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    Autore:

    Blasizza Erica, AA.VV.

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    AMBIENTE 2024

    Capitolo 7

    Inquinamento del suolo e bonifica

    Mostra tutte le note

    7.1 Considerazioni preliminari

    7.1Considerazioni preliminari

    La tutela del suolo da possibili impatti inquinanti dovuti ad attività industriali è stata oggetto di una disciplina giuridica organica solamente in tempi recenti. Nel 1972 a Strasburgo il Consiglio d’Europa emanò la “Carta europea del suolo” (Strasburgo, Giugno 1972), in cui venivano enunciati alcuni principi fondamentali da rispettare.

    Il suolo è uno dei beni preziosi dell’umanità ed è una risorsa sostanzialmente non rinnovabile, in quanto la velocità di degradazione può essere rapida, mentre i processi di formazione e rigenerazione sono estremamente lenti. Consente la vita dei vegetali, degli animali, degli ecosistemi e dell’uomo sulla superficie della Terra. Il suolo è un substrato vivente e dinamico, essenziale alla vita dell’uomo quale mezzo produttore di nutrimento e di materie prime. È un elemento fondamentale della biosfera e contribuisce, assieme alla vegetazione e al clima, a regolare il ciclo idrologico e ad influenzare la qualità delle acque. Tra le diverse funzioni del suolo si ricorda la produzione di biomassa, lo stoccaggio, la filtrazione e la trasformazione di nutrienti e acqua, la presenza di pool di biodiversità, la funzione di piattaforma per la maggior parte delle attività umane, la fornitura di materie prime, la funzione di deposito di carbonio e la conservazione del patrimonio geologico e archeologico.

    Il suolo costituisce, di per sé, una entità ben definita. Dato che contiene le tracce dell’evoluzione terrestre e dei suoi esseri viventi e costituisce il supporto dei paesaggi, deve essere preso in considerazione anche per il suo interesse scientifico e culturale.

    Purtroppo, non esiste ancora un quadro giuridico comune a livello europeo, in tema di bonifica dei siti contaminati e, più in generale, di protezione del suolo. Alcuni Stati membri sono dotati di una normativa molto completa a livello nazionale o regionale, a differenza di altri che non possiedono norme specifiche in materia di contaminazione e bonifica dei suoli e adottano un approccio caso per caso senza tenere un registro dei siti (potenzialmente) contaminati. Pertanto, anche lo scambio di informazioni a livello europeo sulla gestione della contaminazione dei suoli avviene su base volontaria, irregolarmente e secondo metodologie diverse, così come diverse sono le definizioni a livello nazionale, i parametri di riferimento e le metodologie di valutazione.

    Resta tuttora la mancanza di un approccio comune nell’UE per le contaminazioni storiche (verificatesi prima dell’entrata in vigore delle normative nazionali o dell’UE) e per i siti “orfani” (quelli per i quali il responsabile dell’inquinamento non può essere identificato, non esiste oppure non può sostenere i costi di bonifica, ad esempio per fallimento).

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO n. 8-9/2021: “Bonifica dei siti contaminati: le principali modifiche introdotte dal decreto Semplificazioni convertito con legge n. 108/2021” di Vittorio Giampietro

    7.2 Normativa di riferimento

    7.2Normativa di riferimento
    Normativa comunitaria
    Direttiva n. 2010/75/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento); attuata con il D.Lgs. 4 Marzo 2014, n. 46 (G.U. 27 marzo 2014, n. 72 - Suppl. Ordinario, n. 27)
    Direttiva n. 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti: attuata con il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 (G.U. 12 marzo 2003, n. 59)
    Direttiva n. 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa ai veicoli fuori uso: attuata con il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 (G.U. 7 agosto 2003, n. 182)
    Direttiva n. 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 20014, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale
    Normativa nazionale
    D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” (c.d. “Codice Ambientale” (G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 - s.o. n. 187)

    7.3 Quadro di riferimento europeo

    7.3Quadro di riferimento europeo

    La responsabilità civile per danno ambientale, espressione del principio “chi inquina paga” risulta descritta, per la prima volta, nel “IV Programma d’azione in materia di ambiente” del 1987.

    La Commissione europea, poi, nel “Libro Verde sul risarcimento dei danni all’ambiente”, COM (93)47 del 29 maggio 1993, ha fornito le linee guida generali per un sistema europeo di responsabilità, composto da un regime generale, fondato sulla colpa, ed un regime speciale di responsabilità oggettiva per alcune attività specifiche.

    La tutela dei suoli diventa un elemento della legislazione ambientale europea con:

    • la prima Direttiva sulla VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale), n. 85/337/CE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la Valutazione dell’Impatto Ambientale di determinati progetti pubblici e privati, da tempo abrogata ed oggi sostituita dalla Direttiva 2014/52/UE;

    • la Direttiva relativa alle discariche dei rifiuti, n. 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, attuata con il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 (G.U. 12 marzo 2003, n. 59), recentemente modificata dalla Direttiva (UE) 2018/850;

    • la prima Direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention Control - Direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento), n. 96/61/CE del 24 settembre 1996, da tempo abrogata e oggi sostituita dalla Direttiva n. 2010/75/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento);

    • la Direttiva n. 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa ai veicoli fuori uso, attuata con il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209.

    Nel 1996 è stato istituito in Europa un centro tematico dedicato esplicitamente allo studio dello stato dei suoli (European Topic Centre on Soils - ETC/S) che contribuisce allo sviluppo di programmi di studio sul suolo e sui siti contaminati.

    Nel 1998, inoltre, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), ha presentato il primo rapporto annuale sulle condizioni dei suoli nella Comunità europea con i relativi contributi degli stati membri.

    Dopo il Libro Bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente, pubblicato dalla Commissione nel 2000, il Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto una convergenza sul testo della Direttiva n. 2004/35/CE del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, inteso come “un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente”, ove per servizio s’intende l’insieme delle “funzioni svolte da una risorsa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico”. Le risorse naturali prese in considerazione sono le specie e gli habitat naturali protetti, le acque ed il terreno. Il danno alle specie ed agli habitat naturali protetti è un qualsiasi danno che produca “significativi effetti negativi” sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole delle specie e degli habitat naturali protetti, come individuati nella Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici (Dir. 2009/147/CE) e nella Direttiva Habitat (Dir. 92/43/CEE), ma anche nelle legislazioni nazionali sulla conservazione della natura aventi effetto equivalente. Il danno alle acque è un qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque interessate, definiti dalla Direttiva sulle acque (Dir. 2000/60/CE). Il danno al terreno rappresenta una qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana, a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi.

    Il 22 settembre 2006 è stata proposta la “Direttiva del parlamento europeo e del consiglio”, (COM 2006) 232 definitiva, finalizzata ad istituire un quadro per la protezione del suolo che modifica la Direttiva n. 2004/35/CE. La proposta di Direttiva ha inteso istituire una strategia comune per la protezione e l’utilizzo sostenibile del suolo, basata sui principi di integrazione delle problematiche del suolo in altre politiche, di conservazione delle funzioni del suolo nell’ambito di un suo utilizzo sostenibile, di prevenzione delle minacce che incombono sul suolo e sulla mitigazione dei loro effetti, nonché sul ripristino dei suoli degradati ad un livello di funzionalità tale da essere almeno compatibile con l’utilizzo attuale e futuro della risorsa.

    Ad oggi, in effetti, vi sono ancora diverse disposizioni riguardanti la protezione del suolo, che tuttavia non sono concepite in modo organico, né sono sufficienti a proteggere tutti i suoli, contro tutti i processi di degrado. Tali disposizioni sono contenute in vari settori: rifiuti, sostanze chimiche, prevenzione e riduzione dell’inquinamento di origine industriale, cambiamenti climatici, acque, agricoltura e sviluppo rurale, etc. Per questo è necessario disporre di un quadro normativo coerente ed efficace, che proponga principi e obiettivi comuni, finalizzati alla difesa e all’utilizzo sostenibile del suolo all’interno dell’Unione. La proposta di direttiva è fondata sul principio di un utilizzo sostenibile del suolo, in modo da conservarne le capacità di fornire servizi di tipo ecologico, economico e sociale e di mantenerne le funzioni, affinché le generazioni future possano vedere soddisfatte le proprie esigenze.

    La proposta di Direttiva ha previsto l’obbligo per ciascuno Stato di individuare, descrivere e valutare l’impatto di alcune politiche settoriali sui processi di degrado del suolo, l’obbligo per i proprietari di adottare misure di precauzione, in caso di utilizzo del terreno che ne possa compromettere la funzionalità. È previsto, inoltre, che si individuino le aree a rischio di erosione, di diminuzione di materia organica, di salinizzazione, di compattazione e smottamenti e che vengano istituiti programmi nazionali di misure, anche al fine di contenere l’immissione di sostanze pericolose nel suolo.

    Infine, dopo aver definito che cosa è un “sito contaminato”, la proposta di Direttiva contempla la istituzione di un inventario di siti c.d. organi, la preparazione di un rapporto sullo stato del suolo e la formulazione di una strategia nazionale di bonifica di siti contaminati che dovessero essere individuati.

    La recente Strategia dell’UE per il suolo per il 2030, Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima (COM (2021) 699 final del 17 novembre 2021), prodotta dalla Commissione europea, intende definire un quadro strategico e misure concrete per proteggere, ripristinare e utilizzare i suoli in modo sostenibile, mobilitando la società, il cui coinvolgimento è imprescindibile, e le necessarie risorse finanziarie, insieme a conoscenze condivise, pratiche sostenibili e monitoraggio per il raggiungimento di obiettivi comuni. La strategia è strettamente legata alle altre politiche dell’UE, scaturite dal Green Deal europeo ed opera in sinergia con queste, sostenendo l’ambizione di un’azione globale sul suolo a livello internazionale. A tal fine, viene prevista la combinazione di nuove misure, facoltative e giuridicamente vincolanti, sviluppate nel pieno rispetto della sussidiarietà e sulla base delle politiche nazionali vigenti in materia di suolo (vedi Figura 1, tratta dalla Strategia).

    Figura 1 - Collegamenti tra la strategia per il suolo e altre iniziative UE

    La Strategia include un termine (prospettiva 2050) entro il quale tutti gli ecosistemi dei suoli dell’UE dovranno essere in buona salute e più resilienti, attraverso cambiamenti molto profondi nel corso dell’attuale decennio. Per quella data, la protezione del suolo, il suo uso sostenibile e il suo ripristino saranno diventati la norma. Un suolo in buona salute può essere decisivo nel contribuire ad affrontare le grandi sfide relative al raggiungimento della neutralità climatica e della resilienza ai cambiamenti climatici, grazie allo sviluppo di una (bio)economia pulita e circolare, all’inversione della perdita di biodiversità, alla salvaguardia della salute umana, all’arresto della desertificazione e all’inversione del degrado dei terreni. Questa nuova visione dei suoli è ancorata alla strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 (Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, COM (2020)380) e alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici (La nuova strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici, COM/2021/82). Pertanto, questa strategia per il suolo si fonda su diversi obiettivi del Green Deal e contribuirà significativamente al raggiungimento degli stessi, nonché degli obiettivi preesistenti:

    • di medio termine, entro il 2030:
      • combattere la desertificazione, ripristinare le terre degradate, comprese quelle colpite da desertificazione, siccità e inondazioni, e battersi per ottenere un mondo privo di degrado del suolo;

      • ripristinare vaste superfici di ecosistemi degradati e ricchi di carbonio, compresi i suoli;

      • raggiungere l’obiettivo di un assorbimento netto dei gas a effetto serra pari a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno a livello di UE per il settore dell’uso del suolo, del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura;

      • ottenere buone condizioni ecologiche e chimiche nelle acque di superficie e buone condizioni chimiche e quantitative nelle acque sotterranee entro il 2027;

      • ridurre la perdita di nutrienti di almeno il 50 %, l’uso generale e il rischio derivante dai pesticidi chimici del 50 % e l’uso dei pesticidi più pericolosi del 50 % entro il 2030;

      • realizzare progressi significativi nella bonifica dei suoli contaminati;

    • di medio termine, entro il 2050:
      • raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero;

      • l’inquinamento del suolo dovrebbe essere ridotto a livelli non più considerati nocivi per la salute umana e per gli ecosistemi naturali e rimanere entro limiti che il nostro pianeta può sostenere, così da creare un ambiente privo di sostanze tossiche;

      • conseguire neutralità climatica in Europa e, come primo passo, mirare a raggiungere la neutralità climatica basata sul suolo nell’UE entro il 2035;

      • conseguire entro il 2050 una società resiliente ai cambiamenti climatici nell’UE, pienamente adattata ai loro inevitabili effetti.

    Da ultimo, si segnalano le Linee Guida per un’interpretazione comune del termine “danno ambientale” di cui all’art. 2 della Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comunicazione n. C118/1, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europa del 7 aprile 2021.

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO n. 10/2021: “Il danno al terreno nelle Linee Guida UE sul danno ambientale di Marco Fabrizio

    7.4 Normativa di riferimento nazionale

    7.4Normativa di riferimento nazionale

    7.4.1 Prima del Testo Unico Ambiente

    7.4.1Prima del Testo Unico Ambiente

    La legislazione nazionale ha previsto dapprima norme riguardanti la “difesa del suolo”:

    • la “Legge quadro” n. 183/1989 ha inteso ridefinire le attività organizzative e funzionali nel settore dell’assetto del territorio e in particolare della difesa del suolo, con il proposito di superare la confusione e frammentazione di competenze e logiche settoriali d’intervento e di far convergere in modo contestuale i processi di trasformazione territoriale in un quadro di riferimento organico al fine di poter intervenire tempestivamente per contenere la vulnerabilità fisica del territorio e garantire una maggiore sicurezza.

      Tale Legge, insieme alla Legge n. 36/1994 sulle risorse idriche e alla Legge n. 37/1994 sulla tutela dei demani fluviali, ha costituito un complesso normativo che ha realizzato una riforma forte, se non la più importante, nel campo ambientale e dei sistemi di governo e di programmazione del territorio;

    • il successivo D.P.C.M. 23 marzo 1990 ha preso in considerazione gli schemi previsionali e programmatici che hanno ripreso il contenuto della Legge n. 183/1989: in particolare è previsto dall’art. 5, comma 1, la realizzazione di una relazione sulle caratteristiche generali del bacino idrografico;

    • con il D.P.R. 7 gennaio 1992 è stato approvato l’atto d’indirizzo e coordinamento, con cui è richiesta alle Autorità di bacino e alle Regioni la predisposizione della programmazione delle attività conoscitive di supporto alla pianificazione del bacino.

    Nel merito più specifico dell’inquinamento del suolo, in Italia è mancata per lungo tempo una politica organica sulle aree contaminate e sull’inquinamento del suolo. Sino all’approvazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, gli unici provvedimenti di riferimento erano:

    • il D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e successive disposizioni applicative (Deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984) concernenti la classificazione e lo smaltimento dei rifiuti, compreso i rifiuti tossico-nocivi;

    • il D.L. 31 agosto 1987, n. 361, convertito in Legge n. 441/1987. Quest’ultima è stato il primo tentativo italiano mirato a pianificare gli interventi di bonifica dei suoli contaminati; l’art. 5 affidava alle Regioni il compito di elaborare i Piani Regionali di Bonifica, senza però fornire definizioni di area contaminata;

    • la Legge 9 novembre 1988, n. 475 recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali;

    • il D.M. 16 maggio 1989 con il quale il Ministero dell’Ambiente aveva fornito le Linee Guida per l’elaborazione e la predisposizione dei Piani regionali di Bonifica di aree contaminate definite come tutte quelle “venute a contatto accidentale o continuativo” con i rifiuti potenzialmente tossici.

    Queste normative, tuttavia, non contenevano indicazioni relative a procedure di analisi, criteri di valutazione del rischio, metodi di risanamento e aspetti amministrativi.

    Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, prevedeva la predisposizione di criteri di identificazione della qualità dei suoli, dalla quale era conseguito il limite di accettabilità di contaminazione e l’obbligo, per chiunque cagionasse il superamento di tali limiti, a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti, dai quali fosse derivato il pericolo di inquinamento.

    Il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 aveva successivamente stabilito i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Con tale Decreto, il legislatore voleva armonizzare e chiarire, attraverso una normativa “quadro” secondaria, la questione relativa all’individuazione dei criteri, delle procedure e delle modalità tecniche necessarie per garantire l’osservanza di ciò che era stato fissato nell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997, la cui applicazione, fino a quel momento, non era risultata possibile per mancanza di una disciplina attuativa che ne consentisse l’operatività.

    Il D.M. n. 471/1999 si componeva di 18 articoli e di 5 allegati molto dettagliati che sistematicamente affrontavano le problematiche oggetto del Decreto stesso.

    Il Decreto disciplinava nell’art. 1:

    • i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti (CL o Concentrazioni Limite);

    • le procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni;

    • i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei relativi progetti;

    • i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che fanno ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo;

    • il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l’anagrafe dei siti da bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati da parte della Pubblica amministrazione;

    • i criteri per l’individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.

    7.4.2 Il Testo Unico Ambiente

    7.4.2Il Testo Unico Ambiente

    Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” (c.d. “Codice Ambientale” - Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 - Supplemento Ordinario n. 187) costituisce l’attuazione della Legge 15 dicembre 2004, n. 308 “Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione” (Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2004 - Supplemento Ordinario n. 187). Dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore del provvedimento, la normativa nazionale sulla tutela dell’ambiente ha subito una profonda trasformazione. Come previsto dalla Legge n. 308/2004, il D.Lgs. n. 152/2006 ha infatti disposto l’abrogazione della maggior parte dei previgenti provvedimenti di settore, riscrivendo le regole in materia di:

    • gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;

    • tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;

    • difesa del suolo e lotta alla desertificazione;

    • tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente;

    • procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrata IPPC;

    • tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.

    La Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 (Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati) disciplina la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati e abroga e sostituisce il:

    • D.Lgs. n. 22/1997 “Attuazione delle Direttive n. 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e n. 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio”, nonché, implicitamente, il

    • D.M. n. 471/1999” Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.

    La disciplina relativa alla bonifica dei siti contaminati è contenuta nel Titolo V, parte IV, D.Lgs. n. 152/2006.

    I valori tabellari (CL o Concentrazioni Limite e, contemporaneamente, obiettivi di bonifica), già definiti dal D.M. n. 471/1999, sono sostanzialmente ripresi dal D.Lgs. n. 152/2006, con funzione di Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC), al di sopra delle quali scattano gli obblighi di adozione delle misure di prevenzione, di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, secondo le procedure e gli obiettivi indicati di seguito.

    Gli Allegati, Titolo V, D.Lgs. n. 152/2006, sono:

    • Allegato 1 - Criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica;

    • Allegato 2 - Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati;

    • Allegato 3 - Criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente), nonché per l’individuazione delle migliori tecniche d’intervento a costi sopportabili;

    • Allegato 4 - Criteri generali per l’applicazione di procedure semplificate;

    • Allegato 5 - Concentrazioni soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare.

    7.5 Bonifica di siti contaminati

    7.5Bonifica di siti contaminati

    Il Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006 disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e, comunque, per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio “chi inquina paga”.

    Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso sono disciplinati dalle Regioni con appositi piani, fatte salve le competenze e le procedure previste per i siti oggetto di bonifica di interesse nazionale e comunque nel rispetto dei criteri generali di cui al Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006.

    7.5.1 Definizioni

    7.5.1Definizioni

    L’art. 240 applica le seguenti definizioni:

    Sito L’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiale di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti
    Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) I livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato V alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati
    Concentrazioni soglia di rischio (CSR) I livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell’Allegato I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito
    Sito potenzialmente contaminato Un sito nel quale uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), in attesa di espletare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)
    Sito contaminato Un sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati con l’applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all’Allegato I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, risultano superati
    Sito non contaminato Un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrici ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) oppure, se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) determinate a seguito dell’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica
    Sito con attività in esercizio Un sito nel quale risultano in esercizio attività produttive sia industriali che commerciali nonché le aree pertinenziali e quelle adibite ad attività accessorie economiche, ivi comprese le attività di mantenimento e tutela del patrimonio ai fini della successiva ripresa delle attività
    Sito dismesso Un sito in cui sono cessate le attività produttive
    Misure di prevenzione Le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia

    Misure di riparazione Qualsiasi azione o combinazione di azioni, tra cui misure di attenuazione o provvisorie dirette a riparare, risanare o sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati, oppure a fornire un’alternativa equivalente a tali risorse o servizi
    Messa in sicurezza d’emergenza Ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente
    Messa in sicurezza operativa L’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione delle contaminazioni all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate
    Messa in sicurezza permanente L’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici
    Bonifica L’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)
    Ripristino e ripristino ambientale Gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici
    Inquinamento diffuso La contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine
    Analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica Analisi sito specifica degli effetti sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali contaminate, condotta con i criteri indicati nell’Allegato I alla Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006
    Condizioni di emergenza Gli eventi al verificarsi dei quali è necessaria l’esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio:
    • concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;

    • presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda;

    • contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;

    • pericolo di incendi ed esplosioni.

    7.5.2 La procedura ordinaria ex art. 242

    7.5.2La procedura ordinaria ex art. 242

    Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera, entro 24 ore, le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione al comune, alla provincia, alla regione (o alla provincia autonoma), nonché al Prefetto. La comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. Tale comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione delle misure di prevenzione e degli interventi di messa in sicurezza. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.

    Il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune e alla Provincia competenti per territorio entro 48 ore dalla comunicazione.

    L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo.

    Qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al Comune e alle Province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.

    Nei successivi 30 giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla Regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti. Entro i 30 giorni successivi la Regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L’autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione.

    Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di Analisi di Rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla Regione i risultati dell’analisi di rischio. Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza di servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito.

    A tal fine, il soggetto responsabile, entro 60 giorni dall’approvazione di cui sopra, invia alla Provincia e alla Regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati:

    • i parametri da sottoporre a controllo;

    • la frequenza e la durata del monitoraggio.

    La Regione, sentita la Provincia, approva il piano di monitoraggio entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso.

    Alla scadenza del periodo di monitoraggio il soggetto responsabile ne dà comunicazione alla Regione ed alla Provincia, inviando una relazione tecnica riassuntiva degli esiti del monitoraggio svolto. Nel caso in cui le attività di monitoraggio rilevino il superamento di uno o più delle concentrazioni soglia di rischio, il soggetto responsabile dovrà avviare la procedura di bonifica.

    Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.

    Per la selezione delle tecnologie di bonifica in situ più idonee, la regione può autorizzare l’applicazione a scala pilota, in campo, di tecnologie di bonifica innovative, anche finalizzata all’individuazione dei parametri di progetto necessari per l’applicazione a piena scala, a condizione che tale applicazione avvenga in condizioni di sicurezza con riguardo ai rischi sanitari e ambientali. Nel caso di interventi di bonifica o di messa in sicurezza che presentino particolari complessità, a causa della natura della contaminazione, degli interventi, delle dotazioni impiantistiche necessarie o dell’estensione dell’area interessata dagli interventi medesimi, il progetto può essere articolato per fasi progettuali distinte, al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive. Nell’ambito dell’articolazione temporale potrà essere valutata l’adozione di tecnologie innovative, di dimostrata efficienza ed efficacia, a costi sopportabili, resesi disponibili a seguito dello sviluppo tecnico-scientifico del settore.

    La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Tale termine può essere sospeso una sola volta, qualora la regione ravvisi la necessità di richiedere, mediante atto adeguatamente motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l’adempimento. In questa ipotesi il termine per l’approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto integrato. Ai soli fini della realizzazione e dell’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione del progetto operativo e per il tempo strettamente necessario all’attuazione medesima, l’autorizzazione regionale di cui al presente comma sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente compresi, in particolare, quelli relativi alla valutazione di impatto ambientale, ove necessario, alla gestione delle terre e rocce da scavo all’interno dell’area oggetto dell’intervento e allo scarico delle acque emunte dalle falde. L’autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori. Con il provvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l’esecuzione dei lavori, le verifiche intermedie per la valutazione dell’efficacia delle tecnologie di bonifica adottate e le attività di verifica in corso d’opera necessarie per la certificazione, rilasciata dalla provincia sulla base di una relazione tecnica dell’ARPA territorialmente competente, del completamento degli interventi di bonifica, messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, ed è fissata l’entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell’intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.

