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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    AMBIENTE 2024

    Capitolo 6

    Scarichi e tutela delle acque

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Blasizza Erica, AA.VV.

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    6.1 Considerazioni preliminari

    6.1Considerazioni preliminari

    Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. “Testo Unico dell’Ambiente”) - attuazione della Legge 15 dicembre 2004, n. 308 recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione - ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali (art. 2, comma 1). Esso recepisce le Direttive europee in ordine alla tutela ambientale ed in particolare, nella Parte III affronta: “la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche”.

    La Parte III del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 riguarda la normativa circa la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche; rinnova ed introduce norme in materia di difesa del suolo e di lotta alla desertificazione e si pone l’obiettivo di fondere in un unico testo le numerose disposizioni normative previgenti.

    È suddivisa in quattro sezioni:

    • Sezione I: Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione (artt. da 53 a 72);

    • Sezione II: Tutela delle acque dall’inquinamento (artt. da 73 a 140);

    • Sezione III: Gestione delle risorse idriche (artt. da 141 a 169);

    • Sezione IV: Disposizioni transitorie e finali (artt. da 170 a 176).

    Il Testo Unico dell’Ambiente assicura un’incisiva ed effettiva azione di tutela delle acque attraverso l’adozione di misure volte alla tutela quantitativa della risorsa e alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento idrico e dell’ambiente marino, ivi compreso il ricorso a programmi coordinati di intervento, alla definizione di un diffuso ed effettivo sistema di controlli preventivi e successivi e alla fissazione di obiettivi di qualità da raggiungere e mantenere per tutti i corpi idrici “significativi”.

    La normativa in vigore, dunque, non solo recepisce le normative comunitarie in materia di protezione delle acque dall’inquinamento di origine agricola e dagli scarichi di agglomerati urbani, ma pone le basi per una nuova politica di tutela delle acque attraverso varie linee direttrici volte alla prevenzione dell’inquinamento e al risanamento delle acque.

    Tra le finalità della normativa vi è anche quella di mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, in tale contesto diventa pertanto essenziale non solo la tutela qualitativa delle acque ma anche l’applicazione di misure atte alla tutela quantitativa delle stesse.

    La tutela qualitativa delle acque si basa sul raggiungimento o mantenimento di obiettivi di qualità per i corpi idrici. Gli obiettivi di qualità si riferiscono alle caratteristiche qualitative dei corpi idrici che consentono determinati usi ovvero allo stato ambientale corrispondente alla capacità di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

    La normativa in vigore pone quale strumento essenziale per tale finalità una adeguata disciplina degli scarichi, per la quale si rimanda ai paragrafi successivi. In particolare, pone l’obbligo dell’applicazione di valori limite di emissione definiti anche in relazione alle caratteristiche dei corpi idrici recettori e del relativo obiettivo di qualità.

    In questo capitolo verranno trattati in particolare:

    • la disciplina degli scarichi;

    • gli obiettivi di qualità.

    Nota: il D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (convertito nella Legge n. 27 del 24 aprile 2020), recante misure per fronteggiare l’emergenza da Covid-19, all’art. 103, contiene disposizioni che riguardano la sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi in corso (pendenti al 23 febbraio 2020 o iniziati dopo tale data), nonché la proroga dei termini di scadenza di certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, per i quali è stabilito che conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020. Nel corso del 2020 si sono susseguiti una serie di provvedimenti che hanno progressivamente spostato in avanti tali termini. L’ultimo in ordine di tempo è la Legge 27 novembre 2020, n. 159 di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 che ha stabilito che nei procedimenti amministrativi in corso (pendenti al 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data) non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020, nonché che tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni, comprese quelle paesaggistiche e ambientali, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e la data della dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, sono validi per i 90 giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, compresi quelli scaduti tra il 1° agosto 2020 e il 4 dicembre 2020 che non sono stati rinnovati. Il termine dello stato di emergenza è stato più volte prorogato, da ultimo, con il D.L. 24 dicembre 2021, n. 221, fino al 31 marzo 2022. Inoltre a livello regionale e provinciale sono stati emessi ulteriori provvedimenti specifici in merito alle proroghe di tali termini e di sospensione o proroga di termini per l’esecuzione degli adempimenti previsti nelle autorizzazioni (ad esempio autocontrolli) vista impossibilità, da parte dei titolari delle autorizzazioni a rispettare le scadenze previste nelle stesse a seguito delle misure restrittive disposte con i provvedimenti nazionali e regionali emanati per fare fronte all’emergenza COVID-19.

    Il D.L. 21 marzo 2022, n. 21 recante “misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, convertito, con modificazioni, in Legge 20 maggio 2022, n. 51, all’art. 10-septies, come modificato dal D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 recante “disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”, convertito con modificazioni, in Legge 24 febbraio 2023, n. 14 per fronteggiare le conseguenze derivanti dalle difficoltà di approvvigionamento dei materiali nonché dagli incrementi eccezionali dei loro prezzi, ha introdotto la proroga di due anni dei termini di inizio e fine lavori dei permessi di costruire, nonché dei termini delle S.C.I.A., autorizzazioni paesaggistiche, dichiarazioni e autorizzazioni ambientali comunque denominate, rilasciati o formatisi fino al 31 dicembre 2023.

    Nota: in tempi recenti la denominazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha subito alcune modifiche. Dapprima il D.L. 1° marzo 2021, n. 22 ha modificato la denominazione di tale Ministero in “Ministero della transizione ecologica”. Successivamente, con D.L. 11 novembre 2022, n. 173 la denominazione del Ministero è stata nuovamente modificata in “Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica”. Anche l’acronimo MiTE viene sostituito dall’acronimo MASE. Ogni riferimento nel presente testo alle precedenti denominazioni è da intendersi alla nuova.

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO 5/2023: “Strategia per l’ambiente marino e il risanamento del suo ecosistema - Parte I”, di Giulio Spina

    • AMBIENTE & SVILUPPO 6/2023: “Strategia per l’ambiente marino e il risanamento del suo ecosistema - Parte II”, di Giulio Spina

    6.2 Normativa di riferimento

    6.2Normativa di riferimento

    Il Decreto traspone diverse normative comunitarie, che pur trattando discipline specifiche hanno in comune la finalità della tutela delle acque (disciplina degli scarichi industriali di sostanze pericolose, dei corpi idrici superficiali destinati alla produzione di acqua potabile, delle acque dolci idonee alla vita dei pesci, delle acque destinate alla vita dei molluschi, delle acque reflue urbane, per la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati da fonte agricola), inserendole in un contesto normativo complesso ma che consente una integrazione tra esse. Da tale integrazione risulta un quadro più completo delle norme sulla tutela dei corpi idrici, che costituisce uno strumento essenziale di razionalizzazione e coordinamento delle misure d’intervento per il miglioramento e la protezione delle acque.

    Di seguito si riportano i principali riferimenti normativi in tema di tutela delle acque:

    Normativa comunitaria
    Direttiva n. 80/68/CEE del Consiglio del 17 dicembre 1979 concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose
    Direttiva n. 86/278/CEE del Consiglio del 12 giugno 1986 concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura
    Direttiva n. 91 /271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane
    Direttiva n. 91 /676 /CEE del Consiglio del 12 dicembre 1991 relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole
    Direttiva n. 98/83/CE del Consiglio del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano
    Direttiva n. 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque

    Normativa comunitaria
    Direttiva n. 2006/7/CE Del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 febbraio 2006 relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e che abroga la Direttiva n. 76/160/CEE
    Direttiva n. 2006/118/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento
    Direttiva n. 2008/56/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino)
    Direttiva n. 2008/105/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive del Consiglio nn. 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE e 86/280/CEE, nonché modifica della Direttiva n. 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
    Direttiva n. 2009/90/CE della Commissione del 31 luglio 2009 che stabilisce, conformemente alla Direttiva n. 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque
    Direttiva n. 2009/128/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi
    Direttiva n. 2013/39/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 agosto 2013 che modifica le Direttive nn. 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque
    Direttiva n. 2014/80/UE della Commissione del 20 giugno 2014 che modifica l’Allegato II della Direttiva n. 2006/118/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento
    Direttiva n. 2014/101/UE della Commissione del 30 ottobre 2014 che modifica la Direttiva n. 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque
    Decisione UE 2017/848 della Commissione del 17 maggio 2017 che definisce i criteri e le norme metodologiche relativi al buono stato ecologico delle acque marine nonché le specifiche e i metodi standardizzati di monitoraggio e valutazione, e che abroga la Decisione n. 2010/477/UE
    Direttiva UE 2017/845 della Commissione del 17 maggio 2017 che modifica la Direttiva n. 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli elenchi indicativi di elementi da prendere in considerazione ai fini dell’elaborazione delle strategie per l’ambiente marino
    Regolamento UE 2020/741 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 maggio 2020 recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua.
    Decisione di esecuzione UE 2020/1161 della Commissione del 4 agosto 2020 che istituisce un elenco di controllo delle sostanze da sottoporre a monitoraggio a livello dell’Unione nel settore della politica delle acque in attuazione della direttiva 2008/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
    Direttiva UE 2020/2184 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (rifusione).
    Decisione di esecuzione (UE) 2022/679 della Commissione del 19 gennaio 2022 che istituisce un elenco di controllo delle sostanze e dei composti che destano preoccupazione per le acque destinate al consumo umano a norma della Direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio.
    Comunicazione UE 5 agosto 2022 - Orientamenti a sostegno dell’applicazione del Regolamento (UE) 2020/741 recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua.

    Normativa italiana
    R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici)
    D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470 (Attuazione della Direttiva CEE n. 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione)
    D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della Direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura)
    Legge 12 giugno 1993, n. 185 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 13 aprile 1993, n. 109, recante modifiche al D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470, concernente attuazione della Direttiva CEE n. 76/160, relativa alla qualità delle acque di balneazione)
    D.Lgs. 12 luglio 1993, n. 275 recante riordino in materia di concessione di acque pubbliche
    Legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche)
    D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238 (Regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni della Legge 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche)
    D.M. 12 giugno 2003, n. 185 (Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’art. 26, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152)
    D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale, Testo Unico Ambiente)
    D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale)
    D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116 (Attuazione della Direttiva n. 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e abrogazione della Direttiva n. 76/160/CE)
    D.M. 16 giugno 2008, n. 131 (Criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici - Attuazione art. 75, Dlgs 152/2006)
    D.Lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (Attuazione della Direttiva n. 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento)
    D.M. 14 aprile 2009, n. 56 (Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l’identificazione delle condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, predisposto si sensi dell’art. 75, comma 3, del Decreto legislativo medesimo)
    D.M. 17 luglio 2009 (Individuazione delle informazioni territoriali e modalità per la raccolta, lo scambio e l’utilizzazione dei dati necessari alla predisposizione dei rapporti conoscitivi sullo stato di attuazione degli obblighi comunitari e nazionali in materia di acque)
    Legge 25 febbraio 2010, n. 36 (Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue)
    D.Lgs. 13 ottobre 2010, n. 190 (Attuazione della Direttiva n. 2008/56/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino)
    D.M. 8 novembre 2010, n. 260 (Regolamento recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali, per la modifica delle norme tecniche del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, predisposto si sensi dell’art. 75, comma 3, del Decreto legislativo medesimo)
    D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219 (Attuazione della Direttiva n. 2008/105/CE, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive nn. 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della Direttiva n. 2000/60/CE e recepimento della Direttiva n. 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla Direttiva n. 2000/60/CE, specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque)

    Normativa italiana
    D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227 (Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’art. 49, comma 4-quater, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122)
    D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59 (Regolamento recante la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell’art. 23 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35)
    D.M. 27 novembre 2013, n. 156 (Regolamento recante i criteri tecnici per l’identificazione dei corpi idrici artificiali e fortemente modificati per le acque fluviali e lacustri, per la modifica delle norme tecniche del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell’art. 75, comma 3, del medesimo Decreto legislativo)
    D.M. 15 gennaio 2014 (Modifiche alla Parte I dell’Allegato IV, alla Parte V del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante: “Norme in materia ambientale”)
    D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46 (Attuazione della Direttiva n. 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento)
    Legge 11 novembre 2014, n. 164 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, recante misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive)
    D.M. 11 febbraio 2015 (Ambiente marino - buono stato ambientale - determinazione degli indicatori associati ai traguardi ambientali)
    D.P.C.M. 8 maggio 2015 (Adozione del modello semplificato e unificato per la richiesta di autorizzazione unica ambientale - AUA)
    Legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente)
    D.Lgs. 13 ottobre 2015, n. 172 (Attuazione della Direttiva n. 2013/39/UE, che modifica la Direttiva n. 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque)
    D.M. 25 febbraio 2016 (Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato)
    D.M. 2 maggio 2016, n. 100 (Obiettivi di qualità dei corpi idrici sotterranei - Rilascio dell’Autorizzazione al ravvenamento o all’accrescimento artificiale - Attuazione Art. 104 D.Lgs. n. 152/2006)
    D.M. 6 luglio 2016 (Recepimento della Direttiva n. 2014/80/UE in materia di protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento - Modifica dell’Allegato I - Parte III del D.Lgs. n. 152/2006)
    D.M. 15 luglio 2016 (Modifiche dell’Allegato I alla Parte III del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, in attuazione della Direttiva n. 2014/101/UE della Commissione del 30 ottobre 2014 che modifica la Direttiva n. 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque)
    Legge 27 febbraio 2017, n. 18. Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, recante interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno.
    D.P.C.M. 10 ottobre 2017 (Approvazione del Programma di misure, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 13 ottobre 2010, n. 190, relative alla definizione di strategie per l’ambiente marino)

    Normativa italiana
    Legge 20 novembre 2017, n. 167 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’U.E. - Legge europea 2017)
    D.M. 15 ottobre 2018 (Ambiente marino - Quadro per l’azione comunitaria - Modifiche all’Allegato III del D.Lgs. 13 ottobre 2010, n. 190 in attuazione della Direttiva n. 2017/845/UE di modifica della Direttiva n. 2008/56/CE)
    Legge 16 novembre 2018, n. 130 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 28 settembre 2018, n. 109, recante disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze (fanghi da depurazione)
    D.M. 15 febbraio 2019 (Aggiornamento della determinazione del buono stato ambientale delle acque marine e definizione dei traguardi ambientali)
    Legge 14 giugno 2019, n. 55. Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici.
    Legge 12 dicembre 2019, n. 141. Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 ottobre 2019, n. 111, recante misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria e proroga del termine di cui all’articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229.
    Legge 24 aprile 2020, n. 27 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi.
    Legge 5 giugno 2020, n. 40 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, recante misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali.
    Legge 17 luglio 2020, n. 77 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
    Legge 27 novembre 2020, n. 159 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020.
    Decreto 2 febbraio 2021 Aggiornamento dei programmi di monitoraggio coordinati per la valutazione continua dello stato ambientale delle acque marine.
    D. M. 30 giugno 2021 Modifica del valore fissato nell’allegato I, parte B, al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, per il parametro Cromo.
    D.L. 6 novembre 2021, n. 152 convertito con modificazioni dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233 Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose.
    D.L. 24 dicembre 2021, n. 221 Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19.
    Legge 20 maggio 2022, n. 51 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, recante misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina.
    D.P.C.M. 30 settembre 2022 Ricognizione degli interventi per i quali il commissario unico assume il compito di soggetto attuatore.

    Normativa italiana
    D.Lgs. 23 febbraio 2023, n. 18 Attuazione della direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2020, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano.
    Legge 24 febbraio 2023, n. 14 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi. Proroga di termini per l’esercizio di deleghe legislative.
    Legge 13 giugno 2023, n. 68 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 aprile 2023, n. 39, recante disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche.

    6.3 La disciplina degli scarichi

    6.3La disciplina degli scarichi

    La regolamentazione degli scarichi di acque reflue industriali e urbane viene in particolare normata al Titolo III, Capo III, della Parte III del D.Lgs. n. 152/2006.

    In particolare, come definito all’art. 101, comma 1, tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell’Allegato V alla Parte III dello stesso Decreto.

    6.3.1 Definizioni

    6.3.1Definizioni

    Il D.Lgs. n. 152/2006, riporta le seguenti definizioni all’art. 74:

    Abitante equivalente Il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno
    Acque ciprinicole Le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille
    Acque costiere Le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione
    Acque salmonicole Le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni
    Estuario L’area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio; in via transitoria tali limiti sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa
    Acque dolci Le acque che si presentano in natura con una concentrazione di sali tale da essere considerate appropriate per l’estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile;
    Acque reflue domestiche Le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche
    Acque reflue industriali Qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento
    Acque reflue urbane Acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato

    Acque sotterranee Tutte le acque che si trovano al di sotto della superficie del suolo, nella zona di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo
    Acque termali Le acque minerali naturali di cui all’art. 2, 1, lett. a) della Legge 24 ottobre 2000, n. 323, utilizzate per le finalità consentite dalla stessa legge
    Agglomerato L’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento in una fognatura dinamica delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale
    Applicazione al terreno L’apporto di materiale al terreno mediante spandimento e/o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione, interramento
    Utilizzazione agronomica La gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute
    Ente di governo dell’ambito La forma di cooperazione tra comuni e Province per l’organizzazione del Servizio idrico integrato
    Gestore del Servizio idrico integrato Il soggetto che gestisce il Servizio idrico integrato in un ambito territoriale ottimale ovvero il gestore esistente del servizio pubblico soltanto fino alla piena operatività del Servizio idrico integrato
    Bestiame Tutti gli animali allevati per uso o profitto
    Composto azotato Qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso quello allo stato molecolare gassoso
    Concimi chimici Qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale
    Effluente di allevamento Le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura
    Eutrofizzazione Arricchimento delle acque di nutrienti, in particolar modo di composti dell’azoto e/o del fosforo, che provoca una abnorme proliferazione di alghe e/o di forme superiori di vita vegetale, producendo la perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque interessate
    Fertilizzante fermo restando quanto disposto dalla Legge 19 ottobre 1984, n. 748 le sostanze contenenti uno o più composti azotati, compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi, sparse sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione;
    Fanghi I fanghi residui trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane
    Inquinamento L’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente

    Rete fognaria Un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane
    Fognatura separata La rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia
    Scarico Qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’art. 114
    Acque di scarico Tutte le acque reflue provenienti da uno scarico
    Scarichi esistenti Gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente e gli scarichi di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data erano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all’affidamento dei lavori, nonché gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al previgente regime autorizzativo e gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e già autorizzati
    Trattamento appropriato Il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che, dopo lo scarico, garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni della Parte III del presente Decreto
    Trattamento primario Il trattamento delle acque reflue che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20% e i solidi sospesi totali almeno del 50%
    Trattamento secondario Il trattamento delle acque reflue mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo in cui vengano comunque rispettati i requisiti di cui alla Tabella 1 dell’Allegato V alla Parte III del presente Decreto
    Stabilimento industriale, stabilimento Tutta l’area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l’utilizzazione delle sostanze di cui all’Allegato VIII alla Parte III del presente Decreto, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico
    Valore limite di emissione Limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo. I valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto dell’eventuale diluizione; l’effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell’impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell’ambiente nel suo insieme e di non portare carichi inquinanti maggiori nell’ambiente

    Zone vulnerabili Zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi.

    Nota: le definizioni sopra riportate sono quelle così modificate dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4; in particolare nella definizione di scarico viene sottolineato il concetto dell’esistenza di un sistema di collettamento dello scarico stesso al corpo recettore, che si tratti di acque superficiali, suolo, sottosuolo, rete fognaria. Tale collettamento inoltre deve essere stabile e senza soluzione di continuità.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Ambito di applicazione disciplina sui reflui

    La disciplina sui reflui trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto e attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento, atteso che l’art. 183, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006 definisce quale scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immissione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di collettamento:

    Cass., sez. III, n. 5813/2019

    Quando il refluo è rifiuto

    In assenza di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento i reflui sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla distinta disciplina dell’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006:

    Cass., sez. III, n. 5813/2019

    Cass., sez. III, n. 16623/2015

    Rilevanza delle modalità in concreto di sversamento: stabilità del collettamento

    Le modalità in concreto seguite per lo sversamento segnano l’imprescindibile criterio per stabilire se vi sia stato scarico di reflui piuttosto che un abbandono o ancor più in generale uno smaltimento non autorizzato di rifiuti. In tema di inquinamento idrico, ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma 1, e 137, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse che deve tuttavia avvenire attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali. Occorre precisare che la stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con la occasionalità del medesimo, bensì va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro, cosicché, in altri termini, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti:

    Cass., sez. III, n. 5738/2023

    I reflui stoccati costituiscono rifiuti

    I reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento, come i liquami contenuti in pozzi neri, fosse Imhoff e bagni mobili, sono da considerarsi rifiuti liquidi di acque reflue, soggetti, pertanto, alla disciplina della Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e non a quella delle acque di scarico, che riguarda solo i liquidi direttamente immessi nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria:

    Cass., sez. III, n. 50432/2019

    6.3.2 Le acque reflue

    6.3.2Le acque reflue

    Il D.Lgs. n. 152/2006 distingue tre tipi di acque reflue: domestiche, urbane e industriali che presentano caratteristiche qualitative differenti in relazione alla provenienza (insediamento residenziale, agglomerato urbano o stabilimento industriale).

    ➔ Le acque reflue domestiche

    Le acque reflue domestiche sono costituite da reflui provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti essenzialmente dal metabolismo umano e da attività domestiche. Gli scarichi di acque reflue domestiche possono quindi essere considerati equivalenti agli scarichi civili della pregressa normativa, identificati come tali qualora provenienti da insediamenti civili. Sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue che presentano caratteristiche ad esse equivalenti e indicate dalle normative regionali. Inoltre, il D.Lgs. n. 152/2006 identifica alcune attività produttive, di minor impatto sull’ambiente (specifiche tipologie di imprese agricole e allevamenti ittici) i cui reflui sono assimilabili alle acque reflue domestiche (vedi definizione di acque reflue industriali).

    ➔ Le acque reflue urbane

    La nozione di acque reflue urbane costituisce parte del recepimento della Direttiva 91/271/CEE e le acque reflue urbane sono: “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato”. Le acque reflue urbane possono avere caratteristiche diverse poiché se sono costituite esclusivamente da reflui provenienti da insediamenti di tipo abitativo (acque reflue domestiche), derivano essenzialmente dal metabolismo umano o da attività domestiche, invece se sono costituite dal miscuglio di reflui domestici e industriali, provengono anche da attività produttive, e/o da acque meteoriche di dilavamento. Appare quindi chiaro che le caratteristiche delle acque reflue urbane possono essere estremamente variabili e riflettono la composizione dell’agglomerato di provenienza (esclusivamente residenziale o con presenza di attività produttive) in quanto sono il risultato delle acque di scarico che confluiscono nella rete fognaria che serve l’agglomerato stesso. In considerazione di quanto sopra detto, gli scarichi di acque reflue urbane sono sottoposti a prescrizioni diverse, volte ad evitare un inquinamento dell’ambiente.

    ➔ Le acque reflue industriali

    Il D.Lgs. n. 4/2008 modifica così la definizione di acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. Tale definizione sostituisce la precedente: “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali anche inquinanti non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”. Le acque reflue industriali non sono più quindi quelle semplicemente provenienti da edifici o impianti industriali, ma sono esclusivamente quelle scaricate tramite sistema di collettamento. È da notare che rispetto alla definizione precedente non è più segnalata la “differenza qualitativa” da acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento. Le acque reflue industriali sono associate al fatto che provengono da attività di tipo produttivo e non derivanti piuttosto dal metabolismo umano come invece sono quelle domestiche.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Superamento limiti tabellari: reato istantaneo

    Il reato di scarico di acque reflue industriali, di cui all’art. 137, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006, non può essere ritenuto di natura permanente, a meno che non si provi in concreto che si tratta di scarico continuo, e cioè che l’alterazione dell’accettabilità ecologica del corpo recettore si protrae nel tempo senza soluzione di continuità per effetto della persistente volontà del titolare dello scarico:

    • Cass. civ., sez. III, n. 13089/2020

    Superamento dei limiti tabellari: il guasto tecnico non scrimina

    In materia di inquinamento idrico, l’eccezionalità e l’imprevedibilità del superamento dei limiti di scarico delle acque reflue non è ravvisabile nel verificarsi di guasti tecnici dell’impianto trattandosi di accadimenti che, sebbene eccezionali, ben possono essere in concreto, previsti ed evitati secondo la stessa ratio ispiratrice delle norme dettate a tutela delle acque dall’inquinamento evincibile dall’art. 73 del D.Lgs. n. 152/2006. Ed invero, a fronte del dovere incombente sul titolare di un insediamento produttivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici e alla costante vigilanza, la giurisprudenza di questa Corte ha univocamente escluso l’applicabilità dell’art. 45 c.p. con riferimento ad ogni evenienza di malfunzionamento, quale la rottura di un tubo, il guasto ad una pompa funzionale alla depurazione, la rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia, la bruciatura di una resistenza, la corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente all’acidità dei reflui medesimi, l’intasamento di un depuratore per la presenza di scorie all’interno, il piegamento di un tubo destinato ad immettere nell’impianto sostanze atte all’abbattimento dei valori di determinati inquinanti, essendosi peraltro pervenuti alle medesime conclusioni anche in presenza di un guasto verificatosi su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici:

    • Cass., sez. III, n. 46689/2023

    ➔ Le acque reflue assimilabili alle acque reflue domestiche

    Il D.Lgs. n. 152/2006 ha definito all’art. 101, commi 7 e 7-bis, gli scarichi che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilati alle acque reflue domestiche e quindi fanno eccezione alla regola per la quale le acque reflue industriali sono tali in quanto derivanti da attività di tipo produttivo e non piuttosto dal metabolismo umano, come invece sono quelle domestiche.

