenti trasmettono al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare una relazione circa l’applicazione dell’art. 275 in materia di composti organici volatili, così come previsto dalla Decisione n. 2010/681/UE.

    Sorgenti significative di COV sono costituite dai vapori dei carburanti, fra i quali, in particolare, quelli prodotti dalla benzina. In tal senso, per limitarne le emissioni generate dai depositi della benzina e dalle operazioni per la sua distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione, l’art. 276 stabilisce che si devono rispettare le prescrizioni indicate all’Allegato VII alla Parte V, dello stesso Decreto.

    Con i tempi di adeguamento previsti dallo stesso articolo, tali prescrizioni si applicano, in particolare:

    • agli impianti di deposito presso i terminali;

    • agli impianti di caricamento di benzina presso i terminali;

    • agli impianti adibiti al deposito temporaneo di vapori presso i terminali;

    • alle cisterne mobili e ai veicoli cisterna;

    • agli impianti di deposito presso gli impianti di distribuzione dei carburanti;

    • alle attrezzature per le operazioni di trasferimento della benzina presso gli impianti di distribuzione e presso terminali in cui è consentito il deposito temporaneo di vapori, in funzione.

    Il successivo art. 277, si riferisce, invece, alle operazioni di recupero di COV prodotti durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli presso gli impianti di distribuzione carburanti, stabilendo che questi ultimi siano dotati di sistemi di recupero dei vapori di benzina. Gli impianti di distribuzione e i sistemi di recupero dei vapori devono essere conformi alle pertinenti prescrizioni dell’Allegato VIII alla Parte V del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, relative ai requisiti di efficienza, ai requisiti costruttivi, ai requisiti di installazione, ai controlli periodici e agli obblighi di documentazione.

    Nota: ancora in materia di COV, si richiama il D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161, emanato in attuazione della Dir. 21 aprile 2004, n. 2004/42/CE, per la limitazione delle emissioni conseguenti all’uso di solventi in talune pitture e vernici, nonché in prodotti per la carrozzeria. Nello specifico, con il citato provvedimento viene stabilito, per le pitture, le vernici e i prodotti per carrozzeria, elencati nell’Allegato I dello stesso Decreto, il contenuto massimo di COV ammesso ai fini dell’immissione sul mercato. La norma non modifica le disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente di lavoro, nonché in materia di etichettatura dei prodotti.

    Emissioni di polveri
    Emissioni di polveri

    Le emissioni in atmosfera possono presentarsi allo stato solido, liquido o gassoso.

    Al di là dei limiti di emissioni indicati all’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006, l’Allegato V alla Parte V contiene specifiche disposizioni applicabili al contenimento delle emissioni di polveri e di sostanze organiche liquide prodotte durante le attività di produzione, manipolazione, trasporto, scarico, carico e stoccaggio di materiali polverulenti, al fine di limitare la produzione di emissioni diffuse e gli sversamenti accidentali.

    In particolare, per quanto concerne le emissioni di polveri, laddove siano gestiti materiali polverulenti, il gestore deve adottare apposite misure di contenimento (si veda Tabella 3) e l’autorità competente può altresì stabilire precise disposizioni tenendo conto di:

    • pericolosità delle polveri;

    • flusso di massa delle emissioni;

    • durata delle emissioni;

    • condizioni metereologiche;

    • condizioni dell’ambiente circostante.

    Tabella 3

    Impianti termici civili
    Impianti termici civili

    Il Titolo II della Parte V del Testo Unico Ambientale, più volte aggiornato, disciplina le emissioni in atmosfera degli impianti termici civili, aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW ex art. 282, comma 1, e dei medi impianti termici civili, così come definiti dall’art. 283.

    Si evidenzia che gli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore ai 0,035 MW (ossia 35 kW, corrispondenti a circa 30.000 Kcal/ora) non sono soggetti né ad autorizzazione alle emissioni né alle disposizioni dettate dal Testo Unico ambientale. Rientrano in tali categorie gli impianti di climatizzazione domestica.

    Ai fini del rendimento energetico nell’edilizia, secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 74/2013 “Regolamento recante definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell’acqua calda per usi igienici sanitari, a norma dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192”, gli impianti termici devono essere muniti di un “Libretto di impianto per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici” conforme al modello riportato all’allegato I, D.M. 10 febbraio 2014 “Modelli di libretto di impianto per la climatizzazione e di rapporto di efficienza energetica di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 74/2013”.

    Per impianto termico, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 192/2005 (art. 2, comma 1, lettera l-tricies), che attua la Dir. UE 2018/844, si intende un “impianto tecnologico fisso destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, o destinato alla sola produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione, accumulo e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolazione e controllo, eventualmente combinato con impianti di ventilazione”. Si noti che “non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate”. Si veda anche la definizione di impianto termico, non perfettamente coincidente, dettata dall’art. 283, comma 1, lettera a), del Testo Unico Ambientale.

    Oltre all’obbligo di tenuta del libretto di climatizzazione, il D.P.R. n. 74/2013 indica i criteri generali, i requisiti e i soggetti responsabili per l’esercizio, la conduzione, il controllo e la manutenzione degli impianti termici nonché le periodicità con cui queste attività vanno svolte.

    In occasione degli interventi di controllo ed eventuale manutenzione su impianti termici di climatizzazione invernale di potenza termica utile nominale maggiore di 10 kW e sugli impianti di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale maggiore di 12 kW, il manutentore deve anche svolgere un controllo di efficienza energetica. Al termine delle operazioni di controllo, l’operatore redige e sottoscrive uno specifico Rapporto di controllo di efficienza energetica, che potrà essere di quattro tipologie, ovvero di Tipo I, Tipo II, Tipo III o Tipo IV a seconda che l’intervento sia stato svolto su gruppi termici, gruppi frigo, scambiatori o cogeneratori.

    La disciplina degli impianti termici civili, più volte oggetto di modifiche, è attualmente contenuta all’interno del Titolo II del D.Lgs. n. 152/2006.

    Il Titolo II si applica agli impianti di potenza termica nominale compresa tra 35 Kw e 3 MW, indipendentemente dal combustibile utilizzato.

    Impianto termico civile avente potenza termica nominale ≥ 3 MW è soggetto alle disposizioni del Titolo I e deve essere espressamente autorizzato
    Impianto termico civile avente potenza termica nominale < 3 MW e superiore a 0,0035 MW è soggetto alle disposizioni del Titolo II (Impianti termici civili) che prevedono sostanzialmente la rispondenza a determinati requisiti tecnici, operativi e di esercizio
    Impianto termico civile avente potenza termica nominale < 0,0035 MW Non soggetto all’invio di alcuna documentazione né ad autorizzazione alle emissioni

    Ai fini del Titolo II, la definizione di impianto termico civile è delineata dall’art. 283, comma 1, lettera d), del Testo Unico come segue: “un impianto termico la cui produzione di calore è esclusivamente [si badi, esclusivamente, NDR] destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione invernale o estiva di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; l’impianto termico civile è centralizzato se serve tutte le unità dell’edificio o di più edifici ed è individuale negli altri casi”.

    Ciò significa che un impianto termico asservito sia al riscaldamento degli ambienti sia al ciclo produttivo o un impianto termico civile avente potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW sono entrambi soggetti alle disposizioni del Titolo I e devono pertanto essere espressamente autorizzati secondo le modalità di tale Titolo.

    Un impianto termico civile, di potenza termica nominale inferiore a 3 MW e maggiore di 35 kW sarà invece disciplinato dalle disposizioni del Titolo II (Impianti termici civili) che prevedono sostanzialmente la sola rispondenza a determinati requisiti tecnici e operativi.

    Nella tabella seguente sono riportate le definizioni che sono state aggiornate dal D.Lgs. n. 183/2017, il quale ha emendato anche le procedure da seguire in caso di impianti nuovi o soggetti a modifica sostanziale.

    Generatore di calore ne viene ampliato l’ambito tecnico, che passa da produzione di acqua calda o vapore a produzione di calore
    Impianto termico civile si precisa che è ricompresa anche la climatizzazione estiva
    Medio impianto termico civile definito come l’impianto termico civile di potenza pari o superiore a 1 MW; non ricadono nella definizione gli impianti utilizzati per il riscaldamento a gas diretto degli spazi interni dello stabilimento ai fini del miglioramento delle condizioni degli ambienti di lavoro
    Modifica dell’impianto qualsiasi intervento che sia effettuato su un impianto già installato e che richieda la dichiarazione di conformità di cui all’art. 7 del D.M. n. 37/2008 sull’installazione di impianti all’interno degli edifici
    Autorità competente ora è la Regione o gli enti da essa delegati

    Nel corso delle verifiche finalizzate alla redazione della dichiarazione di conformità prevista dal D.M. 37/2008 l’installatore verifica e dichiara che l’impianto sia dotato dell’attestazione rilasciata dal produttore degli impianti termici relativa alla conformità alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285 e al rispetto dei valori limite di emissione di cui all’art. 286.

    Per gli impianti termici civili disciplinati dal Titolo II:

    • le caratteristiche tecniche da rispettare sono quelle previste dalla Parte II dell’Allegato IX alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006;

    • i valori limite per le emissioni in atmosfera sono quelli previsti dalla Parte III dell’Allegato IX alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e i più restrittivi valori limite previsti dai piani e dai programmi di qualità dell’aria previsti dal D.Lgs. n. 155/2010 (ove necessario al conseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell’aria).

    L’installatore, entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori, mette a disposizione del responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto la dichiarazione di conformità e l’attestazione del produttore. Il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto provvede ad inviare tali atti all’autorità competente per mezzo del SUAP.

    In occasione della dichiarazione di conformità l’installatore indica, inoltre, l’elenco delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all’art. 286. Tali dichiarazioni devono essere allegate al libretto di impianto.

    Anche le procedure da seguire in caso di impianti esistenti sono cambiate.

    Per gli impianti termici civili in esercizio al 29 aprile 2006 il libretto di centrale doveva essere integrato, a cura del responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto, entro il 31 dicembre 2012 (termine prorogato al 31 dicembre 2015 a seguito della pubblicazione del Decreto Legge 31 dicembre 2014, n. 192), da un atto in cui si dichiara che l’impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di cui all’art. 286. Entro la stessa data il libretto di centrale deve essere inoltre integrato con l’indicazione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all’art. 286. Il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto provvede ad inviare tali atti integrativi all’autorità competente entro 30 giorni dalla redazione.