    Qualora gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente alle predette matrici ambientali, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate, fermo restando l’obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione. In tal caso è necessario dimostrare e garantire nel tempo che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee, fino alla loro completa rimozione, non comportino un rischio per i fruitori dell’area, né una modifica del modello concettuale tale da comportare un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici secondo le specifiche destinazioni d’uso. Le garanzie finanziarie sono comunque prestate per l’intero intervento e sono svincolate solo al raggiungimento di tutti gli obiettivi di bonifica.

    I criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili sono definiti BATNEEC – (Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs). La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati con attività in esercizio, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria e ambientale e impedisce un’ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate ed indicano se all’atto della cessazione dell’attività si renderà necessario un intervento di bonifica o un intervento di messa in sicurezza permanente.

    La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed impedisce un’ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da piani di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate e indicano, se all’atto della cessazione dell’attività si renderà necessario, un intervento di bonifica o un intervento di messa in sicurezza permanente. Possono essere autorizzati interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi.

    Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l’obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, in sede di approvazione del progetto assicura che i suddetti interventi siano articolati in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione dell’attività.

    La procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica si svolge in conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. La relativa documentazione è inviata ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la discussione e, in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.

    Compete alla Provincia rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica. Qualora la Provincia non provveda a rilasciare tale certificazione entro 30 giorni dal ricevimento della delibera di adozione, in sua sostituzione provvede la Regione.

    Qualora la procedura interessi un sito in cui, per fenomeni di origine naturale o antropica, le concentrazioni rilevate superino le CSC di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V, della parte quarta, il proponente può presentare all’ARPA territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo da assumere. Tale piano, condiviso con l’ARPA territorialmente competente, è realizzato dal proponente con oneri a proprio carico, in contraddittorio con la medesima ARPA, entro sessanta giorni dalla data di presentazione dello stesso. Il piano di indagine può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall’ARPA territorialmente competente relativi all’area oggetto di indagine. Sulla base delle risultanze del piano di indagine, nonché di altri dati disponibili per l’area oggetto di indagine, l’ARPA territorialmente competente definisce i valori di fondo. È fatta, comunque, salva la facoltà dell’ARPA territorialmente competente di esprimersi sulla compatibilità delle CSC rilevate nel sito con le condizioni geologiche, idrogeologiche e antropiche del contesto territoriale in cui esso è inserito. In tale caso le CSC riscontrate nel sito sono ricondotte ai valori di fondo.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Omessa segnalazione di evento potenzialmente inquinante: è reato

    In tema di bonifica dei siti inquinati, il reato previsto dall’art. 257, comma 1, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è integrato dalla omessa segnalazione che il responsabile dell’inquinamento è obbligato ad effettuare alle autorità indicate in base all’art. 242 del medesimo Decreto in conseguenza del semplice verificarsi dell’evento potenzialmente inquinante e prescinde dal superamento delle soglie di contaminazione dell’area inquinata:

    • Cass., sez. III, n. 2023/2017

    • Cass., sez. III, n. 5757/2014

    • Cass., sez. III, n. 40191/2007

    Il reato di mancata comunicazione agli enti preposti, prevista in caso di imminente minaccia di danno ambientale ai sensi degli artt. 242 e 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è ascrivibile al responsabile dell’evento potenzialmente inquinante e non a colui che, essendo proprietario del terreno, non lo abbia cagionato:

    • Cass., sez. III, n. 2686/2019

    Individuazione del soggetto responsabile della bonifica

    In tema di gestione dei rifiuti, ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile per l’omessa bonifica ex art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in caso di successione nelle organizzazioni complesse nella carica di amministratore, può sussistere la responsabilità dell’amministratore cessato dalla carica, eventualmente in concorso con quello subentrante: a) nel caso di fittizietà della nomina di quest’ultimo; b) se abbia fornito un contributo, morale o materiale, alla omissione compiuta dalla persona subentrata ed obbligata; c) nel caso in cui l’omissione si sia realizzata mentre era ancora in carica:

    • Cass., sez. IV, n. 29627/2016

    • Cass., sez. V, n. 14332/2014

    • Cass., sez. III, n. 3206/2014

    In caso di successione nelle organizzazioni complesse nella carica di amministratore, è configurabile la responsabilità dell’amministratore subentrante, atteso che su questi grava l’obbligo di verifica della realtà gestionale, con riferimento ai progetti di bonifica approvati o da eseguire, ed alla sussistenza delle condizioni di fatto che impongono di procedere alla bonifica per le pregresse attività di contaminazione:

    • Cass., sez. IV, n. 296272/2016

    Reato di omessa bonifica: rilevano anche le condotte ostruzionistiche

    Il reato di omessa bonifica dei siti inquinati è configurabile non solo nel caso in cui il soggetto obbligato non vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 ss., D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma anche in quello in cui impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e, quindi, la sua realizzazione, non attuando il piano di caratterizzazione necessario per la predisposizione del piano di bonifica:

    • Cass., sez. III, n. 17813/18

    Le difficoltà economiche non scriminano dal reato di omessa bonifica

    In tema di bonifica dei siti inquinati, per escludere la responsabilità dal reato di cui all’art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è necessaria la sussistenza di una causa di giustificazione positivamente disciplinata dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità, oggettiva o soggettiva. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che costituissero causa di inesigibilità della condotta del ricorrente le difficoltà economiche del consorzio di gestione di una discarica, di cui il predetto era amministratore):

    • Cass., sez. III, n. 17813/2018

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO n. 6/2021: “Curatore fallimentare e obblighi di bonifica: aggiornamento alla luce della giurisprudenza più recente” di Federico Vanetti, Enrica Ippolito

    7.5.3 La procedura semplificata ex art. 242-bis

    7.5.3La procedura semplificata ex art. 242-bis

    L’operatore interessato a effettuare, a proprie spese, interventi di bonifica del suolo con riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore alle CSC, può presentare all’amministrazione competente (v. artt. 242 oppure 252) uno specifico progetto completo degli interventi programmati sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito, nonché del cronoprogramma di svolgimento dei lavori. La caratterizzazione e il relativo progetto di bonifica non sono sottoposti alle procedure di approvazione ordinarie (v. artt. 242 o 252), ma a controllo previsto dalla stessa procedura semplificata, per la verifica del conseguimento dei valori di CSC nei suoli per la specifica destinazione d’uso. L’operatore è responsabile della veridicità dei dati e delle informazioni forniti, ai sensi della Legge n. 241/1990.

    Qualora il progetto di bonifica riguardi un sito di estensione superiore a 15.000 mq, esso può essere attuato in non più di tre fasi, ciascuna delle quali è soggetta al termine di esecuzione, sotto indicato. Nel caso di bonifica di un sito avente estensione superiore a 400.000 mq, il numero delle fasi o dei lotti funzionali in cui si articola il progetto è stabilito dallo specifico crono-programma, ivi annesso, la cui definizione deve formare oggetto di intesa con l’autorità competente. Il crono-programma deve precisare, in particolare, gli interventi per la bonifica e le misure di prevenzione e messa in sicurezza relativi all’intera area, con riferimento anche alle acque di falda.

    Per il rilascio degli atti di assenso necessari alla realizzazione e all’esercizio degli impianti e attività previsti dal progetto di bonifica l’interessato presenta gli elaborati tecnici esecutivi di tali impianti e attività alla regione nel cui territorio ricade la maggior parte degli impianti e delle attività, che, entro i successivi trenta giorni, convoca apposita conferenza di servizi. Entro novanta giorni dalla convocazione, la regione adotta la determinazione conclusiva che sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato. Non oltre trenta giorni dalla comunicazione dell’atto di assenso, il soggetto interessato comunica all’amministrazione titolare del procedimento (v. artt. 242 o 252) e all’ARPA territorialmente competente, la data di avvio dell’esecuzione della bonifica che si deve concludere nei successivi diciotto mesi, salva eventuale proroga non superiore a sei mesi; decorso tale termine, salvo motivata sospensione, deve essere avviato il procedimento ordinario (v. artt. 242 o 252).

    Nella selezione della strategia di intervento dovranno essere privilegiate modalità tecniche che minimizzino il ricorso allo smaltimento in discarica. In particolare, nel rispetto dei principi di cui alla parte IV, D.Lgs. n. 152/2006, dovrà essere privilegiato il riutilizzo in situ dei materiali trattati.

    Ultimati gli interventi di bonifica, l’interessato presenta il piano di caratterizzazione all’autorità competente (v. artt. 242 o 252), al fine di verificare il conseguimento dei valori di CSC della matrice suolo per la specifica destinazione d’uso. Il piano è approvato nei successivi quarantacinque giorni. In via sperimentale, per i procedimenti avviati entro il 31 dicembre 2017, decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente, il piano di caratterizzazione si intende approvato. L’esecuzione di tale piano è effettuata in contraddittorio con l’ARPA territorialmente competente, che procede alla validazione dei relativi dati e ne dà comunicazione all’autorità titolare del procedimento di bonifica entro quarantacinque giorni.

    La validazione dei risultati del piano di campionamento di collaudo finale da parte dell’ARPA, che conferma il conseguimento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione nei suoli, costituisce certificazione dell’avvenuta bonifica del suolo. I costi dei controlli sul piano di campionamento finale e della relativa validazione sono a carico dell’operatore interessato.

    Ove i risultati del campionamento di collaudo finale dimostrino che non sono stati conseguiti i valori di CSC nella matrice suolo, l’ARPA comunica le difformità riscontrate all’autorità titolare del procedimento di bonifica e al soggetto interessato, che deve presentare, entro i successivi quarantacinque giorni, le necessarie integrazioni al progetto di bonifica che è istruito nel rispetto delle procedure ordinarie (v. artt. 242 o 252).

    Resta fermo l’obbligo di adottare le misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, se necessarie, secondo le procedure di cui agli artt. 242 o 252.

    Conseguiti i valori di CSC del suolo, il sito può essere utilizzato in conformità alla destinazione d’uso prevista secondo gli strumenti urbanistici vigenti, salva la valutazione di eventuali rischi sanitari per i fruitori del sito derivanti dai contaminanti volatili presenti nelle acque di falda.

    7.5.4 Interventi e opere nei siti oggetto di bonifica ex art. 242-ter e D.M. n. 45/2023

    7.5.4Interventi e opere nei siti oggetto di bonifica ex art. 242-ter e D.M. n. 45/2023

    Nei siti oggetto di bonifica, inclusi i SIN (Siti di Interesse Nazionale), possono essere realizzati i progetti del PNNR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative, nonché opere lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi e, più in generale, altre opere lineari di pubblico interesse, di sistemazione idraulica, di mitigazione del rischio idraulico, opere per la realizzazione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo, esclusi gli impianti termoelettrici, fatti salvi i casi di riconversione da un combustibile fossile ad altra fonte meno inquinante o qualora l’installazione comporti una riduzione degli impatti ambientali rispetto all’assetto esistente, opere con le medesime connesse, infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, nonché le tipologie di opere e interventi individuati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, a condizione che detti interventi e opere siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il completamento della bonifica, né determinino rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area nel rispetto del D.Lgs. n. 81/2008.

    Le suddette disposizioni si applicano anche per la realizzazione di opere che non prevedono scavi, ma comportano occupazione permanente di suolo, a condizione che il sito oggetto di bonifica sia già caratterizzato. La valutazione del rispetto delle condizioni, sopra indicate, è effettuata da parte dell’autorità competente ai sensi del Titolo V, Parte quarta, nell’ambito dei procedimenti di approvazione e autorizzazione degli interventi e, ove prevista, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale. Per gli interventi e le opere, sopra individuati, nonché per quelle di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 120/2017, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica con proprio decreto per le aree ricomprese nei siti di interesse nazionale, e le regioni per le restanti aree, provvedono all’individuazione delle categorie di interventi che non necessitano della preventiva valutazione da parte dell’Autorità competente ai sensi del Titolo V, Parte quarta, e, qualora necessaria, definiscono i criteri e le procedure per la predetta valutazione nonché le modalità di controllo.

    Ai fini del rispetto delle condizioni, sopra indicate, sono rispettate le seguenti procedure e modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati:

    • nel caso in cui non sia stata ancora realizzata la caratterizzazione dell’area oggetto dell’intervento, il soggetto proponente accerta lo stato di potenziale contaminazione del sito mediante un Piano di indagini preliminari. Il Piano, comprensivo della lista delle analisi da ricercare, è concordato con l’ARPA che si pronuncia entro il termine di trenta giorni dalla richiesta del proponente, eventualmente stabilendo particolari prescrizioni in relazione alla specificità del sito. In caso di mancata pronuncia nei termini da parte dell’ARPA, il Piano di indagini preliminari è concordato con l’ISPRA che si pronuncia entro i quindici giorni successivi su segnalazione del proponente. Il proponente, trenta giorni prima dell’avvio delle attività d’indagine, trasmette agli enti interessati il piano con la data di inizio delle operazioni. Qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il soggetto proponente ne dà immediata comunicazione con le forme e le modalità di cui all’art. 245, comma 2, con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate;

    • in presenza di attività di messa in sicurezza operativa già in essere, il proponente può avviare la realizzazione degli interventi e delle opere previa comunicazione all’ARPA da effettuarsi con almeno quindici giorni di anticipo rispetto all’avvio delle opere. Al termine dei lavori, l’interessato assicura il ripristino delle opere di messa in sicurezza operativa;

    • le attività di scavo sono effettuate con le precauzioni necessarie a non aumentare i livelli di inquinamento delle matrici ambientali interessate e, in particolare, delle acque sotterranee. Le eventuali fonti attive di contaminazione, quali rifiuti o prodotto libero, rilevate nel corso delle attività di scavo, sono rimosse e gestite nel rispetto delle norme in materia di gestione dei rifiuti.

      I terreni e i materiali provenienti dallo scavo sono gestiti nel rispetto del D.P.R. n. 120/2017.

    • Ove l’indagine preliminare accerti che il livello delle CSC non sia stato superato, per i siti di interesse nazionale il procedimento si conclude secondo le modalità previste dall’art. 252 e per gli altri siti nel rispetto di quanto previsto dall’art. 242.

      Ai fini della definizione dei valori di fondo naturale si applica la procedura prevista dall’art. 11, D.P.R. n. 120/2017. È fatta comunque salva la facoltà dell’ARPA di esprimersi sulla compatibilità delle CSC rilevate nel sito con le condizioni geologiche, idrogeologiche e antropiche del contesto territoriale in cui esso è inserito. In tale caso le CSC riscontrate nel sito sono ricondotte ai valori di fondo.

    Il decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica del 26 gennaio 2023, n. 45, attuativo dell’art. 242-ter, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha distinto le diverse tipologie di interventi e di opere in funzione dell’impatto, anche potenziale, che possono esercitare sulle matrici ambientali, e in funzione di specifiche caratteristiche dell’area interessata, con conseguente diversificazione della procedura di valutazione delle interferenze, secondo le seguenti cinque tipologie di interventi e opere:

    • interventi e opere che per loro natura possono essere realizzati liberamente senza alcun titolo abilitativo;

    • interventi e opere che possono essere realizzati mediante relazione tecnica asseverata da parte di un tecnico abilitato;

    • interventi e opere che possono essere realizzati, in presenza di attività di messa in sicurezza operativa del sito, mediante comunicazione;

    • interventi e opere che possono essere realizzati mediante relazione tecnica asseverata da parte di un tecnico abilitato, previa acquisizione del quadro ambientale, che rispettano specifici requisiti tecnico-costruttivi e ambientali;

    • interventi e opere soggetti a valutazione delle interferenze.

    Non sono soggette alle disposizioni del citato decreto ministeriale gli interventi e le opere, ivi compresi gli impianti e le attrezzature, necessari all’attuazione del progetto di bonifica e di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché i pozzi di emungimento per le finalità di cui alla parte quarta, titolo V, del D.Lgs. n. 152 del 2006, oggetto di approvazione ai sensi dell’art. 252, comma 6, del medesimo decreto legislativo.

    La realizzazione degli interventi e opere nei SIN, laddove prevista, è assoggettata alla preventiva valutazione da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di cui all’art. 242-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, o di cui all’art. 25, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 120 del 2017, a seconda della tipologia di intervento e opera. La valutazione delle interferenze è svolta nell’ambito dei procedimenti di approvazione e autorizzazione degli interventi e, ove prevista, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale. È fatta salva comunque la possibilità da parte del proponente di chiedere la valutazione anche fuori da tali casi, direttamente al Ministero. Gli elementi conoscitivi delle matrici ambientali del sito e, con un maggior dettaglio, dell’area di intervento, sono acquisiti secondo le modalità indicate all’art. 9, comma 2, in funzione della tipologia di intervento e opera.

    La modulistica per la presentazione dell’istanza di avvio del procedimento di valutazione delle interferenze è riportata sul sito del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (vedi Decreto Direttoriale DG USSRI 29 novembre 2023, n. 458).

    7.5.5 La gestione delle acque sotterranee emunte ex art. 243

    7.5.5La gestione delle acque sotterranee emunte ex art. 243

    Al fine di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, secondo quanto previsto dall’art. 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee, deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche.

    Il ricorso al barrieramento fisico è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi sopra indicati secondo le modalità dallo stesso previste.

    L’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

    Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006.

    Ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. A tal fine il progetto di bonifica deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono essere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d’impiego.

    Il trattamento delle acque emunte, da effettuarsi anche in caso di utilizzazione nei cicli produttivi in esercizio nel sito, deve garantire un’effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali. Al fine di garantire la tempestività degli interventi di messa in sicurezza, di emergenza e di prevenzione, i termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico sono dimezzati.

    7.5.6 Ordinanze (art. 244)

    7.5.6Ordinanze (art. 244)

    Le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori delle CSC, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.

    La provincia, ricevuta la comunicazione, dopo aver svolto le opportune indagini volte a identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere. L’ordinanza è comunque notificata anche al proprietario del sito.

    Qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi necessari sono adottati dall’amministrazione competente (v. art. 250).

    7.5.7 Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione (art. 245)

    7.5.7Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione (art. 245)

    Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili.

    Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione (v. art. 242), il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle CSC deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. Il procedimento è interrotto qualora il soggetto non responsabile della contaminazione esegua volontariamente il piano di caratterizzazione nel termine perentorio di sei mesi dall’approvazione o comunicazione previste dall’art. 252, comma 4. In tal caso, il procedimento per l’identificazione del responsabile della contaminazione deve concludersi nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento delle risultanze della caratterizzazione validate dall’ARPA.

    È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità.

    Con la nota del Ministero dell’Ambiente 23 gennaio 2018, n. 1495 sono forniti chiarimenti in merito agli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione, oltre che all’onere probatorio ed all’inquinamento diffuso.

    Il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Proprietario non responsabile: limiti dell’obbligo d’intervento

    Il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto, ai sensi dell’art. 245, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale. A tale regime fa eccezione l’ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile, abbia attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, assumendo spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica:

    • Consiglio di Stato, 4 agosto 2021, n. 5742

    La Corte di Giustizia, nella sentenza del 4 marzo 2015 C-524/13, ha stabilito che “affinché il regime di responsabilità ambientale sia efficace, è necessario che sia accertato dall’autorità competente un nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili e il danno ambientale concreto e quantificabile al fine dell’imposizione a tale operatore o a tali operatori di misure di riparazione, a prescindere dal tipo di inquinamento di cui trattasi”; la Corte ha altresì affermato che “nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione” il proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, è comunque tenuto “al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”:

    • Corte di Giustizia, 4 marzo 2015, n. C-524/13

    In ogni caso, il proprietario o gestore, ancorché non responsabile dell’inquinamento, è tenuto a porre in essere adeguate misure di prevenzione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 240, comma 1, lett. l) e 245, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006:

    • Corte di Giustizia, 9 marzo 2010, n. C-378/08

    Si evidenzia, inoltre, che con la recente sentenza 8 marzo 2017, n. 1089 il Consiglio di Stato ha chiarito che anche “la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra pertanto nelle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’accertamento del dolo o della colpa” [...(“l’affermazione dell’obbligo del proprietario di adottare misure di prevenzione per eliminare/ridurre rischi sanitari e ambientali derivanti dalla contaminazione è conforme al regime giuridico vigente” (cfr., in termini, CDS, sez. V, n. 1509/2016 e sez. VI, n. 3544/15; TAR Campania - Napoli, n. 377/2017; TAR Lombardia - Milano, nn. 1914/2015 e 1915/2015 e nn. 927/2016 e 928/2016):

    • Consiglio di Stato, 8 marzo 2017, n. 1089

    Schema 1 - Nota MATT 23 gennaio 2018, n. 1495

    ✔ ESEMPIO

    Nota: problema della cosiddetta “contaminazione diffusa” in Campania

    La ricostruzione storica dell’origine di alcune discariche in Campania, o meglio invasi, soprattutto quelle più vecchie e nate prima della Delibera Interministeriale del 1984, nelle geometrie e nelle caratteristiche generali è dunque molto importante per verificare l’impatto antropico che determinano nei luoghi in cui sono posizionate. Accanto a quelle più vecchie, spesso, come abbiamo detto, ne nascono altre in epoca recente, motivo per non andare a utilizzare nuovi siti. Ne consegue che spesso in un’unica area omogenea sorgono più discariche, di età diversa e quindi di tecnologia diversa, riconducibili anche a diversi gestori. Nel caso di un’attività di accertamento tecnico disposta dall’Autorità Giudiziaria, per uno o più di questi invasi, nasce il dubbio di chi inquina che cosa e quindi dell’attribuzione della responsabilità (“chi inquina paga”). I piezometri (pozzi spia) facenti capo al Piano di Monitoraggio e Controllo di qualsiasi discarica (vecchia e meno vecchia) assolvono proprio questo compito, meglio ancora se in contemporanea con sensoristica di sottotelo che permetta l’intercettazione di eventuali falle del telo di confinamento degli invasi con conseguente fuoriuscita di percolato e da qui l’eventuale migrazione verso corpi idrici sotterranei. Il tutto si complica quando, in zone pianeggianti e prossime al mare, lo spostamento delle acque sotterranee è talmente blando che alla fine risulta anche difficile stabilire la direzionalità delle stesse che sono poi di fatto influenzate dal richiamo drenante di pozzi in emungimento in zona, anche con variazioni di portata durante le varie stagioni dell’anno. In questo modo risulta molto difficile appellarsi alla “contaminazione diffusa” che è una porta aperta alla non attribuzione del danno ambientale nei confronti del responsabile. Tali piezometri, poi, possono anche essere utilizzati per altri scopi, ad esempio per lo studio dell’eutrofizzazione delle acque sotterranee (ad es. da nitrati di origine agricola), come da normativa sulle perimetrazioni di aree da regolamentare per l’utilizzo dei nitrati in agricoltura. Tali piezometri possono infatti essere realizzati ad esempio dalle varie ARPA Regionali e controllati con attività istituzionale. Venendo alla cosiddetta “contaminazione diffusa” ed alla relativa attribuzione del danno ambientale, come caso pratico si considera sempre l’area a Nord di Napoli e a cavallo con la Provincia di Caserta, ove la numerosa presenza di più invasi, di più discariche di più soggetti gestori (sia pubblici che privati) ha determinato un forte impatto antropico dei luoghi. Il lavoro, molto complesso in quanto i parametri in gioco sono molteplici, ha dato un esito molto preciso: si è soffermato inoltre al calcolo (nello spazio e nel tempo) della dispersione di alcune sostanze disciolte in acqua di provenienza dal percolato fuoriuscito, come ad esempio il tetracloro-etilene (o percloroetilene PCE) ed il benzene (ed altri). Un modello concettuale di questo tipo (dispersione dei contaminanti in falda) deve tenere in considerazione soprattutto il tempo, l’inizio della contaminazione, ovvero l’età dell’inizio dell’abbancamento dei rifiuti e la loro posizione nel sottosuolo (distanza dal tetto dell’acquifero con la base degli invasi) tenendo conto anche della presenza o meno di presidi artificiali di barrieramento, se conosciuti (teli e/o strati impermeabilizzanti in aggiunta/sostituzione). Per dare una risposta precisa a questo aspetto molto importante, non vi sono che due strade da percorrere:

    • attività di indagine diretta con perforazione puntuale entro il corpo rifiuti (carotaggi a recupero) sino alla base dell’invaso, ed oltre, alla ricerca della barriera di confinamento profonda, ove presente (con successivo ed idoneo ripristino, tecnica ormai all’ordine del giorno);

    • attività di indagine indiretta di tipo geofisico che permette di lavorare in un ambito spaziale d’indagine maggiore ma ove spesso le condizioni logistiche non sono ottimali per ottenere profili verticali sufficientemente profondi per arrivare ad indagare sino alla base e oltre il corpo dei rifiuti che, come abbiamo detto, in queste aree raggiunge una profondità prossima ai 25-27 m dal piano campagna.