    In particolare, per le attività produttive di tipo agrozootecnico, con minor impatto sull’ambiente, il D.Lgs. n. 152/2006 identifica specifiche tipologie di imprese agricole e allevamenti ittici (vedi schema di seguito riportato) sulla base dell’attuale politica europea in materia di tutela delle acque dall’inquinamento di nitrati di origine agricola (Direttiva n. 91/676/CEE) in cui la classificazione del refluo derivante da allevamenti zootecnici, come industriale o assimilabile al domestico, viene stabilita in base ai chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento prodotti in un anno, da computare secondo precise modalità riportate alla seguente Tabella 6 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006. In tal modo diventa determinante l’effettiva potenzialità di inquinamento nel tempo dell’allevamento, in termini di chilogrammi di azoto per ettaro, in rapporto al diverso grado di impatto ambientale dovuto alle diverse specie animali.

    D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
    Acque reflue provenienti da attività produttive assimilabili alle acque reflue domestiche
    Art. 101, comma 7 “Salvo quanto previsto dall’art. 112 (utilizzazione agronomica), ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:
    a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;
    b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame;
    c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;
    d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;
    e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;
    f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.

    Art. 101, comma 7-bis Sono altresì assimilate alle acque reflue domestiche, ai fini dello scarico in pubblica fognatura, le acque reflue di vegetazione dei frantoi oleari. Al fine di assicurare la tutela del corpo idrico ricettore e il rispetto della disciplina degli scarichi delle acque reflue urbane, lo scarico di acque di vegetazione in pubblica fognatura è ammesso, ove l’ente di governo dell’ambito e il gestore d’ambito non ravvisino criticità nel sistema di depurazione, per i frantoi che trattano olive provenienti esclusivamente dal territorio regionale e da aziende agricole i cui terreni insistono in aree scoscese o terrazzate ove i metodi di smaltimento tramite fertilizzazione e irrigazione non siano agevolmente praticabili, previo idoneo trattamento che garantisca il rispetto delle norme tecniche, delle prescrizioni regolamentari e dei valori limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato in base alle caratteristiche e all’effettiva capacità di trattamento dell’impianto di depurazione.

    Nota: il comma 7-bis è stato aggiunto dall’art. 65, comma 1, Legge 28 dicembre 2015, n. 221 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”.

    Tabella 6 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 Kg di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio, da considerare ai fini dell’assimilazione alle acque reflue domestiche (art. 101, comma 7, lett. b)

    Categoria animale allevata Peso vivo medio per anno (t)
    Scrofe con suinetti fino a 30 kg 3,4
    Suini in accrescimento/ingrasso 3,0
    Vacche da latte in produzione 2,5
    Rimonta vacche da latte 2,8
    Bovini all’ingrasso 4,0
    Galline ovaiole 1,5
    Polli da carne 1,4
    Tacchini 2,0
    Cunicoli 2,4
    Ovicaprini 3,4
    Equini 4,9

    Con successivo D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227 sono state identificate altre attività produttive, da cui derivano acque reflue che possono essere assimilate alle acque reflue domestiche.

    Tale D.P.R., come definito all’art. 1, comma 1, si applica alle categorie di imprese di cui all’art. 2 del Decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005, cioè alle PMI (micro, piccole e medie imprese), e, all’art. 2, “Criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche”, riporta al comma 1: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 101 e dall’Allegato V alla Parte III del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono assimilate alle acque reflue domestiche:

    • le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitativa di cui alla Tabella 1 dell’Allegato A;

    • le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense;

    • le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella Tabella 2 dell’Allegato A, con le limitazioni indicate nella stessa tabella”.

    E al comma 2 riporta: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 101, comma 7, lett. e), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in assenza di disciplina regionale si applicano i criteri di assimilazione di cui al comma 1”.

    Allegato A del D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227

    Tabella 1 - Criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche

    Parametro/sostanza Unità di misura Valore limite di emissione
    1 Portata m3/giorno ≤15
    2 pH 5,5-9,5
    3 Temperatura C° ≤ 30
    4 Colore Non percettibile con diluizione 1: 40
    5 Materiali grossolani Assenti
    6 Solidi Sospesi Totali mg/l ≤700
    7 BOD5 (come ossigeno) mg/l ≤300
    8 COD (come ossigeno) mg/l ≤700
    9 Rapporto COD / BOD5 ≤2,2
    10 Fosforo totale (come P) mg/l ≤30
    11 Azoto ammoniacale (come NH4) mg/l ≤50
    12 Azoto nitroso (come N) mg/l ≤0,6
    13 Azoto nitrico (come N) mg/l ≤30
    14 Grassi e oli animali/vegetali mg/l ≤40
    15 Tensioattivi mg/l ≤20

    Nota: per i restanti parametri o sostanze, qualora siano presenti, valgono i valori limite previsti alla Tabella 3 dell’Allegato V alla Parte III del D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 152 per le emissioni in acque superficiali.

    Tabella 2 - Attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche

    Attività
    1 Attività alberghiera, rifugi montani, villaggi turistici, residence, agriturismi, campeggi, locande e simili.
    2 Attività di ristorazione (anche self-service), mense, trattorie, rosticcerie, friggitorie, pizzerie, osterie e birrerie con cucina.
    3 Attività ricreativa.
    4 Attività turistica non ricettiva.
    5 Attività sportiva.
    6 Attività culturale.
    7 Servizi di intermediazione monetaria, finanziaria, e immobiliare.
    8 Attività informatica.
    9 Laboratori di parrucchiera, barbiere e istituti di bellezza con un consumo idrico giornaliero inferiore a 1 m3 al momento di massima attività.
    10 Lavanderie e stirerie con impiego di lavatrici ad acqua analoghe a quelle di uso domestico e che effettivamente trattino non più di 100 kg di biancheria al giorno.
    11 Attività di vendita al dettaglio di generi alimentari, bevande e tabacco o altro commercio al dettaglio.
    12 Laboratori artigianali per la produzione di dolciumi, gelati, pane, biscotti e prodotti alimentari freschi, con un consumo idrico giornaliero inferiore a 5 m3 nel periodo di massima attività.
    13 Grandi magazzini, solamente se avviene la vendita di beni con esclusione di lavorazione di carni, pesce o di pasticceria, attività di lavanderia e in assenza di grandi aree di parcheggio.
    14 Bar, caffè, gelaterie (anche con intrattenimento spettacolo), enoteche bottiglierie con somministrazione.
    15 Asili nido, istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado, istruzione universitaria.
    16 Discoteche, sale da ballo, night pubs, sale giochi e biliardi e simili.
    17 Stabilimenti balneari (marittimi, lacuali e fluviali).
    18 Servizi dei centri e stabilimenti per il benessere fisico e l’igiene della persona.
    19 Piscine - Stabilimenti idropinici ed idrotermali, escluse le acque di contro lavaggio dei filtri non preventivamente trattate.
    20 Vendita al minuto di generi di cura della persona.
    21 Palestre.
    22 Piccole aziende agroalimentari appartenenti ai settori lattiero-caseario, vitivinicolo e ortofrutticolo, che producano quantitativi di acque reflue non superiori a 4000 m3/anno e quantitativi di azoto, contenuti in dette acque a monte della fase di stoccaggio, non superiori a 1000 kg/anno.
    23 Ambulatori medici studi veterinari o simili, purché sprovvisti di laboratori dì analisi e ricerca.
    24 Ospedali, case o istituti di cura, residenze socio-assistenziali e riabilitative con un numero di posti letto inferiore a 50, purché sprovvisti di laboratori di analisi e ricerca.

    Attività
    25 Conservazione, lavaggio, confezionamento, di prodotti agricoli e altre attività dei servizi connessi alla agricoltura svolti per conto terzi esclusa trasformazione.
    26 Macellerie sprovviste del reparto di macellazione.
    27 Agenzie di viaggio.
    28 Call center.
    29 Attività di intermediazione assicurativa.
    30 Esercizi commerciali di oreficeria, argenteria, orologeria.
    31 Riparazione di beni di consumo.
    32 Ottici.
    33 Studi audio video registrazioni.
    34 Laboratori artigianali di sartoria e abbigliamento senza attività di lavaggi, tintura e finissaggio.
    35 Liuteria.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Assimilazione acque reflue industriali alle acque reflue domestiche

    In tema di inquinamento idrico l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie:

    Cass., sez. III, n. 30678/2022

    Cass., sez. III, n. 39351/2021

    Cass., sez. III, n. 56094/2018

    Cass., sez. III, n. 38946/2017

    Sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche. Devono pertanto pacificamente ritenersi rientranti nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti e scaricate, come nella specie, dalle operazioni di lavaggio di capannoni adibiti in forma stabile ad allevamento di animali:

    Cass., sez. III, n. 51006/2018

    Cass., sez. III, n. 3199/2014

    Cass., sez. III, n. 12865/2009

    6.3.3 I corpi recettori

    6.3.3I corpi recettori

    Il D.Lgs. n. 152/2006 presenta aspetti normativi differenti in riferimento al recapito finale dello scarico, sia per quanto concerne la procedura di autorizzazione, sia per i valori limite di emissione.

    Come si desume dalla definizione di scarico, di cui si è trattato in precedenza, i corpi recettori possono essere:

    • acque superficiali;

    • suolo;

    • sottosuolo;

    • rete fognaria.

    I differenti aspetti normativi sono in ragione delle diverse competenze gestionali e della necessità di applicare una politica più severa per gli scarichi che recapitano sul suolo e nel sottosuolo, al fine di tutelare le acque sotterranee ad essi connesse. Infatti, tali acque sono di particolare importanza in Italia in quanto spesso utilizzate per uso idropotabile. La disciplina in vigore pone, quindi, il divieto di scarico sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, salvo alcune eccezioni. Pertanto, gli scarichi di acque reflue (urbane o industriali) devono essere generalmente recapitati in corpi idrici superficiali. Per corpo idrico superficiale si intende: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, il bacino artificiale di un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere (art. 74, comma 2, lett. h) - Definizioni).

    Poiché nel D.Lgs. n. 152/2006 lo scarico viene considerato in rapporto all’influenza che esso determina nel corpo idrico nel quale si immette ai fini del mantenimento e raggiungimento degli obiettivi di qualità, i valori-limite di emissione devono essere definiti per singolo scarico in rapporto allo specifico corpo idrico recettore. In considerazione di tale impostazione normativa acquisisce importante significato la conoscenza delle caratteristiche proprie del corpo idrico. Sarà inoltre necessario valutare l’influenza degli eventuali altri scarichi, in esso recapitanti, nonché la presenza di fonti d’inquinamento diffuso, quali l’agricoltura.

    Qualora in un corpo idrico sia stato definito il carico massimo ammissibile, ossia la quantità massima per le singole sostanze inquinanti che esso può ricevere senza che venga compromesso il suo stato di qualità, tale carico rappresenterà il riferimento per la definizione dei limiti di emissione per gli scarichi recapitanti in quel corpo idrico.

    6.3.4 I valori-limite di emissione

    6.3.4I valori-limite di emissione

    Ai sensi della lett. oo) del comma 1 dell’art. 74 del D.Lgs. 152/2006, per “valore-limite di emissione” si intende “limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo;”.

    L’attuale normativa in materia di tutela delle acque nello stabilire questa definizione accorpa i diversi e complementari limiti di emissione per le sostanze inquinanti stabiliti dalla normativa pregressa.

    L’applicazione di tali limiti di emissione è regolamentata da quanto disciplinato dagli articoli contenuti al Capo III del Titolo III “Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi” e dall’Allegato V, nonché da quanto stabilito dalle Regioni e dalle specifiche autorizzazioni allo scarico.

    Spetta quindi alle Regioni nell’esercizio della loro autonomia, nell’ambito della individuazione delle misure necessarie alla tutela qualitativa delle acque, definire i valori-limite di emissione per il proprio territorio, diversi da quelli di cui all’Allegato V, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini (art. 101, comma 2).

    Nell’esercizio di tale funzione, le Regioni devono tener conto non solo dei carichi massimi ammissibili, qualora stabiliti, ma anche delle migliori tecniche disponibili così come definite all’art. 5, comma 1, lett. l-ter, D.Lgs. n. 152/2006, come sostituita dall’art. 1, comma 1 c, D.Lgs. n. 46/2014.

    Nota: D.Lgs. n. 46/2014, art. 1, comma 1, punto c (Attuazione della Direttiva n. 210/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento).

    “Migliori tecniche disponibili”, la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori-limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Nel determinare le Migliori tecniche disponibili, occorre tenere conto in particolare degli elementi di cui all’Allegato XI. In particolare, si intende per:

    a) “tecniche”, sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto;

    b) “disponibili”, le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente idonee nell’ambito del relativo comparto industriale, prendendo in considerazione i costi ei vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli;

    c) “migliori”, le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

    I valori-limite riportati nell’Allegato V sono un riferimento minimo che le Regioni possono modificare salvo i casi in cui, in considerazione delle Direttive comunitarie e della tossicità, persistenza e bioaccumulazione delle sostanze inquinanti, le variazioni possono avvenire solo in senso più restrittivo. Pertanto, le Regioni non possono stabilire valori meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato V:

    • nella Tabella 1 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;

    • nella Tabella 2 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;

    • nella Tabella 3/A per i cicli produttivi ivi indicati;

    • nelle Tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella Tabella 5 del medesimo allegato.

    Al fine di garantire una maggiore tutela e di considerare l’influenza di una fonte inquinante nel tempo, l’attuale disciplina in materia di scarichi prevede la definizione di valori-limite di emissione non solo in termini di concentrazione allo scarico, ma anche di quantità massima per unità di tempo per singole sostanze inquinanti e per gruppi o famiglie di sostanze affini.

    Tabella 1 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane

    Parametri (media giornaliera) (1) Potenzialità impianto in A.E.
    2.000-10.000 >10.000
    Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
    BOD5 (senza nitrificazione) mg/L (2) ≤25 70-90 (5) ≤25 80
    COD mg/L (3) ≤125 75 ≤125 75
    Solidi Sospesi mg/L (4) ≤35 (5) 90 (5) ≤35 90

    (1) Le analisi sugli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuati su campioni filtrati, la concentrazione di solidi sospesi non deve superare i 150 mg/l.

    (2) La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato. Si esegue la determinazione dell’ossigeno disciolto anteriormente e posteriormente ad un periodo di incubazione di 5 giorni a 20 ºC-1 ºC, in completa oscurità, con aggiunta di inibitori di nitrificazione.

    (3) La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato con bicromato di potassio.

    (4) La misurazione deve essere fatta mediante filtrazione di un campione rappresentativo attraverso membrana filtrante con porosità di 0,45 mm ed essiccazione a 105 ºC con conseguente calcolo del peso, oppure mediante centrifugazione per almeno 5 minuti (accelerazione media di 2.800-3.200 g), essiccazione a 105 ºC e calcolo del peso.

    (5) La percentuale di riduzione del BOD5 non deve essere inferiore a 40. Per i solidi sospesi la concentrazione non deve superare i 70 mg/l e la percentuale di abbattimento non deve essere inferiore al 70%.

    Tabella 2 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili

    Parametri (media annua) Carico generato dall’agglomerato in A.E. (1)
    10.000-100.000 >100.000
    Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
    Fosforo totale (P mg/L) (1) ≤2 80 ≤1 80
    Azoto totale (N mg/L) (2) (3) ≤15 70-80 ≤10 70-80

    (1) Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

    (2) Per azoto totale si intende la somma dell’azoto Kjeldahl (n. organico + NH3) + azoto nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

    (3) In alternativa al riferimento alla concentrazione media annua, purché si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, si può fare riferimento alla concentrazione media giornaliera che non può superare i 20 mg/l per ogni campione e in cui la temperatura dell’effluente sia pari o superiore a 12 °C. Il limite della concentrazione media giornaliera può essere applicato ad un tempo operativo limitato che tenga conto delle condizioni climatiche locali.

    Nota: Per i parametri azoto totale e fosforo totale le concentrazioni o le percentuali di riduzione del carico inquinante indicate devono essere raggiunti per uno od entrambi i parametri a seconda della situazione locale.

    Tabella 3 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Valori-limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura

    Numero parametro Parametri unità di misura Scarico in acque superficiali Scarico in pubblica fognatura (*)
    1 pH - 5,5-9,5 5,5-9,5
    2 Temperatura °C (1) (1)
    3 colore - non percettibile con diluizione 1: 20 non percettibile con diluizione 1: 40
    4 odore - non deve essere causa di molestie non deve essere causa di molestie
    5 materiali grossolani - assenti assenti
    6 Solidi sospesi totali (2) (2-bis) mg/L ≤80 ≤200
    7 BOD5 (come O2) (2) mg/L ≤40 ≤250
    8 COD (come O2) (2) mg/L ≤160 ≤500
    9 Alluminio mg/L ≤1 ≤2,0
    10 Arsenico mg/L ≤0,5 ≤0,5
    11 Bario mg/L ≤20 -
    12 Boro mg/L ≤2 ≤4
    13 Cadmio mg/L ≤0,02 ≤0,02
    14 Cromo totale mg/L ≤2 ≤4
    15 Cromo VI mg/L ≤0,2 ≤0,20
    16 Ferro mg/L ≤2 ≤4
    17 Manganese mg/L ≤2 ≤4
    18 Mercurio mg/L ≤0,005 ≤0,005
    19 Nichel mg/L ≤2 ≤4
    20 Piombo mg/L ≤0,2 ≤0,3
    21 Rame mg/L ≤0,1 ≤0,4
    22 Selenio mg/L ≤0,03 ≤0,03
    23 Stagno mg/L ≤10 -
    24 Zinco mg/L ≤0,5 ≤1,0
    25 Cianuri totali (come CN) mg/L ≤0,5 ≤1,0
    26 Cloro attivo libero mg/L ≤0,2 ≤0,3
    27 Solfuri (come S) mg/L ≤1 ≤2
    28 Solfiti (come SO2) mg/L ≤1 ≤2
    29 Solfati (come SO3) (3) mg/L ≤1000 ≤1000

    Numero parametro Parametri unità di misura Scarico in acque superficiali Scarico in pubblica fognatura (*)
    30 Cloruri (3) mg/L ≤1200 ≤1200
    31 Fluoruri mg/L ≤6 ≤12
    32 Fosforo totale (come P) (2) mg/L ≤10 ≤10
    33 Azoto ammoniacale (come NH4) (2) mg /L ≤15 ≤30
    34 Azoto nitroso (come N) (2) mg/L ≤0,6 ≤0,6
    35 Azoto nitrico (come N) (2) mg /L ≤20 ≤30
    36 Grassi e olii animali/vegetali mg/L ≤20 ≤40
    37 Idrocarburi totali mg/L ≤5 ≤10
    38 Fenoli mg/L ≤0,5 (≤1
    39 Aldeidi mg/L ≤1 ≤2
    40 Solventi organici aromatici mg/L ≤0,2 ≤0,4
    41 Solventi organici azotati (4) mg/L ≤0,1 ≤0,2
    42 Tensioattivi totali mg/L ≤2 ≤4
    43 Pesticidi fosforati mg/L ≤0,10 ≤0,10
    44 Pesticidi totali (esclusi i fosforati) (5) mg/L ≤0,05 ≤0,05
    tra cui:
    45 – aldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01
    46 – dieldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01
    47 – endrin mg/L ≤0,002 ≤0,002
    48 – isodrin mg/L ≤0,002 ≤0,002
    49 Solventi clorurati (5) mg/L ≤1 ≤2
    50 Escherichia coli (4) UFC/100mL Nota
    51 Saggio di tossicità acuta (5) Il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili è uguale o maggiore del 50% del totale il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili è uguale o maggiore del 80% del totale

    (*) I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall’autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota (2) della Tabella 5 relativa a sostanze pericolose.

    (1) Per i corsi d’acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d’acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 ºC. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 ºC. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30 ºC e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 ºC oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell’acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 ºC; la condizione suddetta è subordinata all’assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d’acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 ºC e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 ºC oltre i 1.000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.

    (2) Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in Tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di Tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili, la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/l.

    (2-bis) Tali limiti non valgono per gli scarichi in mare delle installazioni di cui all’Allegato VIII alla Parte II, per i quali i rispettivi documenti di riferimento sulle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 5, lett. 1-ter.2), prevedano livelli di prestazione non compatibili con il medesimo valore limite. In tal caso, le Autorizzazioni Integrate Ambientali rilasciate per l’esercizio di dette installazioni possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione, fermo restando l’obbligo di rispettare le Direttive e i regolamenti dell’UE, nonché i valori limite stabiliti dalle Best Available Technologies Conclusion e le prestazioni ambientali fissate dai documenti BREF dell’UE per i singoli settori di attività.

    (3) Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purché almeno sulla metà di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengano disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.

    (4) In sede di autorizzazione allo scarico dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico-sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5.000 UFC/100 ml.

    (5) Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l’applicazione diretta delle sanzioni di cui al Titolo V, determina altresì l’obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.

    Tabella 3/A dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi (**)

    Tabella 4 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Limiti di emissione per le acque reflue urbane e industriali che recapitano sul suolo

    (1) In sede di autorizzazione allo scarico dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico-sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5.000 UFC/100 mL.

    Le sostanze pericolose
    Le sostanze pericolose

    Le disposizioni relative agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l’utilizzazione delle sostanze di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato V, e nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità (art. 108, comma 1).

    Tabella 5 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006

    Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in Tabella 3, per lo scarico in acque superficiali (1) e per lo scarico in rete fognaria (2), o in Tabella 4 per lo scarico sul suolo
    1: Arsenico
    2: Cadmio
    3: Cromo totale
    4: Cromo esavalente
    5: Mercurio
    6: Nichel
    7: Piombo
    8: Rame
    9: Selenio
    10: Zinco
    11: Fenoli
    12: Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti
    13: Solventi organici aromatici
    14: Solventi organici azotati
    15: Composti organici alogenati (compresi pesticidi clorurati)
    16: Pesticidi fosforati
    17: Composti organici dello stagno

    Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in Tabella 3, per lo scarico in acque superficiali (1) e per lo scarico in rete fognaria (2), o in Tabella 4 per lo scarico sul suolo
    18: Sostanze indicate contemporaneamente cancerogene (R45) e “pericolose per l’ambiente acquatico” (R50 e 51/53) ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1997, n. 52 e successive modifiche
    (1) Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della Tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18 le Regioni e le Province autonome nell’ambito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella Tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.
    (2) Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di Tabella 3, o quelli stabiliti dalle Regioni l’ente gestore può stabilire, per i parametri della Tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in Tabella 3.

    Per scarichi contenenti sostanze pericolose in considerazione del loro impatto sull’ambiente e dei rischi per la salute umana, l’autorità competente, in sede di rilascio dell’autorizzazione, può fissare valori più restrittivi, sia rispetto a quelli previsti all’Allegato V del D.Lgs. n. 152/2006 sia rispetto a quelli stabiliti dalle Regioni. La fissazione di tali limiti è effettuata tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente in cui è effettuato lo scarico, in presenza di particolari situazioni di accertato pericolo, anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose.

    Questa norma precauzionale consente di definire i limiti di emissione più adeguati alla situazione locale del recapito dello scarico.

    Inoltre, la norma vieta la diluizione degli scarichi con acque prelevate appositamente al fine di rispettare i limiti di emissione. La diluizione è vietata anche con l’utilizzo di acque interne al processo produttivo quali acque di raffreddamento o di lavaggio o con acque prelevate esclusivamente allo scopo, per gli scarichi parziali contenenti talune sostanze pericolose (le sostanze ai nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della Tabella 5 dell’Allegato V), per i quali l’autorità competente può richiedere un trattamento particolare prima della confluenza nello scarico generale (art. 101, comma 4). Al fine di una maggior tutela del corpo recettore, in sede di autorizzazione, l’autorità competente prescrive di separare lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio e di quelle impiegate per la produzione di energia, dallo scarico terminale dello stabilimento contenente tali sostanze (art. 101, comma 5).

    Nota: L’obbligo di separazione è stato introdotto dal D.Lgs. n. 4/2008 perché il D.Lgs. n. 152/2006 dava la possibilità, a discrezione dell’autorità, di richiederla.