    A partire dal D.Lgs. n. 183/2017, insieme alla definizione di medio impianto di combustione, è stata introdotta anche la definizione di medio impianto termico civile, inteso come un impianto termico civile di potenza pari o superiore a 1 MW. Non ricadono nella definizione gli impianti utilizzati per il riscaldamento a gas diretto degli spazi interni dello stabilimento ai fini del miglioramento delle condizioni degli ambienti di lavoro.

    I medi impianti termici civili messi in esercizio o soggetti a modifica a partire dal 20 dicembre 2018 devono essere preventivamente iscritti nel Registro autorizzativo dei medi impianti (registro istituito, ai sensi del comma 2-quater del novellato art. 284, da ciascuna autorità competente).

    A tal fine il responsabile dell’esercizio e della manutenzione trasmette all’autorità titolare del registro, almeno 60 giorni prima dell’installazione o della modifica dell’impianto un apposito atto in cui dichiara i dati previsti dalla Parte IV-bis dell’Allegato I alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006. Tale termine può essere ridotto qualora sussista una imprevedibile urgenza da dichiarare in un atto allegato dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione (D.Lgs. n. 102/2020).

    I medi impianti termici civili messi in esercizio prima del 20 dicembre 2018 devono essere iscritti nel registro autorizzativo entro il 1° gennaio 2029.

    La Parte III dell’Allegato IX alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 riporta, oltre ai requisiti tecnici e costruttivi, anche i pertinenti valori limite di emissione per gli impianti termici civili e per i medi impianti termici civili messi in esercizio prima o dopo il 20 dicembre 2018, dettando anche le relative periodicità di campionamento.

    Per quanto riguarda le abilitazioni alla conduzione, ai sensi dell’art. 287, il personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW deve essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato da un’autorità individuata dalla legge regionale, la quale disciplina anche le opportune modalità di formazione nonché le modalità di compilazione, tenuta e aggiornamento di un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici.

    La Regione disciplina le modalità di formazione dei conduttori
    le modalità di compilazione, tenuta e aggiornamento di un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici, tenuto presso l’autorità che rilascia il patentino o altra autorità e, in copia, presso l’autorità competente e presso il comando provinciale dei vigili del fuoco

    Nota: Fino all’entrata in vigore delle disposizioni regionali, la disciplina dei corsi e degli esami resta quella individuata ai sensi del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 12 agosto 1968.

    Per quanto riguarda il regime dei controlli, il comma 8 dell’art. 288 prevede che gli stessi controlli siano effettuati dall’autorità competente in occasione delle ispezioni effettuate ai sensi dell’Allegato L al D.Lgs. n. 192/2005, anche avvalendosi degli organismi ivi previsti.

    Per quanto concerne la certificazione dei generatori di calore, l’art. 290, comma 4, prevede che con apposito Decreto del Ministero dell’Ambiente sono disciplinati i requisiti, le procedure e le competenze per il rilascio di una certificazione dei generatori di calore, con priorità per quelli aventi potenza termica nominale inferiore a 0,035 MW, alimentati con biomasse e carbone di legna. Tale certificazione assegnerà, in relazione ai livelli prestazionali ed emissivi assicurati, una specifica classe di qualità.

    A seguito dell’entrata in vigore del Decreto, i piani di qualità dell’aria potranno imporre limiti e divieti all’utilizzo dei generatori di calore non aventi la certificazione o certificati con una classe di qualità inferiore, ove tale misura sia necessaria al conseguimento dei valori di qualità dell’aria. Inoltre, i programmi e gli strumenti di finanziamento statali e regionali diretti ad incentivare l’installazione di generatori di calore a ridotto impatto ambientale assicureranno priorità a quelli certificati con una classe di qualità superiore.

    In ottemperanza, è stato emanato il D.M. 7 novembre 2017, n. 186 (Regolamento recante la disciplina dei requisiti, delle procedure e delle competenze per il rilascio di una certificazione dei generatori di calore alimentati a biomasse combustibili solide).

    Combustibili
    Combustibili

    Il Titolo III della Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 è infine riservato alla disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili che possono essere utilizzati negli impianti industriali e quelli termici civili. Lo stesso titolo, inoltre, stabilisce le condizioni di utilizzo dei combustibili, comprese le prescrizioni finalizzate a ottimizzare il rendimento di combustione, e i metodi di misura delle caratteristiche merceologiche.

    Tralasciando la parte relativa ai combustibili che possono essere utilizzati negli impianti termici civili, nel presente paragrafo si prendono in considerazione gli impianti industriali e i combustibili che possono essere utilizzati esclusivamente in tali impianti. Quest’ultimi combustibili sono riportati nella Sezione I dell’Allegato X alla Parte V del Testo Unico Ambientale che per comodità di esposizione, di seguito, si riporta integralmente.

    1. Negli impianti disciplinati dal Titolo I è consentito l’utilizzo dei seguenti combustibili:

    a) gas naturale;

    b) gas di petrolio liquefatto;

    c) gas di raffineria e petrolchimici;

    d) gas d’altoforno, di cokeria e d’acciaieria;

    e) gasolio, kerosene ed altri distillati Leggeri e medi di petrolio rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 1;

    f) emulsioni acqua-gasolio, acqua-kerosene e acqua-altri distillati Leggeri e medi di petrolio di cui alla precedente lett. e), rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 3, par. 1;

    g) biodiesel rispondente alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 3;

    h) olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore all’1% in massa e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 1, colonne 1, 2, 3, 4, 5, 6, 9 e 10, fatto salvo quanto previsto nella Sezione 3;

    i) emulsioni acqua-olio combustibile o acqua-altri distillati pesanti di petrolio, di cui alla precedente lett. h) e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 3, par. 2;

    l) legna da ardere alle condizioni previste nella Parte II, Sezione 4;

    m) carbone di legna;

    n) biomasse combustibili individuate nella Parte II, Sezione 4, alle condizioni ivi previste;

    o) carbone da vapore con contenuto di zolfo non superiore all’1% in massa e rispondente alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 2, par. 1;

    p) coke metallurgico e da gas con contenuto di zolfo non superiore all’1% in massa e rispondente alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 2, par. 1;

    q) antracite, prodotti antracitosi e loro miscele con contenuto di zolfo non superiore all’1% in massa e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 2, par. 1;

    r) biogas individuato nella Parte II, Sezione 6, alle condizioni ivi previste;

    s) gas di sintesi proveniente dalla gassificazione di combustibili consentiti, limitatamente allo stesso comprensorio industriale nel quale tale gas è prodotto.

    2. In aggiunta ai combustibili di cui al par. 1, negli impianti di combustione con potenza termica nominale uguale o superiore a 50 MW è consentito l’utilizzo di:

    a) olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3% in massa e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 1, colonna 7, fatta eccezione per il contenuto di nichel e vanadio come somma; tale contenuto non deve essere superiore a 180 mg/kg per gli impianti autorizzati in forma tacita ai sensi del D.P.R. n. 203/1988 e che, nel rispetto della vigente normativa, non hanno completato l’adeguamento autorizzato;

    b emulsioni acqua-olio combustibile o acqua-altri distillati pesanti di petrolio, di cui alla precedente lett. a) e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 3, par. 2;

    c) lignite con contenuto di zolfo non superiore all’1,5% in massa;

    d) miscele acqua-carbone, anche additivate con stabilizzanti o emulsionanti, purché il carbone utilizzato corrisponda ai requisiti indicati al par. 1, lett. o), p) e q);

    e) coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3% in massa e rispondente alle caratteristiche indicate in Parte II, Sezione 2, par. 1, riga 7.

    3. In aggiunta ai combustibili di cui ai parr. 1 e 2, negli impianti di combustione di potenza termica nominale uguale o superiore a 300 MW, ad eccezione di quelli anteriori al 1988 che sono autorizzati in forma tacita ai sensi del D.P.R. n. 203/1988 e che, nel rispetto della vigente normativa, non hanno completato l’adeguamento autorizzato, è consentito l’uso di:

    a) emulsioni acqua-bitumi rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 2;

    b) petrolio greggio con contenuto di nichel e vanadio, come somma, non superiore a 230 mg/kg.

    4. In aggiunta ai combustibili di cui al par. 1, è consentito l’utilizzo dei seguenti combustibili purché prodotti da impianti localizzati nella stessa area delimitata in cui sono utilizzati:

    a) olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3% in massa e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 1, colonna 7;

    b) emulsioni acqua-olio combustibile o acqua-altri distillati pesanti di petrolio, di cui alla precedente lett. a) e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 3, par. 2;

    c) gas di raffineria, gasolio, kerosene ed altri distillati Leggeri e medi di petrolio, olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio, derivanti esclusivamente da greggi nazionali, e coke da petrolio;

    d) idrocarburi pesanti derivanti dalla lavorazione del greggio rispondenti alle caratteristiche e secondo le condizioni di utilizzo di cui alla Parte II, Sezione 5.

    5. In aggiunta ai combustibili di cui al par. 1, negli impianti in cui durante il processo produttivo i composti dello zolfo siano fissati o combinati in percentuale non inferiore al 60% con il prodotto ottenuto, ad eccezione dei forni per la produzione della calce impiegata nell’industria alimentare, è consentito l’uso di:

    a) olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 4% in massa e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 1, par. 1, colonna 8;

    b) emulsioni acqua-olio combustibile o acqua-altri distillati pesanti di petrolio, di cui alla precedente lett. a) e rispondenti alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 3, par. 2;

    c) bitume di petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 6% in massa;

    d) coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 6% in massa e rispondente alle caratteristiche indicate nella Parte II, Sezione 2, par. 1, riga 8.

    6. In aggiunta a quanto previsto ai paragrafi precedenti, nella Regione Sardegna è consentito l’uso di combustibili indigeni, costituiti da carbone e da miscele acqua-carbone, in:

    a) centrali termoelettriche e impianti di produzione, combinata e non, di energia elettrica e termica, purché vengano raggiunte le percentuali di desolforazione riportate nell’Allegato II;

    b) impianti di cui al par. 2.