    È stato facile, ad esempio, estrarre dal carotiere posizionato sopra il corpo rifiuti, i “dischi” del telo in polietilene al fondo perforato (ove originariamente presente) per poi effettuarvi un’analisi di laboratorio delle caratteristiche residue. È stato inoltre possibile localizzare le fuoriuscite di percolato al di sotto e soprattutto ai lati degli invasi ed i relativi accumuli (sacche, bolle) nel sottosuolo, dando anche la possibilità di spiegare la presenza di contaminanti in quei piezometri posizionati al margine degli invasi ma in posizione ritenuta di monte idrogeologico. Per questa ricerca è stata utile l’attività di geofisica lungo il perimetro esterno degli invasi, anche lato monte idrogeologico, che ha permesso l’individuazione delle sacche di percolato, sacche poi raggiunte (e confermate) dai carotaggi con recupero dei materiali. In teoria, nel caso di affollamento di più discariche, più invasi e più gestori, il gestore di un impianto di valle idrogeologico può accusare il gestore di un impianto subito a monte di essere il responsabile della contaminazione ravvisata ed in arrivo al proprio impianto. Ma è facile capire, che per data di coltivazione (inizio contaminazione), tempo di migrazione del tracciante contaminante e direzione del flusso idrico sotterraneo, le teoriche interferenze tra i due impianti possono essere facilmente verificate. Con tutti questi accorgimenti, che alla fine possono essere teorici, oltre che pratici, ovvero fermo restando i punti di monitoraggio di ciascun invaso che ogni Gestore è obbligato ad avere, considerata anche l’integrazione nella macroaerea prospettata e affrontata dalla pubblica amministrazione, si ha la possibilità di escludere già di partenza la cosiddetta “contaminazione diffusa” che ha come paternità l’ignoto, quando di ignoto in certi contesti non può e non deve esserci alcunché. Questa è anche la dimostrazione della presenza di contaminanti nella seconda falda più profonda, confinata, ad opera appunto di quei pozzi disperdenti che pescano in essa. Una volta che il percolato raggiunge la fase satura (l’acquifero) oltre ad una forte diluizione iniziale, si ha una lenta migrazione verso valle idrogeologico che è rappresentata, nel nostro caso, da una direzione di dispersione con direzione E/SE-O/NO, a velocità quantificata in pochi cm al giorno (se senza richiami da parte di pozzi locali in emungimento). Nella Figura, si ha la ricostruzione della migrazione del PCE in falda calcolata per 20 anni e sulle risultanze analitiche tratte dalla campagna di indagine del 2010-2011. In questa simulazione si notano due punti teorici di partenza della migrazione della contaminazione, una sorgente al centro della Figura, a monte idrogeologico (S5 e S6), ed una più a valle, (S1-S2-S3 e S4), il tutto calcolato nell’arco di tempo di 20 anni (stabilito dall’inizio della contaminazione presunta (1990-91) sino al periodo dell’accertamento 2010-2011). Si notano due aspetti principali:

    • la contaminazione in arrivo da monte idrogeologico (da S5 e S6), non interseca la contaminazione registrata più a valle (in S1-S2-S3 e S4), pertanto non vie è interazione fra le due contaminazioni riscontrate.

    • La presenza di contaminazione registrata al perimetro di Monte idrogeologico della sorgente S1÷S4 nasce dallo “spanciamento” laterale del percolato dell’invaso subito adiacente, situazione confermata sul campo dalla geofisica e dai carotaggi appositamente posizionati per verifica.

    Questo studio, brevemente ora descritto, ha reso possibile stabilire che la contaminazione che si origina dagli invasi in S1-S4 è univocamente riconducibile agli invasi stessi sottesi e non è stata influenzata/raggiunta dalla contaminazione in arrivo da altre sorgenti contaminanti di monte idrogeologico (nel caso descritto, da S5-S6). La contaminazione in S1-S4 non è pertanto il frutto di una “contaminazione diffusa” che si sta propagando negli anni per l’intera prima falda acquifera della piana campana-Agro aversano verso l’impianto più di valle idrogeologico, bensì è un fenomeno da correlarsi esclusivamente al mal governo della Discarica alla quale sottendono i pozzi spia in esame.

    Figura 2 - Ricostruzione della migrazione del PCE in falda in 20 anni (da Commissariato di Governo alle Bonifiche, area vasta, Studio di modellistica idrogeologica, Allegato 44, pag. 171, gennaio 2014)

    7.5.8 Accordi di programma (art. 246)

    7.5.8Accordi di programma (art. 246)

    I soggetti obbligati agli interventi ed i soggetti altrimenti interessati hanno diritto di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma stipulati, entro sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, con le amministrazioni competenti.

    Nel caso in cui vi siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica di una pluralità di siti che interessano il territorio di più Regioni, i tempi e le modalità di intervento possono essere definiti con appositi accordi di programma stipulati, entro 12 mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, con le Regioni interessate. Nel caso in cui vi siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica di una pluralità di siti dislocati su tutto il territorio nazionale o vi siano più soggetti interessati alla bonifica di un medesimo sito di interesse nazionale, i tempi e le modalità di intervento possono essere definiti con accordo di programma da stipularsi, entro 18 mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio con il Ministro della transizione ecologica, di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

    7.5.9 Siti soggetti a sequestro (art. 247) e controlli (art. 248)

    7.5.9Siti soggetti a sequestro (art. 247) e controlli (art. 248)

    Nel caso in cui il sito inquinato sia soggetto a sequestro, l’autorità giudiziaria che lo ha disposto può autorizzare l’accesso al sito per l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, anche al fine di impedire l’ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione ambientale.

    La documentazione relativa al piano della caratterizzazione del sito e al progetto operativo, comprensiva delle misure di riparazione, dei monitoraggi da effettuare, delle limitazioni d’uso e delle prescrizioni eventualmente dettate, è trasmessa alla Provincia e all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente competenti ai fini dell’effettuazione dei controlli sulla conformità degli interventi ai progetti approvati e sui tempi di esecuzione degli interventi (v. art. 242).

    Il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall’ARPA. Qualora la Provincia non provveda a rilasciare tale certificazione entro trenta giorni dal ricevimento della relazione tecnica provvede, nei successivi sessanta giorni, la Regione, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni.

    Nel caso gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente alle predette matrici ambientali, ad esito delle verifiche di cui alla procedura definita dall’art. 242. In tal caso, la certificazione di avvenuta bonifica dovrà comprendere anche un piano di monitoraggio con l’obiettivo di verificare l’evoluzione nel tempo della contaminazione rilevata nella falda.

    La certificazione costituisce titolo per lo svincolo delle garanzie finanziarie, previste dall’art. 242.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    La bonifica non fa venir meno il sequestro preventivo

    Il sequestro preventivo dell’area su cui è stata realizzata una discarica abusiva deve essere mantenuto anche qualora i luoghi siano stati sottoposti a bonifica, in quanto, trattandosi di bene del quale è prevista la confisca obbligatoria ex art. 256, comma 3, D,Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, tale circostanza non fa venir meno le esigenze di cautela sottese all’adozione del provvedimento:

    • Cass., sez. III. 847/2019

    7.5.10 Bonifica da parte dell’amministrazione (art. 250)

    7.5.10Bonifica da parte dell’amministrazione (art. 250)

    Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente, ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi sono realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla Regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica entro il termine di novanta giorni dalla mancata individuazione del soggetto responsabile della contaminazione o dall’accertato inadempimento da parte dello stesso. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio.

    Per favorire l’accelerazione degli interventi per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, le regioni, le province autonome e gli enti locali individuati quali soggetti beneficiari e/o attuatori, previa stipula di appositi accordi sottoscritti con il Ministero della transizione ecologica, possono avvalersi, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, attraverso la stipula di apposite convenzioni, delle società in house del medesimo Ministero.

    7.5.11 Lo stato di attuazione degli interventi in Italia (art. 251)

    7.5.11Lo stato di attuazione degli interventi in Italia (art. 251)

    L’art. 251 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Censimento ed anagrafe dei siti da bonificare”, come già il D.M. n. 471/1999 aveva fatto, stabilisce che le Regioni e le Province autonome, sulla base dei criteri definiti dall’ISPRA, predispongano l’anagrafe dei siti oggetto di procedimento di bonifica, la quale deve contenere: l’elenco dei siti sottoposti a intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica e gli enti pubblici di cui la Regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati; gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell’esecuzione d’ufficio, fermo restando l’affidamento delle opere necessarie mediante gara pubblica ovvero il ricorso alle procedure dell’art. 242.

    Qualora, all’esito dell’analisi di rischio sito specifica, venga accertato il superamento delle CSR, tale situazione viene riportata dal certificato di destinazione urbanistica, nonché dalla cartografia e dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale del comune e viene comunicata all’Ufficio tecnico erariale competente.

    Lo stesso articolo stabilisce inoltre che “per garantire l’efficacia della raccolta e del trasferimento dei dati e delle informazioni, l’ISPRA definisce, in collaborazione con le Regioni e le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, i contenuti e la struttura dei dati essenziali dell’anagrafe, nonché le modalità della loro trasposizione in sistemi informativi collegati alla rete del Sistema informativo nazionale dell’ambiente (SINA)”.

    Lo stato di avanzamento degli interventi di bonifica del suolo e/o delle acque è rappresentato attraverso sei fasi:

    • procedimento avviato;

    • caratterizzazione avviata;

    • caratterizzazione conclusa;

    • progetto di bonifica proposto ma non approvato;

    • progetto di bonifica approvato;

    • sito bonificato e/o svincolato.

    La gestione amministrativa dei procedimenti di bonifica dei SIN è particolarmente complessa in quanto in ciascuna delle aree perimetrale ricadono proprietà di diversi soggetti (pubblici e privati).

    I Siti di Interesse Nazionale (SIN) si concentrano nelle aree soggette a elevato impatto antropico (aree industriali attive o dismesse, aree portuali, discariche, aree estrattive, etc.).

    Alcuni dei Siti di Interesse Nazionale sono particolarmente estesi e/o caratterizzati da livelli di contaminazione storica dei terreni e delle acque di falda tali da rendere difficilmente attuabili, dal punto di vista tecnico, economico e ambientale, interventi di recupero totale in tempi medio-brevi (ad es: Porto Marghera).

    Oltre ai SIN, esistono poi diverse migliaia di siti contaminati o potenzialmente contaminati di competenza regionale che, sulla base della normativa vigente, dovrebbero essere inseriti in apposite “Anagrafi regionali dei siti da bonificare”.

    Un aspetto particolare è rappresentato dai brownfields, siti abbandonati, inattivi o sotto-utilizzati, che hanno ospitato in passato attività produttive, in genere industriali o commerciali, e per i quali il recupero è ostacolato da una situazione, reale o potenziale, di inquinamento storico. Tali siti sono spesso localizzati all’interno del territorio urbano e pertanto hanno un alto potenziale economico.

    ✔ ESEMPIO

    In Italia, le Regioni con il maggior numero di brownfields sono quelle del Nord, in particolare Lombardia, Piemonte e Veneto in cui, nei decenni passati, si è avuto il più intenso sviluppo industriale. Il Centro-Sud si caratterizza, invece, per la presenza di poche ma estese zone industriali, testimoni di uno sviluppo concentrato in un limitato numero di aree.

    Nota: per quanto riguarda la contaminazione diffusa manca ancora un quadro omogeneo su scala nazionale, ma problemi legati al fenomeno sono presenti in quasi tutte le Regioni italiane. Accumuli di metalli pesanti nei suoli sono segnalati in vicinanza delle infrastrutture stradali (Pb), nei comprensori vinicoli (Cu) e nelle aree ad agricoltura intensiva. Suoli contaminati da composti organici sono presenti in prossimità di aree industriali, con una particolare rilevanza in Campania dove l’inquinamento da PCB, furani e diossine rappresenta un problema di notevole rilievo.

    Per quanto riguarda l’inquinamento da nitrati, i dati disponibili evidenziano surplus di azoto oltre che di fosforo praticamente in tutte le Regioni italiane, comunque con un trend in progressivo decremento.

    I valori più elevati si registrano nelle aree ad agricoltura intensiva, in particolare in alcune Regioni della Pianura padana.

    7.5.12 Siti di interesse nazionale (SIN) (art. 252)

    7.5.12Siti di interesse nazionale (SIN) (art. 252)

    I siti d’interesse nazionale sono stati individuati con norme di varia natura e di regola sono stati perimetrati mediante decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (ora MiTE - Ministero della Transizione Ecologica), d’intesa con le regioni interessate.

    Ai fini della perimetrazione del sito, inteso nelle diverse matrici ambientali compresi i corpi idrici superficiali e i relativi sedimenti, sono sentiti i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili nonché dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili. I valori d’intervento sito-specifici delle matrici ambientali in aree marine, che costituiscono i livelli di contaminazione al di sopra dei quali devono essere previste misure d’intervento funzionali all’uso legittimo delle aree e proporzionali all’entità della contaminazione, sono individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministero della transizione ecologica su proposta dell’ISPRA.

    Figura 3 - Siti di Interesse Nazionale in Italia (Fonte: elaborazione ISPRA 2021)

    La perimetrazione dei SIN può variare nel tempo con incrementi o riduzioni delle superfici coinvolte sulla base di nuove informazioni sulla contaminazione potenziale e/o accertata di nuove aree o sulla base di una più accurata definizione delle zone interessate dalle potenziali sorgenti di contaminazione.

    La superficie complessiva a terra dei SIN è pari a circa 170.000 ettari e rappresenta lo 0,57% della superficie del territorio italiano. L’estensione complessiva delle aree a mare ricomprese nei SIN è pari a 77.000 ettari.

    La procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei SIN è attribuita alla competenza del MITE, sentito il Ministero dello sviluppo economico. Il MITE può avvalersi anche dell’ISPRA, delle ARPA delle regioni interessate e dell’ISS nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati. A condizione che siano rispettate le norme tecniche adottate con decreto MITE per l’esecuzione del piano di caratterizzazione, il piano di caratterizzazione può essere eseguito decorsi sessanta giorni dalla comunicazione di inizio attività al MITE. Qualora lo stesso Ministero accerti il mancato rispetto delle norme tecniche sopra indicate, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio o di prosecuzione delle operazioni, salvo che il proponente non provveda a conformarsi entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dal medesimo Ministero.

    Il soggetto responsabile dell’inquinamento o altro soggetto interessato accerta lo stato di potenziale contaminazione del sito mediante un Piano di indagini preliminari. Il Piano, comprensivo della lista degli analiti da ricercare, è concordato con l’ARPA territorialmente competente che si pronuncia entro e non oltre il termine di trenta giorni dalla richiesta del proponente, eventualmente stabilendo particolari prescrizioni in relazione alla specificità del sito. In caso di mancata pronuncia nei termini da parte dell’ARPA, il Piano di indagini preliminari è concordato con l’ISPRA, che si pronuncia entro e non oltre i quindici giorni successivi su segnalazione del proponente o dell’autorità competente. Il proponente, trenta giorni prima dell’avvio delle attività d’indagine, trasmette al MITE, alla regione, al comune, alla provincia e all’ARPA competenti il Piano con la data di inizio delle operazioni. Qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, si applica la procedura di cui agli artt. 242 e 245. Ove si accerti che il livello delle CSC non sia stato superato, il medesimo soggetto provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al MITE, alla regione, al comune, alla provincia e all’ARPA competenti entro novanta giorni dalla data di inizio delle attività di indagine. L’autocertificazione conclude il procedimento, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte della provincia competente da concludere nel termine di novanta giorni dalla data di acquisizione dell’autocertificazione, decorsi i quali il procedimento di verifica si considera definitivamente concluso.

    In alternativa alla procedura di cui all’art. 242, il responsabile della potenziale contaminazione o altro soggetto interessato al riutilizzo e alla valorizzazione dell’area, può presentare al MITE gli esiti del processo di caratterizzazione del sito eseguito nel rispetto delle procedure previste nell’allegato 2, Titolo V, D.Lgs. n. 152/2006, allegando i risultati dell’analisi di rischio sito specifica e dell’applicazione a scala pilota, in campo, delle tecnologie di bonifica ritenute idonee. Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore alle CSR, il MITE approva, nel termine di novanta giorni, l’analisi di rischio con il procedimento sopra indicato e contestualmente indica le condizioni per l’approvazione del progetto operativo di bonifica (v. art. 242). Sulla base delle risultanze istruttorie, il MITE può motivatamente chiedere la revisione dell’analisi di rischio previa esecuzione di indagini integrative ove necessarie. Nei successivi sessanta giorni il proponente presenta il progetto e il MITE lo approva. Il potere di espropriare è attribuito al comune sede dell’opera. Ove il progetto debba essere sottoposto alla procedura di verifica di assoggettabilità o a VIA, il procedimento è sospeso fino all’acquisizione della pronuncia dell’autorità competente ai sensi della parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006. Qualora il progetto sia sottoposto a VIA di competenza regionale, i titoli abilitativi per la realizzazione e l’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessari all’attuazione del progetto operativo sono ricompresi nel provvedimento autorizzatorio unico regionale.

    Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile oppure non provveda il proprietario del sito contaminato né altro soggetto interessato, gli interventi sono predisposti dal MITE, avvalendosi dell’ISPRA, dell’ISS e dell’ENEA, nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati, anche coordinati fra loro.

    L’autorizzazione del progetto e dei relativi interventi ricomprende a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l’altro, quelli relativi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L’autorizzazione costituisce anche variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. A tal fine, il proponente allega all’istanza la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire la compiuta istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutti gli atti di assenso comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto e indicati puntualmente in apposito elenco con l’indicazione anche dell’Amministrazione ordinariamente competente.

    Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di VIA, l’approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale valutazione.

    Nei SIN, l’applicazione a scala pilota, in campo, di tecnologie di bonifica innovative, anche finalizzata all’individuazione dei parametri di progetto necessari per l’applicazione a piena scala, non è soggetta a preventiva approvazione del MITE e può essere eseguita a condizione che tale applicazione avvenga in condizioni di sicurezza con riguardo ai rischi sanitari e ambientali. Il rispetto delle suddette condizioni è valutato dal MITE e dall’ISS che si pronunciano entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza corredata della necessaria documentazione tecnica.

    7.5.13 Siti inquinati nazionale di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (art. 252-bis)

    7.5.13Siti inquinati nazionale di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (art. 252-bis)

    Il MITE e il Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con la regione territorialmente interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli aspetti di competenza in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili, possono stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale, al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate. Sono escluse le aree interessate da commissariamento straordinario (v. D.L. 61/2013, convertito con Legge n. 89/2013). L’esclusione cessa di avere effetto nel caso in cui l’impresa è ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria (v. D.L. 347/2003, convertito con Legge n. 39/2014).

    Gli accordi di programma assicurano il coordinamento delle azioni per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso e funzionale adempimento per l’attuazione dei progetti e disciplinano in particolare:

    • l’individuazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica da attuare, sulla base dei risultati della caratterizzazione validati dalle ARPA;

    • l’individuazione degli interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico anche attraverso studi e ricerche appositamente condotti da università ed enti di ricerca specializzati;

    • il piano economico finanziario dell’investimento e la durata del relativo programma;

    • i tempi di attuazione degli interventi e le relative garanzie;

    • i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti;

    • la causa di revoca dei contributi e delle altre misure di sostegno, e di risoluzione dell’accordo;

    • l’individuazione del soggetto attuatore degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, e delle attività di monitoraggio, controllo e gestione degli interventi di messa in sicurezza che restano a carico del soggetto interessato;

    • i tempi di presentazione e approvazione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica;

    • la previsione di interventi di formazione, riqualificazione e aggiornamento delle competenze dei lavoratori degli impianti dismessi da reimpiegare nei lavori di bonifica previsti dai medesimi accordi di programma, mediante il ricorso a fondi preliminarmente individuati a livello nazionale e regionale.

    • le modalità di monitoraggio per il controllo dell’adempimento degli impegni assunti e della realizzazione dei progetti.

    La stipula dell’accordo di programma costituisce riconoscimento dell’interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico e dichiarazione di pubblica utilità.

    Ad eccezione di quanto previsto di seguito, i soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico nei SIN non devono essere responsabili della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e bonifica, riconversione industriale e di sviluppo economico, tenuto conto anche dei collegamenti societari e di cariche direttive ricoperte nelle società interessate o ad esse collegate. A tal fine sono soggetti interessati non responsabili i proprietari e i gestori di siti inquinati che non hanno cagionato la contaminazione del sito e hanno assolto gli obblighi imposti di comunicazione e di adozione delle misure di prevenzione (v. art. 245).

    Gli Accordi di Programma possono essere stipulati anche con soggetti che non soddisfano i requisiti sopra indicati, alle seguenti ulteriori condizioni:

    • i fatti che hanno causato l’inquinamento devono essere antecedenti al 30 aprile 2007;

    • oltre alle misure di messa in sicurezza e bonifica, devono essere individuati gli interventi di riparazione del danno ambientale (v. allegato 3, Parte VI, D.Lgs. n. 152/2006);

    • termine finale per il completamento degli interventi di riparazione del danno ambientale è determinato in base ad uno specifico piano finanziario presentato dal soggetto interessato tenendo conto dell’esigenza di non pregiudicare l’avvio e lo sviluppo dell’iniziativa economica e di garantire la sostenibilità economica di detti interventi, comunque in misura non inferiore a dieci anni.

    L’attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall’accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo. La revoca dell’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo di programma previsto dalle misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei SIN è subordinata, nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, al rilascio della certificazione dell’avvenuta bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati. Nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario non potranno riguardare le attività di messa in sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di competenza dello stesso soggetto, ma esclusivamente l’acquisto di beni strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell’area.

    7.5.14 Cenni alle sanzioni penali

    7.5.14Cenni alle sanzioni penali

    Art. 257 (Bonifica dei siti)

    1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 a 26.000 euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’art. 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 1.000 a 26.000 euro.

    2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da 5.200 a 52.000 euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.

    3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 del c.p.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.