    L’autorità competente può inoltre richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della Tabella 5 dell’Allegato V siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti.

    Qualora l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla Tabella 5 dell’Allegato V, riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad un modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l’autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di emissione indicati nella Tabella 3 dell’Allegato V per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue (art. 108, comma 5).

    Deroghe
    Deroghe

    Nel rispetto delle normative comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici sono possibili, da parte delle autorità competenti per le sostanze ritenute utili, limiti di emissione in deroga alla disciplina generale in conseguenza dell’applicazione di tecniche di risparmio idrico nel ciclo produttivo o nel caso di riutilizzo delle acque reflue per usi particolari che tollerano valori diversi da quelli stabiliti dalla disciplina generale. La possibilità di tali deroghe ha la finalità di incentivare il riutilizzo e il risparmio idrico.

    Il riutilizzo delle acque reflue è attualmente disciplinato, limitatamente al riutilizzo a fini irrigui in agricoltura, dal Regolamento (UE) 2020/741 e dall’art. 7 del D.L. 14 aprile 2023, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 giugno 2023, n. 68, nonché, per gli ulteriori usi, dal Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 12 giugno 2003, n. 185 (Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’art. 26, comma 2, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152).

    6.3.5 Le acque reflue industriali

    6.3.5Le acque reflue industriali

    Il D.Lgs. n. 152/2006 definisce le acque reflue industriali alla lett. h) dell’art. 74. Esse sono qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento.

    Poiché le acque reflue industriali sono associate al fatto che provengono da attività di tipo produttivo, ossia da stabilimenti, e non derivanti piuttosto dal metabolismo umano come invece sono quelle domestiche, la loro regolamentazione si basa essenzialmente sulla limitazione delle sostanze di scarto dei cicli industriali ovvero produttivi, presenti nelle acque di scarico (v. Schema 1).

    La disciplina pone prescrizioni più restrittive per quelle attività che emettono sostanze particolarmente inquinanti, denominate “sostanze pericolose” a causa della loro tossicità, persistenza e bioaccumulabilità che le rende particolarmente dannose per l’ambiente e per la salute umana.

    GIURISPRUDENZA

    La giurisprudenza ha posto l’attenzione su:

    Nozione di acquee reflue industriali

    Ai sensi dell’art. 74, lett. h), del D.Lgs. n. 152/2006 sono acque reflue industriali «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento». Ai sensi della lett. g) sono acque reflue domestiche le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche». Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Tanto perché la definizione normativa degli scarichi di acque reflue industriali, in conformità alla disciplina contenuta nell’art. 2 direttiva CEE 91/271, discende da qualità espresse in senso negativo ossia dal fatto di essere diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento e, a tale proposito, si è precisato come sia configurabile il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall’art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o con materiali, anche inquinanti:

    Cass., sez. III, n. 45900/2022

    In tema di tutela delle acque dall’inquinamento per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore. Le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152:

    Cass., sez. III, n. 21034/2022

    Irrilevanza delle analisi per la qualificazione dei reflui

    Devono pacificamente ritenersi rientranti nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti e scaricate, come nella specie, dal sistema di lavaggio di parti meccaniche di veicoli gestiti all’interno di un’autofficina. Risulta irrilevante ai fini del reato di cui all’art. 137, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 l’analisi, conseguente a campionamento, della specifica composizione del refluo, una volta appuratane la natura industriale:

    Cass., sez. III, n. 37858/2021

    Schema 1 - Requisiti di qualità degli scarichi di acque reflue industriali

    D.Lgs. n. 152/2006
    Recettore Allegato V Note
    Acque superficiali Tabella 3 I limiti sono valori di concentrazione massima ammissibile (mg/L) della sostanza inquinante nell’acqua di scarico.
    Tabella 3/A (in presenza di alcune sostanze pericolose per specifici cicli produttivi) I limiti della Tabella 3/A sono valori di quantità massima di sostanza (in unità di peso) scaricabile per unità di prodotto o capacità di produzione.
    Limiti di emissione regionali Le Regioni, nell’esercizio della loro autonomia, definiscono i valori limite di emissione sia in concentrazione massima ammissibile sia in termini di quantità massima della sostanza inquinante scaricabile nell’unità di tempo e valori diversi da quelli dell’Allegato V. Per le sostanze ricomprese nella Tabella 5, sono ammessi solo limiti più restrittivi della Tabella 3. I valori delle Tabelle 1, 2 e 3/A non sono derogabili (art. 101, comma 2).
    Fognatura Tabelle 3 e 3/A I valori della Tabella 3 si applicano in assenza dell’adozione di valori limite da parte del gestore del servizio idrico integrato o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale (indicazione presente nella Tabella 3 dell’Allegato V).
    Limiti di emissione adottati dai gestori del servizio idrico integrato e approvati dall’amministrazione pubblica responsabile Per le sostanze indicate nella Tabella 5 con i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, sono ammessi soltanto valori più restrittivi di quelli della Tabella 3 (Allegato V, Tabella 5, nota 2). Resta ferma l’inderogabilità dei valori limite di emissione della Tabella 3/A (art. 101, comma 1 e comma 2).
    Suolo Divieto di scarico, salvo eccezioni (art. 103, comma 1) Le eccezioni devono rispettare i limiti indicati nella Tabella 4 ovvero valori limite di emissione stabiliti dalle normative regionali; per le sostanze elencate nella Tabella 5 sono ammessi solo limiti più restrittivi. È comunque vietato lo scarico delle sostanze di cui al punto 2.1 dell’Allegato V.
    Sottosuolo e acque sotterranee Divieto di scarico salvo eccezioni Le eccezioni sono previste all’art. 104. Sono comunque vietati gli scarichi delle sostanze di cui al punto 2.1 dell’Allegato V.

    ➔ Scarichi in acque superficiali

    Gli scarichi di acque reflue industriali, così come per quelle urbane, devono essere generalmente recapitati in corpi idrici superficiali visto il divieto di scarico sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, salvo casi particolari (indicati agli artt. 103 e 104, D.Lgs. n. 152/2006).

    Valori-limite di emissione
    Valori-limite di emissione

    Gli scarichi devono essere conformi ai valori-limite di emissione indicati in Tabella 3 dell’Allegato V del D.Lgs. n. 152/2006 in termini di concentrazione massima ammissibile o alle relative norme disposte dalle Regioni in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualità. Nello stabilire tali limiti, le Regioni tengono conto del carico massimo ammissibile, ove definito, della persistenza, bioaccumulabilità e della pericolosità delle sostanze e stabiliscono opportuni limiti di emissione anche in quantità massima (peso) nell’unità di tempo. Affinché i limiti definiti siano realisticamente raggiungibili e venga applicata la massima tutela possibile, la norma prevede che le Regioni tengano conto della possibilità di utilizzo delle Migliori tecniche disponibili.

    Per le sostanze elencate nella Tabella 5, le Regioni possono definire limiti diversi da quelli previsti dalla Tabella 3, ma solo in senso più restrittivo.

    Le Regioni e le Province autonome possono ammettere, nell’ambito dei piani di tutela, valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella Tabella 3 nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della Tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18, purché sia dimostrato che tali valori non comportino un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudichino il raggiungimento degli obiettivi ambientali.

    I metodi di riferimento sono aggiornati ai recenti studi scientifici. Oltre al saggio di tossicità su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per gli scarichi in acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati in appositi decreti ministeriali emanati su proposta di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente pubblico di ricerca istituito con la Legge n. 133/2008, e sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare). In caso di esecuzione di più test di tossicità si deve considerare il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina comunque l’applicazione diretta delle sanzioni previste dalla norma, ma determina l’obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione. I valori della Tabella 3 sono di norma riferiti ad un campione medio prelevato nell’arco delle 3 ore; relativamente ai metodi di campionamento si invia a quanto trattato nella parte relativa ai controlli. Nei casi in cui le acque prelevate da un corpo idrico superficiale anche per l’attività industriale abbiano caratteristiche tali che superano per alcuni parametri i relativi valori-limite di emissione, lo scarico è normato tenendo conto della natura delle alterazioni e con la finalità di mantenere o raggiungere gli obiettivi di qualità stabiliti per il corpo idrico recettore. In ogni caso le acque non devono essere restituite con caratteristiche peggiori di quelle prelevate e non devono comportare maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate (art. 101, comma 6).

    Come detto in precedenza, i valori-limite di emissione non possono essere conseguiti mediante diluizione utilizzando acque prelevate esclusivamente allo scopo. La diluizione è vietata anche con l’utilizzo di acque interne al processo produttivo quali acque di raffreddamento o di lavaggio o con acque prelevate esclusivamente allo scopo per gli scarichi parziali contenenti talune sostanze pericolose riportate nello schema di seguito riportato.

    Sostanze pericolose per le quali non è consentita la diluizione degli scarichi parziali
    secondo la numerazione della Tabella 5 dell’Allegato V, D.Lgs. n. 152/2006
    1 Arsenico
    2 Cadmio
    3 Cromo totale
    4 Cromo esavalente
    5 Mercurio
    6 Nichel
    7 Piombo
    8 Rame
    9 Selenio
    10 Zinco
    12 Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistente
    15 Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati)
    16 Pesticidi fosforiti
    17 Composti organici dello stagno
    18 Sostanze classificate contemporaneamente “cancerogene” (R45) e “pericolose per l’ambiente acquatico” (R50 e 51/53) ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche

    Per i cicli produttivi specificati in Tabella 3/A, contenenti sostanze pericolose, devono essere rispettati i limiti di emissione della medesima tabella. Essi, a seconda del ciclo produttivo, sono definiti in termini di massa per unità di prodotto o di capacità di produzione. Tali limiti non sono derogabili in quanto recepimento delle Direttive di settore sulle sostanze pericolose. Per gli stessi cicli produttivi valgono, allo scarico finale, anche i valori-limite, in termini di concentrazione, della citata Tabella 3.

    Al fine del perseguimento dell’obiettivo di qualità, tra i limiti di emissione in termini di massa (peso) per unità di prodotto o di materia prima lavorata, indicati nella Tabella 3/A e quelli stabiliti dalle Regioni in termini di massa (peso) per unità di tempo, valgono i limiti più cautelativi.

    Con D.L. 14 aprile 2023, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 giugno 2023, n. 68, relativo a disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica, è stato inserito in Allegato V alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 il punto 1.2.3-bis che detta specifiche prescrizioni per gli scarichi di acque reflue derivanti da procedimenti di dissalazione.

    ➔ Scarichi sul suolo

    Sono vietati, salvo le deroghe previste, gli scarichi sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (art. 103, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006).

    Tale principio è un’importante novità rispetto alla disciplina pregressa che vietava solo lo scarico sul suolo di acque reflue industriali contenenti alcune sostanze pericolose e riveste una forte valenza di tutela ambientale in linea con la nozione di scarico introdotta o con la scelta di fondo di ammettere lo scarico diretto in acque superficiali debitamente controllato e sottoposto a trattamento preventivo, salvo particolari eccezioni.

    Deroghe
    Deroghe

    È consentito lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo di acque reflue industriali quando siano accertate, dalle autorità competenti, le seguenti condizioni (definite all’art. 103, comma 1):

    • per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, le Regioni individuano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi (art. 100, comma 3);

    • per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

    • l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle Regioni ai sensi dell’art. 101, comma 2, fermo restando che fino all’emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell’Allegato V;

    • per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;

    • per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;

    • per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.

    Per gli scarichi sul suolo di cui alla lett. c) sono previsti specifici valori-limite di emissione indicati nella Tabella 4 dell’Allegato V che sono più restrittivi di quelli della Tabella 3 dello stesso allegato. Tali valori-limite si applicano fino a quando le Regioni regolamenteranno con proprie norme tale modalità di scarico.

    Restano validi i divieti allo scarico sul suolo delle sostanze pericolose di cui all’elenco di seguito riportato (v. Schema 2).

    Schema 2 - Elenco di sostanze per cui esiste un divieto di scarico nel suolo, sul sottosuolo e nelle acque sotterranee (Allegato V, punto 2.1) (1)

    I. Sostanze per cui esiste un divieto assoluto di scarico sul suolo e nel sottosuolo e nelle acque sotterranee
    • Composti organo alogenati e sostanze che possono dare origine a tali composti nell’ambiente idrico

    • Composti organo fosforici

    • Composti organo stannici

    • Sostanze che hanno potere cancerogeno, mutageno e teratogeno in ambiente idrico o in concorso dello stesso

    • Mercurio e i suoi composti

    • Cadmio e i suoi composti

    • Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti

    • Cianuri

    • Materie persistenti che possono galleggiare, restare in sospensione o andare a fondo e che possono disturbare ogni tipo di utilizzazione delle acque

    II. Sostanze per cui esiste un divieto specifico di scarico diretto nelle acque sotterranee
    • Zinco

    • Piombo

    • Molibdeno

    • Berillio

    • Cobalto

    • Rame

    • Selenio

    • Titanio

    • Boro

    • Tallio

    • Nichel

    • Arsenico

    • Stagno

    • Uranio

    • Tellurio

    • Cromo

    • Antimonio

    • Bario

    • Vanadio

    • Argento

    • Biocidi e loro derivati non compresi al punto I

    • Sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore o sull’odore dei prodotti consumati dall’uomo, derivanti dall’ambiente idrico, nonché i composti che possono dare origine a tali sostanze nelle acque

    • Composti organo silicati tossici o persistenti e che possono dare origine a tali sostanze nelle acque ad eccezione di quelli biologicamente innocui o che si trasformano rapidamente nell’acqua in sostanze innocue

    • Composti inorganici del fosforo e fosforo elementare

    • Oli minerali non persistenti e idrocarburi di origine petrolifera non persistenti

    • Fluoruri

    • Sostanze che influiscono in modo sfavorevole sull’equilibrio dell’ossigeno, in particolare ammoniaca e nitriti

    (1) Tali sostanze si intendono assenti quando sono in concentrazione non superiore ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente Decreto o dei successivi aggiornamenti.

    ➔ Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee

    Il Decreto legislativo riafferma, all’art. 104, comma 1, il principio presente di una precedente normativa abrogata secondo cui è fatto divieto di scaricare nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.

    Deroghe
    Deroghe

    Il D.Lgs. n. 152/2006 prevede, per specifiche tipologie di scarico di acque reflue industriali, la possibilità di deroghe al divieto di scarico nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, in quanto trattasi di acque che vengono utilizzate per determinate attività produttive e scaricate nella stessa falda dalla quale sono state in precedenza prelevate. La deroga al divieto di scarico trova la sua “ratio” nelle caratteristiche di queste acque di scarico che non subiscono alterazioni sostanziali tali da pregiudicare, a seguito della reimmissione, lo stato qualitativo delle acque di falda. Di seguito vengono riportati i vari casi di deroga previsti.

    L’autorità competente, come indicato all’art. 104, comma 2, può autorizzare, dopo indagine preventiva, gli scarichi nella stessa falda di:

    • acque utilizzate per gli scopi geotermici;

    • acque di infiltrazione di miniere o cave;

    • acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile ivi comprese le acque degli impianti di scambio termico.

    L’autorità competente, come definito all’art. 104, comma 4, dopo l’indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell’assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) competente per il territorio, a spese del soggetto richiedente l’autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l’assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico.

    Ulteriore deroga al divieto di scarico direttamente nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, definita all’art. 104, comma 3, riguarda lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi.

    In tali fattispecie intervengono due diverse autorità al fine del rilascio dell’autorizzazione e precisamente:

    • il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio qualora lo scarico delle suddette acque riguardi i giacimenti di idrocarburi in mare;

    • la Regione qualora trattasi di giacimenti a terra.

    Per quanto attiene il contenuto dell’autorizzazione, la norma prevede che in essa siano indicate le modalità dello scarico, ivi comprese le precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

    Per le perforazioni in mare con le quali è svolta attività di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi lo scarico diretto in mare è sottoposto alle modalità autorizzatorie previste dal Decreto del Ministero dell’ambiente del 28 luglio 1994 e successive modifiche, come definito all’art. 104, comma 5.

    Tale scarico è ammesso solo nel caso in cui la concentrazione di oli minerali sia inferiore a 40 mg/l e può essere autorizzato solo previa presentazione da parte del soggetto interessato di un piano di monitoraggio volto a verificare l’assenza di rischi per le acque marine e per l’ecosistema acquatico.

    Il Decreto stabilisce, altresì, l’obbligo della sostituzione progressiva dello scarico diretto in mare con la iniezione e reimmissione in unità geologiche profonde.

    La norma, pur non indicando un periodo determinato entro il quale debba avvenire tale sostituzione, pone comunque un limite temporale rappresentato dalla disponibilità di pozzi non più produttivi nei quali deve, quindi, essere trasferito lo scarico.

    Inoltre, come stabilito dall’art. 104, comma 5-bis, è consentita l’iniezione, a fini di stoccaggio, di flussi di biossido di carbonio in formazioni geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni che per motivi naturali sono definitivamente inadatte ad altri scopi, a condizione che l’iniezione sia effettuata a norma del Decreto legislativo di recepimento della Direttiva n. 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico di biossido di carbonio.

    Un ultimo caso è contemplato dal comma 4-bis dell’art. 104 e prevede che l’autorità competente, al fine del raggiungimento dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici sotterranei, può autorizzare il ravvenamento o l’accrescimento artificiale dei corpi sotterranei, nel rispetto dei criteri stabiliti nel Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 100 del 2 maggio 2016. L’acqua impiegata può essere di provenienza superficiale o sotterranea, a condizione che l’impiego della fonte non comprometta la realizzazione degli obiettivi ambientali fissati per la fonte o per il corpo idrico sotterraneo oggetto di ravvenamento o accrescimento. Tali misure sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre nell’ambito del Piano di tutela e del Piano di gestione. Per gli scarichi qui esaminati l’autorità competente, nel rilasciare l’autorizzazione, può stabilire ulteriori prescrizioni tecniche che dovranno essere osservate fino allo scadere dell’autorizzazione al fine della tutela della salute pubblica e dell’ambiente.

    ➔ Scarichi in reti fognarie

    Come indicato all’art. 107, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in fognatura devono conformarsi alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite di emissione adottati dall’ente di governo dell’ambito competente (v. Schema 3).

    I suddetti valori sono approvati dall’amministrazione pubblica responsabile in base alle caratteristiche dell’impianto, in modo da garantire che lo scarico finale rispetti i valori-limite di emissione previsti nell’Allegato V ovvero quelli stabiliti dalle Regioni e consenta il raggiungimento o mantenimento dell’obiettivo di qualità stabilito per i corpi idrici recettori.

    I valori-limite di emissione adottati dall’ente di governo dell’ambito non possono essere meno restrittivi di quelli indicati nella Tabella 3/A, e, per diverse sostanze pericolose di cui alla nota 2 della Tabella 5, anche per quelli indicati nella Tabella 3. Il rispetto, per lo scarico in rete fognaria, dei limiti di emissione indicati nella Tabella 3 dell’Allegato V è obbligatorio in assenza di limiti stabiliti dall’autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di conseguire uno scarico finale conforme ai valori-limite di emissione previsti nell’Allegato V ovvero stabiliti dalle Regioni.

    Schema 3 - Regime degli scarichi di acque reflue industriali

    Scarichi di acque reflue industriali Divieti Deroghe
    Scarichi sul suolo Divieto di scarico salvo deroghe (art. 103, comma 1).
    Divieto assoluto di scarico sul suolo delle sostanze pericolose come riportate allo Schema 2 (punto 2.1 dell’Allegato V, D.Lgs. n. 152/2006).
    Sono ammesse deroghe per:
    1) gli scarichi di acque reflue industriali per le quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità a recapitare in corpi idrici superficiali (art. 103, comma 1, lett. c) e per i quali le distanze dal corpo idrico più vicino rispettino le prescrizioni indicate all’Allegato V, punto 2 lett. b), D.Lgs. n. 152/2006) riportate di seguito.
    Le distanze dal più vicino corpo idrico superficiale oltre le quali è permesso lo scarico sul suolo sono rapportate al volume dello scarico stesso secondo il seguente schema:
    • 1000 m - per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 100 m3;

    • 2.500 m - per scarichi con portate giornaliere medie tra 101 e 500 m3;

    • 5.000 m - per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 2.000 m3.


    Gli scarichi aventi portata maggiore di quelle su indicate devono in ogni caso essere convogliati in corpo idrico superficiale, in fognatura o destinate al riutilizzo.
    2) gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali e dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli (art. 103, comma 1 lett. d).
    In entrambi i casi lo scarico deve comunque essere autorizzato.

    Scarichi di acque reflue industriali Divieti Deroghe
    Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee Divieto di scarico salvo deroghe (art. 104, comma 1).
    Divieto assoluto di scarico sul suolo delle sostanze pericolose come riportate allo Schema 2 (punto 2.1 dell’Allegato V, D.Lgs. n. 152/2006).
    Sono ammesse deroghe per:
    1) gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico (art. 104, comma 2);
    2) gli scarichi di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi (art. 104, comma 3);
    3) gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera (art. 104, comma 4).
    In tutti i casi lo scarico deve comunque essere autorizzato.
    I casi particolari di scarichi in sottosuolo per attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare e l’iniezione, a fini di stoccaggio, di flussi di biossido di carbonio in formazioni geologiche sono regolamentate da decreti specifici.
    Scarichi in acque superficiali Nessun divieto purché conformi alle prescrizioni autorizzative.
    Scarichi in reti fognarie Nessun divieto purché conformi alle prescrizioni autorizzative.

    6.3.6 Acque reflue urbane

    6.3.6Acque reflue urbane

    Come evidenziato nella parte sulle definizioni le acque reflue urbane possono essere costituite da acque reflue domestiche o dal miscuglio di queste con acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento.

    In considerazione delle dimensioni degli agglomerati, delle tipologie degli scarichi che confluiscono in fognatura (domestici o industriali) e che caratterizzano il refluo dell’agglomerato, le acque reflue urbane sono sottoposte ad una regolamentazione diversa con riferimento:

    • alla raccolta (reti fognarie);

    • al trattamento di depurazione;

    • allo scarico (valori-limite di emissione).

    Inoltre, gli scarichi possono essere sottoposti a prescrizioni più restrittive in rapporto alle caratteristiche del corpo idrico recettore. Infatti, particolari misure devono essere applicate agli scarichi che recapitano in acque identificate come aree sensibili (acque eutrofizzate o che potrebbero diventarlo in assenza di interventi adeguati), di cui si tratterà in maniera specifica più avanti.

    ➔ Le acque meteoriche

    Le acque meteoriche sono normate all’art. 113 del D.Lgs. n. 152/2006 che ne dispone il divieto di scarico nelle acque sotterranee (art. 113, comma 4).

    Ai sensi del comma 1 di detto articolo le Regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono tenute a disciplinare:

    • le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;

    • i casi in cui può essere necessario che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione.

    Le regolamentazioni regionali devono essere definite con la finalità di prevenire rischi idraulici ed ambientali. Le acque meteoriche non normate dalle Regioni non sono soggette ai vincoli e prescrizioni del D.Lgs. n. 152/2006, come stabilito dall’art. 113, comma 2).

    Le Regioni inoltre disciplinano i casi in cui può essere necessario che anche le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione. La norma pone particolare risalto a quei casi in cui dette acque contengano o possano contenere sostanze pericolose o altre sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Tale ipotesi si può verificare a seguito di dilavamento da superfici scoperte utilizzate per certe attività che trattano sostanze particolarmente inquinanti.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Acque meteoriche di dilavamento

    In tema di tutela penale dall’inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, lett. h), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152:

    Cass., sez. III, n. 39513/2022

    Cass., sez. III, n. 49693/2018

    Cass., sez. III, n. 28725/2018

    Cass., sez. III, n. 2832/2014

    Pioggia contaminata: Refluo industriale

    Esulano dalla nozione di acque meteoriche o di prima pioggia le acque piovane che, una volta cadute per terra ed oggetto di convogliamento anche per effetto della naturale pendenza del terreno, siano entrate in contatto con sostanze o materiali inquinanti giacenti sulla superficie del terreno in quanto frutto del processo produttivo in corso presso lo stabilimento ove le acque meteoriche sono raccolte; in tale caso, infatti, ma solo in tal caso, dette acque debbono essere qualificate come reflui industriali ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. h), del D.Lgs n. 152/2006, e, pertanto, il loro indiscriminato convogliamento verso il corpo recettore, in assenza di un loro preventivo trattamento volto alla purificazione dagli agenti inquinanti, integra gli estremi del reato di cui all’art. 137, D.Lgs n. 152/2006.

    Cass., sez. III, n. 30261/2021

    ➔ Reti fognarie

    Il D.Lgs. n. 152/2006 definisce all’art. 74, comma 1, punto dd) e punto ee):

    • rete fognaria: un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane;

    • fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta e al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta e al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia.