    7. In deroga ai parr. 1, 5 e 6, negli impianti aventi potenza termica nominale complessiva non superiore a 3 MW, è vietato l’uso dei seguenti combustibili;

    a) carbone da vapore salvo l’utilizzo negli impianti di lavorazione del ferro forgiato a mano, in conformità alla Parte II, Sezione 2, par. 1;

    b) coke metallurgico salvo l’utilizzo negli impianti di lavorazione del ferro forgiato a mano, in conformità alla Parte II, Sezione 2, par. 1;

    c) coke da gas;

    d) antracite, prodotti antracitosi e loro miscele;

    e) gas da altoforno, di cokeria e d’acciaieria;

    f) bitume da petrolio;

    g) coke da petrolio;

    h) combustibili liquidi con contenuto di zolfo superiore allo 0,3% in massa e loro emulsioni; tale disposizione si applica soltanto agli impianti autorizzati dopo il 24 marzo 1996, salvo il caso in cui le Regioni, nei piani e programmi di cui all’art. 8 e all’art. 9 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 351, ne prevedano l’estensione anche agli impianti autorizzati precedentemente ove tale misura sia necessaria per il conseguimento degli obiettivi di qualità dell’aria.

    8. I divieti di cui al par. 7 non si applicano ai combustibili prodotti da impianti localizzati nella stessa area delimitata in cui gli stessi sono utilizzati.

    9. Ai fini dell’applicazione dei parr. 2 e 3 si fa riferimento alla potenza termica nominale di ciascun singolo impianto anche nei casi in cui più impianti sono considerati, ai sensi dell’art. 273, comma 9, o 282, comma 2, come un unico impianto.

    10. Senza pregiudizio per quanto previsto ai paragrafi precedenti, è consentito, alle condizioni previste nella Parte II, Sezione 7, l’utilizzo del combustibile solido secondario (CSS) di cui all’art. 183, comma 1, lett. cc), meglio individuato nella predetta Parte II, Sezione 7, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 184-ter, ha cessato di essere un rifiuto (CSS-Combustibile).

    In Sezione II dell’Allegato X alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 sono, invece, indicati i combustibili di cui è consentito l’utilizzo negli impianti di cui al Titolo II alla Parte V del medesimo decreto:

    1. Negli impianti disciplinati dal titolo II è consentito l’uso dei seguenti combustibili:

    a) gas naturale;

    b) gas di città;

    c) gas di petrolio liquefatto;

    d) gasolio, kerosene ed altri distillati leggeri e medi di petrolio rispondenti alle caratteristiche indicate nella parte II, sezione 1, paragrafo 1;

    e) emulsioni acqua-gasolio, acqua-kerosene e acqua-altri distillati leggeri e medi di petrolio di cui alla precedente lettera d) e rispondenti alle caratteristiche indicate nella parte II, sezione 3, paragrafo 1;

    f) legna da ardere alle condizioni previste nella parte II, sezione 4;

    g) carbone di legna;

    h) biomasse combustibili individuate nella parte II, sezione 4, alle condizioni ivi previste;

    i) biodiesel avente le caratteristiche indicate in parte II, sezione 1, paragrafo 3;

    l) (omissis);

    m) (omissis);

    n) biogas individuato nella parte II, sezione 6, alle condizioni ivi previste.

    1-bis. L’uso dei combustibili di cui alle lettere f), g) e h) può essere limitato o vietato dai piani e programmi di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa, ove tale misura sia necessaria al conseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell’aria.

    2. I combustibili di cui alle lettere l), m) ed n), non possono essere utilizzati negli impianti di cui all’allegato IV, parte I, punti 5 e 6.

    Il Titolo III detta inoltre importanti prescrizioni per il rendimento di combustione, contenute nell’art. 294. Si stabilisce ivi che gli impianti termici, così come descritti nella tabella a seguire, devono essere dotati di un sistema di controllo della combustione che consenta la regolazione automatica del rapporto aria-combustibile.

    Impianti che devono essere dotati di un sistema di controllo della combustione con regolazione automatica del rapporto aria-combustibile
    Impianti disciplinati dal Titolo I, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006 (eccettuati quelli previsti dall’Allegato IV, Parte I, alla stessa Parte V);
    Impianti disciplinati dal Titolo II della Parte V, di potenza termica nominale per singolo focolare superiore a 1,16 MW, o di potenza termica nominale complessiva superiore a 1,5 MW e dotati di singoli focolari di potenza termica nominale non inferiore a 0,75 MW.

    Per consentire la regolazione automatica del rapporto aria-combustibile ai sensi dell’art. 294, comma 3-bis, il sistema di controllo della combustione deve essere in grado di garantire il mantenimento in continuo dei valori di rendimento verificati al collaudo e di quelli applicabili per effetto della vigente normativa, anche in presenza di variazioni chimico/fisiche dell’aria comburente o del combustibile. Tale condizione si considera rispettata se è utilizzato un sistema di regolazione automatica che prevede la misura in continuo del tenore di ossigeno residuo nelle emissioni o dei valori espressi come massa di comburente e combustibile. I dispositivi di misura a tal fine utilizzati devono essere compatibili con i sistemi realizzati secondo la norma UNI EN 298:2012 (oggi UNI EN 298:2023) ed essere tarati in conformità alle modalità e alle periodicità previste nelle istruzioni tecniche rilasciate dal produttore.

    € SANZIONI

    Di seguito si riporta un estratto del sistema sanzionatorio previsto per l’inosservanza di quanto disposto nella Parte V del D.Lgs. n. 152/2006.

    → Titolo I (Prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività)

    Art. 279, comma 1: chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza dell’autorizzazione prevista dagli artt. 269 o 272 ovvero continua l’esercizio con l’autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata è punito con la pena dell’arresto da 2 mesi a 2 anni o dell’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

    [Per i casi in cui trova applicazione l’autorizzazione integrata ambientale (art. 6, comma 13) si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione. Si rimanda al cap. 4 dell’opera].

    Art. 279, comma 1: chi sottopone uno stabilimento ad una modifica sostanziale senza l’autorizzazione prevista dall’art. 269, comma 8 o comma 11-bis, o, ove applicabile, dal Decreto di attuazione dell’art. 23, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35, è punito con la pena dell’arresto da 2 mesi a 2 anni o dell’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

    Art. 279, comma 1: chi sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall’art. 269, comma 8 o, ove applicabile, dal Decreto di attuazione dell’art. 23, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35, è assoggettato ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 1.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente.

    Art. 279, comma 2: chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla Parte V del presente Decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’art. 271 è punito con l’arresto fino ad 1 anno o con l’ammenda fino a 10.000 euro. È previsto l’arresto fino a 1 anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa (art. 279, comma 5).

    [Se i valori limite violati sono contenuti nell’Autorizzazione Integrata Ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione].

    Art. 279, comma 2-bis: chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla Parte V, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’art. 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente.

    [Se le prescrizioni violate sono contenute nell’Autorizzazione Integrata Ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione].

    Art. 279, comma 3: chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un’attività senza averne dato la preventiva comunicazione prescritta ai sensi dell’art. 269, comma 6, o ai sensi dell’art. 272, comma 1, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.500 euro.

    [Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 7].

    Art. 279, comma 3: chi non effettua, nei termini, una delle comunicazioni previste all’art. 273-bis, commi 6 e 7, lett. c e d, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.500 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità competente.

    Art. 279, comma 4: chi non comunica all’autorità competente i dati relativi alle emissioni ai sensi dell’art. 269, comma 6, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro.

    [Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 8].

    Art. 279, comma 6: chi, nei casi previsti dall’art. 281, comma 1, non adotta tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni è punito con la pena dell’arresto fino a 1 anno o dell’ammenda fino a 1.032 euro.

    Art. 279, comma 7: per la violazione delle prescrizioni dell’art. 276 (Controllo delle emissioni di cov derivanti dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione), nel caso in cui la stessa non sia soggetta alle sanzioni previste dai commi da 1 a 6, e per la violazione delle prescrizioni dell’art. 277 (Recupero di cov prodotti durante le operazioni di rifornimento presso gli impianti di distribuzione di benzina) si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 15.500 a 155.000 euro. All’irrogazione di tale sanzione provvede, ai sensi degli artt. 17 e seguenti della Legge 24 novembre 1981, n. 689, la Regione o la diversa autorità indicata dalla legge regionale. La sospensione delle autorizzazioni in essere è sempre disposta in caso di recidiva.

    → Titolo II (Impianti termici civili)

    Art. 288, comma 1: è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro l’installatore che non redige o redige in modo incompleto l’atto di cui all’art. 284, comma 1, o non lo mette a disposizione del responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto o del soggetto committente nei termini prescritti o non lo trasmette unitamente alla dichiarazione di conformità nei casi in cui questa è trasmessa ai sensi del D.M. 22 gennaio 2008, n. 37.

    Art. 288, comma 1: è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro il soggetto committente che non mette a disposizione del responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto l’atto e l’elenco dovuti nei termini prescritti.

    Art. 288, comma 1: è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto che non redige o redige in modo incompleto l’atto di cui all’art. 284, comma 2, o non lo trasmette all’autorità competente nei termini prescritti.

    Art. 288, comma 1: è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro il produttore di impianti termici civili che non tiene a disposizione i rapporti di prova previsti all’art. 282, comma 2-bis.

    Art. 288, comma 1-bis: in caso di esercizio di medi impianti termici civili in assenza di iscrizione nel registro previsto all’art. 284, comma 2-quater, il responsabile dell’esercizio e della manutenzione è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro.

    Art. 288, comma 2: in caso di esercizio di un impianto termico civile non conforme alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro:

    a) il produttore o, se manca l’attestazione prevista all’art. 282, il produttore e l’installatore, nei casi soggetti all’art. 284, comma 1;

    b) il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto, nei casi soggetti all’art. 284, comma 2.

    Art. 288, comma 3: Nel caso in cui un impianto termico civile non rispetti i valori limite di emissione di cui all’art. 286, comma 1, sono soggetti ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro:

    a) il produttore e l’installatore se mancano la attestazione o le istruzioni previste dall’art. 282;

    b) il produttore se sussistono la attestazione e le istruzioni previste dall’art. 282 e se dal libretto di centrale risultano regolarmente effettuati i controlli e le manutenzioni prescritti dalla Parte V del presente Decreto e dal Decreto attuativo dell’art. 4, comma 1, lett. a e b, D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, purché non sia superata la durata stabilita per il ciclo di vita dell’impianto;

    c)il responsabile dell’esercizio e della manutenzione se sussistono la attestazione e le istruzioni previste dall’art. 282 e se dal libretto di centrale non risultano regolarmente effettuati i controlli e le manutenzioni prescritti o è stata superata la durata stabilita per il ciclo di vita dell’impianto.