    4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Omessa bonifica: sufficiente la difformità dell’intervento

    Ai fini della punibilità della condotta di inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, di cui all’art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condizione negativa della omessa bonifica è integrata in caso di intervento eseguito in difformità da quanto formalmente pianificato e approvato dall’autorità competente ovvero anche quando il soggetto, non dando attuazione al piano di caratterizzazione, impedisce la stessa formazione del progetto di bonifica e, quindi, la sua realizzazione:

    • Cass., sez. IV, n. 29627/2016

    La difficoltà economica non è causa di inesigibilità della condotta

    In tema di bonifica dei siti inquinati, per escludere la responsabilità dal reato di cui all’art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è necessaria la sussistenza di una causa di giustificazione positivamente disciplinata dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità, oggettiva o soggettiva. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che costituissero causa di inesigibilità della condotta del ricorrente le difficoltà economiche del consorzio di gestione di una discarica, di cui il predetto era amministratore):

    • Cass., sez. III, n. 17813/2018

    Impedire la formazione del progetto di bonifica integra il reato di omessa bonifica

    Il reato di omessa bonifica dei siti inquinati è configurabile non solo nel caso in cui il soggetto obbligato non vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 ss., D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma anche in quello in cui impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e, quindi, la sua realizzazione, non attuando il piano di caratterizzazione necessario per la predisposizione del piano di bonifica:

    • Cass., sez. III, n. 17813/2018

    Limiti di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 257, comma 4

    La speciale causa di non punibilità di cui all’art. 257, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 trova applicazione, per espressa previsione normativa, solo con riguardo a reati ambientali diversi da quello per il quale è intervenuta la bonifica del sito inquinato, contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento, sicché non può estendersi alla fattispecie di cui all’art. 677, comma 2, c.p., rientrante nel novero delle contravvenzioni concernenti la salvaguardia dell’incolumità pubblica e non nel “genus” degli illeciti ambientali:

    • Cass., sez. III, n. 13281/2021

    7.5.15 La bonifica delle matrici di riporto

    7.5.15La bonifica delle matrici di riporto

    Le matrici ambientali materiali di riporto sono costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di rinterri. Con l’entrata in vigore dell’art. 37 del D.L. n. 77/2021, così come modificato dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108, che regolamenta le “misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali”, la verifica qualitativa di tali matrici, ai fini dell’esclusione di rischi di contaminazione delle acque sotterranee, prevede:

    • l’esecuzione del Test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al decreto del Ministro dell’ambiente del 5 febbraio 1998;

    • il rispetto dei parametri e dei limiti, previsti dal test di cessione (decreto del Ministro dell’ambiente del 5 febbraio 1998).

    Oltre che al rispetto dei valori sull’eluato (test di cessione), al fine di non essere obbligati alla bonifica delle matrici ambientali materiali di riporto, quest’ultime devono comunque, e in ogni caso, rispettare anche le CSC di riferimento o le CSR appositamente calcolate.

    Le matrici ambientali materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono gestite nell’ambito dei procedimenti di bonifica, al pari dei suoli.

    Per detti procedimenti di bonifica di devono utilizzare le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute e per l’ambiente.

    Per ulteriori approfondimenti si può rinviare alla Linea Guida SNPA n. 46/2023 “Linee Guida per la gestione dei materiali di riporto (MdR) nei siti oggetto di procedimento di bonifica”, ove è descritto un percorso metodologico per l’identificazione e la gestione dei materiali di riporto nell’ambito dei procedimenti di bonifica, inclusa una procedura da applicare nell’immediato per l’analisi di rischio sito-specifica ai materiali di riporto nell’ambito dei procedimenti di bonifica di cui alla Parte Quarta, Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006. L’Appendice propone per i materiali di riporto una valutazione distinta rispetto alle altre matrici ambientali, utilizzando parte dei parametri e della modellistica prevista dal Manuale APAT “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati” del 2008. La procedura proposta prevede l’applicazione dell’Analisi di Rischio in modalità diretta, ossia la stima del rischio associato alle concentrazioni riscontrate nella matrice solida e/o nell’eluato. Vengono comunque proposti anche dei criteri per la definizione delle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR) applicabili a tali materiali nel caso di interventi di bonifica.

    7.5.16 La bonifica delle aree agricole

    7.5.16La bonifica delle aree agricole

    La bonifica delle aree agricole è regolata dal D.M. n. 46/2019. A tal proposito, oltre alle definizioni generali, sopra indicate, si applicano le seguenti ulteriori definizioni:

    “a) area agricola: la porzione di territorio destinata alle produzioni agroalimentari”;

    “b) produzioni agroalimentari: le attività di coltura agraria, pascolo e allevamento per la produzione di alimenti destinati al consumo umano o all’alimentazione di animali destinati al consumo umano”;

    “c) valutazione di rischio: valutazione complessiva degli elementi di potenziale rischio ambientale e sanitario associato all’esposizione indiretta per assunzione alimentare, condotta secondo i criteri di cui all’allegato 3, che costituisce parte integrante del presente regolamento”;

    “d) valore di fondo geochimico: distribuzione di una sostanza nel suolo derivante dai processi naturali, con eventuale componente antropica non rilevabile o non apprezzabile”.

    Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un’area agricola, il responsabile dall’inquinamento pone tempestivamente in essere le necessarie misure di prevenzione e ne dà immediata comunicazione alle amministrazioni, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 (vedi procedura ex art. 242, sopra riportata). La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche.

    Le attività di caratterizzazione di aree agricole sono attuate dal responsabile dell’inquinamento in conformità a quanto previsto dall’allegato 1 al decreto (non riportato), e sono preventivamente comunicate alle amministrazioni sopra citate.

    Nel caso in cui all’esito delle attività di caratterizzazione risulti che i livelli di Concentrazioni soglie contaminazioni (CSC) di cui all’allegato 2 (non riportato), non sono stati superati, il soggetto responsabile presenta alle amministrazioni competenti, entro novanta giorni dalla data di notifica, un’autocertificazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, corredata della necessaria documentazione tecnica. Tale autocertificazione conclude il procedimento. Entro i successivi trenta giorni la regione, in collaborazione con ARPA e ASL secondo le rispettive competenze, attiva gli opportuni controlli, i cui esiti, con le eventuali prescrizioni integrative, sono comunicati alle amministrazioni competenti.

    Qualora, all’esito dell’attività di caratterizzazione, risulti che il livello delle CSC è stato superato anche per una sola sostanza, il soggetto responsabile dell’inquinamento ne dà immediata comunicazione alle amministrazioni competenti ed elabora la valutazione di rischio, cioè una valutazione complessiva degli elementi di potenziale rischio ambientale e sanitario associato all’esposizione indiretta per assunzione alimentare. Tale valutazione deve essere condotta previa ricostruzione del modello concettuale elaborato secondo i criteri stabiliti dall’allegato 3 (non riportato). In attesa dell’esito della valutazione di rischio, l’Asl competente stabilisce le misure da adottare per garantire la sicurezza alimentare ed effettua gli opportuni controlli sui prodotti destinati al consumo umano (o all’alimentazione di animali destinati al consumo umano), in relazione ai parametri che superano il livello delle CSC.

    Se la valutazione del rischio evidenzia che le concentrazioni riscontrate sono compatibili con l’ordinamento colturale effettivo e potenziale o con il tipo di allevamento praticato, il soggetto responsabile dell’inquinamento presenta un’istanza di conclusione del procedimento, corredata della relativa documentazione tecnica, alla Regione competente entro 60 giorni. Entro i 30 giorni successivi alla presentazione dell’istanza, la Regione può richiedere che vengano effettuati ulteriori controlli oppure dichiara concluso il procedimento.

    Se la valutazione di rischio evidenzia che le concentrazioni riscontrate risultano incompatibili con l’ordinamento colturale effettivo e potenziale o con il tipo di allevamento praticato, il soggetto responsabile dell’inquinamento deve presentare alle amministrazioni competenti, oltre ai risultati della valutazione di rischio, un progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza necessari e le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. Entro 30 giorni dal ricevimento del progetto, il Ministero dell’ambiente convoca una conferenza di servizi per l’approvazione degli interventi, la definizione dei tempi necessari per la loro esecuzione e per l’adozione di eventuali integrazioni e prescrizioni.

    Il proprietario e il gestore dell’area (non responsabili dell’inquinamento), qualora rilevino il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento del livello delle CSC, devono darne comunicazione alle amministrazioni competenti e attuare le misure di prevenzione necessarie. Inoltre, il proprietario del sito e il gestore hanno la facoltà di intervenire in qualsiasi momento per la realizzazione degli interventi di bonifica nel sito di loro proprietà o nella loro disponibilità, secondo quanto stabilito dall’art. 245 D.Lgs. n. 152/2006.

    Gli allegati al D.M. n. 46/2019, non riportati, sono i seguenti:

    • Allegato 1, ove vengono definiti i criteri generali per la fase di caratterizzazione delle aree agricole, finalizzata alla conoscenza dei livelli degli inquinanti presenti nelle aree agricole da indagare. In particolare, il campionamento può avvenire secondo due modalità: per aree omogenee o per aree non omogenee (o di cui non si conosce l’omogeneità);

    • Allegato 2, ove vengono evidenziati i valori tabellari delle CSC dei suoli per le aree agricole per: composti inorganici, aromatici policiclici, fitofarmaci, diossine e furani, idrocarburi ed altre sostanze (come l’amianto ed i composti organostannici);

    • Allegato 3, ove sono specificati i criteri generali per la valutazione del rischio sanitario, connesse alla potenziale contaminazione di aree destinate alla produzione di colture agrarie, al pascolo ed all’allevamento. In particolare, Al superamento delle Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), deve essere condotta un’Analisi di rischio (AdR) in modalità diretta considerando, come bersaglio, il fruitore del sito secondo le modalità previste dalla procedura di cui all’allegato 1 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo le indicazioni tecniche riportate nei manuali ISPRA-ARPA-ISS-INAIL e nei successivi aggiornamenti. Contestualmente vengono eseguite ulteriori indagini analitiche al fine di approfondire la caratterizzazione dell’area (es. test di bioaccessibilità e/o biodisponibilità), e/o pianificando monitoraggi su matrici diverse (es. prodotti ortofrutticoli e zootecnici);

    • Allegato 4, ove sono riportate le tipologie di intervento applicabili per le aree agricole. Al fine di mantenere gli equilibri ecosistemici che hanno portato alla formazione del suolo e per restituire lo stesso al tradizionale uso agricolo, sono preferibili le tecniche di bio-risanamento e fito-risanamento, che presentano numerosi vantaggi sia dal punto di vista economico che di miglioramento del paesaggio e della fertilità dei suoli, rispetto ai trattamenti chimico-fisici;

    • Allegato 5, ove sono descritti gli adempimenti per i cittadini e le imprese. In particolare, gli oneri informativi sono i seguenti: la presentazione dell’autocertificazione che i livelli di CSC non siano stati superati anche per una sola sostanza; la presentazione all’Autorità Competente della relazione di valutazione del rischio e la presentazione del progetto degli interventi da attuare nel caso in cui, all’esito della valutazione dei rischio, siano state riscontrate nel suolo livelli di concentrazione di sostanze incompatibili con le colture o gli allevamenti praticati su di esso.

    7.5.17 Siti di interesse nazionale – Cenni alle operazioni di dragaggio

    7.5.17Siti di interesse nazionale – Cenni alle operazioni di dragaggio

    I dragaggi rappresentano una attività di manutenzione ordinaria dei fondali asserviti ad un porto mercantile, ancorché negli ultimi anni la loro natura abbia subito numerose modificazioni regolamentari che ne hanno radicalmente cambiato i costi e, soprattutto, l’approccio metodologico. Nei siti SIN o SIR, in conseguenza delle presunte conseguenze di attività antropiche che possono avere determinato la diffusione in mare di sostanze inquinanti di diversa natura (idrocarburi, metalli pesanti, amianto, diossina, etc.), il dragaggio è oggi attività conseguente, e successiva, ad attività di preventiva bonifica del sito.

    La gestione dei materiali di risulta da attività di bonifica/dragaggio è, conseguentemente, variata in funzione delle diverse componenti inquinanti che possono essere rilevate nella matrice fine del materiale di fondo (principalmente limi) a seguito di apposite caratterizzazioni.

    Il dragaggio portuale ha una notevole rilevanza ambientale; tra l’altro, l’attività di escavazione e manutenzione dei fondali o bonifica e rispristino di siti portuali può determinare il rischio di dispersione di sostanze inquinanti.

    Nel nostro ordinamento giuridico la disciplina sul dragaggio è circoscritta a specifiche disposizioni a seconda dell’ambito considerato in relazione a tale attività. Oltre alla normativa portuale quella maggiormente interessata dal dragaggio è la normativa ambientale.

    Le modalità e le norme tecniche per le operazioni di dragaggio nelle aree portuali e marino-costiere, poste in siti di bonifica di interesse nazionale, sono contenute nel D.M. 15 luglio 2016, n. 172, anche al fine del reimpiego dei materiali dragati o per gli altri usi (immissione o reflusso nei corpi idrici da cui provengono, rifacimento arenili etc.), come previsto dall’art. 5-bis (Disposizioni in materia di dragaggio) della Legge n. 84/1994.

    Tutte le operazioni di dragaggio nei SIN, inclusa la movimentazione del sedimento, il trasporto, la collocazione finale secondo le modalità di cui al citato art. 5-bis, devono essere realizzate secondo modalità tali da prevenire o ridurre al minimo gli impatti sull’ambiente circostante, ed in particolare escludendo ogni deterioramento significativo e misurabile delle risorse naturali interessate e delle loro utilità, nonché eventuali dispersioni e rilasci accidentali di materiale.

    Restano soggette al regime dei rifiuti di cui alla Parte IV, D.Lgs. n. 152/2006 le operazioni di deposito, trasporto e trattamento del materiale che non rispettano i requisiti di qualità stabiliti per l’utilizzo ai sensi del citato art. 5-bis.

    Il D.M. n. 172/2016 non si applica alle operazioni inerenti ai materiali provenienti dai SIN risultanti da operazioni di dragaggio nelle aree portuali e marino-costiere, destinati ad essere gestiti al di fuori di questi siti, per i quali le operazioni sono autorizzate nel rispetto dell’art. 109, D.Lgs. n. 152/2006.

    Il reimpiego è l’immissione o il refluimento dei materiali dragati nell’ambito del corpo idrico di provenienza anche al fine di rifacimento degli arenili, per la formazione di terreni costieri, per il miglioramento dello stato dei fondali attraverso attività di capping o per il riempimento di casse di colmata, vasche di raccolta o strutture di contenimento ovvero impieghi a terra o in aree con falda naturalmente salinizzata.

    Ai fini del reimpiego e per la relativa autorizzazione all’utilizzo, il progetto di dragaggio individua:

    • l’idoneità dei sedimenti a essere immessi o refluiti nei corpi idrici dai quali provengono, ovvero utilizzati per il rifacimento degli arenili, per formare terreni costieri ovvero per migliorare lo stato dei fondali attraverso attività di capping;

    • dell’idoneità dei sedimenti ad essere impiegati a terra o in aree con falda naturalmente salinizzata;

    • dell’idoneità dei sedimenti ad essere refluiti in strutture di contenimento”.

    Le modalità e le norme tecniche per i dragaggi dei materiali sono contenuti nell’Allegato A al decreto.

    ll D.M. n. 173/2016, in attuazione dell’art. 109, D.Lgs. n. 152/2006, è il regolamento recante modalità e criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di escavo dei fondali marini. Il decreto è finalizzato ad omogenizzare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni, da parte delle Regioni competenti, rendendole coerenti a livello nazionale, attraverso indicazioni tecniche e linee guida uniformi e che tengano conto della finalità di tutela dell’ambiente marino. Ciò anche al fine di consentire l’uso legittimo del mare, fornendo i criteri per l’individuazione delle possibili opzioni di gestione di detti materiali come, ad esempio, il loro utilizzo a fini di ripascimento o di recupero oppure del loro utilizzo alternativo, purché siano tenuti in debito conto:

    • la caratterizzazione fisica, chimica e biologica dei materiali;

    • la valutazione del rischio associato alla loro movimentazione ed alla successiva immersione in mare;

    • il monitoraggio della qualità dell’ambiente marino durante e successivamente alle operazioni di movimentazione.

    Il decreto determina:

    • le modalità per il rilascio dell’autorizzazione (v. art. 109, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006) per l’immersione deliberata in mare dei materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

    • i criteri omogenei per tutto il territorio nazionale, per l’utilizzo di tali materiali ai fini del ripascimento o all’interno di ambienti conterminati, ai quali le regioni conformano le modalità di caratterizzazione, classificazione ed accettabilità dei materiali in funzione del raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici marino costieri e di transizione;

    • la gestione dei materiali provenienti dal dragaggio delle aree portuali e marino-costiere non comprese nei SIN;

    • la gestione dei materiali provenienti dai SIN risultanti da operazioni di dragaggio nelle aree portuali e marino-costiere, al di fuori di detti siti.

    7.5.18 Il confronto con le procedure applicate dell’analisi di rischio ai siti contaminati in altri Paesi europei

    7.5.18Il confronto con le procedure applicate dell’analisi di rischio ai siti contaminati in altri Paesi europei

    L’Italia è tra i pochi Paesi ad avere un programma nazionale di bonifica definito dal Ministero dell’Ambiente per i Siti di interesse nazionale, per l’attuazione del quale sono destinati fondi statali.

    La maggior parte dei Paesi non hanno sistemi di finanziamento statali organici per la bonifica dei siti contaminati, ma ricorre frequentemente a partnership pubblico-privato per il finanziamento degli interventi di bonifica, soprattutto laddove è prevista la riqualificazione dei siti per pubblica utilità (realizzazione di musei, spazi commerciali, infrastrutture etc.).

    Nei Paesi nei quali vi è un Ministero dell’Ambiente, questo è sempre coinvolto nei procedimenti di bonifica, anche se le competenze tecniche sono nella maggior parte dei casi demandate alle Agenzie nazionali o regionali per l’ambiente che hanno anche il compito, insieme alle autorità locali, di monitorare gli interventi.

    Interessante è anche il confronto tra le procedure utilizzate in vari Paesi europei per l’applicazione dell’analisi di rischio ai siti contaminati (vedi Tabella 1).

    Occorre tuttavia rilevare come, in Italia, la valutazione del rischio è mirata esclusivamente alla salute umana, mentre in altri Paesi (ad es. Olanda, Spagna, Germania, Svezia) vengono presi in considerazione anche gli effetti ecotossicologici.

    Occorre, infine, osservare come nei Paesi nei quali la cultura ambientale è più consolidata, anche sotto il profilo sociale, l’approccio di gestione dei siti contaminati è molto più flessibile.

    I valori di riferimento per il suolo vengono infatti utilizzati congiuntamente ad altre tipologie di valutazioni sito-specifiche quali:

    • analisi costi-benefici ambientali delle opzioni di bonifica a supporto delle decisioni (ad es. Belgio, Inghilterra);

    • analisi di Life Cycle Assessment (LCA) delle tecnologie di bonifica;

    • valutazione degli impatti economici e sociali dei vari tipi di intervento a fronte dell’ipotesi di non intervento.

    Tabella 1 - Analisi di rischio in Europa: Quadro sinottico di confronto delle procedure utilizzate in vari Paesi europei per l’applicazione dell’analisi di rischio ai siti contaminati

    Stato Modalità di applicazione dell’analisi di rischio Valutazione del rischio per l’uomo Valutazione del rischio ecologico Altre valutazioni rilevanti
    Austria Al superamento dei valori di screening per il suolo per le aree residenziali, immediatamente per aree industriali. Sì (bersagli sensibili, bambini) No Uptake da parte delle piante
    Belgio Derivazione di obiettivi di bonifica per 5 classi di uso del suolo: naturale, agricolo, residenziale, ricreativo e industriale sulla base di uno scenario tipico di esposizione. Sì No Fitotossicità
    Fondo naturale
    Danimarca Prima valutazione del rischio basata sulle concentrazioni dei contaminanti, comparandole con i livelli stabiliti per le sostanze mobili (livelli di prevenzione) o con i valori limite (per le sostanze poco-mobili). Se le concentrazioni misurate eccedono questi valori, viene condotta un’analisi di rischio approfondita oppure si procede alla bonifica. Sì No Mobilità degli inquinanti

    Stato Modalità di applicazione dell’analisi di rischio Valutazione del rischio per l’uomo Valutazione del rischio ecologico Altre valutazioni rilevanti
    Francia Due livelli di applicazione:
    1. analisi di rischio semplificata (attraverso un sistema a punteggi consente di inserire il sito in una delle seguenti categorie: “banalisable”, “a surveiller”, “necessitant des investigation approfondies”).
    2. analisi di rischio dettagliata (a partire da una conoscenza approfondita del sito e dello stato di contaminazione).
    Sì No Rischio ecologico
    Germania Analisi di rischio generica per la derivazione dei livelli di intervento e dei livelli di attenzione.
    Analisi di rischio sito-specifica al superamento dei livelli di attenzione.
    Sì Sì Fondo naturale
    Italia Analisi di rischio sito-specifica al superamento delle CSC (valori di screening). Sì No Rischio ecologico
    Fondo naturale
    Olanda Analisi di rischio “generica” per la determinazione dei valori obiettivo (target values) e valori di intervento (intervention values). Il livello di urgenza degli interventi viene stabilito sulla base del rischio reale (sito-specifico) per l’uomo e per l’ecosistema, Sì Sì Fondo naturale
    Regno Unito Analisi di rischio “generica” per l’identificazione dei collegamenti tra contaminanti, recettori e percorsi in un modello concettuale (Livello 1).
    Una volta definito il modello concettuale vengono calcolati dei valori guida per il suolo (analisi sito-specifica)
    Sì Sì
    Spagna Determinazione dei Valori generici di riferimento (VGR) dei contaminanti mediante applicazione analisi di rischio generica, successivamente analisi di rischio sito-specifica. Sì Sì Fondo naturale
    Svezia Valori guida generici per il suolo basati sull’analisi di rischio. Rischio associato a sedimenti contaminati
    Fondo naturale Uso del suolo

    Fonte: D’Aprile L., Ecoscienza 2010

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2021: “Bonifica dei siti contaminati: le principali modifiche introdotte dal Decreto Semplificazioni, convertito con legge n. 108/2021”, di Vittorio Giampietro

    • AMBIENTE & SVILUPPO 12/2019: “Bonifica del sito inquinato, incorporazione e responsabilità per fatti della società originaria (nota a CDS, Ad.Pl., n. 10/2019)”, di Valentina Cavanna

    • AMBIENTE & SVILUPPO 8-9/2019: “Dopo 22 anni, il Regolamento sugli interventi di bonifica nelle aree destinate alla produzione agro– zootecnica colma un vuoto ‘storico’”, di Alberto Muratori

    • AMBIENTE & SVILUPPO 6/2018: “MISE, MISU e misure di prevenzione: l’incertezza delle nozioni mette a rischio il proprietario incolpevole”, di Vittorio Giampietro

    • AMBIENTE & SVILUPPO 6/2017: “Inquinamento e danno all’ambiente: dal TUA all’art. 452-bis c.p. (Parte II)”, di Franco Giampietro

    • AMBIENTE & SVILUPPO 5/2017: “Inquinamento e danno all’ambiente: dal TUA all’art. 452-bis c.p. (Parte I)”, di Franco Giampietro

    7.6. Cenno ai siti contaminati da amianto

    7.6.Cenno ai siti contaminati da amianto

    Secondo la normativa italiana (D.Lgs. n. 81/2008), con il termine generico amianto si individuano alcuni minerali silicatici fibrosi di origine naturale, sfruttati commercialmente (Crisotilo, Crocidolite, Amosite, Tremolite, Antofillite e Actinolite).

    Dal dopoguerra risultano complessivamente prodotte in Italia circa tre milioni e ottocentomila tonnellate di amianto grezzo, con un’importazione di circa un milione e novecentomila tonnellate. Tutti i minerali di amianto, sopra citati, sono stati riconosciuti dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) come cancerogeni per l’uomo. L’amianto è stato conseguentemente classificato dalla normativa europea in materia (Regolamento CE 1272/2008 inerente la “Classificazione, etichettatura ed imballaggio di sostanze e miscele”) in:

    • Categoria di pericolo 1A - nota per essere cancerogena per l’uomo;

    • Categoria di pericolo STOT RE 1 - tossicità specifica per organi bersaglio, per esposizione ripetuta.

    Le indicazioni di pericolo sono:

    • H350: può provocare il cancro;

    • H372: provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata e ripetuta.