    Le reti fognarie sono regolamentate nell’art. 100 che stabilisce:

    • gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 2.000 devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane;

    • la progettazione, la costruzione e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le “migliori tecniche” disponibili e che comportino costi economicamente ammissibili, tenendo conto, in particolare:
      • della portata media, del volume annuo e delle caratteristiche delle acque reflue urbane;

      • della prevenzione di eventuali fenomeni di rigurgito che comportino la fuoriuscita delle acque reflue dalle sezioni fognarie;

      • della limitazione dell’inquinamento dei ricettori, causato da tracimazioni originate da particolari eventi meteorici;

    • per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, le Regioni individuano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi.

    La normativa in vigore stabilisce obblighi per la realizzazione delle reti fognarie per gli agglomerati, in relazione alla loro dimensione e al conseguente carico inquinante che è riferito al numero di abitanti equivalenti.

    Il mancato adeguamento agli adempimenti della Dir 91/271/CEE: in particolare all’art. 3 (reti fognarie per le acque reflue urbane), all’artt. 4 e 5 (trattamento depurativo dei reflui), all’art. 10 (adeguatezza degli impianti) e all’art. 15 (controllo degli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento), nei termini stabiliti ha portato l’Italia ad essere sottoposta a 4 procedure di infrazione (n. 2004/2034, n. 2009/2034, n. 2014/2059 e n. 2017/2181), che potranno essere archiviate quando sarà raggiunta la conformità delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue alle disposizioni comunitarie. Al fine di accelerare la realizzazione degli interventi necessari al superamento del contenzioso comunitario nel settore della depurazione è stata istituita, con l’art. 2, D.L. n. 243/2016 convertito con Legge del 27 febbraio 2017, n. 18, la figura del Commissario Straordinario Unico, che, come stabilito dall’art. 5, comma 7, D.L. 14 ottobre 2019, n. 111, convertito con modifiche, nella Legge 12 dicembre 2019, n. 141 può essere affiancato da due subcommissari.

    Ulteriore accelerazione per la progettazione e realizzazione di tali interventi viene data tramite l’art. 18, D.L. n. 152/2021 convertito con Legge 29 dicembre 2021, n. 233 (che detta disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)), che stabilisce che gli stessi sono dichiarati interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti per i quali i termini per il rilascio di pareri e di atti di assenso hanno carattere perentorio e sono ridotti alla metà; inoltre decorsi tali termini i pareri e gli atti di assenso ivi indicati, esclusi quelli in materia ambientale o relativi alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, si intendono acquisiti con esito positivo. Anche i termini legislativi previsti per i procedimenti espropriativi, di cui al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, sono ridotti alla metà. Per consentire la prosecuzione delle opere previste il D.P.C.M. 30 settembre 2022 individua, dopo la ricognizione svolta dal commissario unico, gli interventi, tra quelli per cui non risulti già intervenuta l’aggiudicazione provvisoria dei lavori, per i quali il commissario unico assume il compito di soggetto attuatore o coordinatore, nonché l’indicazione delle risorse finanziarie disponibili necessarie anche al completamento degli interventi funzionali volti a garantire l’adeguamento alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

    Con D.L. 14 aprile 2023, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 giugno 2023, n. 68, relativo a disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica, è stato inserito all’art. 27-ter del D.Lgs. n. 152/2006 il comma 1-bis che stabilisce che sono soggetti a procedimento autorizzatorio unico accelerato regionale le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari al superamento delle procedure di infrazione dell’Unione europea sulla depurazione o comunque connessi alla gestione della risorsa idrica, ricompresi nell’allegato III alla parte seconda dello stesso decreto.

    Nota: La situazione a maggio 2020 era di 939 agglomerati interessati dalle 4 procedure di infrazione europee, distribuiti su 17 regioni e relativi a 29.861.067 abitanti equivalenti.

    Sul sito istituzionale del Commissario Unico per la Depurazione (www.commissariounicodepurazione.it) sono disponibili le informazioni esaustive sugli agglomerati oggetto delle quattro infrazioni e sugli interventi previsti.

    Nota: “Abitante equivalente”: il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno.

    ➔ Scarichi in acque superficiali

    Come già precisato, gli scarichi di acque reflue, comprese quelle urbane, devono essere generalmente recapitati in corpi idrici superficiali visto il divieto di scarico sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.

    Le caratteristiche qualitative delle acque reflue urbane possono essere molto diverse in base al fatto che siano esclusivamente acque reflue domestiche o che contengano anche acque meteoriche di dilavamento e reflui industriali, che comportano la presenza più o meno significativa di sostanze inquinanti anche tossiche e bioaccumulabili.

    Il trattamento delle acque reflue e i valori-limite di emissione da applicare allo scarico devono essere stabiliti in base a tali diverse caratteristiche qualitative al fine di evitare l’inquinamento del corpo recettore e non compromettere il perseguimento dell’obiettivo di qualità.

    L’art. 105 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che le acque reflue urbane devono essere sottoposte prima dello scarico a trattamenti appropriati secondo le indicazioni dell’Allegato V e assegna alle Regioni il compito di definire la disciplina specifica per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale degli abitanti.

    Infine, al comma 6, prevede che gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zone d’alta montagna, ossia al di sopra dei 1500 m sul livello del mare, dove, a causa delle basse temperature, è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quanto indicato all’Allegato V, purché appositi studi comprovino che i suddetti scarichi non avranno ripercussioni negative sull’ambiente.

    Valori-limite di emissione
    Valori-limite di emissione

    Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane recapitanti in acque superficiali devono rispettare i limiti di emissione riportati nella Tabella 1 dell’Allegato V.

    Per gli scarichi nuovi tali prescrizioni sono obbligatorie dall’entrata in esercizio dell’impianto trattamento; per quelli esistenti i tempi di adeguamento coincidono con i tempi previsti per l’applicazione del processo di depurazione secondario (Allegato V, punto 1.1).

    Nel caso in cui il recapito dello scarico sia un’area sensibile, lo scarico deve rispettare anche quanto prescritto dalla Tabella 2 per quanto riguarda i parametri azoto e fosforo.

    Nel caso di fognature miste, che raccolgono anche scarichi provenienti da insediamenti industriali devono essere rispettati anche i valori-limite della Tabella 3, del medesimo allegato, ovvero i valori-limite stabiliti dalle Regioni, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di qualità. La Tabella 1 è relativa ai requisiti per gli scarichi di acque reflue urbane per i parametri BOD5, COD e solidi sospesi e riporta, per ciascun parametro, valori in termini di concentrazione allo scarico e di percentuale di riduzione, quest’ultima intesa in rapporto al carico affluente all’impianto. Lo scarico è conforme se, per ciascun parametro, viene rispettato uno dei due valori ossia il limite di concentrazione o la percentuale di riduzione. In sede di autorizzazione l’autorità competente fisserà il sistema di riferimento per il controllo indicando l’opzione relativa al rispetto della concentrazione o alla percentuale di riduzione.

    La Tabella 1 presenta valori differenti in ordine a 2 classi di agglomerati e più precisamente con un numero di abitanti equivalenti compresi tra 2.000 e 10.000 e con un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000. Per questi ultimi i valori della Tabella 1 sono più restrittivi in considerazione dell’impatto più significativo che i loro scarichi hanno sull’ambiente.

    Nel caso di acque reflue urbane costituite dal miscuglio di acque reflue domestiche e industriali e quindi di contemporanea applicazione della Tabella 2 e 3 ovvero dei valori fissati dalle Regioni, per i parametri BOD5, COD e solidi sospesi (presenti in entrambe le tabelle), valgono i valori più restrittivi della Tabella 1.

    Il rispetto della Tabella 2, relativa ai parametri azoto e fosforo totale, è obbligatorio nel caso di scarichi in aree individuate sensibili, nelle quali è necessario limitare l’apporto di nutrienti.

    ➔ Scarichi sul suolo

    Sono vietati, salvo le deroghe previste, gli scarichi sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo.

    Deroghe
    Deroghe

    È consentito effettuare lo scarico sul suolo di acque reflue urbane nei casi seguenti:

    • per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

    • per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;

    • per gli scarichi per i quali sia accertato l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, rispetto ai benefici ambientali conseguibili, di effettuare lo scarico in corpi idrici superficiali sempreché la distanza dal più vicino corpo idrico sia superiore a:

    • 1.000 metri per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 500 m3;

    • 2.500 metri per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 5.000 m3;

    • 5.000 metri per scarichi con portate giornaliere medie tra 5.001 e 10.000 m3.

    Gli scarichi che presentano una distanza minore dal corpo idrico più vicino o una portata giornaliera maggiore di quelle sopra indicate, non rientrano nella deroga e devono pertanto essere convogliati in un corpo idrico superficiale, in fognatura o destinati al riutilizzo.

    Nel caso dell’applicazione di tale deroga sono previsti specifici valori-limite di emissione indicati nella Tabella 4 dell’Allegato V più restrittivi di quelli della Tabella 3 dello stesso allegato.

    Tale tabella è comunque di carattere temporaneo ed è in vigore fino a quando le Regioni regolamenteranno con proprie norme tale tipologia di scarico.

    Restano comunque validi i divieti di scarico delle sostanze pericolose riportate al punto 2.1 dell’Allegato V (v. Schema 2).

    ➔ Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee

    Il D.Lgs. n. 152/2006 riafferma il principio presente nella precedente normativa abrogata secondo cui è fatto divieto di scaricare nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.

    La norma vieta, infatti, qualsiasi scarico ivi compreso quello delle acque reflue urbane diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo (art. 104, comma 1).

    Come indicato al punto 2.1 dell’Allegato V, vale in ogni caso il divieto di scarico delle sostanze ivi indicate (Schema 2), eventualmente contenute nelle acque reflue urbane quale miscuglio di acque reflue domestiche e acque reflue industriali. Nel sottosuolo è vietato lo scarico delle sostanze di cui al primo elenco del punto 2.1 dell’Allegato V, mentre nelle acque sotterranee il divieto si estende anche alle sostanze di cui al secondo elenco del punto 2.1 (Schema 2).

    ➔ Scarichi in reti fognarie

    Come già detto, le acque reflue urbane essenzialmente sono acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento.

    Il D.Lgs. n. 152/2006 nell’ambito della specifica disciplina relativa agli scarichi in fognatura, dispone che gli scarichi in rete fognaria di acque reflue domestiche sono sempre ammessi, purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del Servizio idrico integrato ed approvati dall’ente di governo d’ambito competente. A conferma di tale principio, in merito all’autorizzazione allo scarico (art. 124) il Decreto precisa che, in deroga alla norma generale, gli scarichi di acque reflue domestiche non devono essere assoggettati ad autorizzazioni e sono comunque ammessi solo nel rispetto dei regolamenti fissati dal gestore del Servizio idrico integrato.

    All’art. 107, comma 3, il Decreto vieta lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura, ad eccezione di quelli organici provenienti dagli scarti dell’alimentazione trattati con apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che ne riducano la massa in particelle sottili, previo accertamento dell’esistenza di un sistema di depurazione da parte dell’ente gestore del servizio idrico integrato, che assicura adeguata informazione al pubblico anche in merito alla planimetria delle zone servite da tali sistemi. L’installazione delle apparecchiature è comunicata da parte del rivenditore al gestore del servizio idrico, che ne controlla la diffusione sul territorio.

    6.3.7 Autorizzazione agli scarichi

    6.3.7Autorizzazione agli scarichi

    La disciplina delle autorizzazioni degli scarichi figura tra gli strumenti di tutela dei corpi idrici in base ai principi del D.Lgs. n. 152/2006 secondo i quali anche il provvedimento autorizzativo concorre al mantenimento e al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale. Lo scarico di acque reflue, recapitante in acque superficiali, in reti fognarie e, ove consentito, sul suolo, deve essere preventivamente autorizzato ai sensi dell’art. 124, comma 1.

    Unica deroga, come già detto, è per gli scarichi di acque reflue domestiche in rete fognaria che sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’ente di governo dell’ambito (art. 124, comma 4).

    Il titolare dell’autorizzazione allo scarico è il titolare dell’attività da cui origina lo scarico, salvo i casi in cui:

    • uno o più stabilimenti conferiscano le acque reflue provenienti dalle loro attività, tramite condotta, ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, al quale viene rilasciata l’autorizzazione, oppure

    • tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, per cui l’autorizzazione viene rilasciata al consorzio medesimo.

    Restano ferme le responsabilità dei singoli titolari delle attività suddette e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni contenute nella Parte III del D.Lgs. n. 152/2006.

    Spetta alle Regioni definire il regime autorizzatorio per:

    • gli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, nell’ambito della disciplina degli scarichi di cui all’art. 101, commi 1 e 2 che, nel rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e dei valori limite, prevede possibili deroghe e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento e arresto o in caso di guasto, nonché la possibilità per le Regioni di fissare valori limite diversi da quelli definiti nell’Allegato V del D.Lgs. n. 152/2006, con determinate limitazioni nel caso di valori meno restrittivi;

    • gli scarichi di acque reflue termali, che sono ammessi in reti fognarie nell’osservanza dei regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato ed in conformità all’autorizzazione rilasciata dall’ente di governo dell’ambito.

    Le Regioni inoltre disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio oppure, se già in esercizio, allo svolgimento di interventi, sugli impianti o sulle infrastrutture ad essi connesse, finalizzati all’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE, ovvero al potenziamento funzionale, alla ristrutturazione o alla dismissione.

    Salvo diversa disciplina regionale, le autorità competenti per il rilascio delle autorizzazioni sono la Provincia oppure l’ente di governo dell’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura, che provvedono al rilascio entro novanta giorni dalla ricezione della domanda.

    Le spese occorrenti per l’effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l’istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico sono a carico del richiedente.

    In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente interessato, l’autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che lo scarico, e le operazioni ad esso funzionalmente connesse, avvenga in conformità alle disposizioni della Parte III del D.Lgs. n. 152/2006 e senza che consegua alcun pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l’ambiente.

    In merito alla durata e rinnovo dell’autorizzazione, oltre alle disposizioni dell’art. 124, comma 8, che prevede una validità di quattro anni dal momento del rilascio, salvo che l’attività non sia sottoposta ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), si deve considerare anche la successiva entrata in vigore della procedura di rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) come indicato nel successivo paragrafo. Ne consegue che, poiché in entrambi i casi l’autorizzazione allo scarico è ricompresa nell’unica autorizzazione rilasciata, in caso di attività sottoposta ad AIA la durata dell’autorizzazione allo scarico, e le tempistiche per il rinnovo, seguono le tempistiche previste per la stessa AIA, mentre nel caso dell’AUA la durata è 15 anni e la domanda di rinnovo deve essere presentata almeno sei mesi prima della scadenza (e non un anno prima come previsto dall’art. 128).

    Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose, di cui all’art. 108, D.Lgs. n. 152/2006 (sostanze di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato V), in caso di AUA vige l’obbligo per il gestore dell’invio, almeno ogni quattro anni, degli esiti delle attività di autocontrollo all’autorità competente, che, qualora lo ritenga necessario, può procedere all’aggiornamento delle condizioni autorizzative. Tale aggiornamento non modifica la durata dell’autorizzazione.

    L’art. 124, comma 8, stabilisce per il rinnovo che lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all’art. 108, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente.

    La disciplina regionale può comunque prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima.

    APPROFONDIMENTI

    • AMBIENTE & SVILUPPO n. 10/2022: “Principio di precauzione: legittimo il diniego di autorizzazione allo scarico”

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Necessità di una preventiva formale autorizzazione allo scarico

    L’apertura o, comunque, l’effettuazione di uno scarico richiede il preventivo rilascio di una formale, espressa autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità sulla base dei criteri e nelle forme indicate dalla legge e non ammette equipollenti. Anche per quanto concerne la disciplina in tema di inquinamento idrico, la finalità dell’autorizzazione non è soltanto quella di permettere l’apertura e l’effettuazione dello scarico, ma anche di porre l’amministrazione competente nelle condizioni di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il rilascio del titolo abilitativo ed effettuare ogni successiva attività di controllo e prevenzione, con la conseguenza che l’apertura o l’effettuazione di uno scarico in assenza dell’autorizzazione denota una effettiva offensività della condotta, in quanto determina una evidente lesione dell’interesse protetto dal precetto penale:

    Cass., sez. III, n. 11518/2019

    Scarico dopo la scadenza dell’autorizzazione

    In tema di inquinamento delle acque, integra il reato di cui all’art. 137, D.Lgs. n. 152/2006, il provvisorio mantenimento in funzione di uno scarico di reflui dopo la scadenza della autorizzazione, se il titolare non ne abbia tempestivamente chiesto il rinnovo almeno un anno prima del decorso del termine di validità, quando non sussistono i presupposti per l’operatività del regime dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, previsto dall’art. 9, D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e che consente di fare istanza di rinnovo fino a sei mesi prima della cessazione di efficacia del titolo abilitativo:

    Cass., sez. III, n. 23182/2020

    Soggetto responsabile dello scarico non autorizzato

    Del reato di esercizio di scarichi non autorizzati, previsto dall’art. 137, comma 1, D.Lgs. 152/2006, risponde innanzitutto il titolare dell’insediamento produttivo da cui origina lo scarico, ferma restando l’eventuale concorrente responsabilità, se diverso, del soggetto che in concreto gestisca l’impianto, in quanto su quest’ultimo grava l’onere di controllare che l’impianto da lui gestito sia munito dell’autorizzazione, presupposto di legittimità della gestione:

    Cass., sez. III, n. 1719/2021

    Sversamento non ragionevolmente prevedibile: non è scarico non autorizzato

    In materia di tutela delle acque dall’inquinamento, non configura il reato di scarico di acque reflue industriali di cui all’art. 137, D.Lgs. n. 152/2006 uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non potendo pretendersi, in tale caso, la presentazione da parte di quest’ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione:

    Cass., sez. III, n. 18385/2021

    Nota: il D.P.R. del 19 ottobre 2011, n. 277 prevede, come forma di semplificazione per le PMI, la possibilità di presentare istanza di rinnovo dell’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali con modalità semplificate e almeno sei mesi prima della scadenza, anziché un anno prima come previsto dall’art. 124, qualora non si siano verificate modificazioni rispetto ai presupposti della autorizzazione già concessa e lo scarico non contenga le sostanze pericolose di cui all’art. 108, D.Lgs. n. 152/2006.

    ➔ Procedura della richiesta di autorizzazione agli scarichi in ambito AUA (Autorizzazione Unica Ambientale)

    Secondo quanto riportato nel D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59, in attuazione della previsione di cui all’art. 23, del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35, che ha istituito l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA), tale Decreto si applica alle categorie di imprese di cui all’art. 2 del Decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella G.U. n. 238 del 12 ottobre 2005, nonché agli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale. Questo comporta che i gestori degli impianti di cui all’art. 1 presentino domanda di autorizzazione unica ambientale nel caso in cui siano assoggettati, ai sensi della normativa vigente, al rilascio, alla formazione, al rinnovo o all’aggiornamento anche solo dell’autorizzazione agli scarichi di cui al Capo II del Titolo IV della Sezione II della Parte III del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

    La domanda per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale corredata dai documenti, dalle dichiarazioni e dalle altre attestazioni previste dalle vigenti normative di settore relative agli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione di cui all’art. 3, commi 1 e 2, deve essere presentata allo Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP) che la trasmette immediatamente, in modalità telematica all’autorità competente e ai soggetti cioè la Provincia o la diversa autorità indicata dalla normativa regionale quale competente ai fini del rilascio e ne verifica, in accordo con l’autorità competente, la correttezza formale.

    Per tutto quanto riguarda l’autorizzazione agli scarichi in ambito Autorizzazione Unica Ambientale, si rimanda al Capitolo 4 del presente Manuale.

    Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue
    Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue

    Ferma restando la disciplina di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, l’art. 127 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato ed è vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

    6.3.8 Controllo degli scarichi

    6.3.8Controllo degli scarichi

    La disciplina del controllo degli scarichi è prevista nelle disposizioni del Titolo IV (Strumenti di tutela), Capo III (Controllo degli scarichi) del D.Lgs. n. 152/2006, art. 128 e segg. Tale disciplina riveste un’importanza fondamentale per la tutela delle acque dall’inquinamento anche in quanto consente una conoscenza affidabile e aggiornata dell’evoluzione dei fenomeni antropici sul territorio nonché l’acquisizione delle informazioni per intervenire tempestivamente. Inoltre, il sistema di controllo consente di verificare la validità delle scelte operate sul corpo recettore e, se del caso, modificarle per assumere una programmazione in linea con la salvaguardia qualitativa e quantitativa della risorsa idrica. In tal senso nel nuovo testo normativo la disciplina dei controlli è da intendersi inserita tra gli strumenti di tutela.

    GIURISPRUDENZA

    In particolare, la giurisprudenza pone l’attenzione su:

    Analisi dei reflui: modalità di campionamento e libertà di accertamento

    Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’allegato 5 alla Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (campione medio prelevato nell’arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall’organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico - continuo, discontinuo, istantaneo - dal tipo di accertamento:

    Cass., sez. III, n. 45434/2022

    In tema di inquinamento idrico, il campionamento del refluo industriale, previsto dall’art. 108, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo e non sullo scarico finale; ne consegue che il prelievo del refluo è possibile all’uscita dello stabilimento soltanto in presenza di un solo impianto di trattamento, mentre nell’ipotesi di più linee produttive con autonomi impianti di trattamento deve essere eseguito dopo ciascuno di essi:

    Cass., sez. III, n. 1296/2017

    Cass., sez. III, n. 24426/2011

    Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’Allegato V alla Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio, non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze:

    Cass., sez. III, n. 30135/2017

    A norma del comma 1 dell’art. 223 disp. att. c.p.p., l’avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo ove le analisi saranno effettuate può essere dato anche oralmente e per tale avviso non è prescritta alcuna forma specifica, né alcun termine minimo deve intercorrere tra il prelievo e le successive analisi, essendo richiesto soltanto che detto termine sia comunque sufficiente a consentire all’interessato la possibilità di ottenere l’assistenza eventuale di un consulente tecnico. Se si tiene conto del dato letterale dell’art. 220, emerge chiaramente che lo stesso si riferisce ad indizi di reato che emergono nel corso delle attività ispettive o di vigilanza, il che porta ad affermare che la cognizione circa la sussistenza di indizi di reità, ancorché non riferibili ad un soggetto specifico, deve risultare oggettivamente evidente a chi opera mentre effettua tale attività e non deve essere soltanto ipotizzata sulla base di mere congetture, né può ritenersi possibile, dopo che un reato è stato accertato, sostenere che chi effettuava il controllo avrebbe dovuto prefigurarsi quale ne sarebbe stato l’esito:

    Cass., sez. III, n. 36626/2019

    Punto di campionamento del refluo industriale

    Secondo una corretta interpretazione del quinto comma dell’art. 108, D.Lgs. n. 152 del 2006 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo - industriale -, e non sullo scarico finale. Questa è l’unica interpretazione che evita l’accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini: è, infatti, lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale - unito ad acque di diluizione. In tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse.

    Cass., sez. III, n. 43815/2023

    ➔ Acque reflue industriali

    Circa i metodi di campionamento ed analisi da utilizzare per l’attuazione dei programmi di controllo per le acque reflue industriali, il D.Lgs. n. 152/2006 riconferma, in generale, la validità delle procedure di prelievo e di misura definite dalle normative previgenti, assegnando ad ISPRA il compito di aggiornarne le metodiche attraverso apposito Decreto ministeriale. Il Decreto, all’Allegato V, prevede che il punto assunto per il controllo deve essere sempre lo stesso e posto immediatamente a monte dell’immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo. Per gli scarichi delle sostanze pericolose (Tabella 5 dell’Allegato V) il punto di controllo è fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve esclusivamente lo stabilimento medesimo (art. 108, comma 5). Le determinazioni analitiche ai fini del controllo della conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore, con la possibilità da parte dell’autorità incaricata al controllo, di prevedere tempi di campionamento diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico, in considerazione dei seguenti casi:

    • particolari prescrizioni previste nell’atto autorizzativo;

    • caratteristiche del ciclo tecnologico;

    • tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso);

    • tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, etc.).

    L’autorità preposta al controllo dovrà riportare le motivazioni dei tempi diversi applicati nel verbale di campionamento.

    ➔ Acque reflue urbane

    Anche in questo caso, come per le acque reflue industriali, il punto assunto per il controllo deve essere sempre lo stesso e posto immediatamente a monte dell’immissione nel corpo ricettore.

    Nel caso di controllo della percentuale di riduzione dell’inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all’entrata dell’impianto di trattamento. Di tale esigenza operativa per l’attività di controllo si dovrà tenere conto nella fase di progettazione e realizzazione di nuovi impianti di trattamento.

    Per gli impianti di depurazione naturale (lagunaggio, fitodepurazione) il punto di scarico corrisponde all’uscita dall’impianto.

    L’autorità competente per il controllo deve verificare la conformità degli scarichi ai limiti di emissione indicati nella Tabella 1 dell’Allegato V e, nel caso di fognature che convogliano anche reflui industriali, anche nella Tabella 3 dell’Allegato V.

    In entrambi i casi qualora gli scarichi recapitino in aree sensibili deve essere verificata anche la conformità alla Tabella 2 dell’Allegato V.