    Art. 288, comma 3-bis: in caso di violazione degli obblighi di comunicazione o di ripristino di conformità previsti dall’art. 286, comma 2-bis, il responsabile dell’esercizio e della manutenzione è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro.

    Art. 288, comma 4: con una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro è punito il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto che non effettua il controllo delle emissioni ai sensi dell’art. 286, comma 2, o non allega al libretto di centrale i dati ivi previsti o i dati previsti all’art. 286, comma 2-ter.

    Art. 288, comma 5: l’autorità competente, ove accerti che l’impianto non rispetta le caratteristiche tecniche di cui all’art. 285 o i valori limite di emissione di cui all’art. 286 o quanto disposto dall’art. 293, impone, con proprio provvedimento, al contravventore di procedere all’adeguamento entro un determinato termine oltre il quale l’impianto non può essere utilizzato (ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste dai commi precedenti, della procedura prevista all’art. 286, comma 2-bis e delle sanzioni previste per la produzione di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni). In caso di mancato rispetto del provvedimento adottato dall’autorità competente si applica l’art. 650 del cod. pen.

    Art. 288, comma 7: chi effettua la conduzione di un impianto termico civile di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW senza essere munito, ove prescritto, del patentino di cui all’art. 287 è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 15 a 46 euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità indicata dalla legge regionale.

    → Titolo III (Combustibili)

    Art. 296, comma 1: Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 4, chi effettua la combustione di materiali o sostanze in difformità alle prescrizioni del presente titolo, ove gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della vigente normativa, è punito:

    a) in caso di combustione effettuata presso gli impianti di cui al titolo I della Parte V del presente Decreto, con l’arresto fino a 2 anni o con l’ammenda da 258 a 1.032 euro;

    b) in caso di combustione effettuata presso gli impianti di cui al titolo II della Parte V, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia, con una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 a 1.000 euro; a tale sanzione, da irrogare ai sensi dell’art. 288, comma 6, non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni; la sanzione non si applica se, dalla documentazione relativa all’acquisto di tali materiali o sostanze, risultano caratteristiche merceologiche conformi a quelle dei combustibili consentiti nell’impianto, ferma restando l’applicazione dell’art. 515 cod. pen. e degli altri reati previsti dalla vigente normativa.

    Art. 296, comma 3: in caso di mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 294, il gestore degli impianti disciplinati dal titolo I della Parte V è punito con l’arresto fino a 1 anno o con l’ammenda fino a 1.032 euro.

    Art. 296, comma 3: Per gli impianti disciplinati dal titolo II della Parte V si applica la sanzione prevista dall’art. 288, comma 2 (sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro).

    Art. 296, comma 3: La sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 2.582 euro si applica anche, nel caso di mancato rispetto delle prescrizioni per il rendimento di combustione (art. 294) al responsabile per l’esercizio e la manutenzione quando ricorre il caso previsto dall’ultimo periodo dell’art. 284, comma 2. (mancato invio degli atti integrativi all’autorità competente entro 30 giorni dalla redazione).

    Art. 296, comma 4: in caso di mancata trasmissione dei dati di cui all’art. 298, comma 3, nei termini prescritti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche ai fini di quanto previsto dall’art. 650 cod. pen., ordina ai soggetti inadempienti di provvedere.

    Art. 296, comma 5: salvo che il fatto costituisca reato, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 15.000 a 150.000 euro coloro che immettono sul mercato combustibili per uso marittimo aventi un tenore di zolfo superiore ai limiti previsti nell’art. 295 e l’armatore o il comandante che, anche in concorso tra loro, utilizzano combustibili per uso marittimo aventi un tenore di zolfo superiore a tali limiti. In caso di recidiva e in caso di infrazioni che, per l’entità del tenore di zolfo o della quantità del combustibile o per le caratteristiche della zona interessata, risultano di maggiore gravità, all’irrogazione segue, per un periodo da un mese a due anni:

    a) la sospensione dei titoli professionali marittimi o la sospensione dagli Uffici direttivi delle persone giuridiche nell’esercizio dei quali l’infrazione è commessa, ovvero, se tali sanzioni accessorie non sono applicabili;

    b) l’inibizione dell’accesso ai porti italiani per il comandante che ha commesso l’infrazione o per le navi dell’armatore che ha commesso l’infrazione.

    Art. 296, comma 6: in caso di violazione dell’art. 295, comma 10, il comandante è punito con la sanzione amministrativa prevista dall’art. 1193 del Codice della navigazione.

    Art. 296, comma 7: salvo che il fatto costituisca reato, chi, senza commettere l’infrazione di cui al comma 5, non consegna il bollettino o il campione di cui all’art. 295, comma 11, o consegna un bollettino in cui l’indicazione ivi prevista sia assente è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 15.000 euro.

    Art. 296, comma 7: è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 15.000 euro chi, senza commettere l’infrazione di cui al comma 5, non conserva a bordo il bollettino o il campione previsto dall’art. 295, comma 11.

    Art. 296, comma 8: I fornitori di combustibili che non comunicano in termini i dati previsti dall’art. 295, comma 12, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 30.000 euro.

    Art. 296, comma 9: All’irrogazione delle sanzioni previste da tali commi provvedono le autorità marittime competenti per territorio e, in caso di infrazioni attinenti alla immissione sul mercato, le Regioni o le diverse autorità indicate dalla legge regionale. Restano ferme, per i fatti commessi all’estero, le competenze attribuite alle autorità consolari.

    Art. 296, comma 11: In caso di accertamento degli illeciti previsti al comma 5, fatti salvi i casi di cui al comma 10-quater, l’autorità competente all’applicazione delle procedure di sequestro, dispone, ove tecnicamente possibile, ed assicurando il preventivo prelievo di campioni e la conservazione degli altri elementi necessari a fini di prova, il cambio del combustibile fuori norma con combustibile marittimo a norma, a spese del responsabile.

    9.5 La disciplina per la qualità dell’aria (immissioni)

    9.5La disciplina per la qualità dell’aria (immissioni)

    A partire dagli anni ’90, con la direttiva quadro sulla qualità dell’aria ambiente (Direttiva n. 1996/62/CE) la legislazione comunitaria si è posta come obiettivo una progressiva riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini dai possibili danni prodotti da alcune sostanze. Tale finalità è perseguita tramite la fissazione di valori limite di concentrazione per una serie di inquinanti, che devono essere rispettati da tutti gli Stati membri entro specifiche date; il rispetto deve essere assicurato tramite la pianificazione e l’adozione di misure ed interventi di risanamento. Anche l’attuale normativa di settore (Direttiva n. 2008/50/CE e Direttiva n. 2004/107/CE) conferma tali principi ribadendo che ogni strumento deve essere utilizzato al fine di tutelare la salute dei cittadini europei.

    Le direttive sulla qualità dell’aria ambiente stabiliscono norme per tenere sotto controllo in particolare 12 inquinanti atmosferici: biossido di zolfo, biossido di azoto/ossidi di azoto, particolato, ozono, benzene, piombo, monossido di carbonio, arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene. Tali direttive, che tengono conto delle norme, degli orientamenti e dei programmi pertinenti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), negli ultimi dieci anni hanno contribuito alla diminuzione dei superamenti per la maggior parte degli inquinanti atmosferici. Tuttavia per taluni inquinanti i superamenti restano ancora persistenti.

    La base giuridica che consente all’UE di agire sulla qualità dell’aria è costituita dagli artt. 191 e 192 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), relativi all’ambiente. Questi articoli conferiscono all’UE il potere di agire per preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana e promuovere misure a livello internazionale per affrontare i problemi ambientali locali o mondiali.

    All’inizio del terzo decennio del secolo, ulteriori evoluzioni si affacciano all’orizzonte. Il 26 ottobre 2022, nell’ambito del Green Deal europeo, la Commissione Europea ha proposto di rivedere le direttive sulla qualità dell’aria ambiente, mediante il documento “Proposal for a directive of the European Parliament and of the Council on ambient air quality and cleaner air for Europe” (COM(2022) 542 final/2), che rappresenta un tassello fondamentale nel percorso avviato nel 2013 con il programma “Aria pulita per l’Europa”.

    Con questa proposta ha preso avvio il processo che ha portato all’approvazione da parte del Parlamento Europeo, in data 13 settembre 2023, della proposta riguardante la nuova direttiva sulla qualità dell’aria, che sostituirà e unificherà quelle attualmente in vigore, mirando a:

    • allineare maggiormente gli standard di qualità dell’aria dell’UE alle raccomandazioni dell’OMS;

    • mettere l’UE sulla buona strada per raggiungere l’inquinamento zero entro il 2050;

    • prevedere un riesame periodico delle norme sulla qualità dell’aria, in linea con le più recenti prove e informazioni scientifiche;

    • migliorare ulteriormente il quadro legislativo (ad esempio in relazione alle sanzioni e all’informazione del pubblico);

    • supportare le autorità locali nel raggiungimento di un’aria più pulita attraverso il rafforzamento del monitoraggio, della modellizzazione e dei piani della qualità dell’aria.

    Conseguentemente il Consiglio Europeo ha emanato il proprio mandato negoziale con la rispettiva bozza di Direttiva in data 9 novembre 2023.

    9.5.1 Il Decreto Legislativo n. 155/2010 in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente

    9.5.1Il Decreto Legislativo n. 155/2010 in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente

    Nel percorso dell’ordinamento italiano verso una sempre maggior attenzione alla qualità dell’aria, il 2010 è stato senza dubbio un anno di svolta. Il quadro normativo italiano in materia di tutela e qualità dell’aria ha subito infatti sostanziali modifiche.

    La legislazione precedente, articolata in una legge quadro (D.L. n. 351/99) ed in una serie di decreti attuativi, che fornivano indicazioni circa i limiti e i valori di riferimento per i diversi inquinanti, i metodi di misura e le indicazioni inerenti alla rete di monitoraggio, è stata sostituita da un unico corpo legislativo, il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155 (“Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”), entrato in vigore il 30 settembre 2010.