    L’Italia ha provveduto, tra le prime nazioni in ambito europeo ed internazionale, a mettere al bando l’amianto con la Legge n. 257/1992 e ad emanare norme tecniche di settore, volte alla tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita. Sono stati stabiliti numerosi provvedimenti normativi ed applicativi volti, tra l’altro, a definire le modalità di censimento dei siti con presenza di amianto, di valutazione del rischio specifico, di gestione dei manufatti contenenti amianto, di attuazione degli interventi di bonifica, nonché di gestione e smaltimento dei Rifiuti Contenenti Amianto (RCA).

    Il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica gestisce una banca dati dedicata specificatamente a tale inquinante, ai sensi della Legge n. 101/2003 e relativo Decreto applicativo 18 marzo 2001. La suddetta, in continuo aggiornamento, ha registrato ad oggi oltre 135.000 siti, ancora da bonificare.

    In molti dei SIN è stata riscontrata, oltre ad altri inquinanti chimici, la presenza di amianto o di Materiali Contenenti Amianto (MCA) che hanno portato ad una contaminazione primaria (es. Sin di Casale Monferrato, Balangero, Bagnoli, Biancavilla, etc.) o secondaria (es. Sin di Trieste, Bussi, Crotone, Mantova, etc.), che investe solo una porzione del territorio interessato.

    Le attività di bonifica da amianto risultano di estrema complessità, in quanto possono essere condotte in sicurezza solo rispettando i dettami indicati da molteplici norme di settore, attinenti alla tutela dei lavoratori (in particolare, cfr. D.Lgs. n. 81/2008), alla tutela della salute pubblica (Legge n. 257/1992) ed alla tutela delle matrici ambientali aria, acqua e suolo. Sotto il profilo della tutela ambientale, sono state emanate diverse norme relative alla mappatura dei siti contaminati, alla gestione dei rifiuti e alla definizione dei valori limite nelle diverse matrici ambientali.

    In relazione ai valori limite di esposizione in aria ambiente, si ricorda che per gli ambienti di vita outdoor non esiste un riferimento normativo; pertanto, si considera il valore di 1 ff/l, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per esposizioni della popolazione (Air Quality Guidelines for Europe, 2000), riportato anche nelle Linee guida ISPESL, oggi Inail, per la bonifica dei Sin, prescritte dal MASE a tutte le Regioni. Si ricorda, inoltre, l’adozione nell’Ottobre 2023, da parte del Parlamento europeo, della Direttiva europea che mira a ridurre l’esposizione alle fibre di amianto al livello più basso possibile. Il limite obbligatorio di esposizione professionale (OEL) sarà dieci volte più basso di quello attuale, poiché il valore limite sarà ridotto da 0,1 a 0,01 fibre di amianto per centimetro cubo (cm³), soglia che entrerà in vigore immediatamente, senza un periodo di transizione, dopo l’adozione formale della Direttiva, da parte del Consiglio d’Europa e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

    Con riferimento alla contaminazione dei suoli, il D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i. fissa il valore limite in 1.000 mg/kg di amianto totale, mentre tale valore scende, per i suoli destinati alla produzione agricola ed all’allevamento (cfr. D.M. del 1° marzo 2019, n. 46), a 100 mg/kg.

    In merito alla possibile dispersione di fibre di amianto nell’acqua, il principale riferimento vigente è costituito dal D.Lgs. n. 114/1995 relativo alle acque di scarico provenienti da impianti industriali e da operazioni di bonifica; il valore limite riportato è di 30 gr di materia totale in sospensione per metro cubo di effluente liquido scaricato, corrispondenti, secondo un fattore di conversione ivi indicato, a seicento milioni di fibre/litro. Tale limite è riconosciuto dalla comunità scientifica come eccessivamente elevato e lo stesso decreto riporta la possibilità di fissare valori limite diversi, anche in relazione alla natura dei prodotti contenenti amianto presenti negli scarichi liquidi, ai sensi dell’art. 3, comma 3 della Legge n. 257/1992.

    Per la classificazione e gestione dei rifiuti si può rinviare ancora al D.Lgs. n. 152/2005, che stabilisce l’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali in categoria 103, per le imprese che svolgono attività di bonifica da amianto, ed in categoria 54 o 2 bis5 per quelle che effettuano il trasporto dei rifiuti pericolosi, tra cui quelli di amianto generatisi da tali attività. Il decreto stabilisce che un rifiuto deve essere classificato come pericoloso, ai sensi della direttiva n. 2008/98/CE, qualora contenga “una sostanza riconosciuta come cancerogena (Categorie 1 o 2) in concentrazione ≥ 0,1%”. Poiché l’amianto è una sostanza di Categoria 1, tutti i rifiuti che ne contengono concentrazioni maggiori dello 0,1% devono essere classificati come pericolosi.

    Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, il D.M. 27 settembre 2010, prevede che i rifiuti di amianto o contenenti amianto possono essere conferiti a smaltimento definitivo in discarica:

    a) per rifiuti pericolosi, dedicata o dotata di cella dedicata;

    b) per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata:

    • per i rifiuti individuati dal codice dell’Eer 17.06.05*;

    • per le altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a processi di trattamento ai sensi di quanto previsto dal decreto ministeriale n. 248/2004.

    La mappatura dei siti contaminati da amianto sul territorio è stata avviata, su scala nazionale, a seguito dell’applicazione della Legge n. 93/2001, e del D.M. n. 101/2003. I dati registrati dalle Regioni e catalogati in una banca dati informatica georiferita gestita dal MASE, che risultano riferiti, come indicato in precedenza, ad oltre 135.000 siti; tale mappatura risulta in continuo aggiornamento per quel che riguarda il numero di siti con contaminazione sia di origine antropica che naturale.

    Si evidenzia che la mappatura risulta ancora incompleta ed inorganica in quanto non sono ad oggi incluse, tra l’altro, le reti di tubazioni in cemento amianto (i relativi dati fin qui acquisiti sono esclusivamente puntuali).

    Attualmente la Direzione Generale per l’Uso Sostenibile del Suolo e delle Risorse Idriche (DG USSRI) del MASE svolge la funzione di Ente erogante in relazione al Fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto, istituito presso il Ministero dall’art. 56, comma 7, della Legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali). Il Fondo è volto a finanziare la progettazione degli interventi di rimozione e smaltimento dell’amianto negli edifici pubblici, promuovendo così la realizzazione degli interventi di bonifica da amianto, ed è disciplinato dal decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 21 settembre 2016, n. 246 (Istituzione del fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto).

    La medesima Direzione Generale, la DG USSRI, svolge funzione di Ente erogante per quanto riguarda il Piano di bonifica da amianto, finalizzato a sostenere gli interventi di rimozione e smaltimento di amianto dagli edifici scolastici e ospedalieri di proprietà pubblica, le cui modalità operative sono state definite con il decreto ex DG STA 6 dicembre 2019, n. 467 in attuazione del Piano nazionale per la rimozione dell’amianto dagli edifici pubblici (sotto-piano Interventi per la tutela del territorio e delle acque) previsto dal secondo Addendum, approvato con Delibera CIPE n. 11/2018, al Piano Operativo Ambiente, a sua volta approvato dal CIPE con Delibera n. 55/2016 e finanziato a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020. Il suddetto decreto direttoriale n. 467 del 6 dicembre 2019 ha individuato le Regioni e le Province autonome quali beneficiari delle risorse e responsabili dell’individuazione e dell’attuazione degli interventi oggetto di finanziamento.

    7.7 Caratterizzazione ambientale e progettazione della bonifica

    7.7Caratterizzazione ambientale e progettazione della bonifica

    La redazione di un piano di caratterizzazione di un sito, già previsto dal D.M. n. 471/1999 ed oggi disciplinato dal D.Lgs. n. 152/2006, richiede indagini tali da avere il maggior numero d’informazioni possibili sull’assetto geologico e idrogeologico del sito e sull’eventuale contaminazione a costi ragionevoli.

    È infatti da considerare che il piano di caratterizzazione sarà, in caso di contaminazione, il primo di una serie di passi che hanno come obiettivo la bonifica e/o la messa in sicurezza del sito. È necessario porre l’accento sul fatto che, se da un lato le indagini di caratterizzazione di un sito devono avere come prerogativa la definizione qualitativa e quantitativa dell’eventuale contaminazione con minore approssimazione possibile, dall’altro la progettazione del piano di caratterizzazione non può prescindere dal considerare i costi connessi alla sua realizzazione.

    Negli Allegati al Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006 sono descritti i criteri da seguire per redigere il piano di caratterizzazione ed il conseguente piano di risanamento ambientale.

    Schema 2 - Sequenza logica delle fasi di attuazione del Piano di caratterizzazione di un sito

    Il prodotto finale del Piano è il modello concettuale definitivo, indispensabile punto di partenza per la progettazione degli interventi di risanamento ambientale.

    L’elaborazione di un modello concettuale definitivo del sito sarà possibile mediante l’integrazione dei risultati delle analisi chimico-fisiche e d’altro tipo realizzate durante il campionamento, le indagini e le analisi. Il sito deve essere descritto dettagliatamente, organizzando le informazioni raccolte in modo da stabilire gli effetti dell’attività svolta sul sito o dei rifiuti stoccati e permettere quindi di individuare:

    • le fonti della contaminazione presenti o passate, quali ad esempio terreno di riporto contaminato, rifiuti interrati, accumuli di rifiuti, perdite da tubature, serbatoi perdenti, polvere;

    • le sostanze contaminanti presenti nelle diverse componenti ambientali influenzate dal sito;

    • la tossicità e le caratteristiche chimico-fisiche rilevanti delle sostanze presenti (solubilità, volatilità, biodegradabilità, biodisponibilità);

    • le caratteristiche dominanti dell’ambiente con cui il sito interagisce, quali tipo di acquifero superficiale, profondità dell’acquifero principale, vicinanza di corsi d’acqua, caratteristiche meteoclimatiche;

    • la presenza di pozzi nel sito o nell’area circostante e gli usi delle acque prelevate;

    • gli elementi territoriali rilevanti, come distribuzione e densità di popolazione nell’area circostante, vicinanza di elementi sensibili (per es. scuole ed ospedali);

    • le modalità di esposizione dei bersagli (contatto dermico con le matrici contaminate, ingestione, inalazione).

    L’obiettivo è di raccogliere tutti gli elementi che servono a definire l’estensione dell’area da bonificare, i volumi di suolo contaminato, le caratteristiche rilevanti dell’ambiente naturale e costruito, il grado d’inquinamento delle diverse matrici ambientali, le vie d’esposizione e le caratteristiche della popolazione su cui possono manifestarsi gli effetti dell’inquinamento.

    I criteri tecnici generali per la selezione e la progettazione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, messa in sicurezza d’emergenza, operativa o permanente, contenuti nell’allegato 3, titolo V, parte IV, D.Lgs. n. 152/2006, sono:

    • privilegiare le tecniche di bonifica che riducono permanentemente e significativamente la concentrazione nelle diverse matrici ambientali, gli effetti tossici e la mobilità delle sostanze inquinanti;

    • privilegiare le tecniche di bonifica tendenti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito, trattamento in-situ e on-site del suolo contaminato, con conseguente riduzione dei rischi derivanti dal trasporto e messa a discarica di terreno inquinato;

    • privilegiare le tecniche di bonifica/messa in sicurezza permanente che blocchino le sostanze inquinanti in composti chimici stabili (ed es. fasi cristalline stabili per metalli pesanti);

    • privilegiare le tecniche di bonifica che permettono il trattamento e il riutilizzo nel sito anche dei materiali eterogenei o di risulta utilizzati nel sito come materiali di riempimento;

    • prevedere il riutilizzo del suolo e dei materiali eterogenei sottoposti a trattamenti off-site sia nel sito medesimo che in altri siti che presentino le caratteristiche ambientali e sanitarie adeguate;

    • privilegiare negli interventi di bonifica e ripristino ambientale l’impiego di materiali organici di adeguata qualità provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;

    • evitare ogni rischio aggiuntivo a quello esistente di inquinamento dell’aria, delle acque sotterranee e superficiali, del suolo e sottosuolo, nonché ogni inconveniente derivante da rumori e odori;

    • evitare rischi igienico-sanitari per la popolazione durante lo svolgimento degli interventi;

    • adeguare gli interventi di ripristino ambientale alla destinazione d’uso e alle caratteristiche morfologiche, vegetazionali e paesistiche dell’area;

    • per la messa in sicurezza privilegiare gli interventi che permettano il trattamento in situ e il riutilizzo industriale dei terreni, dei materiali di risulta e delle acque estratte dal sottosuolo, al fine di conseguire una riduzione del volume di rifiuti prodotti e della loro pericolosità;

    • adeguare le misure di sicurezza alle caratteristiche specifiche del sito e dell’ambiente da questo influenzato;

    • evitare ogni possibile peggioramento dell’ambiente e del paesaggio dovuto dalle opere da realizzare.

    7.8 Analisi di rischio

    7.8Analisi di rischio

    L’analisi di rischio sanitario-ambientale è attualmente lo strumento più avanzato di supporto alle decisioni nella gestione dei siti contaminati che consente di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali.

    Il punto di partenza per l’applicazione dell’analisi di rischio è lo sviluppo del Modello Concettuale del Sito (MCS), basato sull’individuazione e parametrizzazione dei 3 elementi principali:

    • la sorgente di contaminazione;

    • i percorsi di migrazione degli inquinanti attraverso le matrici ambientali;

    • i bersagli o recettori della contaminazione nel sito o nel suo intorno.

    Si può determinare un rischio per la salute umana unicamente nel caso in cui in un dato sito i 3 elementi siano presenti e collegati tra loro.

    Il calcolo del rischio così come codificato dalla National Academy of Science (NAS, 1983) segue quattro fasi.

    Il rischio stimato viene confrontato con i criteri di accettabilità definiti dalla normativa. L’analisi di rischio può essere applicata come sopra descritto in modo diretto (forward) stimando il rischio associato allo stato di contaminazione rilevato nel sito; oppure in modo inverso (backward), a partire dai criteri di accettabilità del rischio, per la determinazione dei livelli di contaminazione accettabili e degli obiettivi di bonifica per il sito in esame.

    Di seguito viene riportata una breve trattazione dell’analisi di rischio sanitario-ambientale. L’analisi di rischio sanitario-ambientale è uno strumento di supporto per la gestione della bonifica dei siti contaminati. L’analisi permette di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali (aria, acqua, suolo).

    Schema 3 - Fasi dell’analisi di rischio

    Il rischio calcolato è sostanzialmente il risultato della combinazione tra la tossicità (T) dell’inquinante specifico e l’esposizione (E).

    Da un punto di vista operativo, l’analisi di rischio è un complesso di modelli analitici ed algoritmi, applicati alle matrici naturali, allo scopo di determinare in maniera deterministica eventuali scenari futuri.

    Tutte le procedure e gli algoritmi presi in considerazione sono riferiti a standard internazionalmente riconosciuti.

    L’analisi di rischio si basa sul processo

    La precisa definizione di quest’ultimo, detto “modello concettuale del sito”, è indispensabile per procedere a qualsiasi valutazione successiva.

    Creare il modello concettuale di un sito contaminato consiste sostanzialmente nel parametrizzare tutte le variabili che lo compongono.

    L’analisi di rischio, di Livello 2, è costituita da modelli analitici e non numerici, il che comporta un notevole coefficiente di semplificazione del sistema ambientale che la riguarda. Questo largo margine di semplificazione deve ovviamente essere supportato da un sufficiente livello di cautelatività per evitare di incorrere in rischi sottostimati.

    Il modello concettuale del sito è basato sull’individuazione e parametrizzazione matematica dei 3 elementi principali:

    • la sorgente di contaminazione;

    • i percorsi di migrazione degli inquinanti attraverso le matrici ambientali (falda, catena alimentare etc.);

    • i bersagli o recettori della contaminazione nel sito o nel suo intorno.

    Esiste un rischio per la salute umana unicamente nel caso in cui i tre elementi siano presenti e collegati.

    7.8.1 Criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale

    7.8.1Criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale

    Nell’Allegato I al Titolo V, Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, vengono definiti gli elementi necessari per la redazione dell’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica, da utilizzarsi per la definizione degli obiettivi di bonifica.

    L’analisi di rischio si può applicare prima, durante e dopo le operazioni di bonifica o messa in sicurezza. L’articolato normativo al Titolo V, Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 fa riferimento a due criteri-soglia di intervento: il primo, concentrazione soglia di contaminazione (CSC), da considerarsi valore di attenzione, superato il quale occorre svolgere una caratterizzazione ed il secondo, concentrazione soglia di rischio (CSR), che identifica i livelli di contaminazione residua accettabili, calcolati mediante analisi di rischio, sui quali impostare gli interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica.

    L’Allegato I al Titolo V, IV del D.Lgs. n. 152/2006 definisce i criteri minimi da applicare nella procedura di analisi di rischio inversa che verrà utilizzata per il calcolo delle CSR, cioè per definire in modo rigoroso e cautelativo per l’ambiente gli obiettivi di bonifica aderenti alla realtà del sito, che rispettino i criteri di accettabilità del rischio cancerogeno e dell’indice di rischio assunti nei punti di conformità prescelti.

    Schema 4 - Gestione dei siti contaminati

    Fonte: D’Aprile L., Ecoscienza, 2010

    7.8.2 Concetti e principi base

    7.8.2Concetti e principi base

    Nell’applicazione dell’analisi di rischio dei siti contaminati ed ai fini di una interpretazione corretta dei risultati finali occorre tenere conto dei seguenti concetti:

    • la grandezza rischio, in tutte le sue diverse accezioni, ha - costantemente - al suo interno componenti probabilistiche. Nella sua applicazione per definire gli obiettivi di risanamento è importante sottolineare che la probabilità non è legata all’evento di contaminazione (già avvenuto), quanto alla natura probabilistica degli effetti nocivi che la contaminazione, o meglio l’esposizione ad un certo contaminante, può avere sui ricettori finali;

    • ai fini di una piena accettazione dei risultati dovrà essere posta una particolare cura nella scelta dei parametri da utilizzare nei calcoli, scelta che dovrà rispondere sia a criteri di conservatività, il principio della cautela è intrinseco alla procedura di analisi di rischio, che a quelli di sito-specificità ricavabili dalle indagini di caratterizzazione svolte;

    • l’individuazione e l’analisi dei potenziali percorsi di esposizione e dei bersagli e la definizione degli obiettivi di bonifica, in coerenza con gli orientamenti strategici più recenti, devono tenere presente la destinazione d’uso del sito prevista dagli strumenti.

    7.8.3 Componenti dell’analisi di rischio da parametrizzare

    7.8.3Componenti dell’analisi di rischio da parametrizzare

    Sulla base della struttura del processo decisionale di “analisi di rischio”, indipendentemente dal tipo di metodologia impiegata, dovranno essere parametrizzate le seguenti componenti:

    • contaminanti indice;

    • sorgenti;

    • vie e modalità di esposizione;

    • ricettori finali.

    7.8.4 Contaminanti indice

    7.8.4Contaminanti indice

    Particolare attenzione dovrà essere posta nella scelta delle sostanze di interesse (contaminanti indice) da sottoporre ai calcoli di analisi di rischio. La scelta dei contaminanti indice, desunti dai risultati della caratterizzazione, deve tener conto dei seguenti fattori:

    • superamento della o delle CSC, ovvero dei valori di fondo naturali;

    • livelli di tossicità;

    • grado di mobilità e persistenza nelle varie matrici ambientali;

    • correlabilità ad attività svolta nel sito;

    • frequenza dei valori superiori al CSC.

    7.8.5 Sorgenti

    7.8.5Sorgenti

    Le indagini di caratterizzazione dovranno portare alla valutazione della geometria della sorgente: tale valutazione dovrà necessariamente tenere conto delle dimensioni globali del sito, in modo da procedere, eventualmente, ad una suddivisione in aree omogenee sia per le caratteristiche idrogeologiche che per la presenza di sostanze contaminanti, da sottoporre individualmente ai calcoli di analisi di rischio. In generale l’esecuzione dell’analisi di rischio richiede l’individuazione di valori di concentrazione dei contaminanti rappresentativi in corrispondenza di ogni sorgente di contaminazione (suolo superficiale, suolo profondo, falda) secondo modalità e criteri che si diversificano in funzione del grado di approssimazione richiesto.

    Tale valore verrà confrontato con quello ricavato dai calcoli di analisi di rischio, per poter definire gli interventi necessari. Salvo che per le contaminazioni puntuali (hot-spots), che verranno trattate in modo puntuale, tali concentrazioni dovranno essere di norma stabilite su basi statistiche (media aritmetica, media geometrica, UCL 95% del valore medio).

    7.8.6 Le vie e le modalità di esposizione

    7.8.6Le vie e le modalità di esposizione

    Le vie di esposizione sono quelle mediante le quali il potenziale bersaglio entra in contatto con le sostanze inquinanti. Si ha una esposizione diretta se la via di esposizione coincide con la sorgente di contaminazione; si ha una esposizione indiretta nel caso in cui il contatto del recettore con la sostanza inquinante avviene a seguito della migrazione dello stesso e quindi avviene ad una certa distanza dalla sorgente. Le vie di esposizione per le quali occorre definire i parametri da introdurre nei calcoli sono le seguenti:

    • suolo superficiale (compreso fra piano campagna e 1 metro di profondità);

    • suolo profondo (compreso fra la base del precedente e la massima profondità indagata);

    • aria outdoor (porzione di ambiente aperto, aeriforme, dove si possono avere evaporazioni di sostanze inquinanti provenienti dai livelli più superficiali);

    • aria indoor (porzione di ambiente aeriforme confinata in ambienti chiusi);

    • acqua sotterranea (falda superficiale e/o profonda).

    Le modalità di esposizione attraverso le quali può avvenire il contatto tra l’inquinante e il bersaglio variano in funzione delle vie di esposizione sopra riportate e sono distinguibili in:

    • ingestione di acqua potabile;

    • ingestione di suolo;

    • contatto dermico;

    • inalazione di vapori e/o particolato.

    7.8.7 I recettori o bersagli della contaminazione

    7.8.7I recettori o bersagli della contaminazione

    Sono i recettori umani, identificabili in residenti e/o lavoratori presenti nel sito (on-site) o persone che vivono al di fuori del sito (off-site).

    Di fondamentale importanza è la scelta del punto di conformità (soprattutto quello per le acque sotterranee) e del livello di rischio accettabile sia per le sostanze cancerogene che non-cancerogene.

    7.8.8 Punto di conformità per le acque sotterranee

    7.8.8Punto di conformità per le acque sotterranee

    Il punto di conformità per le acque sotterranee rappresenta il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali. Pertanto, in attuazione del principio generale di precauzione, il punto di conformità deve essere di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all’Allegato V della Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006.

    7.8.9 Costruzione del Modello Concettuale del Sito

    7.8.9Costruzione del Modello Concettuale del Sito

    La caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l’insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito.

    Per caratterizzazione dei siti contaminati si intende quindi l’intero processo costituito da varie fasi in cui si costruisce un “Modello Concettuale del Sito” (MCS).

    Tale astrazione permette, partendo da una geometria reale e quindi complessa, di dare vita ad uno schema fisico teorico semplificato.

    Tale elaborazione è il frutto di indagini ed analisi di caratterizzazione del sito e la sua definizione comprende essenzialmente la ricostruzione dei caratteri delle tre componenti principali che costituiscono l’Analisi di Rischio:

    Sorgente [Trasporto (Bersaglio, per cui devono essere definiti)]:

    • le sorgenti di contaminazione,

    • le vie di migrazione,

    • i bersagli della contaminazione.

    Questi sono identificati in funzione della destinazione d’uso del suolo, compreso nell’area logica di influenza del sito potenzialmente contaminato.

    Le tipologie di uso del suolo prese in esame sono differenziate in:

    • residenziale (bersagli: adulti e bambini);

    • ricreativo (bersagli: adulti e bambini);

    • industriale/commerciale (bersagli: adulti).