    Per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle Tabelle 1 e 2 e di eventuali altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell’arco di 24 ore. Il numero minimo annuo di campioni per i parametri delle suddette tabelle è fissato in base alla dimensione dell’impianto di trattamento e va effettuato dall’autorità competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all’autorità di controllo, ritenuto idoneo da quest’ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell’anno, in base allo schema seguente.

    I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli (almeno uguale a quello del precedente schema) sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata.

    L’autorità competente per il controllo deve altresì verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti della Tabella 3 dell’Allegato V. I parametri di Tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che in relazione alle attività presenti nell’area servita dall’impianto di trattamento, possono scaricare in fognatura.

    Numero minimo di controlli per il rispetto dei limiti indicati nella Tabella 3
    Potenzialità impianto Numero controlli
    da 2.000 a 9999 A.E. 1 volta l’anno
    da 10.000 a 49.999 A.E. 3 volte l’anno
    oltre 49.999 A.E. 6 volte l’anno

    I risultati delle analisi di autocontrollo effettuate dai gestori degli impianti devono essere messi a disposizione degli enti preposti al controllo. I risultati dei controlli effettuati dall’autorità competente e di quelli effettuati a cura dei gestori del depuratore devono essere archiviati su idoneo supporto informatico.

    Per il calcolo della conformità dello scarico, di acque reflue urbane, ai limiti indicati nella Tabella 1 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 il numero di campioni non conformi ammissibili è indicato dallo schema che segue (v. Schema 5).

    Schema 5 - Numero di campioni non conformi ammissibili rispetto ai campioni totali prelevati

    In ogni caso, affinché lo scarico sia considerato in regola, i risultati non conformi, espressi in concentrazione, non devono discostarsi dai valori tabellari oltre il 100% per i parametri BOD5 e COD e oltre il 150% per il parametro solidi sospesi.

    Valori estremi non sono presi in considerazione se sono il risultato di situazioni eccezionali come quelle dovute a piogge abbondanti.

    Campionamento per il controllo degli scarichi sul suolo
    Campionamento per il controllo degli scarichi sul suolo

    Nei casi di deroga allo scarico sul suolo, previsti all’art. 103, comma 1, punto c), (scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali), l’autorità competente per il controllo deve verificare la conformità degli scarichi ai limiti di emissione indicati nella Tabella 4 dell’Allegato V alla parte III con la frequenza minima di seguito indicata:

    Tali limiti sono riferiti ad un campione medio ponderato nell’arco di 24 ore per le acque reflue urbane ovvero di un campione medio nell’arco di 3 ore nel caso di acque reflue industriali.

    In caso di particolari situazioni l’autorità preposta al controllo può effettuare il campionamento su tempi diversi.

    I parametri della Tabella 4 dell’Allegato V da controllare sono solo quelli che in relazione alle attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

    Per gli scarichi di acque reflue urbane sul suolo valgono gli stessi obblighi di controlli previsti al paragrafo precedente per gli scarichi in acque superficiali.

    6.3.9 Obblighi del titolare dello scarico

    6.3.9Obblighi del titolare dello scarico

    Il titolare dello scarico è tenuto a:

    • rendere lo scarico accessibile per il campionamento in corrispondenza del punto assunto per la misurazione;

    • fornire le informazioni richieste all’autorità di controllo e consentire l’accesso ai luoghi dai quali si origina lo scarico;

    • qualora prescritto nell’autorizzazione, osservare specifiche modalità di gestione, dotarsi di strumenti per il controllo in automatico delle sostanze pericolose, di cui alla Tabella 5 dell’Allegato V, e conservare i relativi risultati per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di misurazione.

    6.3.10 Autorità competenti e soggetti incaricati al controllo

    6.3.10Autorità competenti e soggetti incaricati al controllo

    Ai sensi del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 19) per autorità competente al controllo degli scarichi è da intendersi la Provincia (o Città Metropolitana) per quanto attiene all’intero territorio provinciale o alle zone intercomunali.

    Pertanto, la Provincia, in quanto autorità cui sono attribuite le attività amministrative di vigilanza e controllo, deve predisporre un programma per assicurare un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi e successivi (art. 128, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006).

    In caso di accertamento della inosservanza delle prescrizioni l’autorità competente al controllo adotta i provvedimenti di diffida, sospensione e revoca dell’autorizzazione secondo la gravità dell’infrazione.

    In base alla normativa vigente sono state demandate all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (ora ISPRA) le funzioni di indirizzo e coordinamento tecnico in materia di controllo della qualità ambientale e alle Agenzie regionali o provinciali per la protezione dell’ambiente (ARPA) i relativi compiti di programmazione e di esecuzione di tale attività sul proprio territorio.

    Se la Regione non ha provveduto all’istituzione dell’Agenzia regionale o se non è ancora operativa, i controlli sono effettuati dai presidi multizonali di prevenzione o dai competenti servizi delle Aziende sanitarie locali.

    L’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 non ha modificato sostanzialmente il quadro giurisprudenziale, per cui sono soggetti tenuti al controllo, secondo la giurisprudenza della Cassazione precedente: la Polizia giudiziaria, Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale, Vigili urbani.

    Tutti i soggetti autorizzati al controllo possono effettuare ispezioni, controlli e prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori-limite di emissione, di tutte le prescrizioni regolamentari e di quelle contenute nei provvedimenti di autorizzazione, nonché delle condizioni che danno luogo alla formazione dello scarico.

    Nel caso in cui i soggetti competenti non provvedano ad effettuare i controlli previsti per legge il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, dispone del potere di sostituire la Regione imputando gli oneri finanziari all’ente inadempiente (art. 132, D.Lgs. n. 152/2006).

    Nel caso di scarichi di acque reflue urbane in pubblica fognatura, per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, il gestore del servizio idrico è tenuto a dotarsi di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio per le analisi di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori.

    I gestori degli impianti di trattamento devono:

    • assicurare un sufficiente numero di autocontrolli sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata. Per sufficiente s’intende almeno uguale a quello prescritto per un controllo compiuto dall’autorità competente;

    • disporre di un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all’autorità di controllo, ritenuto idoneo dalla stessa.

    € SANZIONI

    Il D.Lgs. n. 152/2006 prevede sanzioni sia amministrative, sia penali per coloro che violano la disciplina in materia di scarichi.

    Per alcune fattispecie di illecito, e più precisamente quelle sul superamento dei valori-limite di emissione degli scarichi, e sull’inosservanza delle prescrizioni autorizzative, l’applicazione della sanzione amministrativa viene applicata solo se il comportamento non viene espressamente sanzionato penalmente.

    Sanzioni amministrative

    Art. 133, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, e fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, commi 2 e 3, nell’effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato V alla Parte III del presente Decreto, oppure i diversi valori limite stabiliti dalle Regioni a norma dell’art. 101, comma 2, o quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, o dell’art. 108, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da 3.000 a 30.000 euro. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’art. 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a 20.000 euro.

    Art. 133, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’art. 124, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da 6.000 a 60.000 euro. Nell’ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da 600 a 3.000 euro.

    Art. 133, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1 e di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, effettui o mantenga uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione o fissate ai sensi dell’art. 107, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro.

    Art. 133, comma 6, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, non osservi il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall’art. 127, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 6.000 a 60.000 euro.

    Art. 133, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113, comma 1, lett. b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro.

    Sanzioni penali

    Una importante modifica al D.Lgs. n. 152/2006 sono le sanzioni previste dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (G.U. Serie Generale n. 122 del 28 maggio 2015) che ha introdotto nel c.p. un lungo elenco di reati ambientali (collocati nel nuovo Titolo VI-bis intitolato “Dei delitti contro l’ambiente”) legati alla responsabilità amministrativa dell’impresa. Ne è derivata, così un’integrazione dell’art. 25-undecies del D.Lgs. n. 231/2001, con data di entrata in vigore 29 maggio 2015.

    L’art. 25-undecies del Decreto include nel novero dei reati, alcune delle ipotesi contravvenzionali di cui all’art. 137 del Testo Unico ambientale.

    Di seguito si porta quanto previsto dall’art. 137 con i riferimenti al suddetto articolo, ove presenti.

    Art. 137, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006: Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29-quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da 1.500 a 10.000 euro.

    Art. 137, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006: Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle Tabelle 5 e 3/A dell’Allegato V alla Parte III del presente Decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni e dell’ammenda da 5.000 a 52.000 euro - Art. 25 undecies, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da200 a 300 quote e sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 per una durata non superiore a sei mesi.

    Art. 137, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, o di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle Tabelle 5 e 3/A dell’Allegato V alla Parte III del presente Decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli artt. 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni - Art. 25-undecies, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote.

    Art. 137, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque violi le prescrizioni concernenti l’installazione e la gestione dei controlli in automatico o l’obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all’art. 131 è punito con la pena di cui al comma 3.

    Art. 137, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006: Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato V alla Parte III del presente Decreto, chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella Tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella Tabella 4 dell’Allegato V alla Parte III del presente Decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 3.000 a 30.000 euro - Art. 25-undecies, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote.

    Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella Tabella 3/A del medesimo Allegato V, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da 6.000 a 120.000 euro. - Art. 25-undecies, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da 200 a 300 quote e sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 per una durata non superiore a sei mesi.

    Art. 137, comma 6, D.Lgs. n. 152/2006: Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.

    Art. 137, comma 8, D.Lgs. n. 152/2006: Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’art. 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 689 del 1981 e degli artt. 55 e 354 del c.p.p.

    Art. 137, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’art. 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’art. 137, comma 1.

    Art. 137, comma 11, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli artt. 103 e 104 è punito con l’arresto sino a tre anni. - Art. 25 undecies, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da 200 a 300 quote e sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 per una durata non superiore a sei mesi.

    Art. 137, comma 12, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell’art. 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell’art. 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall’autorità competente ai sensi dell’art. 87, comma 3, è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da 4.000 a 40.000 euro.

    Art. 137, comma 13, D.Lgs. n. 152/2006: Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente - Art. 25-undecies, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001: sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote.

    Art. 137, comma 14, D.Lgs. n. 152/2006: Chiunque effettui l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’art. 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività impartito a norma di detto articolo, è punito con l’ammenda da 1.500 a 10.000 euro o con l’arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.

    Seguono i nuovi articoli introdotti nel c.p. dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68.

    Art. 452-bis c.p. (Inquinamento ambientale): Reclusione da due a sei anni e multa da 10.000 a 100.000 euro.

    La norma punisce “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.

    È prevista un’aggravante (aumento della sanzione fino ad un terzo) quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.

    Art. 25-undecies, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001: ai fini 231 è prevista per l’ente una sanzione pecuniaria da 250 a 600 quote.

    Art. 452-quater c.p. (Disastro ambientale): Reclusione da cinque a quindici anni.

    La norma sanziona, fuori dai casi previsti dall’art. 434 c.p., chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale.

    Il comma 2 specifica che costituiscono “disastro ambientale”, alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

    Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

    Art. 25-undecies, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001: ai fini 231 è prevista per l’ente una sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote.

    Art. 452-quinquies c.p. (Delitti colposi contro l’ambiente)

    Se taluno dei fatti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.

    Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.

    Art. 25-undecies, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 231/2001: ai fini 231 è prevista per l’ente una sanzione pecuniaria da 200 a 500 quote.

    Art. 452-octies c.p. (Circostanze aggravanti)

    Quando l’associazione di cui all’art. 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo art. 416 sono aumentate.

    Quando l’associazione di cui all’art. 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo art. 416-bis sono aumentate.

    Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.

    Art. 25-undecies, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 231/2001): ai fini 231 è prevista per l’ente una sanzione pecuniaria da 300 a 1000 quote.

    6.4 Le aree sensibili

    6.4Le aree sensibili

    Per la realizzazione di un’adeguata tutela dei corpi idrici è necessario applicare particolari misure di prevenzione in relazione alla specificità delle caratteristiche del corpo idrico. Il D.Lgs. n. 152/2006 prevede ti disposizioni particolari per alcune aree che a causa del loro stato d’inquinamento, del fragile equilibrio ambientale nonché della loro particolare destinazione d’uso, richiedono specifiche norme di tutela tra le quali sono ricomprese le aree sensibili.

    Nota: il D.Lgs. n. 152/2006 identifica tali aree al Capo I del Titolo III “Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento” che contiene i seguenti articoli:

    • art. 91 (Aree sensibili);

    • art. 92 (Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola);

    • art. 93 (Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e zone vulnerabili alla desertificazione);

    • art. 94 (Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano).

    Le aree sensibili possono essere definite come “corpi idrici soggetti a fenomeni di eutrofizzazione o che potrebbero diventarlo qualora non si intervenisse in maniera adeguata”.

    I criteri per la individuazione delle aree sensibili sono riportati all’Allegato VI del D.Lgs. n. 152/2006 che recepisce l’Allegato II della Direttiva n. 91/271/CEE.

    Si considera area sensibile un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi:

    • laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale già eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici;

    • acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della Direttiva n. 75/440/CEE concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione d’acqua potabile, modificata dalla Direttiva n. 79/869/CEE);

    • aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario, al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dalla presente norma.

    APPROFONDIMENTI

    Eutrofizzazione

    È un fenomeno dovuto all’eccessiva presenza di sostanze nutrienti nei corpi idrici a causa dell’inquinamento provocato dalle molteplici attività antropiche. Il livello elevato di tali sostanze può provocare un’esagerata proliferazione algale a discapito delle comunità vegetali e animali naturali. La domanda di ossigeno, determinata dalla biomassa delle alghe o provocata dalla loro decomposizione, può rompere l’equilibrio naturale dell’ecosistema acquatico. In casi estremi può provocare un’elevata mortalità degli organismi acquatici. L’eutrofizzazione può anche contribuire alla fioritura di alghe tossiche. I nutrienti, responsabili del fenomeno, possono provenire da varie fonti, sia puntuali che diffuse, ivi comprese quelle agricole, le acque reflue urbane e le precipitazioni atmosferiche.

    L’eutrofizzazione viene definita alla lett. z) dell’art. 74 del D.Lgs. n. 152/2006 come “arricchimento delle acque in nutrienti, in particolar modo di composti dell’azoto ovvero del fosforo, che provoca una proliferazione delle alghe e di forme superiori di vita vegetale, producendo una perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque interessate”.

    Gli scarichi di acque reflue non trattati adeguatamente hanno determinato conseguenze negative sull’ambiente, compromettendo spesso la qualità delle acque non solo dal punto di vista ambientale, ma anche ai fini di un loro utilizzo. In particolare un eccessivo apporto di nutrienti, causato da scarichi provenienti da agglomerati urbani, ha provocato, in diversi casi, l’instaurarsi di fenomeni di eutrofizzazione che caratterizzano le aree sensibili. Al fine di superare i problemi, causa d’inquinamento di tali aree e migliorarne la qualità, la disciplina sulle acque, in recepimento della Direttiva n. 91/271/CEE, interviene in modo incisivo sulla regolamentazione delle acque reflue urbane.

    La tutela delle aree sensibili si realizza essenzialmente attraverso:

    • la loro identificazione e designazione;

    • l’applicazione di adeguate misure volte a ridurre il carico dei nutrienti (azoto e fosforo) presenti negli scarichi di acque reflue urbane.

    6.4.1 Designazione delle aree sensibili

    6.4.1Designazione delle aree sensibili

    Al fine di contrastare il fenomeno dell’eutrofizzazione la Direttiva n. 91/271/ CEE prevede l’individuazione delle aree soggette a tale fenomeno e l’applicazione di idonee misure che comportino la riduzione dell’impatto, sulle stesse, degli scarichi di acque reflue proveniente da agglomerati urbani. In alternativa la Direttiva prevede la possibilità di applicare tali misure più restrittive all’intero territorio nazionale. L’Italia attenendosi alla prima soluzione prevista dalla Direttiva, ha effettuato la prima designazione nell’ambito della norma di recepimento (art. 18, D.Lgs. n. 152/1999).

    Le aree sensibili attualmente individuate sono riportate nel seguente Schema 7.

    Schema 7 - Aree sensibili individuate dall’art. 91, D.Lgs. n. 152/2006

    Tipologia di corpo idrico Area designata
    laghi
    • laghi che, come specificato dall’Allegato VI, sono ad un’altitudine inferiore ai 1000 m sul livello del mare e aventi una superficie dello specchio liquido di almeno 0,3 km2, e i corsi d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 km dalla linea di costa

    • il lago di Garda ed il lago d’Idro

    aree lagunari
    • le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po

    zone umide
    • le zone umide individuate ai sensi della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971 (D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448)

    aree costiere
    • le aree costiere dell’Adriatico nord-occidentale, dalla foce dell’Adige al confine meridionale del Comune di Pesaro e i corsi d’acqua ad esse afferenti per un tratto di 10 km dalla linea di costa

    • il Golfo di Castellammare in Sicilia

    • le acque costiere dell’Adriatico settentrionale

    fiumi
    • Sarca-Mincio, Oglio, Adda, Lambro-Olona meridionale, Ticino

    • Arno a valle di Firenze e relativi affluenti

    L’individuazione di dette aree è stata effettuata sulla base dei criteri di designazione dell’Allegato VI del D.Lgs. n. 152/2006 e in considerazione di dati conoscitivi pregressi.

    La norma affida al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza Stato-Regioni, l’individuazione con proprio Decreto di ulteriori aree sensibili identificate secondo i criteri di cui all’Allegato VI alla Parte III del presente Decreto. La normativa prevede inoltre che, sulla base dei criteri stabiliti dall’Allegato VI, le Regioni sentita l’Autorità di bacino, oltre a poter designare ulteriori aree sensibili (art. 91, comma 4), delimitino i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono all’inquinamento di tali aree (art. 91, comma 5). Infatti, come anche evidenziato dalla Commissione europea, per realizzare una effettiva ed efficace riduzione dell’apporto di nutrienti in dette aree, gli interventi contro l’eutrofizzazione devono essere programmati nell’ambito dell’intero bacino drenante. L’individuazione dei bacini drenanti, delle fonti inquinanti ed in particolare degli agglomerati in essi presenti, consente una visione più ampia dei punti critici.

    Nell’identificare gli scarichi sui quali è necessario intervenire per abbattere il carico organico dovranno, quindi, essere considerati, non solo gli scarichi che si immettono direttamente nel corpo idrico sensibile, ma anche quelli che, riversandosi nel bacino drenante, ne influenzano lo stato trofico indirettamente.

    È il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza Stato-Regioni, che provvede alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti, con proprio Decreto da emanare ogni quattro anni. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 2, 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell’art. 106 entro sette anni dall’identificazione.

    L’Allegato VI del Decreto, nel riportare i criteri per l’individuazione delle aree sensibili, fornisce indicazioni per stabilire il nutriente, responsabile dell’inquinamento, da ridurre nell’acqua di scarico, attraverso un trattamento terziario, al fine di contrastare il fenomeno dell’eutrofizzazione. Tali indicazioni tengono conto in particolare delle capacità di ricambio dei corpi idrici e sono riferite ai laghi naturali e altre acque dolci, quali per esempio i corsi d’acqua, nonché agli estuari e alle acque del litorale, sia già eutrofizzate o che potrebbero diventarlo in assenza di interventi specifici.

    Nota: D.Lgs. n. 152/2006, Allegato VI, lett. a):

    per individuare il nutriente da ridurre mediante ulteriore trattamento, vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:

    • nei laghi e nei corsi d’acqua che si immettono in laghi/bacini/baie chiuse con scarso ricambio idrico e ove possono verificarsi fenomeni di accumulazione, la sostanza da eliminare è il fosforo, a meno che non si dimostri che tale intervento non avrebbe alcun effetto sul livello di eutrofizzazione. Nel caso di scarichi provenienti da ampi agglomerati si può prevedere di eliminare anche l’azoto;

    • negli estuari, nelle baie, e nelle altre acque del litorale con scarso ricambio idrico, ovvero in cui si immettono grandi quantità di nutrienti, se, da un lato, gli scarichi provenienti da piccoli agglomerati urbani sono generalmente di importanza irrilevante, dall’altro, quelli provenienti da agglomerati più estesi rendono invece necessari interventi di eliminazione del fosforo e/o dell’azoto, a meno che non si dimostri che ciò non avrebbe comunque alcun effetto sul livello dell’eutrofizzazione”.

    L’identificazione del nutriente responsabile dell’eutrofizzazione consente di definire l’adeguato trattamento da applicare agli scarichi recapitanti nell’area sensibile ed evita l’applicazione di trattamenti eccessivi (per esempio trattamento sia per l’azoto che per il fosforo qualora sia necessario solo per uno dei due nutrienti) che comporterebbero un aumento dei costi non giustificato dai benefici ambientali conseguibili.

    6.4.2 Regolamentazione degli scarichi di acque reflue urbane che recapitano in aree sensibili

    6.4.2Regolamentazione degli scarichi di acque reflue urbane che recapitano in aree sensibili

    Per le acque identificate come aree sensibili, il D.Lgs. n. 152/2006 pone degli obblighi precisi per quanto riguarda il trattamento delle acque reflue urbane e dette norme di emissioni per gli scarichi per contrastare il fenomeno dell’eutrofizzazione che caratterizza tali aree.

    Le acque reflue urbane che scaricano in aree sensibili devono essere sottoposte ad un trattamento più spinto rispetto a quello previsto per gli scarichi di acque reflue urbane che scaricano in aree normali.

    Pertanto, al fine di ridurre il carico di nutrienti causa dell’eutrofizzazione e in conformità con quanto dettato dalla Direttiva 91/271/CEE, l’art. 106 del D.Lgs. n. 152/2006 pone l’obbligo di applicare un trattamento terziario alle acque reflue urbane provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000. Tale disposizione non si applica nelle aree sensibili per le quali può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo, in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, è pari almeno al 75% per il fosforo totale oppure per almeno al 75% per l’azoto totale.

    Tale trattamento deve essere applicato non solo agli scarichi di acque reflue urbane che scaricano direttamente in aree sensibili ma anche a quelli che, in quanto situati all’interno dei bacini drenanti, ne influenzano lo stato qualitativo indirettamente.

    Pertanto, le Regioni sono tenute, oltre che a delimitare i bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, anche ad identificare, all’interno degli stessi, quali tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane contribuiscono all’inquinamento di tali aree e sono quindi da assoggettare a trattamento ulteriore ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici ricettori (art. 106, comma 3).

    Per quanto concerne gli scarichi di acque reflue industriali la norma non fa riferimento al trattamento da applicare, ma pone dei limiti di emissione più restrittivi di quelli previsti normalmente, per l’azoto e il fosforo totale al fine di controllare l’apporto di nutrienti.

    Limiti di emissione
    Limiti di emissione

    Gli scarichi di acque reflue urbane provenienti dagli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti maggiore di 10.000 che scaricano in aree sensibili oltre al rispetto dei valori della Tabelle 1 e 3 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 (quest’ultima solo nel caso in cui le acque reflue urbane siano costituite dal miscuglio di acque reflue domestiche e industriali), già previste per tutti gli scarichi di acque reflue urbane, devono anche conformarsi a quanto prescritto dalla Tabella 2 del medesimo allegato.

    La Tabella 2 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 di seguito riportata è riferita a due soli parametri ossia l’azoto totale e il fosforo totale.

    La tabella deve essere rispettata per uno o entrambi i parametri a seconda della situazione locale ossia che la degenerazione dell’equilibrio dell’ecosistema acquatico sia dovuta all’eccessiva presenza di entrambi i nutrienti o solo ad uno di essi.

    Tabella 2 dell’Allegato V alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili

    Parametri (media annua) Carico generato dall’agglomerato in A.E. (1)
    10.000-100.000 >100.000
    Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
    Fosforo totale (P mg/L) (1) ≤2 80 ≤1 80
    Azoto totale (N mg/L) (2) (3) ≤15 70-80 ≤10 70-80

    (1) II metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

    (2) Per azoto totale si intende la somma dell’azoto Kieldahl (N. organico + NH3) + azoto nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

    (3) In alternativa al riferimento alla concentrazione media annua, purché si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, si può fare riferimento alla concentrazione media giornaliera che non può superare i 20 mg/L per ogni campione in cui la temperatura dell’effluente sia pari o superiore a 12 gradi centigradi. Il limite della concentrazione media giornaliera può essere applicato ad un tempo operativo limitato che tenga conto delle condizioni climatiche locali.

    La tabella riporta norme di emissione riferite alla concentrazione e alla percentuale di riduzione, quest’ultima calcolata sulla base del carico presente nel refluo in entrata al depuratore e nell’acqua di scarico. Lo scarico è conforme se rispetta uno dei due limiti. I valori sono riferiti a medie annue.

    Per quanto riguarda l’azoto totale, in alternativa al riferimento alla concentrazione media annua di 10 mg/l, purché si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, può essere assunto come limite da non superare la concentrazione media giornaliera di azoto totale di 20 mg/l per ogni campione nel quale la temperatura dell’effluente sia pari o superiore a 12 °C. Il limite della concentrazione media giornaliera può essere applicato ad un tempo operativo limitato, che tenga conto delle condizioni climatiche locali.