    La Dir. n. 2008/50/CE, come accennato, aveva sostituito tutta la normativa comunitaria in materia, ad eccezione della Dir. n. 2004/107/CE su arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente.

    Il D.Lgs. n. 155/2010 comprende in un’unica normativa anche i contenuti del D.Lgs. n. 152/2007 (abrogato) che recepiva la succitata Dir. n. 2004/107/CE.

    Il Decreto ha introdotto importanti novità nell’ambito del quadro normativo in materia di qualità dell’aria, mediante nuovi strumenti che si pongono l’obiettivo di contrastare l’inquinamento atmosferico. Oltre a fornire una metodologia di riferimento per la zonizzazione, definisce anche i valori di riferimento che permettono una valutazione della qualità dell’aria, su base annuale, in relazione alle concentrazioni dei diversi inquinanti. Il D.Lgs. n. 155/2010 è stato successivamente integrato e modificato, in base alle nuove conoscenze ed evidenze sulle sostanze che possono avere effetti dannosi sulla salute umana o sull’ambiente nel suo complesso.

    In attuazione al D.Lgs. n. 155/2010, peraltro modificato dal D.Lgs. n. 250/2012 e dal D.M. 26 gennaio 2017, sono stati poi emanati appositi decreti in materia di:

    • stazioni e metodi speciali di monitoraggio della qualità dell’aria (D.M. 29 novembre 2012, D.M. 13 marzo 2013 e D.M. 5 maggio 2015);

    • formati per la trasmissione al Ministero dei progetti di zonizzazione del territorio e delle reti di monitoraggio (D.M. 23 febbraio 2011 e D.M. 22 febbraio 2013);

    • procedure di garanzia di qualità per verificare il rispetto della qualità delle misure effettuate nelle stazioni delle reti (D.M. 30 marzo 2017).

    Va anche rammentato che il D.L. n. 111/2019 (c.d. Decreto Clima) ha introdotto misure urgenti da 450 milioni di euro in 3 anni per il rispetto degli obblighi previsti dalla Direttiva n. 2008/50/CE per la qualità dell’aria. Tale decreto mira ad incentivare comportamenti ed azioni virtuose: rottamazione di auto e motorini, incentivi per i commercianti che attrezzano green corner per vendere prodotti sfusi, corsie preferenziali per i mezzi pubblici, scuolabus ecologici e nuovi alberi nelle città.

    Il D.Lgs. n. 155/2010 e s.m.ei. si configura come un Testo Unico, costituendo un quadro normativo unitario in materia di valutazione, gestione e tutela della qualità dell’aria ambiente, a esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro (art. 2, lett. a).

    Nota: Numerose sono le norme riordinate e quindi abrogate dal D.Lgs. n. 155/2010 tra cui il D.Lgs. n. 351/1999 (valutazione e gestione della qualità dell’aria che recepiva la previgente normativa comunitaria), il D.Lgs. n. 183/2004 (normativa sull’ozono), il D.Lgs. n. 152/2007 (normativa su arsenico, cadmio, mercurio, il nichel e benzo(a)pirene), il D.M. n. 60/2002 (normativa su biossido di zolfo, biossido di azoto, ossidi di azoto, le particelle, il piombo, il benzene e il monossido di carbonio), il D.P.R. n. 203/1988 (normativa sugli impianti industriali, già soppresso dal D.Lgs. n. 152/2006 con alcune eccezioni transitorie, fatte comunque salve dal D.Lgs. n. 155/2010) e un pacchetto di ulteriori provvedimenti ministeriali attuativi.

    Il D.Lgs. n. 155/2010 e s.m.ei. è costituito da 22 articoli, 16 allegati e 11 appendici e stabilisce:

    • i valori limite, ovvero i livelli che devono essere raggiunti entro un termine prestabilito e che non devono essere successivamente superati (per la protezione della salute - Allegato XI), per: biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, PM10 e PM2,5;

    • i livelli critici oltre i quali possono sussistere rischi o danni per ecosistemi e vegetazione, non per gli esseri umani (Allegato XI) per biossido di zolfo e ossidi di azoto;

    • le soglie di allarme oltre le quali sussiste pericolo per la salute umana (Allegato XII) per biossido di zolfo e biossido di azoto;

    • l’obiettivo nazionale di riduzione dell’esposizione, ossia la riduzione percentuale dell’esposizione media rispetto ad un anno di riferimento da raggiungere entro una data prestabilita (Allegato XIV) per le concentrazioni nell’aria ambiente di PM2,5 (normativa introdotta ex novo);

    • i valori obiettivo (Allegato XIII) per arsenico, cadmio, nichel e benzo (a)pirene;

    • le soglie di allarme e la soglia di informazione (Allegato XII), i valori obiettivo e gli obiettivi a lungo termine (Allegato VII) per l’ozono.

    Il Decreto (art. 1) intende stabilire un quadro normativo organico finalizzato a:

    • individuare obiettivi di qualità dell’aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso;

    • valutare la qualità dell’aria ambiente sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale;

    • ottenere informazioni sulla qualità dell’aria ambiente come base per individuare le misure da adottare per contrastare l’inquinamento e gli effetti nocivi dell’inquinamento sulla salute umana e sugli ecosistemi e per monitorare le tendenze a lungo termine, nonché i miglioramenti dovuti alle misure adottate;

    • mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi;

    • garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell’aria ambiente;

    • realizzare una migliore cooperazione tra gli Stati dell’Unione Europea in materia di inquinamento atmosferico.

    Come accennato in precedenza, l’inquinamento di un determinato territorio non è influenzato solo dalle componenti emissive locali, ma possono entrare in gioco altre componenti inquinanti di origine transfrontaliera. In relazione all’inquinamento transfrontaliero, un’ulteriore norma di riferimento in materia di qualità dell’aria e di lotta all’inquinamento atmosferico è la Dir. 2016/2284/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici (Direttiva NEC). Tale Direttiva prevede, per gli Stati Membri, il conseguimento di obiettivi di riduzione delle emissioni di taluni inquinanti (particolato sottile, ossidi di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili non metanici ed ammoniaca) al 2020 e al 2030. Tali obiettivi di miglioramento della qualità dell’aria e di salvaguardia della salute umana e dell’ambiente dovranno essere ottenuti attraverso l’adozione e l’attuazione di specifici programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico, elaborati sulla base delle indicazioni contenute nella Direttiva stessa. A livello nazionale la Dir. 2016/2284/UE è stata recepita attraverso l’emissione del D.Lgs. 30 maggio 2018, n. 81 che ha abrogato il precedente D.Lgs. n. 171/2004. Il D.Lgs. n. 81/2018, attraverso un percorso di graduale riduzione delle emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili non metanici, ammoniaca e particolato sottile, fornisce un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi fissati dal D.Lgs. n. 155/2010 (si veda il par. 9.3.5).

    Competenze e responsabilità
    Competenze e responsabilità

    Al raggiungimento degli obiettivi generali sopra indicati, sono chiamati lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali, ciascuno secondo le competenze previste dalle vigenti leggi e nel rispetto delle norme fissate dallo stesso Decreto.

    A questo proposito, il Decreto prevede sia messo a punto un sistema di valutazione e gestione della qualità dell’aria caratterizzato da standard omogenei su tutto il territorio nazionale in modo da assicurare un approccio uniforme. Con l’adozione di quanto stabilito, situazioni di inquinamento confrontabili sotto il profilo della qualità dell’aria che dovessero essere registrate in luoghi diversi, verrebbero valutate e gestite in modo analogo.

    La legislazione vigente prevede che siano individuati dei siti fissi di campionamento in cui si valuta la qualità dell’aria ambiente ai fini della protezione della vegetazione e degli ecosistemi naturali.

    La zonizzazione dell’intero territorio nazionale è il presupposto su cui si organizza l’attività di valutazione della qualità dell’aria ambiente. Il compito di provvedere alla zonizzazione del territorio, nei modi stabiliti dall’art. 4 e sulla base dei criteri indicati nell’Appendice I dello stesso Decreto, è attribuito alle Regioni e alle Province autonome.

    Fra le diverse zone del territorio nazionale, sono in particolare individuati i c.d. agglomerati, che corrispondono alle aree urbane principali (caratterizzate da popolazione superiore a 250.000 abitanti) o più densamente popolate (densità maggiore di 3000 ab/km2).

    Le altre zone sono viceversa individuate tenendo conto di aspetti quali il carico emissivo, le caratteristiche orografiche, le caratteristiche meteo-climatiche e il grado di urbanizzazione del territorio, provvedendo a delimitare le aree che risultano omogenee sotto questi profili.

    Ciascuna zona (o agglomerato) è quindi classificata in funzione dei livelli di concentrazione raggiunti, da ciascuno degli inquinanti di cui all’art. 1, comma 2 (biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, materiale particolato PM10 e PM2.5, piombo, benzene, monossido di carbonio, arsenico, cadmio, nichel e benzo[a]pirene).

    Operativamente, la procedura da seguire per la classificazione è stabilita nella Sezione II dell’Allegato II, mentre occorre fare riferimento alla Sezione I dello stesso Allegato per quanto attiene ai livelli di concentrazione (ove sono distinte soglie di valutazione superiori e inferiori) da adottare per la classificazione.

    È stabilita in un massimo di 5 anni la periodicità con la quale prevedere il riesame della classificazione.

    Dalla suddetta classificazione, discende, ai sensi dell’art. 5, la necessità di provvedere all’effettuazione di misure in siti fissi, eventualmente integrate da tecniche di modellizzazione o da misurazioni indicative al fine di fornire un adeguato livello di informazione circa la qualità dell’aria ambiente.

    Per la valutazione si applicano: l’Allegato III, relativo all’ubicazione delle stazioni di misurazione
    l’Appendice II, relativa alla scelta della rete di misura
    l’Appendice III, relativa ai metodi di valutazione diversi dalla misurazione.

    All’art. 6 sono considerati i casi speciali di valutazione della qualità dell’aria ambiente: in tale ambito sono scelte le stazioni fisse di misura in modo da individuare le variazioni geografiche e l’andamento a lungo termine delle concentrazioni nell’aria ambiente e, ove previsto, delle deposizioni.