    7.8.10 Sorgente di contaminazione

    7.8.10Sorgente di contaminazione

    Come detto in precedenza, per applicare la procedura di Analisi di Rischio è necessario eseguire una schematizzazione concettuale e fisica di elementi del mondo reale tra i quali, principalmente, la geometria del sito e della sorgente di contaminazione.

    In particolare, la sorgente di contaminazione si differenzia in sorgente primaria e sorgente secondaria. La sorgente primaria è rappresentata dall’elemento che è causa di inquinamento (es. accumulo di rifiuti); quella secondaria è identificata con il comparto ambientale oggetto di contaminazione (suolo, acqua, aria).

    La sorgente secondaria può trovarsi in due comparti ambientali, ovvero:

    • zona insatura, a sua volta classificabile come suolo superficiale (SS), compreso tra 0 e 1 m di profondità dal piano campagna e suolo profondo (SP), con profondità maggiore di 1 m dal piano campagna;

    • zona satura, o acqua sotterranea (GW).

    In accordo agli standard di riferimento, la procedura di analisi di rischio va applicata riferendosi esclusivamente alla sorgente secondaria di contaminazione.

    Pertanto, tutti i parametri relativi alla sorgente si riferiscono al comparto ambientale, suolo superficiale, suolo profondo o falda, soggetto a contaminazione.

    Sarà necessario tener presente la:

    • individuazione della geometria della zona satura e insatura di suolo;

    • individuazione della sorgente di contaminazione rispettivamente nella zona insatura e satura di suolo;

    • definizione del valore di concentrazione rappresentativo alla sorgente;

    • stima delle proprietà chimico-fisiche e tossicologiche dei contaminanti;

    • identificazione degli inquinanti indicatori.

    7.8.11 Selezione degli inquinanti indicatori

    7.8.11Selezione degli inquinanti indicatori

    In alcuni casi, può accadere che il numero di specie chimiche inquinanti indagate nell’ambito della campagna di indagine diretta, e/o aventi valori di concentrazione nel suolo o in falda superiori ai valori di riferimento indicati dalla normativa vigente, sia estremamente elevato.

    La trattazione dell’intero insieme può portare all’ottenimento di risultati di difficile comprensione, se non addirittura fuorvianti rispetto al rischio dominante presente nel sito.

    Per evitare che ciò accada è necessario quindi ridurre il numero di specie chimiche da inserire nella procedura di analisi, selezionando quelle più importanti, ossia quelle alle quali è associato un rischio maggiore per l’uomo: tali sostanze prendono il nome di “inquinanti indicatori”.

    In linea teorica quindi, tra tutti gli inquinanti rinvenuti nel sito in esame, gli inquinanti indicatori sono quelli che, per:

    • valori di concentrazione;

    • tossicità;

    • frequenza di rilevamento;

    • mobilità nei comparti ambientali;

    • persistenza e capacità di bioaccumulo;

    presentano il rischio maggiore per l’uomo.

    Procedura per la identificazione degli inquinanti indicatori:

    • Raggruppamento delle specie chimiche in classi - L’insieme di specie chimiche rilevate nel sito in esame deve essere suddiviso in classi differenziate in funzione della tipologia della sostanza in esame.

    A titolo esemplificativo è possibile fare riferimento alla suddivisione per tipologia di sostanze mostrata in Tabella 2.

    Tabella 2 - Raggruppamento delle specie chimiche in classi

    Suddivisione in classi
    Composti inorganici
    Aromatici
    Aromatici policiclici
    Alifatici clorurati
    Alifatici alogenati
    Nitrobenzeni
    Clorobenzeni
    Fenoli non clorurati
    Fenoli clorurati
    Ammine aromatiche
    Fitofarmaci
    Diossine e furani
    Idrocarburi
    • Raggruppamento delle specie chimiche in sotto-classi - Ogni classe di sostanze, individuata come descritto nella precedente fase, deve essere ulteriormente suddivisa in due sottoclassi, in modo da raggruppare in una sottoclasse le sostanze che hanno effetti cancerogeni (categorie A, B1, B2, C) e in un’altra sottoclasse le sostanze non cancerogene (categorie D ed E) che hanno effetti tossici. Le sostanze che hanno effetti sia cancerogeni che tossici vanno inserite in entrambe le sotto-classi.

    • Selezione dell’inquinante indicatore - In corrispondenza ad ogni sotto-classe si identifica ‘inquinante indicatore in funzione della concentrazione misurata in sito e della sua tossicità. Tali fattori sono infatti ritenuti tra tutti più importanti nel calcolo del potenziale effetto di una specie chimica sulla salute umana.

    Ad ogni sostanza “i”, di cui è possibile conoscere il valore di tossicità, si assegna un fattore di rischio individuale “Rij”, determinato sulla base della sua concentrazione in un determinato comparto ambientale “j” e della tossicità, secondo la formula:

    Rij = Cij × Tij

    in cui

    Rij è il fattore di rischio della specie “i” nella matrice “j”

    Cij è la concentrazione della specie “i” nella matrice “j”

    Tijè il valore di tossicità della specie “i” nella matrice “j”.

    Secondo il principio di conservatività:

    • il valore di concentrazione utilizzato nel calcolo del fattore di rischio R deve corrispondere a quello della concentrazione rappresentativa calcolata (CRS); ciò permette di tener conto, anche se indirettamente, dell’estensione della sorgente di contaminazione;

    • nel caso in cui siano disponibili più valori di tossicità per una stessa specie, legati a differenti modalità di contatto con la sostanza (ad esempio per inalazione o per ingestione), il valore impiegato per il calcolo del fattore di rischio R deve essere quello più conservativo.

    Si calcola il fattore di rischio totale Rj di ogni matrice contaminata “j” come somma dei fattori di rischio individuali Rij:

    Rij = R1j + R2j + R3j +... + Rij

    Infine, si calcola il rapporto relativo Rij / Rj per ogni sostanza i nel mezzo j.

    Si seleziona quale inquinante indicatore della sotto-classe la sostanza a cui corrisponde il rapporto relativo Rij/Rj maggiore.

    • Calcolo della concentrazione rappresentativa dell’inquinante indicatore - Per ogni campione, si attribuisce a ciascun inquinante indicatore la concentrazione totale di ogni sotto-classe.

    • Calcolo del Rischio e dell’Indice di Pericolo - Il calcolo del Rischio va effettuato considerando la concentrazione rappresentativa dell’inquinante indicatore riferita alla sotto-classe dei composti cancerogeni; il calcolo dell’Indice di Pericolo va effettuato considerando la concentrazione rappresentativa dell’inquinante indicatore riferita alla sotto-classe dei composti tossici non cancerogeni.

    • Calcolo degli obiettivi di bonifica sito-specifici (CSR) - Una volta calcolata la CSR relativa ad ogni inquinante indicatore, le concentrazioni da attribuire a ciascun inquinante della medesima sotto-classe, vengono determinate mediante ripartizione della concentrazione totale, sulla base dei fattori di rischio individuali.

    Nello Schema 5 si riporta in forma di diagramma di flusso la sintesi della suddetta procedura.

    Schema 5 - Procedura per l’identificazione degli inquinanti indicatori

    7.8.12 Calcolo del rischio e degli obiettivi di bonifica sito-specifici

    7.8.12Calcolo del rischio e degli obiettivi di bonifica sito-specifici

    La procedura di analisi assoluta di rischio può avere un duplice obiettivo finale:

    • stimare quantitativamente il rischio per la salute umana connesso ad uno specifico sito, in termini di valutazione delle conseguenze legate alla sua situazione di inquinamento;

    • individuare dei valori di concentrazione accettabili nel suolo e nella falda vincolati alle condizioni specifiche del singolo sito che costituiscono gli obiettivi di bonifica sito specifici (Concentrazioni Soglia di Rischio, CSR).

    I due risultati derivano dalla applicazione della procedura secondo due distinte modalità.

    La modalità diretta (forward mode) permette il calcolo del rischio associato al recettore esposto, derivante da una sorgente di contaminazione di concentrazione nota. In particolare, nota la concentrazione rappresentativa della sorgente, si stima l’esposizione da parte del recettore, tenendo conto, sulla base della modalità di esposizione, dell’attenua-zione dovuta ai fattori di trasporto, si considera la tossicità delle sostanze mediante i parametri RfD (Reference Dose) e SF (Slope Factor) ed infine si calcola il rischio.

    La modalità inversa (backward mode) permette il calcolo della massima concentrazione ammissibile in sorgente compatibile con il livello di rischio ritenuto accettabile per il recettore esposto. Tale concentrazione rappresenta, nel Livello 2 di applicazione dell’analisi di rischio, l’obiettivo di bonifica specifico per il sito in esame.

    In particolare, stabilita la soglia di rischio tollerabile e utilizzando le formule inverse della procedura diretta, si ottiene una concentrazione accettabile nel punto di esposizione ed infine, per mezzo dei fattori di trasporto, si arriva a stimare la concentrazione accettabile in sorgente.

    Schema 6 - Possibili modalità di applicazione dell’analisi di rischio

    L’ISPRA ritiene opportuno ricordare i criteri fondamentali su cui si basa la procedura suddetta, validi sia in caso di applicazione della modalità diretta sia nell’applicazione della modalità inversa:

    • principio del caso ragionevolmente peggiore (RWC, ovvero Reasonable Worst Case) che riguarda in generale tutte le fasi di applicazione della procedura di analisi assoluta di rischio e deve sempre guidare la scelta tra alternative possibili;

    • principio della esposizione massima ragionevolmente possibile (RME, ossia Reasonable Maximum Exposure), che prevede in relazione ai parametri di esposizione l’assunzione di valori ragionevolmente conservativi al fine di pervenire a risultati cautelativi per la tutela della salute umana.

    Si osserva inoltre che l’analisi di rischio assoluta è rivolta alla valutazione dei rischi cronici o a lungo termine associati alla contaminazione presente nelle matrici ambientali (suolo superficiale, suolo profondo, acque sotterranee, acque superficiali) dovuta a una o più sorgenti identificabili e delimitabili e non alla valutazione dei rischi derivanti da esposizione acuta o da esposizione professionale nei luoghi di lavoro.

    La bonifica di un sito inquinato è finalizzata ad eliminare l’inquinamento delle matrici ambientali o a ricondurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti in suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali, entro i valori soglia di contaminazione (CSC) stabiliti per la destinazione d’uso prevista o ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) definiti in base ad una metodologia di analisi di rischio condotta per il sito specifico sulla base dei criteri indicati nell’Allegato I del D.Lgs. n. 152/2006.

    7.9 Punti vendita carburanti

    7.9Punti vendita carburanti

    In merito all’Allegato IV del D.Lgs. n. 152/2006 è intervenuto il D.M. del 12 febbraio 2015, n. 31, Regolamento recante i criteri semplificati per la caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita carburanti, ai sensi dell’art. 252, comma 4, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

    La finalità del D.M. 12 febbraio 2015, determina criteri semplificati per la caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei suoli e delle acque sotterranee per le aree di pertinenza dei punti vendita carburanti (di seguito PV).

    L’obiettivo è quello di fornire una metodologia specifica per l’applicazione dell’analisi di rischio ai Punti Vendita carburanti.

    Tale tipologia di siti risulta, infatti, quella maggiormente diffusa sul territorio nazionale e necessita di un approccio ad hoc in considerazione delle seguenti caratteristiche peculiari:

    • si tratta generalmente di aree di estensione limitata, non superiore a 5.000 m2;

    • la sorgente di contaminazione nel suolo è generalmente circoscritta all’area del PV o ad un’area minore;

    • la sorgente di contaminazione nelle acque può avere anche dimensioni di gran lunga superiori a quelle del PV;

    • è frequente l’ubicazione in contesti urbanizzati, in presenza di scenari di esposizione di tipo residenziale;

    • tra i contaminanti di interesse sono frequentemente riscontrabili sostanze non normate (ad es: MTBE, Pb tetraetile);

    • in generale, in considerazione della possibile presenza di recettori sensibili (residenti delle aree limitrofe) e della relativa semplicità di intervento, legata alla tipologia prevalente di inquinanti presenti (idrocarburi) occorre ridurre la fase di caratterizzazione del sito, anche in funzione dell’analisi di rischio, ed accelerare invece gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica, allo scopo di evitare il propagarsi della contaminazione.

    7.9.1 Contaminanti tipici

    7.9.1Contaminanti tipici

    I contaminanti indice, ossia i contaminati “tipici” di un punto vendita carburante non sono sempre di facile identificazione. Pertanto, nelle tabelle seguenti si riporta un elenco, indicativo e non esaustivo, dei contaminanti generalmente riscontrabili nei casi di contaminazione del suolo e della falda da punti vendita carburanti. Tale elenco può essere eventualmente ampliato, in considerazione delle attività effettivamente svolte nell’area di interesse e della presenza di fenomeni di contaminazione indotta dall’inquinamento ascrivibile al punto vendita (ad esempio, mobilizzazione di metalli pesanti in condizioni riducenti).

    Tabella 3 - Contaminanti tipici per le sorgenti suolo superficiale e suolo profondo

    Contaminante Necessità
    Idrocarburi C12
    Idrocarburi C>12 (C12-C40)
    Sempre
    Speciazione MADEP* solo su campione maggiormente rappresentativo che presenta superamento delle CSC per Idrocarburi C<12 e C>12, in considerazione delle sorgenti individuate.
    Benzene Sempre
    Toluene Sempre
    Etilbenzene Sempre
    Stirene Sempre
    Xilene Sempre
    IPA indicati all’Allegato V del D.Lgs. n. 152/2006 Nel caso di presenza di sversamenti da serbatoi con olii pesanti con modalità da concordare con l’Ente di Controllo.
    MtBE (metil-t-butil etere) Sempre (limite proposto da ISS)**
    ETBE (etil-t-butil-etere) Qualora non sia documentabile che nel sito non sono state utilizzate benzine contenenti tale additivo.
    Piombo Nel caso che il punto vendita sia attivo da prima del 2002
    Piombo tetraetile Nel caso che il punto vendita sia attivo da prima del 2002 (limite proposto da ISS)***

    * MADEP (Massachussetts Department of Environmental Protection).

    ** Il limite proposto da ISS per MTBE ed ETBE nei suoli verde pubblico e residenziali è 10 mg/kg ss e per i suoli industriali è 250 mg/kg ss (Parere del 2001, n. 57058 IA/12).

    *** Il limite proposto da ISS per Piombo tetraetile nei suoli verde pubblico e residenziali è 0.01 mg/kg ss e nei suoli industriali è 0.068 mg/kg ss (Parere del 17/12/2002, n. 49759 IA.12).

    Infine, nel caso di accertate contaminazioni dovute ad attività di piccola manutenzione meccanica o assimilabili saranno effettuate anche le analisi per i seguenti composti: cloruro di vinile; 1,2-DCA (1,2 - Dicloroetano); TCE (Tricloroetilene); 1,2-DCE (1,2 - Dicloroetilene). L’analisi di rischio verrà applicata a quei parametri che presentano almeno un superamento delle CSC nel periodo di riferimento.

    Tabella 4 - Contaminanti tipici per la sorgente falda

    Contaminante Necessità
    Idrocarburi Totali espressi come n-esano Sempre
    Speciazione MADEP solo su campione maggiormente rappresentativo che presenta superamento delle CSC per Idrocarburi Totali espressi come n-esano, in considerazione delle sorgenti individuate.
    Benzene Sempre
    Toluene Sempre
    Etilbenzene Sempre
    Stirene Sempre
    Xilene Sempre
    IPA indicati all’Allegato V del D.Lgs. n. 152/2006 Nel caso di presenza di sversamenti da serbatoi con olii pesanti con modalità da concordare con l’Ente di Controllo.
    Metil-t-butil etere (MTBE) Sempre (limite proposto da ISS)*
    Etil-t-butil-etere (ETBE) Qualora non sia documentabile che nel sito non sono state utilizzate benzine contenenti tale additivo.
    Piombo tetraetile Nel caso che il punto vendita sia attivo da prima del 2002 (limite proposto da ISS)**

    * Il limite proposto da ISS per MTBE ed ETBE nelle acque di falda è 40 µg/l (Parere del 12 settembre 2006, n. 45848)

    ** Il limite proposto da ISS per Piombo tetraetile nelle acque è di 0.1 µg/l (Parere del 17 dicembre 2002, n. 49759 IA.12)

    7.9.2 Parametri sito specifici per l’analisi di rischio applicata ai punti vendita

    7.9.2Parametri sito specifici per l’analisi di rischio applicata ai punti vendita

    Per la determinazione e la validazione dei parametri sito-specifici utilizzati nell’applicazione dell’analisi di rischio ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006, sono stati individuati 33 parametri che, sulla base delle risultanze dell’analisi di sensitività riportata nel manuale “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati” (Fonte: ISPRA), influenzano maggiormente le equazioni analitiche relative ai Fattori di Trasporto.

    Per la determinazione della granulometria del suolo, ad esempio, è possibile utilizzare campioni prelevati da un unico sondaggio relativo al litotipo rappresentativo dell’area, eventualmente uno compreso tra quelli previsti per la caratterizzazione dello stato di contaminazione.

    L’elenco dei parametri sito-specifici da determinare nel caso di analisi di rischio applicata ai punti vendita carburanti è riportato in Tabella 5.

    Tabella 5 - Parametri sito-specifici da determinare mediante verifiche/indagini dirette

    nn. Simbolo Parametro Unità di misura
    SUOLO INSATURO
    1 LGW Profondità del piano di falda cm
    2 Hv Spessore della zona insatura cm
    3 W’ Estensione della sorgente di contaminazione nella direzione principale del vento cm
    4 Sw’ Estensione della sorgente di contaminazione nella direzione ortogonale a quella principale del vento cm
    5 À Area della sorgente (rispetto alla direzione prevalente del vento) cm2
    6 Ls (SS) Profondità del top della sorgente nel suolo superficiale rispetto al p.c. cm
    7 Ls (SP) Profondità del top della sorgente nel suolo profondo rispetto al p.c. cm
    8 Lf Profondità della base della sorgente rispetto al p.c. cm
    9 Ds Spessore della sorgente nel suolo profondo (insaturo) cm
    10 D Spessore della sorgente nel suolo superficiale (insaturo) cm
    11 LF Soggiacenza della falda rispetto al top della sorgente cm
    12 Ief Infiltrazione efficace cm/anno
    13 Foc Frazione di carbonio organico nel suolo insaturo g-C/g-suolo
    14 pH pH del suolo insaturo adim.
    SUOLO SATURO
    15 W Estensione della sorgente nella direzione del flusso di falda cm
    16 Sw Estensione della sorgente nella direzione ortogonale al flusso di falda cm
    17 A Area della sorgente (rispetto alla direzione del flusso di falda) cm2
    18 W’ Estensione della sorgente di contaminazione nella direzione principale del vento cm
    19 Sw’ Estensione della sorgente di contaminazione nella direzione ortogonale a quella principale del vento cm
    20 À Area della sorgente (rispetto alla direzione prevalente del vento) cm2
    21 Vgw Velocità di Darcy cm/anno
    22 Ksat Conducibilità idraulica del terreno saturo cm/anno
    23 I Gradiente idraulico adim.
    AMBIENTI APERTI/CONFINATI
    24 Uair Velocità del vento cm/s
    25 Ab Superficie totale coinvolta nell’infiltrazione cm2
    26 Lb Rapporto tra volume indoor ed area di infiltrazione (RES. O IND.) cm
    27 LT Distanza tra il top della sorgente nel suolo insaturo (in falda) e la base delle fondazioni cm
    ALTRI PARAMETRI
    28 Distanza al punto di conformità m

    7.9.3 Costruzione del modello concettuale (MCS): punti vendita di carburanti

    7.9.3Costruzione del modello concettuale (MCS): punti vendita di carburanti

    Nel caso dei punti vendita di carburanti sono stati sviluppati dei diversi scenari a seconda delle diverse matrici ambientali coinvolte e per ogni scenario sono state specificate le vie di migrazione e le modalità di esposizione da ritenersi attive. Per quanto riguarda i bersagli della contaminazione, si prende in considerazione solo ricettori umani e la protezione della risorsa idrica sotterranea così come richiesto dal D.Lgs. n. 4/2008. Questi sono identificati in funzione della destinazione d’uso e del reale utilizzo del suolo, compreso nell’area logica di influenza del sito potenzialmente contaminato. In generale, le tipologie di uso del suolo prese in esame sono differenziate in:

    • residenziale (bersagli: adulti e bambini);

    • ricreativo (bersagli: adulti e bambini);

    • industriale/commerciale (bersagli adulti);

    • agricolo (bersagli adulti).

    Per i punti vendita in esercizio si fa riferimento all’utilizzo effettivo, ovvero industriale/commerciale.

    Per i punti vendita in dismissione si fa riferimento allo scenario futuro previsto dagli strumenti urbanistici per il sito.

    Per applicare la procedura di Analisi di Rischio, è necessario eseguire una schematizzazione concettuale e fisica di elementi del mondo reale tra i quali, principalmente, la geometria del sito e della sorgente di contaminazione. In particolare, la sorgente di contaminazione si differenzia in sorgente primaria e sorgente secondaria (ASTM, 1995). La sorgente primaria è rappresentata dall’elemento che è causa di inquinamento (ad esempio un serbatoio sotterraneo che perde, surnatante) quella secondaria è identificata con il comparto ambientale oggetto di contaminazione (suolo, acqua, aria). Nel caso dei punti vendita carburanti la sorgente secondaria può trovarsi in diversi comparti ambientali, ovvero:

    • suolo superficiale insaturo (SS), compreso tra 0 ed 1 m di profondità dal piano campagna;

    • suolo profondo (SP), con profondità maggiore di 1 m dal piano campagna fino al piano di falda;

    • acqua sotterranea (GW) on site e off site.

    In accordo con gli standard di riferimento, la procedura di analisi di rischio si applica facendo riferimento esclusivamente alle sorgenti secondarie di contaminazione. Occorre sottolineare che, ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006, le sorgenti primarie di contaminazione (ad esempio, tubazioni danneggiate, serbatoi forati, etc.) devono essere rimosse o messe in sicurezza in modo da evitare ulteriore propagazione della contaminazione. Generalmente la sorgente nel terreno e quella nelle acque sotterranee possono differire per tipologia di inquinanti e per dimensioni tanto più l’evento contaminante è lontano nel tempo, ed è in relazione alla facilità di trasmissione della contaminazione dal terreno alla falda. La geometria della sorgente di contaminazione che può avere dimensioni inferiori all’area del punto vendita, a 50 m (50 m, va individuata distintamente per ciascuno dei comparti ambientali coinvolti (suolo superficiale, suolo profondo, falda). Per il calcolo delle CSR, la delimitazione delle sorgenti, con riferimento alle acque sotterranee, deve essere effettuata all’interno dell’area di proprietà. Si può procedere ad un’ulteriore caratterizzazione di dettaglio, soprattutto nelle aree adiacenti ai serbatoi e in corrispondenza di linee interrate, zone di carico e scarico ed eventualmente delle centraline elettriche.

    Si osserva che, ai fini di una corretta caratterizzazione del sito e dell’elaborazione dell’analisi di rischio, sarebbe sempre opportuno, qualora tecnicamente possibile e compatibilmente con l’operatività del punto vendita, rimuovere i serbatoi forati e prelevare campioni di terreno immediatamente al di sotto degli stessi. Al fine di delimitare la sorgente, si considera un superamento delle CSC per almeno un contaminante e con continuità spaziale. Tale metodo permette di individuare un’estensione della sorgente di contaminazione che generalmente può risultare anche inferiore a quella del punto vendita. Ai fini della delimitazione delle sorgenti potranno essere utilizzati, per il suolo, tutti i dati disponibili, ivi inclusi quelli derivanti dal campionamento di pareti e fondo scavo.

    Qualora vi sia il fondato sospetto che il plumen della contaminazione si estenda al di fuori dell’area di proprietà del punto vendita, gli Autorità di Controllo richiederanno, come elemento conoscitivo e/o per il monitoraggio dei sistemi di messa in sicurezza/bonifica attivi sull’area, l’esecuzione di piezometri all’esterno del sito. Il campionamento off-site dovrà essere finalizzato alla definizione della effettiva estensione del plumen di contaminazione nelle acque sotterranee dei potenziali impatti sui recettori eventualmente coinvolti.