    Il riferimento, ai fini del controllo dello scarico, alla concentrazione media annua o alla concentrazione media giornaliera, per il parametro “azoto totale”, deve essere fissato in sede di autorizzazione dall’autorità competente.

    Nella medesima sede verrà fissato anche il riferimento all’opzione del rispetto degli scarichi dei depuratori ai valori di concentrazione ovvero alla percentuale di abbattimento di cui alla Tabella 2 dell’Allegato V.

    Il Decreto, in conformità alla Direttiva n. 91/271/CEE, stabilisce limiti di emissione in base alla potenzialità dell’impianto di depurazione e quindi al numero degli abitanti equivalenti dell’agglomerato, dando valori diversi per due classi di agglomerati e più precisamente con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 100.000 e con più di 100.000 abitanti equivalenti.

    Da quanto emerge dalla tabella, l’obbligo del rispetto dei valori tabellari è rivolto agli agglomerati con un numero abitanti equivalenti maggiore di 10.000, salvo che diversa disciplina regionale preveda limiti più restrittivi o l’applicazione di tali norme anche a scarichi di acque reflue provenienti da agglomerati di dimensioni minori.

    In particolare, tale possibilità si potrebbe verificare in considerazione di quanto riportato alla lett. c) dell’Allegato VI che, tra i criteri per l’individuazione delle aree sensibili, prevede anche aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare a quello secondario, al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dal D.Lgs. n. 152/2006.

    Nel caso in cui la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso, a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane per una specifica area sensibile, è pari almeno al 75% per il fosforo totale e almeno al 75% per l’azoto totale, come già riportato nel paragrafo precedente, la norma non pone l’obbligo di applicare un trattamento terziario nonché il rispetto dei requisiti della Tabella 2 dell’Allegato V in quanto non necessari.

    La norma prevede valori-limite più restrittivi anche per gli scarichi di acque reflue industriali. Infatti, come riportato nella nota 2 della Tabella 3 dell’Allegato V, gli scarichi industriali che recapitano in aree sensibili devono rispettare i valori-limite, in termini di concentrazione, di 1 mg/l per il fosforo totale e 10 mg/l per l’azoto totale.

    Controllo degli scarichi
    Controllo degli scarichi

    Per quanto riguarda il controllo degli scarichi nelle aree sensibili vale quanto detto per gli scarichi delle acque reflue urbane.

    Sinteticamente si precisa che:

    • il punto di prelievo per i controlli delle acque di scarico deve essere sempre il medesimo e deve essere posto immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore;

    • nel caso di controllo della percentuale di riduzione dell’inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all’entrata dell’impianto di trattamento (di tali esigenze si dovrà tener conto anche nella progettazione e modifica degli impianti, in modo da agevolare l’esecuzione delle attività di controllo);

    • anche per il controllo della conformità dei limiti indicati nella Tabella 2 dell’Allegato V, così come per quelli della Tabella 1, vanno considerati i campioni medi ponderati nell’arco di 24 ore.

    Per quanto riguarda il numero minimo annuo di campioni per il controllo del rispetto dei valori per i parametri della Tabella 2 valgono le stesse regole previste per la Tabella 1 dell’Allegato V.

    Esso va effettuato dall’autorità competente al controllo e dal gestore dell’impianto di trattamento per l’attività di autocontrollo. In questo caso il gestore deve garantire un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all’autorità di controllo ritenuto idoneo dalla medesima autorità.

    La norma prevede che i prelievi vengano effettuati ad intervalli regolari nel corso dell’anno dando anche un riferimento del numero minimo di campioni da prelevare nell’arco dell’anno per la verifica della conformità dello scarico.

    I gestori degli impianti di depurazione devono assicurare un sufficiente numero di autocontrolli.

    L’autocontrollo deve essere assicurato sia nell’acqua di scarico sia sulle acque reflue in entrata al depuratore.

    Schema 10 - Misure di tutela per le aree sensibili

    6.5 Gli obiettivi di qualità

    6.5Gli obiettivi di qualità

    Uno degli aspetti fondamentali del D.Lgs. n. 152/2006, è quello di individuare degli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi al fine di tutelare e risanare le acque, superficiali e sotterranee. Pertanto, qualsiasi attività antropica che abbia o possa avere influenza sulle acque (es. captazione di acque, scarico di reflui, attività agricola etc.) non deve pregiudicare il raggiungimento di tali obiettivi. Con la fissazione degli obiettivi di qualità viene garantita una efficace e coerente politica delle acque in quanto non più volta, come in precedenza, ad una riduzione generica dell’inquinamento ma indirizzata, nel contempo, al mantenimento o raggiungimento del “buono” stato di qualità ambientale dei corpi idrici. Nell’attuale normativa la qualità dei corpi idrici viene intesa come qualità ambientale sulla base della capacità di mantenere il proprio equilibrio biologico e idrologico. Il Decreto pone quindi l’accento sull’aspetto ecologico della qualità di un corpo idrico rispetto alla pregressa normativa dove era valutata in relazione all’idoneità per specifiche destinazioni d’uso (potabile, balneazione) o dove la componente ecologica era la parte considerata relativamente all’idoneità di un’acqua per la vita di determinate specie animali (pesci salmonicoli e ciprinicoli).

    Importanti novità riguardo agli obiettivi minimi di qualità sono state introdotte in data 11 novembre 2015, dall’entrata in vigore del D.Lgs. 13 ottobre 2015, n. 172. Tale Decreto, attuazione della Direttiva n. 2013/39/UE, che modifica la Direttiva n. 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, introduce importanti modifiche al D.Lgs. n. 152/2006, quali:

    • modifiche all’art. 74, in particolare la definizione di buono stato chimico delle acque superficiali e l’introduzione dell’acronimo per standard di qualità ambientale SQA;

    • sostituzione dell’art. 78 (Standard di qualità ambientale per le acque superficiali). Gli SQA avranno applicazione con diverse scadenze: per il raggiungimento del Buono stato chimico entro il 22 dicembre 2021 per le sostanze individuate in precedenza, per il raggiungimento del Buono stato chimico entro il 22 dicembre 2027 per le nuove sostanze individuate;

    • introduzione di ulteriori articoli all’art. 78 che prevedono aggiornamenti dei Piani di gestione dei distretti idrografici (art. 78-nonies), disposizioni specifiche per alcune sostanze (art. 78-decies) e monitoraggio a livello dell’Unione per alcune sostanze (art. 78-undecies);

    • modifiche all’Allegato I alla Parte III: l’art. 78, per determinare lo stato chimico delle acque superficiali, prevede l’applicazione degli SQA elencati alla Tabella 1/A per la colonna d’acque e per il biota, mentre per i sedimenti degli SQA riportati nella Tabella 2/A contenute nel par. A.2.6 (Stato chimico) dell’Allegato I alla Parte III;

    • introduzione di nuove sostanze dell’elenco di priorità da controllare nelle acque dei corpi idrici marino-costieri e di transizione (individuate con i numeri da 34 a 45 nella Tabella 1/A del par. A.2.6 dell’Allegato I alla Parte III).

    6.5.1 I corpi idrici significativi

    6.5.1I corpi idrici significativi

    La normativa vigente fino al 2008 al fine di ottimizzare l’applicazione della politica degli obiettivi di qualità, la poneva obbligatoria per i corpi idrici definibili “significativi” in ragione della loro dimensione, valore naturalistico e/o paesaggistico, utilizzo ovvero carico inquinante, oppure in base alla classificazione attuata dalle autorità competenti sulla base delle indicazioni riportate all’Allegato I, Parte 1 alla Parte III del D.Lgs. n. 152/2006 nel testo in vigore fino al 25 agosto 2008. Si riporta di seguito uno schema di sintesi:

    Tipologia di corpo idrico
    Corsi d’acqua naturali Il cui bacino imbrifero abbia una superficie di 200 km2 e che recapitano direttamente in mare e pertanto vengono definiti di primo ordine.
    Il cui bacino imbrifero abbia una superficie di 400 km2. Essi vengono definiti di secondo ordine in quanto non recapitano direttamente in mare.
    Non sono significativi i corsi d’acqua che per motivi naturali hanno avuto portata uguale a zero per più di 120 giorni l’anno, in un anno idrologico medio.
    Laghi Aventi superficie dello specchio liquido pari o superiore a 0,5 km2. Tale superficie è riferita al periodo di massimo invaso.
    Aree marine costiere Comprese entro 3.000 m dalla costa e comunque entro la batimetrica di 50 m.
    Corpi idrici artificiali I canali artificiali che restituiscono almeno in parte le proprie acque in corpi idrici naturali superficiali e aventi portata di esercizio di almeno 3 m3/sec.
    I serbatoi o i laghi artificiali il cui bacino di alimentazione sia interessato da attività antropiche che ne possano compromettere la qualità e aventi superficie dello specchio liquido pari almeno a 1 km2 o con un volume di invaso almeno pari a 5 milioni di m3 nel periodo di massimo invaso.
    Acque di transizione Le lagune, i laghi salmastri e gli stagni costieri.
    Acque sotterranee Accumuli di acqua contenuti nel sottosuolo permeanti la matrice rocciosa posti al di sotto del livello di saturazione permanente.

    Per la normativa attualmente in vigore sono significative tutte le acque e in particolare quelle che presentano valori naturalistici e paesaggistici di rilievo.

    Gli obiettivi di qualità vengono trattati al Titolo II della Sezione II della parte III del D.Lgs. n. 152/ 2006. Essi si distinguono in obiettivi di qualità ambientale e obiettivi di qualità per specifica destinazione. L’obiettivo di qualità ambientale: rappresenta la capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate mentre l’obiettivo di qualità per specifica destinazione: individua lo stato dei corpi idrici idoneo a una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.

    6.5.2 Obiettivo di qualità ambientale

    6.5.2Obiettivo di qualità ambientale

    L’obiettivo di qualità ambientale esprime un concetto ben più ampio di quello per specifica destinazione in quanto rappresenta lo stato dei corpi idrici non solo in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche, che ne determinano le potenzialità d’uso, ma anche in funzione delle proprie caratteristiche ecologiche.

    Per il perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale sarà necessario pertanto tener conto non solo della qualità delle acque, ma anche dei sedimenti, dei biota e delle condizioni idromorfologiche del corpo idrico.

    Il D.Lgs. n. 152/2006 riporta in articolato la regolamentazione per la tutela e il miglioramento dei corpi idrici per il raggiungimento dello stato di qualità “buono” e rimanda, per la definizione degli obiettivi di qualità ambientale e la classificazione dei corpi idrici, all’Allegato I che costituisce parte fondamentale del testo normativo. Gli obiettivi di qualità ambientale vengono trattati in maniera specifica all’art. 76 (Disposizioni generali) e all’art. 77 (Individuazione e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale).

    6.5.3 Identificazione e classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici

    6.5.3Identificazione e classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici

    Quanto segue è riportato tenendo conto delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 152/2006 dal D.M. 8 novembre 2010, n. 260 (Regolamento recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali, per la modifica delle norme tecniche del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell’art. 75, comma 3, del Decreto legislativo medesimo).

    Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale.

    Gli allegati del sopracitato Decreto vertono su tali argomenti:

    Allegato I 1. Caratterizzazione dei corpi idrici - 2. Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici - A. Stato delle acque superficiali
    A3. Monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali
    A4. Classificazione e presentazione dello stato ecologico e chimico
    B. Acque sotterranee
    Allegato II Avvio della procedura finalizzata alla validazione dei metodi di classificazione - Dati di monitoraggio

    Alla luce di quanto sopra, ecco quindi l’identificazione e la caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei:

    Parte A - identificazione dei corpi idrici

    L’identificazione dei corpi idrici sotterranei è necessaria ai fini dell’attuazione del presente Decreto. L’identificazione dei complessi idrogeologici e quindi degli acquiferi rappresenta la fase propedeutica alla identificazione dei corpi idrici sotterranei.

    È stato definito un percorso di caratterizzazione che porta alla individuazione dei corpi idrici partendo dai complessi idrogeologici di cui alla Tabella 1, passando per gli acquiferi che rappresentano gli elementi di riferimento già in larga parte individuati dalle Regioni.

    A.1. - Identificazione dei complessi idrogeologici

    Sulla base dei criteri generali univoci utili per giungere alla definizione dei corpi idrici sotterranei sono state definite sette tipologie di complessi idrogeologici partendo dalla Carta delle risorse idriche sotterranee di Mouton che costituisce il quadro di riferimento nazionale omogeneo.

    Tali tipologie sono state definite tenendo in considerazione gli elementi caratterizzanti i complessi idrogeologici (litologia e assetto idrogeologico) e i parametri descrittivi come la produttività, la facies idrochimica, i contaminanti naturali, la vulnerabilità e l’impatto antropico (Tabella 1).

    Acronimo Complessi idrogeologici
    DQ Alluvioni delle depressioni quaternarie
    AV Alluvioni vallive
    CA Calcari
    VU Vulcaniti
    DET Formazioni detritiche degli altipiani plio-quaternarie
    LOC Acquiferi locali
    STE Formazioni sterili
    Fonte: Tabella 1 - J.J. Fried, J. Mouton, F. Mangano (1982)

    Tali sette tipologie di Complessi Idrogeologici rappresentano il quadro ove ricollocare gli acquiferi e, successivamente, i corpi idrici sotterranei secondo lo schema di massima, di seguito riportato.

    (*) Unità di bilancio: dominio dotato di una comprovata unità stratigrafica e/o strutturale, al cui limite si verificano condizioni che annullano od ostacolano le possibilità di interscambi idrici sotterranei e che al suo interno può contenere uno o più corpi idrici.

    L’individuazione dei limiti delle unità di bilancio è un processo iterativo che le Regioni perfezionano nel corso del tempo.

    A.2. - Criteri per l’identificazione degli acquiferi

    L’identificazione degli acquiferi viene effettuata sulla base di criteri idrogeologici. L’elaborazione di un modello concettuale permetterà di pervenire ad un bilancio in termini di entrate e di uscite ed alla valutazione della vulnerabilità, tenendo conto delle pressioni antropiche.

    La complessità e il dettaglio del modello aumentano gradualmente all’aumentare delle conoscenze e vengono approfondite nel tempo durante le fasi di caratterizzazione e di monitoraggio.

    L’identificazione degli acquiferi deve comunque soddisfare 2 criteri: flusso significativo e quantità significativa.

    Se uno o entrambi i criteri sono soddisfatti, le unità stratigrafiche sono da considerarsi acquifero.

    Detti criteri per l’identificazione degli acquiferi sono illustrati nello schema seguente.

    Figura 1 - Schema per l’identificazione degli acquiferi

    A.3. - Delimitazione dei corpi idrici

    La delimitazione dei corpi idrici sotterranei deve assicurare che vengano raggiunti gli obiettivi di qualità ambientale di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 152/2006 ed una descrizione appropriata dello stato chimico e quantitativo delle acque sotterranee.

    Il “corpo idrico sotterraneo” è per definizione “un volume distinto di acque sotterranee contenuto da uno o più acquiferi”. Deve essere individuato come quella massa di acqua caratterizzata da omogeneità nello stato ambientale (qualitativo e/o quantitativo), tale da permettere, attraverso l’interpretazione delle misure effettuate in un numero significativo di stazioni di campionamento, di valutarne lo stato e di individuare il trend. Può essere coincidente con l’acquifero che lo contiene, può esserne una parte, ovvero corrispondere a più acquiferi diversi o loro porzioni.

    Le definizioni di acquifero e di corpo idrico sotterraneo permettono di identificare i corpi idrici sotterranei sia separatamente, all’interno di strati diversi che si sovrappongono su un piano verticale, sia come singolo corpo idrico che si estende tra i diversi strati. Un corpo idrico sotterraneo può essere all’interno di uno o più acquiferi, come, ad esempio, nel caso di due acquiferi adiacenti caratterizzati da pressioni simili e contenenti acque con caratteristiche qualitative e quantitative analoghe.

    I corpi idrici devono essere delimitati in modo da permettere una descrizione appropriata ed affidabile dello stato quantitativo e chimico delle acque sotterranee.

    La valutazione dello stato quantitativo è facilitata se i corpi idrici sotterranei sono delimitati in modo tale che qualsiasi flusso di acqua sotterranea da un corpo idrico ad un altro è talmente piccolo da poter essere trascurato nei calcoli dei bilanci idrici oppure può essere stimato con sufficiente precisione.

    Le Regioni devono tenere conto delle caratteristiche specifiche degli acquiferi quando procedono alla delimitazione dei corpi idrici sotterranei. Per esempio, le caratteristiche del flusso di alcuni strati geologici, quali il substrato carsico e fratturato, sono molto più difficili da prevedere rispetto ad altre. La delimitazione dei corpi idrici deve essere vista come un processo iterativo, da perfezionare nel corso del tempo, nella misura necessaria per valutare e gestire adeguatamente i rischi del non raggiungimento degli obiettivi ambientali. Potrebbe anche presentarsi il caso di un flusso consistente tra strati con caratteristiche molto differenti (per esempio, i complessi carsici e l’arenaria). Le proprietà diverse di questi strati potrebbero richiedere approcci diversi di gestione per il raggiungimento degli obiettivi preposti. In questo caso, le Regioni possono delimitare i confini dei corpi idrici in modo che coincidano con i confini tra gli strati. Nel far ciò devono, comunque, assicurare una adeguata valutazione dello stato quantitativo.

    A.4. - Criteri per la delimitazione dei corpi idrici sotterranei

    La delimitazione dei corpi idrici sotterranei si basa inizialmente su criteri di tipo fisico ed è successivamente perfezionata sulla base di informazioni concernenti lo stato di qualità ambientale. Due sono, quindi, i criteri generali che si basano sui seguenti elementi:

    • confini idrogeologici;

    • differenze nello stato di qualità ambientale.

    Criterio a)

    Possono essere assunti come punto di partenza per la identificazione geografica dei corpi idrici i limiti geologici. Nei casi in cui la descrizione dello stato e/o il raggiungimento degli obiettivi ambientali richiedano una maggiore suddivisione ovvero non sia possibile identificare un limite geologico, si possono utilizzare, ad esempio, lo spartiacque sotterraneo o le linee di flusso.

    Criterio b)

    Differenze nello stato di qualità ambientale: gli obiettivi di qualità dei corpi idrici sotterranei e le misure necessarie per raggiungerli dipendono dallo stato di qualità esistente. I corpi idrici sotterranei devono essere unità con uno stato chimico ed uno stato quantitativo ben definiti.

    Quindi, significative variazioni di stato di qualità all’interno di acque sotterranee devono essere prese in considerazione per individuare i confini dei corpi idrici, procedendo, ove necessario, ad una suddivisione in corpi idrici di dimensioni minori.

    Qualora le differenze nello stato di qualità si riducano durante un ciclo di pianificazione, si può procedere alla riunificazione dei corpi idrici precedentemente identificati in vista dei successivi cicli di pianificazione. Laddove, invece, lo stato di qualità sia omogeneo possono essere delimitati estesi corpi idrici sotterranei. Detti confini possono essere ridefiniti ad ogni revisione del Piano di gestione dei Bacini Idrografici ma devono restare fissi per il periodo di durata di ciascun piano.

    Qualora non siano disponibili informazioni sufficienti alla valutazione dello stato di qualità ambientale nelle fasi iniziali di attuazione del presente Decreto, per individuare i confini dei corpi idrici sotterranei, si usano le analisi su pressioni e impatti come indicatori dello stato di qualità.

    Con il miglioramento delle conoscenze relative allo stato delle acque, i confini dei corpi idrici devono essere modificati prima della pubblicazione di ciascun Piano di gestione dei Bacini Idrografici, ogni 6 anni. La suddivisione delle acque sotterranee in corpi idrici sotterranei è quindi una questione che le Regioni devono decidere sulla base delle caratteristiche particolari del loro territorio. Nel prendere tali decisioni sarà necessario trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di descrivere adeguatamente lo stato delle acque sotterranee e la necessità di evitare una suddivisione degli acquiferi in un numero di corpi idrici impossibile da gestire.

    A.5. - Procedura suggerita per l’applicazione pratica del termine corpo idrico sotterraneo

    La Figura 2 suggerisce un procedimento iterativo e gerarchico per l’identificazione dei corpi idrici sotterranei, basato sui principi descritti nel presente allegato.

    Figura 2 - Procedura suggerita per l’identificazione dei corpi idrici sotterranei

    N.B.: Per quanto riguarda gli elementi qualitativi per la classificazione dello stato ecologico dei diversi corpi idrici, si rimanda alla relativa Sezione del T.U., Allegato I, punto 2.

    6.5.4 Individuazione e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale

    6.5.4Individuazione e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale

    Il D.Lgs. n. 152/2006 pone il 22 dicembre 2015 quale termine ultimo entro il quale deve essere raggiunto, per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo di qualità ambientale corrispondente a “buono” ovvero sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità “elevato”.

    Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori-limite diversi, devono essere rispettati quelli più cautelativi; quando i limiti più cautelativi si riferiscono al conseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale, il rispetto degli stessi decorre dal 22 dicembre 2015.

    Le Regioni nell’ambito della propria autonomia possono comunque definire obiettivi più elevati di quelli riportati nel Decreto.

    Al fine di garantire la conoscenza delle informazioni necessarie per la definizione delle adeguate misure di tutela e risanamento e per raggiungere concretamente gli obiettivi di qualità le Regioni sono tenute ad effettuare un’attività conoscitiva attraverso programmi per:

    • il rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica;

    • il rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici.

    Le Regioni sulla base di tale attività conoscitiva e di dati già acquisiti effettuano una prima classificazione dei corpi idrici.

    In relazione a tale classificazione stabiliscono e adottano le misure necessarie per il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di qualità ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque, attraverso “Piani di tutela delle acque”.

    La conoscenza non solo dello stato qualitativo delle acque ma anche dell’attività antropica e delle caratteristiche idrogeologiche del corpo idrico, consente di evidenziare le problematiche dell’area e definire e adottare le specifiche misure necessarie al raggiungimento o mantenimento dell’obiettivo di qualità “buono” e alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.

    Tali misure consistono principalmente in:

    • adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi;

    • definizione di valori-limite di emissione in relazione non solo alle caratteristiche idrologiche e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ma anche in relazione alla totalità degli scarichi che gravano su di esso e tenendo conto dei carichi provenienti dall’inquinamento diffuso;

    • riduzione dell’impatto inquinante da fonti diffuse;

    • individuazione di specifiche misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo della risorsa idrica.

    L’adeguatezza delle misure è provata dall’impedimento di un ulteriore degrado del corpo idrico e da un conseguente miglioramento dello stato qualitativo.

    6.5.5 Obiettivo di qualità per specifica destinazione

    6.5.5Obiettivo di qualità per specifica destinazione

    La regolamentazione delle “acque per specifica destinazione funzionale”, ossia della qualità delle acque in relazione a specifiche destinazioni anche d’uso, è trattata dal Capo II del Titolo II del D.Lgs. n. 152/2006. Nel comma 1 dell’art. 79 del Decreto sono individuate le acque oggetto di tali obiettivi, la cui disciplina, semplificata rispetto alla precedente, è riportata nell’art. 80 e segg., fatta eccezione per la balneazione che rimane regolamentata dal D.P.R. n. 470/1982.

    Il Decreto, pur abrogando alcune norme previgenti in materia di acque quali:

    • D.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 relativa alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

    • D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 130 relativo alle acque dolci idonee alla vita dei pesci;

    • D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 131 relativo ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura,

    ne assorbe parte dei contenuti. Realizza quindi una integrazione tra tali discipline, fino ad oggi completamente disgiunte, ottenendo uno strumento normativo che consente un’ottimizzazione delle attività connesse all’attuazione delle diverse discipline e di raggiungere una più completa tutela della qualità delle acque, nonché un adeguato sfruttamento delle risorse idriche nel rispetto della salute dell’uomo e dell’equilibrio dell’ecosistema del corpo idrico.

    Le acque a specifica destinazione sono le seguenti:

    • le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

    • le acque destinate alla balneazione;

    • le acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

    • le acque destinate alla vita dei molluschi.

    È compito delle Regioni provvedere alla costante tutela ed al miglioramento della qualità delle acque per specifica destinazione mediante programmi che dovranno essere parte integrante del citato piano di tutela delle acque. L’applicazione di tali obiettivi deve comunque avvenire nel rispetto del mantenimento o perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale descritto nel paragrafo precedente.

    Dette acque sono identificate in appositi elenchi stabiliti dalle Regioni che devono essere aggiornati periodicamente.

    6.5.6 Individuazione e perseguimento degli obiettivi per specifica destinazione

    6.5.6Individuazione e perseguimento degli obiettivi per specifica destinazione

    Per ciascuna delle acque per specifica destinazione il Decreto stabilisce precise caratteristiche qualitative, ossia valori parametrici che costituiscono gli “obiettivi di qualità per specifica destinazione” (Allegato II alla Parte III). Il Decreto, inoltre, contiene gli strumenti che le autorità competenti devono mettere in atto, per il raggiungimento e mantenimento degli obiettivi stessi.