    L’art. 7, commi 2 e 3, regola la determinazione del numero delle stazioni di misurazione per le misurazioni in siti fissi, nei casi in cui vi è integrazione o combinazione tra misurazioni in siti fissi e tecniche di modellizzazione o misurazioni indicative.

    Nota: La valutazione della qualità dell’aria e i relativi obblighi in termini di stazioni fisse di misura è effettuata separatamente per quanto attiene l’ozono, per il quale si applicano i criteri previsti dall’art. 8 e dagli Allegati VII e VIII, nonché dalle Appendici II e III.

    Strumenti e azioni
    Strumenti e azioni

    Gli esiti della valutazione di cui all’art. 5 costituiscono la base informativa, a partire dalla quale si determinano le eventuali azioni da intraprendere per la tutela della qualità dell’aria. La normativa prevede in questo senso tre distinti strumenti:

    ) Piani e misure per il raggiungimento dei valori limite e dei livelli critici, per il perseguimento dei valori obiettivo e per il mantenimento del relativo rispetto da adottare se, come previsto dall’art. 9, in una o più aree all’interno di zone o di agglomerati, le concentrazioni degli inquinanti di cui all’art. 1, comma 2, superano i valori limite di cui all’Allegato XI. In tali piani, le Regioni e le Province autonome indicano le misure necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione al fine di raggiungere i valori limite nei termini prescritti dallo stesso Allegato XI.
    Qualora si verificassero superamenti dopo i termini prescritti, il piano dovrà essere integrato con l’individuazione di misure atte a raggiungere i valori limite superati nel più breve tempo possibile.
    Se, in una o più aree all’interno di zone o di agglomerati, è superato il valore obiettivo previsto per il PM2,5 all’Allegato XIV, il piano contiene, ove individuabili, le misure che non comportano costi sproporzionati necessarie a perseguirne il raggiungimento.
    I riferimenti per l’elaborazione dei piani di qualità dell’aria sono costituiti dall’Appendice IV, nella quale sono indicati i criteri per la sua redazione, e dall’Allegato XV, nel quale sono elencate le informazioni da includere nei piani stessi.
    2) Piani per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme: si tratta in questo caso di piani d’azione nei quali sono stabiliti, ai sensi dell’art. 10, gli interventi da attuare nel breve termine per i casi in cui insorga, presso una zona o un agglomerato, il rischio che i livelli degli inquinanti di cui all’art. 1, commi 2 e 3, superino le soglie di allarme previste all’Allegato XII. Anche in questo caso, l’adozione dei piani d’azione compete alle Regioni e alle Province autonome.
    Piani d’azione (dove si prevedono gli interventi da attuare nel breve termine) possono essere altresì adottati qualora sussista il rischio che i livelli degli inquinanti di cui all’art. 1, commi 2 e 3, superino i valori limite o i valori obiettivo previsti dagli Allegati VII e XI in conseguenza di specifiche circostanze contingenti, non aventi carattere strutturale o ricorrente (e per tale motivo non contrastabili con i piani di cui al punto precedente).

    ) Piani di gestione della qualità dell’aria ambiente in relazione all’ozono: specifiche misure sono da prevedere nel caso in cui, sulla base della valutazione di cui all’art. 8, una o più aree all’interno di zone o di agglomerati, evidenzi i livelli dell’ozono superiori ai valori obiettivo stabiliti dall’Allegato VII. L’adozione di specifiche misure è dovuta anche nel caso si osservino livelli di ozono che pur inferiori ai valori obiettivo, eccedano gli obiettivi a lungo termine.
    Le misure per il contenimento dei livelli di ozono dovranno essere integrate con i piani di qualità dell’aria di cui all’art. 9 (precedente punto a).
    Nel definire le misure in grado di agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza sulle aree in cui si sono manifestati i superamenti, le Regioni e le Province autonome cui spetta l’adozione dei piani, terranno conto degli indirizzi espressi dal Coordinamento di cui all’art. 20, valutando altresì che non diano luogo a costi sproporzionati.

    Per il raggiungimento degli obiettivi in termini di qualità dell’aria, i piani di cui agli artt. 9, 10 e 13 possono individuare un insieme di azioni (di cui all’art. 11) comprendenti, fra l’altro:

    • criteri per limitare la circolazione dei veicoli a motore;

    • valori limite di emissione, prescrizioni per l’esercizio, criteri di localizzazione, caratteristiche tecniche e costruttive ed altre condizioni di autorizzazione per gli impianti di cui alla Parte V, Titolo I e Titolo II, D.Lgs. n. 152/2006;

    • valori limite di emissione, prescrizioni per l’esercizio e criteri di localizzazione per gli impianti di trattamento dei rifiuti che producono emissioni in atmosfera;

    • valori limite di emissione, prescrizioni per l’esercizio e criteri di localizzazione per gli impianti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale che producono emissioni in atmosfera;

    • prescrizioni per prevenire o limitare le emissioni in atmosfera che si producono nel corso delle attività svolte presso qualsiasi tipo di cantiere;

    • prescrizioni per prevenire o limitare le emissioni in atmosfera prodotte dalle navi all’ormeggio;

    • limiti e condizioni per l’utilizzo dei combustibili ammessi dalla Parte V, Titolo III, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152;

    • misure specifiche per tutelare la popolazione infantile e gli altri gruppi sensibili della popolazione;

    • prescrizioni per prevenire o limitare le emissioni in atmosfera che si producono nel corso delle attività e delle pratiche agricole relative a coltivazioni, allevamenti, spandimento dei fertilizzanti e degli effluenti di allevamento, nonché delle combustioni all’aperto.

    All’attuazione delle azioni stabilite dai piani provvedono in primo luogo le Regioni, le Province autonome e gli enti locali mediante provvedimenti adottati sulla base dei poteri attribuiti dalla legislazione statale e regionale.

    Nei casi in cui le emissioni siano soggette ad autorizzazione, l’attuazione delle azioni spetta alle autorità competenti per il rilascio delle autorizzazioni stesse; per quanto attiene le limitazioni alla circolazione dei veicoli provvedono viceversa i sindaci o la diversa autorità individuata dalle Regioni o dalle Province autonome.

    Ai sensi dell’art. 17, sono demandate a successivi decreti del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (oggi MASE), di concerto con le altre figure coinvolte:

    • le procedure di garanzia di qualità previste per verificare il rispetto della qualità delle misure dell’aria ambiente;

    • le procedure per l’approvazione degli strumenti di campionamento e misura della qualità dell’aria.

    Informazione al pubblico
    Informazione al pubblico

    Particolare attenzione viene posta al tema dell’informazione al pubblico (art. 18) a cui sono tenuti lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze.

    In questo senso le Regioni o le Province autonome sono tenute ad adottare tutti i provvedimenti necessari per informare tempestivamente il pubblico qualora, in una zona o in un agglomerato, si evidenzino livelli di concentrazione che eccedano la soglia di allarme prevista all’Allegato XII, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155 e s.m.ei.

    A questo fine i canali di informazione sono rappresentati da radio, televisione, stampa, internet o qualsiasi altro opportuno mezzo di comunicazione. L’informazione al pubblico deve essere inoltre assicurata con riferimento a un insieme di dati e informazioni comprendenti:

    • le informazioni relative alla qualità dell’aria ambiente previste all’Allegato XVI;

    • le decisioni con le quali sono concesse o negate le deroghe;

    • i piani di qualità dell’aria;

    • i piani di azione;

    • le autorità e gli organismi titolari dei compiti tecnici in materia.

    Sempre in tema di informazioni, con l’art. 19, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155 e s.m.ei., sono elencati i dati che le Regioni trasmettono al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e all’ISPRA, nonché quelli che il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare comunica alla Commissione Europea.

    La disciplina sul monitoraggio del particolato atmosferico
    La disciplina sul monitoraggio del particolato atmosferico

    Come si è già detto, particolare attenzione viene oggi data al particolato sospeso, termine generico che comprende tutto il materiale particolato presente nell’aria atmosferica: da quello a maggiore granulometria, che può causare notevoli problemi ambientali locali (sporcamento, deposito su colture e suolo, etc.), a quello a granulometria più fine che presenta un grosso interesse per l’esposizione inalatoria della popolazione generale. Gli effetti sulla salute del materiale particolato aerodisperso dipendono dalla concentrazione e dimensione delle particelle e dal loro contenuto (organico e inorganico). Sono stati osservati effetti acuti (incremento della mortalità giornaliera, incremento di disturbi respiratori e di ricoveri ospedalieri per tali cause) ed effetti a lungo termine che possono anche incidere sulla mortalità e sull’insorgere di patologie respiratorie (seppure con un numero minore di dati). Il fatto che la cattiva qualità dell’aria generi problemi respiratori è oramai appurato, ma da studi recenti emerge che anche la salute mentale è influenzata negativamente dall’aria inquinata. L’Università degli studi di Milano, in collaborazione con l’Università degli studi di Padova, la società per l’Epidemiologia e la Prevenzione Giulio A. Maccacaro e l’associazione Cittadini per l’Aria hanno promosso uno studio scientifico avente l’obiettivo di verificare gli impatti dell’inquinamento dell’aria sulla salute mentale dei cittadini. A tal fine, sono stati analizzati i dati di più di 1,7 milioni di individui adulti che vivevano a Roma, confrontandoli con le documentazioni mediche delle assicurazioni sanitarie pubbliche in un periodo che va dal 2011 al 2019. È così emerso che le persone che vivono nelle aree maggiormente inquinate corrono il rischio di sviluppare problemi di salute mentale.

    Nel caso del materiale particellare va considerato che la composizione chimica delle particelle può essere sostanzialmente differente da area ad area in relazione a fattori quali combustibili utilizzati, grado di urbanizzazione e di industrializzazione, clima, etc. Inoltre, alcuni studi hanno evidenziato per il PM10 una differente tossicità a seconda della provenienza. L’orientamento della ricerca e, successivamente, della legislazione, è stato quindi quello di un interesse sempre maggiore verso il monitoraggio delle particelle a minore granulometria, in particolare PM10 e più recentemente PM2,5.