    Sulla base delle caratteristiche del sito, potranno essere prelevati anche campioni di suolo/sottosuolo al di fuori del perimetro del punto vendita, qualora si abbia il fondato sospetto che la contaminazione ascrivibile al punto vendita possa aver interessato le aree esterne (ad esempio: a seguito della presenza di surnatante, per sversamenti da serbatoi posti al confine dell’area di proprietà con superamenti delle CSC in sondaggi posti al limite del sito).

    7.9.4 Valutazione della sorgente di contaminazione nelle acque sotterranee in casi particolari

    7.9.4Valutazione della sorgente di contaminazione nelle acque sotterranee in casi particolari

    Nelle contaminazioni tipiche dei punti vendita spesso si riscontrano nelle acque sotterranee concentrazioni apprezzabili di metil-t-butil etere (MtBE) che per le sue caratteristiche, con particolare riferimento alla mobilità, può dar luogo a plumen anche considerevolmente più estesi rispetto agli idrocarburi.

    Dunque, la contemporanea presenza nelle acque sotterranee di metil-t-butil etere e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) può comportare una sovrastima dei rischi associati a questi ultimi. Pertanto, nel caso in cui la distribuzione di alcuni contaminanti in falda sia evidentemente differente dagli altri, ovvero quando le dimensioni dei pennacchi risultano essere notevolmente diverse, si potranno valutare due o più sorgenti di contaminazione distinte.

    La procedura di analisi di rischio potrà essere effettuata per ciascuna sorgente, ma si dovrà tener conto degli effetti sanitari cumulativi. Inoltre, per quel che concerne la definizione della geometria della sorgente e degli inquinanti indicatori per le acque sotterranee, dovranno essere considerati i dati provenienti dalle campagne di monitoraggio effettuate più di recente, ossia indicativamente nei due anni precedenti a quello di applicazione della procedura di analisi di rischio, se disponibili.

    7.9.5 Punto di conformità per le acque sotterranee per punti vendita di carburanti e recettori on-site e off-site

    7.9.5Punto di conformità per le acque sotterranee per punti vendita di carburanti e recettori on-site e off-site

    Il punto di conformità per le acque sotterranee rappresenta il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali. L’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati come il punto “teorico” o “reale” di valle idrogeologica, in corrispondenza della quale deve richiedere il rispetto degli obiettivi di qualità delle acque sotterranee. Tale punto deve essere posto coincidente con il più vicino pozzo ad uso idropotabile o, qualora all’interno del sito non siano presenti pozzi ad uso idropotabile, in corrispondenza del limite di proprietà dell’area, così come stabilito dal D.Lgs. n. 4/2008. Nel caso dei punti vendita, il punto di conformità e i piezometri esterni all’area di proprietà costituiscono anche punti di controllo per verificare l’efficienza/efficacia idrochimica degli eventuali sistemi di messa in sicurezza/bonifica attivati, con particolare riferimento alle barriere idrauliche.

    Nella predisposizione degli scenari di esposizione, per la specifica realtà del punto vendita, è opportuno tenere in considerazione che le situazioni tipiche di contaminazione riguardano il suolo profondo se sono correlabili a perdite dai serbatoi di stoccaggio mentre possono riguardare il suolo superficiale se sono dovute ad eventi legati alla movimentazione di prodotto in assenza di pavimentazione in buono stato di conservazione (ad esempio, scarico autobotti o rifornimento di autoveicoli). o per perdite da tubazioni fuori terra.

    La tipologia del recettore on-site va scelto sulla base degli strumenti urbanistici vigenti che fanno riferimento per i punti vendita in esercizio all’utilizzo effettivo, ovvero industriale/commerciale. Per i punti vendita in dismissione si fa riferimento allo scenario futuro previsto per il sito dagli strumenti urbanistici: all’atto della dismissione dovranno essere condotte nuove indagini per la elaborazione di una nuova analisi di rischio che tenga conto delle modifiche del modello concettuale (sorgenti, percorsi, bersagli).

    Tabella 6 - Rappresentazione schematica delle potenziali vie di esposizione e dei recettori nel caso dei punti vendita

    Punti Vendita
    Matrice Potenziali Vie di esposizione Potenziali Recettori
    ~on-site/off-site
    • Ingestione

    • Contatto dermico

    • Residenziale

    • Industriale

    Suolo Superficiale
    • Inalazione vapori e polveri indoor

    • Inalazione vapori e polveri outdoor

    • Lisciviazione e migrazione al punto di conformità

    • Ricreativo

    • Agricolo

    • Protezione risorsa idrica sotterranea

    Suolo Profondo
    • Inalazione vapori indoor

    • Inalazione vapori outdoor

    • Lisciviazione e migrazione al punto di conformità

    • Residenziale

    • Industriale

    • Ricreativo

    • Agricolo

    • Protezione risorsa idrica sotterranea

    Falda
    • Inalazione di vapori indoor

    • Inalazione vapori outdoor

    • Migrazione al punto di conformità

    • Residenziale

    • Industriale

    • Ricreativo

    • Agricolo

    • Protezione risorsa idrica sotterranea

    Per la matrice “suolo superficiale” il percorso di ingestione, contatto dermico e inalazione di polveri è escluso in caso di presenza di pavimentazione che presenti caratteristiche tecniche tali da garantire nel tempo l’interruzione dei percorsi suddetti. Il percorso di inalazione di vapori indoor dovrà essere attivato per gli edifici presenti entro 10 m dalla sorgente di contaminazione (ASTM E2006, 2008).

    7.9.6 Valutazione delle aree agricole esterne al confine di proprietà

    7.9.6Valutazione delle aree agricole esterne al confine di proprietà

    Nella valutazione dei recettori presenti all’esterno dell’area dei punti vendita è possibile che possano essere presenti aree agricole potenzialmente contaminate. Al fine della valutazione dei rischi relativi all’uso agricolo, in attesa della definizione di specifici criteri, si raccomanda quanto segue:

    • i recettori umani potenzialmente esposti all’interno di aree agricole sono assimilabili ai “lavoratori” e pertanto si utilizzeranno per questi i parametri di esposizione relativi all’uso industriale;

    • qualora la contaminazione delle acque sotterranee interessi pozzi utilizzati per l’irrigazione, si dovrà imporre comunque, ai sensi del D.Lgs. n. 4/2008, il rispetto delle CSC o degli obiettivi di qualità specifici stabiliti dalle Autorità di controllo per le acque sotterranee, ai punti vendita per il punto di conformità, e in corrispondenza di tali pozzi.

    In caso di fondato sospetto di contaminazione indotta dal punti vendita su aree agricole limitrofe, valutazioni specifiche relative all’ingresso nella catena alimentare dei contaminanti relativi al punto vendita attraverso i vegetali prodotti nelle aree contaminate e al rischio sanitario dovuto al consumo di tali vegetali potranno essere svolte dagli Autorità di controllo, in conformità con le indicazioni che verranno fornite dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), avvalendosi della possibilità di recuperare i costi sostenuti dai soggetti responsabili della contaminazione.

    7.10 Consumo di suolo

    7.10Consumo di suolo

    Il consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato).

    Per copertura del suolo (land cover) si intende la copertura biofisica della superficie terrestre, comprese le superfici artificiali, le zone agricole, i boschi e le foreste, le aree seminaturali, le zone umide, i corpi idrici, come definita dalla Direttiva 2007/2/CE.

    L’impermeabilizzazione del suolo, ovvero la copertura permanente di parte del terreno e del relativo suolo con materiali artificiali (quali asfalto o calcestruzzo) per la costruzione, ad esempio, di edifici e strade, costituisce la forma più evidente e più diffusa di copertura artificiale. In genere una parte dell’area di insediamento è davvero impermeabilizzata, poiché giardini, parchi urbani e altri spazi verdi non devono essere considerati (Commissione Europea, 2013). Altre forme di copertura artificiale del suolo vanno dalla perdita totale della “risorsa suolo” attraverso la rimozione per escavazione (comprese le attività estrattive a cielo aperto), alla perdita parziale, più o meno rimediabile, della funzionalità della risorsa a causa di fenomeni quali la compattazione (ad esempio, aree non asfaltate adibite a parcheggio).

    La criticità del consumo di suolo è maggiormente critica nelle zone periurbane e urbane a bassa densità, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali, unitamente alla criticità delle aree nell’intorno del sistema infrastrutturale, più frammentate e oggetto di interventi di artificializzazione a causa della maggiore accessibilità.

    I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e la densificazione di aree urbane dall’altro. Tali processi riguardano soprattutto le aree costiere mediterranee e le aree di pianura, mentre al contempo, soprattutto in aree marginali, si assiste all’abbandono delle terre e alla frammentazione delle aree naturali.

    Il consumo di suolo con le sue conseguenze, in attesa di interventi normativi efficaci, non si ferma.

    Il rallentamento progressivo dovuto alla crisi economica è sicuramente non sufficiente e, almeno in alcune zone del Paese, sembra essersi fermato o aver invertito la tendenza, confermando la mancanza del disaccoppiamento tra la crescita economica e la trasformazione del suolo naturale in assenza di interventi strutturali e di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. L’iniziativa delle Regioni e delle Amministrazioni locali sembra essere riuscita solo marginalmente, per ora, e solo in alcune parti del territorio, ad arginare l’aumento delle aree artificiali, rendendo evidente che gli strumenti attuali non hanno mostrato ancora l’auspicata efficacia nel governo del consumo di suolo. Non possono permetterselo neanche dal punto di vista strettamente economico, come ci indica la Commissione Europea, alla luce della perdita consistente di servizi ecosistemici e all’aumento di quei “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo che sono presentati al fine di assicurare la comprensione delle conseguenze dei processi di artificializzazione, delle perdite di suolo e del degrado a scala locale anche in termini di erosione dei paesaggi rurali, perdita di servizi ecosistemici e vulnerabilità al cambiamento climatico.

    Un consistente contenimento del consumo di suolo è la premessa per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, l’edilizia di qualità, la riqualificazione e la rigenerazione urbana, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse. Per questo obiettivo sarà indispensabile fornire ai Comuni e alle Città Metropolitane indicazioni chiare e strumenti utili per rivedere anche le previsioni di nuove edificazioni presenti all’interno dei piani urbanistici e territoriali già approvati.

    Il consumo di suolo è un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative e infrastrutturali.

    Un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici, fabbricati e insediamenti, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio.

    L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale (Commissione Europea, 2012). La copertura con materiali impermeabili è probabilmente l’uso più impattante che si può fare della risorsa suolo poiché ne determina la perdita totale o una compromissione permanente della sua funzionalità tale da limitare/inibire il suo insostituibile ruolo nel ciclo degli elementi nutritivi. Le funzioni produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente perse, così come la loro possibilità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e, spesso, la fruizione sociale. L’impermeabilizzazione deve essere, per tali ragioni, intesa come un costo ambientale, risultato di una diffusione indiscriminata delle tipologie artificiali di uso del suolo che porta al degrado delle funzioni ecosistemiche e all’alterazione dell’equilibrio ecologico (Commissione Europea, 2013).

    L’uso del suolo (land use) è un concetto diverso dalla copertura del suolo, rappresenta un riflesso delle interazioni tra l’uomo e il suolo e costituisce quindi una descrizione di come esso venga impiegato in attività antropiche. La Direttiva 2007/2/CE definisce l’uso del suolo come una classificazione del territorio in base alla dimensione funzionale o alla destinazione socioeconomica presenti e programmate per il futuro (ad esempio: residenziale, industriale, commerciale, agricolo, silvicolo, ricreativo).

    La rappresentazione del consumo di suolo è, quindi, data dal crescente insieme di aree coperte artificialmente da edifici, fabbricati, infrastrutture, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane. Tale definizione si estende, pertanto, anche in ambiti rurali e naturali ed esclude, invece, le aree aperte naturali e seminaturali in ambito urbano, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso. Anche la densificazione urbana, ovvero la nuova copertura artificiale del suolo all’interno di un’area urbana, rappresenta una forma di consumo di suolo. Il consumo di suolo netto è valutato attraverso il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione o altro (Commissione Europea, 2012).

    7.10.1 Il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo in Italia

    7.10.1Il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo in Italia

    Dopo aver toccato anche gli 8 m2 al secondo degli anni 2000, il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 (tra i 6 e i 7 m2 al secondo) si è consolidato, quindi, negli ultimi anni (4 m2 al secondo tra il 2013 e il 2015 e 3 m2 al secondo nei primi mesi del 2016). Pur con una velocità ridotta, tuttavia, il consumo di suolo continua a coprire irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, strade e altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, anche attraverso l’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità. I dati della cartografia SNPA mostrano come, a livello nazionale, il consumo di suolo sia passato dal 2,7% stimato per gli anni ’50 al 7,6% del 2016, con un incremento di 4,9 punti percentuali e una crescita percentuale del 184% (e con un ulteriore 0,22% di incremento negli ultimi sei mesi analizzati).

    Il consumo di suolo in Italia continua a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate, come si evince dall’ultimo Rapporto ISPRA 2021 sul consumo di suolo. Nell’ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 km2, ovvero, in media, più di 15 ettari al giorno. Un incremento che rimane in linea con quelli rilevati nel recente passato, e fa perdere al nostro Paese quasi 2 m2 di suolo ogni secondo, causando la perdita di aree naturali e agricole. Tali superfici sono sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti. Una crescita delle superfici artificiali solo in parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari quest’anno a 5 km2, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (in genere grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici che erano state già classificate come consumo di suolo reversibile). I dati della nuova cartografia SNPA mostrano che i valori netti dei cambiamenti nell’ultimo anno sono pari a 51,7 km2, equivalenti a 1,72 m2 per ogni ettaro di territorio italiano. In aggiunta, si deve considerare che 8,2 km2 sono passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile, a suolo consumato permanente, sigillando ulteriormente il territorio. L’impermeabilizzazione è quindi cresciuta, complessivamente, di 18 km2, considerando anche il nuovo consumo di suolo permanente. La relazione tra il consumo di suolo e le dinamiche della popolazione conferma che il legame tra la demografia e i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione non è diretto e si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, dei residenti. Anche a causa della flessione demografica, il suolo consumato pro-capite aumenta in un anno di 1,92 m2, passando da 357 a 359 m2/ab. Erano 349 m2/ab nel 2015. La copertura artificiale del suolo è ormai arrivata al 7,11% (7,02% nel 2015, 6,76% nel 2006) rispetto alla media UE del 4,2%. La percentuale nazionale sale al 9,15% all’interno del suolo utile, ovvero quella parte di territorio teoricamente disponibile e idonea ai diversi usi.

    Le attività di monitoraggio del territorio in termini di uso, copertura e consumo di suolo nel nostro Paese, assicurate dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) come previsto dalla Legge n. 132/2016, permettono di avere un quadro aggiornato annualmente dell’evoluzione dei fenomeni del consumo di suolo, delle dinamiche di trasformazione del territorio e della crescita urbana, in particolare, attraverso la produzione di cartografia tematica e l’elaborazione di indicatori specifici.

    La stessa Legge n. 132/2016, al fine di assicurare omogeneità ed efficacia all’esercizio dell’azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell’ambiente a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica del nostro Paese, istituisce i LEPTA, i Livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, che costituiscono il livello minimo omogeneo su tutto il territorio nazionale delle attività che il Sistema nazionale è tenuto a garantire, anche ai fini del perseguimento degli obiettivi di prevenzione collettiva previsti dai livelli essenziali di assistenza sanitaria. Proprio in tale ambito è previsto che il SNPA assicuri il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo attraverso la redazione di cartografia tematica e l’utilizzo di reti di monitoraggio puntali o di tecniche di earth observation per la classificazione della copertura del suolo. Il SNPA si è, quindi, organizzato per assicurare le attività di monitoraggio, costituendo un’apposita “rete di referenti” per il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo, coordinata da ISPRA, a cui partecipano le Agenzie per la protezione dell’ambiente delle Regioni e delle Province Autonome (ARPA-APPA).

    Il nuovo consumo di suolo viene suddiviso in due categorie principali (permanente e reversibile) che costituiscono un secondo livello di classificazione, e successivamente, dove possibile, classificato al terzo livello sulla base di questo sistema:

    • consumo di suolo permanente: edifici, fabbricati; strade asfaltate; sede ferroviaria; aeroporti (piste e aree di movimentazione impermeabili/pavimentate); porti (banchine e aree di movimentazione impermeabili/pavimentate); altre aree impermeabili/pavimentate non edificate (piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi); serre permanenti pavimentate; discariche;

    • consumo di suolo reversibile: strade sterrate; cantieri e altre aree in terra battuta (piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi, depositi permanenti di materiale); aree estrattive non rinaturalizzate; cave in falda; campi fotovoltaici a terra; altre coperture artificiali la cui rimozione ripristina le condizioni iniziali del suolo.

    A livello nazionale si sta sviluppando il Piano strategico Space Economy, che nasce dai lavori della Cabina di Regia Spazio, l’iniziativa promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione della politica nazionale nel settore spaziale, e che vuole consentire all’Italia di trasformare il settore spaziale in uno dei motori propulsori della nuova crescita del Paese, attraverso l’integrazione delle politiche di sviluppo dei territori con la politica spaziale. Attraverso la realizzazione di infrastrutture/sistemi innovativi abilitanti e la creazione di strutture operative nazionali, il sistema sarà basato su piattaforme Big Data di archiviazione, elaborazione e integrazione dei dati satellitari con altri dati osservativi e di previsione da modelli, in grado di abbattere le barriere di accesso alle informazioni utili per la fornitura di servizi su misura, per utenti istituzionali e privati.

    È stato adottato il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale con D.P.C.M. 20 febbraio 2019.

    Il suddetto Piano è strutturato nei seguenti ambiti e misure di intervento:

    • misure di emergenza;

    • misure di prevenzione;

    • misure di manutenzione e ripristino;

    • misure di semplificazione;

    • misure di rafforzamento della governance e organizzative.

    Il Piano persegue la formazione di un quadro unitario, ordinato e tassonomico, concernente l’assunzione dei fabbisogni, la ripartizione relativa ai suddetti ambiti e misure di intervento; la sintesi delle risorse finanziarie disponibili; la ripartizione dei carichi operativi e il piano delle azioni; il sistema di governance e delle collaborazioni istituzionali; il cronoprogramma delle attività; i risultati attesi, anche in termini di impatti e benefici sociali ed economici, una criteriologia più referenziata, conosciuta e maggiormente trasparente di selezione degli interventi; un sistema di reporting, monitoraggio e controllo di gestione, opportunamente potenziato, anche mediante alimentazione e integrazione delle banche dati esistenti.

    ✔ ESEMPIO

    Le determinanti dei cambiamenti d’uso del suolo di lungo periodo in Italia.

    Le trasformazioni d’uso del suolo sono state calcolate facendo riferimento ai seguenti processi:

    1) urbanizzazione;

    2) intensivizzazione;

    3) estensivizzazione;

    4) evoluzione in sistemi complessi;

    5) rinaturazione.

    Al riguardo, è stata stimata la frazione di superficie interessata dai fenomeni di cambiamento e il peso relativo dei singoli processi per ciascuna area di trasformazione.

    Per quanto riguarda le determinanti dei processi evolutivi si è fatto riferimento a quelle messe in luce da autorevoli studi a livello europeo, in cui sono state individuate, quali causali di maggiore peso, i seguenti ambiti: 1) demografico; 2) economico; 3) tecnologico; 4) istituzionale; 5) socio-culturale; 6) localizzativo. Sono state selezionate sia variabili dinamiche che statiche, di seguito riportate:

    • Ambito demografico: densità demografica (variazione 1960-2011), popolazione residente nei nuclei e nelle case sparse (variazione percentuale 1960-2011), popolazione residente nei poli e poli intercomunali (valori percentuali 2011), popolazione residente nei comuni cintura (valori percentuali 2011);

    • Ambito economico: occupati in agricoltura (variazione percentuale 1960-2011);

    • Ambito tecnologico: quantità di fertilizzante per ettaro di (Superficie agricola utilizzata) Sau (variazione 1960-2011), superficie irrigata per unità di Sau (variazione percentuale 1960-2011);

    • Ambito istituzionale: superficie protetta (variazione percentuale 1960-2011);

    • Ambito socio-culturale: unità locali nel comparto turistico (variazione percentuale 1960-2011);

    • Ambito localizzativo: superficie ad elevato rischio idrogeologico (valori percentuali 2015).

    In Italia, la superficie interessata dai processi di cambiamenti sopra citati è pari a circa 13 milioni di ettari (42% della superficie nazionale). La trasformazione più rilevante è rappresentata dal fenomeno della intesivizzazione (45% della superficie in trasformazione), seguita dalla rinaturazione (22%) e dalla evoluzione in sistemi complessi (19%). L’urbanizzazione interessa circa 1/10 dell’area in trasformazione. L’estensivizzazione è un fenomeno piuttosto marginale (3%).

    7.10.2 Il consumo di suolo in Europa

    7.10.2Il consumo di suolo in Europa

    In tutta la superficie europea analizzata la percentuale di costruito è decisamente inferiore a quella italiana, attestandosi a 2,8%. Tra i vari Paesi spicca Malta con oltre il 18% di superficie costruita, mentre Svezia, Norvegia e Islanda hanno meno dell’1% della loro superficie impermeabilizzata.

    Le aree boscate e a copertura arborea coprono circa il 34% dei Paesi europei analizzati, con picchi oltre il 60% della superficie nazionale in Finlandia (circa 10% latifoglie, 58% conifere) e Slovenia (circa 44% latifoglie, 20% conifere), e valori minimi inferiori al 10% a Malta, in Islanda e Irlanda. L’Italia ha circa il 41% di superficie coperta da alberi (circa 35% latifoglie, 6% conifere).

    Per quanto riguarda la classe Prati naturali e seminaturali, l’Italia ha circa il 5% di superficie (tra gli altri Paesi spicca la Svizzera con circa l’11%). Le Aree umide in Italia occupano invece circa lo 0,2% e i corpi idrici circa l’1%, le altre aree non classificate, che in Italia corrispondono circa al 49% della superficie, sono principalmente aree agricole, superfici di suolo nudo, roccioso ed altri tipi di copertura del suolo.

    L’indagine LUCAS (Land Use and Cover Area frame Survey) di Eurostat, è un’altra indagine europea che consente di comparare, seppure con alcuni limiti di significatività statistica, le caratteristiche generali di copertura del suolo nei diversi Paesi europei, attualmente a livello solamente nazionale e ripartizionale.

    I dati disponibili mostrano che quasi la metà dell’occupazione del suolo è stata fatta a spese di terreni coltivabili e colture permanenti, quasi un terzo a spese di pascoli e terreni coltivabili a mosaico e oltre il 10% a spese di boschi e aree naturali (EEA, 2013).

    A livello europeo si è spesso fatto ricorso in campo ambientale all’emanazione di “strategie tematiche” rese vincolanti da specifiche Direttive e finalizzate a stabilire misure di cooperazione e linee di indirizzo rivolte agli Stati membri e alle autorità locali. Così, anche nel caso del suolo, nel settembre 2006, fu proposta una nuova Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, che avrebbe dovuto definire il quadro complessivo per la protezione del suolo e adottare la Strategia tematica per la protezione e l’uso sostenibile del suolo (Commissione Europea, 2006). Tale strategia poneva l’accento sulla prevenzione da un ulteriore degrado del suolo e sul mantenimento delle sue funzioni, sottolineando la necessità di attuare buone pratiche per ridurre gli effetti negativi del consumo di suolo e, in particolare, della sua forma più evidente e irreversibile: l’impermeabilizzazione (soil sealing).