    Poiché, come sopra detto, per i corpi idrici individuati per “l’obiettivo di qualità per specifica destinazione” deve comunque essere perseguito anche “l’obiettivo di qualità ambientale”, qualora si verifichi che per un medesimo parametro siano previsti valori diversi per i differenti obiettivi, deve essere rispettato il valore più restrittivo.

    Come per l’obiettivo di qualità ambientale la norma prevede un raggiungimento graduale nel tempo fino al 22 dicembre 2015, anche per le acque a specifica destinazione pone lo stesso termine perché siano mantenuti o raggiunti gli obiettivi di qualità per specifica destinazione, salvi i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente, in considerazione del fatto che tali obiettivi dovevano già sussistere al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006, in quanto, per tali specifiche discipline, il Decreto riprende la normativa previgente di recepimento delle Direttive comunitarie di settore. Sulla base di quanto sopra detto le autorità competenti, all’entrata in vigore del Decreto, devono aver già provveduto:

    • alla designazione delle acque a specifica destinazione;

    • al monitoraggio delle acque designate secondo quanto riportato negli allegati delle normative pregresse ora sostituiti dall’Allegato II del D.Lgs. n. 152/2006;

    • alla definizione ed attuazione di idonei programmi di misure di miglioramento al fine del mantenimento o raggiungimento della conformità delle acque designate ai valori parametrici relativi agli specifici obiettivi.

    Pertanto, qualsiasi provvedimento in materia adottato precedentemente alla emanazione del D.Lgs. n. 152/2006 deve considerarsi a tutti gli effetti vigente sempre che il contenuto sia conforme a quanto dettato dagli articoli del Capo II e dai relativi allegati. L’identificazione delle acque in argomento e i conseguenti atti posti in essere (classificazione, misure di miglioramento) avvenuti ai sensi della previgente normativa, conservano la loro efficacia, fatto salvo motivate revisioni che possono intervenire da parte delle autorità competenti.

    6.5.7 Monitoraggio delle acque per specifica destinazione

    6.5.7Monitoraggio delle acque per specifica destinazione

    Il monitoraggio secondo quanto previsto dal D.M. 14 aprile 2009, n. 56 e dal D.M. 8 novembre 2010, n. 260, è così indicato nell’Allegato I del presente Decreto:

    Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale

    A.3. - Monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali

    A.3.1. - Parte generale

    A.3.1.1. - Tipi di monitoraggio

    Il monitoraggio si articola in

    1. Sorveglianza

    2. Operativo

    3. Indagine

    Le Regioni sentite le Autorità di bacino nell’ambito del proprio territorio definiscono un programma di monitoraggio di sorveglianza e un programma di monitoraggio operativo.

    I programmi di monitoraggio hanno valenza sessennale al fine di contribuire alla predisposizione dei piani di gestione e dei piani di tutela delle acque. Il primo periodo sessennale è 2010-2015. Il programma di monitoraggio operativo può essere comunque modificato sulla base delle informazioni ottenute dalla caratterizzazione di cui all’Allegato III del presente Decreto legislativo. Resta fermo che il primo monitoraggio di sorveglianza e quello operativo sono effettuati nel periodo 2008-2009. I risultati dei monitoraggi sono utilizzati per la stesura dei piani di gestione, da predisporre conformemente alle specifiche disposizioni della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 e anche sulla base dei Piani di tutela regionali, adeguati alla normativa vigente. In taluni casi può essere necessario istituire anche programmi di monitoraggio d’indagine.

    I programmi di monitoraggio per le aree protette di cui all’art. 117 e all’Allegato IX alla Parte III del presente Decreto legislativo, definiti ai sensi del presente allegato, si integrano con quelli già in essere in attuazione delle relative Direttive. Le Regioni forniscono una o più mappe indicanti la rete di monitoraggio di sorveglianza e operativa. Le mappe con le reti di monitoraggio sono parte integrante del piano di gestione e del piano di tutela delle acque.

    La scelta del programma di monitoraggio, che comprende anche l’individuazione dei siti, si basa sulla valutazione del rischio di cui all’Allegato III, punto 1.1, Sezione C del presente Decreto legislativo; è soggetta a modifiche e aggiornamenti, al fine di tenere conto delle variazioni dello stato dei corpi idrici. Rimangono, invece, fissi i siti della rete nucleo di cui al punto A.3.2.4 del presente Allegato che sono sottoposti a un monitoraggio di sorveglianza con le modalità di cui al medesimo punto A.3.2.4.

    A.3.1.2. Obiettivi del monitoraggio

    L’obiettivo del monitoraggio è quello di stabilire un quadro generale coerente ed esauriente dello stato ecologico e chimico delle acque all’interno di ciascun bacino idrografico ivi comprese le acque marino-costiere assegnate al distretto idrografico in cui ricade il medesimo bacino idrografico e permettere la classificazione di tutti i corpi idrici superficiali, “individuati” ai sensi dell’Allegato III, punto 1.1, Sezione B del presente Decreto legislativo, in cinque classi. Le autorità competenti nel definire i programmi di monitoraggio assicurano all’interno di ciascun bacino idrografico:

    • la scelta dei corpi idrici da sottoporre al monitoraggio di sorveglianza e/o operativo in relazione alle diverse finalità dei due tipi di controllo;

    • l’individuazione di siti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata per la valutazione dello stato ecologico e chimico, tenendo conto ai fini dello stato ecologico delle indicazioni minime riportate nei protocolli di campionamento.

    In particolari corpi idrici per alcuni elementi di qualità con grande variabilità naturale o a causa di pressioni antropiche, può essere necessario un monitoraggio più intensivo (per numero di siti e frequenze di campionamento) al fine di ottenere livelli alti o comunque sufficienti di attendibilità e precisione nella valutazione dello stato di un corpo idrico. Per la categoria “Acque di Transizione”, per il primo anno dall’avvio del monitoraggio, è consentito di procedere in deroga rispetto a quanto previsto nel protocollo ICRAM, relativamente all’individuazione degli habitat da monitorare ed al conseguente posizionamento dei siti di misura. In questo caso, nel primo anno il monitoraggio è comunque condotto in conformità alle disposizioni del presente Decreto legislativo e volto a raccogliere gli elementi conoscitivi necessari all’individuazione degli habitat per l’adeguamento dei piani di monitoraggio negli anni successivi.

    A.3.1.3. Progettazione del monitoraggio e valutazione del rischio

    Sulla base di quanto disposto nell’Allegato III al presente Decreto legislativo nella Sezione relativa alle pressioni e agli impatti (punto 1.1 Sezione C), i corpi idrici sono assegnati ad una delle categorie di rischio ivi elencate.

    Tabella 3.1. dell’Allegato I alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Categorie del rischio

    Categoria di rischio Definizione
    a Corpi idrici a rischio
    b Corpi idrici probabilmente a rischio (in base ai dati disponibili non è possibile assegnare la categoria di rischio sono pertanto necessarie ulteriori informazioni)
    c Corpi idrici non a rischio

    Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato nei corpi idrici rappresentativi per ciascun bacino idrografico, e fondamentalmente appartenenti alle categorie “b” e “c” salvo le eccezioni di siti in corpi idrici a rischio importanti per la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica o particolarmente significativi su scala di bacino o laddove le Regioni ritengano opportuno effettuarlo, sulla base delle peculiarità del proprio territorio. La priorità dell’attuazione del monitoraggio di sorveglianza è rivolta a quelli di categoria “b” al fine di stabilire l’effettiva condizione di rischio. Il monitoraggio operativo è, invece, programmato per tutti i corpi idrici a rischio rientranti nella categoria “a”. Come riportato nella Sezione C del punto 1.1 dell’Allegato III del presente Decreto legislativo, tra i corpi idrici a rischio possono essere inclusi anche corpi idrici che, a causa dell’importanza delle pressioni in essi incidenti, sono a rischio per il mantenimento dell’obiettivo buono.

    A.3.2. Progettazione del monitoraggio di sorveglianza

    A.3.2.1. Obiettivi

    Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato per:

    • integrare e convalidare i risultati dell’analisi dell’impatto di cui alla Sezione C del punto 1.1 dell’Allegato III del presente Decreto legislativo;

    • la progettazione efficace ed effettiva dei futuri programmi di monitoraggio;

    • la valutazione delle variazioni a lungo termine di origine naturale (rete nucleo);

    • la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica (rete nucleo);

    • tenere sotto osservazione l’evoluzione dello stato ecologico dei siti di riferimento;

    • classificare i corpi idrici.

    I risultati di tale monitoraggio sono riesaminati e utilizzati, insieme ai risultati dell’analisi dell’impatto di cui all’Allegato III del presente Decreto legislativo, per stabilire i programmi di monitoraggio successivi. Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato per almeno un anno ogni sei anni (arco temporale di validità di un piano di gestione).

    A.3.2.2. Selezione dei corpi idrici e dei siti di monitoraggio

    Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato su un numero sufficiente e, comunque, rappresentativo di corpi idrici al fine di fornire una valutazione dello stato complessivo di tutte le acque superficiali di ciascun bacino e sotto-bacino idrografico compreso nel distretto idrografico.

    Nel selezionare i corpi idrici rappresentativi, le Autorità competenti, assicurano che il monitoraggio sia effettuato in modo da rispettare gli obiettivi specificati al punto A.3.2.1 del presente allegato comprendendo anche i seguenti siti:

    • nei quali la proporzione del flusso idrico è significativa nell’ambito dell’intero bacino idrografico;

    • a chiusura di bacino e dei principali sottobacini;

    • nei quali il volume d’acqua presente è significativo nell’ambito del bacino idrografico, compresi i grandi laghi e laghi artificiali;

    • in corpi idrici significativi che attraversano la frontiera italiana con altri Stati membri;

    • identificati nel quadro della Decisione n. 77/795/CEE sullo scambio di informazioni;

    • necessari per valutare la quantità d’inquinanti trasferiti attraverso le frontiere italiane con altri Stati membri e nell’ambiente marino;

    • identificati per la definizione delle condizioni di riferimento;

    • di interesse locale.

    A.3.2.3. Monitoraggio e validazione dell’analisi di rischio

    Qualora la valutazione del rischio, effettuata sulla base dell’attività conoscitiva pregressa, abbia una bassa attendibilità (es. per insufficienza dei dati di monitoraggio pregressi, mancanza di dati esaustivi sulle pressioni esistenti e dei relativi impatti), il primo monitoraggio di sorveglianza può essere esteso ad un maggior numero di siti e corpi idrici, rispetto a quelli necessari nei successivi programmi di sorveglianza.

    Contestualmente, al fine di completare il processo dell’analisi puntuale delle pressioni e degli impatti, viene effettuata, secondo le modalità riportate nell’Allegato III, punto 1.1, Sezione C del presente Decreto legislativo, un’indagine integrativa dettagliata delle attività antropiche insistenti sul corpo idrico ed un’analisi della loro incidenza sulla qualità dello stesso per ottenere le informazioni necessarie per l’assegnazione definitiva della classe di rischio. I corpi idrici che a seguito della suddetta attività vengono identificati come a rischio sono inseriti nell’elenco dei corpi idrici già identificati come a rischio e come tali assoggettati al programma di monitoraggio operativo.

    A.3.2.4. Valutazione delle variazioni a lungo termine in condizioni naturali o risultanti da una diffusa attività antropica: definizione della rete nucleo

    Il monitoraggio di sorveglianza è finalizzato altresì a fornire valutazioni delle variazioni a lungo termine dovute sia a fenomeni naturali sia a una diffusa attività antropica.

    Per rispondere agli obiettivi, di cui al punto A.3.2.1 del presente allegato, di valutare le variazioni sia naturali sia antropogeniche a lungo termine, è selezionato un sottoinsieme di punti fissi denominato rete nucleo.

    Per le variazioni a lungo termine di origine naturale sono considerati, ove esistenti, i corpi idrici identificati come siti di riferimento di cui al punto 1.1.1 dell’Allegato III al presente Decreto legislativo, in numero sufficiente per lo studio delle variazioni a lungo termine per ciascun bacino idrografico, tenendo conto dei diversi tipi di corpo idrico presenti. Qualora, per determinati tipi ed elementi biologici relativi non esistano siti di riferimento o non siano in numero sufficiente per una corretta analisi a lungo termine, si considerano in sostituzione siti in stato buono.

    La valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica richiede la scelta di corpi idrici e, nel loro ambito, di siti rappresentativi di tale attività per la determinazione o la conferma dell’impatto. Il monitoraggio di sorveglianza nei siti della rete nucleo ha un ciclo più breve e più precisamente triennale con frequenze di campionamento di cui alle Tabelle 3.6 e 3.7 del presente allegato.

    I primi risultati del monitoraggio di sorveglianza effettuato nella rete nucleo costituiscono il livello di riferimento per la verifica delle variazioni nel tempo. Rispetto a tale livello di riferimento sono valutati la graduale riduzione dell’inquinamento da parte di sostanze dell’elenco di priorità (indicate al punto A.2.6) e delle altre sostanze inquinanti di cui all’Allegato VIII del presente Decreto legislativo, nonché i risultati dell’arresto e della graduale eliminazione delle emissioni e perdite delle sostanze pericolose prioritarie.

    A.3.2.5. Selezione degli elementi di qualità

    Nel monitoraggio di sorveglianza per la valutazione e classificazione dello stato ecologico sono monitorati, almeno per un periodo di un anno, i parametri indicativi di tutti gli elementi di qualità biologici idromorfologici, fisico-chimici di cui al punto A.1 del presente allegato (fatto salve le eccezioni previste al punto A.3.5) e le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato VIII del presente Decreto legislativo. In riferimento a queste ultime il monitoraggio è obbligatorio qualora siano scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o sottobacino. Per quantità significativa si intende la quantità di sostanza inquinante che potrebbe compromettere il raggiungimento di uno degli obiettivi di cui all’art. 77 e seguenti del presente Decreto legislativo; ad esempio uno scarico si considera significativo qualora abbia impattato un’area protetta o ha causato superamenti di qualsiasi standard di cui al punto A.2.7 del presente allegato o ha causato effetti tossici sull’ecosistema.

    La selezione delle sostanze chimiche da controllare nell’ambito del monitoraggio di sorveglianza si basa sulle conoscenze acquisite attraverso l’analisi delle pressioni e degli impatti. Inoltre la selezione è guidata anche da informazioni sullo stato ecologico laddove risultino effetti tossici o evidenze di effetti ecotossicologici. Quest’ultima ipotesi consente di identificare quelle situazioni in cui vengono introdotti nell’ambiente prodotti chimici non evidenziati dall’analisi degli impatti e per i quali è pertanto necessario un monitoraggio d’indagine. Anche i dati di monitoraggio pregressi costituiscono un supporto per la selezione delle sostanze chimiche da monitorare.

    Per quanto riguarda invece la valutazione e classificazione dello stato chimico sono da monitorare le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente allegato per le quali a seguito di un’analisi delle pressioni e degli impatti, effettuata per ciascuna singola sostanza dell’elenco di priorità, risultano attività che ne comportano scarichi, emissioni, rilasci e perdite nel bacino idrografico o sottobacino. Nell’analisi delle attività antropiche che possono provocare la presenza nelle acque di sostanze dell’elenco di priorità, è necessario tener conto non solo delle attività in essere ma anche di quelle pregresse. La selezione delle sostanze chimiche è supportata da documentazione tecnica relativa all’analisi delle pressioni e degli impatti, che costituisce parte integrante del programma di monitoraggio da inserire nei piani di gestione e nei piani di tutela delle acque. Qualora non vi siano informazioni sufficienti per effettuare una valida e chiara selezione delle sostanze dell’elenco di priorità, a fini precauzionali e di indagine, sono da monitorare tutte le sostanze di cui non si possa escludere a priori la presenza nel bacino o sottobacino.

    A.3.2.6. Monitoraggio di sorveglianza stratificato

    Nel monitoraggio di sorveglianza non sono da monitorare necessariamente nello stesso anno tutti i corpi idrici selezionati. Il programma di sorveglianza può, pertanto, prevedere che i corpi idrici siano monitorati anche in anni diversi, con un intervallo temporale preferibilmente non superiore a 3 anni, nell’arco del periodo di validità del piano di gestione e del piano di tutela delle acque. In tal caso, nei diversi anni è consentito un monitoraggio stratificato effettuando il controllo a sottoinsiemi di corpi idrici, identificati sulla base di criteri geografici (ad esempio corpi idrici di un intero bacino o sottobacino). Comunque, tutti i corpi idrici inclusi nel programma di sorveglianza sono da monitorare in tempo utile, per consentire la verifica dell’obiettivo ambientale e la predisposizione del nuovo Piano di gestione. Il monitoraggio stratificato può essere applicato a decorrere dal 2010.

    A.3.3. Monitoraggio operativo delle acque superficiali

    A.3.3.1. Obiettivi

    Il monitoraggio operativo è realizzato per:

    • stabilire lo stato dei corpi idrici identificati “a rischio” di non soddisfare gli obiettivi ambientali dell’art. 77 e seguenti del presente Decreto legislativo;

    • valutare qualsiasi variazione dello stato di tali corpi idrici risultante dai programmi di misure;

    • classificare i corpi idrici

    A.3.3.2. Selezione dei corpi idrici

    Il monitoraggio operativo è effettuato per tutti i corpi idrici:

    • che sono stati classificati a rischio di non raggiungere gli obiettivi ambientali sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti e/o dei risultati del monitoraggio di sorveglianza e/o da precedenti campagne di monitoraggio;

    • nei quali sono scaricate e/o immesse e/o rilasciate e/o presenti le sostanze riportate nell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente allegato.

    Ove tecnicamente possibile è consentito raggruppare corpi idrici secondo i criteri riportati al punto A.3.3.5 del presente allegato e limitare il monitoraggio solo a quelli rappresentativi.

    A.3.3.3. Selezione dei siti di monitoraggio

    I siti di monitoraggio sono selezionati come segue:

    • per i corpi idrici soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte d’inquinamento puntuale, i punti di monitoraggio sono stabiliti in numero sufficiente per poter valutare l’ampiezza e l’impatto delle pressioni della fonte d’inquinamento. Se il corpo è esposto a varie pressioni da fonte puntuale, i punti di monitoraggio possono essere identificati con la finalità di valutare l’ampiezza dell’impatto dell’insieme delle pressioni;

    • per i corpi soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte diffusa, nell’ambito di una selezione di corpi idrici, si situano punti di monitoraggio in numero sufficiente e posizione adeguata a valutare ampiezza e impatto delle pressioni della fonte diffusa. La selezione dei corpi idrici deve essere effettuata in modo che essi siano rappresentativi dei rischi relativi alle pressioni della fonte diffusa e dei relativi rischi di non raggiungere un buono stato delle acque superficiali;

    • per i corpi idrici esposti a un rischio di pressione idromorfologica significativa vengono individuati, nell’ambito di una selezione di corpi, punti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata, per valutare ampiezza e impatto delle pressioni idromorfologiche. I corpi idrici selezionati devono essere rappresentativi dell’impatto globale della pressione idromorfologica a cui sono esposti tutti i corpi idrici.

    Nel caso in cui il corpo idrico sia soggetto a diverse pressioni significative è necessario distinguerle al fine di individuare le misure idonee per ciascuna di esse. Conseguentemente si considerano differenti siti di monitoraggio e diversi elementi di qualità. Qualora non sia possibile determinare l’impatto di ciascuna pressione viene considerato l’impatto complessivo.

    A.3.3.4. Selezione degli elementi di qualità

    Per i programmi di monitoraggio operativo devono essere selezionati i parametri indicativi degli elementi di qualità biologica, idromorfologica e chimico-fisica più sensibili alla pressione o pressioni significative alle quali i corpi idrici sono soggetti. Nelle seguenti Tabelle 3.2, 3.3, 3.4 e 3.5 vengono riportati, a titolo indicativo, gli elementi di qualità più idonei per specifiche pressioni per fiumi, laghi, acque di transizione e acque marinocostiere. Quando più di un elemento è sensibile a una pressione, si scelgono, sulla base del giudizio esperto dell’autorità competente, gli elementi più sensibili per la categoria di acque interessata o quelli per i quali si disponga dei sistemi di classificazione più affidabili. Tra le sostanze chimiche quelle da monitorare sono da individuare, come nel monitoraggio di sorveglianza, sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti. Le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente allegato sono monitorate qualora vengano scaricate, immesse o vi siano perdite nel corpo idrico indagato. Le altre sostanze riportate all’Allegato VIII del presente Decreto legislativo sono monitorate qualora tali scarichi, immissioni o perdite nel corpo idrico siano in quantità significativa da poter essere un rischio per il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di cui all’art. 77 e seguenti del presente Decreto legislativo.

    A.3.3.5. Raggruppamento dei corpi idrici

    Al fine di conseguire il miglior rapporto tra costi del monitoraggio ed informazioni utili alla tutela delle acque ottenute dallo stesso, è consentito il raggruppamento dei corpi idrici e tra questi sottoporre a monitoraggio operativo solo quelli rappresentativi, nel rispetto di quanto riportato al presente paragrafo. Il raggruppamento può essere applicato qualora l’Autorità competente al monitoraggio sia in possesso delle informazioni necessarie per effettuare le decisioni di gestione su tutti i corpi idrici del gruppo. In ogni caso, è necessario che il raggruppamento risulti tecnicamente e scientificamente giustificabile e le motivazioni dello stesso siano riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque assieme al protocollo di monitoraggio ed è comunque escluso nel caso di pressioni puntuali significative.

    Il raggruppamento dei corpi idrici individuati è altresì applicabile solo nel caso in cui per gli stessi esistano tutte le seguenti condizioni:

    • appartengono alla stessa categoria e allo stesso tipo;

    • sono soggetti a pressioni analoghe per tipo, estensione e incidenza;

    • presentano sensibilità paragonabile alle suddette pressioni;

    • presentano i medesimi obiettivi di qualità da raggiungere;

    • appartengono alla stessa categoria di rischio.

    Qualora si faccia ricorso al raggruppamento è possibile monitorare, di volta in volta, i diversi corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo allo scopo di avere una migliore rappresentatività dell’intero raggruppamento. La classe di qualità risultante dai dati di monitoraggio effettuato sul/i corpo/i idrico/i rappresentativi del raggruppamento, si applica a tutti gli altri corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo.

    Per le caratteristiche fisiografiche delle acque lacustri italiane si ritiene non appropriata l’applicazione del raggruppamento per il monitoraggio di questa categoria di corpi idrici.

    A.3.4. Ulteriori indicazioni per la selezione dei siti di monitoraggio

    All’interno di un corpo idrico selezionato per il monitoraggio, sono individuati uno o più siti di monitoraggio. Per “sito” si intende una stazione di monitoraggio, individuata da due coordinate geografiche, rappresentativa di un’area del corpo idrico. Qualora non sia possibile monitorare nel sito individuato tutti gli elementi di qualità, si individuano sotto-siti, all’interno della stessa area, i cui dati di monitoraggio si integrano con quelli rilevati nel sito principale. In tal caso i sotto-siti sono posizionati in modo da controllare la medesima ampiezza e il medesimo insieme di pressioni.

    Nella rappresentazione cartografica va riportato unicamente il sito principale. In merito al monitoraggio biologico è opportuno individuare e selezionare l’habitat dominante che sostiene l’elemento di qualità più sensibile alla pressione.

    Nel determinare gli habitat da monitorare si tiene conto anche di quanto riportato, sull’argomento, nei singoli protocolli di campionamento. I siti sono localizzati ad una distanza dagli scarichi tale da risultare esterne all’area di rimescolamento delle acque (di scarico e del corpo recettore) in modo da valutare la qualità del corpo idrico recettore e non quella degli apporti. A tal fine può essere necessario effettuare misure di variabili chimico-fisiche (quali temperatura e conducibilità) onde dimostrare l’avvenuto rimescolamento. In base alla scala e alla grandezza della pressione, la Regione identifica l’ubicazione e la distribuzione dei siti di campionamento.

    Nei casi in cui il corpo idrico è soggetto a una o più pressioni che causano il rischio del non raggiungimento degli obiettivi, i siti sono ubicati all’interno della zona d’impatto, conosciuta o prevista, per monitorare che gli obiettivi vengano raggiunti e che le misure di contenimento stabilite siano adatte alle pressioni esistenti.

    A.3.5. Frequenze

    Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato, per almeno 1 anno ogni sei anni (periodo di validità di un piano di gestione del bacino idrografico), salvo l’eccezione della rete nucleo che è controllata ogni tre anni. Il ciclo del monitoraggio operativo varia invece in funzione degli elementi di qualità presi in considerazione così come indicato nelle note delle seguenti Tabelle 3.6 e 3.7. Nelle suddette tabelle sono riportate le frequenze di campionamento nell’anno di monitoraggio di sorveglianza e operativo, per fiumi e laghi e per acque di transizione e marino-costiere.

    Nell’ambito del monitoraggio operativo è possibile ridurre le frequenze di campionamento solo se giustificabili sulla base di conoscenze tecniche e indagini di esperti. Queste ultime, riportate in apposite relazioni tecniche, sono inserite nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.