    La normativa europea e il recepimento italiano attraverso il D.Lgs. n. 155/2010 e s.m.ei. hanno introdotto criteri e metodi per il monitoraggio delle emissioni di particolato (PM10 e PM2,5) e, in particolare, della frazione più fine e respirabile del particolato, il PM2,5, che rappresenta un inquinante problematico per vaste aree europee e, nel territorio italiano, per le aree metropolitane e per la pianura padana (si segnalano in merito le procedure di infrazione europee del 2014 e 2020).

    Figura 8 - Concentrazione media annua di PM2.5 in µg/mc ponderata per gli abitanti dei paesi europei disponibili

    Il D.Lgs. n. 155/2010 prevede il monitoraggio dei livelli di PM10 e PM2,5 nelle diverse zone in cui è suddiviso il territorio e la verifica del rispetto di un valore limite annuale o giornaliero, riportato in figura 9.

    Figura 9 - Valori limite ai sensi del D.Lgs. n. 155/2010 e valori di riferimento OMS

    (Fonte: ISPRA - Annuario Dati Ambientali 2020)

    Nota: Per il PM 2,5, nel 2005, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva, invece, individuato un valore limite di riferimento pari a 10 µg/m3 come media annuale. Questa notevole discrepanza è dovuta al fatto che l’OMS ha tenuto conto esclusivamente di aspetti sanitari, fissando il valore limite in base alle risultanze di numerosi studi epidemiologici. Questo valore limite rappresenta la soglia al di sopra della quale cominciano a manifestarsi effetti negativi per la salute umana. Il valore di riferimento assunto dalla normativa europea, invece, è un compromesso fra le evidenze sanitarie e aspetti di altra natura, principalmente di natura economica e tecnologica.

    Nel 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato le nuove Linee guida sulla qualità dell’aria “WHO Global Air Quality Guidelines” (AQGs), per il PM2,5, PM10, NO2, O3, SO2, CO, con l’obiettivo di proteggere la salute umana, abbassando il valore limite di esposizione a 5 µg/m3 come media annuale. Il PM10 è invece passato da 20 µg/m3 a 15 µg/m3 come valore annuale e da 50 µg/m3 a 45 µg/m3 come valore di riferimento giornaliero.

    Dall’analisi dei dati forniti da ISPRA e pubblicati nell’annuario SNPA 17/2020, i risultati connessi al monitoraggio del PM10, relativi al 2019, evidenziano ancora una significativa distanza dal valore posto come obiettivo giornaliero, nonostante il periodo dal 1990 al 2018, dimostri comunque un trend emissivo decrescente. Il valore limite giornaliero (50 µg/m³, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 111 stazioni, pari al 22% dei casi. Il valore di riferimento OMS giornaliero valido nel 2019 (50 µg/m³, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato in 279 stazioni (54% dei casi). Nel 2019 i superamenti del valore limite giornaliero hanno interessato 24 zone su 81 distribuite in 10 Regioni (i superamenti hanno interessato prevalentemente il bacino padano). Per quanto riguarda la media annuale del PM10 è stato registrato un solo superamento del valore limite (40 µg/m³). Il valore di riferimento OMS (nel 2019 ancora pari alla metà del valore limite, 20 µg/m³) è stato invece superato in 347 stazioni (65% dei casi). Oltre alle emissioni da traffico veicolare, contribuiscono in modo rilevante ai livelli di particolato aerodisperso le emissioni degli impianti di riscaldamento civile alimentati a biomassa legnosa e le emissioni delle attività agricole e zootecniche.

    Per quanto concerne il PM2.5, le cui emissioni derivano principalmente dalla combustione non industriale, il periodo dal 2010 al 2020 è caratterizzato da una riduzione del numero delle stazioni che presentano valori superiori ai limiti normativi dettati dal D.Lgs. n. 155/2010. Nel 2020, il valore limite annuale è rispettato nella maggioranza delle stazioni: sono stati registrati superamenti in 3 stazioni su 81 distribuite, pari al 1% dei casi. Risulta tuttavia superato nella maggior parte delle stazioni di monitoraggio il valore di riferimento annuale della OMS del 2005, pari a 10 µg/m3 (98.6% dei casi). Si comprende quindi come il raggiungimento dei valori dettati dalle nuove linee guida della OMS pari 5 µg/m3 sia ancora lontano, anche in Paesi come l’Italia che da anni hanno intrapreso un percorso di continuo miglioramento della qualità dell’aria.

    Ai fini della tutela della salute della popolazione, il D.Lgs. n. 155/2010 introduce anche un ‘Indicatore di Esposizione Media (IEM)’ per il PM2,5 dato dalla concentrazione media su tre anni civili, ricavata da misurazioni effettuate da stazioni di fondo ubicate in siti fissi di campionamento urbani all’interno del territorio nazionale (con il Decreto del Ministero dell’ambiente 13 marzo 2013 è stato individuato il set di stazioni utili ai fini del calcolo dell’IEM per l’Italia).

    Sulla base dei valori dell’IEM calcolati per il 2010, erano previsti obiettivi di riduzione percentuali da realizzare entro il 2020 (Tabella 4), fermo restando che in ogni caso, entro il 2015 l’IEM dovrà essere avrebbe dovuto essere inferiore a 20 µg/m³ e che l’obiettivo minimo per il 2020 è quello di raggiungere 18 µg/m³, qualora l’IEM al 2010 fosse stato uguale o superiore a 22 µg/m³. Tenuto conto del valore iniziale (compreso tra 18 e 22 μg/m3) l’obiettivo al 2020 per l’Italia è quello di ridurre tale valore del 20%, che appare raggiunto già nel 2019 (-23%).

    Tabella 4

    Nota: Nel quadro di un’azione coordinata tra i Paesi appartenenti all’Unione Europea, il D.Lgs. n. 155/2010 e s.m.ei. dedica, infine, specifica attenzione alla problematica dell’inquinamento transfrontaliero. Con l’art. 16 sono infatti stabilite le modalità di comportamento qualora si dovesse registrare il superamento di un valore limite, di un valore obiettivo, di una soglia di allarme o di un obiettivo a lungo termine, a causa del trasporto transfrontaliero di quantitativi significativi di sostanze inquinanti o dei relativi precursori.

    Per i valori limite e i livelli critici di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio e piombo si veda l’Allegato XI al Decreto.

    9.5.2 Le linee guida elaborate dalla WHO (World Health Organization)

    9.5.2Le linee guida elaborate dalla WHO (World Health Organization)

    Il numero degli inquinanti normati ed aventi un limite di legge è esiguo a fronte di quelli riscontrabili nell’atmosfera; la possibilità di un aggiornamento ed estensione di detti limiti è legata allo stato delle conoscenze scientifiche in materia igienico-sanitaria.

    In tal senso, nelle valutazioni della qualità dell’aria un importante ed essenziale strumento di lavoro è rappresentato dalle Linee guida elaborate dalla WHO (“WHO Global Air Quality Guidelines” - AQGs). L’organizzazione mondiale della sanità (World Health Organization - WHO) è l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata in questioni sanitarie. Ha sede a Ginevra e vi aderiscono 194 Stati nazionali. L’organizzazione è stata fondata nel 1946, subito dopo la nascita dell’ONU, ed è entrata in funzione nel 1948. Il suo obiettivo è “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute” specificando che, con il termine ‘salute’, non si debba intendere l’assenza di malattia, ma piuttosto uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.

    Dalla metà degli anni ’80 l’OMS emana periodicamente una revisione delle AQGs che codificano lo stato attuale delle conoscenze scientifiche sui rapporti causa-effetto relativi all’esposizione della popolazione agli inquinanti atmosferici. I valori indicati dall’OMS non vanno confusi con i valori di legge: quelli definiti nelle AQGs sono destinati a rappresentare un riferimento per la formulazione dei valori di legge, come ad esempio quelli definiti dal Parlamento europeo attraverso le proprie direttive.

    Le AQGs riportano le conoscenze scientifiche relative agli effetti sull’uomo che sono state giudicate sufficientemente accettabili e indicano per un consistente numero di inquinanti:

    • per quanto concerne le sostanze non cancerogene, i valori guida di qualità dell’aria intesi come livelli di concentrazione in aria degli inquinanti, associati ai tempi di esposizione, fino a cui non sono attesi effetti avversi per la salute, (ad esempio NOAEL No Observed Adverse Effect Level);

    • per quanto riguarda le sostanze cancerogene, la stima dell’incremento del rischio unitario (unit risk, UR) intesa come il rischio addizionale di tumore, che può verificarsi in una ipotetica popolazione nella quale tutti gli individui sono continuamente esposti, dalla nascita e per tutto l’intero tempo di vita, ad una data concentrazione LOAEL (Low Observed Adverse Effect Level), ad esempio di 1 µg/m3 o di 1ng/m3 dell’agente di rischio nell’aria che essi respirano.

    Dette Linee guida costituiscono una base per la fissazione dei limiti di taluni inquinanti nelle relative norme di legge poi adottate dai vari Paesi.

    Il 22 settembre 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato le nuove Linee guida sulla qualità dell’aria “WHO Global Air Quality Guidelines” (AQGs), per il contenimento di PM2,5, PM10, NO2, O3, SO2, CO, con lo scopo di salvaguardare e proteggere la salute umana. L’aggiornamento delle linee guida è partito dalla revisione sistematica della letteratura prodotta negli ultimi 15 anni. Le riduzioni dei valori guida sono piuttosto consistenti per tutti gli inquinanti, in particolare per PM2,5 e NO2; per quest’ultimo viene anche introdotto un valore guida sulla media giornaliera precedentemente non presente.

    Nella tabella seguente si riportano, a titolo di esempio e per alcuni inquinanti, i valori guida e indice di rischio unitario.