    L’importanza di una buona gestione del territorio e, in particolare, dei suoli fu poi ribadita dalla Commissione nel 2011 con la Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse (Commissione Europea, 2011) collegata alla Strategia 2020, con il traguardo di un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere, in Europa, entro il 2050. Obiettivo ribadito in seguito con l’approvazione del Settimo Programma di Azione Ambientale, denominato “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” (Parlamento europeo e Consiglio, 2013), che richiedeva inoltre che, entro il 2020, le politiche dell’Unione tenessero conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio. Da un punto di vista formale è importante sottolineare che il Settimo Programma Ambientale dell’UE, siglato il 20 novembre 2013 ed entrato in vigore nel gennaio 2014, è una Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio e ha quindi una natura normativa, a differenza della Tabella di marcia del 2011 della Commissione, che si limitava a delineare delle pur importanti priorità politiche.

    Peraltro, la Commissione aveva già ritenuto utile indicare le priorità di azione e le linee guida da seguire per raggiungere l’obiettivo dell’occupazione netta di terreno pari a zero entro il 2050 pubblicando, nel 2012, le linee guida per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo (Commissione Europea, 2012). L’approccio proposto era quello di mettere in campo politiche e azioni finalizzate, nell’ordine, a limitare, mitigare e compensare il soil sealing, da definire dettagliatamente negli Stati membri e da attuare a livello nazionale, regionale e locale. In altri termini, gli Stati membri dovrebbero, prioritariamente, assicurare la limitazione dell’impermeabilizzazione attraverso la riduzione del tasso di conversione e di trasformazione del territorio agricolo e naturale e il riuso delle aree già urbanizzate, con la definizione di target realistici al consumo di suolo a livello nazionale e regionale e di linee di azione come la concentrazione del nuovo sviluppo urbano nelle aree già insediate. Nel caso in cui la perdita di suolo risulti inevitabile, dovrebbero essere previste misure di mitigazione, volte al mantenimento delle principali funzioni del suolo e alla riduzione degli effetti negativi sull’ambiente del soil sealing. Infine, tutti gli interventi inevitabili di nuova impermeabilizzazione del suolo dovrebbero essere compensati assicurando, ad esempio, una rinaturalizzazione di terreni già impermeabilizzati oppure, come ultima possibilità, sotto forma di corrispettivi economici, purché vincolati all’utilizzo in azioni di protezione o ripristino del suolo.

    Molti paesi nord europei possiedono una legislazione nazionale consolidata che già prevede azioni e misure in grado di arrestare i processi di degrado e tutelare efficacemente questa fondamentale risorsa ambientale (contrasto all’erosione, incremento della sostanza organica e mantenimento della fertilità nei suoli agricoli); in alcuni casi al di fuori del nostro Paese tale processo decisionale avviene in maniera chiara e definita alle varie scale, riuscendo ad integrare e coordinare con successo la normativa nazionale e quella locale.

    Parallelamente, a livello globale, la conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile del 2012 permetteva di portare nuovamente all’attenzione pubblica il tema della protezione, della conservazione e del miglioramento delle risorse naturali, incluso il suolo.

    Raccogliendo tali indicazioni, nel 2015, l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (UN, 2015), definiva gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) e indicava, tra gli altri, alcuni target di particolare interesse per il territorio e per il suolo, da integrare nei programmi nazionali a breve e medio termine e da raggiungere entro il 2030:

    • assicurare che il consumo di suolo non superi la crescita demografica;

    • assicurare l’accesso universale a spazi verdi e spazi pubblici sicuri, inclusivi e accessibili;

    • raggiungere un land degradation neutral world, quale elemento essenziale per mantenere le funzioni e i servizi ecosistemici.

    Con la sottoscrizione dell’Agenda, tutti i paesi compresa l’Italia hanno accettato di partecipare ad un processo di monitoraggio di questi obiettivi gestito dalla Commissione Statistica delle Nazioni Unite, attraverso un sistema di indicatori, tra cui alcuni specifici sul consumo di suolo, sull’uso del suolo, sulle aree artificiali, sulla percentuale del territorio soggetto a fenomeni di degrado.

    A livello nazionale lo strumento per la messa a sistema dell’attuazione dell’Agenda 2030 è rappresentato dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS), presentata al Consiglio dei Ministri a ottobre 2017 (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2017) e approvata dal CIPE a dicembre dello stesso anno. La SNSvS 2017-2030 si configura, anche alla luce dei cambiamenti intervenuti a seguito della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali, come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo.

    Al fine di garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali “Arrestare il consumo del suolo e la desertificazione” è stato individuato come uno degli obiettivi strategici che, quindi, potrebbe essere anticipato al 2030.

    Per il raggiungimento di questo obiettivo nel nostro Paese, così come di quello europeo relativo al 2050, sono evidentemente necessari atti normativi efficaci che possano indirizzare le politiche di governo e le azioni di trasformazione del territorio verso un rapido contenimento del consumo di suolo agricolo o naturale.

    Tuttavia, come in Europa pesa l’assenza di una Direttiva quadro sul suolo, anche in Italia il Parlamento non ha ad oggi approvato una legge che abbia l’obiettivo di proteggere il suolo dalla sua progressiva copertura artificiale.

    L’Europa e le Nazioni Unite ci richiamano alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e ci chiedono di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030.

    In sintesi, gli obiettivi da raggiungere sono:

    • l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050 (Parlamento europeo e Consiglio, 2013);

    • la protezione adeguata del suolo anche con l’adozione di obiettivi relativi al suolo in quanto risorsa essenziale del capitale naturale entro il 2020 (Parlamento europeo e Consiglio, 2013);

    • l’allineamento del consumo alla crescita demografica reale entro il 2030 (UN, 2015);

    • il bilancio non negativo del degrado del territorio entro il 2030 (UN, 2015).

    L’obiettivo dell’azzeramento del consumo di suolo è stato definito a livello europeo già con la Strategia tematica per la protezione del suolo del 2006, che ha sottolineato la necessità di porre in essere buone pratiche per ridurre gli effetti negativi del consumo di suolo e, in particolare, della sua forma più evidente e irreversibile: l’impermeabilizzazione (soil sealing). Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno, perciò, tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio e questo obiettivo generale è stato ulteriormente richiamato nel 2011, con la Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, nella quale si propone il traguardo di un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere, in Europa, entro il 2050. Obiettivo rafforzato nel 2013 dal Parlamento Europeo con l’approvazione del Settimo Programma di Azione Ambientale.

    La Commissione ha ritenuto utile anche indicare le priorità di azione e le modalità per raggiungere tale obiettivo e, nel 2012, ha pubblicato le linee guida per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo. L’approccio indicato per il contenimento del consumo del suolo e dei suoi impatti è quello di attuare politiche e azioni finalizzate, nell’ordine, a limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, da definire dettagliatamente negli Stati membri.

    7.11 Bonifica delle aree minerarie dismesse

    7.11Bonifica delle aree minerarie dismesse

    Nel corso dei secoli lo sfruttamento delle risorse minerali ha conosciuto fasi alterne di espansione più o meno intensa, che hanno portato l’industria estrattiva italiana a rivestire una posizione di primo piano a livello europeo, e di recessione se non addirittura di dissuasione dell’attività mineraria. In ogni caso, queste alterne vicende hanno lasciato, e continuano a lasciare, le loro tracce sul nostro territorio, in quanto l’estrazione e la valorizzazione delle materie prime minerali implica sempre delle imprescindibili interazioni con l’ambiente naturale, il territorio, il contesto socioeconomico.

    Tali interazioni possiedono caratteristiche del tutto peculiari, talvolta uniche, che rendono, di fatto, impossibile qualsiasi definizione, in termini generali ed univoci, del rapporto esistente tra la miniera ed il sistema ambiente/territorio.

    Un’area mineraria costituisce sovente un caso di inquinamento diffuso: gli accumuli di sterili, i bacini di decantazione e di flottazione, le discariche minerarie, gli abbancamenti dispersi negli alvei dei fiumi, i suoli contaminati ne costituiscono le fonti puntuali di contaminazione. In applicazione dell’art. 239, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i. gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso sono disciplinati dalle regioni con appositi piani, redatti nel rispetto dei criteri generali della normativa vigente.

    La distinzione tra cave e miniere è puramente giuridica ed è legata alla tipologia di minerale estratto. Il R.D. n. 1443/1927, che rappresenta ancora oggi la norma di riferimento per il settore estrattivo, distingue i minerali in due categorie. In particolare, all’art. 2 sancisce: “Le lavorazioni indicate nell’art. 1 [ovvero la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e delle energie del sottosuolo, industrialmente utilizzabili] si distinguono in due categorie: miniere e cave”.

    Appartengono alla prima categoria la ricerca e la coltivazione delle sostanze ed energie seguenti:

    • minerali utilizzabili per l’estrazione di metalli, metalloidi e loro composti, anche se detti minerali siano impiegati direttamente;

    • grafite, combustibili solidi, liquidi e gassosi, rocce asfaltiche e bituminose;

    • fosfati, Sali alcalini e magnesiaci, allumite, miche, feldspati, caolino e bentonite, terre da sbianca, argille per porcellana e terraglia forte, terre con grado di refrattarietà superiore a 1630 gradi centigradi;

    • pietre preziose, granati, corindone, bauxite, leucite, magnesite, fluorina, minerali di bario e di stronzio, talco, asbesto, marna da cemento, pietre litografiche;

    • sostanze radioattive, acque minerali e termali, vapori e gas.

    Appartiene alla seconda categoria la coltivazione:

    • delle torbe;

    • dei materiali per costruzioni edilizie, stradali ed idrauliche;

    • delle terre coloranti, delle farine fossili, del quarzo e delle sabbie silicee, delle pietre molari, delle pietre coti;

    • degli altri materiali industrialmente utilizzabili ai termini dell’art. 1 e non compresi nella prima categoria.

    7.11.1 La caratterizzazione ambientale delle aree minerarie dismesse

    7.11.1La caratterizzazione ambientale delle aree minerarie dismesse

    La caratterizzazione ambientale di un’area mineraria dismessa ha come obiettivo la determinazione dell’eventuale stato di contaminazione delle matrici ambientali, legato alle attività che per lungo tempo si sono svolte nel sito. I risultati della caratterizzazione sono il principale strumento per la definizione degli interventi di bonifica e/o messa in sicurezza permanente più idonei, da realizzare in relazione alle caratteristiche specifiche del sito ed alla destinazione d’uso futura dello stesso.

    Per svolgere correttamente le attività di caratterizzazione è indispensabile, in primo luogo, procedere alla perimetrazione dell’area d’indagine, ovvero alla delimitazione dell’area che include tutte le sorgenti della potenziale contaminazione, all’interno del bacino idrogeologico sotteso. In tale area verranno svolte le indagini principali, al fine di verificare il potenziale inquinante delle sorgenti di contaminazione e l’eventuale dispersione della contaminazione nel territorio. La perimetrazione dell’area d’indagine deve essere dunque effettuata a partire dalla identificazione dei centri di pericolo potenziale presenti sul territorio (gallerie, scavi, discariche minerarie, abbancamenti e bacini contenenti residui del trattamento mineralurgico, impianti di trattamento, etc.), da eseguire mediante l’utilizzo di cartografia tematica, fotografie aeree, documentazione disponibile relativa alle attività svolte nel sito.

    Particolare attenzione deve essere posta nei casi in cui sia rilevata la presenza di impianti di trattamento mineralurgico, abbancamenti o bacini di contenimento di residui fini del trattamento stesso, ubicati a ridosso dei corsi d’acqua: infatti i residui di granulometria fine riversati nei rii adiacenti agli impianti quale pratica di smaltimento, oppure erosi dagli abbancamenti che si trovano a ridosso dei fiumi ad opera delle acque superficiali, o ancora sversati nei rii in seguito ad episodi di rottura degli argini dei bacini di contenimento, possono trovarsi dispersi lungo l’intero corso dei rii e formare accumuli nelle parti di alveo caratterizzate da bassa energia di trasporto.

    Tali residui, denominati “tailing”, devono essere individuati e adeguatamente delimitati, poiché rappresentano centri di pericolo potenziale prioritari.

    Per evitare di elaborare una perimetrazione inesatta, l’identificazione dei centri di pericolo potenziale dovrà essere confermata mediante sopralluoghi speditivi sul campo.

    Individuate le possibili fonti di inquinamento, è necessario identificare i potenziali percorsi di migrazione dei contaminanti dalle sorgenti ai recettori, in relazione alle caratteristiche delle sorgenti stesse ed alle peculiarità geologiche, idrogeologiche e geomorfologiche del sito. In questo modo saranno individuate le potenziali sorgenti secondarie di contaminazione che devono essere oggetto di caratterizzazione e successiva eventuale bonifica.

    Considerato che in un’area mineraria la diffusione della contaminazione avviene principalmente ad opera delle acque superficiali, che erodono gli accumuli di residui di estrazione e trattamento e trasportano i materiali potenzialmente contaminati verso valle, dovrà essere delimitato il bacino idrografico che racchiude tutte le sorgenti di contaminazione, primarie e secondarie, individuate.

    In assenza di fenomeni particolari di dispersione dei contaminanti, quali ad esempio un’importante componente di erosione eolica dei materiali fini oppure un bacino idrogeologico differente da quello idrografico associato ad una contaminazione delle acque sotterranee, il bacino così delimitato rappresenta la perimetrazione dell’area vasta.

    All’interno dell’area vasta, l’inviluppo dei centri di pericolo costituirà l’area di indagine. Qualora la ricostruzione delle attività svolte presso il sito evidenziasse l’utilizzo di particolari sostanze, dovranno essere analizzati anche i relativi parametri, che dovranno comunque essere presenti nelle tabelle di riferimento del D.Lgs. n. 152/2006, che rappresentano il termine di confronto per la verifica della presenza di contaminazione.

    Definita la perimetrazione dell’area vasta e dell’area di indagine, si deve procedere alla redazione del Piano della caratterizzazione, i cui contenuti rappresentano la base per la realizzazione delle successive indagini di dettaglio e per la stesura del Modello concettuale definitivo del sito, da realizzare nell’ambito dei Risultati delle indagini.

    Il Piano della caratterizzazione deve affrontare i seguenti argomenti:

    A) Informazioni sulla localizzazione del sito e sulla storia dell’attività mineraria
    A)Informazioni sulla localizzazione del sito e sulla storia dell’attività mineraria

    1. Localizzazione, descrizione del sito e definizione del suo valore ambientale in relazione alla destinazione d’uso prevista. Il sito deve essere inquadrato geograficamente e deve essere indicata l’appartenenza ad aree istituite (Parco Geominerario, Sito di interesse nazionale, etc.), devono essere evidenziate eventuali peculiarità di carattere ambientale o storico-culturale, deve essere reso noto, inoltre, l’eventuale titolare della concessione mineraria o il proprietario dell’area; qualora fosse presente un progetto di recupero o riutilizzo, questo deve essere illustrato.

    2. Inquadramento urbanistico, infrastrutturale e di pianificazione e gestione del territorio. L’area mineraria deve essere inquadrata in relazione agli strumenti urbanistici e vincolistici vigenti e devono essere descritte le infrastrutture presenti (viabilità, centri abitati, edifici minerari, bacini artificiali, etc.) e le eventuali attività produttive che si svolgono nel sito.

    3. Descrizione della perimetrazione dell’area vasta e dell’area d’indagine. Devono essere indicati i criteri di delimitazione dell’area vasta e dell’area di indagine, con indicazione della superficie totale e dei bacini idrografici interessati.

    4. Inquadramento storico delle attività svolte nel sito. Deve essere realizzata una breve sintesi della storia mineraria dell’area, con dati sulla mineralizzazione (paragenesi mineralogiche, tenori, etc.), indicazioni relative alle tecniche di estrazione e di trattamento utilizzate e alle loro eventuali variazioni nel tempo. Quando possibile devono essere forniti gli schemi di trattamento degli impianti, con indicazione delle sostanze chimiche utilizzate quali reagenti.

    5. Censimento dei lavori minerari e dei compendi immobiliari. Sulla base della cartografia tematica, delle fotografie aeree, di eventuali dati storici e di sopralluoghi sul campo, devono essere individuati i principali elementi del paesaggio minerario (discariche minerarie, scavi, pozzi di estrazione, laghi artificiali, impianti di trattamento, edifici di servizio, etc.) e ne devono essere sinteticamente illustrate le caratteristiche essenziali.

    B) Informazioni e dati sulle caratteristiche naturali dell’area
    B)Informazioni e dati sulle caratteristiche naturali dell’area

    6. Inquadramento meteo-climatico. Il piano deve contenere i dati rilevati nelle stazioni pluviometriche e termometriche di riferimento e devono essere esaminati nel dettaglio i casi critici.

    7. Inquadramento geologico, geomorfologico e idrogeologico. Sulla base della cartografia e dei dati storici disponibili dovrà essere ricostruito nel dettaglio il contesto geologico dell’area con descrizione delle formazioni affioranti e dell’assetto strutturale. L’analisi geomorfologica dovrà evidenziare le principali forme e i processi geomorfologici in atto e potenziali. Dovrà poi essere condotto uno studio idrologico e idrogeologico, che contenga dati ed informazioni sui corpi idrici superficiali e sugli acquiferi presenti nel sito. Dovrà essere evidenziata la presenza di pozzi e sorgenti e specificato il loro eventuale utilizzo. Particolare attenzione dovrà essere posta nella valutazione di un potenziale rischio idrogeologico nei casi in cui siano presenti evidenti caratteristiche di pericolosità legate ad eventi critici storici.

    8. Inquadramento degli ambienti naturali, flora e fauna. La descrizione dell’ambiente naturale deve essere svolta illustrando le principali specie vegetali e faunistiche presenti nell’area, in relazione alle condizioni climatiche e morfologiche.

    9. Descrizione dell’uso del suolo. Devono essere descritti i principali utilizzi del territorio (uso agricolo, forestale, industriale, etc.) e la copertura attuale del suolo, sia in relazione agli strumenti urbanistici, sia al reale utilizzo del territorio.

    C) Dati storici sulle campionature
    C)Dati storici sulle campionature

    10. Analisi dei dati geochimici storici. Qualora disponibili, devono essere discussi i risultati di precedenti campagne di indagine, al fine di definire preliminarmente lo stato di qualità delle matrici ambientali e di individuare gli eventuali contaminanti.

    11. Definizione preliminare del fondo geochimico naturale. Se i dati geochimici storici a disposizione risultassero idonei, in relazione al loro numero, alla matrice (suolo o stream sediment) e all’ubicazione dei campioni, deve essere calcolato un valore di fondo naturale preliminare. Per ogni argomento esaminato dovranno essere indicate le fonti documentali utilizzate. La trattazione degli argomenti dovrà essere indirizzata alle finalità del Piano della caratterizzazione (individuazione e bonifica dell’eventuale contaminazione), approfondendo i fattori rilevanti per la trasmissione dei contaminanti verso l’uomo e l’ambiente naturale e trascurando gli aspetti esclusivamente scientifici, non influenti per lo scopo del lavoro. Nel caso siano presenti dei dati di analisi di laboratorio eseguite nel passato, la struttura e l’organizzazione dei dati dovrà essere descritta in dettaglio per consentire una corretta comprensione di tutti i fattori analizzati. Sulla base dei dati raccolti ed elaborati potrà essere ricostruito il modello concettuale preliminare e si programmeranno le indagini di caratterizzazione.

    12. Elaborazione del Modello concettuale preliminare del sito. Sulla base delle informazioni storiche disponibili e di eventuali indagini preliminari condotte sulle matrici ambientali, deve essere elaborato un modello concettuale che possa consentire una corretta impostazione delle successive indagini del Piano di investigazione. Il modello concettuale deve individuare le sorgenti della contaminazione, i bersagli potenziali, i collegamenti attivi e quelli da definire mediante ulteriori indagini. La finalità è quella di identificare le ipotesi sul rilascio dei contaminanti e di focalizzare gli interventi sui collegamenti sorgente-trasmissione-bersaglio individuati come completi. Il modello concettuale preliminare deve essere supportato da uno schema grafico che consenta una rapida ed intuitiva interpretazione dei fenomeni di trasferimento dei contaminanti dalle sorgenti ai recettori.

    13. Progettazione del piano di indagini. Devono essere definite nel dettaglio le attività che saranno svolte in campo ed in laboratorio, finalizzate alla caratterizzazione delle matrici ambientali, con indicazione delle specifiche tecniche. Dovranno essere indicati l’ubicazione e la tipologia delle indagini da svolgere, le analisi chimico-fisiche da realizzare, le metodologie di interpretazione e restituzione dei risultati.

    14. Descrizione degli interventi di messa in sicurezza eventualmente effettuati e di quelli previsti nell’area. Il Piano deve contenere una sintesi delle azioni di messa in sicurezza eventualmente già attuate nel sito e di quelle da attuare. Il Piano della caratterizzazione, che dovrà contenere anche le tabelle di sintesi e la cartografia essenziale, deve essere approvato dall’Ente competente con le quali devono essere inoltre definite le procedure di controllo e validazione. In seguito all’approvazione del Piano possono essere avviate le attività di indagine, i cui risultati dovranno condurre ad una rappresentazione dell’eventuale stato di contaminazione di suolo, sottosuolo e acque, e all’elaborazione del Modello concettuale definitivo. Nel caso in cui le indagini svolte nel sito evidenziassero l’assenza di contaminazione delle matrici ambientali, la caratterizzazione ambientale si riterrà conclusa con l’elaborazione del Modello concettuale definitivo.

    7.11.2 Siti minerari abbandonati

    7.11.2Siti minerari abbandonati

    L’analisi dei dati raccolti mette in evidenza la presenza di un gran numero di siti, privi di concessione, a testimonianza dell’inesorabile declino che ha colpito il comparto estrattivo di minerali di prima categoria negli ultimi decenni del secolo scorso. Nella maggior parte dei casi si tratta di miniere con coltivazioni in sotterraneo (1897 siti), con 490 siti con vecchie coltivazioni a cielo aperto e solo 86 siti abbandonati coltivati in parte a cielo aperto e in parte in sotterraneo.

    La Regione col maggior numero di siti abbandonati è la Sicilia (con 756 siti minerari abbandonati su 765 totali). In generale, la stragrande maggioranza dei siti minerari in stato di abbandono si colloca nelle Regioni che hanno avuto la storia mineraria più significativa. Alla Sicilia, seguono, infatti, la Toscana con 347 siti, il Piemonte (339), la Lombardia (249) e la Sardegna (186) (vedi Tabella 7).

    Tabella 7 - Siti minerari abbandonati per Regione

    Fonte: Alma mater studiorum - Università di Bologna - FACOLTÀ DI INGEGNERIA - Mauro Italiano 2011/2012.

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO 10/2020: “Perché non si parla (quasi) mai del soggetto “responsabile” della contaminazione. Il caso del Petrolchimico di Mantova come auspicabile cambio di prospettiva”, di Emanuela Gallo

    • AMBIENTE & SVILUPPO 6/2020: “Il delitto di inquinamento ambientale nuovamente al vaglio della S.C. tra soluzioni e criticità (nota a Cass. pen. n. 9736/2020)”, di Giulia Rizzo Minelli

    • AMBIENTE & SVILUPPO 6/2020: “Gruppi di imprese: responsabilità della controllante per l’inquinamento del sito cagionato dalla controllata (nota a CDS, n. 2301/2020)”, di Valentina Cavanna

    • AMBIENTE & SVILUPPO 5/2020: “Con la cessione d’azienda non “passa” la responsabilità per l’inquinamento del sito (nota a CDS, n. 2195/2020)”, di Valentina Cavanna

    • AMBIENTE & SVILUPPO 4/2020: “Soggetti non responsabili della contaminazione: quali obblighi di comunicazione? (nota a Cass. pen. n. 2686/2020)”, di Valentina Cavanna

    • AMBIENTE & SVILUPPO 2/2020: “Per imporre le Mise al proprietario incolpevole è sufficiente che sia consapevole della contaminazione?”, di Andrea Quaranta

      Paolo Felice e Massimo Zortea, Riqualificare le cave dismesse in Italia, e-book, Wolters Kluwer, 2019.

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