    La frequenza del monitoraggio delle sostanze PBT ubiquitarie di cui alla Tabella 1/A, par. A.2.6 dell’Allegato I alla Parte III, recanti il numero 5, 21, 28, 30, 35, 37, 43 e 44, può essere ridotta, purché’ tale monitoraggio sia rappresentativo e sia disponibile un riferimento statisticamente valido per la presenza di tali sostanze nel corpo idrico. Nei piani di gestione vengono inserite le informazioni sulla riduzione delle frequenze del monitoraggio.

    Nella progettazione dei programmi di monitoraggio si tiene conto della variabilità temporale e spaziale degli elementi di qualità biologici e dei relativi parametri indicativi. Quelli molto variabili possono richiedere una frequenza di campionamento maggiore rispetto a quella riportata nelle Tabelle 3.6 e 3.7. Può essere inoltre previsto anche un programma di campionamento mirato per raccogliere dati in un limitato ma ben definito periodo durante il quale si ha una maggiore variabilità.

    Nel caso di sostanze che possono avere un andamento stagionale come ad esempio i prodotti fitosanitari e i fertilizzanti, le frequenze di campionamento possono essere intensificate in corrispondenza dei periodi di massimo utilizzo.

    L’Autorità competente, per ulteriori situazioni locali specifiche, può prevedere per ciascuno degli elementi di qualità da monitorare frequenze più ravvicinate al fine di ottenere una precisione sufficiente nella validazione delle valutazioni dell’analisi degli impatti. Al contrario, per le sostanze chimiche dell’elenco di priorità e per tutte le altre sostanze chimiche per le quali nel primo monitoraggio di sorveglianza vengono riscontrate concentrazioni che garantiscono il rispetto dello standard di qualità, le frequenze di campionamento nei successivi monitoraggi di sorveglianza possono essere ridotte.

    In tal caso le modalità e le motivazioni delle riduzioni sono riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.

    Tabella 3.6. dell’Allegato I alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per fiumi e laghi

    Elementi di qualità Fiumi Laghi
    Biologici Sorveglianza [1] Operativo [2] Sorveglianza [1] Operativo [2]
    Fitoplancton 6 volte [3] 6 volte [3]
    Macrofite 2 volte [4] 2 volte [4] 1 volta [5] 1 volta [5]
    Diatomee 2 volte in coincidenza con il campionamento dei macro-invertebrati [6] 2 volte, in coincidenza con il campionamento dei macro-invertebrati [6]
    Macroinvertebrati 3 volte [7] 3 volte [7] almeno 2 volte [5] almeno 2volte [5]
    Pesci 1 volta [8] 1 volta [8] 1 volta [9] 1 volta [9]
    Idromorfologici Sorveglianza [1] Operativo Sorveglianza [1] Operativo
    Continuità 1 volta 1 volta [10]
    Idrologia Continuo [11] Continuo [11] Continuo [12] Continuo [12]
    Morfologia [12] alterazione morfologica 1 volta 1 volta [10] 1 volta 1 volta [10]
    caratterizzazione degli habitat prevalenti [14] 1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macro invertebrati 1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macro-invertebrati 1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macro-invertebrati 1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macro-invertebrati
    Fisico-chimici e chimici Sorveglianza [1] Operativo [15] Sorveglianza [1] Operativo [15]

    Elementi di qualità Fiumi Laghi
    Condizioni termiche Trimestrale e comunque in coincidenza del campionamento dei macro invertebrati e/o delle diatomee Trimestrale e comunque in coincidenza del campionamento dei macromvertebrati e/o delle diatomee. Bimestrale e comunque in coincidenza del campionamento del fitoplancton Bimestrale e comunque in coincidenza con il campionamento del fitoplancton
    Ossigenazione
    Conducibilità
    Stato dei nutrienti
    Stato di acidificazione
    Altre sostanze non appartenenti all’elenco di priorità [16] Trimestrale nella matrice acqua. Possibilmente in coincidenza con campionamento dei macro invertebrati e /o delle diatomee Trimestrale nella matrice acqua. Nell’anno del monitoraggio biologico i campionamenti sono effettuati possibilmente in coincidenza con quelli dei macro– invertebrati e/o delle diatomee. Trimestrale in colonna d’acqua Trimestrale in colonna d’acqua
    Sostanze dell’elenco di priorità [17] [18] Mensile nella matrice acqua e annuale nel biota [1] Mensile nella matrice acqua e annuale nel biota [1] Mensile in colonna d’acqua e annuale nel biota [1] Mensile in colonna d’acqua e annuale nel biota [1]

    Le frequenze riportate in tabella per fiumi e laghi sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui al manuale APAT 46/2007 e quaderni e notiziari CNR-IRSA.

    Note alla Tabella 3.6.

    [1] Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale fatte salve le eccezioni previste in tabella per l’idrologia dei fiumi e per i siti della rete nucleo.

    [2] Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, salvo il fitoplancton nei laghi, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni.

    [3] Nei laghi che presentano un periodo di copertura glaciale il numero dei campioni viene ridotto di conseguenza. Nel monitoraggio di sorveglianza, per i laghi per i quali non ci siano dati tali da poter fornire un’attendibile classificazione è necessario avviare una prima campagna di monitoraggio per un totale di almeno 18 campioni (circa tre anni). Per i corpi idrici lacustri rientranti nella rete nucleo, il ciclo di monitoraggio è annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella. Il ciclo del monitoraggio operativo è sempre annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella.

    [4] Monitoraggio facoltativo per i fiumi ricadenti nelle idro-eco-regioni alpine e per i fiumi grandi e molto grandi così come definiti nella Sezione A punto 1.1 dell’Allegato III del presente Decreto legislativo.

    [5] Monitoraggio non richiesto per gli invasi, così come definiti nella Sezione A al punto 1.1 citato Allegato III.

    [6] La frequenza di campionamento è aumentata a 3 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi.

    [7] La frequenza di campionamento è ridotta a 2 volte per i fiumi temporanei mentre è aumentata a 4 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi.

    [8] Nel caso di corsi d’acqua temporanei il monitoraggio dei pesci è facoltativo.

    [9] Per gli invasi, come definiti nella Sezione A al punto 1.1 dell’Allegato III, il monitoraggio dei pesci è facoltativo.

    [10] Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni.

    [11] Le misurazioni in continuo sono da prevedersi per i siti idrologicamente significativi della rete, è possibile utilizzare interpolazioni per gli altri siti.

    [12] È preferibile l’uso di stazioni idrologiche automatiche, in loro assenza è necessaria la misura di livello con frequenza mensile, incrementata a settimanale in caso di siccità con forti prelievi di acqua e, possibilmente, giornaliera in caso forti precipitazioni.

    [13] Nelle more della pubblicazione di un metodo ufficiale, le Regioni utilizzano metodologie di rilevamento già in essere.

    [14] Gli habitat prevalenti sono caratterizzati a partire dal 2010 sulla base dei criteri tecnici pubblicati dai competenti istituti scientifici nazionali.

    [15] Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale.

    [16] Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico.

    [17] Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.

    Le frequenze riportate in tabella per fiumi e laghi sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui al manuale APAT 46/2007 e quaderni e notiziari CNR-IRSA.

    [18] Per le sostanze alle quali si applica uno SQA per i sedimenti o il biota, le Regioni e le Province autonome monitorano la sostanza nella corrispondente matrice almeno una volta all’anno, sempre che le conoscenze tecniche e la valutazione degli esperti non giustifichino un altro intervallo. La giustificazione della frequenza applicata è inserita nei Piani di gestione dei distretti idrografici in conformità all’art. 78-nonies, comma 1, lett. c), e secondo quanto previsto all’art. 3, par. 4, della Direttiva consolidata.

    Tabella 3.7 dell’Allegato I alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per acque di transizione e marino-costiere

    Elementi di qualità Acque di transizione Acque marino-costiere
    Biologici Sorveglianza [1] Operativo [2] Sorveglianza [1] Operativo [2]
    Fitoplancton 4 volte [3] 4 volte [3] 6 volte 6 volte
    Fanerogame 1 volta 1 volta 1 volta [4] 1 volta [4]
    Macroalghe 2 volte 2 volte 1 volta 1 volta
    Macroinvertebrati 2 volte 1 volta 2 volte [5] 2 volte [5]
    Pesci 2 volte 2 volte
    Idromorfologici Sorveglianza [1] Operativo Sorveglianza [1] Operativo
    Profondità e morfologia del fondale 1 volta 1 volta [6] 1 volta 1 volta [6]
    Natura e composizione del substrato In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame
    Struttura della zona intertidale (copertura e composizione della vegetazione) 1 volta [7] 1 volta [7]

    Elementi di qualità Acque di transizione Acque marino-costiere
    Regime di marea da definire in base alle caratteristiche del corpo idrico [8] da definire in base alle caratteristiche del corpo idrico [8]
    Regime correntometrico 1 volta 1 volta [6]
    Fisico-chimici e chimici Sorveglianza [1] Operativo [9] Sorveglianza [1] Operativo [9]
    Condizioni termiche Trimestrale e comunque in coincidenza del campionamento del fitoplancton, macrofite e fauna ittica [10] Trimestrale e comunque in coincidenza del campionamento del fitoplancton, macrofite e fauna ittica [10] Bimestrale e comunque in coincidenza del campionamento del fitoplancton e fanerogame [11] Bimestrale e comunque in coincidenza del campionamento del fitoplancton e delle fanerogame [11]
    Ossigenazione
    Salinità
    Stato dei nutrienti
    Stato di acidificazione
    Altre sostanze non appartenenti all’elenco di priorità [12] trimestrale in colonna d’acqua trimestrale in colonna d’acqua trimestrale in colonna d’acqua trimestrale in colonna d’acqua
    Sostanze dell’elenco di priorità [13] [14] mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota

    Le frequenze riportate in tabella per le acque di transizione e marino-costiere sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui ai manuali ICRAM ed ISPRA.

    Note alla Tabella 3.7.

    [1] Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale eccetto per i siti della rete nucleo e, limitatamente alle acque di transizione, per la struttura della zona intertidale e del regime di marea (vedi rispettivamente nota 7 e 8).

    [2] Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni, salvo il fitoplancton che è controllato ogni anno secondo le frequenze riportate in tabella.

    [3] Campionamento stagionale.

    [4] Campionamento da effettuarsi tra giugno e settembre.

    [5] Campionamento semestrale.

    [6] Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni.

    [7] Entrambi i monitoraggi (sorveglianza e operativo) sono effettuati con cicli non superiori a 3 anni.

    [8] Bilancio idrologico da eseguire ogni 3 anni, mediante misure distribuite nel tempo, con cadenze che dipendono dalle caratteristiche morfologiche ed idrodinamiche del corpo idrico da monitorare.

    [9] Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale.

    [10] Per la fauna ittica sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche, di ossigenazione e di salinità.

    [11] Per le fanerogame sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche e della trasparenza.

    [12] Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico.

    [13] Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.

    [14] Per le sostanze alle quali si applica uno SQA per i sedimenti o il biota, le Regioni e le Province autonome monitorano la sostanza nella corrispondente matrice almeno una volta all’anno, sempre che le conoscenze tecniche e la valutazione degli esperti non giustifichino un altro intervallo. La giustificazione della frequenza applicata è inserita nei Piani di gestione dei distretti idrografi ci in conformità all’art. 78-nonies, comma 1, lett. c), e secondo quanto previsto all’art. 3, par. 4, della Direttiva consolidata.

    A.3.6. Monitoraggio d’indagine

    Il monitoraggio d’indagine è richiesto in casi specifici e più precisamente:

    • quando sono sconosciute le ragioni di eventuali superamenti (ad esempio quando non si ha chiara conoscenza delle cause del mancato raggiungimento del buono stato ecologico e/o chimico, ovvero del peggioramento dello stato delle acque);

    • quando il monitoraggio di sorveglianza indica per un dato corpo idrico il probabile rischio di non raggiungere gli obiettivi, di cui all’art. 77 e seguenti del presente Decreto legislativo, e il monitoraggio operativo non è ancora stato definito, al fine di avere un quadro conoscitivo più dettagliato sulle cause che impediscono il raggiungimento degli obiettivi;

    • per valutare l’ampiezza e gli impatti dell’inquinamento accidentale.

    I risultati del monitoraggio costituiscono la base per l’elaborazione di un programma di misure volte al raggiungimento degli obiettivi ambientali e di interventi specifici atti a rimediare agli effetti dell’inquinamento accidentale. Tale tipo di monitoraggio può essere più intensivo sia in termini di frequenze di campionamento che di numero di corpi idrici o parti di essi. Rientrano nei monitoraggi di indagine gli eventuali controlli investigativi per situazioni di allarme o a scopo preventivo per la valutazione del rischio sanitario e l’informazione al pubblico oppure i monitoraggi di indagine per la redazione di autorizzazioni preventive (es. prelievi di acqua o scarichi).

    Questo tipo di monitoraggio può essere considerato come parte dei programmi di misure richiesti dall’art. 116 del presente Decreto legislativo e può includere misurazioni in continuo di alcuni prodotti chimici e/o l’utilizzo di determinandi biologici anche se non previsti dal Regolamento per quella categoria di corpo idrico.

    L’Autorità competente al monitoraggio definisce gli elementi (es. ulteriori indagini su sedimenti e biota, raccolta ed elaborazione di dati sul regime di flusso, morfologia ed uso del suolo, selezione di sostanze inquinanti non rilevate precedentemente etc.) e i metodi (ad es. misure ecotossicologiche, biomarker, tecniche di remotesensing) più appropriati per lo studio da realizzare sulla base delle caratteristiche e problematiche dell’area interessata. Eventuali saggi biologici sono eseguiti utilizzando protocolli metodologici normati o in corso di standardizzazione secondo le indicazioni UNI.

    Il monitoraggio d’indagine non è usato per classificare direttamente, ma contribuisce a determinare la rete operativa di monitoraggio. Pur tuttavia i dati che derivano da tale tipo di monitoraggio possono essere utilizzati per la classificazione qualora forniscano informazioni integrative necessarie a un quadro conoscitivo più di dettaglio.

    A.3.7. Aree protette

    Per le aree protette, i programmi di monitoraggio tengono conto di quanto già riportato al punto A.3.1.1 del presente allegato. I programmi di monitoraggio esistenti ai fini del controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi di cui all’art. 79 del presente Decreto legislativo costituiscono parte integrante del monitoraggio di cui al presente allegato.

    A.3.8. Acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile

    I corpi idrici superficiali individuati a norma dell’art. 82 del presente Decreto legislativo che forniscono in media più di 100 m3 al giorno sono designati come siti di monitoraggio da eseguire secondo le modalità riportate ai paragrafi precedenti e sono sottoposti ad un monitoraggio supplementare al fine di soddisfare i requisiti previsti dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31.

    Il monitoraggio suppletivo, da effettuarsi annualmente secondo la frequenza di campionamento riportata nella tab. 3.8, riguarda tutte le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente allegato scaricate e/o immesse e/o rilasciate, nonché tutte le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato VIII del presente Decreto legislativo scaricate e/o immesse e/o rilasciate in quantità significativa da incidere negativamente sullo stato del corpo idrico.

    Nel monitoraggio si applicano i valori di parametro previsti dall’Allegato I del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 nei casi in cui essi risultino più restrittivi dei valori individuati per gli stessi parametri nelle Tabelle 1/A, 1/B e 2B del presente allegato.

    I parametri di cui alla Tabella 1/A, indipendentemente dalla presenza di scarichi, immissioni o rilasci conosciuti, sono comunque tutti parte integrante di uno screening chimico da effettuarsi con cadenza biennale.

    Tabella 3.8. dell’Allegato I alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006 - Frequenza di campionamento

    Comunità servita Frequenza
    <10.000 4 volte l’anno
    Da 10.000 a 30.000 8 volte l’anno
    >30.000 12 volte l’anno

    Il monitoraggio supplementare non si effettua qualora siano già soddisfatti tutti i seguenti requisiti:

    • le posizioni dei siti di monitoraggio dello stato delle acque superficiali risultano anche idonee a un controllo adeguato ai fini della tutela della qualità dell’acqua destinata alla produzione di acqua potabile;

    • la frequenza del campionamento dello stato delle acque superficiali non è in nessun caso più bassa di quella fissata nella Tabella 3.8;

    • il rischio per la qualità delle acque per l’utilizzo idropotabile non è connesso:
      • a un parametro non pertinente alla valutazione dello stato delle acque superficiali (es. parametri microbiologici);

      • a uno standard di qualità più restrittivo per le acque potabili rispetto a quello previsto per lo stato delle acque superficiali del corpo idrico. In tali casi, il corpo idrico può non essere a rischio di non raggiungere lo stato buono ma è a rischio di non rispettare gli obiettivi di protezione delle acque potabili.

    A.3.9. Aree di protezione dell’habitat e delle specie

    I corpi idrici che rientrano nelle aree di protezione dell’habitat e delle specie sono compresi nel programma di monitoraggio operativo qualora, in base alla valutazione dell’impatto e al monitoraggio di sorveglianza, si reputa che essi rischino di non conseguire i propri obiettivi ambientali.

    Il monitoraggio viene effettuato per valutare la grandezza e l’impatto di tutte le pertinenti pressioni significative esercitate su tali corpi idrici e, se necessario, per rilevare le variazioni del loro stato conseguenti ai programmi di misure. Il monitoraggio prosegue finché le aree non soddisfano i requisiti in materia di acque sanciti dalla normativa in base alla quale esse sono designate e finché non sono raggiunti gli obiettivi di cui all’art. 77 del presente Decreto legislativo.

    Qualora un corpo idrico sia interessato da più di uno degli obiettivi si applica quello più rigoroso.

    Come già riportato nella parte generale del presente allegato, ai fini di evitare sovrapposizioni, la valutazione dello stato avviene per quanto possibile attraverso un unico monitoraggio articolato in modo da soddisfare le specifiche esigenze derivanti dagli obblighi delle disposizioni comunitarie e nazionali vigenti.

    A.3.10. Precisione e attendibilità dei risultati del monitoraggio

    La precisione ed il livello di confidenza associato al piano di monitoraggio dipendono dalla variabilità spaziale e temporale associata ai processi naturali e alla frequenza di campionamento e analisi previste dal piano di monitoraggio stesso.

    Il monitoraggio è programmato ed effettuato al fine di fornire risultati con un adeguato livello di precisione e di attendibilità.

    Una stima di tale livello è indicata nel piano di monitoraggio stesso.

    Al fine del raggiungimento di un adeguato livello di precisione ed attendibilità, è necessario porre attenzione a:

    • il numero dei corpi idrici inclusi nei vari tipi di monitoraggio;

    • il numero di siti necessario per valutare lo stato di ogni corpo idrico;

    • la frequenza idonea al monitoraggio dei parametri indicativi degli elementi di qualità.

    Per quanto riguarda i metodi sia di natura chimica che biologica, l’affidabilità e la precisione dei risultati devono essere assicurati dalle procedure di qualità interne ai laboratori che effettuano le attività di campionamento ed analisi.

    Per assicurare che i dati prodotti dai laboratori siano affidabili, rappresentativi ed assicurino una corretta valutazione dello stato dei corpi idrici, i laboratori coinvolti nelle attività di monitoraggio sono accreditati od operano in modo conforme a quanto richiesto dalla UNI CEN EN ISO 17025.

    I laboratori devono essere accreditati almeno per i parametri di maggiore rilevanza od operare secondo un programma di garanzia della qualità/controllo della qualità per i seguenti aspetti:

    • campionamento, trasporto, stoccaggio e trattamento del campione;

    • documentazione relativa alle procedure analitiche che devono essere basate su norme tecniche riconosciute a livello internazionale (CEN, ISO, EPA) o nazionale (UNI, metodi proposti dall’ISPRA o da CNR-IRSA per i corpi idrici fluviali e lacustri e metodi proposti dall’ISPRA per le acque marino-costiere e di transizione);

    • procedure per il controllo di qualità interno ai laboratori e partecipazione a prove valutative organizzati da istituzioni conformi alla ISO Guide 43-1;

    • convalida dei metodi analitici, determinazione dei limiti di rivelabilità e di quantificazione, calcolo dell’incertezza;

    • piani di formazione del personale;

    • procedure per la predisposizione dei rapporti di prova, gestione delle informazioni.

    Per i metodi per il campionamento degli elementi di qualità biologica si fa riferimento ai pertinenti manuali ISPRA, quaderni e notiziari CNR-IRSA per le acque dolci e manuali ISPRA ed ICRAM per le acque marino-costiere e di transizione. I metodi per i parametri chimici sono riportati nei Manuali e Linee Guida APAT/ CNRIRSA n. 29/2003 e successivi aggiornamenti e in “Metodologie Analitiche di Riferimento. Programma di Monitoraggio per il controllo dell’Ambiente marino costiero (Triennio 2001– 2003)” Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, ICRAM, Roma 2001 e successivi aggiornamenti.

    Per le sostanze dell’elenco di priorità per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dell’aggiornamento dei quaderni APAT/CNR-IRSA si fa riferimento per i metodi analitici alle metodiche di cui alla successiva Tabella 3.9. Per la misura delle caratteristiche morfologiche dei corsi d’acqua, si fa riferimento ai pertinenti manuali ISPRA. Per la misura delle caratteristiche morfologiche dei laghi, si fa riferimento ai Report CNR-ISE. Per la misura della portata (solida e liquida) per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dei metodi ISPRA/CNR, si fa riferimento a quelli indicati nell’elenco di seguito riportato.

    6.5.8 Informazioni sullo stato di qualità delle acque

    6.5.8Informazioni sullo stato di qualità delle acque
    Presentazione dei risultati del monitoraggio e classificazione dello stato e del potenziale ecologici.
    Presentazione dei risultati del monitoraggio e classificazione dello stato e del potenziale ecologici.

    Per le varie categorie di acque superficiali, lo stato ecologico del corpo idrico in questione è classificato in base al più basso dei valori riscontrati durante il monitoraggio biologico e fisico chimico relativamente ai corrispondenti elementi qualitativi classificati secondo la prima colonna della tabella qui riportata. Per il territorio di competenza, le Regioni forniscono una mappa che riporta la classificazione dello stato ecologico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato nella seconda colonna della medesima tabella per rispecchiare la classificazione dello stato ecologico del corpo idrico. Tali dati sono parte integrante delle informazioni fornite ai sensi del D.M. 17 luglio 2009 e devono essere trasmesse con la frequenza e le modalità individuate nel medesimo Decreto.

    Per i corpi idrici fortemente modificati o artificiali, il potenziale ecologico del corpo idrico in questione è classificato in base al più basso dei valori riscontrati durante il monitoraggio biologico e fisico-chimico relativamente ai corrispondenti elementi qualitativi classificati secondo la prima colonna della tabella qui riportata.

    Per ciascun distretto idrografico le Regioni forniscono una mappa che riporta la classificazione del potenziale ecologico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato, per i corpi idrici artificiali, nella seconda colonna della medesima tabella e, per quelli fortemente modificati, nella terza.

    Tali dati sono parte integrante delle informazioni fornite ai sensi del D.M. 17 luglio 2009 e devono essere trasmesse con la frequenza e secondo le modalità individuate nel medesimo Decreto.

    Le Regioni indicano inoltre, con un punto nero sulla mappa, i corpi idrici per cui lo stato o il buon potenziale ecologico non è stato raggiunto a causa del mancato soddisfacimento di uno o più degli standard di qualità ambientale fissati per il corpo idrico in questione relativamente a determinati inquinanti sintetici e non sintetici.

    Presentazione dei risultati del monitoraggio e classificazione dello stato chimico.
    Presentazione dei risultati del monitoraggio e classificazione dello stato chimico.

    Il corpo idrico che soddisfa tutti gli standard di qualità ambientale fissati nell’Allegato I alla Parte III del D.Lgs. n. 152/2006 è classificato in buono stato chimico. In caso negativo, il corpo è classificato come corpo cui non è riconosciuto il buono stato chimico.

    Per l’area territoriale di competenza, le Regioni forniscono una mappa che indica lo stato chimico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato nella seconda colonna della tabella qui riportata per rispecchiare la classificazione dello stato chimico del corpo idrico.

    Tali dati sono parte integrante delle informazioni fornite ai sensi del D.M. 17 luglio 2009 e devono essere trasmesse dalle Regioni con la frequenza e secondo le modalità individuate nel medesimo Decreto.

    Sulla base delle informazioni di cui ai punti precedenti, ai fini della trasmissione alla Commissione Europea da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, ISPRA elabora, su scala di distretto idrografico, i dati trasmessi dalle Regioni.

    Le Regioni dovranno inserire l’attività di monitoraggio pianificata per ciascun obiettivo per specifica destinazione, nell’ambito del “programma” di monitoraggio, previsto dall’art. 120 del Decreto, per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idrografico.

    L’integrazione delle attività di monitoraggio relative ai vari obiettivi a specifica destinazione, finora espletate separatamente e senza alcuna interconnessione, consentirà oltre che una riduzione dei costi una semplificazione dei compiti delle autorità ed enti preposti al controllo.

    Obiettivi a specifica destinazione - Riferimenti normativi

    Fine capitolo