    Tabella 5 – Valori guida di qualità dell’aria e rischio unitario relativi ad alcuni inquinanti – Dati della World Health Organization 2021

    Inquinante Valori guida (WHO)
    PM 2,5 5 µg/m3 NOAEL come valore medio annuale
    PM 10 15 µg/m3 NOAEL come valore medio annuale
    Ozono 100 µg/m3 NOAEL come valore medio su 8 ore
    NO2 10 µg/m3 NOAEL come valore medio annuale
    SO2 40 µg/m3 NOAEL come valore medio su 24 ore

    CO 4 mg/m3 NOAEL come valore medio su 24 ore
    IPA (BaP) UR= 8,7 x 10-5 per 1 ng/m3 ossia con rischio di 1/10000 concentrazione di 1,2 ng/m3
    As UR= 1,5 x 10-3 per 1 µg/m3 ossia con rischio di 1/10000 concentrazione di 66 ng/m3
    Cd UR= 1,8 x 10-3 per 1µg/m3 ossia con rischio di 1/10000 concentrazione di 55 ng/m3
    Cr VI UR= 4 x 10-2 per 1µg/m3 ossia con rischio di 1/10000 concentrazione di 2,5 ng/m3
    Hg (inorganico) 1 µg/m3 (1 anno) NOAEL come valore medio annuale
    Mn 0,15 µg/m3 NOAEL come valore medio annuale
    Ni UR= 3,8 x 10-4 per 1µg/m3 ossia con rischio di 1/10000 concentrazione di 250 ng/m3
    Pb 0,5 µg/m3 NOAEL come valore medio annuale
    Vanadio 1µg/m3 NOAEL come valore medio su 24 ore
    I valori guida di qualità dell’aria indicano i livelli di concentrazione in aria degli inquinanti (NOAEL), associati ai tempi di esposizione, ai quali non sono attesi effetti avversi per la salute, per quanto concerne le sostanze non cancerogene. Per le sostanze cancerogene, la stima dell’incremento del rischio unitario (Unit Risk_UR) è intesa come il rischio addizionale di tumore, che può verificarsi in una ipotetica popolazione nella quale tutti gli individui sono continuamente esposti, dalla nascita e per tutto l’intero tempo di vita, ad una concentrazione dell’agente di rischio nell’aria che essi respirano. Per il corretto utilizzo di questi dati si raccomanda di consultare le indicazioni riportate dalla World Health Organization nei lavori originali, Air Quality Guidelines WHO 1999, 2000, 2005 e 2021.

    GIURISPRUDENZA

    Fra le numerose altre pronunce, si segnalano le seguenti.

    Qualità dell’aria.: collocazione delle stazioni di misurazione

    Relativamente alla valutazione della qualità dell’aria dell’ambiente, ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. n. 155/2010, il numero delle stazioni di misurazione previste dal programma di valutazione deve essere individuato nel rispetto dei canoni di efficienza, efficacia ed economicità e la loro collocazione deve essere spostata solo nel caso in cui risultino variati il contesto territoriale, le attività e le altre circostanze da cui dipende la classificazione e l’ubicazione di una o più stazioni della rete di misura.

    T.A.R. Milano, sez. III, n. 137/2022

    9.6 Autorizzazione integrata ambientale

    9.6Autorizzazione integrata ambientale

    Si ritiene opportuno accennare brevemente al tema legato all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), in quanto correlato anche alla tematica relativa alla tutela dell’aria e alla riduzione delle emissioni in atmosfera, di cui alla Parte V del TUA, trattata nei capitoli precedenti.

    Va premesso che molti sono gli strumenti normativi emanati dall’Unione Europea per rendere operativo ed efficace il nuovo approccio integrato adottato i differenti profili dell’inquinamento. Tra questi particolare attenzione meritano il Regolamento CEE n. 1836/93 del Consiglio, del 29 giugno 1993, sulla adesione volontaria delle imprese del settore industriale a un sistema comunitario di ecogestione e audit (attualmente è in vigore il nuovo Regolamento EMAS 1221/2009) e, soprattutto, la Dir. n. 96/61/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, meglio conosciuta come Direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control). La Dir. n. 96/61/CE è stata sostituita dalla Dir. n. 2008/1/CE. Si tratta di una modifica formale intesa a raggruppare in un unico atto la Direttiva originaria e tutte le modifiche successive, senza modificarne le disposizioni di base.

    Tale Direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con la Legge n. 128/1998 ed è stata inizialmente attuata con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372, successivamente abrogato dall’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 59/2005.

    Il D.Lgs. n. 59/2005 (Attuazione integrale della Dir. n. 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), abrogato dall’art. 4, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 128/2010, aveva ridisciplinato il rilascio, il rinnovo e il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale di talune categorie di attività industriali, nonché le modalità di esercizio degli impianti medesimi, ai fini del rispetto dell’Autorizzazione Integrata Ambientale.

    Nel rivisitare la Parte II del D.Lgs. n. 152/2006, con le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 128/2010, il legislatore ha colto l’occasione per inserire nel Testo Unico Ambientale la disciplina sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC) di cui al D.Lgs. n. 59/2005.

    L’integrazione è intervenuta attraverso la creazione nella Parte II, Titolo III-bis, L’Autorizzazione Integrata Ambientale e la trasposizione degli ex Allegati I, II, III, IV e V al D.Lgs. n. 59/2005 negli Allegati VIII, IX, X, XI e XII alla Parte II novellata.

    Infine, il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46, che ha recepito la Dir. n. 2010/75/UE sulle emissioni industriali (e prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, che ha rifuso sette Direttive, fra le quali Dir. n. 2008/1/CE), ha aggiornato nuovamente il D.Lgs. n. 152/2006 anche per la parte relativa al Titolo III-bis.

    L’autorizzazione integrata ambientale deve includere valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti che possono essere emesse dall’impianto interessato in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro (acqua, aria e suolo); nell’Allegato X alla Parte II novellata del D.Lgs. n. 152/2006 è riportato un elenco indicativo delle principali sostanze inquinanti di cui è obbligatorio tener conto se pertinenti per stabilire i valori limite di emissione. L’autorizzazione integrata ambientale contiene, inoltre, gli opportuni requisiti di controllo delle emissioni, che specificano la metodologia e la frequenza di misurazione, nonché la relativa procedura di valutazione.

    L’autorizzazione integrata ambientale sostituisce ad ogni effetto ogni altro visto, nulla osta, parere o autorizzazione in materia ambientale, previsti dalle disposizioni di Legge e dalle relative norme di attuazione, fatta salva, come specificato al comma 8 dell’art. 29-sexies, la normativa emanata in attuazione della Dir. n. 96/82/CE (c.d. “Seveso-bis” sui rischi di incidenti rilevanti, attuata con il D.Lgs. n. 334/1999). E, infatti, il comma 3 dell’art. 267 del D.Lgs. n. 152/2006 ha confermato che resta fermo, per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, quanto previsto dal Titolo III-bis della Parte II del D.Lgs. n. 152/2006; per tali impianti l’autorizzazione integrata ambientale sostituisce (in quanto ricomprende) l’autorizzazione alle emissioni prevista dal Titolo I, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006.

    Per maggiori dettagli sull’AIA si veda il cap. 4 dell’opera.

    9.8 Autorizzazione unica ambientale

    9.8Autorizzazione unica ambientale

    L’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) - istituita e disciplinata dal D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59 - nasce in attuazione dell’art. 23 del D.L. n. 5/2012 (il c.d. “Semplifica Italia”), convertito con la Legge n. 35/2012 per semplificare gli adempimenti delle Piccole e Medie Imprese (PMI) e degli impianti non soggetti all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).

    Ai fini del D.P.R. n. 59/2013, s’intende per Autorizzazione Unica Ambientale il provvedimento rilasciato dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), che sostituisce gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale (art. 2, comma 1, lett. a).

    L’AUA introduce - per le PMI (con meno di 250 lavoratori e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro o un bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro) e per i gestori di “impianti” non soggetti ad AIA, ma comunque sottoposti alle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 152/2006 - un’unica autorizzazione che sostituisce diversi titoli abilitativi in campo ambientale richiesti dalle vigenti normative di settore (art. 2, comma 1, del D.P.R. cit.).

    Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, l’AUA sostituisce (art. 3, D.Lgs. n. 59/2013):

    • l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera in procedura ordinaria per gli stabilimenti di cui all’art. 269, D.Lgs. n. 152;

    • l’autorizzazione in via generale di cui all’art. 272, comma 2 del D.Lgs. n. 152/2006, di competenza della Provincia.

    L’AUA ha durata pari a quindici anni a decorrere dalla data di rilascio (art. 3, comma 6). Ai fini del suo rinnovo il titolare della stessa, almeno sei mesi prima della scadenza, invia all’Autorità competente, tramite il SUAP, un’istanza corredata dalla documentazione aggiornata indicata dal predetto art. 4.

    Per maggiori dettagli sull’AUA si veda il cap. 5 dell’opera.

    APPROFONDIMENTI

    • Stato dell’ambiente 97/2022: “Annuario dei dati ambientali 2021”, ISPRA

    • Organizzazione Mondiale della Sanità (2021): “Linee guida globali dell’OMS sulla qualità dell’aria: particolato (PM2,5 e PM10), ozono, biossido di azoto, anidride solforosa e monossido di carbonio”

    • Report di Sistema SNPA 17/2020: “La qualità dell’aria in Italia ed. 2020”, SNPA

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2020: “La riduzione progressiva dei gas fluorurati come strumento di contrasto ai cambiamenti climatici”, di Claudio Vivani

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2020: “L’inquinamento atmosferico nelle città ai tempi del COVID-19”, di Alessandro Bordin

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2020: “Ancora sulle emissioni degli ‘impianti di combustione medi’”, di Alberto Muratori

    • AMBIENTE & SVILUPPO 3/2020: “Riduzione dell’inquinamento e miglioramento della qualità dell’aria: l’impatto della Direttiva Ue 2016/2284”, di Andrea Castelli

    • AMBIENTE & SVILUPPO 2/2020: “Decreto Clima: ma è davvero il pilastro del Green New Deal?”, di Claudio Bovino

    • AMBIENTE & SVILUPPO 11/2019: “Decreto Clima: contrasto ai cambiamenti climatici e miglioramento della qualità dell’aria, in attesa del Green New Deal”, di Edoardo Ferrero

    • AMBIENTE & SVILUPPO 5/2018: “D.Lgs. 183/2017: i limiti per le emissioni degli impianti di combustione medi, e non solo”, di Alberto Muratori

    • AMBIENTE & SVILUPPO 3/2017: “Delega di funzioni ambientali: dalla Cassazione aperture e restrizioni”, di Massimo Zortea, Veronica Manca

    • AMBIENTE & SVILUPPO 2/2017: “Guardando al 2030: l’UE riscrive i ‘tetti nazionali’ di emissione per alcuni inquinanti atmosferici”, di Alberto Muratori.

    Fine capitolo